XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 8 di giovedì 22 maggio 2008

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

La seduta comincia alle 9.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 maggio 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brugger, Casini, Cota, Crosetto, Donadi, Alberto Giorgetti, Leone, Lusetti, Martini, Soro e Stucchi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente trentotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione.

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza, con lettera in data 21 maggio 2008, il seguente disegno di legge:
S. 4 «Conversione in legge del decreto-legge 23 aprile 2008, n.80, recante misure urgenti per assicurare il pubblico servizio di trasporto aereo» (Approvato dal Senato) (1094).
Il suddetto disegno di legge sarà assegnato alle competenti Commissioni, non appena costituite.

Modifica nella composizione della Giunta per il Regolamento.

PRESIDENTE. Comunico che, a norma dell'articolo 16, comma 1, del Regolamento, udito il parere della Giunta per il Regolamento nella seduta del 21 maggio, ho integrato la composizione della Giunta medesima chiamandovi a farne parte il deputato Antonio Milo.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (A.C. 6) (ore 9,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Ricordo che nella seduta del 20 maggio scorso si è conclusa la discussione sulle linee generali ed ha avuto luogo la replica del relatore, mentre il Governo vi ha rinunciato.

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(Esame dell'articolo unico - A.C. 6)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 6).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge (Vedi l'allegato A - A.C. 6).
La Presidenza ha attentamente valutato, in sede di vaglio di ammissibilità, le proposte emendative presentate, alla luce dei principi regolamentari, delle prassi applicative e delle circostanze peculiari che caratterizzano questo particolare iter parlamentare.
Ricordo, in generale, che - ai sensi dell'articolo 86, comma 1, del Regolamento - nella fase dell'esame in Assemblea possono essere presentati oltre agli emendamenti respinti in Commissione, soltanto articoli aggiuntivi ed emendamenti che si riferiscano ad argomenti già considerati nel testo o negli emendamenti presentati e giudicati ammissibili in Commissione.
Con riferimento specifico ai decreti-legge, l'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento prevede, per la valutazione dell'ammissibilità degli emendamenti, criteri più rigorosi rispetto a quelli stabiliti per il procedimento legislativo ordinario, stabilendo, in particolare, che devono essere dichiarati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano «strettamente attinenti» alla materia del decreto-legge. La stretta attinenza al contenuto del decreto-legge è «valutata con riferimento ai singoli oggetti ed alla specifica problematica affrontata dall'intervento normativo». Così recita la circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997.
Questi criteri interpretativi conoscono per prassi le sole deroghe relative ai decreti-legge in materia di proroga di termini e ai decreti collegati alla manovra finanziaria, per i quali, in ragione del loro specifico carattere, oltre al criterio materiale si applica anche un criterio finalistico.
Tale ultimo criterio non è stato, invece, fatto valere con riferimento ai provvedimenti come quello in esame, che recano disposizioni eterogenee, il cui elemento unificante è rappresentato dalla loro finalizzazione all'adempimento di obblighi comunitari.
Questa possibilità è stata in passato considerata negativamente dalla Presidenza (si veda la seduta del 31 gennaio 2007) in ragione del fatto che l'applicazione di un criterio finalistico ad una siffatta tipologia di decreti-legge avrebbe comportato un ampliamento del loro ambito materiale di intervento; specie considerando che proprio con riferimento all'adempimento di tale tipologia di obblighi, l'ordinamento prevede uno specifico strumento, cioè la legge comunitaria (il relativo disegno di legge è presentato dal Governo all'inizio di ciascun anno).
Se questo è lo stato della prassi, nel caso di specie, occorre, tuttavia, considerare le particolarissime circostanze in cui si svolge l'esame del presente decreto-legge. Esso, infatti, è stato adottato nella XV legislatura, nel periodo di prorogatio, e viene convertito dalle nuove Camere, in presenza di un nuovo Governo, dopo un lungo periodo di inattività del Parlamento.
Da tali circostanze possono trarsi le seguenti conclusioni:
a) per quanto riguarda la necessità di previa presentazione degli emendamenti in Commissione, occorre considerare che il provvedimento è stato esaminato dalla Commissione speciale, istituita ai sensi dell'articolo 22, comma 2, del Regolamento, nella seduta dello scorso 13 maggio, immediatamente dopo la formazione del Governo e in coincidenza con la presentazione dello stesso alle Camere. Alla luce di tale circostanza risulta comprensibile che il Governo, così come i deputati, possano non essere stati nelle condizioni di elaborare tempestivamente il complesso delle proposte emendative per la fase dell'esame in Commissione;
b) per quanto riguarda i profili relativi alla stretta attinenza alla materia del decreto-legge, ho ricordato che essi potrebbero Pag. 3essere superati attraverso l'adozione di un criterio finalistico, che tenga conto dello scopo che accomuna le norme in esame, costituito dalla necessità di adempiere ad obblighi comunitari. Tale criterio è stato in passato escluso essenzialmente per l'esistenza di uno specifico strumento normativo ordinario quale la legge comunitaria. Nel caso di specie, tuttavia, va rilevata la circostanza del tutto particolare che il disegno di legge comunitaria presentato dal Governo precedente è decaduto con la fine della legislatura e che il Governo in carica dovrà elaborare un nuovo disegno di legge, che dovrà poi - con i tempi necessari - essere sottoposto all'esame delle Camere.

Nel frattempo non può evidentemente essere elusa l'esigenza di far fronte ad obblighi comunitari, in relazione a situazioni di incompatibilità affermate in sede europea tra normativa comunitaria e normativa nazionale, da cui discende l'esigenza di un adeguamento. In questo senso è la gran parte degli emendamenti presentati.
Alla luce delle considerazioni che precedono, la Presidenza, tenuto conto del complesso di circostanze oggettive sopra ricordate che caratterizzano in modo del tutto peculiare l'esame da parte della Camera di questo decreto, ammetterà, in via del tutto eccezionale, alla discussione e al voto gli emendamenti volti all'adempimento di obblighi comunitari nei termini che sono stati sopra indicati.
La Presidenza dichiarerà, invece, inammissibili gli emendamenti che, oltre a non essere attinenti alle materie trattate nel decreto-legge, non sono rivolti a dare attuazione ad obblighi comunitari come sopra definiti.
Sono, pertanto, inammissibili le seguenti proposte emendative:
l'articolo aggiuntivo 8.011 del Governo, recante la proroga del termine per l'esercizio di una delega correttiva, in materia di appalti (per prassi - ricordo - assolutamente consolidata, infatti, non sono ammissibili nell'ambito del procedimento di conversione di decreti-legge emendamenti volti a incidere su norme di delega);
l'articolo aggiuntivo 8.013 del Governo, in materia di adempimento degli obblighi derivanti da un trattato internazionale - la Convenzione di Parigi - in materia di armi chimiche;

il subemendamento Stradella 0.8.012.3, limitatamente al comma 3, volto a modificare a regime - senza che ciò sia stato richiesto nell'ambito della procedura di infrazione - gli obblighi a cui sono assoggettate le società concessionarie autostradali.

Rettifica della comunicazione circa la composizione della Giunta delle elezioni e della Giunta per le autorizzazioni.

PRESIDENTE. A rettifica di quanto reso noto nella seduta di ieri, a causa di un errore materiale nelle relative comunicazioni, sono stati indicati come membri della Giunta delle elezioni gli onorevoli Consolo, Cristaldi e Delfino anziché gli onorevoli Laffranco, Siliquini e Cera, che devono quindi intendersi chiamati a far parte della Giunta delle elezioni.
È stata inoltre indicata come membro della Giunta per le autorizzazioni l'onorevole Frassinetti anziché l'onorevole Consolo, che deve quindi intendersi chiamato a far parte della Giunta per le autorizzazioni.

Si riprende la discussione (ore 9,15).

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 6)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, signor Ministro per i rapporti con il Pag. 4Parlamento e signor sottosegretario, questa mattina, e non solo questa mattina, avremo modo di occuparci, in maniera diffusa, del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, con la speranza di ottenere un ripensamento del Governo - che stiamo chiedendo da alcune ore - affinché lo stesso ritiri alcune proposte emendative che non hanno molta attinenza con il provvedimento in discussione.
Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, ricordo che si tratta di un provvedimento approvato dal Governo precedente e, soprattutto, di un provvedimento che è stato licenziato da una Commissione che aveva il chiaro compito di esaminare i provvedimenti del Governo precedente e di portarli rapidamente all'esame dell'Aula, per passare poi ad occuparci degli atti normativi adottati dal Governo in carica. Originariamente - secondo un gentlemen agreement - si era stabilito, con riferimento alle proposte formulate dalla Commissione, che le modifiche apportate al provvedimento sarebbero state condivise all'interno della Commissione stessa. Ciò sarebbe dovuto avvenire anche in linea con una prassi consolidata secondo la quale, ogni volta che una nuova formazione della Camera sia impegnata ad affrontare provvedimenti provenienti dalla precedente legislatura, questi non debbano subire modifiche sostanziali, ma essere rapidamente approvati, prima di affrontare il merito della produzione normativa del nuovo Governo.
Signor Presidente, cominciamo male... se dovessi tornare a quanto avvenuto durante la precedente legislatura, adesso mi dovrei fermare, dovrei aspettare che il Ministro per i rapporti con il Parlamento mi ascolti, dovrei pregarlo di ascoltarmi, perché sto dicendo cose importantissime che lui non si può perdere, e magari anche chiedere al collega di non distrarlo! Poiché, però, siamo in una nuova fase, consentiamo anche al Ministro per i rapporti con il Parlamento di fare ciò che vuole, ma almeno cerchiamo di ottenere che il sottosegretario Romani - che se ne è andato - ritorni in Aula, perché potrebbe essere interessato all'argomento. Ma non fa niente...

ANTONIO LEONE. È lì!

ROBERTO GIACHETTI. C'è però il collega Leone, che sicuramente ci può ascoltare... quello che facevate voi era nulla, in confronto a questo! La mia è una piccola parentesi per vivacizzare la mattinata, che sarà impegnativa e lunga.
Signor Presidente, cominciamo male. Il provvedimento in esame, che il Governo aveva adottato nella scorsa legislatura, aveva una funzione precisa, ossia quella di adempiere a una serie di impegni che avevamo assunto con la Comunità europea e di intervenire per apportare alcune correzioni laddove il nostro Paese avesse commesso infrazioni sanzionate dalla Corte di giustizia. Si trattava, pertanto, da una parte di prendere atto di alcune direttive della Comunità europea (di cui facciamo parte) e di adeguarvi la nostra normativa e, dall'altra, di correggere errori che erano stati compiuti. Tra questi errori ve n'era uno riguardante una normativa sulle televisioni che portava la firma dall'onorevole Gasparri, che, come da noi spesso sottolineato, è stato anche esaminato dagli organi di giurisdizione europea: la normativa in questione, infatti, favoriva alcune televisioni penalizzandone altre, alle quali erano state sottratte alcune frequenze. Lo spirito e la chiara motivazione del provvedimento in esame erano volti a risolvere alcune questioni precise, che potevano essere tranquillamente mantenute all'interno dell'esame che la Commissione avrebbe dovuto svolgere. Ciò, però, non è accaduto.
Per questo, signor Presidente e signori del Governo, dico che cominciamo male. Se non sbaglio, infatti, già si era annunciato che all'interno del provvedimento che riguardava l'immigrazione - che il Governo avrebbe dovuto approvare nella giornata di ieri - sembrava fosse stata inserita una norma che non aveva molto a che fare con quel provvedimento, e che qualche «birichino» aveva pensato fosse Pag. 5più dedicata a risolvere altri problemi, piuttosto che quelli della sicurezza e dell'immigrazione. Su questa norma vi è stato un rimpallo. All'inizio sembrava che fosse volontà dell'uno piuttosto che dell'altro: il senatore Ghedini ci ha spiegato che era un'iniziativa del Ministro della giustizia Alfano, e il Ministro della giustizia Alfano non so bene cosa ha detto, ma resta il fatto che questa norma, per fortuna, è al momento sparita dal provvedimento che dovrebbe occuparsi della materia della sicurezza e dell'immigrazione. Tuttavia il riflesso di inserire delle norme ad hoc all'interno di provvedimenti che riguardano temi generali è, purtroppo, un riflesso al quale questo Governo ci ha abituato nella sua precedente fase, cioè tra il 2001 e il 2006, e che sembra in qualche modo aver ripreso... se non disturbo posso continuare, altrimenti posso fermarmi...
Il Governo ce lo ha insegnato negli anni dal 2001 al 2006, e ora sembra che questa tentazione ritorni: lo abbiamo visto con la norma cui facevo riferimento prima e lo vediamo anche con la norma che oggi intendiamo contestare, cioè l'emendamento che è stato presentato qui in Aula dal Governo, attraverso il sottosegretario Romani, che sostanzialmente fa finta di corrispondere a quanto ci richiede la giurisdizione della Corte di giustizia europea in relazione alla questione che riguarda Retequattro, che, come sappiamo, da tempo dovrebbe trasmettere non più sul terrestre, ma via satellite e che, grazie a tutta una serie di normative, si è sempre sottratta a quest'obbligo, determinando la condanna del nostro Paese.
Anziché prevedere nel provvedimento una norma che prenda atto di ciò e operi di conseguenza, si prevede una norma che, in realtà, è un artificio, un sotterfugio attraverso il quale si vuole garantire ulteriore tempo affinché Retequattro, una delle tre reti Mediaset, non adempia a quanto è tenuta, cioè di trasmettere solo via satellite, ma possa continuare a trasmettere attraverso il terrestre. Ciò, come sappiamo, penalizza altre emittenti che avrebbero, invece, diritto a quella frequenza e che hanno adito anche le vie legali e ottenuto ragione dei loro diritti, ma che, appunto, per una serie di norme che proteggono Retequattro non riescono ad avere giustizia.
È una situazione paradossale! Soprattutto, signor Presidente, signori del Governo, è paradossale che si faccia ciò attraverso un emendamento ad un decreto-legge, che peraltro, come dicevo prima, è della precedente legislatura. Avete avuto dagli italiani una maggioranza ampia e avrete la possibilità di legiferare con tutta tranquillità. Avrete qualche problema in meno rispetto a quelli che abbiamo avuto noi nella precedente legislatura e credo che avrete anche la possibilità di organizzare i tempi, oltre che il merito, delle vostre discussioni. Dunque, obiettivamente non si capisce perché una norma di questo tipo venga inserita in un decreto-legge, che dovrebbe riguardare altri temi e che ha la particolarità di essere stato emanato per risolvere alcune questioni segnalateci dall'Unione europea. Si decide invece di inserirla attraverso un emendamento in un provvedimento che, come è noto, è emanato sulla base delle previsioni costituzionali della necessità e dell'urgenza, per risolvere questioni imminenti e importanti. Dunque, non se ne sentiva minimamente il bisogno, e ci si sarebbe augurati che il Governo affrontasse questa materia in modo più organico, anche corrispondendo ad alcuni impegni o quanto meno ad alcune intenzioni, manifestate anche, ma non solo, in campagna elettorale, di riprendere una discussione su un tema caldo, che in qualche modo ha fatto sempre venire i brividi alla maggioranza.
Auspichiamo che il nuovo corso porti anche ad una maggiore duttilità e disponibilità nell'affrontare questioni come quella della regolamentazione del sistema televisivo che, come è noto, aveva avuto una prima stesura, per noi infausta, con l'ex Ministro Gasparri. Una regolamentazione che avevamo tentato di correggere con il provvedimento del Ministro Gentiloni, approvato nella scorsa legislatura dalla Commissione competente di questa Camera, che poi, per una serie di ragioni, non ultima quella dell'interruzione della Pag. 6legislatura, non siamo riusciti ad esaminare in Aula. Si trattava di un provvedimento che aveva dentro un ragionamento e una filosofia volte a cercare di regolare in modo complessivo il tema e la materia, che ovviamente si sarebbe dovuto occupare anche di questo aspetto. Com'è noto, nei provvedimenti del Ministro Gentiloni era presente anche un altro tema di particolare attualità in questo periodo, ovvero quello delle modalità attraverso le quali procedere alla nomina del nuovo consiglio di amministrazione della RAI. Si cercava di realizzare un sistema e un modo che consentissero e imponessero, in qualche modo, alla politica di uscire da una dimensione invasiva di quello che è il servizio pubblico. Vogliamo mantenere la stessa filosofia del provvedimento volta a fornire un inquadramento generale, una visione politica che tenga saldi alcuni punti di riferimento, anche in questa occasione abbastanza sui generis nella quale ci troviamo ad affrontare questa materia. Uno di questi punti di riferimento ovviamente non può che essere il rispetto delle sentenze, siano dei tribunali italiani, siano della giustizia europea, ovvero l'esigenza che questo Governo adempia a quanto viene richiesto dalla giustizia europea. Ci auguriamo, quindi, che ci sia certamente un intervento ma che non sia estemporaneo, fatto all'ultimo momento, attraverso alcune proposte emendative presentate che vanno in una direzione assolutamente contraria a quella della Comunità europea.
D'altra parte, ritengo sia un'esigenza del Parlamento provare almeno in questa legislatura ad affrontare in modo aperto - lo dico soprattutto alla maggioranza - alcune questioni, dato che il rapporto numerico che esiste tra la maggioranza e l'opposizione dovrebbe mettere la maggioranza al riparo, salvo che non si aprano al suo interno - anche se non credo che sia questo il momento - delle divisioni che potrebbero portare disordine all'interno della compagine; avrete la vostra luna di miele. Alla luce della richiesta che avanziamo, ovvero eliminare questo articolo aggiuntivo dal decreto-legge, che è un provvedimento particolare che mira a risolvere tutta una serie di questioni che toccano i temi più diversi, - lo dico a lei sottosegretario Romani, che in questo momento ha la cortesia di ascoltarmi - ritengo che ciò consentirebbe anche all'opposizione, magari in una fase successiva, con un provvedimento diverso, di contribuire alla soluzione della questione in particolare e più in generale di contribuire, con un dibattito serio ed articolato, all'esigenza di dare al nostro Paese una normativa in tema di servizio televisivo pubblico e privato migliore di quella nella quale ci troviamo.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ROBERTO GIACHETTI. Grazie signor Presidente, lei mi aiuta con l'utilizzo della campanella a ricordarmi di aver terminato il tempo del mio intervento. Concludo il mio intervento, quindi, tornando ad auspicare e a chiedere al Governo di affrontare questa materia con un po' più di serietà e soprattutto ad utilizzare le sedi normative adatte, che non sono certamente quelle di un decreto-legge presentato nella scorsa legislatura, per affrontare questioni rilevanti che riguardano anche le attese e i diritti di soggetti che hanno acquisito, attraverso le sentenze della giustizia europea, determinati diritti e che credo debbano poterli esercitare fino in fondo.
Credo che sia compito anche del Governo quello di garantire che questi diritti siano rispettati (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, abbiamo apprezzato la linearità del suo intervento nel precisare le ragioni e i motivi per i quali determinate proposte emendative ed articoli aggiuntivi possono o non possono essere inseriti in sede di conversione di un decreto-legge. Però ci Pag. 7consenta di dire, Presidente, che non abbiamo altrettanto apprezzato la coerenza tra le premesse e le conclusioni (e quindi le decisioni).
Ella si è riferita giustamente alla necessità di un criterio di stretta attinenza tra le proposte emendative ed il tema complessivo del decreto-legge in esame, e si è giustamente riferita, nelle sue premesse, alla necessità di osservare un criterio finalistico, che è quello della necessità di attuare decisioni comunitarie. Alla luce di queste premesse, Presidente, mentre è perfettamente logico, consequenziale e coerente che ella abbia dichiarato ammissibile la proposta emendativa 8.0100 che intende introdurre l'articolo aggiuntivo 8-bis, a firma Di Pietro ed altri; non è altrettanto coerente che ella abbia dichiarato ammissibile la proposta di inserire l'articolo aggiuntivo 8-bis, presentata dal Governo.
Vede, Presidente, mentre la proposta emendativa 8.0100 a firma Di Pietro ed altri segue una linea che in tutto il decreto-legge, dall'articolo 3 agli articoli 4,5,6,7,8 e via dicendo, fa specifico riferimento all'esecuzione e all'attuazione di una decisione della Corte di giustizia delle Comunità europee, per quanto riguarda invece la proposta emendativa presentata dal Governo non abbiamo alcun riferimento all'attuazione di una decisione della Corte europea. Si tratta di una proposta emendativa che introduce un articolo aggiuntivo «calato a freddo» in un provvedimento col quale essa non ha alcuna coerenza. Si tratta dunque di una proposta emendativa assolutamente extra-vagante, che ella avrebbe potuto, alla luce delle sue coerenti premesse, dichiarare inammissibile. L'incoerenza si vede anche da un fatto: tale proposta emendativa del Governo, che intende introdurre l'articolo 8-bis, non ha neanche la dignità di una rubrica; non è premessa - lo ripeto - una rubrica all'articolo 8-bis, quindi neppure da ciò si capisce quale sia l'attinenza di questa proposta emendativa con l'attuazione di una decisione della Corte di giustizia delle Comunità europee. O forse si capisce, se non in termini tecnici, in termini politici. In altre parole, si è approfittato della prima occasione utile per ritornare sul tema, caro al Presidente del Consiglio, ovverosia sulla sorte che deve avere uno dei suoi tantissimi rami d'azienda, cioè esattamente il destino e la sorte di Retequattro, che è nella proprietà e nella disponibilità assoluta e totale del Presidente del Consiglio. Si è utilizzata e strumentalizzata la prima occasione possibile per inserire, ancora una volta, una norma regolativa di un interesse specifico del Presidente del Consiglio.
Noi, veramente, a questo non ci stiamo, Presidente, e dobbiamo denunciare questo fatto. Dobbiamo denunciare l'irritualità, oltre che la non moralità politica, del fatto che il Governo ponga all'attenzione del Parlamento e chieda al Parlamento stesso di pronunciarsi su un trattamento, ancora una volta, di favore per uno degli interessi del Presidente del Consiglio, in aperto contrasto con una decisione della Corte europea secondo la quale Retequattro deve andare sul satellite.
Come si fa a dire che noi siamo prevenuti? Questi sono fatti, signor Presidente. Questi sono fatti! Cioè il Governo porta all'attenzione del Parlamento ancora una volta la regolamentazione di una questione relativa ad un interesse personale e proprio del Presidente del Consiglio. Non possiamo non denunciare di fronte al Parlamento e di fronte all'opinione pubblica questo grave vulnus.
Dall'altra parte cosa c'è? Un cittadino italiano che disperatamente tenta di ottenere l'attuazione dei propri diritti, disperatamente percorre tutti i gradi della giurisdizione, le tenta tutte e le vince tutte, signor Presidente, le vince tutte sino alla decisione del gennaio di quest'anno dell'alta Corte europea di giustizia. Malgrado le vinca tutte, le perde sempre sul piano concreto, perché non si trova chi dia concreta attuazione ai suoi giusti diritti.
Noi siamo in uno Stato di diritto, signor Presidente. Lo Stato di diritto, come lei sa e può insegnare a tutto il Parlamento, è caratterizzato dal fatto che le regole devono valere per tutti, dal fatto che non c'è più il principe che fa e disfa Pag. 8le regole a proprio piacimento, ma le regole, al contrario, devono essere osservate da tutti. Lo Stato di diritto si basa sul principio per cui c'è un'autorità giurisdizionale esterna a chi fa le leggi, ed esterna al potere esecutivo, che stabilisce come le leggi devono essere applicate. In questo caso, signor Presidente, si vorrebbe invece vulnerare gravemente tale principio; e se venisse approvata questa proposta emendativa, il vulnus allo Stato di diritto sarebbe gravissimo. Si vuole ferire il principio dello Stato di diritto, affermando che di fronte a molteplici pronunce giurisdizionali che devono essere attuate si vedono e si pongono in atto tergiversazioni volte esattamente all'opposto, a non dare attuazione alle stesse pronunce.
Noi, non solo noi giuristi, ma anche i cittadini comuni, siamo abituati a considerare che attuazione significa una sola cosa, e cioè che una decisione di un'autorità giurisdizionale competente deve essere immediatamente eseguita. Dare attuazione significa sgombrare tutti gli ostacoli che vi sono alla piena esecuzione di una sentenza. Qui noi andiamo nel senso contrario. Andiamo nel senso che dare attuazione significa differire nel tempo la concreta esecuzione di quello che una pronuncia giurisdizionale statuisce. Cioè non rimuovere gli ostacoli, ma crearne di nuovi, creare intralci, creare ogni difficoltà, differire nel tempo, trovare decisioni di carattere generale che spostino l'attuazione. Non ci siamo, signor Presidente; qui non siamo nello Stato di diritto, qui siamo in un'altra situazione: siamo ancora una volta di fronte al tentativo del principe - questa volta collegiale - di farsi le leggi a proprio conto, facendole passare - questa è una aggravante - attraverso l'approvazione del Parlamento, che dovrebbe essere supremo tutore della legalità e supremo tutore delle regole che esso ha stabilito.
Non trascuriamo neanche la considerazione che, nella gerarchia delle fonti normative, le disposizioni comunitarie e, quindi, le decisioni degli organismi giurisdizionali comunitari che le attuano hanno un rango privilegiato, che le colloca addirittura tra la Costituzione e la legge ordinaria. In questo caso, ancora una volta, si vuole andare, nella prima uscita utile per il Governo, nel senso contrario a quello che la giurisdizione afferma, a quello che i principi del nostro ordinamento giuridico affermano, tutto per fare un piacere al Presidente del Consiglio attraverso la perpetuazione di una sua rete televisiva, che dovrebbe andare sul satellite. Ma - dico - ne ha già due, ha altre possibilità di essere presente sul circuito televisivo, almeno faccia la bella figura di dire che una delle sue reti televisive va sul satellite.
Se Retequattro ha tanti estimatori e ha tanta gente che la segue, la seguirà anche sul satellite: non c'è bisogno di compiere un atto di forza e un atto di sopruso, per mantenere questa rete televisiva all'interno del circuito ordinario.
In ogni caso, signor Presidente, credo che su questa decisione e su questa strada altre parti del Parlamento si pronunceranno in senso nettamente contrario, proprio in virtù di un principio di legalità che non è assolutamente trascurabile e in virtù di un principio di separazione netta - che deve diventare sempre più netta - tra interessi personali di chi gestisce una funzione pubblica e l'attività parlamentare. Ciò conferma, ancora una volta, che nel Paese vi è necessità di rimettere mano alla legge sul conflitto di interessi: bisogna precisare che chi detiene rilevanti partecipazioni, o addirittura la proprietà, di mezzi di comunicazione e di autorizzazioni pubbliche, deve scegliere. Non è che non possa fare attività politica: deve scegliere se vuole fare attività politica o se vuole continuare a fare l'imprenditore nel settore dell'informazione.
In ogni caso, signor Presidente, vi è un punto ulteriore che vorrei trattare: non è una subordinata (come diciamo noi giuristi), ma è un'anticipazione di discussione che, verosimilmente, vi sarà. Se l'attuale maggioranza ha i numeri per approvarsi il non decente articolo aggiuntivo 8.015, privo di una qualunque dignità e di una qualunque coerenza, non ci venga però poi a dire che l'approvazione di tale articolo aggiuntivo esercita un effetto preclusivo Pag. 9nei confronti della proposta emendativa Di Pietro 8.0100: saremmo su due piani totalmente diversi, perché l'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo, senza neppure dignità di rubrica - come dicevo - tratta di questioni generali, tralatizie, che sono inserite surrettiziamente all'interno del provvedimento in esame, quindi incoerenti con la natura di esso. Invece, l'articolo aggiuntivo Di Pietro 8.0100 tratta di un caso molto specifico, come tutti gli altri casi che sono inseriti ed inclusi all'interno del provvedimento in esame: tratta cioè dell'attuazione di una specifica e precisa sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee.
Ritenere che vi fosse o che vi sarebbe un rapporto di pregiudizialità o un rapporto di preclusività, tra l'eventuale previa approvazione dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo e l'articolo aggiuntivo Di Pietro 8.0100, sarebbe un ulteriore colpo ai Regolamenti parlamentari e sarebbe un ulteriore colpo alla coerenza del ragionamento che lo stesso Presidente ha svolto. Non vi è alcuna preclusione. Lei avrà notato che l'articolo aggiuntivo Di Pietro 8.0100 è rubricato: «Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 31 gennaio 2008 - Causa C-380/05 in materia di frequenze televisive»: si tratta quindi di dare attuazione ad un provvedimento specifico della Corte di giustizia delle comunità europee.
L'eventuale previa approvazione dell'articolo aggiuntivo 8.015, senza dignità di rubrica - lo ripeto e lo ripeterò - non sarebbe comunque affatto preclusiva, perché una cosa è approvare, sia pure in maniera per noi errata, una proposta emendativa assolutamente extra-vagante all'interno del provvedimento in esame, altra cosa sarebbe invece affermare che utilizziamo il pretesto dell'approvazione dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo - che parla di tutt'altro e che anzi frapporrebbe ostacoli alla piena attuazione di quella decisione della Corte di giustizia - affinché le decisioni di carattere generale, ultronee rispetto alla logica del provvedimento, non consequenziali, possano vanificare le esigenze di attuazione di una sentenza.
Signor Presidente, confidiamo anche nella sua coerenza rispetto alle premesse che lei ha posto per il prosieguo del dibattito (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cristaldi. Ne ha facoltà.

NICOLÒ CRISTALDI. Onorevole Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli deputati, intervengo relativamente agli emendamenti a mia firma 8.1, 8.2 e 8.3, presentati in relazione all'articolo 8 del decreto-legge. Trattandosi della materia di pesca, mi sono preoccupato di comprendere le ragioni per le quali i tentativi, anche non ufficiali, compiuti da alcuni parlamentari di modificare questa parte del decreto-legge non siano andati a buon fine.
Onorevole Presidente, io e molti deputati del mio schieramento comprendiamo che rubare una mela è un reato e certamente ci sembrerebbe esagerato prevedere la pena di morte per chi ruba una mela. Così, ci sembra esagerato prevedere una sanzione che, di fatto, provoca la chiusura dell'azienda che commette un'infrazione (nemmeno un reato).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 9,45)

NICOLÒ CRISTALDI. Una sanzione amministrativa è giusta quando si commette, appunto, un'infrazione, ma se tale sanzione arriva a dimensioni gigantesche, non significa sancire il pagamento di una somma pecuniaria, ma determinare la chiusura di un'azienda. Ciò non è tollerabile.
Inoltre, non riusciamo a comprendere quali siano le ragioni per le quali non si possa mettere mano a piccole modifiche di questo decreto-legge, specificatamente nella parte che riguarda l'entità della sanzione applicata. Si dice che l'Unione europea Pag. 10sollevi questioni circa le sanzioni che sono già in vigore in Italia, ma che l'entità delle sanzioni non è rapportata all'infrazione. Il ragionamento è equivalente al nostro, ma porta a risultati completamente diversi. Comprenderei una sanzione che venisse raddoppiata rispetto a quella prevista, ma non si comprende come una sanzione possa essere sestuplicata, cosicché i proprietari di barche, il cui valore può essere di 5 o 6 mila euro, potrebbero essere sanzionati con il pagamento di somme che possono arrivare anche a 30 mila euro. Non si comprende come un piccolo operatore della pesca possa giungere a pagare cifre così esose che, addirittura, superano di gran lunga il valore della stessa azienda!
Non si comprende, poi, quale sia il risultato che si vuole raggiungere. Infatti, se questo decreto-legge bloccasse effettivamente le procedure di infrazione avanzate dall'Unione europea contro l'Italia, che fossero realmente gravi, potremmo anche comprenderlo, ma pare che si tratti di un oggetto misterioso: non sappiamo quale sia la vera infrazione che viene contestata dall'Unione europea all'Italia.
Vi è la minaccia che questa procedura di infrazione vada avanti: ma che vada avanti, onorevoli ministri, che vada avanti questa procedura di infrazione! Che lo Stato italiano si attrezzi per fare uno screening e capire che cosa succede su questa materia in Spagna e in Francia! Per quanto riguarda la politica della pesca dell'Unione europea, siamo sottomessi, da una parte, a una politica nordista e, da un'altra parte, a una politica prevaricatrice portata avanti da Spagna e Francia! Noi non difendiamo i valori dell'Italia né le tradizioni pescherecce italiane!
Mentre parliamo, in numerosissimi porti italiani si verificano proteste, le quali non chiedono che non vengano definite le infrazioni sollevate dall'Unione europea, ma chiedono che le sanzioni da applicare siano rapportate, effettivamente, alla portata dell'infrazione. Si sta verificando questo! Queste sono le ragioni per cui insisto sugli emendamenti 8.1, 8.2 e 8.3, a mia firma, augurandomi che il Parlamento voglia accogliere il nostro appello (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Misto-Movimento per l'Autonomia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vietti. Ne ha facoltà.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per la verità noi già avevamo non poche perplessità sull'impianto complessivo del decreto-legge di cui si discute, perché esso lascia intendere che il modo di dare attuazione alla normativa comunitaria sia soltanto quello dei decreti legislativi o dei decreti-legge: sembra cioè che si teorizzi una sorta di sistema binario in cui si fa ricorso soltanto alla legislazione delegata o quella d'urgenza. Come è noto non è così, poiché la legge comunitaria impone una stabile concertazione tra il Governo, il Parlamento e gli enti locali e, dunque, il ricorso alla legislazione delegata e d'urgenza è e deve rimanere assolutamente marginale.
Altre perplessità nutrivamo nei confronti del contenuto di questo decreto-legge, che si è trasformato via via in un decreto omnibus in cui si ritrova di tutto, addirittura la cessione alla Federazione russa della Chiesa ortodossa di Bari che, francamente, ci riesce molto difficile immaginare cosa c'entri con gli adempimenti comunitari.
Ma, pur di fronte a tutte queste perplessità, eravamo disponibili a far prevalere un atteggiamento collaborativo nella sostanza, perché certamente vi sono una serie di adempimenti urgenti che non possono essere differiti e che, dunque, potevano anche giustificare il decreto-legge, seppure non potevano nascondere la presenza degli elementi negativi che ho sommariamente richiamato.
Di fronte a tale situazione, però, improvvisamente il quadro si è modificato, perché il Governo con approssimazioni successive ha presentato un emendamento a proposito delle reti radiotelevisive. Mi risulta che il sottosegretario Romani abbia sostenuto al Comitato dei nove una tesi minimalista, affermando che in realtà tale proposta emendativa non sarebbe un Pag. 11emendamento «salva Retequattro», come viceversa molti giornali anticipano questa mattina. Egli ci ha spiegato che esso riguarda le reti in chiaro, non quelle digitali, e che la preoccupazione e l'allarme che si sono diffusi nell'opinione pubblica e di cui l'opposizione si fa interprete in realtà sarebbero ingiustificati.
Al momento non entro nel merito, anche se la lettura dell'emendamento così come lo intendo non mi sembra affatto rassicurante e non mi sembra affatto confermare la tesi dell'onorevole Romani. In realtà, al comma 3 dell'emendamento io leggo sostanzialmente che si modifica il sistema delle licenze e lo si sostituisce con un meccanismo di autorizzazione generale, ma soprattutto si stabilisce che tutti i soggetti che ne hanno titolo (espressione molto generica, ma sufficiente a ricomprendere, evidentemente, anche la rete di cui si discute) proseguiranno nell'esercizio degli impianti radiotelevisivi fino all'attuazione del piano di assegnazione delle frequenze digitali: io ci leggo, per la verità, senza sforzi di interpretazione maliziosa, un modo per neutralizzare - detto francamente - l'ingresso di Europa 7 al posto di Retequattro.
Il sottosegretario Romani, per la verità, qualche giorno fa, in un'intervista, aveva dichiarato che Retequattro non sarebbe andata sul satellite, mostrando evidentemente qualche capacità divinatoria rispetto all'emendamento del Governo e, soprattutto, fornendo una sorta di interpretazione autentica dell'emendamento stesso, seppure contrastante rispetto a ciò che poi ha sostenuto di fronte al Comitato dei nove.
Tuttavia, anche a voler accedere alla tesi minimalista del sottosegretario Romani, mi pongo una domanda molto semplice e molto banale: se è vero che questa proposta emendativa non nasconde nulla, perché la forzatura da parte del Governo, che vuole a tutti i costi infilare nel decreto-legge una previsione di questo genere ed imporne l'approvazione in tempi forzati, strangolando un dibattito in una sede, quale la conversione di un decreto-legge, che è assolutamente impropria in materia di attuazione delle direttive comunitarie e dei relativi adempimenti?
Sottosegretario Romani, ritengo che, se l'opposizione dà credito alla sua lettura, come fino a prova contraria credo si debba fare, il Governo possa tranquillamente ritirare questa proposta emendativa senza pregiudizio della discussione sul merito, che rinviamo ad un contesto diverso, ordinario, più pacato e nel quale le assicuriamo che da parte nostra non ci saranno le barricate e che valuteremo con assoluta pacatezza e serenità le proposte, anche di carattere tecnico, che il Governo avanzerà per dare evidentemente adempimento alla giurisprudenza e alle direttive comunitarie, non per eluderle. Stiamo infatti parlando di un provvedimento che induce il nostro Paese ad adempiere alle direttive comunitarie e non ad eluderle.
Le assicuro tuttavia, a nome del gruppo dell'UdC, che se il contesto in cui ne discuteremo non sarà quello forzato, anomalo ed improprio della conversione di un decreto-legge (peraltro varato dal precedente Governo e rispetto al quale anche l'opposizione aveva adottato un atteggiamento di fair play proprio perché a cavallo tra due governi successivi, trovandosi poi obiettivamente di fronte a questa forzatura), da parte nostra non troverà certamente ostacoli pregiudiziali.
Se, invece, il Governo dovesse insistere su questa forzatura, allora inevitabilmente, onorevole Romani, noi dovremmo pensare che la sua lettura minimalista, buonista, «alla camomilla», non sia fondata e dovremmo viceversa confortarci della nostra interpretazione letterale di una norma che è francamente inaccettabile.
Dunque, mi rivolgo alla sua personale correttezza e al suo senso di responsabilità affinché il Governo riveda il suo atteggiamento, ritiri questa proposta emendativa e rinvii ad un momento diverso la discussione.
Diversamente anche il gruppo dell'UdC dovrà affermare nell'Aula, in modo molto determinato, le sue ragioni (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

Pag. 12

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi rivolgo anche al Ministro per i rapporti con il Parlamento e al sottosegretario che segue parte delle materie trattate nel decreto-legge oggi al nostro esame.
Stiamo parlando di un decreto-legge rispetto al quale, nella Commissione e poi nel Comitato dei nove, che hanno predisposto la discussione per l'Aula, sino alla giornata di ieri si era convenuto sul fatto che la maggioranza e l'opposizione avrebbero tenuto reciprocamente un comportamento e uno stile parlamentare che avrebbero permesso, così com'è stato fatto per i tre decreti-legge che sono stati licenziati ieri, di procedere con celerità; ciò soprattutto perché il decreto-legge contiene materie che consentirebbero al Paese e ai cittadini italiani di risparmiare centinaia, migliaia e milioni di euro. Si tratta infatti di disposizioni urgenti per dare attuazione a obblighi comunitari ed esecuzione a sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee che riguardano delle infrazioni e comportano sanzioni e impegni, anche onerosi, per lo Stato italiano.
Nella giornata di ieri si è prodotto quello che possiamo considerare uno strappo; vogliamo così considerarlo anche dopo le affermazioni fatte dal Presidente del Consiglio qui in Aula quando ha illustrato il programma e le proposte del Governo che si accingeva a presiedere e per il quale chiedeva la fiducia a questo Parlamento.
Si tratta tanto più di uno strappo nel momento in cui si offre la disponibilità a un dialogo in ragione del fatto che c'è una domanda nel Paese affinché maggioranza e opposizione dialoghino su materie importanti. Ciò non significa convergere per forza e sempre nel merito e sulle modalità attraverso le quali si dà soluzione alle problematiche urgenti che il Paese ha di fronte e deve affrontare: dialogo significa lavorare in questo Parlamento in maniera assai diversa rispetto al comportamento al quale ci ha abituato nella scorsa legislatura l'allora opposizione, attuale maggioranza. Allora non vi è stata mai la disponibilità di discutere nel merito di un decreto-legge - evitando così che si arrivasse a forzature da parte della maggioranza e del Governo - per arrivare alla fine ad una condizione per cui il Governo era costretto a chiedere la fiducia al Parlamento.
Noi non intendiamo ripercorrere le tappe, le modalità e il comportamento di quella opposizione, che riteniamo e continuiamo a ritenere sbagliata, perché pregiudizialmente determinata. Noi faremo un'opposizione e manterremo un comportamento in Aula tali da valutare sempre nel merito le proposte del Governo e della maggioranza; ma di fronte alle prerogative dei parlamentari, dei gruppi parlamentari e di una tra le massime istituzioni del Paese (la Camera dei deputati), rispetto ad un atteggiamento che è di forzatura da parte di una maggioranza che ha i numeri per poter discutere nel merito sui disegni di legge e rispetto al fatto che essa si produce su un decreto-legge che era l'esito di un confronto tra il Governo uscente della scorsa legislatura e quello entrante nella legislatura attuale e che interviene su materie bipartisan (perché si tratta di fare risparmiare ai cittadini italiani e allo Stato italiano multe salate da pagare), non possiamo accettare che si faccia uno strappo e si intervenga - nella giornata di ieri - su una materia talmente delicata da essere proprio una di quelle materie sulle quali è possibile e doveroso verificare se sussistono le condizioni per un dialogo e un serio confronto tra maggioranza e opposizione.
Invece si mostrano i muscoli! E di fronte alla richiesta da parte banchi dell'opposizione, di tutti i gruppi dell'opposizione (Partito Democratico, Italia dei Valori e dell'UdC), come avete sentito anche dagli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, la risposta del Governo è negativa: rispetto alla richiesta di ritirare una proposta emendativa che interviene sul terreno del sistema radiotelevisivo, che non era contemplato tra le materie rispetto alle quali il decreto-legge, anche per Pag. 13l'urgenza che si era determinata, era stato firmato dalla massima carica istituzionale dello Stato.
È forse questo il metodo migliore per affrontare una questione così delicata com'è quella del sistema radiotelevisivo all'avvio della discussione e del confronto parlamentare? È forse questo il modo migliore per dare attuazione all'appello che il Governo ha rivolto all'opposizione ad un confronto serio e sereno, sui contenuti e nel merito dei provvedimenti?
Non si deve credere che oggi ci si trova di fronte ad una condizione simile a quella nella quale si trovava - per fare una similitudine - l'agnello di Esopo: superior stabat lupus, inferior stabat agnus. Qui l'opposizione non è nelle condizioni dell'agnello: è nelle condizioni di discutere dei provvedimenti con pari dignità rispetto alla maggioranza, e lo farà in ogni momento, in quest'Aula e nelle Commissioni. Essa si comporterà così in modo tale da difendere le prerogative di questo Parlamento di fronte alle forzature del Governo e della maggioranza, soprattutto quando queste forzature vengono nel momento in cui ci si appresta alla prima vera giornata di discussione e - si presume - di voto.
Dico «si presume», signor Presidente, perché è chiaro che, di fronte all'indisponibilità del Governo a ritirare la proposta emendativa 8.015 (che introduce un articolo 8-bis nel decreto-legge al nostro esame), abbiamo tutti bisogno di una discussione più ampia per chiarirci le idee: una discussione in cui tutti i parlamentari - e non solo uno o pochi rappresentanti dei gruppi - si esprimano singolarmente relativamente sia al merito della proposta emendativa, sia ovviamente al metodo che è stato seguito dal Governo per imporre questa discussione. È dunque evidente che tutti i colleghi utilizzeranno il tempo che il Regolamento concede loro per affrontare un dibattito che mi auguro il Governo segua attentamente e seguano attentamente anche i colleghi dell'opposizione. Non vogliamo infatti cominciare questa prima giornata di lavori con una discussione in cui nessuno ascolta ed ognuno attende solo il momento del proprio discorso e poi, alla fine, del voto; infatti, il voto è l'esito di una discussione e di un confronto nei quali ci si deve ascoltare.
Chiedo dunque al Governo per quale ragione esso si mostri indisponibile di fronte alla richiesta dell'opposizione e del Partito Democratico di ritirare questo articolo aggiuntivo. Ciò, peraltro, è tanto più vero dal momento che la risposta che si deve dare alla Corte di giustizia europea non richiede gli interventi che voi adottereste con la proposta emendativa. Con essa, infatti, voi cercate di modificare il sistema delle licenze televisive previsto dalla cosiddetta legge Gasparri, sostituendolo con un meccanismo di autorizzazione generale. Questo meccanismo dovrebbe essere sufficiente a giustificare la compravendita delle frequenze e anzi il testo stabilisce che l'attività di trasmissione per i soggetti che ne hanno titolo possa proseguire fino all'attuazione del piano di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale. In questo modo, però, voi date una risposta che non è richiesta.
La risposta che dovete dare alla Corte di giustizia europea, semmai, è applicare quanto stabilito dalla stessa Corte, ossia che i regimi transitori susseguitisi dopo la cosiddetta legge Maccanico, cioè il cosiddetto decreto-legge salva Retequattro e la cosiddetta legge Gasparri, non sono, non erano e non sono stati in grado di rispettare le direttive europee e pertanto il lungo periodo transitorio di cui ha beneficiato anche una rete televisiva in particolare è illegittimo. A tale riguardo, eventualmente, avreste dovuto dare una risposta specifica; invece, avete apprestato una risposta legislativa diversa, che non ha nulla a che fare con il merito a cui si richiama la sentenza della Corte di giustizia europea. Inoltre, la vostra risposta interviene in ordine ad un provvedimento i cui contenuti non sono riconducibili alla materia specifica su cui avete posto l'attenzione con il vostro articolo aggiuntivo.
Potevate intervenire in altro modo. Infatti, avete dinanzi cinque anni di legislatura e, se anche tale misura fosse tale da dovere, anziché presentare disegni di legge su materie importanti su cui il Parlamento Pag. 14deve discutere, ritenere che vi sia urgenza di provvedere, avreste potuto presentare altri decreti-legge. In tali nuovi decreti-legge vi sarebbe stato probabilmente il tempo necessario ad un dialogo e ad un confronto, utile per capire le reciproche ragioni e i motivi che vi spingono. Avreste potuto intervenire in tale ambito, magari la prossima settimana, nel primo decreto-legge del Governo, con il primo emendamento da introdurre in uno dei prossimi decreti del Governo o con una discussione all'interno delle Commissioni che si insediano oggi.
Pertanto, fate una forzatura ulteriore perché non vi è alcuna Commissione di merito che sia posta nelle condizioni di avviare una discussione e un confronto serio per licenziare un testo il più possibile condiviso su un terreno così delicato come quello del sistema radiotelevisivo.
Credo che per tali ragioni il Governo dovrebbe riconsiderare l'atteggiamento assunto sino ad oggi con una certa pervicacia. Ciò è incomprensibile, onorevole Vito. So che ieri lei era impegnato come gli altri suoi colleghi a Napoli, ma penso che non le sia sfuggito il fatto - poiché lei deve curare i rapporti con questo Parlamento - che in questa sede sia stato presentato dal Governo un articolo aggiuntivo senza preventivamente discutere con l'opposizione il merito della medesima proposta emendativa e senza neanche spiegare le ragioni per cui è stata presentata.
Signor Ministro, le chiedo, se possibile anche seduta stante, di spiegare le ragioni per cui lei e il Governo avete presentato tale articolo aggiuntivo. Le ragioni che sino ad ora avete addotto non sono convincenti. Infatti, non è comprensibile perché su una materia così importante come quella delle frequenze televisive presentate una proposta che produrrebbe un male peggiore rispetto alle attuali condizioni del sistema. Sappiamo che insieme dovremo compiere una serie di passaggi da ora sino ai prossimi mesi perché dobbiamo consegnare un sistema più efficiente, efficace e maggiormente a disposizione dei cittadini e allo stesso tempo in grado di garantire l'accesso al mercato all'interno del sistema radiotelevisivo. Signor Presidente, rivolgo al Governo e agli onorevoli colleghi della maggioranza la richiesta che si ritiri l'articolo aggiuntivo in modo che nella stessa giornata odierna si possa licenziare il provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente di turno Lupi, il Presidente Fini, nel dichiarare l'ammissibilità dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo, non ha tenuto conto, a nostro parere - come ricordava in precedenza il collega Palomba - dei criteri consolidati che hanno sempre ispirato la Presidenza nel dichiarare ammissibili emendamenti a provvedimenti (decreti-legge) che hanno il carattere dell'urgenza.
Delle due l'una, signor Presidente: o, come affermato dal sottosegretario Romani nel suo intervento, l'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo non è una misura, così come definita dalle opposizioni, «Salva Retequattro», e allora, se non è tale, non vi è necessità alcuna di richiamare la sentenza della Corte di giustizia europea; oppure, se invece vi è un richiamo forte ad essa (come recita il titolo del decreto-legge), non si può dire, a mo' di favola raccontata a bambini, che il provvedimento in esame non riguardi Retequattro e non sia volto a salvarla.
Diverso, invece, è l'articolo aggiuntivo presentato a prima firma dall'onorevole Di Pietro perché contiene espressamente, nella rubrica, nelle premesse e nel contenuto dispositivo, un riferimento chiaro alla sentenza della Corte di giustizia europea.
Ciò che mi stupisce, signor Presidente, è come, al di là delle buone intenzioni e delle dichiarazioni di buona volontà fatte dal Presidente del Consiglio in quest'Aula del Parlamento la settimana scorsa quando chiedeva al Parlamento la fiducia e collaborazione per risolvere i gravi problemi del Paese, egli riesca a trovare l'occasione e il momento più propizio per Pag. 15se stesso - il giorno stesso in cui a Napoli dà corso a provvedimenti, che presto esamineremo, che hanno una valenza complessiva per l'intero Paese, oltre che per la risoluzione di alcuni problemi drammatici della realtà campana - per far «passare», attraverso i suoi «collaboratori» in Parlamento - infatti, non si possono definire che in questo modo - proposte emendative che riguardano le sue aziende, nella fattispecie una delle tre reti televisive Mediaset, Retequattro, per l'appunto.
A conferma di ciò non si spiegherebbe, se non fosse vero, quanto ha dichiarato ieri sui giornali il presidente di Mediaset, il quale ha affermato esattamente che l'emendamento al nostro esame non è una legge ad personam.
Pertanto, richiamo quanto ho affermato in precedenza: se vi è un richiamo alla sentenza della Corte di giustizia, allora sussiste davvero l'urgenza, ma se così non è allora vi è una contraddizione ampia e piena nei termini. Per tale motivo sosteniamo, signor Presidente, la non ammissibilità della proposta emendativa presentata dal Governo.
Inoltre, è il secondo tentativo fatto nel giro di pochi giorni, signor Presidente, da questo Parlamento e da questa maggioranza. Nella prima bozza del decreto-legge sulla sicurezza ha tentato di inserire una misura che noi abbiamo chiamato «ferma processi Mills-Berlusconi». Accortosi, naturalmente, di quanto stava avvenendo e essendo state attivate tutte le procedure democratiche, anche quella della denuncia pubblica e politica, vi è stato, correttamente, un ripensamento.
Noi chiediamo, signor Presidente, un identico atteggiamento oggi, in quest'Aula, da parte del rappresentante del Governo, del Ministro per i rapporti con il Parlamento, del sottosegretario Romani, nel senso di rivedere la proposta emendativa presentata e di ritirarla. Altrimenti, non si spiegherebbe come Berlusconi, pur di salvare l'intero pacchetto televisivo e il proprio potere televisivo, non si preoccupi minimamente di spingersi sino all'oltraggio alla Corte di giustizia europea e alla Corte costituzionale italiana.

GIUSEPPE CONSOLO. Basta!

RENATO CAMBURSANO. Voglio ricordare alcune date importanti. Dal 1999, Retequattro trasmette senza concessione e quindi in violazione delle regole e delle leggi comunitarie. Questo, lo sostiene non l'onorevole Renato Cambursano, ma due Corti, quella suprema italiana, la Corte costituzionale, e la Corte di giustizia europea. La Corte costituzionale aveva stabilito che tre reti televisive nelle mani di uno stesso proprietario rappresentassero una concentrazione eccessiva del controllo dell'informazione; attenzione: «controllo eccessivo dell'informazione»! Voglio richiamare, sottolineandolo, quest'ultimo termine.
I cittadini italiani, lo sappiamo, sono purtroppo un popolo che legge poco, ma apprende molto dalle televisioni. Pertanto, la formazione e l'informazione che noi diamo attraverso le reti televisive è importante. Se queste sono concentrate in un duopolio - che da qualche giorno è praticamente un monopolio perché sotto la medesima proprietà cadono tre reti televisive private, ma anche il controllo di quelle pubbliche -, ecco allora che l'intera informazione è controllata dal Presidente del Consiglio.
Siamo in palese contrasto anche con le leggi europee che regolano le concessioni pubbliche. Siamo in palese conflitto di interesse, e chi lo dice, signor Presidente (lo ricordo prima che qualcuno se ne dimentichi), non votò a favore dell'approvazione di quel progetto di legge sul conflitto di interessi discusso nell'aprile del 1998 - allora eravamo maggioranza noi del centrosinistra -, relatore l'attuale Ministro Frattini. Fui uno dei pochi che si opposero, anche con durezza, a quel provvedimento perché non avrebbe risolto il problema. Non avendolo risolto allora, non è stato più risolto negli anni successivi.
Mi ricordo, signor Presidente, che tanti anni fa - come lei vede ho qualche anno in più -, nel 1975, venni eletto per la prima volta consigliere comunale in una città della provincia di Torino e l'allora Pag. 16segretario comunale, nella prima seduta del consiglio comunale, lesse a tutti i consiglieri il contenuto di un decreto del Presidente della Repubblica del 1957 sulle incompatibilità e ineleggibilità dei consiglieri comunali. Guarda caso, tra i fattori di ineleggibilità vi era l'eventuale compartecipazione in aziende che avessero in concessione servizi pubblici in quel comune: stiamo parlando di un comune di 25 mila abitanti, non di un'intera nazione. Noi ci troviamo nelle stesse condizioni, ma l'ineleggibilità non è mai stata pronunciata da quest'Aula.
Detto questo, signor Presidente, credo che sia ormai assodato, proprio per i pronunciamenti della Corte costituzionale, che la frequenza occupata da Retequattro avrebbe dovuto essere assegnata da parecchi anni ad Europa 7, che aveva vinto la gara per l'assegnazione nel 1999. Nel 2002 la Corte costituzionale ribadisce ancora l'obbligo per Retequattro di cessare le trasmissioni e fissa anche una data, il 31 dicembre 2003. Poco prima della scadenza stabilita dalla Corte costituzionale, un Ministro del Governo Berlusconi ovviamente, il Ministro Gasparri, presenta un disegno di legge poi divenuto la legge che porta il suo nome. Tale provvedimento, guarda caso, riesce a ribaltare le posizioni e a spostare la scadenza stabilita dalla Corte costituzionale - entro la fine del 2003 - al 31 dicembre 2006. Mi riferisco precisamente all'articolo 25, comma 11, della legge Gasparri, disposizione che in qualche modo stabilisce la data dello switch off. All'inizio del corrente anno, il 31 gennaio 2008, la Corte di giustizia europea ha definito, cito tra virgolette, «contrarie al diritto comunitario» le leggi italiane che consentono a Retequattro di utilizzare le frequenze destinate ad Europa 7.
La sentenza C-380/05 faceva seguito ai ricorsi presentati da Centro Europa 7 Srl al Ministero delle comunicazioni, all'Autorità garante, nonché alla Corte di giustizia europea. Esaminiamo, allora, cosa prevede il diritto comunitario. La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio d'Europa del 7 marzo 2002 (n. 2002/21/CE) pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea n.108 dello stesso anno, istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica ed è definita «direttiva quadro». Ad essa hanno fatto seguito alcune direttive aggiuntive specifiche: la direttiva del Parlamento europeo della stessa data, che viene definita «direttiva autorizzazioni»; la direttiva della Commissione del 16 settembre 2002, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, definita «direttiva concorrenza».
Il giudice del rinvio sottolineava che in Italia il piano nazionale di assegnazione delle frequenze non è stato attuato per ragioni essenzialmente normative che hanno consentito di operare ad occupanti di fatto - lo ripeto: occupanti di fatto -, non titolari di un diritto, ma occupanti sostanzialmente abusivi, di fatto e non di diritto, delle frequenze, con un'anomalia che doveva cessare perché andava contro i diritti dei nuovi titolari di concessione, Europa 7 appunto. Inoltre, il giudice della Corte di giustizia europea aggiungeva che le leggi succedutesi non hanno liberato le frequenze destinate ad essere assegnate a titolari di concessione in tecnica analogica e hanno impedito ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale.
Allora mi chiedo, colleghi, come ci si possa definire Popolo della Libertà - per autodefinizione - quando invece non si ottempera a ciò che la Corte di giustizia europea chiede da anni al Parlamento italiano, con il determinarsi di una situazione che, certamente, né il provvedimento in esame, né questo emendamento, non solo non superano ma addirittura aggravano! Per tali ragioni si è avuto l'effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali già attivi su detto mercato: siamo alla ripresa del protezionismo su larga scala, su più fronti.
La Corte di giustizia europea concludeva affermando che l'assegnazione in esclusiva e senza limiti di tempo è contraria ai principi del Trattato in materia di libera prestazione dei servizi, nonché ai Pag. 17principi sanciti dalle quattro direttive specifiche e dalla direttiva quadro a cui prima facevo accenno.
Il 13 settembre 2006 il Governo Prodi ha riconosciuto esplicitamente l'anomalia segnalata dalla Corte di giustizia, però non l'ha corretta, e questa è una responsabilità di cui noi del centrosinistra dobbiamo farci carico. La Commissione ha nuovamente contestato al Governo italiano la violazione degli articoli 2 e 4 della direttiva sulla concorrenza; il Ministro delle comunicazioni ha avviato allora una procedura competitiva alla quale però, per ragioni di tempo, poi non si è potuto dare corso. È così che si è arrivati alla sentenza a cui facevo riferimento, la più volte richiamata sentenza del 31 gennaio 2008, che sanziona in modo definitivo l'anomalia italiana: se non giungiamo ad una soluzione definitiva - ma non con questo provvedimento, né con questo emendamento - il Paese Italia sarà chiamato a pagare sanzioni amministrative pesantissime che ricadranno sui cittadini, in particolare (guarda caso) su quelli più poveri che, come sappiamo, sono quelli che in questo Paese pagano il canone e le tasse.
Ritengo che il duopolio, di fatto monopolio «Raidiaset», sia da superare. Il gruppo Italia dei Valori, con l'articolo aggiuntivo Di Pietro 8.0100, chiede sostanzialmente di ripristinare la legalità, la giustizia e la libertà, in una parola, la democrazia in questo Paese. Ecco perché, signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, chiediamo di confrontarci liberamente e apertamente con un disegno di legge e non con provvedimento d'urgenza (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 59 recepisce le direttive comunitarie relativamente alla sanatoria delle procedure di infrazione in atto. Nella premessa del decreto-legge viene legittimato l'intervento normativo, in coerenza con il secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione, nell'esigenza «di emanare disposizioni al fine di adempiere ad obblighi comunitari derivanti da sentenze della Corte di giustizia e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano».
Appare di tutta evidenza che il ricorso alla decretazione d'urgenza non può sostituire la legge comunitaria. Si tratta, pertanto, di valutare gli atti normativi o le sentenze che comportino obblighi di adeguamento senza i quali lo Stato italiano subirebbe una condanna pecuniaria. Vi è un elenco di procedure di infrazione e di obblighi di adeguamento normativo superiore a quello che ci viene presentato. Non si comprendono proprio, pertanto, determinate norme del decreto-legge in discussione e non si comprende l'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo. Sul punto, che desta la maggiore perplessità, comprendiamo le ragioni del sottosegretario Romani, secondo le quali la disciplina per l'attività di operatore di rete su frequenze terrestri in tecnica digitale non riguarda tecnicamente Retequattro, che diversamente utilizza una tecnica analogica, come ci è stato dichiarato questa mattina durante la riunione del Comitato dei nove della Commissione speciale.
Se così stanno le cose, ripropongo la stessa domanda in Aula al sottosegretario Romani. Qual è l'urgenza e la necessità di questa norma? Perché non rinviare alla legge comunitaria la trattazione della materia? Perché rompere l'idillio tra Veltroni e Berlusconi su una questione di così secondaria importanza? Perché questo braccio di ferro tra PdL e PD? La stampa parla degli interessi personali delle aziende del Presidente del Consiglio Berlusconi: probabilmente sbaglia, come sbaglia una parte dell'opposizione nel ritenere che ci troviamo di fronte ad un'altra legge ad personam. La lettura del comma 3 dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo, però, così come ha richiamato il collega Vietti poco fa, conferma la difesa di un interesse di Mediaset, perché garantisce la prosecuzione dell'esercizio Pag. 18di impianti di trasmissione fino al termine previsto dalla legge per la conversione definitiva in tecnica digitale. Il confronto sussiste sul comma 3, non sul comma 1. Perché aspettare il programma per il passaggio definitivo alla trasmissione televisiva digitale? Ciò significa che la Commissione europea ha affermato cose diverse che possono danneggiare Mediaset. Se la situazione è questa, perché non discutere serenamente con una procedura legislativa ordinaria? Non viene il dubbio che rinviare al 2012 ogni decisione su Retequattro serva ad eludere la sentenza della Corte di giustizia, che comporta l'assegnazione delle frequenze di Retequattro alla rete TV Europa7?
La questione quindi, sottosegretario Romani, non sta - ripeto - nel comma 1, ma nel comma 3. L'interesse di Mediaset sta in questo rinvio, che elude la sentenza della Corte di giustizia europea. Se davvero era una preoccupazione del Governo recepire qualche sentenza della Corte di giustizia europea, allora avrebbe dovuto fare il contrario di quanto è scritto nel comma 3. Avrebbe dovuto trasferire subito Retequattro al satellite per destinare le frequenze ad Europa 7.
Invece, si compie un'operazione normativa esattamente opposta. Se questo Governo avesse davvero voluto dare un'immagine di sé improntata al senso dello Stato - quello che è stato giustamente vantato nel Consiglio dei ministri di Napoli di ieri - avrebbe dovuto recepire i rilievi dell'antitrust europea sulla legge Gasparri. I vantaggi ingiustificati che hanno gli operatori analogici esistenti devono essere rimossi. Il 31 gennaio 2007 la Corte di giustizia europea condanna il sistema delle concessioni in Italia: Retequattro, secondo la Corte di giustizia europea, trasmette in analogico senza concessione. Questo decreto-legge, invece, stabilisce che i soggetti che hanno titolo, quindi Retequattro, possono proseguire fino al piano di assegnazione, cioè fino al 2012, in barba all'Europa, alla Corte costituzionale, ad una parte importante di quest'Aula e di tutti coloro che credono allo Stato di diritto. A Napoli si mostrano i muscoli dello Stato forte verso chi viola le norme; lo Stato, però, seguita a non esserci per alcuni soliti noti, a cominciare da Berlusconi e le sue aziende.
Signor sottosegretario, colleghi del Governo, dal collega Vietti è stato rivolto un invito per rasserenare questo confronto e non partire col piede sbagliato, come fu fatto nel quinquennio 2001-2006. Cerchiamo di fare leggi nell'interesse generale, e soprattutto nel rispetto delle norme europee e delle norme che questo Stato si è dato in conformità alla normativa europea. Accogliete l'invito del collega Vietti e dell'UdC: ritirate questa norma e rasserenate questo confronto per una produttiva legislatura, così come ci era sembrato di capire dalle parole del Presidente del Consiglio, durante il dibattito sulla fiducia in quest'Aula (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà. (Commenti del deputato Massimo Polledri).

ROBERTO ZACCARIA. Della RAI parleremo in un altro momento, però vorrei che il collega che mi ha interrotto già prima che intervenissi facesse come me e andasse a guardare l'andamento del listino delle azioni Mediaset. Stamattina Mediaset perdeva ancora lo 0,69, ma questo potrebbe essere un fattore contingente. Dal grafico delle azioni Mediaset risulta che nell'ultimo mese ha perso il 10,24, negli ultimi sei mesi il 19,65, nell'ultimo anno il 35,45. Questo è l'andamento del listino Mediaset.
L'altro elemento interessante per capire l'origine di questo articolo aggiuntivo - l'ho già citato ieri, ma forse vi era una certa indifferenza, mentre oggi parliamo più del merito - è il fatto che il vero regista di questa operazione risulta il signor Confalonieri che ieri, essendo a Cannes, ha colto l'occasione per intervenire su una proposta emendativa che gli stessi colleghi parlamentari non conoscevano bene, perché evidentemente...

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MASSIMO POLLEDRI. Chiedi a Rovati.

ROBERTO ZACCARIA. Io sono molto contento di queste interruzioni, perché questo vuol dire che arrivo al segno. Dunque, Confalonieri coglie l'occasione per dire che l'emendamento del Governo va bene.
Non è una legge ad personam, perché si tratta di una proposta emendativa, e quindi troppo piccola. Confalonieri afferma che va bene quello che sta facendo il Governo e andava male quello che ha fatto il Ministro Gentiloni, quando intendeva dare attuazione alla direttiva europea per anticipare la procedura di infrazione. Vi domanderete perché si citano queste cose: perché tutti i colleghi che sono intervenuti non riescono a spiegarsi dal punto di vista parlamentare le ragioni della necessità ed urgenza, dato che esamineremo la legge comunitaria tra un mese, e si tratta di una legge ordinaria, nella quale possono essere inserite queste problematiche con calma.
Non si dovrebbe fare quello che ha fatto il Governo, che non ha presentato questo emendamento subito, ma l'altro ieri sera alle 20,00, e che, non contento della formulazione, l'ha corretto - evidentemente qualcuno che ci capisce, non voglio dire Confalonieri, ha detto che bisognava un po' correggerlo - e ci ha costretto nel giro di poche ore a presentare dei subemendamenti.
Stiamo lavorando, quindi, in una maniera frenetica su un testo sul quale nella scorsa legislatura l'opposizione di allora aveva chiesto alla maggioranza di discutere con calma, per poter presentare emendamenti. La Commissione ha lavorato per un anno intero su questo provvedimento che oggi ci si chiede di approvare in un giorno.
A me hanno detto - può darsi che siano persone in malafede - che la ragione della caduta del titolo di Mediaset è proprio collegata all'infrazione europea. Voglio ricordare, per tranquillizzare il Parlamento, che quell'infrazione non è così urgente come lo sono tutte le altre presenti nel decreto «salva-infrazioni»: lo Stato italiano non sta pagando come per altre infrazioni; l'eventuale pagamento è di là da venire. Sappiamo che sotto osservazione è essenzialmente la struttura portante della legge Gasparri. Dice il Governo: di cosa vi preoccupate, noi stiamo disciplinando il digitale, il futuro, Retequattro è roba del passato, riguarda l'analogico, siete caduti in un equivoco! Si dà il caso - gli esperti lo sanno molto bene - che la struttura portante tra digitale e analogico è tale da riconoscere un legame strettissimo tra queste due momenti; per come è stata concepita la legge Gasparri dall'uno nasce l'altro. Tutti coloro che sono intervenuti hanno sottolineato che questo non è il modo per rispondere all'infrazione europea, ovvero che si fornisce una risposta contraria ai principi della Corte di giustizia: si dice di aver fretta, ma si dà un'attuazione contraddittoria, sbagliata e antieuropea.
Tornando al problema dell'urgenza, affermano queste persone informate di economia - io non lo sono, ho letto solo i bollettini dell'andamento del titolo - che da quando è aperta questa procedura d'infrazione gli investitori sono più prudenti ad investire su qualcosa che potrebbe perdere valore per effetto della conclusione della procedura stessa. Si tratta di un'ipotesi, ma il titolo sta cadendo: se così fosse, non si tratterebbe di un'esigenza politico-parlamentare. È inutile, quindi, che chiediamo al Governo di farsi carico del nostro fair play e di parlarne con calma tra quindici giorni, tra un mese: è già un segnale ai mercati dire che esiste un decreto-legge che sta modificando sostanzialmente la normativa nel senso sbagliato - secondo il mio punto di vista - ma che certamente potrebbe rafforzare il titolo.
Non è un problema parlamentare: ne stiamo discutendo in Parlamento, ma è un problema che riguarda i mercati, il titolo. Su questo aspetto vi è necessità ed urgenza, perché il titolo sta cadendo. Dunque, non hanno la possibilità di disporre: è inutile, quindi, chiedere di ritirarlo - il buonsenso avrebbe suggerito di discuterlo Pag. 20tra un mese, con calma - perché il segnale che si vuole dare va in un'altra direzione.
Tuttavia voglio fare un avvertimento. So benissimo che in questa sede si può discutere dell'ammissibilità delle proposte emendative presentate e il Presidente Fini ha dichiarato ammissibile la proposta in questione. Ma facciamo attenzione perché da un po' di tempo a questa parte - voi lo sapete - la nostra Corte costituzionale si è un po' «stufata» di una disinvolta dichiarazione di urgenza riguardo a provvedimenti che non presentano urgenza. La Corte - state bene attenti - ha affermato che, anche se il decreto-legge nel suo complesso può rispondere ai requisiti di necessità ed urgenza, non è escluso che singole sue parti derivanti da singoli emendamenti (ecco gli emendamenti che non possono essere ad personam) possano non essere rispondenti a questo criterio. La Corte ha dichiarato illegittime singole norme di leggi approvate dal Parlamento perché non rispondenti al requisito di necessità ed urgenza. Allora questo aspetto deve preoccupare perché noi stiamo dando una risoluzione sbagliata ad una procedura di infrazione e peggioriamo le cose - come voi avete detto molto bene - ma rischiamo di rispondere ad una necessità ed urgenza che diventa tale per effetto dei listini di borsa.
È questa la cosa che mi preoccupa e credo che la Corte costituzionale non sia ancora arrivata al punto di considerare i listini di borsa elemento tale da giustificare la necessità ed urgenza. Quindi invito - non so se invitare il Parlamento - chi ha ispirato questa norma e chi ha costretto il Parlamento ad iniziare i suoi lavori in questo modo a desistere; credo che noi faremo una opposizione durissima e che naturalmente guarderemo d'ora in poi - almeno io vi presterò attenzione - l'andamento del titolo e l'andamento della discussione in Parlamento, perché forse questo è un elemento istruttivo di cui tener conto (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori e di deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Costantini. Ne ha facoltà.

CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, non condivido le considerazioni di chi, a sua volta, ha aderito alla valutazione del Presidente, che ha dichiarato ammissibile la proposta emendativa che stiamo discutendo. A mio parere, questa proposta è inammissibile, incompleta e parziale. La proposta emendativa presentata dal Governo per essere completa e valutabile dall'Assemblea avrebbe dovuto estendersi anche al titolo della legge. Stiamo infatti valutando un provvedimento che è definito testualmente come un decreto-legge recante disposizioni urgenti per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, e francamente non comprendo come in questo contesto possa votarsi, senza cambiare anche il titolo della legge, una proposta emendativa che certamente non tende a dare esecuzione ad una sentenza della Corte di giustizia, ma a violarla o quantomeno ad eluderla.
La Corte di giustizia delle comunità europee - lo dico per quanti lo avessero già dimenticato - ha dichiarato, il 31 gennaio di quest'anno, che l'applicazione in successione dei regimi transitori a favore delle reti esistenti ha avuto l'effetto di impedire l'accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze; questi regimi, sempre ad avviso della Corte di giustizia, hanno avuto l'effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori già attivi su questo mercato; le leggi succedutesi in Italia - prosegue la Corte dei giustizia - che hanno perpetuato un regime transitorio hanno avuto l'effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessione in tecnica analogica.
Questo è, in estrema sintesi, quello che ha dichiarato la Corte di giustizia europea il 31 gennaio di quest'anno, ed è anche quanto contestato con una sentenza che avevamo il dovere di recepire all'interno del provvedimento in esame, e si pone in Pag. 21questa direzione la proposta emendativa 8. 0100 dell'Italia dei Valori, a prima firma Antonio Di Pietro.
Invece, cosa fa il Governo per superare le contestazioni della Corte di giustizia, in particolare quella relativa alla continua perpetuazione di un regime transitorio? Che cosa fa il Governo? Il Governo fa tre cose. Presenta una proposta emendativa per perpetuare ulteriormente un regime transitorio, che dura ormai da decenni, con l'esclusiva finalità di avvantaggiare alcuni a danno di altri.
Ieri ho ascoltato i telegiornali e anche oggi ho letto gli organi di informazione: c'è una confusione drammatica e si fa fatica a far comprendere ai cittadini qual è il cuore del problema. Il problema è straordinariamente semplice. La Corte di giustizia ha contestato all'Italia l'illegittima perpetuazione di un regime transitorio che di fatto consente da anni, da un decennio e da più di un decennio, ad un'emittente televisiva di occupare abusivamente una concessione di competenza di un'altra emittente televisiva.
Che cosa fa il Governo per superare la contestazione della perpetuazione abusiva di un regime transitorio? Presenta un articolo aggiuntivo che perpetua ulteriormente il regime transitorio. Leggo, in particolare, il capoverso dell'articolo aggiuntivo che determina questo effetto: «La prosecuzione nell'esercizio degli impianti di trasmissione è consentita a tutti i soggetti che ne hanno titolo, anche ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, fino alla scadenza del termine previsto dalla legge per la conversione definitiva delle trasmissioni televisive in tecnica digitale (...)». Quindi, un'ulteriore proroga, un'ulteriore perpetuazione di un regime transitorio che dura ormai da oltre un decennio. Ma il Governo non fa soltanto questo, non presenta soltanto un articolo aggiuntivo che si pone in contrasto evidente con la sentenza della Corte di giustizia. Lo fa in una sede legislativa - quella in cui ci troviamo - destinata a dare esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia, non certo a eluderle o a violarle. Il Governo lo fa - circostanza ancor più grave ma ormai nota a tutti i cittadini italiani - con un articolo aggiuntivo direttamente riconducibile ad una persona che, grazie ad esso, salverà ancora per qualche anno una propria rete televisiva, scaricando però sui contribuenti italiani le pesantissime conseguenze che ne deriveranno, sia sul piano delle sanzioni da parte dell'Unione europea sia sul piano del risarcimento dei danni a favore del concessionario, espropriato da ormai dieci anni del proprio diritto di trasmettere sul segnale analogico. Mi riferisco ad Europa 7.
Il fatto che a Mediaset ed al suo capo non interessino affatto le sanzioni e i danni che i contribuenti italiani dovranno pagare non sono io a dirlo in questo momento, ma lo hanno dichiarato loro, lo ha dichiarato Mediaset all'indomani della sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee. Sentite cosa dichiara Mediaset il 31 gennaio di quest'anno, all'indomani della pubblicazione della sentenza della Corte di giustizia. Riporto alla lettera le dichiarazioni di Mediaset: «Nessun rischio per Retequattro. La sentenza non può comportare alcuna conseguenza sull'utilizzo delle frequenze nella disponibilità delle reti Mediaset. Il giudizio e la sentenza - prosegue Mediaset in questa sua dichiarazione del 31 gennaio - riguardano infatti solo una domanda di risarcimento danni avanzata contro lo Stato italiano», della quale evidentemente a Mediaset e al suo capo non importa nulla, perché tanto pagano i cittadini e i contribuenti italiani, «e non può concludersi con pronunce relative all'uso delle frequenze».
Vale a dire che per Mediaset questo procedimento di infrazione e la sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee non producono nessun effetto sul piano diretto, perché gli effetti negativi di questa sentenza, sul piano dei risarcimenti dei danni a Europa 7 e sul piano delle sanzioni che l'Unione europea applicherà nei confronti dello Stato, sono questioni che interessano i contribuenti italiani e non gli azionisti di Mediaset. Quindi, Mediaset e il suo titolare, più o meno occulto, Pag. 22sanno perfettamente - poiché lo hanno dichiarato, forse involontariamente, il 31 gennaio - di aver condannato, con il loro comportamento, lo Stato e i cittadini italiani ad un risarcimento dei danni milionario a favore di Europa 7. Al tempo stesso, dichiarano apertamente di infischiarsene rispetto al loro personale interesse a proseguire nell'uso di frequenze che non gli competono e che da dieci anni occupano abusivamente.
In questo mi ricollego perfettamente e condivido pienamente l'intervento del collega Zaccaria che mi ha preceduto: questa non è una discussione che dovrebbe svolgersi in ambito parlamentare ma dovrebbe svolgersi nell'ambito di un'assemblea degli azionisti di Mediaset. Infatti le decisioni che andiamo ad assumere, la proposta emendativa stimolata dal Governo, tende esclusivamente a risolvere problemi interni all'azienda Mediaset, che non hanno nessuna attinenza con gli interessi generali del Paese e con i rapporti corretti che l'Italia deve conservare con l'Unione europea rispetto alle sue direttive e alle sentenze della stessa Corte di giustizia. Ma come si arriva a questo momento? Quando inizia la vicenda Europa 7, quali sono gli eventi che hanno caratterizzato questi dieci anni?
La vicenda Europa 7 nasce nel luglio del 1999, quando Europa 7 ottiene dallo Stato italiano la concessione per una rete nazionale. Il Governo di centrosinistra di allora, però, non le assegna le frequenze per iniziare a trasmettere, ma a Retequattro non dà la concessione. Ciò nonostante, il Ministero delle comunicazioni, sempre nel 1999, contravvenendo al risultato della gara pubblica, permette la prosecuzione delle trasmissioni analogiche da parte delle reti eccedenti (mi riferisco a Retequattro e a Telepiù). In una nota del 22 dicembre del 1999, il Ministero si impegnava comunque con Europa 7, affinché in breve tempo si arrivasse, di concerto con l'Autorità, alla definizione del programma di adeguamento al piano di assegnazione delle frequenze. A seguito di un ricorso al TAR da parte di Europa 7, in relazione a tale nota, con la sentenza n. 9325 del 2004, si è affermato che il Ministero avrebbe dovuto assegnare subito le frequenze, una volta deciso, in base all'esito della gara, di assegnare la concessione.
Nel novembre 2002, alla Corte costituzionale fu chiesto di valutare la costituzionalità dell'articolo 3 della legge 249 del 1997, che permette, a chi ha un numero di reti superiore al 20 per cento massimo previsto, di prorogare le trasmissioni in analogico, a patto che a queste si inizino ad affiancare le trasmissioni via satellite o via cavo, fino ad un termine che doveva essere deciso dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. La Corte costituzionale, con la famosa sentenza n. 466 del 2002, confermò, come già avvenne nel 1994, che nessun privato può possedere più del 20 per cento delle frequenze televisive e le reti eccedenti dovevano cessare la trasmissione in via analogica terrestre, riprendendo così una decisione già assunta nel 1994. Sempre la Corte costituzionale ritenne incostituzionale il comma 7, secondo cui il periodo di proroga non era fissato dalla legge, ma la sua decisione era demandata all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
La stessa Corte costituzionale, come forse ricorderete, fissò un limite improrogabile entro il 31 dicembre 2003, per il passaggio esclusivo al satellite o cavo, basandosi su una valutazione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che riteneva quella data sufficiente per trasferire tutte le trasmissioni di Retequattro e di Telepiù su mezzi digitali, senza ovviamente entrare specificamente nel caso della ricorrente Europa 7. È da sottolineare che la Corte costituzionale non era chiamata ad esprimersi sulla correttezza della gara di assegnazione delle concessioni nazionali, ma solo sull'incostituzionalità dei due articoli che permettevano la prosecuzione delle trasmissioni alle reti eccedenti.
Successivamente - probabilmente ricorderete anche questo aspetto - il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, rinviò la richiamata legge alle Camere. Nel messaggio di rinvio, il Presidente Ciampi fece esplicito riferimento sia Pag. 23alle problematiche relative alla pluralità dell'informazione, sia al concetto di un termine certo per il regime transitorio, introdotto proprio dalla sentenza n. 466 del 2002, che con la legge Gasparri sarebbe stato spostato di un anno e senza indicazioni certe su come operare nel caso in cui, a quella data, non si fosse raggiunta la pluralità indicata dalla Corte costituzionale. La legge Gasparri viene successivamente approvata nell'aprile 2004. Tra le questioni da essa contemplate ricordo la disciplina della fase di avvio delle trasmissioni televisive in tecnica digitale.
A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, la licenza di operatore di reti televisive è rilasciata, su domanda, dai soggetti che esercitano legittimamente l'attività di diffusione televisiva, in virtù di titolo concessorio, ovvero per il generale assentimento di cui al comma 1, qualora dimostrino di aver raggiunto una copertura non inferiore al 50 per cento della popolazione del bacino locale. Al fine di agevolare la conversione del sistema della tecnica analogica alla tecnica digitale, la diffusione dei programmi radiotelevisivi prosegue con l'esercizio degli impianti legittimamente in funzione alla data di entrata in vigore della presente legge (in buona sostanza, la stessa considerazione, gli stessi obiettivi, le stesse finalità perseguite con l'emendamento presentato ieri dal Governo). Il repertorio dei siti di cui al piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la diffusione radiotelevisiva resta utilizzabile ai fini della riallocazione degli impianti che superano o concorrono a superare in modo ricorrente i limiti e i valori stabiliti in attuazione dell'articolo 1 della legge n. 249 del 1997. Europa 7 fece nuovamente ricorso al TAR del Lazio, chiedendo di ottenere l'assegnazione delle frequenze e chiedendo un risarcimento per il danno subito dall'impossibilità di trasmettere (prima o poi, l'Italia e i contribuenti italiani dovranno fare i conti con questo risarcimento dei danni, evidentemente).
Il ricorso fu respinto il 16 settembre 2004 in quanto, pur avendo vinto la gara, Europa 7 non aveva un diritto soggettivo all'assegnazione delle frequenze. Dallo stesso TAR, nello stesso giorno, fu invece accettato il ricorso contro la nota del Ministero delle comunicazioni del 22 dicembre 1999, sostenendo, appunto, che il Ministero stesso nel 1999 doveva assegnare le frequenze una volta avuto l'esito della gara.
Nel luglio 2005 il Consiglio di Stato, dopo un ennesimo ricorso di Europa 7 contro la sentenza del TAR, chiese alla Corte di giustizia delle Comunità europee di riscontrare dieci quesiti - all'interno dei quali fu messo in discussione il quadro legislativo - ed una richiesta del risarcimento dei danni da parte dello Stato di 3 miliardi di euro per la mancata attività televisiva.
Il 30 novembre 2006 si è tenuta l'udienza dinanzi alla Corte di giustizia delle comunità europee, durante la quale l'Avvocatura dello Stato ha difeso la legge Gasparri e ha sostenuto le posizioni precedentemente espresse nella memoria difensiva del precedente Governo. La sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee, inizialmente prevista per il maggio 2007, è stata più volte rinviata.
Il 31 gennaio la Corte di giustizia delle comunità europee ha emesso la sentenza sul ricorso ed ha sostanzialmente dichiarato che l'articolo 49 CE e, a decorrere dal momento della loro applicabilità, l'articolo 9, n. 1, della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 (che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica), gli articoli 5, n. 2, secondo comma, e 7, n. 3, della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 (relativa alle autorizzazioni per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica), nonché l'articolo 4 della direttiva 2002/77/CE della Commissione del 16 settembre 2002 (relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica) devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduca a che un operatore titolare di una concessione si Pag. 24trovi nell'impossibilità di trasmettere, in mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti e discriminatori.
In conclusione, non si contano, quindi, le sentenze del TAR, del Consiglio di Stato, della Corte costituzionale e della Corte di giustizia delle Comunità europee che, nel decennio, hanno dato torto allo Stato italiano e ragione ad Europa 7, così come non si possono quantificare ragionevolmente i danni che gli italiani pagheranno pur di consentire a Retequattro di continuare a trasmettere in analogico, sia per le sanzioni, sia per danni subiti dal concessionario.
Cosa fa il Governo in questo contesto? Presenta una proposta emendativa non per recepire il dispositivo della sentenza della Corte di giustizia, ma per eludere e rinviare di nuovo. Noi non ci stiamo! Rispetto alle considerazioni buoniste che ho ascoltato da parte di alcuni colleghi di opposizione, i quali rinviano l'approfondimento ad un'eventuale disponibilità ad altre sedi, noi non ci stiamo oggi, né ci staremo domani, né in questa sede, né in nessun'altra sede! Non ci stiamo e ci auguriamo che non ci stiano neanche alcune forze politiche del centrodestra, quelle forze politiche che hanno fatto campagna elettorale investendo nel rapporto di fiducia con gli elettori sul piano della legalità e che hanno consentito che, l'altro ieri, non fosse inserito nel «pacchetto sicurezza» l'emendamento per il patteggiamento allargato...

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, deve concludere.

CARLO COSTANTINI. Da quelle forze politiche, interne al centrodestra, ci aspettiamo un sussulto di dignità (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico)!

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 11,05).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 6)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, colgo l'occasione di salutare lei e gli altri Vicepresidenti che, in queste giornate, presiedono per la prima volta. Rivolgo, dunque, i miei complimenti a lei e agli altri Vicepresidenti.
Stranamente, vorrei partire non dai problemi che possono aver riguardato il professor Rovati o il professor Confalonieri. Tale questione, francamente, a me personalmente non interessa; può interessarmi o meno seguire l'andamento dei titoli, e quando li ho seguiti, negli ultimi dieci anni, ho visto tante cose strane; sono problemi che riguardano, certamente, l'opinione o l'interesse personale e forse dovrebbero interessare un po' di più l'opinione pubblica e l'interesse pubblico alla cui tutela è preposto un organismo indipendente che si chiama Consob, ma si tratta di un altro capitolo che non stiamo, certamente, approfondendo oggi.
Mi spiace dirlo a un collega con cui ho condiviso anche opinioni in questi ultimi dodici anni, l'attuale Ministro dei rapporti col Parlamento, l'onorevole Vito, a cui faccio gli auguri di una buona attività parlamentare, ma mi interessa far presente al Governo che questo decreto-legge è uno stravagante decreto di attuazione della legge comunitaria. Partiamo dalla proposta emendativa 8.02 che introduce il comma 2-bis all'articolo 1 della legge n. 157 del 1992, ad esempio, laddove si dice che si devono adeguare, senza oneri per lo Stato, le diverse popolazioni della Pag. 25fauna selvatica (mi fermo qui) anche tenendo conto delle esigenze ricreative: possiamo pensare di aver portato all'attenzione del Parlamento con urgenza un articolo aggiuntivo che, tra le altre cose, impegna il Governo ad adeguare le «forme ricreative» della fauna selvatica? Ma per cortesia! È stravagante e mi fermo qua perché spero che altri colleghi facciano notare alcuni altri aspetti del comma 2-bis, quali l'adeguamento «culturale» delle varie popolazioni di uccelli e rondini per il nostro territorio.
Mi sembra interessante anche notare (se vi è qualche esponente della maggioranza e del Governo che voglia prestare un minimo di attenzione) come i subemendamenti 0.8.012.1 e 0.8.012.4 all'articolo aggiuntivo 8. 012 siano altrettanto stravaganti. Nello scorcio di legislatura degli ultimi due anni abbiamo condiviso più volte - spesso con una certa intensità - con le altre opposizioni e anche con la maggioranza la preoccupazione di rivedere complessivamente il tema delle concessioni del comparto stradale e infrastrutturale del nostro Paese; abbiamo condiviso l'esigenza di rivedere organicamente il tema, sebbene certamente si partisse dalla preoccupazione e dall'emergenza rappresentata dalla possibilità di acquisto da parte di una grande società spagnola di tutte le autostrade italiane. Si è trattato però di un tema di cui il Parlamento, al di là dell'emergenza, si era preoccupato e si è anche svolta una riflessione opportuna e approfondita nelle Commissioni competenti su come iniziare una revisione complessiva e un riordinamento della legge sull'ANAS.
Ci troviamo ora di fronte a due emendamenti dignitosi, ma stravaganti, rispetto a quello che abbiamo discusso non otto anni fa, ma solo qualche mese fa! A questi due emendamenti (tra i tanti che se ne potrebbero citare) che ho voluto definire stravaganti (simpatici, se solo fossero provvedimenti che riguardano la necessità e l'urgenza di applicare la legge comunitaria) si aggiunge poi la «scoperta del tesoro» fatta qualche ora fa dell'articolo aggiuntivo su cui molti colleghi, anche del mio gruppo (a partire dal nostro capogruppo), hanno già esposto la posizione.
Anche rispetto a tale materia voglio dire - senza voler offendere nessuno, anzi partendo dalla mia perfetta buona fede e dalla condivisione che molti hanno espresso in questo Parlamento una settimana fa davanti alla elaborazione delle linee programmatiche del Presidente del Consiglio - che mi è piaciuta l'idea del Governo di ritirare dal provvedimento sulla sicurezza quello che era stato battezzato dai giornali - non dal sottoscritto - come l'emendamento «salva Mills». Mi piacerebbe che il Governo prendesse atto nel merito - e non nella polemica - della discussione e di alcune riflessioni che sono state svolte in quest'Aula e ritirasse quello che può apparire, in buona o in cattiva fede, un articolo aggiuntivo che va nella direzione di un'azienda importante (uso le parole del presidente D'Alema di qualche mese fa) per il futuro del Paese.
Mi sembra che questa parte della proposta emendativa non soltanto affronti esclusivamente l'aspetto meno rilevante delle contestazioni svolte dalla Commissione nella nota procedura di infrazione, ma che addirittura possa introdurre disposizioni che, dal punto di vista della normativa comunitaria, determinino dubbi di legittimità, in quanto parzialmente contrarie anche alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 31 gennaio scorso.
Ne consegue che, attraverso un procedimento parlamentare assolutamente inadeguato, si vorrebbe pervenire all'approvazione di disposizioni in contrasto con quella sentenza di cui abbiamo citato per esteso la nota indicativa.
Come dice la Corte costituzionale disposizioni interne e contrastanti con il diritto comunitario devono essere disapplicate e, quindi, sappiamo già ora - o almeno abbiamo il dubbio - che una parte di queste disposizioni sarà disapplicata anche per un ulteriore probabile pronunciamento da parte della stessa Corte italiana.
In particolar modo, il comma 3 dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo, Pag. 26nella parte in cui dispone che la prosecuzione degli impianti di trasmissione è consentita a tutti i soggetti che ne hanno titolo, anche ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (anche quei soggetti che hanno operato e continuano ad operare in forza di regimi transitori introdotti dalla «legge Maccanico», dal decreto-legge «salva reti», dalla cosiddetta legge Gasparri), si pone certamente in contrasto con la citata sentenza della Corte di giustizia europea. In molti passaggi di tale sentenza si dice di procedere, invece, ad una rivisitazione e ad un adeguamento.
Francamente non riusciamo a capire come l'articolo aggiuntivo 8.015 possa risolvere definitivamente un problema, evitando di incorrere nell'infrazione del divieto, senza rispettare l'invito rivolto dalla Corte di giustizia europea al nostro Paese.
Vedete, penso che sia utile che sia attribuito più spazio possibile alle televisioni italiane; che ci sia spazio per Rete quattro, per Europa 7 e per chiunque altro voglia portare, in un regime libero, la propria comunicazione e il proprio giudizio attraverso l'etere. È per tale motivo che avremmo dovuto, non attraverso un articolo aggiuntivo - che non riveste, tra l'altro, un carattere di urgenza straordinaria -, ma attraverso una rivisitazione di quella normativa, con calma, magari tra un mese, produrre invece una soluzione che portasse, appunto, all'appianamento delle problematiche e allo sviluppo delle possibilità e non ad un tentativo di sistemare una vicenda importante, ma parziale, nel contesto di cui stiamo discutendo.
Francamente anche il comma 4 dell'articolo aggiuntivo del Governo mi sembra totalmente inadeguato a rispondere ai motivati rilievi della Commissione europea. Quest'ultima ha infatti constatato che l'attuale disciplina italiana attribuisce agli operatori già operanti la possibilità di convertire in digitale un numero di reti addirittura superiore a quello delle loro reti analogiche attuali. In tal modo si consente ai suddetti operatori di trovarsi - cito - «in una situazione migliore sotto il profilo della concorrenza rispetto a prima del passaggio alla nuova tecnica» e permettendo loro «di convertire tutte le reti analogiche in reti digitali comprese le reti per le quali non era stata loro accordata una concessione analogica», come avviene per alcuni gruppi importanti del nostro Paese.
L'articolo aggiuntivo 8.015 mi sembra non soddisfi la RAI: perché no? Vogliamo discuterne? Lei, sottosegretario Romani, ha svolto un'interessante riflessione da me personalmente condivisa anche sul tema del canone della RAI. Discutiamone! Mi sembra - e mi affido non solo alla sua comprensione ed attenzione, ma forse anche al contributo che posso dare ad un'ulteriore riflessione da qui alla fine della discussione sul complesso degli emendamenti - che l'articolo aggiuntivo del Governo non soddisfi le richieste vincolanti della Commissione europea anche rispetto alla sentenza della Corte di giustizia sul caso di Europa 7, con la conseguenza probabile che, ancora per molti anni, l'attuale sistema transitorio analogico continuerà a riproporsi nei termini attuali, giudicati da tutti poco legittimi sul piano costituzionale ed ora anche sul piano comunitario.
Per questo motivo, la invito a una riflessione, onorevole e stimato sottosegretario Paolo Romani: affrontiamo in maniera più organica, più completa, se possibile, più adeguata, anche questo tema, oltre agli aspetti stravaganti di cui ho parlato prima, nella prossima legge comunitaria, che ha la possibilità di essere presentata in Parlamento nel giro di trenta giorni (non trenta mesi o trenta anni, ma trenta giorni); in tal modo, anche a seguito della discussione in corso sul complesso degli emendamenti e dei rilievi che emergeranno nel prosieguo del dibattito, si potranno espungere dal provvedimento gli aspetti più stravaganti, quali la ricreazione per gli uccelli migratori.
La invito ad affrontare organicamente una questione condivisa che ha interessato il Parlamento e le Commissioni in questi anni, ossia la rivisitazione organica del problema concessorio e forse - ritengo Pag. 27anche questo francamente importante come gli altri due temi, meno stravagante, ma altrettanto importante - a rivedere l'aspetto che ha interessato la Corte di giustizia delle Comunità europee, per evitare ciò che tutti vogliamo evitare (anche questo partito, che è stato una spina nel fianco nella discussione sulla legge Gasparri e che ha detto in Aula, da quei banchi lassù, che c'erano dei problemi di costituzionalità). Eravamo talmente una spina nel fianco che abbiamo poi dovuto accogliere i rilievi da parte del Capo dello Stato, dopo che si era fatto finta di non ascoltarli!
Spero che anche questi rilievi, positivi e propositivi, incontrino la sua buona fede e possano essere accolti nella direzione auspicata. Diversamente, onorevole Romani, onorevoli membri del Governo, saremo costretti questa volta a votare contro (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onore Donadi. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, in questo primo scorcio di legislatura si è molto parlato di un modo nuovo di intendere la politica, di un modo nuovo di approcciarsi tra le due coalizioni. Ci tengo ad utilizzare anche questa occasione per rivolgere agli amici e ai colleghi del Partito Democratico quello che non è un formale, ma è un reale e sentito apprezzamento per un grande atto di coerenza da parte loro (non era possibile agire diversamente, lo capisco, me ne rendo conto, dopo i mesi trascorsi): abbattere i toni del confronto politico per la necessità dei cittadini, che avvertono il disperato bisogno di un Paese normale, ossia un Paese dove le parti politiche dialoghino fra di loro, dove vi sia un confronto sempre e comunque mirato all'interesse del Paese, senza dare quella sensazione, troppe volte sgradevole, troppe volte inconsulta, di bande che si contrappongono urlando, in modo talmente forte che alla fine si perde il senso stesso dei concetti che si urlano.
Questo è un richiamo, come vi dicevo, sincero. Il fatto che noi fino ad ora ci siamo opposti, negando disponibilità a questo dialogo, non era una scelta di un'opposizione intransigente a prescindere, ma era la volontà di rimarcare - e lo vogliamo ugualmente fare qui oggi - un valore del quale ho appena parlato, non meno importante, che è quello della normalità, il valore di un Paese normale.
Nel concetto della normalità, che è più ampio di quello del dialogo, è incluso anche quest'ultimo, perché in un Paese normale è normale che i soggetti politici si confrontino, che vi siano delle basi di valori che siano anche ampiamente condivise. Il dialogo è alla fine l'inevitabile conseguenza di un Paese normale. Quello che non abbiamo capito e che ancora oggi continuiamo a non comprendere è il fatto che questo Paese continua a non essere normale; un dialogo, in un Paese non normale, rischia di perdere i valori di riferimento etici, di ideali condivisi, di comune visione di un progetto per il Paese, in mancanza dei quali vi è il rischio che il dialogo sia sterile o che comunque sia avvertito tale dalla gran parte dei cittadini, come un confronto - se non interessato, cosa che senz'altro non riguarda nessuno dei partiti dell'opposizione - che non porta ad obiettivi e a valori condivisi.
E il riscontro che questo non è un Paese normale - se a qualcuno serviva - credo lo abbiamo avuto in questi giorni. Non è, infatti, passata neppure una settimana da quando il Governo ha iniziato a presentare in quest'Aula i suoi primi provvedimenti legislativi, e ci siamo già trovati di fronte a due provvedimenti in ognuno dei quali era stata inserita una norma che, nella migliore delle ipotesi, nulla aveva a che vedere con i provvedimenti medesimi o con gli interessi del Paese, e molto sembrava invece avere a che fare - saremo come sempre i maliziosi e i bastian contrari di questo Parlamento - con gli interessi personali del Presidente del Consiglio in materia giudiziaria o economica (o in un altro dei suoi molti e vasti settori di interesse).Pag. 28
Questo non è un Paese normale e non potrà mai esserlo - per quanto noi ci sforziamo e fingiamo nei nostri tentativi di dialogo e per quanto vi sia un confronto tra maggioranza ed opposizione - finché il Presidente del Consiglio sarà il portatore del più grande conflitto di interessi che esiste non solo in Europa, ma nel mondo intero, fra chi detiene il potere politico e chi detiene il potere economico (dimentico sempre di ricordare che vi è, in realtà, una situazione analoga - mi pare - in Tailandia: ma non credo che sia un paragone dal quale il nostro Paese esce nobilitato). Non sarà mai un Paese normale finché vi continuerà ad essere un interesse privato e personale del Presidente del Consiglio nell'esercizio della giustizia e nelle norme che ne consentono l'amministrazione. E non sarà mai un Paese normale finché non diremo una cosa chiara e semplice: che non vi è norma sul conflitto di interessi che tenga. In un Paese democratico, occorre infatti sancire un unico valore che deve essere la barriera e l'argine sul quale la democrazia si difende: quello per cui l'unica soluzione a questo problema è l'incompatibilità assoluta, piena e non derogabile fra chi è proprietario di media - chi è, cioè, proprietario dei mezzi attraverso i quali le opinioni, il consenso e i sentimenti più profondi di un popolo si formano - e chi è chiamato ad amministrare, nel nome di quel popolo, il potere politico e amministrativo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
E, in proposito, ricordiamo - poiché altrimenti faremmo un lavoro di parte - che non dobbiamo combattere il conflitto di interessi, ma i conflitti di interessi. Non è, infatti, consentendo la nascita, all'ombra degli ulivi o in generale della coalizione di centrosinistra, di conflitti di interessi magari più piccoli, ma comunque eguali nella loro natura e struttura - non faccio nomi e cognomi, ma mi riferisco chiaramente a quanto sta accadendo in Sardegna - che ci potremo mettere la coscienza a posto.
Credo, dunque, che dobbiamo contrastare quanto sta accadendo in questi giorni, poiché siamo di fronte ad una deriva che ha come suo punto d'arrivo un fenomeno che mette in discussione le regole stesse della democrazia: la privatizzazione della politica. Una privatizzazione che francamente vediamo con sconcerto dietro taluni atti e scelte del Governo in questi giorni. Quando, infatti, ci troviamo di fronte ad un «pacchetto sicurezza» che viene scritto non dal Ministro della giustizia, ma dall'avvocato del Presidente del Consiglio, non possiamo non chiederci: dov'è il Ministro della giustizia? Anche oggi, in quest'Aula, mentre discutiamo di norme fondamentali, dov'è il Ministro della giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)?
Certo, è vero che è una cosa buona che, in questo Paese, un uomo politico scelga una politica di basso profilo: ma il basso profilo non può significare scomparsa! Non vorrei che la prima trasmissione nella quale vedremo il Ministro della giustizia sia «Chi l'ha visto?»; vorremmo, invece, vederlo in queste aule, vorremmo sentire cosa pensa del «pacchetto giustizia» che è stato presentato, cosa pensava del patteggiamento allargato che qualche manina, frettolosamente colta nel barattolo della marmellata, ha poi pensato di far scomparire.
Speriamo che la manina ricompaia di nuovo perché il Ministero delle telecomunicazioni non esiste più ma abbiamo già capito, da Cannes, chi è di fatto il nuovo Ministro delle telecomunicazioni, quel Confalonieri che detta la linea del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori) e stabilisce quali provvedimenti vadano bene e quali no.
E quando Confalonieri da Cannes è troppo occupato, ci pensano altri zelanti funzionari di Forza Italia o componenti del Governo ad arrivare lì dove mai nessuno prima aveva avuto il coraggio di giungere nella privatizzazione della gestione pubblica del servizio radiotelevisivo. E allora abbiamo il responsabile di Forza Italia che non solo compila le liste di proscrizione dei giornalisti che possono o no comparire nei programmi della televisione pubblica, ma addirittura arriva a quantificare le giornate in cui un giornalista può comparire in televisione, stabilendo Pag. 29se siano o meno troppe, se Saccà può restare al suo posto oppure deve andare via. Il capogruppo del principale partito o del principale gruppo della maggioranza (non so se sia effettivamente un partito, non si capisce, perché un giorno parla Alleanza Nazionale, un altro Forza Italia, un altro ancora il Popolo della Libertà), che si permette ciò che nessuno si era mai permesso prima nel Parlamento gettando al vento trent'anni di prassi istituzionale, il cui valore (vista la rilevanza) è quasi costituzionale, afferma: noi votare alla presidenza della vigilanza Rai un esponente di quell'opposizione che ci da tanto fastidio ogni giorno? Non siamo mica matti. Questa è l'idea che voi avete delle istituzioni, della democrazia, del pluralismo dell'informazione radiotelevisiva!
La rappresentazione di tutto ciò è l'articolo aggiuntivo presentato oggi dal Governo. Una proposta emendativa formulata in un contesto legislativo non adatto, che nulla ha a che fare con disegni di legge di conversione di vecchi decreti-legge del Governo precedente.
Si tratta di una misura che fate «passare» in modo strisciante, approfittando del fatto che non sono ancora state istituite le Commissioni permanenti; una misura che alla fine è stata solo esaminata, e sommariamente, da una Commissione speciale costituita ad hoc esclusivamente per l'esame di tali provvedimenti. Ciò fate approfittando ancora di quella luna di miele che avete con l'elettorato per cui fate apparire che risolvete il problema della «monnezza» la mattina e poi, per carità, anche se si legalizza una volta per tutte l'illegalità, l'abuso e la protervia di Retequattro non è così importante perché gli italiani sono contenti, appunto, che non vi è più la «monnezza» e non daranno peso più di tanto.
Non è così che si governa! Quale dialogo volete costruire su tali basi? Lo chiedo anche agli amici del Partito Democratico. Oggi insieme all'articolo aggiuntivo del Governo è all'esame anche il nostro, il quale molto semplicemente afferma che la Corte di giustizia europea ci accusa di aver compiuto una atto grave in Italia. Infatti, dal 1999 - caso unico al mondo - un signore, un imprenditore, ha vinto in una regolare gara d'appalto pubblico indetta dallo Stato per la concessione di alcune frequenze. Tale signore, sino ad oggi, ha speso 110 milioni di euro per tenere tale emittente televisiva pronta in ogni momento ad iniziare le trasmissioni. In quale Paese liberale, dopo dieci anni, questo signore non ha ancora la possibilità di mandare in onda una sola scena su frequenze che non gli sono mai state assegnate? Il Consiglio di Stato prima, la Corte costituzionale dopo, la Corte di giustizia europea ancora più tardi hanno detto che il sistema di assegnazione delle frequenze radiotelevisive italiane è illegale e contrasta con i più elementari principi di parità di accesso, di pluralismo e di libertà nell'informazione televisiva. Cosa ha fatto negli ultimi quindici anni Silvio Berlusconi per risolvere la questione? Ha firmato per primo, nel 2004, il famoso decreto «salva Retequattro» grazie al quale si è consentito di creare un regime transitorio che ancora oggi dura e che ha perpetuato tale illegalità.
Poi avete varato la cosiddetta legge Gasparri che ha praticamente diluito tutto in una sorta di brodo primordiale. Infatti, si afferma che il problema si risolverà da solo e che non è necessario risolverlo perché si scioglierà autonomamente allorché entrerà in vigore il digitale terrestre. Peccato che ad oggi le stime più ottimistiche dicono che prima del 2012 il digitale terrestre in Italia non sarà attivo e chi conosce la materia sa perfettamente che prima del 2015 in Italia il digitale terrestre non sarà la piattaforma dominante e principale per le comunicazioni radiotelevisive.
Oggi, di fronte alla Corte di giustizia europea, che afferma che quei due provvedimenti sono stati due schiaffi all'Europa, alla libertà e al principio del pluralismo dell'informazione radiotelevisiva, una pugnalata al diritto di un libero imprenditore italiano di avere a disposizione ciò che lo Stato gli ha concesso, il Governo risponde non chiedendo scusa per quella pugnalata, ma dandone una seconda e sostenendo che questo signore Pag. 30se lo può scordare, il proprio diritto, e che non avrà mai il diritto di trasmettere.
Infatti, chi ha già avuto, si tiene ciò che ha avuto e a chi non ha avuto forse conviene migrare se vuole fare il libero imprenditore, perché questo è il concetto di Stato liberale che ha in mente il Governo. È questo il concetto di Stato liberale che ha in mente Silvio Berlusconi, qualcosa che più che allo Stato liberale assomiglia allo Stato di natura: chi ha la forza di imporre le regole se le scrive addirittura e per chi soccombe, in questo Paese, non c'è spazio.
Mi verrebbe da citare il titolo di un film che di recente ha avuto successo, Non è un Paese per vecchi; questo è un Paese per i forti, per chi con l'arroganza, con la forza delle proprie televisioni, con la forza dei mezzi d'informazione riesce a costruirne giorno dopo giorno la coscienza.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO DONADI. E allora, nell'annunciare che Italia dei Valori non solo si opporrà al provvedimento in esame, formulo anche la richiesta agli amici e ai colleghi, non solo del Partito Democratico, ma anche dell'UdC, di considerare che oggi sarà posto in votazione non solo l'articolo aggiuntivo del Governo, ma anche un articolo aggiuntivo parallelo e contrario, proposto da Italia dei Valori, che sancisce e ribadisce il diritto di Europa 7 di trasmettere, una forzatura rispetto a questo disegno di legge, ma che non è nulla rispetto a quella operata dal Governo. Pertanto, chiediamo di votare insieme a noi a favore su quest'ultima proposta emendativa; ristabiliamo oggi un po' di libertà in questo Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gentiloni Silveri. Ne ha facoltà.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Signor Presidente, cercherò di rispondere a due domande. La prima, molto semplice, se l'articolo aggiuntivo del Governo sia in grado di rispondere alla procedura di infrazione europea, visto che con tanta sollecitudine il Governo ha deciso di scegliere questa, tra le oltre 200 procedure di infrazione europea che sono a questo stadio di avanzamento, e di fare proprio su questa un forcing, di presentare un articolo aggiuntivo e inserirlo nel «salva infrazioni» dove ci sono procedure che si trovano ad uno stadio molto più avanzato e di dare prova, per così dire, di «provetto europeismo».
L'altra domanda alla quale proverei a rispondere è quali sono i motivi politici di una sorta di irriducibilità che il Governo sembra dimostrare sulla questione, una sordità alle obiezioni, alle critiche, alle richieste di prendere una strada diversa da quella del decreto-legge in esame.
Sul primo tema la risposta è molto semplice e la consegno, forse abusando della pazienza dei colleghi, alla lettera di messa in mora dell'Unione europea, il documento attraverso il quale comincia la procedura di infrazione. Dice la lettera di messa in mora che la legislazione italiana non è conforme al principio di proporzionalità delle frequenze perché non limita il numero di frequenze delle aziende che attualmente fanno radiotelevisione allo stretto necessario per sostituire i programmi in tecnica analogica con i programmi digitali.
La normativa italiana, altresì, non va bene perché non obbliga queste stesse aziende a restituire le frequenze da esse attualmente utilizzate che si libereranno nella conversione al digitale.
Traduco per i non appassionati dal punto di vista tecnico. L'Unione europea dice che la televisione in Italia è un club a numero chiuso, ne fanno parte soltanto alcuni operatori; alcuni di questi operatori hanno dei titoli di occupazione delle frequenze di dubbia giuridicità e bisogna utilizzare la transizione dall'analogico al digitale per aprire questo club chiuso, per consentire di entrarvi a chi ha avuto le concessioni ma non ha le frequenze, come Europa 7, o a chi ha le concessioni ma ha pochissime frequenze, come altri operatori, o addirittura - udite udite - a dei Pag. 31nuovi entranti, cioè a dei nuovi imprenditori che vogliano entrare nel mercato televisivo, come accade in ogni Paese europeo. L'Unione europea sostiene che la nostra normativa, invece, esclude questa possibilità perché consente a chi attualmente detiene con titolo giuridico abbastanza dubbio le frequenze di conservarle e di trasformare dall'analogico in digitale tutto il patrimonio di frequenze che si è portato dietro.
Risponde a questa obiezione fondamentale della procedura di infrazione la proposta del Governo? Risponde l'articolo aggiuntivo proposto dal Governo ai quattordici rilievi di singole disposizioni della legge Gasparri che la procedura di infrazione muove? Risponde a due di questi quattordici rilievi, in pratica affronta una singola questione: si limita ad aprire anche ad altri operatori, perché la legge Gasparri aveva addirittura prescritto che anche la compravendita delle frequenze televisive la possono fare soltanto coloro i quali già esercitano l'attività televisiva - una specie di Comma 22: può fare televisione solo chi già fa televisione. Viene modificato questo punto dalla proposta del Governo: la compravendita può essere fatta anche da altri soggetti. L'Unione europea ci parla di una foresta, anzi di una giungla da modificare, il Governo prende un albero, questo della compravendita, e finge che rappresenti l'intera foresta.
Poi però, lo dico al collega sottosegretario Romani, «gli scappa un po' la frizione», perché non c'è solo il fatto che sui quattordici punti che l'Unione europea mette in discussione ne vengono corretti soltanto due, c'è anche il fatto che, nel correggere l'albero e lasciare intatta la foresta, ci sono due novità introdotte con questa proposta emendativa. La prima è che en passant si dice: le autorizzazioni generali che vengono concesse entro 60 giorni consentono comunque la prosecuzione della situazione attuale - siamo al secondo periodo del comma 3 - fino allo swicth off, fino al 2012, dell'esercizio attuale degli impianti.
Traduco anche qui per i non espertissimi; si autorizza la compravendita anche ad altri delle frequenze, ma si bloccano le frequenze esistenti in capo agli operatori che oggi le detengono. Non c'è niente da comprare e non c'è niente da vendere, il poco che c'era da comprare e da vendere - le frequenze che mettevano a disposizione del mercato le televisioni locali - è stato fatto negli anni scorsi e soltanto dai titolari del club a numero chiuso che hanno le concessioni (cioè RAI, Mediaset e poco altro), e adesso si congela questo titolo fino al 2012. Chi, quindi, ha le frequenze oggi, anche con titoli giuridici discutibili come Retequattro, le può avere fino al 2012.
Attenzione però, questa prosecuzione, così la definisce la proposta del Governo, ha anche un secondo effetto, perché nel frattempo l'Unione europea ha condannato questa volta l'Italia: il 31 gennaio scorso la Corte di giustizia europea ha dichiarato, in estrema sintesi, che tutta la nostra normativa sulle frequenze non è conforme alla normativa comunitaria. Ha rimandato la palla al Consiglio di Stato, il quale proprio in queste settimane sta decidendo come dare attuazione ad una sentenza della Corte di giustizia che ci mette fuorilegge per le frequenze televisive. Colleghi, con l'approvazione di questo decreto in queste settimane il Governo vorrebbe mettere anche il Consiglio di Stato di fronte ad un fatto compiuto.
Quindi, con il comma 3 si compie una piccolissima operazione: da un parte, si prevede il trading delle frequenze - tanto non c'è niente da comprare perché le frequenze restano a chi oggi le occupa, qualsiasi sia il titolo con il quale le occupa, fino al 2012 -; dall'altra parte, si dice al Consiglio di Stato: voi state per decidere come dare attuazione alla sentenza della Corte di giustizia europea, ma il Parlamento italiano, intanto, vi dice che la situazione attuale delle frequenze occupate con titoli dubbi, comunque è legittima e va proseguita; quindi, in qualche modo, si mettono le mani avanti sul Consiglio di Stato.
Inoltre, onorevole Romani, al Governo «è scappata la frizione» anche su un altro aspetto: quando si prevede che il futuro Pag. 32piano della transizione al digitale verrà attuato attraverso decreti del Ministro dello sviluppo economico, aventi natura non regolamentare - ossia che non passano attraverso il vaglio del Parlamento - si espropria, di fatto, la competenza che in questa materia è dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e si aggiunge a questo quadro un ulteriore elemento per noi allarmante. In sostanza, il Governo afferma: noi non rispondiamo alla procedura di infrazione se non per un «alberino» di quella «giungla», per quanto riguarda lo sblocco della compravendita di frequenze poniamo però le frequenze oggi già occupate al riparo dalla possibilità di compravendita, mettiamo un'ipoteca sulla pronuncia del Consiglio di Stato che è in corso e poi, come Governo, ci arroghiamo il diritto di decidere con atti di natura non regolamentare - che, quindi, non passano per il Parlamento - il prosieguo della transizione al digitale.
Colleghi, amici del Governo, non mi pare che la nostra forte contrarietà al provvedimento in esame sia da attribuire a ragioni ideologiche, particolari; è chiaro che si tratta di un provvedimento che, con il pretesto di rispondere ad una procedura di infrazione alla quale, invece, non risponde, di fatto, mette le brache a tutto il percorso di transizione della nostra televisione, congelando gli squilibri esistenti e impedendo i nuovi ingressi dei nuovi soggetti che hanno maturato diritti nel corso di questi anni.
Inoltre, vi è una seconda domanda alla quale vorrei provare a rispondere che è di natura più generale: ragioniamo insieme, colleghi, sul perché sia tanto irriducibile l'atteggiamento del Governo su una questione di questo genere. Ho affermato prima che le procedure di infrazione che sono a questo livello di avanzamento sono più di duecento e sarebbe normalissimo che a tale situazione noi rispondessimo insieme nel confronto parlamentare, nelle Commissioni, proseguendo la discussione, inserendola nel disegno di legge comunitaria; abbiamo tanti modi per dare una risposta meno autoritaria e più condivisa a questa obiezione! C'è un limite invalicabile al dialogo, al confronto civile, al «se po' fa'» pronunciato dall'onorevole Berlusconi in quest'Aula all'atto della presentazione del Governo, alla nuova stagione degli statisti? Non vorrei che questo limite invalicabile assomigliasse troppo a quei cartelli che recano la scritta: «proprietà privata», non vorrei che vi fosse un limite invalicabile, ossia quello oltre il quale tutti i discorsi sul confronto, sulla nuova stagione degli statisti, su un Parlamento chiamato a discutere e a migliorare i provvedimenti non valgono e si devono fermare perché oltre quel limite vale un altro concetto: affermare la legge della maggioranza senza alcuna discussione e non accettare le proposte di diverso contenuto che provengono da tutti i gruppi dell'opposizione. Mi auguro che non sia così e mi associo agli auspici espressi poco fa dai colleghi Volontè e Donadi. C'è un altro modo per affrontare la questione, un modo più consono non solo alla nuova stagione del dialogo, ma ad una normale dialettica parlamentare. Non si inserisce una materia di tale delicatezza, all'ultimo momento, in un disegno di legge di conversione di un decreto-legge che scade il giorno dopo.
Mi auguro che, su questa strada, il Governo rifletta. Farlo - e quindi scegliere un diverso modo per affrontare la questione - sarebbe, credo, un segnale utile e importante. Una cosa da parte nostra è certa: se qualcuno, in queste settimane, aveva interpretato la disponibilità al dialogo da parte del Partito Democratico - che confermiamo, perché è nell'interesse del Paese - come una sorta di moratoria dell'opposizione e di dimenticanza del fatto che vi sono molte questioni sulle quali la nostra opposizione sarà franca e severa, credo che si sia sbagliato. È bene che si ricreda presto, perché su materie come questa continueremo a fare opposizione nell'interesse del settore televisivo e anche del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Avverto che sono stati ritirati gli emendamenti a prima firma Pag. 33Cristaldi, nonché i subemendamenti a prima firma Stradella.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Anna Teresa Formisano. Ne ha facoltà.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, in tema di televisioni mi viene da pensare ad un vecchio ritornello di Carosello: in una pubblicità si diceva: «Siamo alle solite, Calimero». Chi ha la mia età ricorderà Carosello, che è stato raccolto da alcuni settimanali, in maniera egregia, in una collezione molto bella e interessante. Affermo tutto ciò per arrivare a parlare del decreto-legge «salva-infrazioni», che oggi discutiamo in Aula e che abbiamo esaminato per tre giorni in Commissione - chi vi parla fa parte del Comitato dei nove - laddove il dibattito era iniziato, in un clima di massima serenità e di massima collaborazione, partendo dal presupposto che si trattasse di decreti-legge, approvati dal precedente Governo, che, per una serie di indicazioni, dovevano essere convertiti in legge dal nuovo Parlamento.
Signor Presidente, vorrei soffermarmi brevemente sul comma 3 dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo, che riguarda il trading delle frequenze televisive: vi si afferma che il loro trasferimento è libero e che basta avere l'autorizzazione generale; si consente la prosecuzione nell'esercizio degli impianti di trasmissione a tutti i soggetti che ne hanno titolo. Stiamo riflettendo, sin da questa mattina, su una domanda (già da ieri, infatti, durante una riunione della Commissione appositamente costituita, si era capito che si tratta di un provvedimento che, tra le righe, contiene alcune misure inserite sicuramente in maniera non ortodossa): perché non affrontare in modo serio, corretto, sereno e obiettivo il dibattito su una tematica così importante?
Voglio anche ricordare - probabilmente qualcuno lo ha dimenticato - che spesso, nella scorsa legislatura, noi per primi abbiamo denunciato lo svuotamento del ruolo del Parlamento. Spesso si è denunciato, in quest'Aula, lo svilimento del ruolo del dibattito parlamentare. Non credo che, nel giro di due mesi, tutto ciò possa essere dimenticato.
Non comprendiamo l'urgenza di affrontare questo argomento, perché per noi l'urgenza in politica - quella con la «P» maiuscola - deve riguardare la tutela e il benessere dei cittadini, e non ci sembra che questa forzatura - chiamiamola così - sia a beneficio o a tutela dei cittadini italiani.
Dunque, ci chiediamo anche che fine ha fatto questa nuova stagione, tanto sbandierata, di dibattito politico, e quel dialogo che si era sbandierato ai quattro venti all'indomani delle elezioni. Se questo è l'inizio, francamente siamo preoccupati. Non abbiamo - lo ripeto - problemi nel merito e siamo pronti ad affrontare serenamente, senza alcuna forzatura e senza alcun pregiudizio, il dibattito odierno, tra un mese, tra quindici o venti giorni, quando il Governo deciderà di calendarizzare un argomento che non può essere liquidato con un emendamento ad un decreto-legge. Saremo pronti a dare il nostro contributo sereno e costruttivo su tematiche importanti, che riguardano tali questioni. Dunque, signor Presidente, vogliamo parlare di una questione di stile? Forse è una questione di stile, e forse non ci sembra questo lo stile adatto ad iniziare una legislatura, se al primo giorno di dibattito serio in Aula si rischia di fermare tutto per non si capisce cosa fare poi.
Si parla da giorni sulla stampa di un nuovo modo di fare politica: francamente, se questo è l'inizio, non lo vediamo. Signor Presidente, mi consenta un'osservazione conclusiva: forse sarebbe il caso - e l'invito lo rivolgo al Governo - di ascoltare i consigli di una componente importante della maggioranza di questo Governo. Sto parlando della Lega, perché questa mattina ho letto sulla stampa che la Lega invitava a fermarsi e a riflettere. Forse sarebbe il caso di ascoltare i saggi consigli della Lega in questa occasione (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

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PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, ho ascoltato con grande attenzione tutti gli interventi che mi hanno preceduto. Vi confesso che la materia è complessa e difficile. Ho sentito molte inesattezze, ma probabilmente queste inesattezze provengono anche dalla difficoltà di analisi di una problematica che ha riferimenti italiani, a normative europee, e via dicendo.
Faccio un tentativo - mi scuserete la lunghezza - di carattere esclusivamente tecnico - non entro nel merito delle tante valutazioni politiche che sono state svolte questa mattina - per fare un riassunto delle puntate precedenti e dei motivi che ci hanno portato alla presentazione di questo emendamento.
A metà del 2007, la Commissione europea, per conto del Commissario Kroes, ha emesso un parere motivato contestando alcune parti della normativa italiana sulle frequenze. In particolare, venivano messe in discussione la disciplina del titolo abilitativo della licenza, che non era conforme al regime europeo dell'autorizzazione generale, l'esclusiva dell'acquisizione delle frequenze, permessa unicamente agli operatori esistenti - provocando quindi una chiusura del mercato -, la non definizione di un limite temporale che introducesse il nuovo regime digitale, con la conclusione dell'esercizio degli impianti analogici e la conseguente restituzione delle frequenze non utilizzate.
Sulla base di tali contestazioni, di fronte all'inerzia del precedente Governo, già nel mese di ottobre scorso, il Commissario Kroes aveva annunciato l'imminente deferimento dello Stato italiano alla Corte di giustizia dell'Aja. Proprio per evitare tale deferimento il Governo in questa sede ha dunque inteso, in un appropriato e mirato strumento normativo, quale il decreto che intende evitare le infrazioni europee, introdurre quelle misure che diano risposta piena ai rilievi mossi dalla Commissione. L'articolo aggiuntivo, infatti, prevede, in misura circoscritta e riferita esclusivamente ai rilievi indicati: la trasformazione del titolo abilitativo da licenza ad autorizzazione per gli operatori di rete che agiscono solo nel campo del digitale (nulla quindi che riguardi l'analogico o altre situazioni pregresse); l'apertura a tutti i soggetti, e non solo agli attuali operatori, del mercato delle frequenze televisive digitali; l'introduzione di un termine, coincidente con il previsto switch-off del 2012, per la conclusione dell'esercizio degli attuali impianti (misura già contenuta nella normativa vigente per la scadenza di tutte le concessioni, che sono diverse dalla gestione degli impianti, e le autorizzazioni analogiche, senza dunque alcun intervento sullo status normativo oggi in vigore); la conferma che l'assegnazione delle frequenze digitali avverrà esplicitamente secondo criteri europei (equità, trasparenza e non discriminazione); la definizione di un programma per accelerare definitivamente l'introduzione del digitale terrestre, e dunque per attuare nel concreto tali misure di apertura del mercato. Questa è la natura delle norme.
Se volete ripercorrere il provvedimento, vi è da considerare innanzitutto il vettore: il decreto legge «salva-infrazioni» serve a porre rimedio a procedure di infrazione sollevate dalla Commissione europea per violazione di norme comunitarie. Siamo già al secondo step, al parere motivato della Commissione, e quindi mi sembrava obbligatorio per il Governo intervenire con un decreto.
Il testo non è di facile lettura. Quanto al comma 1 dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo, la Commissione, nel parere motivato, osserva: l'esistenza del regime di concessione delle licenze per le reti di radiodiffusione in tecnica digitale e la conseguente esclusione dei nuovi entranti del mercato non sono conformi alla direttiva «autorizzazioni» in base alla quale la fornitura di una rete di comunicazione elettronica deve essere assoggettata soltanto Pag. 35ad un'autorizzazione generale. La Commissione europea ci chiede di trasformare le licenze di coloro che gestiscono impianti digitali in autorizzazioni generali, e ciò, onorevole Gentiloni Silveri, è previsto dal comma 1 dell'articolo aggiuntivo, che fa riferimento alla «disciplina per l'attività di operatore di rete su frequenze terrestri in tecnica digitale». Non stiamo dunque parlando di impianti analogici, stiamo parlando di impianti esclusivamente digitali.
Quanto al comma 2 dell'articolo aggiuntivo, la Commissione europea ha affermato che l'esclusione di nuovi entranti dalla compravendita di frequenze non è proporzionata e va oltre quanto necessario per consentire il passaggio alla radiodiffusione in tecnica digitale da parte degli operatori analogici già esistenti. La Commissione, quindi, chiede di introdurre correttivi che garantiscano a tutti gli operatori di accedere alla compravendita delle frequenze, e ciò è previsto dal primo periodo del comma 2. Arriviamo al famoso secondo periodo, che in più di un intervento è stato citato, laddove si fa riferimento alla «prosecuzione nell'esercizio degli impianti di trasmissione». La Commissione europea, sempre nel parere motivato, afferma che il periodo di validità dell'applicazione della legge non può prolungarsi oltre un termine ragionevole chiaramente determinato. La Commissione chiede, quindi, la fissazione di un termine. Nel momento in cui si trasforma la licenza dell'operatore digitale in autorizzazione non si può non prevedere, visto che lo chiede la Commissione europea, un termine per gli impianti attualmente gestiti: pertanto nel secondo periodo del comma 2 si prevede il termine per la prosecuzione nell'esercizio degli impianti di trasmissione.
Voi avete spesso, in più di un'occasione, confuso - passatemi il termine - la gestione degli impianti, cioè l'attività degli impianti, con concessioni e autorizzazioni. Qui non si entra nel merito e non c'entra nulla Retequattro. I titoli abilitativi delle concessioni - facciamo l'esempio di Canale5 o RAI1 - o i titoli abilitativi in termini di autorizzazione di una rete - facciamo l'esempio di Retequattro, visto che in più di un'occasione è stata menzionata - non c'entrano nulla con questo secondo periodo, che si riferisce esclusivamente alla gestione degli impianti. Anzi è la stessa Commissione europea a chiedere un termine per questi impianti, e noi stabiliamo un termine. Quale termine ragionevolmente possiamo introdurre? Quello, già previsto, dello switch off del 2012, che il vostro Governo ha introdotto (noi avremmo preferito il termine del 2010).
Passo alla parte finale dell'intervento dell'onorevole Gentiloni Silveri, il quale afferma di trovare inquietante al comma 5 - tralascio il comma 4, che reca un adeguamento alla normativa europea della distribuzione delle frequenze - il fatto che il Ministero dello sviluppo economico, competente in materia di comunicazioni, preveda un calendario di accensione di aree digitali. Ebbene, dal momento che consideriamo molto lontano il termine del 2012 relativo allo switch off, riteniamo che non si possa arrivare allo switch off improvvisamente su tutto il territorio nazionale, ma - come già abbiamo fatto con l'esempio virtuoso della Sardegna e della Valle d'Aosta, da noi realizzato con il nostro precedente Governo e proseguito da voi con il Governo della scorsa legislatura - che si possa immaginare per il nostro Paese la determinazione di un calendario di aree digitali che, man mano nel tempo, vengano attivate fino alla scadenza conclusiva e finale dello switch off, nel 2012. Chi deve determinare quali possano essere le aree che si trasformano in aree digitali? Il Governo. Chi deve pianificare le frequenze? L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 12)

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Quindi si rispetta, anche in questo caso, la procedura già stabilita relativa alla titolarità Pag. 36della pianificazione delle frequenze e si riserva al Governo la possibilità di decidere: sono sorpreso che nessuno abbia sottolineato questo aspetto. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione il Governo sarà tenuto a delineare un calendario, in altre parole a rendere noto alle regioni, agli operatori e ai cittadini la data entro la quale una determinata regione sarà interessata a un provvedimento di digitalizzazione, in modo da preparare nei prossimi quattro anni tutti i meccanismi, sia di incentivo sia di attenzione, considerata la problematicità che comunque esiste nel passaggio dall'analogico al digitale.
È questo il senso complessivo del provvedimento, e non riesco a non condividerlo tecnicamente. Tutti le altre considerazioni, di carattere politico e di pregiudizio ideologico, francamente sono un argomento che non vorrei toccare in questo intervento, ma mi sembrano assolutamente anomale rispetto al contenuto della proposta emendativa in questione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Misto-Movimento per l'Autonomia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Meta. Ne ha facoltà.

MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, la nostra contrarietà a questo provvedimento e alla proposta emendativa del Governo è stata motivata sufficientemente dai colleghi dell'opposizione che mi hanno preceduto.
Siamo contrari, perché l'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo di fatto congela l'attuale assetto duopolistico del sistema radiotelevisivo, confermando il numero attuale di operatori di rete. La nostra opposizione deriva da due motivazioni, una di metodo e l'altra di merito. Per quanto riguarda il metodo, riteniamo profondamente sbagliato, ma anche dannoso per la nuova stagione che intendiamo intraprendere nel confronto parlamentare tra maggioranza e opposizione, percorrere - come state facendo voi - la via parlamentare a colpi di mano.
Questo sta avvenendo, ormai mi pare evidente, e non possiamo non sottolinearlo: mi riferisco allo scopo di tenere fede ossequiosamente agli interessi di parte, che francamente questa volta, all'inizio della legislatura, pensavamo fossero davvero messi da parte.
Ci siamo sbagliati. Purtroppo il sistema radiotelevisivo italiano vive da qualche decennio una deregulation, una sorta di far west che ha minato sempre di più la qualità dei contenuti e la possibilità di garantire un'offerta televisiva quanto più plurale ai cittadini.
L'etere italiano - come si dice - tra quelli europei è sicuramente quello utilizzato con maggiore confusione e minore efficienza: ciò costituisce certamente uno svantaggio innanzitutto per il sistema Paese. Il metodo che si sta qui utilizzando per porre rimedio alle storture della legge 3 maggio 2004 n. 112, che porta la firma dell'allora Ministro Gasparri, è del tutto sbagliato. L'avvio dell'attuale maggioranza è sinceramente pessimo, perché è una scelta unilaterale di rottura quella di inserire, a sorpresa, un articolo aggiuntivo ad un decreto-legge sugli obblighi comunitari che necessita, invero, di essere convertito ma che è stato condiviso e concordato dal Governo uscente e da quello entrante. Ha ragione Gentiloni: perché solo qui e perché si parte da qui? Sembra che l'unico obiettivo del Governo, stando alle dichiarazioni di ieri, sia quello di evitare - lo ricordava anche il sottosegretario Romani - sanzioni per l'Italia da parte dell'Unione europea.
Ma, a questo punto, bisogna ricordare a tutti che i rilievi dell'Unione europea sulla legge Gasparri non sono proprio recentissimi. Non è quindi una scoperta dell'altro ieri quella di un sistema radiotelevisivo imbrigliato e non in linea con gli standard europei. Nell'ottobre 2006, infatti, la Commissione di Bruxelles decise di aprire una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia. L'Unione europea contesta al nostro Paese innanzitutto di avere introdotto una legge, la Gasparri, che in sostanza rende impossibile l'ingresso di nuovi operatori nel settore televisivo durante il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale. La prima domanda Pag. 37che un osservatore astuto si farebbe è, dunque, come mai vi sia tutta questa urgenza di sanare un'infrazione, oggi. Durante la scorsa legislatura, dove eravate voi, quando noi sollecitavamo il Parlamento ad affrontare la riforma del sistema radiotelevisivo per dare al Paese una cornice normativa certa e in linea con le prescrizioni europee?
Nel luglio 2007 la Commissione ha dato un parere motivato sulla vicenda: secondo livello di procedimento - si diceva - che prelude al deferimento alla Corte di Lussemburgo oramai prossimo. È vero. Ma nel frattempo qualcosa è avvenuto. Ricordo ai colleghi che già nell'autunno 2006 il Governo Prodi licenzia il disegno di legge Gentiloni, di riforma del sistema radiotelevisivo, che si proponeva proprio di riparare alle storture della legge Gasparri. L'iter del provvedimento, in prima lettura in questo ramo del Parlamento, vide sin dall'inizio una forte pregiudiziale contrarietà della allora opposizione. Venivano mosse al Governo Prodi, al ministro Gentiloni e ai membri dell'allora maggioranza parlamentare accuse gratuite, spesso violente.
Si accusava la precedente maggioranza di avere intenti punitivi nel colpire Mediaset. Ma quel dispositivo, che vedeva allora l'opposizione erigere barricate a difesa di posizioni dominanti sul mercato, intendeva rispondere innanzitutto ai rilievi dell'Unione europea e della Corte costituzionale sul tema della mancanza del pluralismo e sul tema della poca trasparenza nell'accesso al mercato radiotelevisivo e a quello delle risorse. Si sa che in Francia, in Gran Bretagna e in altri Paesi lo Stato regola e governa questi processi, assegnando frequenze a gruppi privati o pubblici in competizione, senza tagliole all'ingresso per i nuovi operatori.
La legge Gasparri - vero passo indietro per il Paese - non ha consentito di sfruttare l'avvio del digitale terrestre per trovare nuovi investitori, necessari ad una maggiore concorrenza e pluralismo per un sistema in crisi di qualità e in crisi dal punto di vista dei contenuti. Si è preferito abbandonare da parte dello Stato il ruolo di regolatore a garanzia di parità di accesso, di trasparenza, di obiettività e di non discriminazione.
Abbiamo impiegato un anno - lo ricordo al collega Romani - per esaminare il testo Gentiloni nelle Commissioni riunite, convinti di dover dedicare il tempo necessario ad una sana e giusta riforma del sistema, per la quale era già stata avviata la procedura di infrazione da parte di Bruxelles. Il nostro obiettivo è e continua ad essere quello di diventare un normale e moderno Paese europeo, un mercato libero, dove possano competere una molteplicità di imprese editoriali e multimediali. Non si tratta di punire qualcuno, ma di liberare il nostro Paese e il sistema industriale da una «camicia di forza» che l'ha finora penalizzato.
Infatti, i tre obiettivi fondamentali - li voglio ricordare - dell'allora disegno di legge Gentiloni, che la scorsa maggioranza intendeva perseguire, erano l'apertura del mercato e delle risorse, il rispetto delle scadenze europee per la conversione definitiva dall'analogico al digitale terrestre (il famoso switch off del 2012, appunto) e, soprattutto, evitare di trasferire l'attuale assetto duopolistico dall'analogico anche al digitale terrestre. Si tratta di finalità che sono certamente condivise dall'opinione pubblica, ma che non lo erano e non lo sono dall'attuale maggioranza di Governo. Il traguardo del 2012 è un obbligo europeo, è un'esigenza per l'industria televisiva e per i telespettatori italiani, che non possono rimanere con un'offerta più povera di quella che si sta affermando in altri Paesi europei.
Abbiamo sostenuto l'avvio della discussione del provvedimento Gentiloni, perché andava garantita la massima tutela ai nuovi soggetti entranti nel mercato, vero punto debole del nostro sistema. Invece di perseguire la tutela dei soggetti già consolidati nel mercato, l'obiettivo dovrebbe essere oggi quello di tutelare editori attivi in altri settori, come la carta stampata e le radio, per esempio, di fronte allo strapotere della pubblicità televisiva. Ma, soprattutto, si dovrebbe costruire un quadro di convenienze per i nuovi soggetti, che Pag. 38intendano trovare occasione di investimento nel processo di digitalizzazione della televisione e di tutte le reti diffusive.
I primi passi dell'attuale maggioranza sono invece in direzione contraria rispetto alla strada che ci è stata indicata dall'Unione europea ed anche dai rilievi della Corte costituzionale. È dai tempi della legge Mammì che si interviene non a disciplinare il sistema radiotelevisivo, ma a fotografare una realtà fatta di interessi, di interessi consolidati e di sostanziale duopolio, che non favorisce né il pluralismo, né la qualità necessaria, né la concorrenza, e non è neanche uno stimolo ai miglioramenti in questo settore. Basti pensare a ciò che il 19 dicembre 2007 la Commissione cultura del Parlamento europeo scrive all'interno di un documento di lavoro.
Mi avvio verso la conclusione e vorrei operare anch'io un riferimento agli aspetti tecnici di questo complesso articolo aggiuntivo, che ha visto la riproposizione, da parte del Governo, di una nuova edizione rispetto a quella di ieri pomeriggio. Abbiamo un po' provato, anche nel corso della scorsa notte, a studiarne i contenuti, un po' misteriosi. L'intervento di Paolo Romani personalmente non mi rassicura: mi rimangono un po' di dubbi. Infatti - ed entro appunto nel merito del contenuto dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo - al comma 2 si prevede che le licenze individuali siano modificate su iniziativa del Ministero dello sviluppo economico, allineandole alle disposizioni del presente articolo, regime di autorizzazione generale. Deve essere specificato, signor sottosegretario, che non si tratta di modifica, ma di conversione, così da garantire che il contenuto del titolo attuale (cioè la licenza) non venga modificato arbitrariamente nel passaggio all'autorizzazione. Ci rimane tale dubbio. Inoltre, è necessario che la conversione sia operata non nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, ma nel rispetto della normativa comunitaria, fatti salvi gli effetti della sentenza della Corte di giustizia del 31 gennaio 2008: ciò è necessario per impedire che il combinato disposto dei commi 1 e 2 possa determinare un effetto di sopravvenienza rispetto all'oggetto del giudizio del Consiglio di Stato sul caso Europa 7.
Al contrario, i commi 3, 4 e 5 - facendo riferimento all'attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale - dovrebbero disciplinare, diversamente dal testo proposto, anche il rilascio delle frequenze attualmente utilizzate per le trasmissioni analogiche, nel passaggio al digitale; ciò andrebbe fatto nel rispetto del diritto comunitario, così da sanare parte della procedura di infrazione, onorevole Romani.
Il secondo inciso del comma 3 è un nuovo generale assentimento che consente agli operatori di mantenere tutte le risorse frequenziali utilizzate come analogiche, in contrasto con la stessa procedura di infrazione.
Per le procedure di assegnazione indicate al comma 4, il riferimento alla delibera Agcom n. 603/07CONS è improprio e andrebbe eliminato, a mio avviso, poiché in tale delibera l'Autorità ha solo individuato i princìpi per la pianificazione delle reti digitali in Sardegna, in una situazione, cioè, peculiare e non replicabile automaticamente nelle altre regioni. Tale riferimento propone un modello che può valere per la pianificazione delle frequenze (dove è previsto dalla legge che debbano essere sentiti gli operatori), ma non può essere preso a riferimento per l'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze, per i quali le stesse norme comunitarie prevedono procedure fondate su criteri obiettivi, trasparenti, proporzionati e non discriminatori. In sostanza, la norma - così come è stata scritta - tende a far partecipare all'assegnazione delle frequenze le emittenti interessate.
Inoltre, la disposizione relativa al programma di attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze digitali, che viene definito con un decreto ministeriale non avente natura regolamentare, d'intesa con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quando le attuali norme affidano l'attuazione dei piani all'Autorità Pag. 39stessa, comporta questi numerosi ed inquietanti aspetti critici. Un provvedimento di carattere non regolamentare non è soggetto ad alcun tipo di vaglio - né delle Commissioni parlamentari competenti, né del Consiglio di Stato - e quindi consente al Ministero un'ampia discrezionalità.
Uno dei principali operatori, inoltre, come sappiamo, è pubblico. Di conseguenza, è improprio che sia il Governo ad elaborare il programma di attuazione. L'Autorità ha già emesso provvedimenti relativi al programma di attuazione, in particolare per la Sardegna. Pertanto, il passaggio di competenze, oltre ad essere ingiustificato, potrebbe comportare, comunque, problemi di coordinamento e anche rallentamenti.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MICHELE POMPEO META. Comunque, a mio parere, nell'ambito delle proprie competenze devono essere sempre applicati criteri obiettivi, trasparenti, proporzionati e non discriminatori: fissati, appunto, dal diritto comunitario; si deve inoltre operare in ottemperanza alla sentenza della Corte di giustizia europea del gennaio scorso.
Così come è formulato - e mi avvio alla conclusione - il comma lascia totale discrezionalità al Ministero, che è, quindi, ad esempio, libero di non intervenire sulla restituzione delle frequenze analogiche nel passaggio al digitale, in contrasto con la procedura di infrazione.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MICHELE POMPEO META. Ho concluso, signor Presidente. L'assegnazione all'Autorità - cioè, alla regolazione indipendente - della pianificazione delle frequenze, è stata una scelta per sottrarre al Governo tale strumento essenziale per l'attuazione del pluralismo. Si ritorna, in sostanza, a mio parere, alla legge Mammì. È vero che nel precedente Governo fu istituito, presso il Ministero, un tavolo per incentivare la transizione al digitale...

PRESIDENTE. Concluda, per favore, onorevole Meta. Ha esaurito il tempo a sua disposizione.

MICHELE POMPEO META. ...tuttavia, tale tavolo è rimasto nell'ambito di un'iniziativa di politica industriale, ma con la proposta emendativa in esame nel Comitato dei nove, per quanto concerne questa questione, il Governo si appropria, per legge, di un compito regolatorio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, io difendo Berlusconi perché credo che si debba smettere con questa cultura del sospetto. Mi chiedo come si possa pensare che l'articolo aggiuntivo 8.015 presentato dal Governo voglia, in qualche modo, eludere la sentenza del 31 gennaio, la quale dichiarava illegittime le leggi italiane sulle radiotelevisioni, per consentire a Retequattro di trasmettere sulle frequenze analogiche che spetterebbero ad Europa 7.
Credo che gli italiani debbano sapere che se pagheranno, per questa decisione, una multa di 300 mila euro al giorno - retroattiva dal luglio del 2006 - probabilmente non è responsabilità di questo Governo, ma di quello precedente. Infatti, sicuramente non è interesse del Governo Berlusconi permettere ad Emilio Fede di continuare a fare campagna, propaganda elettorale a tempo pieno!
Dico basta con la cultura del sospetto perché penso che davvero si stia esagerando. Pensate a cosa è stato scritto, in questi giorni, a proposito, non del provvedimento al nostro esame, ma del decreto-legge sulla sicurezza per il quale si è addirittura immaginato e pensato che un giurista - un uomo di legge del calibro dell'onorevole avvocato Nicolò Ghedini - avrebbe inserito, nel pacchetto sicurezza, addirittura un codicillo di 13 righe per favorire il suo cliente più illustre!
Ma andiamo! Davvero si può pensare che una cosa del genere sia vera? Davvero si può pensare che l'idea di affidare il Pag. 40pacchetto proprio a lui, lasciando inoperosi tutti i giureconsulti che impreziosiscono il Governo, da Alfano a Calderoli, da Maroni alla Carfagna, senza dimenticare la Brambilla - esponente della "scuola giurisprudenziale autoreggente" - potrebbe ingenerare questo tipo di malignità (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)? Qualcuno in quest'aula può pensare e malignare sul fatto che l'unica emergenza sicurezza che sta a cuore a Ghedini è quella del cosiddetto «caimano», imputato per corruzione giudiziaria del testimone Mills e per falso in bilancio, appropriazione indebita e frode fiscale nel progetto Mediaset?
Conoscendo lo spessore e l'autorevolezza dell'onorevole avvocato credo e sono pronto a giurare che il codicillo che allunga i processi di un paio di mesi - nel testo iniziale erano addirittura due anni - per dar modo all'imputato di decidere con comodo se patteggiare anche a fine dibattimento e rinviare la sentenza ed il processo a dopo le ferie, quando il reato sarà caduto in prescrizione, sia stato studiato solo al nobile scopo di abbreviare i processi. Inoltre, come Ghedini stesso ha osservato (giustamente ferito da tutti quei sospetti seminati da decine di esponenti dell'opposizione irresponsabile e malfidata, talvolta - lo devo dire con rammarico - persino guidata dall'onorevole Di Pietro) vi pare possibile che un Presidente del Consiglio possa patteggiare?
Che figura farebbe agli occhi della comunità internazionale, da sempre abbagliata dalla sua cristallina moralità, dalla sua purissima innocenza, dalla sua immacolata reputazione? Sarebbe un colpo mortale alla sua immagine!
A parte il fatto che il processo si bloccherebbe anche se fosse Mills a chiedere di patteggiare, qualcuno potrebbe obiettare che non sarebbe la prima volta che il «caimano» chiede di patteggiare. Il 27 giugno 1999, preceduto da una visita dialogante del fido Marcello Pera al procuratore D'Ambrosio, il «caimano», travestito da agnellino, salì le scale del palazzo di giustizia di Milano per una presentazione spontanea, accolto dai pubblici ministeri Ielo e Greco. Consegnò un memoriale di sei pagine con una prima timida ammissione: nelle sue società c'erano state carenze organizzative ed apparenti difetti di trasparenza. Una rivoluzione copernicana per chi, fino al giorno prima, gridava al complotto, dipingeva il suo gruppo come tempio di legalità e rideva ad ogni accusa dei pubblici ministeri. «Fondi neri? Gli unici che conosco sono quelli delle tazzine da caffè!». Fuori verbale lasciò addirittura capire di essere disposto a patteggiare per il mare di fondi neri: 1.500 miliardi delle vecchie lire su 64 società offshore nei paradisi fiscali contestati nei processi All Iberian I e II.
Restava solo da stabilire il quantum: i suoi legali proposero meno di tre mesi di reclusione, convertibili in una comoda pena pecuniaria di poche decine di milioni. Troppo poco per la procura, sia alla luce della gravità delle accuse, sia per l'impossibilità tecnica di accontentare l'illustre imputato per quei falsi in bilancio. Quando erano ancora reato si partiva da una pena base minima di un anno che, con le attenuanti generiche, scendeva a otto mesi. Con l'ulteriore attenuante del risarcimento del danno passava a poco meno di sei mesi e, con lo sconto del patteggiamento, a quattro.
Ma per trasformare il carcere virtuale in multa bisognava scendere sotto i tre: pene comunque irrisorie, che nessun giudice avrebbe mai avallato. Quella trattativa si arenò dopo qualche mese; e subito, come per incanto, l'agnellino tornò "caimano", riprese la guerra ai giudici e, rientrato a Palazzo Chigi nel 2001, sistemò la faccenda depenalizzando il falso in bilancio con una legge scritta, appunto, anche dall'avvocato Ghedini. Oggi qualcuno potrebbe obiettargli tutto ciò, se qualcuno ricordasse qualcosa! Per fortuna nessuno ricorda più nulla, e l'amnesia è il miglior viatico per il dialogo; che sia chiaro, deve proseguire: o vogliamo rischiare che entro l'estate, con tutti i problemi che ha già ereditato dalla sinistra, dai rom ai clandestini, dal buco nell'ozono alla «monnezza», dall'Alitalia alla Costituzione, dal codice penale all'Europa, quel Pag. 41pover'uomo del Presidente del Consiglio venga pure condannato per corruzione di un testimone? Quindi dico basta, basta con questi attacchi strumentali, soprattutto dell'Italia dei Valori, soprattutto del Partito Democratico, e qualche volta si aggiunge anche l'UdC, all'avvocato Ghedini e al suo illustre cliente, per l'ennesima legge ad personam, quella che stiamo appunto discutendo.
Qualcuno obietterà: ma in verità nessuno qui ha attaccato l'avvocato Ghedini e il suo illustre cliente per l'ennesima legge ad personam. Appunto: nessuno l'ha fatto, ma non si sa mai; è una norma di prevenzione, per la quale - lo dico - voglio ringraziare quel comunista di Marco Travaglio, che mi ha passato il testo che ho appena esposto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Signor Presidente, noi potremmo continuare su questo argomento, e potremmo ricordare semplicemente - e qui chiudo - quello che era scritto sul Corriere della sera il 31 gennaio di quest'anno, all'inizio di quest'anno: «TV, la Corte europea dà ragione ad Europa 7: il sistema di assegnazione delle frequenze non rispetta il diritto comunitario». E, nello specifico: la Corte europea di giustizia ha condannato oggi in Lussemburgo il regime italiano di assegnazione delle frequenze per le attività di trasmissione televisiva, nella sentenza sulla causa che opponeva l'emittente privata Centro Europa 7 al Ministero delle comunicazioni. Secondo la Corte, il regime di assegnazione delle frequenze non rispetta il principio della libera prestazione dei servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati. Secondo la Corte, l'applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa a favore delle reti esistenti ha avuto l'effetto di impedire l'accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze. Questo effetto restrittivo è stato consolidato dall'autorizzazione generale a favore delle sole reti esistenti ad operare sul mercato dei servizi radiotrasmessi. Tali regimi hanno avuto l'effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionale già attivi su questo mercato. Il giudice del rinvio sottolinea che, in Italia, il Piano nazionale di assegnazione per le frequenze non è mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto - leggasi Rete quattro - delle frequenze di continuare le loro trasmissioni nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni. Le leggi succedutesi, che hanno perpetrato un regime transitorio, hanno avuto l'effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessione in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale. Con la proposta emendativa presentata dal Governo, si vuole procrastinare questa situazione fino al 2012, e questo francamente non è accettabile (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, desidero anzitutto esprimere la mia approvazione per quanto lei con lungimiranza ha fatto ammettendo emendamenti che eccedono dall'ambito del disegno di legge, considerando come centrale il tema della finalità, che è, in questo caso, l'esigenza di permettere l'adempimento di obblighi comunitari. Lei ha fatto ciò, credo, considerando la situazione di particolare urgenza e rivedendo in questo modo una posizione precedente che escludeva tale possibilità rimandando l'adempimento degli obblighi comunitari alla sola legge comunitaria. Credo che tale scelta, entro certi limiti, possa essere consolidata per il futuro, poiché la riforma della legge La Pergola attribuisce al Governo il potere di approvare decreti per l'attuazione urgente di provvedimenti comunitari e dunque identifica, oltre alla legge comunitaria, anche un altro veicolo che consente, in condizione di urgenza, di far fronte al problema degli adempimenti.
Naturalmente, il problema degli adempimenti agli obblighi comunitari è legato Pag. 42ad una questione annosa, che sempre affligge le leggi comunitarie e che dunque affligge anche questo tipo di decreti: il tentativo cioè di utilizzare questi provvedimenti per far «passare» dei contenuti che hanno una qualche attinenza con la legislazione comunitaria, ma che presentano in realtà un prevalente profilo interno, facendo così in modo che il Parlamento non abbia la possibilità di esaminare questi temi con l'attenzione che è ad essi dovuta.
Credo dunque che si imponga, oltre al giudizio sull'ammissibilità, anche una valutazione politica, ed è proprio su questo punto che mi rivolgo al Governo. Ho ascoltato con grande ammirazione l'intervento del sottosegretario Romani, che è uomo esperto e lucido: e mi ha convinto. Peccato, però, che mi abbia anche convinto l'intervento, di poco precedente, dell'onorevole Gentiloni Silveri, che con altrettanta acribia ci ha spiegato esattamente il contrario di quel che ha detto il sottosegretario.
In questo momento, ho dunque le idee confuse; e credo che come me le abbia anche l'Aula, che dunque non può non porsi un problema: esistono davvero le condizioni di necessità ed urgenza che giustificano un decreto su questa materia? Dobbiamo parlarne adesso? Non possiamo aspettare un provvedimento più ampio, che consideri più largamente le problematiche connesse e che passi attraverso le vie ordinarie? Credo che questa possibilità vi sia.
In ciò mi conforta il testo della legge sull'adempimento italiano degli obblighi comunitari, la quale, all'articolo 10, comma 1, afferma che: «Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie può proporre al Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti» - e dunque decreti-legge - «necessari a fronte di atti normativi e di sentenze degli organi giurisdizionali delle Comunità europee e dell'Unione europea che comportino obblighi statali di adeguamento solo qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all'anno in corso». Ora: ricorre in questo caso tale requisito? È dubbio. In proposito, debbo infatti contraddire gli onorevoli colleghi dell'altra opposizione, i quali hanno insistito sul fatto che vi sarebbe una sentenza che sta per diventare esecutiva e che dunque il Governo deve assolutamente prendere un provvedimento. Non è vero: quella in questione - cioè quella del 31 gennaio 2008 della Corte di giustizia - è una sentenza interpretativa richiesta dal Consiglio di Stato. Ad essa dunque non segue alcuna sanzione: semmai, ad essa segue un pronunciamento del Consiglio di Stato che deve tenerne conto.
Già la sentenza della Corte di giustizia apporta autonomamente, in quanto sentenza interpretativa di diritto comunitario immediatamente vigente ed applicabile in Italia, un adeguamento dell'ordinamento italiano perché il Consiglio di Stato sarà obbligato, nella sua pronuncia sulla causa Europa 7, a tenere conto delle determinazioni della Corte di giustizia.
Da un lato l'ordinamento italiano è già stato modificato in modo tale che parzialmente viene incontro anche al parere motivato della signora Neelie Kroes, dall'altro non esiste, a causa di tale sentenza, alcuna urgenza che obblighi a pronunciarci oggi.
Si è parlato del parere motivato. A parte il fatto che la sentenza interviene parzialmente sulle questioni che erano oggetto del parere motivato ma, amici miei, un parere motivato non è la fine del mondo. Dopo il parere motivato non arriva immediatamente - anche domani - la sentenza della Corte di giustizia: è necessaria la messa in mora, poi la prima sentenza, poi ancora la seconda sentenza esecutiva. Insomma, non percepisco le ragioni dell'immediato esame di un provvedimento che presenta grande rilievo politico, poiché da anni l'Italia tutta discute di tale argomento che è un perno della battaglia politica italiana, la questione della televisione. Se ne parla anche per buoni motivi, perché la televisione è la piazza del mondo moderno e chi non ha accesso alla piazza non ha accesso alla Pag. 43politica. Di conseguenza, televisione e politica sono in qualche modo connesse fra di loro.
È proprio necessario che una questione di tale rilievo entri tramite un articolo aggiuntivo all'interno di un disegno di conversione di un decreto-legge che si occupa di altro? Mi sembra difficile credere che sia prevalente la preoccupazione dell'adempimento dell'obbligo comunitario rispetto alla possibilità di dare una nuova regolamentazione di contenuto alla vicenda televisiva italiana. Mi pare evidente che la prevalenza dell'interesse, posta anche la mancanza di un'urgenza così drammatica, sia quella di dare una regolamentazione. Allora regolamentate pure, ma nella modalità corretta, presentando un disegno di legge. Vi sconsiglio persino di aspettare la prossima legge comunitaria perché l'argomento, per sua natura, merita un provvedimento di legge ad hoc e non va nascosto neanche all'interno della legge comunitaria. Meno che mai in un decreto-legge in cui si suppone che esistano delle condizioni di necessità e di urgenza che evidentemente non sussistono.
Invito il Governo a riflettere su tali argomentazioni e a ritirare quella proposta emendativa. Siamo in un momento molto difficile della vita nazionale. Vi è un nuovo Governo eletto con una grande maggioranza e per la prima volta abbiamo sentito in Assemblea risuonare parole di correttezza civile. È una disgrazia dell'Italia che parole di correttezza civile vengano subito sospettate di «inciucio» o considerate come una rinuncia ad esercitare, con la dovuta durezza e correttezza, il ruolo di opposizione o quello di Governo. Per la prima volta siamo forse riusciti a stabilire un principio corretto di rapporti fra le forze politiche.
Noi dell'UdC siamo disponibili ad esaminare con serenità e senza pregiudizi il provvedimento che il Governo vorrà proporre. Ma attenti, perché se lo presenterete in tali condizioni il sospetto che si voglia eludere un esame adeguato da parte dell'Assemblea e quindi il sospetto che vi sia qualcosa che non funziona diventa molto forte, quasi irresistibile. Poiché sapete quanto sia delicata la materia televisiva vi invito a non compromettere un'unità di intenti nel rispetto delle distinzioni di maggioranza e di opposizione; il Paese ha bisogno di un'unità di intenti.
Oggi Emma Marcegaglia - colgo l'occasione per rivolgerle i miei auguri nella nuova e difficile carica che va a ricoprire come presidente di Confindustria - ricorda che la situazione del Paese è difficile. La produzione industriale è in calo e abbiamo avuto dei dati drammatici; i consumi sono diminuiti, come risulta dai dati di oggi.
Il Paese ha bisogno di medicine anche amare che non «passeranno» se ci sarà uno scontro ideologico e fazioso tra maggioranza e opposizione; medicine amare che richiedono un livello elevato di consapevolezza del primato del bene comune che guidi anche il dibattito fra maggioranza e opposizione; misure amare che richiedono un livello elevato di fiducia tra maggioranza e opposizione.
Pertanto, invito il gruppo Italia dei Valori a ritirare l'articolo aggiuntivo presentato - altrettanto forzato; capisco che è una forzatura di senso opposto, ma non servono le forzature - ed invito il Governo affinché anch'esso ritiri il suo articolo aggiuntivo e consenta un esame sereno, attento ed equilibrato di un problema così importante.
Non dia l'impressione di voler prevaricare perché, se lo fa, rischia di compromettere un clima politico di corretto rapporto tra maggioranza e opposizione di cui il Paese ha bisogno e anche quelli che vogliono essere giudici sereni saranno inevitabilmente costretti a votare contro (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fiano. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO. Signor Presidente, indubbiamente va fatto un plauso all'iniziativa del Governo di presentare, nell'ambito del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, una proposta emendativa volta ad introdurre l'articolo Pag. 448-bis perché così facendo ha certamente compattato in senso contrario le opposizioni presenti in quest'Aula.
Credo che un intervento complessivo su quanto al nostro esame vada articolato su tre livelli: vi è un aspetto politico di questa vicenda, un aspetto procedurale ed uno di merito, tecnico.
Credo che l'aspetto politico difficilmente possa passare inosservato. Ci troviamo nella giornata successiva alla prima seduta del Consiglio dei Ministri nella quale il Governo ha presentato al Paese alcune delle prime iniziative promesse nel corso della campagna elettorale. Si tratta di iniziative significative che toccano punti caratterizzanti del profilo politico di questo Governo, questioni economiche che riguardano le famiglie, questioni che riguardano il tema dell'immigrazione e della criminalità, i poteri delle autonomie locali, la vicenda dei rifiuti a Napoli.
Il giorno dopo, con un'opinione pubblica interessata a comprendere gli effetti profondi delle iniziative del Governo e il grado di rispondenza di queste al programma elettorale presentato, il Governo trova modo di inserire di soppiatto, in un provvedimento che nulla ha a che fare con tale materia, un tema che gli è storicamente molto caro e che ha pervaso gli ultimi quindici anni di Governo o di attività parlamentare di questa maggioranza. Si tratta del tema specifico che riguarda, tra l'altro, un canale televisivo, Retequattro.
In quest'atmosfera politica che si era portati a considerare di buon vicinato tra opposizione e maggioranza, il Governo, io ne sono lieto, introduce un elemento di rottura che produrrà un'opposizione fortissima, nel rispetto delle regole parlamentari, perché questa proposta emendativa non abbia mai ad essere approvata dal Parlamento.
Evidentemente, sono passati già diversi giorni dalla strette di mano, dal «volemose bene», dal «pacatamente e serenamente», dal «se po' fa'»; è arrivata la «polpa», che abbiamo già conosciuto, di uno dei profili politici di questa maggioranza: gli interessi particolari.
Vi è ovviamente un altro profilo che è quello procedurale relativo al fatto che il Governo, su una materia tanto specifica, complessa e che tanto ha riguardato le sentenze e i pronunciamenti di corti italiane e della Corte di giustizia europea, ha voluto procedere nei confronti del Parlamento presentando una proposta emendativa al disegno di legge di conversione di un decreto-legge che proviene dal precedente Governo in carica. Si tratta, quindi, di una modalità che non prevede, come diceva qualche un minuto fa l'onorevole Quartiani, nessun passaggio in Commissione per l'approfondimento del tema e che prevede una ristretta modalità di discussione in Parlamento per i rappresentanti delle opposizioni.
Quindi, la discussione si vede costretta nei limiti di un dibattito totalmente inadeguato alla profondità del tema che voi affrontate con l'articolo aggiuntivo da lei presentato, onorevole Romani, a nome del Governo per l'aggiunta in fase di conversione dell'articolo 8-bis al testo del decreto.
Infine, vi è ovviamente una questione di merito, sulla quale siamo pronti a dimostrare perché questo articolo aggiuntivo presentato dal Governo non può essere approvato, tanto meno con un decreto-legge. Non soltanto perché esso affronta esclusivamente la parte meno rilevante delle contestazioni svolte dalla Commissione europea nella nota procedura di infrazione, di cui poc'anzi anche l'onorevole Buttiglione parlava, ma perché introduce addirittura disposizioni che proprio rispetto a quel pronunciamento sono, dal punto di vista del diritto comunitario, illegittime in quanto contrarie anche alla sentenza resa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea il 31 gennaio scorso che riguardava il caso Europa 7.
Noi perverremo quindi, attraverso questo percorso parlamentare assolutamente inadeguato, all'approvazione di disposizioni contrastanti con quella sentenza, oltre che totalmente inadeguate a rispondere ai rilievi della Commissione europea. È noto che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 170 del 1984 e n. 389 del Pag. 451989, ha ritenuto che le disposizioni interne dei Paesi contrastanti con il diritto comunitario debbano essere disapplicate da tutti gli organi, tanto amministrativi quanto giurisdizionali, dello Stato membro. Sicché, noi verremmo a trovarci in una condizione di totale vizio da illegittimità comunitaria se approvassimo quella proposta emendativa.
Dal canto suo, la Corte di giustizia europea ha specificato che, a seguito di una sentenza emessa su rinvio pregiudiziale da cui risulti l'incompatibilità di una normativa nazionale con il diritto comunitario (che è il nostro caso, il caso italiano), è compito delle autorità dello Stato membro interessato adottare i provvedimenti generali o in particolari idonei a garantire il rispetto del diritto comunitario sul loro territorio, vigilando in particolare affinché il diritto nazionale sia rapidamente adeguato al diritto comunitario e affinché sia data piena attuazione ai diritti che sono attribuiti ai singoli dall'ordinamento comunitario stesso.
Quel passaggio, che tra l'altro l'onorevole Romani citava o autocitava, e cioè il comma 3 dell'articolo che verrebbe introdotto dall'articolo aggiuntivo 8.015 che egli a nome del Governo ha proposto al Parlamento quale modifica da apportare in fase di conversione del decreto, si pone in contrasto frontale con la sentenza della Corte di giustizia allorché - cito il comma 3 - si prevede che «La prosecuzione nell'esercizio degli impianti di trasmissione è consentita a tutti i soggetti che ne hanno titolo, anche ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005 (...)», e cioè anche a quei soggetti, come Retequattro, che hanno operato e continuano ad operare in forza dei regimi transitori introdotti prima dalla cosiddetta legge Maccanico, poi dal cosiddetto decreto-legge «salva reti» e infine dalla cosiddetta legge Gasparri. In tal modo, si pone in frontale contrasto con la citata sentenza della Corte di giustizia europea.
In particolare ciò avviene in due passaggi di quella sentenza, che cito. Mi riferisco a quando la Corte dichiara che «(...) indipendentemente dagli obiettivi perseguiti dalla legge n. 249 del 1997 con il regime di assegnazione delle frequenze ad un numero limitato di operatori si deve considerare che l'articolo 49 (...)» del Trattato istitutivo della comunità europea «ostava ad un regime siffatto» e a quando dichiara che «la medesima valutazione si impone per quanto riguarda il regime di assegnazione delle frequenze ad un numero limitato di operatori, in applicazione della legge n. 112 del 2004: Tale regime non è stato attuato sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati, in violazione dell'articolo 49 del trattato CE e, a decorrere dal momento della loro applicabilità, dell'articolo 9, n. 1 della direttiva quadro, degli articoli 5, n. 2, secondo comma, e 7, n. 3, della direttiva 'autorizzazioni', nonché dell'articolo 4, punto 2, della direttiva 'concorrenza'».
Come si vede, onorevole Romani, colleghi, i punti di totale contrapposizione rispetto a quanto espresso dalla Corte di giustizia europea sono moltissimi e di tutti questi rilievi la proposta emendativa presentata dal Governo non si fa minimamente carico. Tra tali rilievi ricordo segnatamente quello con cui la Commissione europea ha affermato che la disposizione accorda a detti operatori (quelli cui ho accennato prima, come ad esempio Retequattro) un evidente vantaggio a danno delle altre aziende, e segnatamente di quelle, come Europa 7, che, pur essendo titolari di concessioni analogiche, non sono in grado di fornire servizi di radiodiffusione terrestre in tecnica analogica per mancanza di frequenze disponibili..
L'Esecutivo giunge così al risultato di riproporci, e addirittura di proiettare ancora più a lungo nel futuro, le stesse violazioni che già sono state contestate dalla Commissione europea all'Italia e rispetto alle quali il precedente Governo aveva, invece, esplicitamente riconosciuto l'esattezza dei rilievi.
L'articolo aggiuntivo del Governo tende a riportarci al passato, ad ignorare i rilievi e le sentenze della Corte di giustizia, nonché i diritti di un operatore sanciti Pag. 46proprio dalle sentenze emesse da quella Corte stessa; lo si fa surrettiziamente, introducendo il tema nel dibattito parlamentare, dopo aver lungamente contestato alle attuali minoranze - quando nella scorsa legislatura si trovavano nella condizione di essere maggioranza - che i temi fondamentali del dibattito del Paese avrebbero dovuto essere discussi in quest'Aula riconoscendo alle opposizioni i loro diritti. A tal proposito mi rivolgo anche a lei, signor Presidente - e colgo l'occasione per rivolgerle l'augurio di buon lavoro, visto che è la prima volta che mi rivolgo a lei dall'inizio della legislatura -, considerato che nella prolusione introduttiva alla sua carica ha fatto riferimento agli eguali diritti dell'opposizione e della maggioranza in quest'Assemblea.
Ebbene, tutta la materia di cui stiamo discutendo, che contrasta palesemente con quanto espresso nelle sentenze e nelle interpretazioni della Corte di giustizia europea, e che è oggetto di numerose leggi dell'ordinamento nazionale, viene introdotta dopo che un accordo politico aveva sancito un percorso che vorrei definire lieve, come si è usato dire in questa stagione politica, e sereno di approvazione dei decreti-legge che provenivano dal precedente Governo. Ciò si è verificato nell'esame dei tre decreti-legge approvati ieri, ma non nell'esame di questo quarto disegno di legge di conversione dal quale emerge un atteggiamento diverso, nuovo, che però conosciamo se guardiamo agli ultimi quindici anni. Infatti, quando si toccano determinati argomenti le regole del corretto confronto parlamentare saltano perché determinate scelte devono «passare» e basta, perché la difesa di una determinata azienda o di un determinato canale televisivo va fatta a prescindere dalle regole e dagli accordi di dialogo e di gestione dei rapporti tra opposizione e maggioranza in quest'Aula, che valgono per altre conversioni in legge, quelle di quei decreti che, evidentemente, non riguardano interessi particolari.
Noi non ci stiamo; a prescindere dal fatto che si alzi o meno la voce, che si sia più o meno educati, che si rispetti - come noi rispettiamo - quest'Aula e il modo di convivere e di costruire le leggi per il nostro Paese, noi non ci stiamo nel merito, nel metodo e nella stagione politica diversa da quella che fino a pochi giorni fa era invalsa nel Paese e che voi avete voluto introdurre con la proposizione di questo articolo aggiuntivo.
Credo vi sia un calcolo politico, come dicevo all'inizio della presentazione di questa proposta emendativa, e un calcolo temporale su quando presentarlo, ossia all'interno della possibile luna di miele che in genere accompagna comunque le prime settimane di vita di un Governo, e che voi volete rafforzare con le iniziative di Governo che avete presentato ieri nella prima riunione del Consiglio dei ministri a Napoli.
Volete farlo approfittando del fatto che il Parlamento non ha ancora insediato le proprie Commissioni e che, in maniera del tutto eccezionale e mai verificatasi prima, una materia di siffatta complessità - ossia la legislazione riguardante le trasmissioni televisive e l'ordinamento del mercato digitale - sia stata esaminata in quest'Aula senza un preventivo passaggio o un confronto politico normativo e legislativo nelle Commissioni competenti. Non era mai successo prima!
Signor Presidente, mi auguro anche che lei sarà in grado di porre rimedio al mancato passaggio di questa materia nelle Commissioni competenti e che voglia porre rimedio a questo vulnus, perché il Parlamento e i parlamentari che si occupano della materia specifica hanno diritto di discutere nelle Commissioni competenti, prima che in Aula. Non mi accodo al coro di chi afferma: ritirate la proposta emendativa. Sono lieto che lo presentiate...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

EMANUELE FIANO. ...perché considero che questa materia rappresenti una parte del vostro profilo politico: è bene che su di essa, in quest'Aula, vi sia uno scontro corretto, ma durissimo, affinché questo articolo aggiuntivo non passi mai (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)!

Pag. 47

PRESIDENTE. Sono così conclusi gli interventi previsti per la parte antimeridiana della seduta.
Prima di comunicare l'ordine dei lavori dell'Assemblea nel prosieguo della giornata (a tal fine, ricordo che è convocata la Conferenza dei presidenti di gruppo, che si riunirà fra qualche minuto), desidero ringraziare coloro che hanno sollevato obiezioni in ordine alla coerenza della decisione della Presidenza di valutare come ammissibile l'articolo aggiuntivo 8.015 (Ulteriore nuova formulazione) del Governo (in particolar modo, ringrazio gli onorevoli Palomba, Cambursano, Zaccaria e Costantini, che lo hanno fatto con rigore e precisione).
Desidero, altresì, richiamare ancora una volta i criteri ai quali la Presidenza si è attenuta in questa specifica e, per alcuni aspetti, eccezionale circostanza: utilizzo l'aggettivo «eccezionale» in ragione del fatto che ci troviamo nella fase di passaggio fra le due legislature.
Ricordo che l'articolo aggiuntivo citato è stato ammesso in quanto si ricollega ad una procedura di infrazione in corso, come ha ribadito l'onorevole Buttiglione. Non spetta in alcun caso alla Presidenza entrare nel merito delle diverse soluzioni adottate in relazione ai rilievi formulati in sede comunitaria e, in particolare, nella valutazione del grado e della misura in cui il contenuto delle singole proposte emendative risponda o meno alle questioni poste in sede comunitaria, né spetta alla Presidenza sindacare le ragioni che hanno indotto il Governo a presentare le singole proposte emendative che sono state testè illustrate dal sottosegretario Romani.
Tali valutazioni, infatti, appartengono interamente ed esclusivamente alla discussione politica e non all'apprezzamento di competenza della Presidenza. Ciò, ovviamente, vale per l'articolo aggiuntivo citato e, in generale, per tutte le proposte emendative presentate e dalla Presidenza giudicate ammissibili.
Per consentire alle Commissioni di riunirsi e di procedere all'elezione degli uffici di presidenza, sospendo la seduta, che riprenderà alle 17.

La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 17,30.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brancher, Miccichè e Molgora sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quaranta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stata definita la seguente organizzazione dei lavori.
Nella giornata odierna i lavori proseguiranno fino ad esaurimento degli interventi sul complesso degli emendamenti presentati al decreto-legge all'ordine del giorno, senza votazioni.
La prossima settimana, martedì 27 (dalle ore 10 e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna), mercoledì 28 e giovedì 29 maggio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni) si procederà con il seguito dell'esame del disegno di legge n. 6 - Conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (da inviare al Senato - scadenza: 8 giugno 2008).
Mercoledì 28 maggio, nel corso della seduta, avrà luogo la deliberazione su tre conflitti di attribuzione.
Giovedì 29 maggio, al termine delle votazioni, sarà previsto lo svolgimento di interpellanze urgenti. Lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (question time), secondo quanto convenuto, Pag. 48avrà invece inizio a partire dalla settimana successiva.
La Presidenza si riserva di inserire all'ordine del giorno nel corso della prossima settimana l'esame del disegno di legge n. 1094 - Conversione in legge del decreto-legge 23 aprile 2008, n. 80, recante misure urgenti per assicurare il pubblico servizio di trasporto aereo (Approvato dal Senato - scadenza: 23 giugno 2008), ove concluso dalla Commissione competente.

Annunzio della costituzione della Giunta delle elezioni e della Giunta per le autorizzazioni (ore 17,33).

PRESIDENTE. Comunico che nella seduta odierna la Giunta delle elezioni ha proceduto alla propria costituzione.
Sono risultati eletti: presidente, il deputato Maurizio Migliavacca; vicepresidenti, i deputati Andrea Orsini e Pino Pisicchio; segretari, i deputati Pietro Laffranco, Vincenzo Taddei e Rolando Nannicini.
Comunico altresì che nella seduta odierna la Giunta per le autorizzazioni ha proceduto alla propria costituzione.
Sono risultati eletti: presidente, il deputato Pierluigi Castagnetti; vicepresidenti, i deputati Giuseppe Consolo e Francesco Pionati; segretari, i deputati Fabio Gava, Francesco Paolo Sisto e Marilena Samperi.
Ai colleghi rivolgo l'augurio di buon lavoro e le felicitazioni.

Proclamazione di un deputato subentrante.

PRESIDENTE. Comunico che, resosi vacante un seggio attribuito alla lista n. 14 - Movimento per l'Autonomia-alleanza per il sud nella XXIV circoscrizione Sicilia 1, a seguito della cessazione dal mandato parlamentare del deputato Nicola Leanza, di cui la Camera ha preso atto nella seduta del 21 maggio, la Giunta delle elezioni - ai sensi l'articolo 86, comma 1, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 - ha accertato, nella seduta odierna, che il candidato che nella stessa lista, nell'ambito della medesima circoscrizione, segue immediatamente l'ultimo degli eletti nell'ordine progressivo di lista, risulta essere Giovanni Di Mauro.
Do atto alla Giunta di questa comunicazione e proclamo quindi deputato, a norma dell'articolo 17-bis, comma 3, del Regolamento, nella XXIV circoscrizione (Sicilia 1), Giovanni Di Mauro.
Si intende che da oggi decorre il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali ricorsi.

Annunzio della costituzione del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

PRESIDENTE. Comunico che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha proceduto in data odierna alla propria costituzione.
Sono risultati eletti presidente il senatore Francesco Rutelli, vicepresidente il senatore Giuseppe Esposito e segretario il deputato Roberto Cota.
Anche a questi colleghi rivolgo le congratulazioni e l'augurio di buon lavoro.

Si riprende la discussione (ore 17,35).

(Ripresa esame articolo unico - A.C. 6)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi sul complesso delle proposte emendative.
Constato l'assenza dell'onorevole Compagnon che aveva chiesto di parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Velo. Ne ha facoltà.

SILVIA VELO. Signor Presidente, signori membri del Governo, onorevoli colleghi, la legislatura appena iniziata e la campagna elettorale che l'ha preceduta Pag. 49sono state caratterizzate - è bene sottolinearlo - da un positivo cambiamento del clima politico nei rapporti tra maggioranza e opposizione. Si tratta di un clima di dialogo, di reciproco riconoscimento, naturalmente nel rispetto dei propri ruoli, di comune condivisione delle emergenze che affliggono il Paese e della necessità ormai inderogabile di avviare e completare possibilmente quelle riforme strutturali che tutti riteniamo necessarie alla modernizzazione dell'Italia.
Questo clima, però, affinché non divenga solo una rappresentazione in qualche modo folcloristica, caricaturale, un po' manichea della buona educazione che deve presiedere naturalmente a ogni relazione umana, compresi i rapporti politici, deve essere supportato da alcuni presupposti irrinunciabili. Innanzitutto, vi deve essere chiarezza dei ruoli e dei rispettivi profili programmatici di maggioranza e opposizione e individuazione, anche questa possibilmente chiara ed esplicita, delle questioni che comunemente sono ritenute di interesse generale e su cui è importante misurare il confronto tra maggioranza e opposizione. Infine, anche se forse è la questione più importante, è necessaria la lealtà, la trasparenza e l'assoluta chiarezza nelle parole e soprattutto nelle azioni che conseguono alle affermazioni e alle parole.
Noi crediamo, invece, che la discussione di oggi sul complesso degli emendamenti presentati in sede di conversione di questo decreto-legge contraddica clamorosamente questi principi e in particolare che abbia reso evidente che il Governo e questa maggioranza stanno contraddicendo il principio di trasparenza, di lealtà e di coerenza nei rapporti tra maggioranza e opposizione. Si tratta di un principio imprescindibile, irrinunciabile quando si dichiara di voler avviare un dialogo.
Tutti noi sappiamo, è ovvio, che la regolamentazione del sistema radiotelevisivo in ogni democrazia rappresenta un tema delicatissimo. Lo è ovviamente a maggior ragione - ci dispiace di doverlo ricordare - in un Paese in cui chi presiede il Governo è protagonista di un così macroscopico conflitto di interessi. Questo tema era stato individuato tra l'altro come uno dei fronti delicati su cui avviare insieme, maggioranza e opposizione, la fase nuova di dialogo da tutti auspicata. Molti l'hanno già affermato (ci tengo a ricordarlo e a ribadirlo) e la proposta emendativa presentata dal Governo al decreto in discussione sovverte tutte le dichiarazioni di buoni intenti fatte fino ad oggi, e ciò avviene in termini inaccettabili sia nel metodo, sia nel merito.
Nel merito la proposta emendativa modifica il sistema delle licenze televisive previste dalla cosiddetta legge Gasparri sostituendolo con un meccanismo di autorizzazione generale sufficiente a giustificare la compravendita di frequenze. Il testo stabilisce, inoltre, che le attività di trasmissione per i soggetti che ne hanno titolo possa proseguire, cito testualmente, «fino all'attuazione del piano di assegnazione delle frequenze TV in tecnica digitale». Traducendo presumibilmente fino al 2012. È chiaro, quindi, qual è l'intento di salvaguardia di interessi aziendali dell'articolo aggiuntivo presentato dal Governo.
Nel metodo mentre riteniamo che sia necessario comunque trovare una via di superamento delle infrazioni europee (noi avevamo tentato un percorso di discussione, di emendamenti, che aveva portato, nelle Commissioni di merito di cui io faccio parte, all'approvazione della cosiddetta legge Gentiloni) e che ci sia la necessità e la possibilità di operare con modifiche legislative affinché la procedura europea non abbia corso, consideriamo inaccettabile che questo tentativo venga effettuato attraverso un articolo aggiuntivo a un decreto predisposto dal precedente Governo in una fase di transizione tra una legislatura e l'altra.
Quindi con questo metodo si tenta di modificare una legge come la Gasparri, cercando altresì di aggirare la procedura di infrazione comunitaria, con il fine, perseguito da anni dall'attuale maggioranza in maniera pervicace, di salvare una rete televisiva che da anni opera palesemente in contrasto con le normative comunitarie.Pag. 50
Il metodo è quindi inaccettabile perché viene introdotta una normativa su una materia così complessa e così delicata per la garanzia stessa della tutela democratica, e viene introdotta in un decreto-legge che praticamente non è coerente con questi termini. Inoltre tale normativa viene introdotta - come è stato affermato stamani - all'inizio della legislatura, a Commissioni di merito non ancora costituite (si sono costituite solo oggi), le quali non hanno quindi potuto approfondire la materia in esame.
In questo clima che avevamo salutato tutti positivamente - l'ho citato all'inizio - è stata presa questa decisione. Ci chiediamo se in questo tentativo ci sia, da parte della maggioranza, in qualche modo l'intento di minare, prima del suo nascere, il vero dialogo, considerato che quest'ultimo deve ancora iniziare perché dalle parole bisogna passare ai fatti. Magari s'intende minare questo dialogo tentando di addossarne la responsabilità alle minoranze, la quale naturalmente sul tema in esame si appresta ad effettuare un'opposizione dura ed intransigente. Noi naturalmente respingiamo questo tentativo perché abbiamo già ampiamente dimostrato con le nostre azioni e il nostro atteggiamento che non avremo mai un comportamento di ostilità pregiudiziale, atteggiamento che voi invece avete dimostrato nei due anni precedenti durante i quali non c'è stato mai nemmeno il riconoscimento del risultato elettorale. Tuttavia la necessità di percorrere la via del dialogo e del confronto non può avere come conseguenza l'accettazione di questo tentativo di sovvertire e aggirare un'importantissima norma sulla concorrenza, che rappresenta il minimo indispensabile per un Paese che voglia, anche solo lontanamente, dichiararsi - è ciò cui aspiriamo - un Paese liberale.
Su questo fronte noi vi sfidiamo, sul fronte di quelle riforme, di quelle liberalizzazioni e di quelle aperture alla concorrenza di cui l'Italia ha profondamente bisogno, perché il nostro è un Paese che vive ormai cronicamente condizionato dai monopoli, dalle rendite di posizione e da mercati non adeguatamente aperti. Questa è la prima occasione che avete avuto di fronte per dimostrare la vostra credibilità su questi temi. A me pare che questo tentativo di modifica della legge Gasparri sul tema della concorrenza televisiva ponga seri dubbi sulla vostra credibilità per quanto riguarda la sfida delle liberalizzazioni e dei processi di modernizzazione del Paese.
È stato detto da tanti ma riteniamo di doverlo ripetere in tutte le occasioni possibili: se il dialogo sulle riforme rappresenta per questa maggioranza e per il Governo ancora una priorità (un obiettivo primario) e se la necessità di creare in questo Paese condizioni maggiori - diciamo appena sufficienti perché siamo molto indietro - di libero mercato, indispensabili soprattutto in un settore così delicato per una democrazia come quello radiotelevisivo, rappresentano ancora un'affermazione valida, allora credo sia giusto - vi è stato chiesto da molti - chiedervi di fermarvi per riflettere sulle possibili conseguenze, qualora insistiate nella presentazione di una proposta emendativa simile, sul clima politico generale e su quello futuro della legislatura.
Le riforme di cui il Paese ha bisogno, come dicevo, sono tante. La situazione politica generale e sopratutto economica è delicata.
Il Presidente del Consiglio, nel suo discorso di insediamento, ha sottolineato tale quadro e ha più volte richiesto collaborazione ma, come affermavo all'inizio, tale collaborazione può essere fornita dall'opposizione nella chiarezza dei ruoli e, soprattutto, nella lealtà e nella coerenza dei comportamenti, che devono essere conseguenti alle affermazioni di principio.
Se non vi fosse tale comprensione, credo che rendereste evidente, purtroppo per tutti gli italiani e per tutti noi, il peso che esercita ancora su di voi, inevitabilmente e inesorabilmente, il conflitto di interessi. Lo rendereste evidente al Paese causando un danno, la cui portata, secondo me, ancora oggi non è facilmente valutabile.Pag. 51
Quindi, mi associo alla richiesta avanzata stamani da molti colleghi delle varie componenti dell'opposizione, che vi hanno chiesto il ritiro dell'articolo aggiuntivo 8.015 in modo da rimandare la discussione su questo tema ad una sede più appropriata (ve ne sono molte già in previsione nelle prossime settimane), per permettere al Parlamento di affrontare un tema così delicato nell'ambito di una discussione ampia e approfondita, che consenta ai parlamentari e ai gruppi di potersi esprimere più liberamente e più compiutamente. Ciò è nell'interesse non di una parte politica, ma di tutti gli italiani. A noi questo interesse sta a cuore, ci auguriamo che lo stesso valga per voi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo e onorevoli colleghi, ho ascoltato con attenzione le motivazioni dotte che lei ha enumerato in quest'Aula, per dichiarare l'inammissibilità di alcune proposte emendative, ma non dell'articolo aggiuntivo 8.015 (Ulteriore nuova formulazione) del Governo. Mi consenta di divergere dalla sua autorevole opinione, perché a mio giudizio questa proposta emendativa non era assolutamente ammissibile.
Per quanto riguarda la norma relativa al patteggiamento in corso di causa, abbiamo riscontrato un certo tipo di atteggiamento, anche nell'ambito della maggioranza; ci è spiaciuto non registrare tale tipo di atteggiamento - pur ovviamente riconoscendo la sua assoluta buona fede - anche in questo caso, in quanto l'inammissibilità di tale proposta emendativa, a mio parere, risulta evidente, poiché non risolve assolutamente in toto gli addebiti di cui alla procedura di infrazione e non presenta caratteri di urgenza, quanto meno pari alla necessità di adeguarsi ad una sentenza della Corte di giustizia europea (tale adeguamento è l'oggetto di una proposta emendativa proposta dal gruppo Italia dei Valori).
Credo che sia palese che si punti ad approvare una norma in parte illegittima ed incostituzionale, per guadagnare, per i motivi che agli italiani sono noti e che sono sulle pagine di tutti i giornali di oggi, i tempi occorrenti fino alla prossima pronuncia giudiziaria che, senza dubbio, casserà tale norma, che potrebbe nascere (ma, per quanto dirò poi, ci auguriamo che non nasca) dall'approvazione della proposta emendativa del Governo.
Tanti sono i giudici che si sono occupati del sistema delle telecomunicazioni in Italia: dalla nostra Corte costituzionale, al nostro Consiglio di Stato, fino alla Corte di giustizia delle Comunità europee; vi è stato al riguardo anche un intervento della Commissione europea. A mio avviso, è del tutto palese che questa norma sia in contrasto con tutta una serie di giudicati e di prese di posizione dell'Europa nei nostri confronti. Perseverare significa solo perdere tempo, perché vi sono interessi inconfessabili, ma, forse, ben confessati.
Voglio dunque apprezzare - ma era ovvio e non ne avevamo dubbi - l'atteggiamento di tutti i colleghi del Partito Democratico, dell'UdC e delle altre opposizioni, forse più disponibili di noi al dialogo e che, tuttavia, si sono opposte alle forme e ai metodi di questa che potrebbe essere una parte del dialogo.
Ho ascoltato con attenzione interventi di colleghi molto più esperti di me (da Gentiloni all'onorevole Buttiglione); ho ascoltato attentamente anche l'intervento del sottosegretario Romani. Quest'ultimo ha affrontato i rilievi posti dalla Commissione europea - ripeto, con questo articolo aggiuntivo si risolvono solo in parte quei rilievi e non la parte più importante, come diceva giustamente l'onorevole Gentiloni - ma mi è dispiaciuto che, in questo clima di dialogo, non sia stata minimamente menzionata dall'autorevole rappresentante del Governo la sentenza del 31 gennaio scorso della Corte di giustizia delle Comunità europee. Forse, tale sentenza, pur rappresentando - come dice l'onorevole Buttiglione - un'indicazione per il Consiglio di Stato, è certamente un'indicazione anche per il Governo.Pag. 52
Ritengo, quindi, che questo articolo aggiuntivo sia estremamente pericoloso per i motivi che sono stati rilevati e credo che, per salvaguardare i nostri connazionali e la nostra Italia dalle sanzioni che sono in arrivo dall'Unione europea e dal risarcimento dei danni che, indubbiamente, sarà dovuto ad Europa 7, dovremmo affrontare questo argomento con la legge comunitaria o con una legge ordinaria, come viene ben detto nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del decreto-legge al nostro esame.
Non vedo assolutamente l'urgenza, oltretutto se - come ha detto il sottosegretario Romani, ma mi sia consentito di differire dalla sua opinione - non vi è da tutelare alcun tipo di interesse. Ben possiamo affrontare questo argomento in maniera migliore e più completa, non «alla chetichella» come si sta facendo. Per esempio, sarebbe opportuno consentire alla Commissione di cui faccio parte (mi riferisco alla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni, di cui ho l'onore di essere stato appena nominato segretario; ho, tra l'altro, ascoltato l'ottimo intervento della neovicepresidente Velo, alla quale porgo le mie congratulazioni e i miei auguri), nonché al Parlamento di poter discutere più approfonditamente di questo argomento, perché non vedo assolutamente quale fretta vi sia.
Rimango, comunque, convinto che il tipo di approccio anche sostanziale sia sbagliato. Tuttavia, all'esito di una ampia discussione - in cui, probabilmente, noi rimarremmo della nostra opinione - si farebbe, come dire, «meno violenza» al Parlamento.
Dico perché rimarremmo della nostra opinione: illegittime sono state dichiarate le proroghe che le leggi che si sono succedute hanno previsto (addirittura, l'ultima fino al 2012); si tratta di proroghe che in questo articolo aggiuntivo sono presenti e che, probabilmente, lo sarebbero anche in una nuova proposta di legge.
Tuttavia, ripeto, non va bene la sostanza, e nemmeno la forma con cui si affronta un argomento di questa straordinaria importanza, in un modo così, come dire, quasi occulto.
Pertanto anch'io mi associo all'invito di ritirare questa proposta emendativa o altrimenti (verrà espresso meglio in sede di dichiarazione di voto finale) faccio appello a parti della maggioranza che, come ricordavo all'inizio del mio intervento, hanno avuto un certo tipo di atteggiamento per quanto riguarda la norma sul patteggiamento allargato in termini di partecipazione alla bocciatura della proposta emendativa in questione (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signori del Governo penso che vi siano materie su cui è bene confrontarsi, in modo anche molto aspro, con una maggioranza ed una minoranza, mentre vi sono materie su cui è bene decidere in sedi comuni se non si vogliono ingenerare malizie e sospetti.
L'Italia, come si sa, è un caso particolare nello scenario quantomeno europeo, ma potrei dire persino mondiale perché, nel campo della comunicazione, non vi è chiarezza di regole a causa della presenza di posizioni oligopolistiche, di una certa arretratezza di un sistema che, nell'era della convergenza multimediale, richiederebbe innovazione, coraggio e transizione guidata di sistema.
Non è certamente così ed il lavoro svolto nella precedente legislatura, molto lungo, come l'onorevole Romani sa bene (ci abbiamo impiegato un anno per discutere insieme; sarebbe stato molto più semplice procedere a colpi di maggioranza) ha comunque determinato, alla fine, un clima positivo su un tema che, viceversa, è sempre stato assai combattuto nel nostro Paese.
È del tutto chiaro che la proposta emendativa presentata dal Governo va in un'altra direzione sul piano dei contenuti, Pag. 53non soltanto del metodo, e tutto ciò è davvero molto, ma molto preoccupante.
La procedura di infrazione, avviata nel 2005, è proseguita con un carteggio piuttosto lungo, come ben si sa, ed è tuttora in corso.
Il punto della messa in mora dal luglio 2006 riguarda la non conformità di alcuni aspetti della legge 3 maggio 2004, n. 112 alle regole comunitarie in materia di gestione efficiente dello spettro e di accesso non discriminatorio delle frequenze.
Non mi pare che la proposta emendativa presentata vada nella direzione di rimuovere tale ostacolo, tant'è vero che, di fatto, essa congela ciò che già esiste, ossia un oligopolio che non consente al mercato radiotelevisivo italiano di diventare un mercato seriamente liberalizzato; un mercato dove le frequenze possano essere, non solo cedute, ma anche utilizzate (previa una guida nella distribuzione da parte dell'Autorità delle comunicazioni e non certo da un Governo) non soltanto dai gestori che già le possiedono o che attualmente possiedono le frequenze analogiche, ma anche da nuovi gestori. Ciò significa aprire il mercato e non mi pare che andiamo in questa direzione.
In particolare, vorrei riferirmi alla perdurante esistenza di barriere all'ingresso per i nuovi operatori che sono oggi impossibilitati ad acquistare frequenze e dunque all'esigenza di rimuovere rapidamente tale situazione e le posizioni dominanti delle frequenze. Uso al riguardo volutamente la terminologia di posizione dominante, perché, come sapete, vi è stato un amplissimo dibattito sul fatto se sia legittimo o meno parlare di posizioni dominanti. La sentenza della Corte europea sul caso Microsoft afferma con chiarezza che esiste la possibilità che vi sia una posizione dominante. Di qui la terminologia di posizione dominante che uso dunque senza alcun timore. Per superare la posizione dominante, però, è evidente che occorre un'iniziativa legislativa, non un colpo di mano della maggioranza, non una proposta emendativa buttata lì e devo dire, tra l'altro, un po' trasformista.
E ancora, sappiamo che l'Italia mantiene in vigore le disposizioni di legge che disciplinano i servizi di trasmissione tecnica in digitale, che comportano oggi gravi problemi: riservano agli operatori analogici già esistenti la possibilità di avviare la sperimentazione in digitale; stabiliscono che il cosiddetto trading delle frequenze è consentito soltanto tra emittenti che trasmettono già in tecnica analogica; prevedono che la sperimentazione digitale possa essere effettuata unicamente dagli impianti che già diffondono il segnale analogico.
Su questo punto - lo dico anche ai colleghi della Lega - abbiamo discusso a lungo di come consentire all'emittenza locale, alle piccole emittenti di potere avere uno spazio nel mercato, dopodiché, con questa proposta emendativa, ricadremo esattamente nella situazione di sempre: pochi - e sempre gli stessi saranno quelli che hanno frequenze e risorse economiche e che potranno permettersi di fare il cosiddetto simul cast, cioè di lavorare contemporaneamente in analogico e digitale.
Tutto questo non ha nulla di democratico e non ha nulla che democratizza il mercato! E ancora, credo vi sia un problema, quello di creare le condizioni in base alle quali gli operatori analogici siano tenuti a restituire allo Stato le frequenze da essi attualmente utilizzate per le trasmissioni in tecnica analogica, che verranno a liberarsi dopo lo switch off, garantendo un valore che è molto importante, cioè un dividendo digitale da ridistribuire sia ai nuovi entranti sia alle televisioni locali, o da utilizzare per il completamento delle reti.
Di tutto questo, naturalmente, non si parla e si pensa che una proposta emendativa possa porre rimedio ad una situazione che, viceversa - insisto - è totalmente cristallizzata e si presenta come una sanatoria di ciò che già esiste, proprio perché l'abolizione dell'articolo della legge Gasparri, di fatto, favorisce, esattamente come favoriva precedentemente, il duopolio Pag. 54tra Rai e Mediaset (così anch'io sgombro il campo da sospetti che l'interesse possa essere di una parte sola).
È una manovra che chiude il mercato e impedisce a nuovi operatori di esistere e l'autorizzazione nelle mani di chi già esercita è una misura davvero assai grave, perché non consentirà mai l'innovazione di mercato.
Da questo punto di vista e in questo ragionamento vi è il problema, per esempio, di Europa 7, ma penso non solo a Europa 7, perché è un tema più generale che riguarda l'intero mercato, e cioè i titolari di concessioni televisive analogiche, ma non in grado di fornire servizi di radiodiffusione terrestre in tecnica analogica in tutto il territorio per mancanza di frequenze.
Le frequenze sono un bene importante e vanno ridistribuite in un modo equo. Lo dico sinceramente: oggi il sottosegretario Romani ha detto che non si nota che vi è una cosa molto importante, ossia il processo di digitalizzazione per aree territoriali.
Ora, dato che questo è davvero un punto rilevante, su cui vale la pena discutere e trovare accordi molti significativi - perché la transizione va guidata -, mi chiedo come si possa fare la digitalizzazione per aree geografiche, e quindi ridistribuire le frequenze per aree geografiche, se già in partenza le frequenze sono nelle mani degli stessi e sono irrigidite nel solito e tradizionale oligopolio. Bisogna evitare, quindi, che si prolunghino le autorizzazioni di fatto.
Vi sarebbero da dire molte altre cose, ma penso che il dividendo digitale sia inteso ad attenuare i problemi di squilibrio del mercato televisivo analogico, cioè di quegli editori che hanno concessioni, ma non frequenze. Vi è dunque un'esigenza di cambiamento in questo Paese, proprio sul piano del sistema delle comunicazioni che questo Governo - mi spiace dirlo - con questo atto non accoglie e non comprende e ciò mi stupisce davvero moltissimo.
È una proposta emendativa grave per i motivi che dicevo: se non si rimuovono oggi il duopolio e la situazione oligopolistica, si creano le condizioni per ripeterlo esattamente domani. L'Europa ci chiede di aprire il mercato; il vostro emendamento ripropone ciò che già esiste.
Sarebbe giusto avere un ragionamento bipartisan su questi temi, ma mi pare di capire che il clima, proprio su questi temi, non sia esattamente questo.
E allora, credo che incorreremmo in alcuni rischi, se approvassimo la proposta emendativa in esame, e ve lo dico con la cognizione di una persona che ha cercato di lavorare, di dialogare su questi temi a fondo. Vi sono rischi di natura istituzionale, perché non si cambia un sistema a colpi di emendamenti; non si utilizza una proposta emendativa in un provvedimento generale per modificare un sistema che dovrebbe avere, nella via tradizionale legislativa, il suo percorso democratico. Vi sono rischi di carattere economico, perché è evidente che un mercato non liberalizzato costringerà, proprio nell'era della multimedialità, a ritornare inevitabilmente ad una situazione di monopolio e oligopolio che non sono più tollerabili dal mercato radiotelevisivo nell'epoca della globalizzazione. Non è che viviamo solo in Italia e la televisione la vedono solo gli italiani: c'è anche un problema di come ci si misura con tutte le piattaforme e di come si riesce a fare in modo che nuovi soggetti entrino sul mercato. E vi è un problema di natura costituzionale, perché un modo di procedere di questa natura, con questi contenuti, inevitabilmente rischia di minare alcune libertà fondamentali; la prima delle quali in questo caso è la libertà dell'informazione e della sua autonomia. Se mettiamo assieme il provvedimento, la proposta emendativa in esame e le belle interviste su come deve diventare la RAI da parte del Governo, penso che qualche preoccupazione non sia certamente di parte, ma sia legittima da parte di chiunque ami la democrazia nel nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Siragusa. Ne ha facoltà.

ALESSANDRA SIRAGUSA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, confesso di essere spiazzata da quanto sta accadendo in Aula tra ieri e oggi. Trovo, infatti, che la proposta emendativa presentata dal Governo al decreto-legge che stiamo trattando sia assolutamente in contrasto con quanto avevamo sentito prima in Aula; in contrasto quindi con il modo in cui la maggioranza e il Presidente del Consiglio si sono presentati all'Italia e a noi.
Il suo discorso di insediamento, signor Presidente, e il primo discorso alla Camera del Presidente del Consiglio risultano secondo me palesemente in contrasto con questo tipo di inizio dell'attività legislativa e parlamentare. Abbiamo ascoltato ed apprezzato discorsi da statisti, discorsi super partes con larghe aperture, che sono state apprezzate in più di un passaggio dall'opposizione; discorsi però largamente in contrasto con gli emendamenti presentati. Un Governo che come primo atto porta in Parlamento non i provvedimenti che realizzano gli impegni assunti con le cittadine e i cittadini italiani, ma emendamenti che hanno una finalità esclusiva, cioè gli interessi personali del Presidente del Consiglio: ecco quello che mi spiazza e spiazza, credo, tutti i cittadini italiani.
Ci saremmo aspettati di trattare primariamente in quest'Aula i provvedimenti che sono stati oggetto degli impegni elettorali e che i cittadini e le cittadine italiane aspettano; per tale motivo hanno votato questa maggioranza. Questa vicenda, quindi, non è offensiva soltanto per il Parlamento, così come l'onorevole Zaccaria ha notato, ma anche per le cittadine e i cittadini, cui bisogna spiegare che in Aula vengono esaminati provvedimenti che favoriscono gli interessi economici del Presidente del Consiglio e della sua famiglia e non quelli dei cittadini italiani.
Inoltre, considerato che la proposta emendativa in questione - ne siamo certi - provocherà senza dubbio l'avvio di un procedimento di infrazione e quindi una sanzione amministrativa nei confronti dell'Italia, è naturale immaginare che, come conseguenza del provvedimento, gli italiani saranno costretti a pagare con le loro tasche gli interessi del Presidente del Consiglio. L'infrazione europea infatti costerà una sanzione amministrativa che sarà pagata dalle tasche dei cittadini. Pertanto, mentre si proclamano a Napoli alcuni provvedimenti che sanno di paternità universale, occupandosi dei problemi dei cittadini, dei mutui, dell'ICI, dei rifiuti, si dimostra però nei fatti una paternità singolare nei confronti della propria famiglia e degli interessi della propria famiglia.
E ciò, dicevo, nonostante le tante sentenze e i tanti provvedimenti delle Corti italiane ed europee già citati in quest'Aula. Le sanzioni amministrative che saranno comminate dall'Unione europea all'Italia saranno pagate dai cittadini che avranno sì i mutui a tasso fisso e vedranno allargata la fascia di esenzione dei mutui così come la fascia di esenzione dell'ICI, che però era già stata abbattuta dal Governo Prodi, ma vedranno anche aumentare le imposte e diminuiti i servizi per il solo motivo e per il solo scopo che il Governo - questo sembra dimostrare al momento con la presentazione dell'articolo aggiuntivo in questione - tiene in conto più gli interessi particolari di Mediaset e della famiglia Berlusconi, piuttosto che quelli di un Paese povero come l'Italia, in cui i cittadini e le cittadine si sentono insicuri perché non riescono ad arrivare alla fine del mese.
In Sicilia, la terra da cui provengo, il 40 per cento dei giovani è disoccupato; centinaia e centinaia sono gli adulti cinquantenni che sono costretti a lasciare il lavoro, vengono licenziati, e non riescono più ad inserirsi nel mondo del lavoro. Le famiglie che non riescono ad arrivare alla terza settimana sono sempre più numerose; i ragazzi e le ragazze sono costretti ad andare via, e non soltanto quelli che hanno una bassa scolarità ma anche e soprattutto i giovani laureati. Alla Sicilia e al Paese che ho descritto il Governo si presenta invece con questo primo atto in Parlamento, la presentazione di un articolo Pag. 56aggiuntivo che tiene in conto solo interessi particolari e non interessi collettivi.
Si tratta di un articolo aggiuntivo ad un decreto-legge che anche nella forma - è stato già detto - noi non condividiamo, perché non ha niente di urgente. Quanto urgenti sono i problemi del Paese, tanto meno urgenti sono, se non per le ragioni già citate dall'onorevole Zaccaria, i problemi che tale articolo aggiuntivo mira a risolvere.
Il dialogo tra maggioranza e opposizione, che, forse illudendoci, abbiamo pensato potesse realizzarsi in questa prima fase, può e deve esistere se l'oggetto di tale dialogo è il benessere dei cittadini e delle cittadine; non può e non deve esistere se in ballo ci sono solo gli interessi personali della famiglia del Presidente del Consiglio. Pertanto la richiesta di ritiro di questo articolo aggiuntivo credo che sia non soltanto più che legittima, ma anche molto saggia.
Noi ci auguriamo che la maggioranza si renda conto della situazione e voglia offrire al Parlamento e al Paese un altro tipo di percorso, più coerente con le cose dette all'inizio di questa legislatura, più coerente con le aperture che abbiamo sentito e apprezzato e alle quali siamo stati disponibili, ma che improvvisamente vengono a cessare, oggi, con una discussione che non credo riguardi gli interessi diffusi, veri e concreti delle persone che si aspettano invece da noi altro, mentre si ritrovano, ancora una volta, rigettate ad un tempo che pensavamo passato, quello delle leggi ad personam.
L'auspicio è che questo articolo aggiuntivo possa essere ritirato e che possa essere ripristinato un clima di dialogo e di confronto che abbia come obiettivo il benessere del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lovelli. Ne ha facoltà.

MARIO LOVELLI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, conosciamo i motivi per cui il decreto-legge in esame è stato approvato dal Governo precedente, a seguito di una valutazione che ha riguardato, già a partire dalle precedenti sessioni concernenti l'attuazione delle legge comunitaria, la procedura più opportuna da seguire per dare tempestività all'intervento del Parlamento nel recepimento delle direttive comunitarie. Praticamente da qualche anno va avanti una procedura che vede da una parte la legge comunitaria annuale che viene esaminata ed approvata, e dall'altra - attraverso il cosiddetto sistema binario - un decreto-legge con cui vengono raccolte le questioni più urgenti che meritano un intervento da parte del Parlamento, per evitare procedure di infrazione comunitaria.
Bisogna dire che negli ultimi due anni, grazie ad una particolare attenzione prestata a questa esigenza - che è anche un'esigenza di responsabilità nazionale nei confronti delle istituzioni comunitarie -, abbiamo portato le procedure di infrazione sotto la soglia di duecento (che rappresentava un limite troppo elevato che era stato raggiunto), e ci stiamo avviando verso una normalizzazione.
I colleghi che erano presenti in Aula nella precedente legislatura ricorderanno che in occasione della discussione della legge comunitaria 2007 - che venne poi approvata con la legge n. 34 del 25 febbraio 2008 - non è stato possibile inserire in quel provvedimento normativo alcuni contenuti, dal momento che non vi fu l'accordo tra la maggioranza e l'opposizione di allora. Di fatto, alcuni aspetti del decreto-legge che stiamo esaminando sono determinati dal fatto che allora gli stessi non furono inseriti nel testo generale della legge comunitaria.
Logica vorrebbe, quindi, che lo spirito di collaborazione che venne richiesto allora dalla minoranza - per cui si decise che certi aspetti della legge comunitaria non venissero affrontati - rimanesse valido anche in questo momento. Nel momento in cui esaminiamo un decreto-legge del Governo, necessitato dalla situazione che si era creata a fine legislatura, sarebbe cioè auspicabile che lo spirito collaborativo Pag. 57tra le forze parlamentari consentisse di condurre rapidamente in porto tale provvedimento, come era d'altronde nelle intenzioni iniziali, rimandando poi a provvedimenti successivi più organici, più approfonditi e più meditati alcune scelte che invece, con alcuni emendamenti che sono alla nostra attenzione, vengono adesso proposti all'approvazione dell'Assemblea.
Naturalmente mi riferisco, in prima battuta, all'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo che riguarda la questione delle frequenze televisive, su cui molti colleghi prima di me si sono soffermati nella giornata odierna.
Naturalmente, prima di tutto, l'osservazione che viene evidente è che, appena si parla di informazione radiotelevisiva, è come se si andasse a toccare un nervo scoperto di questa maggioranza. Abbiamo letto e sentito dichiarazioni del sottosegretario Romani che, nei giorni scorsi, sui giornali ha fatto le pagelle ad alcuni conduttori radiotelevisivi; abbiamo letto oggi un'intervista del collega Barbareschi nella quale egli sostiene che «adesso è venuto il momento di occupare e di prendere le nostre posizioni nella RAI» ed è in atto infine, come sappiamo, una discussione in Commissione di vigilanza - dove per accordo ormai acclarato la presidenza della Commissione stessa deve andare alla minoranza - che tende a mettere in discussione anche le proposte provenienti, in quella situazione, dal complesso dell'opposizione.
Mentre avviene - guastando un clima politico che è stato prospettato in una versione diversa all'inizio della legislatura -, improvvisamente viene presentato alla nostra attenzione il suddetto articolo aggiuntivo, del quale non possiamo darci una spiegazione che non sia quella che è già stata chiaramente esposta in quest'Aula da molti colleghi prima di me.
Altrimenti la domanda che verrebbe naturale porsi è per quale ragione sia stato presentato tale articolo aggiuntivo. Inoltre, quale attinenza ha con la materia del decreto? Perché non presentare un disegno di legge ordinario, completo e organico? Perché non presentare eventualmente un provvedimento da inserire nella prossima legge comunitaria?
Ebbene, voglio ricordare a tutti voi che nella precedente legislatura era stato presentato dal Governo, come sapete, un disegno di legge a prima firma dell'allora Ministro Gentiloni che riguardava la regolamentazione della transizione verso il sistema digitale e alla Camera (mentre nell'altro ramo del Parlamento venne invece presentato un progetto per il riassetto dell'azienda RAI) tale disegno di legge coinvolse l'attività di ben due Commissioni parlamentari.
Tale circostanza, che non avviene ordinariamente, sta ad indicare l'attenzione rivolta alla materia nonché l'interesse e la volontà politica della maggioranza di allora di farne un argomento partecipato e di non varare alcun provvedimento punitivo ma utile innanzitutto all'Italia. Ebbene, quel disegno di legge si è trascinato per tutta la (ahimè) breve durata della scorsa legislatura e in ordine ai ritardi e al fatto che il disegno di legge non sia potuto giungere all'esame dell'Assemblea, nonostante fosse stato licenziato dalle Commissioni riunite, vi è evidentemente una responsabilità dell'allora opposizione che adesso invece è maggioranza di Governo.
Voglio sottolineare che stiamo discutendo di una questione datata e che si trascina almeno da quando, nel luglio del 1999, attraverso il bando emesso per l'utilizzo delle frequenze televisive, un'emittente televisiva vincitrice non riuscì a valersi del proprio risultato, perché le frequenze non erano disponibili.
Da allora, come sappiamo, si sono succeduti provvedimenti sia di carattere legislativo, sia da parte di organismi di controllo o di garanzia, compreso il massimo garante della Costituzione, la Corte costituzionale, sino ad arrivare alle sedi europee che alla fine di un lungo percorso - nel gennaio di quest'anno - hanno espresso l'ultima posizione in materia.
Insomma, a seguito di un iter così lungo e di precise prese di posizione dell'Unione europea ci troviamo in una Pag. 58fase in cui è necessario prendere provvedimenti adeguati e organici e tali provvedimenti non possono limitarsi ad introdurre surrettiziamente una proposta emendativa in sede di conversione di un decreto-legge il cui contenuto era stato, di fatto, concordato nella fase transitoria di passaggio tra una legislatura e l'altra e che invece, in tal modo, diventa una sorta di primo condono della nuova legislatura. È come se compissimo quale primo atto politico importante della nuova legislatura una sanatoria, un condono che ci riporterebbe a tradizioni di anni passati che non vorremmo più riproporre, soprattutto perché si tratta della stessa maggioranza che ha sostenuto di non voler più usare strumenti di tal genere e ha anche proposto in modo chiaro, nella seduta di insediamento del Governo in cui venne concessa la fiducia, di aprire una fase di dialogo e di colloquio fra maggioranza ed opposizione nell'interesse del Paese.
A ciò siamo disponibili, ma se vogliamo farlo davvero dobbiamo dire dove si trova l'urgenza di quanto ci viene proposto e soprattutto ragionare che, il fatto che l'articolo aggiuntivo del Governo sia stato dichiarato ammissibile dalla Presidenza della Camera - e su tale decisione naturalmente non ho osservazioni specifiche da fare - non significa che tale ammissibilità abbia valore anche dal punto di vista politico, oltre che da quello giuridico e regolamentare. Infatti, con una scelta politica si sta decidendo di andare in una direzione che meriterebbe da parte di questo Parlamento ben altra discussione.
Oggi si sono insediate le Commissioni e abbiamo ascoltato dal neopresidente della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni una dichiarazione di ampia disponibilità al dialogo e al confronto. Per la verità, è stato anticipato un incontro informale lunedì pomeriggio, alle 18.30, con il sottosegretario Romani. Naturalmente questo è un passaggio che apprezziamo, ma vorremmo che non rimanesse un gesto senza alcuno sbocco.
Infatti, pensiamo che, se si vuole dare un significato a quanto si è detto oggi in Commissione e all'incontro informale di lunedì tra il sottosegretario e i componenti della Commissione stessa, esso deve consistere nel ritiro di questo articolo aggiuntivo per passare ad una fase di confronto di merito che prenda il via da testi e da proposte di legge che consentono di affrontare organicamente la questione.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione richiamando brevemente anche un altra proposta emendativa che ritengo utile portare all'attenzione dell'Assemblea. Tale proposta di per sé sembrerebbe abbastanza marginale, ma è molto interessante dal punto di vista dell'economia del nostro Paese. Il Governo ha presentato l'articolo aggiuntivo 8.05 riguardante la direttiva CE in materia di etichettatura dei prodotti di cioccolato. Questa proposta, che di per sé appare riguardare un argomento di non particolare rilievo, entra nel merito dell'etichettatura della dizione «cioccolato puro», cui verrebbe aggiunta «burro di cacao».
Sappiamo che i prodotti come il cioccolato rappresentano un campione nazionale, che ha un rilievo sia per quanto riguarda l'artigianato e il prodotto di qualità artigianale, ed è un po' un simbolo del made in Italy, sia dal punto di vista industriale, tanto è vero che nella legge comunitaria per il 2005 questo problema era stato risolto - di fronte ad una proposta che lo affrontava - accantonandolo.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO LOVELLI. Concludo, signor Presidente. Noi pensiamo che la stessa cosa debba essere fatta adesso, perché non vi è né l'urgenza, né la necessità di rispondere ad un'infrazione comunitaria reale, che semmai è soltanto potenziale. Tuttavia, ne parleremo perché è evidente che gli interessi dei Paesi del nord rispetto ai nostri, in particolare l'area scandinava o la Gran Bretagna, sono diversi, ma sicuramente non vi è l'urgenza di affrontarli adesso. Ritengo che sarebbe opportuno soprassedere, affrontarli nella sede giusta, ovvero la prossima legge comunitaria, in una logica che salvaguardi l'interesse Pag. 59nazionale che, anche in questo caso, è importante dal punto di vista economico ed è, quindi, utile che ce ne occupiamo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Porfidia. Ne ha facoltà.

AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi del gruppo Italia dei Valori, sin durante la nostra campagna elettorale abbiamo sempre posto la libertà di informazione tra i primi punti del programma e tra le priorità dello stesso. Premetto che su questo tema daremo battaglia, dentro e fuori quest'Aula, allorché ci accorgeremo che si cercherà di fare qualcosa contro l'interesse dei cittadini italiani e a vantaggio di alcune persone. Infatti, il diritto alla libera informazione, riconosciuto dalla Costituzione, è sacrosanto e deve essere difeso in tutti i modi.
Ritengo che ognuno singolarmente in quest'Aula, ed ogni gruppo presente in Assemblea, sia convinto che l'Europa abbia rappresentato un grande traguardo per tutti, che deve essere rafforzato e rispettato. Ho l'impressione, però, che quando si discute di sistema televisivo tutto ciò non sia più vero, soprattutto perché si tratta di un argomento che interessa ad una sola persona: il Presidente del Consiglio dei ministri. Anzi, ci stiamo convincendo sempre di più - e la proposta emendativa presentata dal Governo ne è una prova - che si cercherà in tutti i modi, attraverso sotterfugi, come è avvenuto nel passato, di non adeguarsi a tutte le sentenze che si sono susseguite in questi anni, a partire da quelle della Corte costituzionale. Certamente, non sono solo io a sostenerlo perché anche l'ultima sentenza della Corte di giustizia europea, emanata il 31 gennaio 2008, così afferma: «l'applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa a favore delle reti esistenti ha avuto l'effetto di impedire l'accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze, con l'effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali già attivati».
Questo argomento è stato già ampiamente trattato nel passato fino a che, come ricordavo prima, il 20 novembre 2002 la Corte costituzionale ha emanato la sentenza n. 466 che è stata continuamente disattesa. Tale sentenza - guarda caso - chiarisce che Retequattro ha occupato illegalmente la frequenza di un'altra tv privata, Europa 7. Ebbene, nonostante siano trascorsi più di cinque anni, Retequattro non ha ancora ottemperato alla pronuncia e - cosa grave - ciò è accaduto attraverso leggi varate dai vari Governi Berlusconi, determinando un grave e palese conflitto di interessi a cui è interessato principalmente l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, vale a dire la persona che, secondo me, più di tutti dovrebbe assicurare il rispetto delle leggi e delle regole.
Mi piace ricordare che già il 6 settembre 2003, quando l'onorevole Gasparri (allora Ministro) presentò al Consiglio dei ministri il disegno di legge in materia, Berlusconi si allontanò proprio perché era in palese conflitto di interessi. Quel disegno di legge trovò ostracismo addirittura da parte del Presidente della Repubblica proprio perché era ritenuto incostituzionale; con esso si consentiva a tutte le reti Mediaset di continuare a trasmettere in barba a tutte le norme; anzi, come se non bastasse, si permetteva addirittura di aumentare la raccolta pubblicitaria attraverso meccanismi tecnici che, anzi, io chiamerei artifici. Infatti, dal momento che la legge stabiliva che nessun editore poteva controllare più del 20 per cento dei canali nazionali, il Ministro Gasparri ha aumentato il numero delle reti nazionali da dieci a quindici e - guarda caso - il 20 per cento di quindici è tre: proprio il numero delle tv che fanno parte di Mediaset!
Come se non bastasse, il secondo punto del disegno di legge prevedeva che vi fosse un aumento del paniere pubblicitario, anche questo attraverso un sotterfugio: facendo credere di abbassare il tetto al 20 per cento (perché fino ad allora, in base Pag. 60alla vecchia norma, era fissato al 30 per cento), si faceva in modo che lo stesso venisse calcolato non solo sulle proprietà delle televisioni, ma anche su quella di altri mezzi di comunicazione, quali giornali, siti Internet e radio. Si inventava, inoltre, il cosiddetto SIC, ossia il sistema integrato delle comunicazioni. Tutto ciò ha comportato un aumento notevole della possibilità di fatturazione per la pubblicità.
La cosiddetta legge Gasparri è stata da molti definita spudorata ed osteggiata dal Quirinale; la sentenza della Corte costituzionale, come dicevo prima, è stata confermata dalla sentenza della Corte di giustizia del 31 gennaio 2008 ma, guarda caso, appena Berlusconi si è nuovamente insediato ed è diventato Presidente del Consiglio dei ministri, ad appena un mese dalle elezioni, con un altro blitz ha cercato di andare al di là delle sentenze della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea. Eppure, il Parlamento dovrebbe essere l'organo più democratico esistente in Italia, dovrebbe essere di esempio per tutti i cittadini italiani nel far rispettare le leggi; invece, ancora una volta, si tenta di aggirare le stesse.
Mi chiedo: crediamo o no nell'Europa? Se ci crediamo, dobbiamo porre in essere atti conseguenti anche alle leggi e alle regole che la stessa ci detta.
Noi del gruppo Italia dei Valori abbiamo presentato una proposta emendativa che ha una logica: a seguito dell'approvazione del disegno di legge collegato alla legge finanziaria per il 2008 - che differisce al 2012 il termine per il passaggio al digitale terrestre - diventa indifferibile approvare una proposta emendativa che faccia eseguire la sentenza della Corte di giustizia europea, evitando infrazioni che sarebbero costosissime per il nostro bilancio e per i nostri cittadini, che alla fine sono quelli che pagano. Stiamo cercando, pertanto, di salvaguardare il principio dell'interesse nazionale, quello di legalità - attraverso l'applicazione di una sentenza della Corte di giustizia europea - e il principio del risparmio, per impedire che il nostro Paese e i nostri cittadini siano costretti a pagare per un abuso commesso e riconosciuto.
Sono convinto che gli italiani che hanno votato per l'attuale maggioranza non vogliano e non approvino tutto ciò: non hanno dato un mandato per approvare leggi ad personam. È trascorso soltanto un mese dalle ultime elezioni e questo Governo, invece di concentrarsi su problemi delicatissimi che interessano soprattutto le fasce sociali più deboli, pensa di fare approvare una legge con la quale, attraverso una semplice proposta emendativa, vuole aggirare una legge dello Stato e una legge europea. Il Governo ha addirittura cercato, con una proposta emendativa, di venir meno anche al rapporto fiduciario con i cittadini italiani, con riferimento al tema della giustizia. Fortunatamente, quella proposta emendativa riguardante la giustizia - che era stata inserita nel pacchetto sicurezza -, grazie alla nostra azione di pressione, di protesta e di opposizione è stata ritirata.
Rivolgo al Governo, quindi, l'invito a ritirare la proposta emendativa in discussione e a riportare giustizia in un sistema cruciale della nostra organizzazione. Se ciò non avviene, a nome mio e del gruppo Italia dei Valori, preannunzio il nostro voto contrario (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bachelet. Ne ha facoltà.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, prima del mio intervento permettetemi di condividere con voi una tristissima notizia che mi è appena arrivata, quella della morte del dottor Paolo Giuntella, giornalista RAI che molti di voi conoscono e che ha seguito negli ultimi anni il Presidente della Repubblica per il Tg1. Egli è stato anche mio capo scout, maestro di vita e di fede, è la persona alla quale devo la mia formazione politica che, in ultima analisi, mi ha portato fin qui.Pag. 61
Entro ora nel merito del mio intervento, il cui scopo è invitare il Governo a ritirare l'articolo aggiuntivo in discussione.
«Se a ciascun l'interno affanno si leggesse in fronte scritto, quanti mai, che invidia fanno, ci farebbero pietà». Quando, qualche giorno fa, il Presidente del Consiglio si è rivolto a noi dell'opposizione con tanta giovialità, non avrei mai creduto che, dietro a quel sorriso così luminoso, potesse celarsi un cruccio. Ero convinto che avesse ragione un mio amico veltroniano che, in un circolo del Partito Democratico, mi aveva detto giorni fa le seguenti parole: questa volta non è come nel 2001; ormai il falso in bilancio è «sistemato», le cinque cariche principali sono al riparo dai processi penali, la legge sulle televisioni è fatta, così come quella sul conflitto di interessi e quindi, adesso, l'onorevole Berlusconi può dedicarsi davvero ai problemi dell'Italia. Fa bene Veltroni ad avere impostato un'opposizione britannica, capace di misurarsi sui provvedimenti in modo puntuale e leale. Basta con queste demonizzazioni! Basta con questa lagna sul conflitto di interessi e sull'ineleggibilità di chi è titolare di una concessione governativa! Misuriamoci finalmente sui problemi dell'Italia, come accade nei Paesi moderni.
Invece no: il sorriso celava un cruccio legato a un'ultima piccola questione ancora da sistemare: con un colpo di mano, per l'ennesima volta, si tenta di resistere alle regole europee e si propone di inserire in coda a un decreto-legge del precedente Governo un provvedimento di dubbia costituzionalità, che non è stato sottoposto, a causa di questa procedura, all'esame delle Commissioni competenti.
Non vi sembra, signori del Governo, che con la maggioranza che vi ritrovate si potesse più lealmente e garbatamente presentare un apposito disegno di legge o almeno un decreto ad hoc in modo più trasparente? Si vede che gli interessi televisivi premono. Infatti, al metodo alquanto villano e tutt'altro che garbato, che vanifica in meno che non si dica lo spirito di tipo nuovo strombazzato almeno una settimana fa, si aggiunge il merito di un provvedimento per più ragioni inaccettabile. La proposta emendativa, infatti, introduce disposizioni comunitariamente illegittime, in quanto contrarie anche alla sentenza resa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee il 31 gennaio scorso nel noto caso Centro Europa 7.
Ne consegue che, attraverso un procedimento parlamentare inadeguato quanto a tempi e possibilità di approfondire, si perverrebbe all'approvazione di disposizioni frontalmente contrastanti con la citata sentenza, oltre che inadeguate a rispondere ai rilievi proposti dalla Commissione europea, così aggravando ulteriormente la posizione dell'Italia dinanzi all'Unione europea, non raggiungendo l'obiettivo di evitare il deferimento del nostro Paese dinanzi alla Corte di giustizia ed anzi esponendolo al certo avvio di nuove procedure e sanzioni.
Inoltre, è noto che la Corte costituzionale ritiene che le disposizioni interne contrastanti con il diritto comunitario, specie se fatto oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee, devono essere disapplicate o non applicate da tutti gli organi, tanto amministrativi quanto giurisdizionali dello Stato membro, cosicché saremmo in presenza di disposizioni radicalmente viziate da illegittimità comunitaria.
Dal canto suo, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha specificato che, a seguito di una sentenza emessa su domanda pregiudiziale da cui risulti l'incompatibilità di una normativa nazionale con il diritto comunitario, è compito delle autorità dello Stato membro interessato adottare provvedimenti generali o particolari idonei a garantire il rispetto del diritto comunitario sul loro territorio, vigilando in particolare affinché il diritto nazionale sia rapidamente adeguato al diritto comunitario e affinché sia data piena attuazione ai diritti che sono attribuiti ai singoli dall'ordinamento comunitario.
Ciò posto, vorrei cominciare dalle disposizioni che si pongono in frontale contrasto con la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. Il comma 3 dell'articolo aggiuntivo 8.015, Pag. 62nella parte in cui dispone: «La prosecuzione nell'esercizio degli impianti di trasmissione è consentita a tutti i soggetti che ne hanno titolo, anche ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (...)», ossia anche a quei soggetti, come Retequattro, che hanno operato e continuano ad operare in forza dei regimi transitori introdotti dalla legge Maccanico, dal decreto-legge «salva reti» e dalla legge Gasparri, si pone in frontale contrasto con la citata sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee nei seguenti passaggi: 1) indipendentemente dagli obiettivi perseguiti dalla legge n. 249 del 1997 con il regime di assegnazione delle frequenze ad un numero limitato di operatori, si deve considerare che l'articolo 49 ostava ad un regime siffatto; 2) la medesima valutazione si impone per quanto riguarda il regime di assegnazione delle frequenze ad un numero limitato di operatori, in applicazione della legge n. 112 del 2004. Tale regime non è stato attuato sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati, in violazione dell'articolo 49 e, a decorre dal momento della loro applicabilità, dell'articolo 9.1 della direttiva quadro, degli articoli 5.2, secondo periodo, e 7.3 della direttiva autorizzazioni, nonché dell'articolo 4.2 della direttiva concorrenza.
Il citato comma 3 si pone altresì in patente contrasto con il parere motivato della Commissione europea del 18 luglio 2007. In detto parere la Commissione ha, infatti, contestato all'Italia che la legge Gasparri attribuisca diritti speciali vietati dagli articoli 2 e 4 della direttiva 2002/77/CE, direttiva concorrenza, laddove prolunga, sino alla data dello switch off delle trasmissioni analogiche, l'autorizzazione a proseguire le trasmissioni in tecnica analogica terrestre in favore di operatori che non sono titolari della concessione analogica, quale è notoriamente il caso di Retequattro.
In particolare, la Commissione sottolinea che queste disposizioni accordano a detti operatori un evidente vantaggio a danno delle altre aziende, segnatamente di quelle come Europa 7, che, pur essendo titolari di concessione analogica, non sono in grado di fornire servizi di radiodiffusione terrestre in tecnica analogica per mancanza di frequenze disponibili.
Di tutti questi rilievi la proposta emendativa del Governo non si fa minimamente carico, arrivando al risultato paradossale di riproporre e addirittura proiettare nel futuro le stesse violazioni contestate dalla Commissione. Il precedente Governo aveva, invece, esplicitamente riconosciuto l'esattezza dei rilievi dell'Esecutivo europeo, ammettendo testualmente che «le disposizioni della legislazione italiana attribuiscono diritti speciali ai sensi degli articoli 2 e 4 della direttiva sulla concorrenza per quanto riguarda l'autorizzazione a proseguire le trasmissioni in tecnica analogica fino alla data dello switch-off assicurata agli operatori privi della concessione televisiva analogica (articolo 25, comma 11, della legge n. 112 del 2004)». Anche sotto questo profilo appare estremamente inopportuna la scelta di mutare radicalmente la posizione ufficialmente assunta dal nostro Paese in sede di Unione europea, per giunta attraverso l'adozione di un decreto-legge palesemente contrastante con la normativa comunitaria, con la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e con gli affidamenti creati ai massimi livelli istituzionali in merito a un pronto adeguamento dell'Italia al diritto europeo.
Anche il comma 4 dell'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo si rivela assolutamente inadeguato a rispondere ai motivati rilievi della Commissione europea. La Commissione, infatti, ha contestato che l'attuale disciplina italiana attribuisce illegittimamente agli operatori già operanti la possibilità di convertire in digitale un numero di reti addirittura superiore a quello delle loro attuali reti analogiche, così consentendo a questi operatori di trovarsi in una situazione migliore sotto il profilo della concorrenza rispetto al periodo precedente al passaggio alla nuova tecnica e permettendo loro di convertire tutte le reti analogiche in reti digitali (comprese le reti per le quali non era stata Pag. 63allora accordata una concessione analogica, così come avviene per il gruppo Mediaset con Retequattro). La proposta emendativa ignora completamente tali rilievi della Commissione riconfermando implicitamente la possibilità di convertire in reti digitali tutte le reti detenute dagli operatori esistenti anche se in base al mero generale assentimento previsto dal regime transitorio della cosiddetta legge Gasparri. In proposito, determinante risulta il richiamo, contenuto nel comma 4 dello stesso articolo aggiuntivo, al fatto che i diritti d'uso delle reti televisive digitali saranno assegnati in base alle procedure definite dall'Autorità nella delibera n. 603/07/CONS. Il richiamo di tali criteri, che sono quelli prefigurati per l'assegnazione delle frequenze in Sardegna, una volta che sarà attuata la completa digitalizzazione della regione, comporta che gli attuali operatori dominanti conserveranno la titolarità di tutte le reti analogiche e digitali già detenute, così che Mediaset verrà a detenere, a regime, ben sei reti digitali (attualmente essa esercisce tre reti analogiche e tre reti digitali). In altri termini, in mancanza di un limite alla detenzione di reti a frequenze digitali, che non viene introdotto neanche con l'articolo aggiuntivo 8.015 del Governo, nessuno potrà contestare, anche in futuro, agli attuali operatori la titolarità delle frequenze ora detenute. Solo l'assegnazione delle poche frequenze eventualmente residue, il cosiddetto «dividendo digitale» sarà oggetto di assegnazione attraverso procedure comunitarie, ma esclusivamente dopo che saranno state fatte salve le situazioni di favore in cui versano gli operatori dominanti, prima tra tutti Mediaset. Inoltre, gli esperti del settore dubitano che in tutte le regioni vi sarà un «dividendo digitale» data la diversità delle condizioni orografiche e radioelettriche delle stesse.
In definitiva, la proposta emendativa non soddisfa le richieste vincolanti della Commissione e tanto meno il rispetto della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee sul caso Europa 7, continuando ad affidare la soluzione dei problemi di illegittimità costituzionale e comunitaria della nostra disciplina radiotelevisiva alla completa conversione delle trasmissioni in tecnologia digitale. Si tratta, però, di una conversione fissata, nella migliore delle ipotesi, nel 2012 e che, anche in sede europea, tende sempre più ad essere differita al 2015, con la conseguenza che, ancora per molti anni, l'attuale sistema transitorio analogico continuerà a riproporsi nei termini attuali e giudicati da tutti illegittimi costituzionalmente (quantomeno dal 1994) e ora anche a livello comunitario.
Per questi motivi, chiedo al Governo di ritirare la proposta emendativa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Bachelet, la Presidenza della Camera si associa alle sue parole di cordoglio per l'improvvisa scomparsa del dottor Paolo Giuntella.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro per i rapporti con il Parlamento, intervengo per sottolineare alcuni aspetti di questa vicenda, la quale tradisce nelle sue premesse e nelle sue conseguenze molte delle cose che abbiamo sentito, non più tardi di una settimana fa, annunciare dal Presidente del Consiglio davanti alle Camere. Mi riferisco a questo clima nuovo, assertivamente bipartisan che voleva contraddistinguere, almeno nelle intenzioni, l'avvio di questa legislatura. Viceversa, la proposta emendativa in questione avanzata dal Governo in maniera un po' surrettizia (sebbene abbia notato nelle parole del Presidente Fini un'opportuna puntualizzazione in merito alla decisione sull'ammissibilità della proposta emendativa, con la quale il Presidente ha precisato di non entrare nel merito, poiché ciò compete esclusivamente al dibattito politico d'Aula, e ho dunque apprezzato il modo signorile volto a «toglierci dall'impiccio» causato da tale proposta) introduce l'ennesimo capitolo di questa brutta pagina della storia del «lodo Retequattro».Pag. 64
Questo «lodo Retequattro» è addirittura assurto a dignità di voce enciclopedica, tanto è diventato emblematico di una giustizia negata che, da ormai più di dieci anni, continua a perseverare nelle aule di tutti i tribunali, non solo italiani ma anche europei, rispetto ad una posizione soggettiva violata. Si tratta di una posizione soggettiva che riguarda un imprenditore televisivo, il quale, pur avendo vinto un'asta pubblica nel 1999 e pur avendo ottenuto la concessione di una banda radiotelevisiva, ancora oggi non ha la possibilità di espletare il suo ruolo d'imprenditore e la sua attività economica per la mancanza della concessione, che pure gli è dovuta.
Non intendo sottolineare solo questo aspetto, sia pure importante della vicenda, della lesione di un diritto soggettivo dell'imprenditore che vede negato il suo diritto d'impresa, perché la violazione che la proposta emendativa porta con sé è molteplice, per così dire «multilivello», ed attenta ai rapporti istituzionali tra il potere legislativo e quello giudiziario. Essa, infatti, nega la validità di pronunce ormai consolidate della Corte costituzionale, della Corte di giustizia delle Comunità europee, del TAR e del Consiglio di Stato; in altre parole tale proposta, come si suol dire, «se ne fa un gran baffo» di tutto quello che è stato un contenzioso articolato e - direi - quasi unisono di sentenze che hanno decretato l'illegittimità di provvedimenti, che questo ramo del Parlamento aveva a suo tempo adottato in violazione dei principi costituzionali che considerano il pluralismo nell'informazione un cardine della nostra stessa democrazia.
Da questo punto di vista si prefigurano una serie di sanzioni: europee per quanto riguarda le procedure di infrazione che ci attendono e che sono già state avviate, e risarcitorie per le legittime - a mio giudizio - pretese che questo imprenditore ha avanzato davanti ai giudici amministrativi per ottenere i miliardi di risarcimento dei danni lamentati per la mancanza di attività di impresa a lui negata.
Tutto ciò si tradurrà in una sorta di canone occulto che i cittadini italiani dovranno pagare, sia che abbiano sia che non abbiano la televisione. È anche questo il paradosso: tutti pagheremo un balzello legato alle sanzioni. Si parla di 400 mila euro al giorno - chiedo al collega Evangelisti di dirmi se sbaglio - e di otto miliardi di euro di risarcimento del danno: tutto ciò graverà sulle già esangui casse del nostro erario, in altre parole sulle tasche dei cittadini.
Devo dire inoltre che questa proposta emendativa avanzata dal Governo è una patente violazione del diritto fondamentale enunciato dall'articolo 21 della Costituzione: il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero che si declina anche nella libertà di informazione. È questa, secondo me, una delle peculiarità più pregnanti che dovrebbero indurre il Governo a ritirare tale proposta, e - se ciò non avverrà - dovrebbero indurre la maggioranza o parte di essa ad assecondare queste nostre contestazioni di merito e di metodo con le quali si dichiara l'assoluta inopportunità che la proposta si traduca in legge dello Stato.
Tuttavia, purtroppo l'appello che lancio ai deputati della maggioranza sarà accolto, almeno spero, da uno o due dei miei colleghi interlocutori, se saranno cortesemente in ascolto, dato che l'assenza di tutta la maggioranza nei banchi ad essa riservati fa sì che io stia parlando a vuoto. Ma tant'è, parlerò per la mia amata signora, che penso mi stia guardando nel canale satellitare dedicato alla Camera dei deputati: bisogna anche sapersi accontentare, nella vita.
Mi avvio alla conclusione del mio breve intervento: interessi economici qui ve ne sono in abbondanza.
Se consideriamo che la raccolta pubblicitaria del 2006 per le reti che fanno capo al Presidente del Consiglio è pari a 2 miliardi 280 milioni di euro, per un unico anno, se ipotizziamo che una componente significativa, diciamo un terzo, di tale massa di denaro sia riferibile a Retequattro, e se con l'approvazione della proposta emendativa in esame si stabilisce che, rispetto alle sentenze che abbiamo già evocato, non interessa tutelare questo imprenditore Pag. 65e questo concorrente, perché, nonostante abbia vinto l'asta pubblica, non deve avere la concessione che pur gli spetta, perché è giusto che l'abbia il Presidente del Consiglio, immaginatevi quali saranno i guadagni che, ogni anno, fino al 2012, con questo piccolo articolo aggiuntivo e questo piccolo provvedimento, si matureranno nei bilanci di Publitalia e di Mediaset.
Quindi, quale conflitto di interessi è più evidente e più marcato di questo?
Se poi evochiamo le pur lodevoli e applaudite dichiarazioni programmatiche del Presidente Berlusconi, che una settimana fa abbiamo tutti ascoltato, devo chiedere una puntualizzazione, signor Presidente, perché anch'io ho applaudito alcuni passaggi del discorso del Presidente Berlusconi, ma evidentemente non cogliendo il senso reale ed autentico delle sue parole.
Faccio qualche piccola esemplificazione: il Presidente Berlusconi disse che l'economia italiana deve crescere, e che crescere significa esportare le nostre capacità e salvaguardare il posto delle nostre imprese nei mercati. A tale annuncio, anch'io ho applaudito, come tanti, anche dai banchi dell'opposizione. Ma non avevo capito che queste nostre imprese non sono le imprese italiane, ma le imprese del Presidente del Consiglio!
Da questo punto di vista, la dimostrazione più eclatante è proprio l'articolo aggiuntivo che oggi viene proposto.
E ancora: nel momento in cui il Presidente del Consiglio ha annunciato che, per crescere, dobbiamo anche impedire, attraverso una tutela non protezionistica dei nostri interessi, che forme sleali di concorrenza stravolgano il mercato, vivaddio, anche qui non mi ci ritrovo, nel momento in cui l'articolo aggiuntivo del Governo va proprio a confliggere con queste enunciazioni di principio.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 19)

CARLO MONAI. Ma ancora: il Presidente Berlusconi ci ha ricordato che per crescere dobbiamo anche colpire i corporativismi e le chiusure difensive che, in passato, hanno tutelato soltanto i bisogni castali. Anche qui, purtroppo, devo dire che la pratica tradisce la grammatica e che la dura realtà delle nostre discussioni ci riporta al Berlusconi che, purtroppo, già il Presidente di Pietro ha evocato in sede di discussione sulla fiducia al Governo, e cioè quel Berlusconi di una dittatura dolce, ma sempre di una dittatura, che in qualche modo è stato definito, in maniera anche forse sarcastica, il «caimano», e che oggi, in questa nuova veste da statista, qualcuno ha ironicamente ribattezzato come il «caimaleonte», per la capacità di mantenere comunque i «denti aguzzi» (e quindi la capacità di fare i propri interessi). Pur con questa nuova mise non ci inganna e, da questo punto di vista, ci lascia molto amareggiati e preoccupati per gli sviluppi che avrà l'attuale legislatura (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ringrazio per l'impegno che vi hanno messo i colleghi, quelli che hanno ascoltato, ma anche quelli che sono intervenuti dell'UdC e del Partito Democratico.
Quello che, come Italia dei Valori, intendevamo evidenziare in questo dibattito è il carattere per noi inammissibile dell'articolo aggiuntivo proposto dal Governo al decreto-legge oggetto della nostra attenzione.
In particolare, ci premeva evidenziare come non fosse fondato l'intervento di questa mattina del sottosegretario Paolo Romani, il quale ha detto che, per carità, si tratta di un articolato che condivide completamente, ma non c'entra affatto con la vicenda di Retequattro. Poco dopo, ci ha pensato il dottor Fedele Confalonieri (che non ha nulla a che fare con il Pag. 66dibattito di quest'Aula), da fuori, a dire che questo articolo aggiuntivo è sacrosanto proprio per Retequattro! Evidentemente, il sottosegretario Romani ha dovuto mentire a se stesso e all'Assemblea.
Volevamo denunciare ciò. L'obiettivo lo abbiamo ottenuto e, per questo motivo, a nome del gruppo dell'Italia dei Valori, informo la Presidenza che gli onorevoli Messina, Zazzera, Mura, Misiti e Barbato rinunciano ai propri interventi.

PRESIDENTE. Ne prendo atto.

MARINO ZORZATO, Presidente della Commissione speciale per l'esame di disegni di legge di conversione di decreti-legge. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINO ZORZATO, Presidente della Commissione speciale per l'esame di disegni di legge di conversione di decreti-legge. Signor Presidente, immaginando che siano finiti gli interventi sul complesso degli emendamenti, come Comitato dei nove, saremmo pronti ad esprimere i pareri. Tuttavia, poiché sulla base degli interventi svolti oggi in Assemblea, si è raggiunta un'intesa sulla convocazione della Commissione trasporti per lunedì pomeriggio - una funzione informale, ma volta proprio ad approfondire, da parte del Governo, con la Commissione appena costituita, il tema che è stato oggetto di discussione - credo sia opportuno, da parte nostra, rinviare la discussione e l'espressione dei pareri sugli emendamenti alla riapertura dei lavori, martedì mattina.
Pertanto, pur precisando che saremmo pronti, per correttezza anche nei confronti dell'opposizione, ci sembra più opportuno rinviare a martedì mattina.

PRESIDENTE. Sta bene.
Essendo, quindi, esauriti gli interventi e non chiedendo il Governo di prendere la parola, possiamo ritenere conclusa la fase della discussione sul complesso degli emendamenti.
Secondo quanto convenuto nell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, le votazioni sugli emendamenti avranno luogo nella seduta di martedì 27 maggio 2008.

Annunzio della costituzione delle Commissioni permanenti.

PRESIDENTE. Comunico che, nelle rispettive sedute di giovedì 22 maggio 2008, le Commissioni permanenti hanno proceduto, ai sensi dell'articolo 20 del Regolamento, alla propria costituzione che è risultata la seguente:
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I): presidente Donato BRUNO; vicepresidenti Jole Santelli, Roberto Zaccaria; segretari Antonino Lo Presti, Doris Lo Moro;
Giustizia (II): presidente Giulia Bongiorno; vicepresidenti Carolina Lussana, Federico Palomba; segretari Ida D'Ippolito Vitale, Pierluigi Mantini;
Affari esteri e comunitari (III): presidente Stefano Stefani; vicepresidenti Fiamma Nirenstein, Franco Narducci; segretari Michaela Biancofiore, Marco Fedi;
Difesa (IV): presidente Edmondo Cirielli; vicepresidenti Ettore Pirovano, Francesco Saverio Garofani; segretari Italo Tanoni, Federica Mogherini Rebesani;
Bilancio, tesoro e programmazione (V): presidente Giancarlo Giorgetti: vicepresidenti Gaspare Giudice, Bruno Tabacci; segretari Massimo Enrico Corsaro, Antonio Misiani;
Finanze (VI): presidente Gianfranco Conte; vicepresidenti Cosimo Ventucci, Sergio Antonio D'Antoni; segretari Gerardo Soglia, Giampaolo Fogliardi;
Cultura, scienza ed istruzione (VII): presidente Valentina Aprea; vicepresidenti Paola Frassinetti, Luigi Nicolais; segretari Paola Goisis, Maria Letizia De Torre;
Ambiente, territorio e lavori pubblici (VIII): presidente Angelo Alessandri; vicepresidenti Pag. 67Salvatore Margiotta, Roberto Tortoli; segretari Sergio Pizzolante, Mauro Libè;
Trasporti, poste e telecomunicazioni (IX): presidente Mario Valducci; vicepresidenti Luca Giorgio Barbareschi, Silvia Velo; segretari Gianluca Buonanno, David Favia;
Attività produttive, commercio e turismo (X): presidente Andrea Gibelli; vicepresidenti Raffaello Vignali, Laura Froner; segretari Luigi Lazzari, Paolo Fadda;
Lavoro pubblico e privato (XI): presidente Stefano Saglia; vicepresidenti Giuliano Cazzola, Luigi Bobba; segretari Paola Pelino, Alessia Maria Mosca;
Affari sociali (XII): presidente Giuseppe Palumbo; vicepresidenti Carlo Ciccioli, Gero Grassi; segretari Gianni Mancuso, Donato Renato Mosella;
Agricoltura (XIII): presidente Paolo Russo; vicepresidenti Roberto Rosso, Angelo Zucchi; segretari Fabio Rainieri, Massimo Fiorio;
Politiche dell'Unione europea (XIV): presidente Mario Pescante; vicepresidenti Gianluca Pini, Enrico Farinone; segretari Giuseppina Castiello, Antonio Razzi.

Anche se l'aula non è molto affollata, faccio i migliori auguri a tutti i colleghi che hanno avuto questo importante riconoscimento dalle Commissioni di cui fanno parte.

Assegnazione di un disegno di legge di conversione a Commissione in sede referente (ore 19,07).

PRESIDENTE. A seguito della costituzione delle Commissioni permanenti nella giornata odierna, il seguente disegno di legge, della cui presentazione è già stato dato annuncio all'Assemblea, è assegnato in sede referente, a norma del comma 1 dell'articolo 96-bis del Regolamento, alla IX Commissione (Trasporti):

S. 4. - «Conversione in legge del decreto-legge 23 aprile 2008, n. 80, recante misure urgenti per assicurare il pubblico servizio di trasporto aereo» (Approvato dal Senato) (1094) - Parere delle Commissioni I, II, V, VI, X e XIV.

Il suddetto disegno di legge sarà altresì assegnato al Comitato per la legislazione, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 27 maggio 2008, alle 10.

Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (6).
- Relatore: Gioacchino Alfano.

La seduta termina alle 19,10.