XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 31 di mercoledì 9 luglio 2008

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

La seduta comincia alle 15.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 1o luglio 2008.
(È approvato).

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (ore 15,04).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministro per i rapporti con il Parlamento, il Ministro per l'attuazione del programma ed il Ministro della giustizia.

(Misure per il contenimento delle spese sostenute dalle famiglie per l'acquisto dei testi scolastici - n. 3-00077)

PRESIDENTE. L'onorevole Buttiglione ha facoltà di illustrare l'interrogazione Capitanio Santolini n. 3-00077, concernente misure per il contenimento delle spese sostenute dalle famiglie per l'acquisto dei testi scolastici (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario, per un minuto.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Ministro, voi avete introdotto con l'articolo 15 del decreto-legge n. 112 del 2008 - recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria - una giusta misura per mettere in rete i libri scolastici. Leggendo il testo, però, non ho capito molti aspetti. Anzitutto, come fate con i diritti d'autore? Lo Stato acquista i diritti d'autore, e quindi i libri sono scaricabili senza il pagamento di essi? Istituite un dominio riservato, al quale si accede con il pagamento di una piccola somma? Come pensate di fare?
Inoltre, nell'anno scolastico 2008-2009 quanta parte del patrimonio librario utile per le scuole sarà disponibile in rete?
Infine, non pensate che sia opportuno intanto, provvisoriamente, fino all'anno 2011-2012, estendere alla scuola secondaria due principi: un tetto, non del peso dei libri ma del costo! Volete introdurre quello del peso, sta bene; ma perché non introducete anche un tetto del costo dei libri? Non è in contrasto con la libertà di insegnamento. E poi, perché lo Stato non ne sopporta una quota? Magari piccola all'inizio, ma che consenta di affermare un principio.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro, saluto il Presidente della Camera dei rappresentanti del Giappone, l'onorevole Yohei Kono, che assiste ai nostri lavori dalle tribune insieme a una delegazione di quel Parlamento (Applausi).
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, ha facoltà di rispondere.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Signor Presidente, il problema del costo dei libri di testo rientra nella progettazione di un nuovo welfare studentesco che è uno degli obiettivi che mi sono postaPag. 2in questa legislatura, e riguarda anche il campo più ampio dell'aiuto alle famiglie italiane in difficoltà.
Preciso innanzitutto che a partire dall'anno scolastico 2008-2009 sarà effettivamente introdotto il tetto di spesa massima, giustamente richiamato dagli interroganti, anche per la scuola secondaria. In particolare, il tetto va dai 370 euro per il terzo anno del liceo classico ai 120 euro per il quinto anno degli istituti professionali a indirizzo socio-assistenziale: come si può notare, in alcuni casi i costi denunciati dal Movimento difesa del cittadino verranno quindi dimezzati. È mia intenzione poi richiamare l'attenzione dei dirigenti scolastici e richiamarli al loro ruolo di vigilanza nell'applicazione della norma, in modo da agire con decisione laddove venisse violata.
Le altre due leve su cui siamo intervenuti e interverremo riguardano il diritto allo studio e l'abbassamento generale dei costi dei libri. Sulla prima la Corte costituzionale ha escluso l'estensione della gratuità dei libri di testo, che rientra nelle misure volte a favorire il diritto allo studio, che sono peraltro legate alle condizioni di bilancio e di competenza delle regioni. Lo Stato è comunque intervenuto con misure intese a limitare il più possibile il peso economico a carico delle famiglie. Nel confronto che ho avuto con l'AIE, l'Associazione italiana editori, ho chiesto che fossero premiati gli studenti meritevoli, anche da parte delle case editrici, attraverso riconoscimenti economici, borse di studio, buoni libro e stage formativi nelle aziende editoriali; e queste sono solo le prime iniziative che ho intenzione di adottare per applicare finalmente il dettato costituzionale.
Sull'abbassamento generale del costo dei libri, il confronto con gli editori ha portato a due primi risultati: l'aumento del prezzo dei libri verrà tenuto sotto il limite dell'inflazione e si favorirà la diffusione dei testi in forma mista, cartacea e digitale.
Ciò consentirà non solo l'abbattimento dei costi, ma anche la diminuzione del peso delle cartelle - altra fonte di giustificate polemiche -, nonché una maggiore dimestichezza degli studenti e dei docenti con le tecnologie informatiche.
Stiamo comunque studiando anche misure che consentano il rispetto dei diritti d'autore e su questo l'AIE sta collaborando con il Ministero. Mi sembra che questi siano dei primi risultati concreti, anche se rispetto ad essi abbiamo comunque di fronte un triennio di sperimentazione durante il quale affronteremo le criticità che si evidenzieranno.

PRESIDENTE. L'onorevole Buttiglione ha facoltà di replicare.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Ministro, sono evidentemente soddisfatto per quanto lei dichiara sull'istituzione di un tetto; discuteremo poi sulla quantificazione, ma intanto è bene istituirlo. Sono invece insoddisfatto per il resto. Non ho infatti capito se la decisione di mettere i libri in rete a partire dall'anno scolastico 2008-2009 sia una norma manifesto oppure se sia effettivamente possibile un suo utilizzo quantificabile e prevedibile da parte degli utenti.
E ancora, è vero che la Corte costituzionale si oppone al fatto che lo Stato assuma in toto l'onere dei libri di testo: ma si oppone anche al fatto che ne assuma una quota? Si oppone anche al fatto che i capaci e i meritevoli - entro un certo tetto di reddito da determinare - possano usufruire di un sostegno economico da parte dello Stato per i libri di testo? Non mi pare: almeno per come l'ho letta io, la sentenza della Corte costituzionale non dice questo. Su tali questioni, dunque, mi aspetterei una risposta.
Insomma, il tetto va bene: ma perché lo Stato non assume almeno una quota - diciamo il 10 o il 20 per cento - della spesa per dare un aiuto alle famiglie le quali, a settembre, prenderanno una «mazzata» tremenda? Apprezzo quanto lei dichiara circa il rapporto con gli editori: ma non si tratta semplicemente di calmierare i prezzi con una trattativa particolare con gli editori; si deve piuttosto rispondere direttamente alle famiglie sostenendolePag. 3su un versante che per loro è di straordinaria importanza. Su tali aspetti - per mia colpa, evidentemente - non sono riuscito a capire la sua risposta.

(Interventi per evitare il blocco delle esportazioni di Brunello di Montalcino negli Stati Uniti - n. 3-00078)

PRESIDENTE. L'onorevole Beccalossi ha facoltà di illustrare l'interrogazione Cicchitto n. 3-00078, concernente interventi per evitare il blocco delle esportazioni di Brunello di Montalcino negli Stati Uniti (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmataria.

VIVIANA BECCALOSSI. Signor Presidente, vorrei sottoporre all'attenzione del Ministro Zaia la situazione che si è creata relativamente alla produzione di Brunello di Montalcino dal momento in cui gli Stati Uniti hanno minacciato di bloccarne le importazioni.
Gli Stati Uniti sono un Paese che assorbe circa un quarto delle esportazioni di questo vino, che è un prodotto che rende grande il made in Italy nel mondo. La loro minaccia fa seguito alle polemiche (che io ritengo eccessive) che hanno avuto origine dalle indagini della primavera scorsa, dalle quali sarebbe risultato che una parte marginale di questa produzione non rispettava appieno il disciplinare. Su tale vicenda - peraltro molto limitata e subito circoscritta - si è innescata una campagna stampa riguardante non tanto e non solo il Brunello di Montalcino, ma più in generale l'intero sistema agroalimentare italiano (non solo dunque il vino ma tutti i prodotti made in Italy: cioè quei prodotti che, mi permetto di affermare, costituiscono di fatto l'immagine più bella che diamo nel mondo, insieme a quella culturale), che ha fatto intendere che vi fosse un problema non già di tipo di vino ma di sicurezza alimentare.
Ora, dal momento che mi risulta che il Ministro sia intervenuto proprio sugli Stati Uniti, probabilmente tramite un decreto, vorrei sapere se sia possibile fare chiarezza su questo punto.

PRESIDENTE. Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Luca Zaia, ha facoltà di rispondere per tre minuti.

LUCA ZAIA, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli per questa interrogazione che mi dà l'occasione per aggiornare tutti circa l'evoluzione di questo problema.
Il Brunello di Montalcino non solo è uno dei più grandi vini d'Italia, ma ne è un grande ambasciatore. La crisi che si è avuta con il Governo degli Stati Uniti è stata dovuta ad un paventato blocco alle importazioni fissato dall'Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau (TTB), cioè l'organismo ufficiale americano, prima per il 9 e poi per il 23 giugno. Per risolvere il problema, il Ministero ha messo in campo tutta una serie di azioni.
Stiamo parlando di un vino con riferimento al quale vi è una produzione di 7 milioni di bottiglie con 246 produttori (se ne esporta il 60 per cento, ed il 30 per cento delle esportazioni è diretto verso gli Stati Uniti). Come prima diceva bene l'onorevole Beccalossi, gli Stati Uniti rappresentano una grande opportunità per il nostro settore agro-alimentare (3 miliardi e mezzo di importazioni con una bilancia al nostro attivo). Tutto ciò per dire che già il 9 giugno predisposi un decreto con il quale ho sollevato di fatto il consorzio del Brunello di Montalcino dai controlli, ma non è bastato al Governo degli Stati Uniti. Dopo una serie di azioni, sfruttando anche i canali diplomatici, abbiamo convenuto su un nuovo decreto che prevede, innanzitutto, il rafforzamento di un comitato di garanzia formato da tre luminari del settore (il dottor Fulvio Mattivi dell'Istituto San Michele all'Adige, direttore del laboratorio analisi, il professor Vasco Boato dell'Università di Padova, ordinario di economia, e il dottor Ricci Curbastro, presidente di Federdoc).
Secondo questo nuovo decreto, che verrà pubblicato a giorni, sostanzialmente la partita è stata risolta nel modo seguente: l'Ispettorato del controllo di qualità (ICQ)Pag. 4di Firenze effettuerà i controlli delle partite che verranno esportate negli Stati Uniti, e questa certificazione avrà la carta intestata del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, come richiesto dagli americani. La partita si è così risolta: le singole partite verranno certificate di fatto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, e potremo quindi dire che scongiuriamo anche quel possibile domino che stava per partire, come è stato enunciato prima, rispetto a tutto l'agro-alimentare italiano.
Qualcuno voleva infatti far passare l'idea - e lo ha detto bene lei - che non fosse solo un problema di uvaggi. Ricordiamo infatti che quello del Brunello di Montalcino è un problema che si pone in termini di uvaggio, cioè del non rispetto del disciplinare (si dovrebbe ottenere il Brunello con il 100 per cento di Sangiovese, mentre invece l'accusa sostiene che esso contiene il 5, forse il 10 per cento di Merlot, Syrah o di altri vini rossi). Così si faceva passare l'idea a livello internazionale - ripeto - che il Brunello mettesse a repentaglio la sicurezza alimentare. Abbiamo difeso fino in fondo, con il Brunello di Montalcino, il made in Italy e sicuramente la sicurezza alimentare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Beccalossi, per due minuti.

VIVIANA BECCALOSSI. Grazie, onorevole Ministro, mi ritengo soddisfatta e colgo l'occasione per sottolineare quanto importante sia la sicurezza alimentare, che è cosa diversa rispetto al problema che è stato posto con il Brunello di Montalcino. Mi permetto, altresì, di approfittare dell'occasione, visto che si è parlato di tutela del made in Italy, per sottolineare come vi siano purtroppo Paesi, a volte anche gli Stati Uniti, nei quali l'agro-pirateria è diventata uno sport nazionale. Vi sono prosciutti, salumi, formaggi e anche vini che dovrebbero essere italiani e tali non sono: così quando si risolve un problema di questo tipo, sottolineando che non si tratta di un problema di carattere di sicurezza alimentare, altrettanto impegno ci vorrebbe per affrontare il fenomeno assai più grave rappresentato - ripeto - dall'agro-pirateria, ovvero sia il taroccamento di prodotti che sono - o dovrebbero essere - made in Italy e che tali non sono, dal momento che vengono prodotti in tanti altri angoli del mondo, senza alcun tipo di caratteristica organolettica tipica o tradizionale italiana.

(Iniziative per coinvolgere i comuni dell'area milanese nella gestione delle attività relative alla realizzazione di Expo 2015 - n. 3-00079)

PRESIDENTE. L'onorevole Peluffo ha facoltà di illustrare, per un minuto, la sua interrogazione n. 3-00079, concernente iniziative per coinvolgere i comuni dell'area milanese nella gestione delle attività relative alla realizzazione di Expo 2015 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Signor Ministro, la designazione del 31 marzo scorso di Milano quale sede dell'esposizione universale del 2015 è una vittoria dell'intero sistema Paese, ottenuta attraverso la collaborazione istituzionale tra il Governo italiano (presieduto allora da Romano Prodi), la regione Lombardia, la provincia di Milano e ovviamente il comune di Milano, che ha guidato il comitato di candidatura con il concorso di soggetti interessati, quali la Camera di commercio e la Fondazione Fiera. A questo sforzo comune hanno partecipato, coinvolti direttamente nel comitato di candidatura, i comuni di Rho e di Pero, che rappresentano il territorio su cui insiste oggi Fiera Milano e su cui si affaccerà domani l'Expo 2015. Ora che la candidatura è stata ottenuta, si tratta di decidere come realizzare l'Expo, con quali indirizzi, quali priorità e quali procedure per garantire tempi certi nella realizzazione delle infrastrutture previste (si tratta di lavorare per trasformare l'Expo in un'opportunità, fatto non scontato per Milano, il territorio circostante e le comunità di RhoPag. 5e di Pero che hanno ancora i cantieri per la viabilità della Fiera e che avranno i cantieri per i prossimi sette anni).
Con la presente interrogazione si chiede di sapere se il Governo ritenga opportuno un conseguente coinvolgimento negli organismi previsti dei comuni di Rho e Pero e se prevede anche l'obbligo da parte degli stessi organismi di sottoscrivere accordi di programma con i comuni interessati dalle infrastrutture.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, nell'interrogazione presentata dall'onorevole Peluffo e da altri colleghi parlamentari si chiede se il Governo ritenga opportuno coinvolgere direttamente negli organismi per la gestione delle attività di Expo 2015 i comuni di Rho e di Pero e se intenda coinvolgere i comuni al di fuori del territorio del comune di Milano.
A tal proposito, si rappresenta che lo scorso 25 giugno 2008 è stato emanato, come è noto, il decreto-legge n. 112, che, tra l'altro, all'articolo 14 reca norme proprio in relazione al grande evento di Expo 2015 e fornisce elementi utili in merito all'interrogazione appena illustrata. Il comma 2 di tale articolo, infatti, prevede che, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge, quindi entro il 25 luglio 2008, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti il presidente della regione Lombardia e i rappresentanti degli enti locali interessati, saranno istituiti gli organismi per la gestione delle attività, compresa la previsione di un tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovraregionali, presieduto dal presidente della regione Lombardia. Pertanto, il sopraindicato comma 2 dell'articolo 14 del decreto n. 112 del 2008 disciplina il coinvolgimento diretto, oltre che del presidente della regione Lombardia, anche dei rappresentanti degli enti locali in merito all'istituzione degli organismi necessari alla gestione delle attività.
In applicazione del comma 2 dell'articolo 14, è in fase di redazione l'apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativo all'organizzazione e all'istituzione degli organismi per la gestione delle attività. Tra l'altro, tale decreto prevede la partecipazione, allo stato come osservatori, dei rappresentanti dei comuni di Pero e di Rho. Nello schema - in via di redazione - del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è, inoltre, prevista la costituzione di organismi che si occuperanno della promozione degli accordi di programma, nonché di strumenti di programmazione negoziata fra tutte le amministrazioni interessate, al fine di adottare le opportune determinazioni urbanistiche, edilizie ed ambientali da parte delle competenti amministrazioni.
Inoltre, poiché il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione è in fase di istruttoria, il Governo terrà in considerazione in questa fase le indicazioni che sono state poste e le eventuali altre che dovessero nel frattempo pervenire.

PRESIDENTE. L'onorevole Peluffo ha facoltà di replicare.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Signor Presidente, ringrazio il Ministro per aver fatto riferimento all'articolo 14, che è anche a nostra conoscenza. Tra l'altro, nello stesso articolo vi è una parte importante, quella in cui si fa riferimento alla società di gestione e implementazione di tutti gli aspetti, che, peraltro, deve curare nei prossimi anni la realizzazione delle infrastrutture e non solo. Rispetto a tale aspetto, attendiamo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Fino ad ora abbiamo soltanto avuto l'opportunità di leggere le cronache dei giornali, che invece facevano riferimento a scontri, purtroppo anche istituzionali, tra il presidente della regione Lombardia e il sindaco del comune di Milano. Tali scontri concernevano, per esempio, la società di gestione, visto che la discussione è se la società debba essere presieduta da un amministratore unico o da un consiglio d'amministrazione,Pag. 6ma, forse, è meglio un consiglio d'amministrazione.
Tuttavia, adesso il punto è che decidiate in fretta, anche perché bisogna partire. Non dovete nemmeno coinvolgere il Parlamento, considerato che si tratta di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per cui dovete soltanto comporre le vostre divisioni. La richiesta è che ciò venga fatto in fretta, anche perché credo vi sia un'altra lacuna, sempre nell'articolo 14, in tema di finanziamenti. Credo che di questa questione ne potremo parlare in maniera più estesa quando affronteremo la manovra economica. Lo spero, anche se, visti i precedenti di queste ore, qualche dubbio è lecito.
Tuttavia, nell'articolo 14 i finanziamenti previsti sono concentrati non nei primi tre anni, ma negli ultimi quattro. Quindi, ciò fa sorgere qualche dubbio rispetto alla disponibilità di questi finanziamenti e soprattutto rispetto al fatto che i tempi vengano mantenuti. Infatti, questo è un elemento centrale nella realizzazione delle infrastrutture collegate. Questo è un territorio - lo ripeto - sul quale è stata realizzata una grande infrastruttura come la Fiera di Milano.
Ancora oggi i cantieri della viabilità collegata con Fiera Milano, così come quelli per l'Alta velocità, sono ancora aperti. Non credo si possa ripetere un'esperienza di questo tipo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Misure per il contenimento delle tariffe dell'energia elettrica e del gas - n. 3-00080)

PRESIDENTE. L'onorevole Iannaccone ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00080, concernente misure per il contenimento delle tariffe dell'energia elettrica e del gas, per un minuto (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signor Ministro, l'Autorità per l'energia elettrica ha ufficializzato, lo scorso 27 giugno, l'aumento per i prossimi tre mesi delle tariffe di luce (più 4,3 per cento) e gas (più 4,7 per cento). Tali rincari sarebbero dovuti all'aumento del prezzo del petrolio che ha superato i 142 dollari al barile. Gli aumenti registrati nei primi sei mesi dell'anno hanno portato a rincari pari complessivamente ad un più 8 per cento per l'energia elettrica e un più 7 per cento per il gas.
È evidente che, se dovesse continuare l'aumento delle tariffe dell'energia elettrica e del gas, anche i provvedimenti assunti dal Governo per migliorare il potere di acquisto delle famiglie sarebbero vanificati.

PRESIDENTE. Onorevole Iannaccone, la prego di concludere.

ARTURO IANNACCONE. Chiedo, pertanto, al Ministro di conoscere quali iniziative il Governo intenda assumere e se il Governo abbia intenzione di sterilizzare, per i prossimi mesi, gli aumenti dei prezzi dell'energia elettrica e del gas.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, onorevole Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, la situazione del rincaro del prezzo del petrolio e le conseguenze sulle tariffe dell'energia elettrica e del gas, illustrate poco fa dall'onorevole Iannaccone, sono attentamente seguite dal Governo, in considerazione del fatto che l'attuale andamento del prezzo delle fonti energetiche desta preoccupazione a livello internazionale, sia per la sicurezza degli approvvigionamenti, sia per il sostegno alle politiche di sviluppo economico. Queste preoccupazioni hanno spinto il Governo e il Ministro dello sviluppo economico a rilanciare la necessità di una nuova politica energetica che punti sull'efficienza energetica, ma anche sulla diversificazione delle fonti e delle tecnologie, per dare sicurezza alle forniture energetiche e per essere meno esposti rispetto alla crescita dei prezzi internazionali del petrolio e del gas.Pag. 7
In quest'ottica, l'obiettivo che è stato annunciato, cui il Governo tende nel medio periodo, è quello di una riduzione della dipendenza dal petrolio e dal gas per arrivare, nel settore elettrico, ad un mix basato solo per il 50 per cento su combustibili fossili e, per il resto, su fonti rinnovabili e sul nucleare.
In parallelo vi è la necessità di rendere anche più semplice la realizzazione delle infrastrutture che servono in particolare nel settore del gas, ma anche negli altri, e di rilanciare l'uso delle risorse energetiche interne, gas ed olio, il cui apporto è ormai inferiore al 10 per cento del consumo complessivo.
Nella manovra fiscale attualmente all'esame del Parlamento, e in particolare nel decreto-legge n. 112 del 2008, sono state inserite alcune norme specifiche, proposte programmatiche di rilancio della politica della sicurezza energetica in Italia, di sostegno alla concorrenza interna e di valorizzazione delle risorse energetiche nazionali, nonché misure di impatto immediato a favore dei consumatori. In particolare, nel dettaglio, è stata prevista l'adozione entro sei mesi di un piano strategico energetico nazionale finalizzato alla diversificazione delle fonti, al miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale, all'incremento degli investimenti di ricerca e sviluppo e della promozione delle energie rinnovabili e del nucleare.
Per quanto riguarda, invece, le misure di breve periodo, finalizzate a dare positivi risultati economici per i cittadini, per le famiglie e per le categorie professionali più esposte al rincaro dei carburanti sono state assunte le seguenti misure: l'immediata rimozione di ostacoli alla libertà di stabilimento in materia di distribuzione della rete dei carburanti, la restituzione automatica a tutti i consumatori del maggior gettito IVA sui carburanti e sui combustibili ad uso civile, nonché misure compensative per l'autotrasporto e per le altre categorie professionali, in modo da contenere l'effetto dei costi energetici.
In conclusione, la sterilizzazione dei costi delle materie prime ai fini di un contenimento dei prezzi dell'energia in termini generali non è fattibile. Il Governo, tuttavia, ha varato le ricordate misure a protezione delle fasce più deboli della popolazione per il contenimento dei costi energetici e intende proseguire con determinazione su tale strada.

PRESIDENTE. L'onorevole Iannaccone ha facoltà di replicare.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, ringrazio il Ministro per la risposta. Mi ritengo soddisfatto per l'illustrazione che lei ha testé svolto in merito alla strategia del Governo in materia energetica. È evidente che l'Italia ha bisogno di nuove infrastrutture, di diversificare le fonti di approvvigionamento, di non dipendere pressoché totalmente dagli idrocarburi così come avviene adesso.
Più che non essere soddisfatto, rimango preoccupato per il futuro delle famiglie italiane che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, che subiscono gli aumenti (che io ritengo indiscriminati) dei prezzi delle tariffe dell'energia elettrica e del gas.
Prendo atto, inoltre, che non è possibile la sterilizzazione degli aumenti, ma invitiamo il Governo, tenendo conto che le famiglie italiane si trovano in una condizione di difficoltà (in modo particolare le famiglie del Mezzogiorno che, rispetto ad altre aree del Paese, sono ancora più svantaggiate), ad assumere tutte le iniziative possibili per evitare che questi incrementi di tariffe vanifichino le iniziative che pure il Governo meritoriamente sta assumendo per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie e per andare incontro alle esigenze delle famiglie che vivono in una condizione di maggiore disagio.

(Misure per favorire l'acquisto della prima casa da parte dei giovani, anche attraverso interventi di edilizia popolare - n. 3-00081)

PRESIDENTE. L'onorevole Paladini ha facoltà di illustrare la sua interrogazionePag. 8n. 3-00081, concernente misure per favorire l'acquisto della prima casa da parte dei giovani, anche attraverso interventi di edilizia popolare (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, signor Ministro, l'effettivo tasso di democraticità di un Paese civile e moderno passa attraverso politiche attive di coinvolgimento, di sostegno, di promozione ed assistenza nei confronti delle categorie sociali oggi come oggi meno rappresentate. Mi riferisco ai giovani, agli anziani e alle donne.
Il futuro dei giovani, che coincide con il futuro del nostro Paese, deve essere sostenuto con il rilancio della ricerca scientifica, della tecnologia e dello sviluppo. I giovani necessitano di nuove tutele da attuarsi attraverso la predisposizione di strumenti giuridici e previdenziali adeguati al maturare delle condizioni del mondo del lavoro e della società nel suo complesso. Naturalmente ciò riguarda anche le politiche per favorire l'occupazione dopo gli studi.
Credo che la flessibilità, cui si guarda come conquista, si sostituisce nei fatti con le forme di precariato. Per questo motivo, ricordo (e mi auguro sia così) che tra gli obiettivi del programma del Governo in carica figurano il piano casa per costruire alloggi per i giovani e per le loro famiglie e il bonus locazioni per aiutare le giovani coppie, i meno abbienti e gli universitari a sostenere l'onere degli affitti.

PRESIDENTE. Il Ministro per l'attuazione del programma Gianfranco Rotondi, ha facoltà di rispondere.

GIANFRANCO ROTONDI, Ministro per l'attuazione del programma. Signor Presidente, il Governo ha posto la famiglia e i giovani al centro dell'azione politica e, in attuazione del programma presentato agli elettori, ha previsto l'inserimento del cosiddetto piano casa nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112.
Il piano casa previsto dall'articolo 11 del citato decreto-legge rende possibile l'elaborazione di un programma a livello nazionale per le città in grado di generare progetti, rendendo fattibili interventi che interpretino le vocazioni dei centri metropolitani, ne colgano i fenomeni, ne stimolino gli aspetti positivi. Gli interventi mirano a sopperire ai problemi concreti più urgenti in aree urbane individuate in sede di Conferenza unificata, superando la logica dei contributi a pioggia.
Il piano casa si propone di superare in maniera organica il disagio sociale e il degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa. Il piano sarà rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo con l'offerta di alloggi residenziali da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati destinati prioritariamente a prima casa per le seguenti categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione: nuclei familiari a basso reddito (anche mono-parentali o mono-reddito), giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate, studenti fuori sede, soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio e immigrati regolari.
In generale, quindi, gli interventi previsti rispondono all'esigenza di garantire il diritto alla casa alle categorie più deboli. Il piano è finalizzato ad incrementare il patrimonio immobiliare ad uso abitativo, ampliando l'offerta di alloggi di edilizia residenziale, con il recupero del patrimonio esistente e con la realizzazione di nuovi alloggi.
I tempi di attuazione, che saranno rapidi, sono stabiliti dalle norme legislative richiamate e dai citati accordi. Per l'attuazione degli interventi sopra descritti, il citato articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008 istituisce un apposito fondo presso il Ministero delle infrastrutture. Con il coinvolgimento di regioni, comuni e privati si otterrà poi un effetto moltiplicatore dei fondi statali destinati alle politiche abitative e al piano casa.
È chiaro che l'intendimento del Governo, che nella materia in questione si staPag. 9muovendo in assoluta coerenza con il programma elettorale, è naturalmente quello di iscrivere il piano casa tra gli interventi strategici per promuovere uno sviluppo economico duraturo.

PRESIDENTE. L'onorevole Paladini ha facoltà di replicare per due minuti.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, credo che non esista futuro senza sviluppo. Non esiste sviluppo senza ricerca e non può esistere ricerca senza impegno e capacità. Sono proprio i giovani la principale risorsa per il rilancio della ricerca scientifica nel nostro Paese ed essi vanno sostenuti attraverso un impegno concreto e costante. Anche per quanto riguarda il decreto-legge n. 112 del 2008, basta considerare ciò che hanno affermato su questo argomento i rettori delle università. Si capisce bene qual è l'impegno del Governo. Abbiamo anche visto la differenza tra regioni presente in questo piano. Non vorremmo che ci fosse una diversità di impegno e di capacità tra regioni per quanto riguarda la politica della casa, che deve riguardare anche il bonus locazioni, se vogliamo aiutare i giovani, le coppie e gli universitari.
Soprattutto, è importante la politica universitaria della casa, perché moltissimi giovani affrontano l'università e hanno questo problema reale, rispetto al quale anche nel decreto-legge n. 112 del 2008 vi è una lacuna essenziale e molto importante.
Inoltre, mi auguro che anche la politica per favorire la differenza tra l'occupazione e lo studio, ossia la continuazione dell'università, sia presa in considerazione dal decreto-legge n. 112, sulla base di un programma molto importante.
Ritengo che la politica del Governo sulla casa, per aiutare i giovani e le coppie meno abbienti, contenuta nel citato provvedimento, non possa ottenere qui un esito favorevole e positivo da parte nostra, anche perché l'edilizia residenziale così com'è stata delineata e programmata - lo ripeto - presenta lacune proprio in ordine alle attività delle regioni. Vi è, infatti, una differenza sostanziale di impegno a favore di alcune regioni e a svantaggio di altre. Quindi, penso che dobbiate rivedere questa politica e svolgere una valutazione più generale (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

(Intendimenti del Ministro della giustizia in merito ad iniziative ispettive nei confronti del GIP di Verona e ad iniziative normative per garantire l'effettività delle misure cautelari - n. 3-00082)

PRESIDENTE. L'onorevole Montagnoli ha facoltà di illustrare l'interrogazione Cota n. 3-00082, concernente intendimenti del Ministro della giustizia in merito ad iniziative ispettive nei confronti del GIP di Verona e ad iniziative normative per garantire l'effettività delle misure cautelari (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario, per un minuto.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Signor Presidente, signor Ministro, il 1o luglio 2008, il giudice per le indagini preliminari di Verona, dottor Giorgio Piziali, ha deciso di non convalidare il fermo di quattro rom, accusati di associazione per delinquere, sfruttamento e maltrattamento di minori, utilizzati per compiere numerosi furti commessi tra Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.
I figli minorenni venivano utilizzati per furti anche sotto violenza fisica e sessuale.
Nell'ambito dell'inchiesta e in contrasto con la suddetta decisione, i giudici per le indagini preliminari di Alessandria, di Torino e di Vicenza hanno deciso, diversamente dal GIP di Verona, di convalidare il fermo di altri quattro rom componenti della stessa banda e bloccati sempre dagli agenti di polizia di Verona.
Soprattutto, il GIP ha affermato che non sussistevano pericoli di fuga e, andando anche oltre, ha dichiarato di sospettare che le indagini della polizia e dei magistrati fossero dovute all'attualità politica. Il procuratore capo di Verona, alPag. 10contrario, ha annunciato che contesterà l'iniziativa del GIP e che chiederà l'osservanza delle norme.
Intendiamo chiedere al Ministro quali iniziative ispettive e normative intenda assumere al fine di garantire che tali reati siano assicurati alla giustizia.

PRESIDENTE. Il Ministro della giustizia, Angelino Alfano, ha facoltà di rispondere.

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, ringrazio i colleghi della Lega per l'occasione che mi offrono di rappresentare pubblicamente i termini di una vicenda che grande scalpore ha destato nell'opinione pubblica e, in primo luogo, ringrazio l'onorevole Montagnoli.
Già il 3 luglio scorso, per il tramite dell'ispettorato generale, ho disposto accertamenti preliminari in relazione alla mancata convalida da parte del GIP di Verona del fermo di quattro cittadini stranieri operato dalla locale procura della Repubblica nell'ambito del procedimento penale n. 1728/08. Tali accertamenti sono attualmente in corso e sono diretti ad acquisire una relazione sulla vicenda da parte del procuratore della Repubblica di Verona, nonché le giustificazioni del GIP, dottor Giorgio Piziali, in ordine al preciso significato che ha inteso attribuire ad alcuni passaggi motivazionali dell'ordinanza da lui emessa il 1o luglio scorso e che è già stata acquisita dalle competenti articolazioni ministeriali.
Nella parte motiva dell'ordinanza in questione, infatti, il GIP ha utilizzato espressioni fortemente critiche in ordine all'operato del pubblico ministero di Verona. Si tratta di espressioni che sembrano non essere direttamente funzionali all'adozione della decisione di sua competenza. In particolare, tra l'altro, nell'ordinanza si legge testualmente che: «Il fermo disposto dalla procura si presenta all'evidenza del tutto e gravemente illegittimo» e che «l'assoluta assenza di un reale e concreto pericolo di fuga fa emergere come il delicato istituto sia piegato ad altri fini (...) tutti gravemente lesivi delle regole anche costituzionali che presiedono alla libertà personale». Tali affermazioni, come del resto anche altre contenute nell'ordinanza, saranno ovviamente oggetto di attenta valutazione nell'ambito degli accertamenti preliminari che, come già detto, sono tuttora in corso. Solo all'esito degli accertamenti ed esaminate le risultanze degli stessi mi riservo di adottare le iniziative opportune.
Più in generale, onorevole Montagnoli, lei ben sa come questo Governo ad avvio di mandato ha voluto varare un pacchetto sicurezza, un sistema di misure contenute nel decreto-legge e nel disegno di legge in materia di sicurezza, che hanno come scopo proprio quello di rafforzare la certezza della pena e di trovare un punto di equilibrio tra la necessità di sicurezza dei nostri cittadini e la possibilità che i cittadini stranieri accedano al nostro Paese rispettandone le regole di ingresso. Ecco perché non mi soffermerò oltre a ricordare gli ulteriori e incisivi interventi normativi contenuti nel decreto-legge. Voglio, però, rilevare che, a mio parere, già la corretta applicazione della normativa in essere potrebbe e dovrebbe evitare alcune sconvenienti vicende.

PRESIDENTE. L'onorevole Montagnoli ha facoltà di replicare.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Signor Presidente, signor Ministro, ci riteniamo soddisfatti della sua risposta. Sicuramente il tema della sicurezza è all'ordine del giorno e i cittadini ci hanno conferito un mandato forte perché hanno bisogno di sicurezza; vogliamo sicurezza. L'attività di questo Governo, fin da subito, grazie al nostro Ministro Maroni, che ringraziamo, è legata alle iniziative volte a fornire certezza della pena e a garantire che chi viene in Italia rispetti le regole.
Sicuramente non è la prima volta che a Verona capitano questi fatti e bisogna, quindi, analizzare l'attività del giudice, tanto più che successivamente sono stati trovati 300 mila euro di banconote false, dei Rolex e delle proprietà rubate. Pertanto,Pag. 11anche se la normativa esiste già, anche sulla patria potestà, ritengo sia necessario compiere uno sforzo ulteriore; se vi sono delle proprietà rubate, esse si possono confiscare, soprattutto quando si tratta di reati così gravi e contro i minori. Il nostro movimento chiede il rispetto di quello che è stato il patto con i cittadini, chiediamo subito il rispetto delle regole: chi viene in Italia deve rispettare il nostro modo di fare.
Il 70 per cento dei clandestini vive al nord ed è arrivato il momento di dire «basta», di affermare che esistono delle regole ben chiare che devono essere rispettate. Siamo sicuri che questo nuovo Governo, con l'impronta della Lega Nord, fornirà sicuramente delle risposte ai cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 16.

La seduta, sospesa alle 15,45, è ripresa alle 16.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Aprea, Brancher, Brugger, Caparini, Casero, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cota, Fitto, Alberto Giorgetti, Lo Monte, Martini, Mazzocchi, Meloni, Molgora, Palumbo, Pescante, Roccella, Romani, Rotondi, Soro, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato (A.C. 1442).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto della seduta di ieri.

(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 1442)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Donadi ed altri n. 1 e Soro ed altri n. 2, che, non essendo state preannunciate nella Conferenza dei presidenti di gruppo, saranno esaminate dopo lo svolgimento della discussione generale, nella seduta di domani, giovedì 10 luglio (Vedi l'allegato A - A.C. 1442).

Sull'ordine dei lavori e per un richiamo al Regolamento.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, vorrei farle presente - credo che lei ne sia già a conoscenza per le informazioni di cui dispone, che provengono anche dai presidenti delle Commissioni interessate - che in queste ultime ore è stata presentata una serie di proposte emendative da parte del Governo relative al decreto-legge n. 112 del 2008 che concerne la manovra economica e finanziaria.
Come lei sa, questo decreto-legge già conteneva un certo numero, esorbitante, di articoli, commi e temi che in esso venivanoPag. 12trattati. Dunque, le vorrei far presente che le proposte emendative, di cui ventinove sono state presentate ieri e un'altra decina è stata preannunciata per i prossimi minuti e le prossime ore, si presentano sotto la forma di un insieme di norme che vengono «prelevate» dal disegno di legge collegato che avrebbe dovuto accompagnare la manovra, e di fatto configurano una nuova manovra economica e finanziaria, differente rispetto al testo di cui disponevano non solo il Parlamento ma anche tutte le cariche istituzionali (che avevano la responsabilità di proporlo al Parlamento) all'inizio del procedimento di proposta del provvedimento al vaglio delle due Camere.
Si tratta dunque di un'importantissima iniezione di temi e di questioni che vanno, ad esempio, dal nucleare alle liberalizzazioni, ai ticket sanitari, alla riorganizzazione dei distributori di energia e alla riforma dei servizi pubblici locali. Si tratta di temi che il Parlamento avrebbe dovuto discutere secondo modalità differenti da quelle dell'urgenza che è stata riconosciuta al provvedimento di cui si è detto.
Signor Presidente, proprio perché non intendo proporre di nuovo, in questa sede, una discussione di merito e procedurale, che abbiamo già svolto, relativamente al fatto che occorrevano tempi adeguati al Parlamento per poter proporre al Paese soluzioni adeguate su temi di economia e di politica economica e finanziaria assai rilevanti per le tasche delle famiglie e delle imprese italiane, le propongo solo di valutare come sia possibile disporre degli elementi adeguati da parte dei gruppi parlamentari e dei membri delle Commissioni interessate (la Commissione bilancio e la Commissione finanze) e di quelle Commissioni che avevano la responsabilità di accompagnare la manovra con pareri, consultivi ma comunque importanti perché la Commissione attività produttive, la Commissione ambiente e la Commissione trasporti sono tutte Commissioni che dovrebbero rivedere o avere comunque il tempo per rivedere un testo che sostanzialmente è cambiato rispetto alla sua natura iniziale.
Le chiedo, signor Presidente, se non valga almeno la pena di valutare se i tempi della discussione e della presentazione degli emendamenti e anche quelli previsti per il termine finale dell'esame del decreto-legge, non debbano essere spostati in avanti, per consentire alle Commissioni di poter discutere adeguatamente un tema così importante.
In conclusione, era previsto che le proposte emendative fossero presentate entro domani alle 15 su testi precedenti, non su quelli sui quali il Governo ha inserito materie di così rilevante importanza, come ho detto prima, e che l'esame si concludesse entro le ore 14 di lunedì. A me pare che si debbano assegnare almeno i giorni della settimana entro venerdì prossimo per poter lavorare sugli emendamenti e spostare in avanti, nel corso della settimana prossima, evidentemente oltre il lunedì previsto, il termine per l'esame in Commissione, in modo tale che l'Assemblea possa discuterne in maniera approfondita e non in maniera così costretta dalla brevità dei tempi.

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, intervengo per un richiamo al Regolamento oltre che per associarmi a quanto testé affermato dal collega Quartiani, rilevando altresì che ancora una volta ci troviamo di fronte ad una serie di proposte emendative del Governo che tendono a riportare all'interno di un decreto-legge una serie di articolati che erano contenuti in un disegno di legge, quindi, in qualche modo, contravvenendo ad una prassi che non ha permesso sin qui al Presidente della Repubblica, come ha fatto per le disposizioni del decreto-legge, di valutare ciò che oggi viene inserito in questo modo.
Vorrei fare un richiamo ai sensi dell'articolo 30 del Regolamento, signor Presidente, poiché è giunta una convocazione delle Commissioni riunite V e VI per le ore 16,30.Pag. 13Vorrei chiedere se tale riunione è stata da lei autorizzata. Qualora fosse stata autorizzata, ritengo che vi debbano essere motivazioni molto gravi, perché non rientra nella prassi. Poiché Italia dei Valori intende seguire il provvedimento che oggi inizia il suo percorso alla Camera e che ha destato molte riserve e perplessità - per la qual cosa noi intendiamo e vogliamo seguirlo per tutto il suo iter - la inviterei, in questo caso, a procedere alla revoca della convocazione delle Commissioni riunite prevista per le ore 16,30, rinviandola al termine della seduta dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, lei sa che per prassi quando si svolge la discussione sulle linee generali, le Commissioni si riuniscono, soprattutto se si tratta di esaminare decreti-legge.

ANTONIO BORGHESI. Ho detto l'articolo 30 del Regolamento!

PRESIDENTE. Non ho richiamato l'articolo 30 del Regolamento, ma la consuetudine di questa Aula, onorevole Borghesi.

FEDERICO PALOMBA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, ripropongo qui, in Assemblea, una questione che ho proposto questa mattina in Commissione, riguardante le conseguenze del suo speech di ieri sera, quando ella ha detto che le Commissioni erano libere di decidere se prolungare i loro lavori oltre il termine fissato per l'Assemblea oppure no. La questione mi ha un po' stupito, cioè mi è parso, in qualche modo, che si voglia scaricare una responsabilità sui presidenti di Commissione che, peraltro, nutrono la mia stima.
Dunque, signor Presidente, ieri, nel suo speech lei ha motivato le ragioni che l'avevano portata ad assumere la responsabilità da Presidente nel modificare e nello stabilire l'ordine del giorno dell'Assemblea e nel prevedere un'accelerazione della trattazione del disegno di legge sullo «scudo», il cosiddetto «lodo Alfano». Lei, nel suo speech, ha motivato il suo potere di decidere.
Lei ha deciso in favore della maggioranza, ma non ha motivato su tale punto: se fosse congruo un termine di trentasei ore, con un termine di sette ore assegnato alle Commissioni riunite per depositare gli emendamenti, cosa su cui le chiederei anche una nuova spiegazione, considerato anche che non risulta vi siano precedenti di assegnazione all'Assemblea e di tempi così ristretti per le Commissioni, fermo restando il suo potere di procedere in deroga ai Regolamenti.
Dunque, la inviterei anche a chiarire se il tempo assegnato alle Commissioni per discutere un provvedimento - in questo caso un provvedimento di natura così incidente anche su rapporti istituzionali e costituzionali - sia irrevocabilmente quello determinato dal Presidente, che decide l'inversione o la modifica dell'ordine del giorno in Assemblea, ovvero se sia affidato e rassegnato alla responsabilità dei presidenti di Commissione o del presidente di Commissione.
So bene che vi è una formula che lei ha citato ieri «ove concluso dalla Commissione», ma vorrei chiedere a lei se questa è una formula di stile o se è una formula alla quale obbligatoriamente e naturalmente i presidenti di Commissione debbono uniformarsi.
Tutto ciò, signor Presidente, mira ad ottenere da lei una chiarificazione su questo precedente, così, a nostro giudizio, enorme, che, se legittimo e protratto nel tempo, potrebbe svuotare completamente le prerogative del Parlamento: intendiamo chiederle lumi su questa situazione, che a me e a noi del gruppo Italia dei Valori appare alquanto confusa.

PAOLO CORSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO CORSINI. Signor Presidente, può essere che lei mi chieda di intervenirePag. 14a fine seduta, però mi rimetto al suo giudizio.

PRESIDENTE. Dipende dall'argomento, onorevole Corsini.

PAOLO CORSINI. Volevo richiamare la sua e la nostra comune attenzione sul caso di Federica Squarise, posso farlo anche fine seduta.

PRESIDENTE. La pregherei di farlo a fine seduta.

LUDOVICO VICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori: ieri, durante la discussione sulle mozioni, mi sono riservato di consegnare il mio intervento, cosa che ho fatto, ma per un disguido tecnico non è pervenuto. Le chiedo dunque l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Vico, la Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti.
L'onorevole Quartiani ha posto una questione che è certamente reale: alle Commissioni riunite bilancio e finanze sono riservate, allo stato, venti giorni per l'esame in sede referente e, come i colleghi sanno, per i decreti-legge il termine è di quindici giorni.
Come è noto, proprio a seguito della richiesta del gruppo del Partito Democratico, l'esame in Aula del provvedimento sulla manovra economica è stato differito dalla Presidenza, e ciò comporta uno spostamento anche del termine di presentazione degli emendamenti.
In ogni caso, domani è già convocata la Conferenza dei presidenti di gruppo e un'eventuale rimodulazione del calendario potrà aumentare ancora i tempi a disposizione dei colleghi per l'esame degli emendamenti.
All'onorevole Borghesi faccio presente che le Commissioni, in piena intesa con la Presidenza, hanno già avuto indicazioni di un esame estremamente scrupoloso e rigoroso degli emendamenti che possano essere dichiarati ammissibili, qualora si tratti, come nel caso da lei paventato, di emendamenti volti a trasferire nel disegno di legge di conversione del decreto-legge materie, o comunque iniziative di legge, già contenute nel disegno di legge presentato in parallelo al decreto-legge.
Quanto all'osservazione avanzata dall'onorevole Palomba, che ha sollevato questioni con riferimento alle modalità di svolgimento dell'esame in sede referente, come lo stesso onorevole Palomba ricordava, ho avuto modo di ribadire, nella seduta di ieri, che in base al Regolamento è affidata all'autonomia della Commissione - in questo caso delle Commissioni riunite - l'organizzazione del dibattito e la determinazione dei tempi entro i quali concluderne l'esame in sede referente.
È una precisa norma regolamentare. Ad ogni modo, chiedo al presidente Bruno o al presidente Bongiorno se ritengono opportuno fornire all'Assemblea gli elementi in ordine alle modalità di svolgimento dell'esame in sede referente del disegno di legge contenente il cosiddetto «lodo Alfano».
L'onorevole Bongiorno ha facoltà di parlare.

GIULIA BONGIORNO, Presidente della II Commissione. Signor Presidente, intervengo ovviamente in merito a quanto detto dall'onorevole Palomba: partendo da un presupposto che non condivido, egli ha infatti affermato che ieri, nell'intervento del Presidente Fini, sarebbero state scaricate delle responsabilità. Credo invece che sia stata fatta una netta differenziazione delle competenze.
Mi limito comunque a far presente che, come le è noto, bisogna ripercorrere cronologicamente l'andamento dei fatti. Nella riunione congiunta degli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni I e II, svoltasi il 7 luglio alle ore 11, è stato stabilito chePag. 15l'esame del disegno di legge in questione venisse avviato a partire dalle ore 9 del giorno successivo, considerando che lo stesso era iscritto nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire da lunedì 28 luglio, ove concluso dalle Commissioni. Tale decisione non è stata oggetto di contestazione da parte dei gruppi di opposizione.
A seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, svoltasi il 7 luglio alle ore 20, il predetto provvedimento è stato inserito nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire dalla seduta pomeridiana di mercoledì 9 luglio, sempre ove concluso dalle Commissioni.
Prendendo atto dell'anticipazione del predetto disegno di legge da parte dell'Assemblea, sia pure condizionatamente alla conclusione dei lavori delle Commissioni riunite, nella riunione congiunta degli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni I e II, svoltasi l'8 luglio alle ore 9, si è stabilito che le Commissioni avrebbero concluso l'esame in sede referente in tempi utili per avviare l'esame in Assemblea a partire dalla seduta pomeridiana di oggi. Tale decisione è stata assunta con la contrarietà dei gruppi del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori.
Nel corso della riunione congiunta degli uffici di presidenza, è stato espressamente chiarito che le Commissioni non erano obbligate a concludere l'esame in sede referente entro oggi, in ragione del calendario dell'Assemblea, non essendo ancora trascorsi due mesi dall'inizio dell'esame in sede referente. Si è, tuttavia, ritenuto di dover concludere l'esame in sede referente entro la seduta di questa mattina, in considerazione del fatto che il calendario dell'Assemblea era stato appositamente modificato per inserirvi, a partire da oggi, un provvedimento che era precedentemente iscritto nel calendario dell'Assemblea a partire dal 28 luglio.
È vero che le Commissioni non hanno alcun obbligo di concludere l'esame del provvedimento in ragione della calendarizzazione del medesimo; ma è ancor più vero che, alla base della modifica del calendario dell'Assemblea, sta una scelta politica - del tutto legittima - del Governo e dei gruppi di maggioranza che, assumendosene la responsabilità dinanzi al Paese, ritengono che il provvedimento in esame costituisca una priorità politica.
Ciò può non essere condiviso nel merito. La polemica dell'onorevole Palomba a nostro avviso, confonde il merito con il metodo: su quest'ultimo non vi può essere alcuna obiezione.

PRESIDENTE. Mi sembra che il presidente Bongiorno abbia fornito i chiarimenti necessari in ordine allo svolgimento dell'esame in sede referente, la cui organizzazione, come ho detto in precedenza, rimane comunque affidata all'autonomia delle Commissioni.

Si riprende la discussione.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1442)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto altresì che le Commissioni I (Affari Costituzionali) e II (Giustizia) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la I Commissione (Affari Costituzionali), onorevole Calderisi, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, colleghi, signor Ministro della giustizia, signor Ministro per i rapporti con il Parlamento, il disegno di legge che l'Assemblea si appresta ad esaminare è espressamente diretto a tutelare un valore di rilevanza costituzionale, qual è l'interesse al sereno svolgimento delle funzioni che fanno capo ai vertici istituzionali. L'interesse, in altre parole, a che l'esercizio delle più alte funzioni pubbliche possa svolgersi con laPag. 16regolarità e la continuità che gli sono proprie. La rilevanza di tale valore è stata esplicitamente confermata dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 24 del 2004, sulla quale mi soffermerò più avanti.
Tale sentenza ha ben ritenuto possibile l'introduzione nell'ordinamento di misure finalizzate alla tutela di tale valore, purché rispettose del necessario contemperamento con gli altri concorrenti valori costituzionali sui quali tali misure possano incidere. A tale principio di ragionevole contemperamento di valori costituzionali si ispirano tutte le disposizioni recate dall'unico articolo del disegno di legge oggi in esame.
Il comma 1 dispone la sospensione dei processi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, dei Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, fino alla cessazione della carica o della funzione. Si tratta di un limitatissimo numero di soggetti, accomunati da due caratteristiche: sono titolari di posizioni di vertice in altrettanti organi costituzionali; sono titolari di funzioni istituzionali aventi natura essenzialmente politica, i quali trovano la propria legittimazione - in via diretta o mediata - nella volontà popolare.
Un'altra carica istituzionale - anch'essa posta al vertice di un organo costituzionale - non è stata inclusa nel novero dei destinatari della disciplina, quella di presidente della Corte costituzionale. Come precisa la relazione illustrativa del disegno di legge presentato dal Governo, tale scelta è motivata esclusivamente dalla diversità, per investitura e funzioni, di tale carica rispetto alle quattro summenzionate, omogenee tra loro in quanto la fonte di investitura - come detto - promana dalla volontà popolare e le funzioni esercitate hanno impronta eminentemente politica. Va comunque sottolineato che il Presidente della Corte costituzionale, al pari degli altri giudici della Corte, è coperto dall'immunità di cui all'articolo 3 della legge costituzionale n. 1 del 1948, che ha esteso ad essi il godimento dell'immunità accordata, nel secondo comma dell'articolo 68 della Costituzione, ai membri delle due Camere (che, per questi ultimi, è stata, come è noto, abolita).
Il comma 1 fa esplicitamente salvi i casi di cui agli articoli 90 e 96 della Costituzione, ossia le ipotesi di responsabilità del Capo dello Stato e del Presidente del Consiglio dei ministri per atti compiuti nell'esercizio delle rispettive funzioni, la cosiddetta responsabilità funzionale. Ciò significa che, con riguardo ai titolari di queste due cariche, la sospensione riguarda i soli processi per reati extrafunzionali; i cosiddetti reati funzionali rientrano nella disciplina prevista dalle citate norme costituzionali, secondo le quali il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione, mentre il Presidente del Consiglio dei ministri può essere sottoposto alla giurisdizione ordinaria per i predetti reati dopo la decisione di rinvio a giudizio adottata dal tribunale dei ministri e, in ogni caso, previa autorizzazione della Camera di appartenenza.
La sospensione concerne anche i processi relativi a fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione. Infatti, l'esigenza di tutela delle alte cariche dello Stato sussiste in relazione alla pendenza del processo, indipendentemente dal fatto che si proceda per fatti commessi in epoca anteriore all'assunzione della carica o della funzione. Come già detto, la sospensione opera sino alla cessazione della carica o della funzione.
Ai sensi del comma 2, l'imputato può, in qualsiasi momento, rinunciare alla sospensione, con atto proprio o del difensore munito di procura speciale. La rinunciabilità della sospensione è posta a tutela del diritto di difesa dell'imputato, garantito dall'articolo 24 della Costituzione. Come opportunamente fa notare la relazione illustrativa, ciò non contrasta con la ratio della norma, in quanto l'eventuale rinuncia costituirebbe di per sé un indice obiettivo del fatto che lo svolgimento del processo non interferisce, nel caso concreto, con il sereno svolgimento delle funzioniPag. 17inerenti alla carica. Si realizza, così, l'equo contemperamento dei valori sottesi agli articoli 24 e 51 della Costituzione.
Il comma 3, a tutela del diritto alla prova, stabilisce che la sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti, di provvedere all'assunzione delle prove non rinviabili, procedendo, ex articoli 392 e 467 del codice di procedura penale, all'incidente probatorio anche in pendenza della sospensione. Escludendo la paralisi assoluta delle attività processuali, si salvaguarda, così, il diritto alla prova, impedendo che la sospensione operi in modo generale ed indifferenziato sul processo in corso.
Il comma 4 prevede che all'ipotesi di sospensione del processo sia collegata la contestuale sospensione del decorso del termine di prescrizione, trovando applicazione l'articolo 159 del codice penale.
Il comma 5, nel ribadire che la sospensione opera per l'intera durata della carica o funzione, stabilisce, tuttavia, che essa non è reiterabile nel confronti del medesimo soggetto. Anche questa disposizione è introdotta al fine di contemperare l'interesse tutelato dal provvedimento con altri valori anch'essi meritevoli di tutela, tra i quale il principio di ragionevole durata del processo e il già richiamato diritto alla difesa. Il comma dispone, tuttavia, che la sospensione può reiterarsi in caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura, e tale eccezione è stata formulata ponendo mente alle ipotesi - non infrequenti nella storia dei governi di questo Paese - in cui a un Presidente del Consiglio dei ministri accada di succedere a se stesso in esito di una crisi di Governo intervenuta e risolta in corso di legislatura.
Il comma 6, derogando esplicitamente a quanto prescritto dall'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale, prevede che, una volta sospeso il processo penale, nel caso di trasferimento dell'azione in sede civile, il processo civile non sia sospeso. Tale deroga costituisce diretta applicazione di un principio sancito dalla sentenza n. 24 del 2004 della Corte costituzionale, secondo cui la parte civile non deve vedere sacrificati i propri diritti in conseguenza della sospensione del processo penale. Allo stesso principio è ispirata la previsione di una corsia preferenziale in caso di trasferimento dell'azione in sede civile.
Il comma 7 reca una disposizione transitoria, nella quale si chiarisce che la disciplina introdotta si applica anche ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento, fissata dal comma 8 nel giorno successivo a quello di pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale.
Come è noto, la disciplina in esame trova un precedente nell'articolo 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140. L'articolo prevedeva che il Presidente della Repubblica (fatta salva la sua responsabilità ex articolo 90 della Costituzione), i Presidenti delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei ministri (salva la responsabilità per reati ministeriali ex articolo 96 della Costituzione) e il Presidente della Corte costituzionale non potessero essere sottoposti a processo penale per qualsiasi reato, anche relativo a fatti antecedenti l'assunzione delle cariche, sino alla cessazione delle medesime, e sospendeva i processi penali in corso alla data di entrata in vigore della legge. In tali fattispecie trovava applicazione l'articolo 159 del codice penale in materia di sospensione della prescrizione.
La Corte costituzionale, con la menzionata sentenza n. 24 del 2004, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione (nei quali trovano fondamento rispettivamente il principio di parità di trattamento rispetto alla giurisdizione e il diritto alla difesa) e ha dichiarato assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale sollevato.
La questione di legittimità costituzionale - credo sia molto utile ricordarlo - era stata sollevata dal tribunale di Milano con riferimento all'articolo 3 della Costituzione; in rapporto all'articolo 112 della Costituzione, che sancisce il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale; agli articoli 68, 90 e 96 della Costituzione, in quanto si attribuisce alle persone chePag. 18ricoprono una delle menzionate alte cariche dello Stato una prerogativa non prevista dalle citate disposizioni della Costituzione, che verrebbero, pertanto, ad essere illegittimamente modificate con legge ordinaria, in violazione anche dell'articolo 138 della Costituzione; agli articoli 24, 111 e 117 della Costituzione, perché non si consente l'esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato e delle parti civili, in contrasto anche con la Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Nessuno di tali motivi di incostituzionalità è stato fatto proprio dalla Corte, ad eccezione, come detto, di quelli afferenti gli articoli 3 e 24 della Costituzione. La Corte ha rilevato che l'interesse tutelato dalla disposizione - il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni inerenti alle più alte cariche allo Stato - appare apprezzabile e tutelabile in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale. La Corte ha osservato, tuttavia, che la prevista sospensione generale, automatica e di durata non determinata, crea un regime differenziato riguardo all'esercizio della giurisdizione penale.
«La constatazione di tale differenziazione - ha affermato la Corte - non conduce di per sé all'affermazione del contrasto della norma con l'articolo 3 della Costituzione. Il principio di uguaglianza comporta infatti che, se situazioni uguali esigono uguale disciplina, situazioni diverse possono implicare differenti normative. In tale seconda ipotesi, tuttavia, ha decisivo rilievo il livello che l'ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversità può venire in considerazione.
Nel caso in esame sono fondamentali i valori rispetto ai quali il legislatore ha ritenuto prevalente l'esigenza di protezione della serenità dello svolgimento delle attività connesse alle cariche in questione.
Alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili, è regolato da precetti costituzionali».
L'automatismo generalizzato della sospensione - prosegue la Corte - incide, menomandolo, sul diritto di difesa dell'imputato, al quale è posta l'alternativa tra continuare a svolgere l'alto incarico, rimanendo sotto il peso di un'imputazione, in ipotesi, anche assai grave, oppure dimettersi dalla carica, al fine di ottenere un accertamento giudiziale prefigurato come favorevole, rinunciando, con ciò, al godimento di un diritto garantito dall'articolo 51 della Costituzione.
Risulta, altresì, sacrificato - ha affermato ancora la Corte - il diritto della parte civile, la quale, anche ammessa la possibilità di trasferimento dell'azione in sede civile, deve soggiacere alla sospensione prevista dall'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale.
La Corte ha inoltre ritenuto che la durata della sospensione per un tempo indefinito e indeterminabile potesse ledere il diritto di azione e di difesa, oltre al bene costituzionale dell'efficienza del processo.
La Corte ha ritenuto la norma in contrasto con l'articolo 3, anche perché accomuna in un'unica disciplina cariche diverse per investitura e per funzioni, distinguendo, sotto il profilo della parità rispetto ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale, rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti. L'ha, infine, ritenuta viziata di irragionevolezza, in quanto, pur facendo salvi gli articoli 90 e 96 della Costituzione, tace sull'articolo 3, comma 2, della legge costituzionale n. 1 del 1948, che ha esteso a tutti i giudici della Corte costituzionale il godimento dell'immunità accordata nel secondo comma dell'articolo 68 della Costituzione ai membri delle due Camere.
Ebbene, la sentenza n. 24 del 2004 della Corte costituzionale, qui ampiamente citata, ha costituito dichiaratamente la linea guida del testo oggi in esame, le cui disposizioni, come si è ricordato nel corso della descrizione, sono direttamente riconducibiliPag. 19ai principi affermati in quella sentenza, compresa la scelta di non includere nel novero dei destinatari della disciplina il Presidente della Corte costituzionale e di limitare, pertanto, il meccanismo di sospensione alle più alte cariche dello Stato che siano più omogenee tra loro con riguardo sia alla fonte di investitura, che promana dalla volontà popolare, e dunque dall'articolo 1 della Costituzione, sia alla funzione esercitata, che ha natura eminentemente politica.
D'altro canto, non è più solo l'articolo 95 della Costituzione, in cui già spicca la figura del Presidente del Consiglio rispetto a quella dei ministri, ma anche la nuova legge elettorale, introdotta nel 2005, quindi dopo la sentenza della Corte, con la formale indicazione preventiva del capo della coalizione, che comporta un'investitura diretta del Presidente del Consiglio da parte degli elettori - come rilevato ieri su Il Corriere della Sera da parte dell'ex senatore Giovanni Pellegrino - a determinare una netta diversità di investitura e di funzioni del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto agli altri componenti del Governo.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore per la I Commissione. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente; ci atterremo, comunque, ai trenta minuti a disposizione dei relatori.
Analogamente, le attribuzioni costituzionali dei Presidenti dei due rami del Parlamento, in particolare quelle di cui agli articoli 85, 86 e 88 della Costituzione - il Presidente della Camera convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica; le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato; i Presidenti delle Camere sono sentiti dal Presidente della Repubblica in relazione allo scioglimento delle Camere o anche di una sola di esse -, oltre al loro ruolo di garanzia dei diritti dei singoli parlamentari e dei gruppi parlamentari, di rappresentanza esterna dell'organo e di nomina delle autorità indipendenti, determinano per i Presidenti delle Camere una posizione costituzionale del tutto distinta da quella degli altri componenti delle Camere stesse.
Non è irrilevante notare che la Presidenza della Repubblica, nel suo comunicato del 2 luglio scorso con il quale si è data notizia dell'autorizzazione da parte del Capo dello Stato alla presentazione alle Camere del disegno di legge in esame, ha ricordato che «punto di riferimento per la decisione del Capo dello Stato è stata la sentenza n. 24 del 2004», e ha osservato che «a un primo esame - quale compete al Capo dello Stato in questa fase - il disegno di legge approvato il 27 giugno dal Consiglio dei ministri è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza».

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore per la I Commissione. «La Corte, infatti - aggiunge il comunicato -, non sancì che la norma di sospensione di quei processi dovesse essere adottata con legge costituzionale. Giudicò inoltre "un interesse apprezzabile" la tutela del bene costituito dalla "assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche"...»

PRESIDENTE. Concluda, prego, onorevole Calderisi.

GIUSEPPE CALDERISI. Concludo, signor Presidente: sto citando il comunicato del Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Lei ha quindici minuti. Non importa cosa cita, l'importante è che rispetti il tempo. Prego, concluda.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore per la I Commissione. Complessivamente impiegheremo trenta minuti: i relatori hanno trenta minuti.
La Corte rilevò, prosegue il comunicato, «che tale interesse "può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali delloPag. 20Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale"», e stabilì «a tal fine alcune essenziali condizioni».
Le misure recate dal disegno di legge bilanciano ragionevolmente i diversi interessi in gioco in quel conflitto tra politica e giustizia che dura ormai da troppi anni. Esse consentono ai vertici istituzionali, chiamati a svolgere le più alte funzioni pubbliche, di dedicarsi ad esse con la necessaria serenità e il dovuto impegno, senza per questo pregiudicare il principio dell'eguale soggezione di tutti alla legge penale. Sottovalutare queste esigenze comporta il rischio di far precipitare il Paese in vere e proprie emergenze istituzionali, nella contingenza economica oltretutto meno adatta: una preoccupazione che deve animare, ne sono profondamente convinto, chi ha a cuore la Costituzione e i suoi principi.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, prendo la parola per sapere se, in base alla «fabbrica» dei precedenti, ne stiamo costituendo uno oggi, in funzione del quale è il relatore che parla per primo che stabilisce qual è la distribuzione dei tempi per i relatori che devono intervenire.

PRESIDENTE. Non credo che il termine «fabbrica» sia il più adatto per esprimere quelli che sono i precedenti della Camera. Ho più volte richiamato l'onorevole Calderisi, come credo lei abbia avuto modo di verificare.
L'onorevole Costa, relatore per la II Commissione, ha facoltà di svolgere la relazione, con preghiera di essere tassativo nel rispetto dei suoi tempi.

ENRICO COSTA, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori ministri, il disegno di legge si compone di un solo articolo suddiviso in 8 commi.
Il comma 1, facendo salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, esclude l'applicabilità della norma in esame ai cosiddetti reati funzionali, la cui disciplina è dettata dai predetti articoli della Costituzione. Si tratta di una precisazione che non riguarda i Presidenti delle due Camere, riferendosi tali disposizioni rispettivamente al Presidente della Repubblica ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai ministri. Il primo non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento e per attentato alla Costituzione, nel qual caso è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune. I secondi, secondo quanto precisato dalla legge costituzionale n. 1 del 1989, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio del loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera di appartenenza e dopo la decisione di rinvio a giudizio adottata dal tribunale dei ministri.
Il disegno di legge in esame è quindi diretto ad incidere sui processi per i reati extrafunzionali del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio dei ministri, cioè i reati estranei alle attività inerenti alla carica, nonché sui processi penali, senza distinzione di tipo di reato, per i reati addebitati ai Presidenti delle Camere.
Con la precisazione di cui sopra, il comma 1 stabilisce che i processi penali nei confronti delle predette quattro alte cariche dello Stato sono sospesi. Si tratta di una sospensione del processo penale - con la precisazione, prevista dal comma 2, della possibilità di rinunciarvi - che opera dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti all'assunzione della carica o della funzione.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Costa. Onorevole Calderisi, torni al banco dei relatori. Prego, onorevole Costa.

Pag. 21

ENRICO COSTA, Relatore per la II Commissione. L'irrilevanza del momento in cui il fatto è avvenuto deriva dalla ratio del provvedimento, il quale risponde ad un'esigenza di tutela delle alte cariche dello Stato, al fine di garantire un sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono alle cariche stesse, in relazione alla pendenza del processo.
La delimitazione del periodo di sospensione, la cui ratio è da rinvenire nel tutela del munus pubblico, è collegata alla durata della carica o della funzione. Ai sensi del comma 5, infatti, la sospensione opera per l'intera durata della carica o della funzione, e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura.
A differenza del testo dichiarato incostituzionale nel 2004, si sancisce il principio della non reiterabilità della sospensione nel caso in cui la persona assuma nuovamente la carica che comporta la sospensione del processo. Ciò per contemperare la tutela del munus pubblico e l'esercizio della giurisdizione, la quale non può essere sottoposta ad una sospensione indefinita e potenzialmente prorogabile senza alcun termine finale. Per ciò che riguarda il Presidente del Consiglio dei ministri, la sospensione opera anche nel caso di nuovo incarico, purché assunto nella stessa legislatura: si ritiene infatti che, finché non termini la legislatura, la carica di Presidente del Consiglio sia da considerare ricoperta con continuità e, quindi, permangano le medesime esigenze di sospensione del processo, senza che ciò determini un vulnus per l'esercizio della giurisdizione.
Il comma 1 del provvedimento in esame è, quindi, volto ad introdurre una nuova ipotesi di sospensione del processo che si aggiunge a quelle già previste dalla normativa vigente. Queste sono state richiamate nella citata sentenza n. 24, evidenziando come la sospensione, di solito prevista per situazioni oggettive del processo, è funzionale al suo regolare proseguimento.
Nel caso di sospensione dei processi in ragione della carica ricoperta dall'imputato o indagato, ci troviamo in una diversa ipotesi, in quanto la sospensione è riconnessa ad un interesse diverso rispetto al regolare proseguimento del processo. Tuttavia, non per questo ci troviamo di fronte ad una violazione di norme costituzionali o a una lesione dei principi generali dell'ordinamento. È, infatti, la stessa Corte costituzionale a prevedere la possibilità di ipotesi di sospensione del processo per ragioni non endo-procedurali: si legge espressamente nella sentenza n. 24 che «ciò non significa che quello delle sospensioni sia un sistema chiuso e che il legislatore non possa stabilire altre sospensioni finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali, ma implica la necessità di identificare i presupposti di tali sospensioni e le finalità perseguite, eterogenee rispetto a quelle proprie del processo». Ciò che conta è che il bene protetto dal quale muove la sospensione del processo sia meritevole della tutela alla quale la sospensione mira. Tale bene, individuato dalla Corte nell'assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche, è ritenuto dalla medesima come un interesse apprezzabile, che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale.
Il comma 2 prevede che in ogni momento l'imputato possa rinunciare alla sospensione, anche attraverso un difensore munito di procura speciale. Si tratta di una novità rispetto al testo dichiarato incostituzionale nel 2004 che trova la propria ragione nella tutela del diritto, di rilevanza costituzionale, di difesa dell'imputato. Per non comprimere un diritto costituzionalmente garantito, infatti, a questi è data facoltà di scegliere se affrontare o meno il processo senza doversi dimettere dalla carica ricoperta, come invece comportava il testo del 2003.
Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge è rilevato che si realizza così l'equo contemperamento dei valori sottesi agli articoli 24 e 51 della Costituzione e che, sotto il profilo della ragionevolezza, la disposizione contenuta nelPag. 22comma 2 è conforme alla ratio legis, in quanto la rinuncia alla sospensione assume un valore obiettivo, dimostrando che, nel caso concreto, lo svolgimento del processo non interferisce con il sereno svolgimento della carica alla cui esclusiva tutela è preordinato il meccanismo di sospensione.
Altra differenza di non poco conto rispetto alla disciplina dichiarata costituzionalmente illegittima nel 2004 è la previsione del comma 3. Tale norma consente al giudice, qualora ne ricorrano i presupposti stabiliti nel codice di procedura penale dalle disposizioni sull'incidente probatorio e sugli atti urgenti quali atti preliminari al dibattimento, di acquisire nel processo sospeso le prove non rinviabili. In questo modo, sono soddisfatte le esigenze giurisdizionali del processo, che potrebbero invece essere pregiudicate da un'assoluta paralisi di ciascuna attività processuale a causa della sua sospensione. È, infatti, salvaguardato il diritto alla prova e si impedisce che la sospensione operi in modo generale e indifferenziata sui processi in corso.
Per quanto attiene alla prescrizione del reato, il comma 4 ne sospende il corso durante il periodo di sospensione del processo, secondo il meccanismo generale previsto dall'articolo 159 del codice penale. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.
Il comma 6, alla luce della sentenza n. 24, prevede poi la possibilità per la parte civile di trasferire l'azione in sede civile, in deroga all'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale, secondo cui, quando l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta ad impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge. E quella che stiamo esaminando è proprio una di quelle eccezioni previste dalla legge.
Si tratta di una novità importante rispetto al testo del 2003, in quanto è volta a tutelare un diritto costituzionalmente garantito qual è quello alla difesa della controparte. La possibilità di ottenere comunque il risarcimento del danno, anche se il processo penale è sospeso, evita ciò che la Corte costituzionale nella sentenza del 2004 ha evidenziato come un profilo di incostituzionalità: la possibilità che la posizione della parte civile subisca gli effetti e venga quindi compromessa in seguito, appunto, alla sospensione del processo penale. Proprio per tutelare appieno il diritto della parte civile è stato stabilito che, in caso di riproposizione della domanda in sede civile, la causa debba essere trattata con priorità attraverso la riduzione del termine per comparire.
Il comma 7 contiene una disposizione transitoria che estende la sospensione anche ai processi penali già in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della legge.
Infine, il comma 8 stabilisce che la legge entra in vigore il primo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,50).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo davvero brevemente solo per lasciare agli atti dell'Aula una solidarietà che credo sia necessario esprimere, in ordine alla manifestazione che si è svolta ieri a piazza Navona, per i toni che sono stati usati nei confronti del Capo dello Stato, del Presidente del Consiglio e del Papa, che anche in un'ottica, come dire, assolutamente laica, perfino laicista, è comunquePag. 23il capo dello Stato del Vaticano. Signor Presidente, credo che in questo quadro si debba svolgere una riflessione sulle derive che spesso si prendono in queste circostanze e in manifestazioni di questo genere.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Baldelli.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1442)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.

MATTEO BRIGANDÌ. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, deputati dell'Italia dei Valori, signori Ministri, il mio intervento tende ad essere un po' più politico e meno tecnico, dato che i colleghi relatori hanno esplicitato il contenuto del provvedimento in maniera chiara ed esaustiva.
Questo è un provvedimento - lo dico anche a nome del gruppo cui ho l'onore di appartenere - che non avremmo voluto vedere in quest'Aula, perché l'accanimento che la magistratura ha nei confronti del Presidente del Consiglio non è degno del prestigio che la magistratura ha negli anni dimostrato (e quindi, forse sarebbe stato opportuno applicare, magari a tutta l'Italia, la circolare Maddalena). Non lo avremmo voluto vedere perché abbiamo altri interessi più importanti (l'interesse di stare vicino ai cittadini, di fornire risposte al federalismo fiscale, di dare case, di risolvere i problemi che la gente ci ha mandato qui a risolvere).
Ciò nonostante, evidentemente siamo qui a discutere perché reputiamo sia venuto al pettine il fatto che il nostro Governo si trova in una situazione di legittima difesa nei confronti degli attacchi che altre istituzioni dello Stato gli stanno portando: questa è l'assoluta verità.
La magistratura è un'istituzione che ha una nascita gloriosa, perché si era assestata da sempre come un potere autonomo dello Stato che aveva un posto preciso (di sottoposizione alle leggi) ed a fronte di questo portava avanti un discorso di giustizia che soddisfaceva tutti i cittadini.
La carriera nella magistratura era più o meno organizzata nel modo seguente. Si iniziava la carriera come pretore e si finiva da pretore, oppure si vinceva il concorso da uditore giudiziario e lo si faceva per qualche anno e, infine, c'era un concorso da aggiunto che, se non veniva superato, faceva sì che si tornasse a casa, dopodiché, per diventare consigliere di Corte d'appello o di Cassazione, intervenivano concorsi per titoli, i quali non potevano che essere delle sentenze.
È chiaro, quindi, che prima che un magistrato potesse - per dirla alla napoletana - pazziare (cioè fare delle cose al di fuori di ogni senso) doveva avere una certa età. Infatti, se non superava il concorso in magistratura andava a casa e cominciare a fare pratica da avvocato, dall'età di trent'anni, diventava dura, altrimenti finiva come magistrato di tribunale o come consigliere di Corte d'appello. Diventava svincolato da ogni vincolo gerarchico-logico nei confronti del sovrastante sistema, quando era consigliere di Cassazione, cioè quando aveva più o meno l'età di cinquanta o sessant'anni e si trovava in una situazione di estrema tranquillità.
Vi era, quindi, un sistema di magistratura chiuso a campana e rigidamente organizzato, all'interno dell'ordine giudiziario, dal primo presidente della Corte di cassazione, dal procuratore generale. Ciò dava risposte talmente forti e precise all'interno del sistema che neanche il periodo del ventennio riuscì a scalfire. La magistratura rimase un monolite integro, al punto che si dovettero creare tribunali speciali, e quando finì quel periodo, essa rimase un punto di riferimento per tutte le istituzioni dello Stato. Per esempio, quando la polizia doveva interrogare gli imputati doveva assistere un magistrato, poi il magistrato cominciò a produrre anch'egli l'attività di indagine e, quindi,Pag. 24condurre le indagini. Pertanto, vi fu un meccanismo che progressivamente portò la magistratura ad essere sempre più importante, indipendente e meno vincolata.
Si abolì l'esame da aggiunto, i pretori furono integrati in una carriera che li portava a diventare magistrati di Cassazione, furono tolti gli esami per diventare magistrato di Corte d'appello e di cassazione. Il morale della favola è che chi vinceva alla fine degli anni Sessanta il concorso in magistratura aveva la garanzia di diventare consigliere di Cassazione e, con un'ultima modifica, comunque di averne il relativo stipendio. Questa «svincolatezza» e la garanzia che da sempre era stata un corpo integro fu tale che venne abbandonata dal mondo politico e, dato culturale, avvicinata da chi non poteva gestire il potere, con una intelligenza e una lungimiranza eccezionali. Quindi, col passare del tempo, la magistratura si avvicinò al mondo della politica. Furono eliminati i concorsi, l'ufficio del pubblico ministero divenne sempre più indipendente. Oggi, diventa complicato stabilire dal punto di vista delle garanzie che differenza vi sia fra l'inquirente e il giudicante.
Siamo al punto cruciale: questo avvicinamento in maniera significativa al mondo della politica non è negabile. Noi abbiamo un testo di uno dei più noti magistrati d'Italia in cui vi è scritto che è compito istituzionale della magistratura fare politica e non vi è nessuno che abbia contestato questa proposizione. Nel momento in cui si approvò una norma, che ritenne fosse indirizzata contro di lui, egli scrisse che il Senato - e non il senatore Tizio o il senatore Caio - avevano approvato una norma contro di lui. Quindi, è evidente che non ci troviamo di fronte ad una giustapposizione di poteri dello Stato, ma ad una contrapposizione fra di essi. Questo è il dato reale.
È indiscutibile che il Presidente del Consiglio abbia avuto una serie di processi dai quali non è mai derivata una condanna. Questo lo vivo anche direttamente, nel senso che, come è noto, difendo il capo del mio partito e lui ha avuto circa duecento processi penali dai quali è stato sistematicamente assolto e, nei casi in cui ciò non è avvenuto, non vi è stato nulla di vergognoso dal punto di vista politico.
Dico questo, perché il discorso di fondo che viene svolto come attacco è il seguente: Berlusconi deve presentarsi ai giudici e farsi giudicare perché bisogna difendersi «nel processo» e non difendersi «dal processo». Questo discorso non ha una logica nell'attuale momento storico di conflitto; la avrebbe se vi fosse una fiducia basata su serenità e pacatezza.
Faccio alcuni esempi così ci chiariamo. Nel momento in cui la Corte di cassazione ha stabilito che Bossi doveva essere assolto quando ha aggredito la polizia perché voleva entrare nell'ufficio dell'onorevole Maroni, in quanto tale ufficio è tutelato dall'articolo 68, comma secondo, della Costituzione, ha affermato una cosa ovviamente giusta, che implica che l'atto compiuto è illegittimo. Questo atto è illegittimo e se lo compie un cittadino normale nei confronti di un altro cittadino realizza un reato che si chiama, quantomeno, violazione di domicilio e violenza privata. Qualcuno di voi è in grado di dirmi per quale motivo il soggetto che ha compiuto questo atto, che secondo me potrebbe essere prospettato meglio come attentato alla Costituzione, non ha subito alcunché? Per quale motivo il procuratore della Repubblica di Verona Papalia che ordinò la perquisizione e l'attacco fisico a dei parlamentari che proteggevano il domicilio di un altro parlamentare, non ha subito alcuna conseguenza, neanche disciplinare?
Questo è un esempio fra i tanti - veramente tanti - che si possono portare e se ne possono fare anche degli altri. Se un politico normale viene trovato con una Mercedes e dice che l'ha avuta in prestito, lo mettono in galera e buttano via la chiave; se invece è un collega di quelli che vanno a giudicare, lo assolvono all'udienza preliminare. Se un politico normale viene preso con una manciata di francobolli lo mettono in galera e portano via la chiave, ma se un collega di quelli che vanno a giudicare dice che gli hanno prestato 100 milioni e che poi forse li restituirà, loPag. 25assolvono all'udienza preliminare. Non continuo perché ci sono tanti oratori che devono intervenire dopo di me, ma è evidente che ci troviamo di fronte ad una situazione di conflitto (su questo non vi è il minimo dubbio), ci troviamo di fronte ad una situazione che deve essere ristabilita subito, qui, adesso.
Ecco perché, dal punto di vista astratto è sgradevole, ma dal punto di vista concreto è necessario - ed è un nostro potere e dovere - dover lavorare di notte per approvare questo provvedimento con urgenza, perché sarebbe veramente sgradevole espropriare o offuscare o appannare l'agire di una persona, di cui tutti conoscevano la posizione giudiziaria e che, nonostante ciò, è stato eletto dai cittadini. Questo è un meccanismo che, gradevole o sgradevole che sia, si chiama democrazia.
Signori, ricordo a tutti che siamo perfino di fronte all'esempio del cane che morde la mano di chi gli dà da mangiare: il precedente Governo è caduto per un atto giudiziario, con riferimento al quale un vostro Ministro si è dimesso ed ha affermato delle cose precise e condivisibili - ma forse le ha dette perché in quel momento stava piangendo -, che si è dimostrato totalmente infondato quindici giorni dopo. E voi mi venite a dire che la magistratura è indipendente, che su di essa i politici possono tranquillamente riporre fiducia e che, quindi, bisogna difendersi «nel processo»?
La magistratura sta dimostrando con i fatti che è un elemento autonomo, perché ormai è in aperto contrasto con il sistema politico, dal quale bisogna difendersi comunque; quindi, prima di difendersi «nel processo», bisogna andare a difendersi «dal processo», perché come abbiamo visto - mi pare che l'abbiamo dimostrato - l'azione della magistratura è un'azione politica dichiarata. Lo ha scritto Giancarlo Caselli, che era presente nella campagna elettorale.
A Rivoli, la settimana prima delle elezioni vi erano dei manifesti con scritto: «Giancarlo Caselli magistrato», ed egli partecipava sotto una bandiera rossa. Questa è la situazione in cui bisogna riporre fiducia? Certamente no. Bisogna riassettare lo Stato, bisogna che si riapra un dialogo con la maggior parte dei magistrati che sono persone serie e sanno esattamente quali sono i compiti e i limiti della magistratura e far sì che nessuno di noi la tema. Questa Camera ha dato, in riferimento all'insindacabilità, un meccanismo di autogoverno serio, approvato da tutti i partiti e che mercoledì prossimo tornerà nuovamente in discussione per essere riapprovato da parte di tutti i partiti.
Ricordo che su 119 sentenze la Corte costituzionale ne ha bocciate 110. Quindi, ci troviamo in una situazione di completo disprezzo dell'articolo 68 della Costituzione. In Giunta tutti i giorni si esaminano richieste di autorizzazione a procedere dei magistrati i quali, invece di ascoltare (perché non possono farlo) le telefonate del parlamentare, provvedono a registrare quelle di tutti coloro che hanno avuto l'avventura di tenere con essi dei contatti telefonici nell'ultimo mese. Questa è la situazione.
Dobbiamo pensare anche che addirittura esplicitamente la magistratura si sta ponendo in una posizione di attività politica e mi riferisco alla cosiddetta circolare Maddalena: giusta nel merito, ma a prescindere da ciò voglio capire per quale motivo un magistrato decida di svolgere alcuni processi e di non svolgerne altri. È evidente, quindi, che abbiamo la prova provata che l'obbligatorietà dell'azione penale è saltata. Infatti, se un magistrato decide di occuparsi di determinati processi, significa che di altri non se ne occupa, quindi salta, lo ripeto, l'obbligatorietà dell'azione penale.
Nel momento in cui vi è una situazione d'immunità di fatto e un'immunità (che non vi è) di diritto, e nel momento in cui abbiamo un quadro così terribile, dobbiamo fare due cose: difenderci immediatamente con il disegno di legge in esame e, soprattutto, creare un meccanismo per cui chi decide di ricoprire la carica parlamentare (perché i cittadini italiani gli hanno conferito il mandato di essere rappresentati in Aula) possa svolgere tale incarico senza essere minacciato, con serenità ePag. 26senza correre il rischio di essere intercettato, arrestato o perquisito. Abbiamo visto che cosa ha dovuto subire l'onorevole Mastella probabilmente per dei meccanismi che erano, a mio avviso, di carattere politico.
Abbiamo, quindi, il dovere di approvare il disegno di legge in esame, di fare dei buoni propositi e mi pare che i buoni propositi non siano giunti solo da parte del centrodestra, ma anche da parte del centrosinistra. Dobbiamo realizzare delle riforme serie in tema di giustizia perché è necessario che si dia un riassetto costituzionale allo Stato. Bisogna realizzare e presentare (noi della Lega lo abbiamo già presentato) un disegno di legge che ristabilisca un'immunità che non sia certo un privilegio e una prevaricazione, ma che sia una prerogativa al pari di ciò che esiste in tutte le altre nazioni europee. L'Italia è, infatti, l'unico Paese in cui l'immunità non esiste.
Riteniamo che dobbiamo discutere per chiarire la portata di un articolo della Costituzione, di cui i magistrati fanno grande uso, perché, quando parla della magistratura dice: la magistratura e gli altri poteri. In base a ciò, i magistrati ritengono, quindi, di essere un potere anch'essi. Il principio elementare della rivoluzione francese è che il potere deriva dal popolo, quindi o la magistratura si assetta a ordine e si comporta come tale o, se ritiene di doversi assettare a potere, sia cortese e faccia lo sforzo di essere un potere che deriva dal popolo e da esso consacrato.
Un'ultima questione riguarda l'indipendenza. Io e i miei colleghi di partito, ma credo tutto il centrodestra, siamo i primi a volere una magistratura indipendente. La magistratura deve certamente essere indipendente, ossia, quando un magistrato ha sotto il naso un caso, lo porta nella sua camera di consiglio, prende il codice e decide secondo il diritto, senza alcun vincolo mentale. Quindi, è chiaro che il Governo deve essere distante dalla magistratura e non può esercitare i poteri della magistratura, ma è altrettanto chiaro che così non deve essere fatto, né da alcuni partiti privilegiati rispetto ad altri - che adesso mi pare siano sempre un po' meno privilegiati - né, soprattutto, dalla politica interna. L'indipendenza deve essere interna ed esterna; non è sufficiente che sia esterna. Vedo di spiegarmi. È noto a tutti e che il Consiglio superiore della magistratura ha delle correnti al suo interno. C'è qualcuno che può negarlo? All'interno di queste correnti ci sono istanze che ormai non sono neanche più partitiche, perché non capisco chi dia gli ordini e chi li prenda, cioè se la magistratura prenda ordini da un partito o dia ordini a un partito, ma lasciamo perdere. È chiaro che si assumono posizioni specifiche di carattere politico. Ricordo il «resistere, resistere, resistere» del procuratore capo di Milano. Quella non era certamente una frase avulsa.
Allora la domanda è: qualcuno mi sa indicare un grosso dirigente della magistratura, un presidente di Corte d'appello, un procuratore generale o un procuratore di un tribunale di una città significativa che non risponda a logiche «cencelliane» all'interno del Consiglio superiore della magistratura? Se così è, ed è sotto gli occhi di tutti, succederà che il magistrato in camera di consiglio avrà il codice e gli atti processuali, ma anche una sentenza da emettere nell'ottica politica che una delle correnti, che poi deciderà se deve o non deve fare carriera, gli suggerisce.
Dunque, è compito nostro rivalutare la Camera e il Senato, perché sono le istituzioni delle persone che sono state elette direttamente dal popolo e che, in quanto tali, rappresentano il potere che la democrazia gli dà. Ogni altro potere è fittizio. Allo stesso modo, è compito nostro, risolvere tutti i problemi della giustizia che non sono di carattere amministrativo, che non sono di competenza del Governo, ma del Parlamento, al fine di ridare alle Camere la dignità che si meritano, che ormai da tanto tempo è rimasta negletta.
Vi è, quindi, una necessità di riassetto, di riforma e di pacificazione. Basta con le lotte con i magistrati! Per quanto possibile, dobbiamo cercare di aprire il dialogo e di riconoscere alla magistratura unaPag. 27funzione importante in questo Paese. Quindi, dobbiamo convincerla con le buone, se è possibile, o con la forza, che la legge dà a chi viene eletto dal popolo, per far sì che la magistratura si riassetti e sia l'espressione di un potere che lo Stato gli ha dato, in quanto ritiene che sia meglio avere una magistratura tecnica. Ciò per far sì che vi sia una magistratura che rappresenti la legge e sia sottoposta ad essa, non condizionata da una maggioranza contro una minoranza.
Esiste una magistratura peggiore di quella americana che esercita una giustizia per conto della maggioranza contro la minoranza, ed è quella di cui discutiamo oggi, ovvero una magistratura che amministra la giustizia per conto della minoranza contro la maggioranza e, quindi, contro il popolo italiano. Per citare Magni concludo affermando che: «Chi si mette contro il popolo, prima o poi, sbatte il grugno» (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà, per dodici minuti.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, ci accingiamo a discutere un tema di un grandissimo rilievo politico e costituzionale poiché tocchiamo nel vivo la materia costituzionale e alcuni suoi cardini costituiti dall'articolo 3 che riguarda l'uguaglianza e il principio fondamentale dell'equilibrio dei poteri e della sottoposizione di tutti alla giurisdizione.
Nella vicina Francia, il Presidente Chirac, che aveva avuto alcuni problemi con la giustizia, si presentò alle elezioni del 2002 indicando nel programma elettorale un progetto per definire in maniera diversa le regole costituzionali in materia di immunità del Presidente. Chirac venne eletto con un grande successo popolare e nominò una commissione di esperti, presieduta da Avril, che presentò, dopo un anno circa, un rapporto. Sulla base di questo rapporto venne preparato un progetto di legge, e si arrivò ad approvare nel 2007, cinque anni dopo che il Presidente Chirac aveva pensato questa ipotesi, percorrendo questo percorso, una legge costituzionale che ha disciplinato in maniera più puntuale il problema della responsabilità penale del Capo dello Stato.
In Italia ci accingiamo, in tre giorni, ad approvare un testo che almeno in questo ramo del Parlamento è reso possibile nel suo iter in virtù di un'interpretazione restrittiva del Regolamento sia a livello di Commissione, sia di Assemblea. Non voglio affermare altro perché il problema è già stato sollevato dal presidente del nostro gruppo, però non vorrei neppure che si pensasse che questa disparità di trattamento tra la Francia e il nostro Paese, fosse legata soltanto ad un dato quantitativo, sia pure di dimensioni impressionanti: lì parliamo di anni, qui di giorni. Badate bene, questa interpretazione non ha conseguenze che si esauriscono con la conclusione dei lavori dell'Assemblea perché su questa parte del Regolamento vi è «l'ombrello» dell'articolo 72 della Costituzione, che è una norma costituzionale che pertanto non può essere in alcun modo disattesa. Non esiste interna corporis su questa materia, la Corte costituzionale può oggi e domani sindacare se il procedimento di approvazione della legge è stato rispettoso dei valori costituzionali. Sottolineo tutto questo, perché si tratta di una questione di metodo, ma il metodo che riguarda i lavori di quest'Aula, delle Commissioni e il dibattito su questi temi, non è solo un problema di natura formale.
Nel merito, il nostro sistema costituzionale per quanto riguarda le supreme cariche dello Stato è completo e coerente e si basa su tre cardini fondamentali: l'articolo 90, che riguarda il Presidente della Repubblica, l'articolo 96, che riguarda il Presidente del Consiglio e i Ministri, e l'articolo 68 che riguarda i parlamentari; questi tre snodi sono disciplinati in maniera ragionevole e calibrata. Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica è noto che esiste una situazione particolare. L'articolo 90, primoPag. 28comma, prevede che: «Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione».

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,20)

ROBERTO ZACCARIA. Su questo aspetto qualcuno si domanda che cosa potrebbe succedere al Presidente della Repubblica per la sua eventuale responsabilità per atti commessi al di fuori delle funzioni.
L'Assemblea Costituente aveva pensato a questo aspetto. A tal proposito cito un intervento del relatore Tosato: non si è inclusa nell'articolo alcuna disposizione riguardante la responsabilità penale per i reati comuni del Presidente della Repubblica per ragioni di opportunità e convenienza. In altre parole, Tosato afferma che questo aspetto lo si lascia alla prassi. Aggiunge Costantino Mortati - grande costituzionalista -, che informa che il Comitato ha omesso intenzionalmente ogni regolamentazione della responsabilità ordinaria del Presidente; si tratta quindi di una lacuna volontaria lasciata nella Carta costituzionale. Non è dunque una lacuna - lo ripeto - ma un'intenzione dichiarata di lasciare questi aspetti alla prassi costituzionale.
Su questo profilo riferito ai reati comuni commessi dal Presidente della Repubblica ci sono stati casi giurisprudenziali e soprattutto ha lavorato la dottrina ammettendo che, in alcuni casi si possa configurare una situazione di improcedibilità. In ogni caso voglio dire subito che il problema di un intervento normativo relativo al Presidente della Repubblica potrebbe anche porsi (su questo aspetto dirò qualcosa tra un attimo).
L'articolo 96 della Costituzione si occupa invece del Presidente del Consiglio (quindi non è una novità) e dei Ministri e, a seguito della modifica dell'ordinamento iniziale introdotta, lo sottolineo, con legge costituzionale nel 1989 (vi ricordo la vicenda Lockheed e del Ministro Tanassi processato davanti alla Corte costituzionale), con quella legge si realizza un ritorno alla giustizia ordinaria e si struttura un meccanismo di responsabilità funzionale del Presidente del Consiglio dei ministri fondato sulla nozione di reato ministeriale. La dottrina si è a lungo interessata della nozione dei reati ministeriali. Se ne potrebbe discutere a lungo, ma in sintesi sono «reati comuni» commessi da un ministro in virtù delle prerogative che gli sono conferite. L'articolo 1 del provvedimento che stiamo esaminando, invece, eccettua i reati ministeriali e quanto disposto dall'articolo 96 della Costituzione: quindi già è possibile cogliere una disarmonia, perché può succedere che il Presidente del Consiglio, per reati ministeriali, si trovi ad essere processato perché non vi è alcuna sospensione in questo caso, mentre per altri reati comuni si introduce la sospensione ex lege. Questa è già una disarmonia, comunque procediamo nell'esame.
Per quanto riguarda l'articolo 68, per i parlamentari si era stabilito un meccanismo di autorizzazione a procedere (non mi riferisco al primo comma dell'articolo 68, ma ai commi successivi); questa immunità è stata spazzata via nel 1993 e anche questo è stato fatto con legge costituzionale. Quindi il sistema è tutt'altro che lacunoso. È un sistema strutturato, pensato e congegnato in maniera completa: un sistema calibrato in ogni sua parte.
Si potrebbe dunque intervenire nelle strette maglie attuative di questo sistema anche se le lacune non sono molte. Si possono attuare singole parti. È questo il motivo per il quale la Corte costituzionale non ha escluso a priori la legge ordinaria. La Corte, in altre parole, ha ragionato in questo modo: se intervenite in via strettamente attuativa lo potete anche fare. Ma noi oggi siamo in presenza di un provvedimento, la legge che stiamo esaminando, che configura un intervento molto incisivo, tra l'altro anche disarmonico, che certamente non può definirsi un intervento diPag. 29stretta attuazione, in quanto rivoluziona il sistema esistente e ne ridisegna un altro.
Prima di tutto vengono assorbite insieme, in una sorta di «mazzo di ortaggi», cariche costituzionali dalle caratteristiche profondamente diverse: il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e le Presidenze dei due rami del Parlamento. Qui, veramente con tutta la buona volontà, non si riesce a capire la ragione di tale accostamento. Su questo aspetto, tra l'altro, la Corte aveva già espresso delle critiche. Inoltre si crea un insanabile contrasto nel sistema complessivo, perché si realizza una sorta di innesto tra la Costituzione che parla di «atti» e di «reati» e la norma in esame che parla di «processo». Si tratta di due linguaggi totalmente diversi.
Provo a spiegare rapidamente anche se è difficile sintetizzare questa diversità concettuale. Se una persona volesse, sintetizzare questo meccanismo, direbbe: il Presidente della Repubblica per i reati extrafunzionali dispone della sospensione, per i reati funzionali (che non siano alto tradimento) dispone dell'irresponsabilità, mentre per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione non dispone della sospensione; il Presidente del Consiglio per i reati non ministeriali (cosiddetti comuni) dispone della sospensione, mentre per i reati ministeriali non gode della sospensione (quindi abbiamo una vistosa disarmonia); i Presidenti di Camera e Senato hanno sempre la sospensione del processo, quindi sono i soggetti in assoluto più protetti: e pur essendo meno l'eccezione che li riguarda, sono i più protetti perché la sospensione è concessa sia per i reati funzionali sia per quelli extrafunzionali.
Ne risulta una disciplina che fa a pugni con il sistema costituzionale. Voi avete operato un trapianto che non regge dal punto di vista costituzionale. Per quest'ultima previsione era necessaria una legge costituzionale, perché attraverso queste disposizioni voi avete sostanzialmente inciso sull'articolo 3 della Costituzione e sul delicato equilibrio dei poteri che è presente nella nostra Costituzione.
Il metodo francese, che ho ricordato all'inizio, è sostanzialmente dimenticato. Qui si procede all'italiana, ma si dimentica che si ferisce l'armonia del sistema costituzionale: si incide sull'articolo 3, sull'equilibrio dei poteri e sulla sottoposizione alla giurisdizione.
Badate che si verificheranno situazioni estremamente complesse quando si tratterà di capire di fronte a quale fattispecie ci troviamo. Leggevo sui giornali che il Presidente del Consiglio è coinvolto in una vicenda che è considerata, anche se il fatto può sembrare infondato, reato ministeriale: in quel caso bisognerebbe procedere, quando poi per un'altra vicenda sarebbe necessario sospendere. Come si può fare tutto questo?
Il Presidente della Repubblica si trova ad essere sottoposto a tre regimi diversi. Ritengo che sostanzialmente non si sfuggirà ad un nuovo sindacato della Corte Costituzionale. Ma soprattutto si perde un'occasione storica per intervenire in questa materia con un criterio di ordine e sistematicità, con un criterio rispondente ad una logica costituzionale. Anzitutto, il Presidente della Repubblica: su questa carica si poteva intervenire al limite anche con legge ordinaria, perché si tratta di norma di stretta attuazione.
Si poteva esaminare la questione del Presidente del Consiglio, che è già disciplinata nell'articolo 96 della Costituzione e, quindi, era necessario modificare quell'impostazione. Inoltre, bisognava stralciare le situazioni riguardanti la figura dei Presidenti delle due Camere, che non sono affatto giustificate dal punto di vista costituzionale. Mi dispiace rivolgermi a lei che presiede in questo momento, ma la prego vivamente di riferirlo al Presidente Fini.
Ritengo, dunque, che questo provvedimento presenti vizi insanabili non tanto nell'idea, ma nel modo in cui si è realizzato e nel modo in cui viene portato all'esame di questa Assemblea: questo modo, a mio giudizio, calpesta le regole democratiche. Dunque disciplinare l'equilibrio tra i poteri dello Stato calpestando nel merito e anche nel metodo le regolePag. 30democratiche non mi pare la formula migliore di questo mondo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, a nome dell'Italia dei Valori confermo il radicale dissenso nel merito e nel metodo su questo provvedimento. Nel merito, mi limito a pronunciare pochissime parole. Quando noi vi abbiamo detto che questo provvedimento era inopportuno, come in precedenza il decreto-legge sulla sicurezza nel quale avevate inserito una norma che blocca i processi di una persona e contemporaneamente ne blocca centomila, ci avete detto che si trattava di un provvedimento utile alla collettività e, adesso, volete cambiarlo.
Sul lodo - anzi, non voglio chiamarlo lodo, ma scudo al Premier - costituito dal provvedimento in esame, ci avete detto che si tratta di un provvedimento di carattere generale ma l'onesto collega Brigandì vi ha lasciato nudi e vi ha detto qual è la vera ragione di esso, vale a dire sottrarre il Presidente del Consiglio dei ministri al processo. Non solo, ma ha motivato la legittimità di esso sotto il profilo del primato della politica: chi vince sbanca tutto e cambia le regole. Chi si oppone alla volontà del popolo che lo ha eletto trova un muro di fronte a sé.
Ciò ha una prima conseguenza: per favore, per la vostra dignità e per la nostra dignità, risparmiateci le pantomime e le sceneggiate, dicendo che questi due provvedimenti sono nell'interesse della collettività. Abbiate il coraggio di assumervi le vostre responsabilità e di dire ciò che adesso il collega Brigandì vi ha detto.
Seconda conseguenza: vogliamo sapere se è condivisa dalla maggioranza l'affermazione del collega Brigandì sul rapporto tra poteri dello Stato e sul fatto che chi viene eletto o chi vince le elezioni ha il diritto e il potere di sottrarsi a ciò cui nessun altro cittadino può sottrarsi, e cioè l'andamento della giustizia.
So che interverranno, secondo l'ordine che ho letto, illustri e stimati esponenti del Popolo della Libertà. Da loro attendo una chiarificazione su questo secondo punto, che costituzionalmente è di straordinaria importanza: se cioè il primato della politica autorizza a cambiare le regole e a cambiare i giudici o a sostituirsi ai giudici, o autorizza il potere politico ad esercitare, esso stesso, anche la giurisdizione.
Sul metodo, mi dispiace che non vi sia il Presidente Fini, perché gli avrei voluto ricordare che nel mio intervento sull'ordine dei lavori gli avevo chiesto anche un altro chiarimento, cioè se ritenesse congruo e opportuno che per un provvedimento di questa natura, dalla Conferenza dei presidenti di gruppo all'Assemblea si prevedano soltanto trentasei ore, tra cui le ore notturne, con sole sette ore per arrivare alla presentazione degli emendamenti. Non so se questo metodo sia più drammaticamente grave del merito di cui ho parlato prima, ma certamente drammaticamente grave è.
Vogliamo sapere, adesso che la presidente Bongiorno ci ha detto che la responsabilità è della maggioranza e che sulla maggioranza ricade la macchia di quanto sta accadendo, se la maggioranza ha intenzione di applicare questo criterio sempre e costantemente. Infatti, se tale criterio è legittimo e congruo, possiamo aspettarci che voi lo applichiate costantemente. E se voi, se il Presidente Fini o altri colleghi del Popolo della Libertà fossero stati da questa parte, e non dalla parte della maggioranza, sarebbero insorti, protestando e denunciando una dittatura della maggioranza, sia pure con sistemi parlamentari.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 17,30)

FEDERICO PALOMBA. Sia lecito anche a noi, allora, denunciare questo rischio. Vi state assumendo una grave responsabilità, quella di creare un precedente che potrete usare sempre, se lo faremo passare. È un precedente gravissimo, che consisterà nelPag. 31fatto che in qualunque momento potrà essere modificato l'ordine del giorno dell'Assemblea e che in qualunque momento un provvedimento potrà essere portato di fronte all'Assemblea con sole trentasei ore di discussione in Commissione. Ciò rappresenta una spoliazione dei poteri e delle prerogative del Parlamento e dei parlamentari.
Noi vogliamo essere tutelati da questo rischio, vogliamo essere tutelati dalle istituzioni di garanzia, che per questo esistono, siedono e sono previste dalla Costituzione. Le istituzioni di garanzia devono innanzitutto e prima di tutto proteggere e tutelare le prerogative del Parlamento e dei parlamentari.
Vi chiedo se è congruo, se è opportuno e se è lecito che riguardo ad un provvedimento di questa natura e di questa importanza - che avrebbe dovuto giungere in Parlamento casomai con proposta di legge costituzionale - sia legittimo, lecito ed opportuno che al Parlamento si concedano soltanto sette ore nelle Commissioni e poi, a rotta di collo, si arrivi a pretenderne e ad esigerne l'approvazione, vulnerando e conculcando gravemente le prerogative del Parlamento. Lei, che è Ministro guardasigilli, si deve pronunciare su ciò: se è congruo e se è opportuno che un provvedimento di questa natura arrivi in tale maniera, sciatta sotto il profilo tecnico, all'approvazione dell'Assemblea.
Noi ci ribelliamo, denunciamo all'opinione pubblica che voi volete governare come maggioranza che impone anche al Parlamento le proprie regole, e le proprie regole sono quelle di violare le regole.
Il Presidente del Consiglio ha coinvolto in questa vicenda altre personalità e altre cariche dello Stato: per salvare se stesso, ha messo in mezzo il Presidente della Camera, il Presidente del Senato e il Presidente della Repubblica.
Crediamo, anzi siamo assolutamente convinti - e siamo pronti a giurarlo - che queste istituzioni non hanno bisogno di questo «scudo», perché sono persone limpide, che non hanno debiti con la giustizia.
Dunque, per la fiducia e per la stima che si deve avere nei confronti delle istituzioni, avrei detto al Presidente Fini (se fosse stato presente, come mi avrebbe fatto piacere): Presidente, si tiri fuori da questo disegno di legge, lei non c'entra in questa cosa! E se non si tira fuori da questo disegno di legge, si ponga il problema se può continuare a presiedere questa Assemblea, che tratta anche problemi che la riguardano direttamente.
Infine, vorrei fare un'annotazione politica: qui è nato uno scambio, o forse più scambi. Il primo scambio - che è sicuro - è quello degli articoli 2-ter e forse 2-bis del decreto-legge recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, con questo «scudo» per il Premier.
Noi non siamo disponibili a scambi di questo genere, non ci interessano e combatteremo entrambi questi provvedimenti. Non solo: se si sono verificati scambi con qualcuno, li denunceremo con estrema nettezza di fronte all'opinione pubblica e in Parlamento. Se si sono verificati scambi a livello politico, si vedrà. Speriamo che non vi sia stato alcuno scambio, perché le istituzioni non possono essere barattate per nessuna ragione al mondo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà, per nove minuti.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, posso svolgere poche riflessioni in questi nove minuti, anche su un provvedimento che, in questi ultimi tempi, ha un po' coinvolto gran parte dell'opinione pubblica.
Ritengo che questo provvedimento si debba inquadrare non soltanto in questa stagione che ci è dato di vivere, nel contingente, ma che si debba avere anche una visione del passato, capire e comprendere perché si predisponga un provvedimento di questo genere e perché vi siano questo interesse e questa volontà.
Sarebbe ovviamente riduttivo se fermassimo semplicemente la nostra attenzione a pensare che esiste una vicenda che riguarda l'attuale Presidente del ConsiglioPag. 32dei ministri. Il dibattito sta ruotando semplicemente su tale aspetto, su tale dato.
Abbiamo anche rilevato alcune incongruenze relative a questo provvedimento, abbiamo forti perplessità sulla sua costituzionalità, tuttavia non ritengo che possa essere tutto ridotto alla vicenda di oggi, se non abbiamo una memoria del passato e se non abbiamo vissuto esperienze del passato.
Al di là delle cose che sono state dette e delle perplessità che abbiamo anche evidenziato durante i lavori presso le Commissioni riunite I e II, vi è un aspetto importante: quello della garanzia e della tutela dell'interesse generale di un Paese che intende procedere con una sua dimensione di pace e, soprattutto, di serenità.
Non vi è dubbio che questo equilibrio tra i poteri che tutti quanti auspichiamo (e ci riportiamo anche alla lezione di Montesquieu) sia stato manomesso. Esso è stato alterato negli anni di Tangentopoli - lo diciamo con estrema chiarezza - quando, in quest'Aula e in questo Parlamento, si respirava un clima certamente molto pesante, sotto l'iniziativa di una magistratura che condizionava e ha condizionato gran parte del lavoro del Parlamento e delle istituzioni.
Allora bastava semplicemente un avviso di garanzia, che aveva il valore di una sentenza ormai passata in giudicato. Certo, quel clima è passato, ma ritorna una certa cultura, che vedo molte volte germogliare, anche nei nostri lavori e nel dibattito parlamentare, un certo moralismo che sembrava essere sopito e accantonato, un moralismo con una visione quasi manichea: il bene e la moralità da una certa parte, l'immoralità dall'altra. Ritengo che questo non sia il modo corretto e realistico di procedere e certamente ci riporta a una visione antica, quando un certo partito, anche durante gli anni del fascismo, pensava che chi non fosse ad esso subordinato fosse un social-fascista. Questo aspetto deve essere superato con forza, ma soprattutto con una grande consapevolezza.
Certo, la sospensione dei processi riguardanti il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Camere e il Presidente del Consiglio dei ministri può suscitare giudizi di carattere anche parziale o settoriale se si considera il fatto in sé stesso, limitandolo, come dicevo poc'anzi, al quadro e alla stagione politica presenti; ma se abbiamo ben presente qual è l'interesse generale del Paese, se c'è un interesse generale da tutelare, allora la politica deve riappropriarsi delle sue prerogative e del suo primato, al di là dei condizionamenti, delle esorbitanze e delle occupazioni improprie di spazi.
Esiste l'equilibrio tra poteri all'interno del nostro Paese? È questo l'interrogativo che oggi ci dobbiamo porre. Ritengo che tale equilibrio sia venuto meno nel 1993, quando quest'Aula fu punita dopo aver negato l'autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi, fu punita e fu sciolta: il Parlamento fu sciolto anche per iniziativa dei magistrati, tra i quali si andò a fomentare clamore e una reazione nei confronti dell'istituzione, al pari di quanto è avvenuto ieri in una piazza del Paese. Non credo che sia questo il modo di procedere nei confronti del Paese e delle istituzioni. Non vogliamo creare un divario con la magistratura; essa ha il suo compito fondamentale e importante, deve essere soggetta alle leggi e non può essere un ordine indipendente o che goda dell'«extraterritorialità» rispetto alle leggi vigenti all'interno del Paese. Per tale motivo, il processo deve proseguire. Ecco la ragione delle nostre perplessità, perché si tratta di una materia da ordinare con un provvedimento di rango costituzionale, ma tale provvedimento può avere un suo significato e una sua valenza se si interviene sull'articolo 68 della Costituzione, quindi sull'immunità parlamentare a cui abbiamo rinunciato sotto l'iniziativa di forze che hanno esercitato una pressione all'interno del nostro Paese.
Credo che il provvedimento al nostro esame abbia forti limiti, come abbiamo rilevato. Per questo motivo abbiamo deciso di astenerci e di farlo con una speranza e un'apertura che chiediamo a tutti: non ci rivolgiamo né alla maggioranza, né al Governo, perché la tutela del Parlamento e della politica non è soltanto prerogativaPag. 33di una parte del Parlamento, ma del suo insieme. È necessario operare sull'articolo 68, e finalmente ne possiamo parlare. Fino a qualche tempo fa non lo si poteva fare, il Parlamento aveva un complesso di inferiorità, la politica ha avuto sempre il complesso di inferiorità.
Bisogna recuperare anche il problema della magistratura, con il rispetto dovuto nei confronti di tutti i magistrati, ma non possiamo lasciare un Consiglio superiore della magistratura come è ora ordinato e organizzato, incapace di dar senso e significato all'impegno corale di un organismo che dovrebbe garantire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.
Molte volte questo organismo si divide per etichette e sono più i togati che i laici, che sono espressione del Parlamento, a fare giochi di maggioranza e di minoranza, anche nell'attribuzione dei dirigenti. E poi c'è sempre una grande impunità, perché non ho mai visto un magistrato trasferito o radiato dall'ordine (quando è stato trasferito, è accaduto, soprattutto, per incompatibilità ambientale).
Vengo da una certa zona, che è a rischio rispetto alla criminalità organizzata. Ritengo che questa sia la questione. Ci sono i problemi relativi al Consiglio superiore della magistratura, alla diversità delle funzioni tra requirente e giudicante: questi sono i grandi temi, i grandi problemi.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Ho finito, signor Presidente. Qui non c'è una dittatura della maggioranza e non mi importa molto se questo interessa Berlusconi o meno; questa è un'ossessione, un fatto strumentale e propagandistico. Quella che è in discussione è la funzione del Parlamento e delle alte cariche dello Stato.
Se facessimo questa riflessione, al di là del clamore e dei condizionamenti che abbiamo, certamente faremmo un discorso molto più sereno, molto più produttivo e, soprattutto, molto più dignitoso per l'istituzione che rappresentiamo (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà, per venti minuti.

MANLIO CONTENTO. Signora Presidente, partirò da una considerazione che, credo, accomuni maggioranza e opposizione, e per non citare direttamente il Ministro della giustizia, che ne ha fatto cenno diretto nel suo intervento in occasione della sua audizione presso la Commissione giustizia, citerò un libro, scritto da Luigi Ferrarella: Fine pena mai.
In questo libro si parla della situazione in cui versa la giustizia italiana e si fa riferimento non soltanto alla spesa di circa 8 miliardi di euro per il dicastero relativo, ma anche a situazioni paradossali, che fanno parte di quelle questioni che, all'interno del dibattito sui due provvedimenti, il decreto sicurezza e il cosiddetto lodo Alfano, sono echeggiate più volte.
Ebbene, siamo oggi sottoposti a procedimenti per quanto riguarda i risarcimenti richiesti ai sensi della legge n. 89 del 2001 (la cosiddetta legge Pinto) a proposito della ragionevole durata del processo, con 5.500 procedimenti nel 2003, 8.907 nel 2004 e 12.130 nel 2005. La stima - l'ho detto in Commissione - fa riferimento, a regime, ad un costo per lo Stato di circa 500 milioni di euro. Credo che invocare quel principio, senza rendersi conto di qual è lo stato della giustizia, significa nascondersi, sostanzialmente, dietro a un dito.
Non solo, ma è proprio la durata dei processi che viola tutti i principi costituzionali cui si è fatto più volte riferimento nei dibattiti in Commissione giustizia, a cominciare, tanto per essere chiari, da quell'articolo 3, che, purtroppo, in questo momento, non vede riconosciute a tutti le stesse opportunità davanti alla giustizia.
Vogliamo parlare, per esempio, dell'esercizio obbligatorio dell'azione penale, quando sappiamo che ci sono provvedimenti all'interno di alcune procure, e non soltanto provvedimenti, che discriminano tra alcuni procedimenti penali, che procedono, ed altri che, magari, si fermano o vengono impropriamente sospesi? Vogliamo parlare degli interessi delle personePag. 34in quei procedimenti, che, magari, non hanno l'attenzione dei mezzi di comunicazione, e, quindi, vengono posti in secondo piano rispetto agli altri? Vogliamo parlare di altri principi, che sono stati invocati anche in quest'Aula, in questi momenti?
Mi permetto, a questo punto, di fare un'osservazione, che mi sento di condividere, perché è venuta dai banchi dell'opposizione: è quella relativa ad un equilibrio tra i poteri dello Stato, che, però, non può fermarsi semplicemente alla sua affermazione, perché questo equilibrio - mi dispiace doverlo dire - oggi, sostanzialmente, si è rotto. E si è rotto perché ogni discussione che riguarda i temi della giustizia ha, come nella tragedia shakespeariana, l'ombra di Banquo, il Presidente del Consiglio, che ricompare.
L'onorevole Zaccaria ha citato Chirac e ha fatto riferimento alle elezioni, precedenti alle ultime, svoltesi in Francia: penso di poter dire che per quanto riguarda il Banquo della situazione della giustizia italiana dobbiamo ricordare che queste vicende non sono recenti, ma partono dalle elezioni del 1994, quando sono cominciate alcune procedure giudiziarie, si ripetono nel 1996, si ripetono nel 2001, si ripetono nel 2006, e guarda caso sono ancora presenti nel 2008! E vogliamo parlare delle questioni relative al dibattito sul lodo Alfano come elemento che sacrifica il confronto parlamentare? Vogliamo fingere che questa vicenda non sia la vicenda su cui quell'equilibrio si è frantumato? O vogliamo dimenticare l'intervento doveroso del Capo dello Stato, tirato in ballo da alcune notizie diffuse da dove se non dall'interno del Consiglio superiore della magistratura, laddove i pareri previsti nell'ordinamento costituzionale hanno rischiato di travalicare, e secondo me hanno travalicato, quelli che erano i confini previsti dalla legge istitutiva? Non sono questi gli equilibri che vengono meno? E non vogliamo andare oltre, magari rilevando - sarà un argomento che dovremo affrontare, probabilmente nelle prossime settimane o nei prossimi mesi - come altri diritti costituzionalmente garantiti, quale quello alla riservatezza, siano oggi gettati in pasto ai mezzi di comunicazione, che fanno i veri processi a chi riveste spesso cariche pubbliche, senza guardare in faccia la dignità del Parlamento, senza guardare in faccia le istituzioni, che sono invocate anche in questa sede? Ma che cosa dobbiamo aspettare per affrontare il tema importante di ristabilire, o tentare di ristabilire, un po' di equilibrio in una situazione drammatica, come credo sia quella che è sotto gli occhi di tutti?
Per tali motivi ho espresso sostanzialmente soddisfazione per la discussione del provvedimento in esame, perché almeno - e rispondo all'affermazione del collega Palomba, che invocava la nostra assunzione di responsabilità, e noi ce la assumiamo - sgombriamo il campo da equivoci, e dimostriamo nei fatti, cioè nel nostro dibattito parlamentare, come la questione di fondo sia oggi quella di togliere di mezzo, nel confronto sui temi della giustizia, molto più importanti, molto più gravosi, molto più vicini all'interesse dei cittadini, una questione che sta limitando questo dibattito. E se, come è avvenuto in molti degli interventi che mi hanno preceduto da parte dell'opposizione, rivolgono a noi l'accusa di essere pronti ad affrontare questi temi per togliere da scomode posizioni giudiziarie il Presidente del Consiglio, fate attenzione, perché lo stesso argomento vale per voi nell'affrontare con serenità questi problemi. Non c'è argomento che abbia ascoltato nel dibattito in Commissione che non sia partito da questo pregiudizio, da questo presupposto. Non c'è stato un confronto che sia avvenuto a prescindere, anche dai banchi dell'opposizione, da questa presenza. Ma non possiamo permetterci di affrontare questo tema, sia noi che voi, esclusivamente condizionati da questo aspetto, perché l'aspetto è un altro: è quello di chiederci se è venuto il momento, questo sì, di ristabilire quell'equilibrio a cui hanno fatto riferimento gli interventi dei colleghi dell'opposizione che mi hannoPag. 35preceduto. La nostra assunzione di responsabilità cerca di andare in questa direzione.
Ho già detto in Commissione che è un argomento legittimo quello di sostenere, ad esempio, che in un quadro di riforma costituzionale questi temi avrebbero avuto maggior possibilità di esame, e probabilmente anche maggior approfondimento, e avrebbero potuto trovare forse una soluzione più largamente condivisa. Noi ci siamo assunti tale responsabilità perché questo dibattito, questo confronto non può pregiudicare il giudizio, com'è avvenuto anche nei confronti di altri provvedimenti che sono al nostro esame. Più volte è stata citata la sospensione dei processi, ma anche quando essa è stata proposta, il riflesso condizionato è stato quello di dire: si bloccano tanti processi per salvare il Premier, per salvare il Presidente del Consiglio; ma non c'è stata, da parte in questo caso dell'opposizione, la disponibilità di dire: siamo pronti a discutere di un'altra disposizione legislativa, che non sacrifichi quei processi, per affrontare il tema vero relativo alla possibilità di sospendere i procedimenti nei confronti delle alte cariche dello Stato.
Ecco dov'è, secondo me e secondo noi, la mancanza di responsabilità in termini politici; e non solo la mancanza di responsabilità: c'è qualcuno che ha anche calcato la mano in relazione a questi aspetti e a questa discussione; e c'è qualcuno, e le spese le sta facendo purtroppo l'opposizione, che nonostante in un primo tempo avesse dimostrato, non dico la disponibilità ad accogliere le nostre tesi, ma quanto meno a discuterle, ha dovuto fare purtroppo marcia indietro, preoccupato dallo scontro politico che si è aperto anche all'interno dell'opposizione.
E allora, cari amici, altro che equilibrio dei poteri costituzionali: qui c'è l'equilibrio del quadro politico che sta saltando, ogni volta che si affrontano i temi delicati e complessi della giustizia.
Non credo - su questo ha ragione il collega Baldelli - che le manifestazioni di piazza eliminino questi problemi. Forse anche l'amico onorevole Di Pietro avrebbe fatto bene a preoccuparsi, invece che delle autorizzazioni a procedere o della sospensione dei processi, delle autorizzazioni a parlare, poiché secondo noi è stato concesso di parlare impunemente ad alcune persone che non hanno certo reso un buon servigio alla causa costituzionale che anche il partito dell'Italia dei Valori sta sostenendo. Sui principi costituzionali si può discutere, ma non mi è sembrato che i ragionamenti che sono venuti da quel palco in larga misura fossero argomenti costituzionali: mi è sembrato piuttosto che fossero i soliti argomenti triti e ritriti dell'offesa, della contumelia e dell'ingiuria. Non è questa la strada per costruire le riforme di cui questo Paese ha bisogno.
E a proposito dei comportamenti e del contegno dell'opposizione, perdonatemi una citazione diretta, che traggo dal resoconto sommario dei lavori in sede referente allorché, nel settembre 2002, si discuteva di un'altra legge definita dall'opposizione ad personam, la famosa legge Cirami. Leggo testualmente, per non essere poi oggetto di censure circa interpretazioni a sproposito: «Pur non condividendo le scelte dell'attuale Governo, dichiara di voler svolgere il proprio ruolo di deputato dell'opposizione con un sentimento di rispetto nei confronti della maggioranza, perché ritiene che questa sia l'essenza della democrazia. Pertanto, sollecita a preservare quelle regole minime di etica pubblica che tengono insieme il Paese. Se il problema è mettere al riparo il Presidente del Consiglio da incursioni giudiziarie nel corso del suo mandato, riterrebbe opportuno seguire la via dell'improcedibilità in materia penale nei confronti di quelle persone che sono al vertice dell'ordinamento costituzionale del Paese». Sono le parole dell'onorevole Antonio Maccanico, allorché, a fronte della strada che era stata scelta e che l'opposizione legittimamente censurava, individuava in questa opzione la possibilità di attenuare quello squilibrio che si stava determinando nello scontro fra una parte della magistratura e alcune alte cariche dello Stato. Ritengo siaPag. 36questo il metodo legittimo con cui l'opposizione si dovrebbe misurare anche con queste norme.
E dal momento che è stato sollevato un profilo costituzionale, non ho difficoltà a dire che questa pur legittima posizione, sotto il profilo delle argomentazioni da contrapporre, è quantomeno eguale a quella di chi sostiene che, in base a quella decisione della Corte costituzionale, probabilmente anche la strada di una legge ordinaria non è completamente incostituzionale, o comunque non è incostituzionale in modo manifesto, come l'opposizione vorrebbe sostenere.
A questo proposito, vi è un ulteriore considerazione, alla luce della decisione della Corte costituzionale sul lodo precedente. Altro che non si discute di queste cose: la legge del 2003 impegnò il Parlamento, e questa cos'è, se non una riedizione di quella legge, tenendo conto, cari colleghi dell'opposizione, proprio delle censure e dei rilievi che la Corte costituzionale ebbe a fare in quella sentenza? Di tutte quelle censure abbiamo tenuto conto, al punto, caro Palomba, che da parte dei relatori vi è stata un'apertura su un emendamento dell'opposizione per quanto concerne un'interpretazione che potrebbe essere dubbia. Ancora una volta, la maggioranza e i relatori hanno detto che sono disponibili in Aula ad affrontare quel tema, per renderlo ancora più chiaro ed evidente.
E allora, se - come noi crediamo - questi sono i termini della questione, perché non affrontare speditamente questo provvedimento, così come è stato fatto, a nostro avviso senza violazione delle prerogative costituzionali? Io sono membro di questa Camera da qualche anno e vi assicuro che ogni volta, in questo balletto fra maggioranza e opposizione, le prerogative del Parlamento sono invocate a seconda della posizione che si riveste. Che vi sia stata da parte del Governo una sorta di privilegio per quanto riguarda l'iter parlamentare, questo è fuor di dubbio.
Ma la stessa situazione l'abbiamo vissuta in epoche passate, e non credo che vi sia da scandalizzarsi se, in relazione ad un tema che può riportare quella serenità di cui parla la Corte costituzionale, si sia anche in questo caso affrontato in termini rapidi questo dibattito. Del resto, credo che la Commissione - lo ricordava la presidente della Commissione giustizia - abbia permesso di affrontare, con ragionevole tempo, le questioni più importanti, dal momento che in tutte le sedi della discussione presso le Commissioni riunite i rilievi che sono stati formulati nei confronti di queste disposizioni sono stati sostanzialmente ripetuti più volte. Le questioni del dibattito sono state quindi contenute nei profili di legittimità costituzionale, nei profili di preferenza per una norma di rango costituzionale rispetto alla legge ordinaria e nelle questioni di merito.
È evidente che se qualcuno parte dal presupposto di non accettare assolutamente che vi possa essere una sospensione dei procedimenti penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, difficilmente vi può essere un confronto politico e legislativo su questo punto. Ma per quei movimenti e quei partiti che hanno a cuore l'equilibrio cui ho fatto riferimento, credo che, come dice l'amico Maccanico, sia fondamentale il comportamento di confronto e di discussione, per evitare che lo squilibrio determinatosi vada oltre quello cui abbiamo purtroppo già assistito.
Ecco allora che quella serenità, considerata come valore anche nei confronti delle alte cariche dello Stato da parte della Corte costituzionale, oggi consente una valutazione che risponderà, anche in termini costituzionali, ai rilievi che avete avanzato. Ma se, come suppongo, i giudici del tribunale di Milano... anche a questo proposito, permettetemi una battuta: un altro dei principi invocati nei confronti dei magistrati è quello per cui essi devono non soltanto essere, ma sembrare imparziali; c'è una norma del codice di rito che impone ed obbliga un giudice, quando vi siano ragioni importanti, ad astenersi. Voi credete che quella norma non potesse essere invocata, a proposito, nei riguardi di un magistrato che è chiamato a giudicare un Presidente del Consiglio e che ha espresso nei confronti della sua attivitàPag. 37politica più di qualche apprezzamento? Credo che anche in questo caso si invocano i principi ma che poi, nei comportamenti, quegli stessi principi vengono completamente dimenticati. A maggior ragione, quindi, se, come suppongo, i giudici del tribunale di Milano rimetteranno alla Corte costituzionale questo provvedimento legislativo, noi avremo due opportunità. La prima è quella di verificare se effettivamente la norma che abbiamo costruito regge, come noi speriamo, ai rilievi che la Corte costituzionale formulò nei confronti delle disposizioni normative del 2003. La seconda, ancora più importante, è quella di verificare se quella decisione - e lo dico con tutto il rispetto per la Corte costituzionale - abbia apprezzato esattamente quei profili di funzionalità che sono correlati alle cariche interessate dalla disposizione normativa.
Ricorro ad alcuni esempi. Ma è tanto peregrino immaginare che se il Presidente della Repubblica è oggetto di queste disposizioni per quanto riguarda la sospensione dei procedimenti penali altrettanto possa avvenire, in considerazione di una precisa norma costituzionale, per il Presidente del Senato, che è chiamato, in alcune particolari situazioni, a sostituire il Presidente della Repubblica? Non è altrettanto corretto rimettere a un vaglio, qualora vi fosse, della Corte costituzionale, il rilievo che la figura del Presidente della Camera riveste rispetto agli altri colleghi parlamentari, non soltanto per la funzione di presiedere, ma anche in considerazione del fatto che sempre la Carta costituzionale gli attribuisce la Presidenza del Parlamento in seduta comune?
Credo che, anche sotto questi profili, un'eventuale valutazione della Corte costituzionale potrebbe permettere quell'approfondimento che, a mio giudizio, probabilmente per il fatto che le ragioni di diritto su cui la Corte si era intrattenuta erano assorbenti rispetto alle altre, non è stato sufficientemente valutato.
Sono profondamente convinto che questa sia la strada per restituire anche al nostro confronto politico quella serenità di cui abbiamo bisogno. C'è la necessità di cominciare a parlare, caro signor Ministro, delle riforme di cui la giustizia, sotto questo profilo, ha urgente bisogno. E mi riferisco alle riforme sia della giustizia civile, sia della giustizia penale.
Abbiamo la necessità di evitare che il nostro Paese finisca nuovamente di fronte alla Corte di giustizia, ma non in relazione alla ragionevole durata del processo di riferimento, ma alla ragionevole durata per quanto concerne il rimborso - o, se preferite, il risarcimento - dal momento che, anche sotto questo profilo, la situazione è abbastanza divertente.
Infatti, non possiamo dimenticare sempre citando quanto il libro di Ferrarella, che non è un documento di parte, riporta circa i procedimenti disciplinari conseguenti a questo: «La procura generale della Cassazione in particolare è stata travolta da montagne di istruttorie disciplinari: 3.600 solo nel 2006, per zero procedimenti disciplinari perché, come spiega il procuratore generale Mario Delli Priscoli, la durata dei processi risulta quasi sempre conseguenza di difficoltà operative e strutturali piuttosto che di responsabilità di singoli magistrati». Può darsi che il procuratore generale abbia ragione, ma personalmente ho più di qualche dubbio: forse sarebbe il caso di cominciare anche a verificare perché in alcuni uffici giudiziari si lavora alacremente e in altri un po' meno.

PRESIDENTE. Onorevole Contento, la prego di concludere.

MANLIO CONTENTO. Ritengo comunque che sia nostra responsabilità - signora Presidente, e ce l'assumiamo - votare questo provvedimento e procedere oltre. Credetemi, in questa responsabilità, ci assumiamo anche una parte della vostra, quando non avete la forza e il coraggio di dissociarvi - mi rivolgo soprattutto al Partito Democratico - da alcuni atteggiamenti che possono portare qualche voto in più, ma non portano serenità in queste aule, nelle istituzioni e nel Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania - Congratulazioni).

Pag. 38

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà per sette minuti.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, signori ministri, onorevoli colleghi e colleghe, per il Partito Democratico ha già parlato l'onorevole Zaccaria e riprendo parola per parola il suo intervento che per la verità mi sembra del tutto esaustivo. Se intervengo è perché è previsto che interveniamo in più di una persona e perché il tempo che mi viene concesso mi consente essenzialmente di entrare nel dettaglio di alcuni problemi.
Innanzitutto, mi vorrei rivolgere, contraddicendolo, all'onorevole Contento, che nell'intervento appena concluso ha, con grande passione, degna probabilmente di miglior causa, sostenuto ragioni assolutamente legittime, ma invocando una serenità che in questo momento non vi è nell'Aula. Infatti, vi è una scelta pregiudiziale che non rende serena la discussione. In fondo non siamo sereni, ma non è che non sia serena l'opposizione o la minoranza, onorevole Contento. Per esempio, credo fortemente nei discorsi che si fanno nelle aule di questo tipo e credo fortemente, lo dico anche all'onorevole Palomba, che è improprio parlare di qualsiasi scambio. Viceversa, dobbiamo essere tutti soddisfatti del fatto che, mentre si discuteva con serietà (immagino di poterlo dire, essendo in tanti a crederci) nelle Commissioni giustizia e affari costituzionali riunite del cosiddetto pacchetto sicurezza, siano emerse tante argomentazioni.
Mi piacerebbe immaginare che il Governo abbia riflettuto anche sulle cose che abbiamo discusso in quell'aula, così come mi piace immaginare - ne sono ancora convinta - che anche quello che diciamo oggi in quest'Aula possa essere elemento di riflessione. Per questo mi fa piacere che vi sia il Ministro della giustizia e penso che le nostre interlocuzioni non debbano essere soltanto formali, ma sostanziali.
Voglio introdurre un elemento che mi sembra ovviamente di dettaglio, dal momento che ho già richiamato integralmente quanto detto dall'onorevole Zaccaria. In questo caso, non si tratta di una scelta tra due procedure, ma di una scelta che ha delle conseguenze ben precise. Non si tratta di decidere soltanto se si deve procedere con legge ordinaria o costituzionale.
Si tratta di essere conseguenti e di capire che, se approdiamo al concetto che si doveva - secondo me, lo ribadisco, si deve - procedere con legge costituzionale, allora il legislatore avrebbe dovuto porsi porre nell'ottica di emanare un testo legislativo compatibile con il sistema costituzionale. Il richiamo all'articolo 68 (alla prima e seconda versione), all'articolo 90 e all'articolo 96 (alla prima e seconda formulazione) non è un richiamo formale, fatto per contrastare la tesi della maggioranza che vuole procedere con legge ordinaria, bensì è un richiamo sostanziale. Se approdiamo al concetto che stiamo intervenendo in una materia che sicuramente tocca un punto di discussione avvertito nel Paese e dalla politica - non soltanto nei momenti in cui il Parlamento lo discute, ma anche quando non ne discute, perché questo discorso aleggia da tempo - e se non prendiamo più come riferimento, come voi dite, Silvio Berlusconi, ossia il Presidente del Consiglio, ma andiamo avanti e legiferiamo non con questo elemento soggettivo, non con questo nome e cognome sempre nei nostri pensieri, forse potremo essere più sereni.
Vi chiedo: perché non dare serenità a questa discussione, perché non garantire a questo Parlamento la possibilità di discutere e di arrivare anche ad un voto comune, comunque ad una discussione serena? Qual è la ragione per cui oggi si accelerano i tempi? Si potrebbe dire che si è discusso tanto di questo problema, forse troppo, ma se ne è discusso poco in questo momento e in questa sede, che è quella propria. Se ne è discusso talmente poco che il testo, così come presentato, sarà portato alla discussione con emendamenti che sono soltanto elementi del tutto formali, che danno l'impressione di voler modificare un testo che in sé, invece, sembra immodificabile.Pag. 39
La verità è che il nome del Premier è scritto nella sentenza della Corte costituzionale, come affermavo ieri in Commissione, che si è pronunciata sul lodo precedente e su un'ordinanza che è stata emessa in un processo a suo carico. Tutto questo continua ad essere un incubo, da cui tutti noi vorremmo uscire, ma vorremmo farlo con una legislazione degna di questo nome, che non abbia dei riferimenti precisi, che non nasca in correlazione con una necessità.
Tante cose, troppe, anche quelle che sono state dette in quest'Aula fanno invece pensare che noi stiamo rispondendo ad una necessità soggettiva, non ad un'esigenza oggettiva. Del resto, l'ha affermato il collega della Lega, che si tratta di contrapporsi e di legittima difesa. Il collega della Lega, che pure è un avvocato, ha parlato di conflitto tra poteri: anche con questa affermazione, da onorevole che però ha un'estrazione tecnica, ha tradito il fatto che noi continuiamo a parlare e ad utilizzare i processi, non ignorando, bensì volendo volutamente dimenticare, qual è la disciplina che la Costituzione prevede per il conflitto tra poteri. Lasciamo da parte la Costituzione perché se la tenessimo bene in considerazione dovremmo emanare leggi e norme ragionevoli, che si inseriscono in questo sistema. Tutte le contraddizioni che prima il collega Zaccaria faceva emergere tra gli articoli 90 e 96 della Carta fondamentale e l'articolato che stiamo discutendo oggi, sono contraddizioni che in un sistema costituzionale non sarebbero concepibili.
Inoltre, proprio perché da più parti viene invocato questo concetto della legittimazione popolare, vorrei sottolineare e portare anche all'attenzione dei colleghi della maggioranza, che tanto tengono a tale concetto, che in questo momento, anche la scelta di una sospensione automatica, che viene fatta dalla maggioranza che se ne assume la responsabilità, è una contraddizione estrema del sistema.

PRESIDENTE. Onorevole Lo Moro, la prego di concludere.

DORIS LO MORO. Infatti, non si è davanti ad un meccanismo come quello che era previsto dall'articolo 68 della Costituzione, in cui il Parlamento faceva da filtro, siamo di fronte, invece, ad una sospensione automatica. Quindi, non diffidiamo più soltanto della magistratura, che dovremmo voler funzionante e che dovremmo voler proteggere come potere dello Stato, ma diffidiamo dello stesso Parlamento e riteniamo necessario ed opportuno delegare, anzi decidere una volta per tutte, oggi e per sempre - finché questa legge resisterà al vaglio della Corte costituzionale o di un futuro Parlamento - che si dovrà invece sospendere in maniera automatica un processo, non un procedimento ma un processo.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DORIS LO MORO. Non posso continuare il mio intervento, altri continueranno la discussione, ma anche i termini impropri che vi sono in più punti di questa normativa dicono una sola cosa: la fretta non è una buona consigliera (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, signor Ministro, non condivido il suo provvedimento, anche se ritengo che sia un fatto positivo che il Governo intenda abbandonare la maldestra volontà di bloccare decine di migliaia di processi per sospenderne uno. Tuttavia, il Governo, avrebbe potuto manifestare questa intenzione più apertamente, invece lei, ancora l'altro giorno, si è dilungato sostenendo che sareste andati avanti.
Credo che si possa discutere di questo aspetto, anche perché avevo dato volentieri l'adesione al disegno di legge costituzionale a prima firma Mantini.
Non sono d'accordo sul provvedimento in esame perché non rappresenta una priorità per il Paese, ma solo di Berlusconi e ne ha parlato ieri in maniera esemplarePag. 40il presidente Casini. Non sono d'accordo perché non risolve il nodo del rapporto tra politica e giustizia, ma affronta in via temporale la questione personale di Berlusconi e solo di Berlusconi.
Ciò è stato evidenziato anche dal Presidente Fini che, rispondendo a Franceschini che lo aveva chiamato in causa ieri, ha proprio affermato: «Circa un presunto interesse di tipo personale, che, come è, credo, evidente a tutti, non appartiene al novero delle cose possibili». Voi avete applaudito in maniera frenetica. Evidentemente Fini voleva dire che la cosa non lo riguardava, non vi è un'altra interpretazione e penso che sia così.
Ho letto l'intervista del suo ministro ombra, l'onorevole Ghedini che forse è il titolare del lodo. Egli ha affermato che Berlusconi non se ne avvarrà. A me personalmente non interessa e non mi può convincere perché non mi convince l'attività professionale di un parlamentare che piega il processo legislativo ai suoi obiettivi. Ho sempre pensato che chi ha un'attività condizionata dalla legislazione si dovrebbe astenere dall'operare professionalmente. Tuttavia, il caso di Ghedini è emblematico, in quanto egli afferma che ciò che è giusto per i suoi clienti è giusto per il Paese. Io penso, però, che non sia così (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).
Mi è capitato di dover contrastare il procedere, inseguendo i processi di Milano, del legiferare ad personam che ha caratterizzato la legislatura 2001-2006. Infatti, non votai il «lodo Schifani», pur ritenendo utile introdurre delle garanzie a tutela dell'attività politica parlamentare. La modifica dell'articolo 68 della Costituzione avrebbe richiesto di fissare nuove regole di tutela con un apposito disegno di legge costituzionale. Nel 1994, come oggi, non si fa perché si ha fretta.
Può darsi che ci sia materia per un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale, in quanto la norma appare sia in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, sia aggravata da intrinseca irragionevolezza e accomuna in un'unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni.
Tuttavia, sul piano politico si solleva un problema reale (che l'opposizione dovrebbe esaminare con realismo) relativo ai rapporti tra politica e giustizia, anche se si fornisce una risposta sbagliata sul piano legislativo. Ricordo (perché ne facevo parte) la Commissione speciale che nel 1993 fu chiamata a redigere la modifica dell'articolo 68 della Costituzione. Ora la Lega sembra passare dal cappio ad una certa difesa del Parlamento e di ciò ne ha parlato Brigandì. Che cosa è cambiato? Per carità, che non si agiti la questione morale!
L'illecito finanziamento del 1992 non è neppure lontanamente paragonabile alle pratiche che oggi hanno portato a definire la classe politica del Paese come una casta. Onorevole Contento, ha sbagliato a partire dal 1994, in quanto doveva partire dal 1992 e le dirò il perché. Il clima di quegli anni era quello dei processi sommari: il pool di Milano aveva tifoserie vocianti ed organizzate (molto più dei girotondi): i comunisti e i post comunisti, ma anche i missini, i leghisti con il loro cappio, la genesi di Forza Italia (Berlusconi offriva a Di Pietro il Ministero dopo pochi mesi), tutti questi insieme facevano da coro al mitico pool di Milano.
In quel clima anch'io mi difesi (come era consentito e possibile allora) più o meno alzandomi da questi banchi, tra i pochissimi a prendere la parola direttamente perché vi era un caso che mi riguardava, anche se la violenza del processo sommario aveva indotto qualcuno a gesti estremi, come il povero Sergio Moroni (al quale va il mio ricordo), di cui ha parlato l'onorevole Tassone. Ora, un Paese serio, per chiudere quella ferita, dovrebbe riflettere su quella stagione. Invece, viene proposto un piccolo rattoppo personale. Dopo questo, non ci saranno provvedimenti di natura strategica che affrontino il nodo dei rapporti tra la giustizia e il cittadino (della serie «chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto» e la pagina si gira).Pag. 41
Invece, dovremmo chiederci se nel nostro Paese la giustizia sia in funzione del cittadino. Non mi riferisco solo a quella penale, ma anche a quella civile e fallimentare, che talvolta è organizzata nell'interesse degli operatori di giustizia, di magistrati ed avvocati. Se penso alla giustizia fallimentare, finché la sorte non è sparita - la sorte patrimoniale che era in campo - il procedimento non si chiude. Si può dire che questo è nell'interesse del cittadino? Penso di no. E chi l'ha usata per fini politici può prenderne oggi le distanze? Coloro che hanno «inzuppato il biscotto» nei rapporti tra politica e magistratura, possono davvero prenderne le distanze? Solo questa riflessione profonda può portare a cambiare gli assetti e soprattutto a rimontare la sfiducia.
C'è bisogno di recuperare senso civico e spirito etico. C'è bisogno che le classi dirigenti siano di esempio per i cittadini (Applausi della deputata Pollastrini). C'è bisogno che ognuno si faccia carico del degrado morale. Non esiste una superiorità morale di qualcuno rispetto ad altri. Anche questa è una cosa che prima ci mettiamo in testa meglio è, e diventiamo più credibili. L'idea che ci sia una superiorità morale di qualcuno è del tutto al di fuori della realtà.
La maggioranza ripiomba nell'illusione del 2001: la scorciatoia dell'interesse particolare non suscita l'attenzione della gente, quindi si può procedere. Questa è l'illusione del 2001, ma penso che la gente non sia così distratta. Credo che ognuno dovrebbe rinunciare a qualcosa e che non si dia l'esempio attaccando il Papa o il Presidente della Repubblica. Questo deve essere messo in chiaro. Non si può neanche dire che è sfuggita al controllo un'iniziativa che pure era legittima. Non si debbono consentire queste cose. Un conto è la satira, un conto è la politica. Non si dà l'esempio neppure con il comportamento del Presidente Scalfaro, che aveva preteso il lodo ad personam con il «non ci sto», pronunciato da Presidente della Repubblica. (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati del gruppo Popolo della Libertà). Non si dà l'esempio, senatore Scalfaro, con un'operazione di questa natura.
Ecco perché - ho concluso signor Presidente - mi auguro che Berlusconi trovi la sua tranquillità, così forse anche noi troveremo la nostra, anche se le questioni che ho qui segnalato non hanno ancora trovato la loro.
Con questo atto, Berlusconi conferma che gli italiani lo hanno scelto come pifferaio e non come statista. Purtroppo, l'Italia avrebbe bisogno di uno statista esemplare. Per questo motivo, noi siamo nei guai (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico e di deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costantini. Ne ha facoltà, per sette minuti.

CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi (mi riferisco evidentemente ai colleghi di maggioranza presenti in Aula), state per scrivere una delle peggiori pagine della storia recente delle nostre istituzioni democratiche. Una pagina che esprime egoismo, prepotenza e arroganza in un contesto sociale ed economico che ci imponeva di non sottrarre neppure un minuto del nostro impegno parlamentare ai problemi delle famiglie, delle imprese, dei pensionati e di chi dal Governo si aspettava e continua inutilmente ad aspettare risposte.
Invece, siamo qui costretti ad affrontare non i problemi degli italiani, ma il problema di un solo italiano, legati alle sue vicissitudini giudiziarie. Siamo costretti ad esaminare un provvedimento che il Presidente del Consiglio ha scritto con le sue mani, ha votato in Consiglio dei ministri e oggi impone alla sua maggioranza.
Si tratta di un esempio davvero devastante per i giovani, soprattutto per quelli interessati all'impegno politico, ai quali viene consegnato un modello in base al quale l'accesso alle cariche elettive non serve a risolvere i problemi della collettività e a tutelare l'interesse generale maPag. 42solo, ed esclusivamente, a sistemare gli affari propri. Se questo è il modello che esportiamo all'esterno di questo «palazzo», se questo è l'esempio che diamo non sorprendiamoci poi dei fenomeni di corruzione e di abuso che inquinano le attività delle nostre istituzioni locali, anche in questo caso in misura di gran lunga superiore rispetto a quanto avviene nelle altre democrazie occidentali.
Il vostro è un comportamento che esprime la convinzione - molti colleghi di maggioranza lo hanno dichiarato espressamente soprattutto in Commissione - che il voto popolare rappresenti una sorta di «lavatrice» capace di ripulire anche le decisioni peggiori, quelle assolutamente inaccettabili. A mio parere, invece, le vostre ultime proposte, quella di oggi soprattutto, consumano una vera e propria truffa elettorale. Avete raccolto i voti cavalcando le paure dei cittadini e promettendo il pugno duro contro il crimine attraverso la riduzione della durata dei processi e la riaffermazione definitiva del principio della certezza della pena. Esaurite, invece, i vostri interventi sulla giustizia impedendo, attraverso l'emendamento che blocca i processi, che decine di migliaia di criminali responsabili dei reati più gravi vengano processati e condannati, e impedendo oggi, con il provvedimento all'esame della Camera, che il cittadino Silvio Berlusconi venga processato.
Come definirla quella che in pochi giorni avete inteso imporre all'Assemblea se non come una truffa ai danni dei vostri stessi elettori, prima ancora che ai danni dell'intera comunità nazionale? Personalmente non ho sentito alcun esponente del centrodestra dichiarare in campagna elettorale che i problemi della giustizia sarebbero stati risolti semplicemente consentendo ai cittadini di sottrarsi alla giustizia, né tanto meno consentendo a un singolo cittadino di sottrarsi ai processi che lo riguardano. Eppure è questa la soluzione che offrite al Paese per risolvere i problemi della giustizia. È una soluzione che non ha eguali in nessuna evoluta democrazia occidentale; in nessun Paese è consentito che le quattro più alte cariche dello Stato possano, sulla base di una loro valutazione di convenienza personale, decidere di sottrarsi alla giurisdizione del giudice penale. In nessun Paese questo è avvenuto senza un intervento di tipo costituzionale. In nessun Paese ciò è avvenuto indiscriminatamente per ogni tipo di reato, anche per i reati cosiddetti extrafunzionali ovvero totalmente indipendenti e autonomi rispetto alla funzione pubblica esercitata e dal tempo in cui il reato risulta commesso.
Non si tratta, quindi, di un lodo o di uno scudo, come vi affannate a definirlo nel tentativo di nobilitarne il contenuto con l'opinione pubblica; chiamiamolo per nome, si tratta semplicemente di una «porcata» come forse tra qualche settimana o mese, finita la luna di miele, la definirà qualche importante esponente dell'attuale maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori ). Siamo convinti che il Presidente della Repubblica, garante della nostra Costituzione, non offrirà al promotore di queste iniziativa nessuna complicità.
Noi dell'Italia dei Valori siamo convinti che il Presidente della Repubblica, al momento delle assunzioni di responsabilità, non potrà non prendere atto degli innumerevoli profili di illegittimità costituzionale di questo provvedimento e respingerlo al mittente. Se ciò non avvenisse, il legislatore, fruitore unico e beneficiario di questa amnistia ad personam, e con lui la sua visione personalistica dell'uso delle istituzioni democratiche, avrebbero vinto due volte e due volte risulterebbero violati i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale.
Avrebbe vinto oggi, sottraendosi all'accertamento delle sue eventuali responsabilità penali, ma vincerebbe anche domani, quando la Corte costituzionale avrà avuto la possibilità di cancellare questa legge. Affermo ciò perché forse non tutti ricordano che la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004, più volte evocata in questo dibattito, ha esteso i propri effetti anche alla disposizione concernente la sospensione della prescrizione perché divenuta priva di autonomia applicativa.Pag. 43Questo vuol dire che un obiettivo inconfessato e evidentemente inconfessabile del Presidente del Consiglio, certamente consapevole dei rischi di incostituzionalità di questa legge, potrebbe essere anche quello di incassare il decorso dei termini di prescrizione a processi sospesi per tutto il periodo di tempo intercorrente tra l'approvazione di questo provvedimento e un'eventuale pronuncia di annullamento della Corte costituzionale; come a dire: «intanto mi incasso la sospensione poi, anche nel caso di annullamento, comunque avrò incassato la prescrizione».
Negli ultimi anni abbiamo avuto ripetute dimostrazioni del fatto che con la prescrizione il Presidente del Consiglio ci sappia fare davvero. Insomma - concludo signor Presidente - siamo di fronte ad una vera e propria devastazione dei principi fondamentali della nostra Costituzione, ad un uso spregiudicato e personale delle istituzioni parlamentari, ad una manifestazione di arroganza e di prepotenza, anche per i tempi ristrettissimi imposti al dibattito parlamentare, davvero senza precedenti. Noi continueremo a sperare fino alla fine in un vostro ravvedimento, ma se così non fosse vincerete per la forza dei numeri in Parlamento, ma uscirete sconfitti nei confronti del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bordo. Ne ha facoltà per sette minuti.

MICHELE BORDO. Signor Presidente, noi non siamo d'accordo su questo disegno di legge. Lo abbiamo detto molto chiaramente in questi giorni agli italiani e all'interno delle istituzioni parlamentari. Contestiamo il metodo che avete utilizzato per sottoporre questo provvedimento alla discussione del Parlamento, e non condividiamo il merito, il contenuto e la sostanza di questa proposta.
Per quanto riguarda il metodo: avete scelto di dare a questo disegno di legge una corsia preferenziale, un'accelerazione, comprimendo i tempi della discussione in questo ramo del Parlamento, che non sono giustificabili in nessun modo. Noi avremmo voluto in realtà che voi destinaste tutte le vostre energie per aumentare gli stipendi e le pensioni che sono la vera emergenza del nostro Paese. Non lo avete fatto perché in realtà vi preme molto di più garantire l'immunità e gli interessi particolari dell'onorevole Berlusconi che, per quanto vi riguarda, vengono prima dei problemi veri del nostro Paese.
Per quanto riguarda il merito: secondo noi, per questo tipo di norme, che prevedono la sospensione dei processi, se fossero coinvolte le quattro cariche istituzionali più importanti del nostro Paese, si renderebbe necessaria una legge costituzionale. In verità, su un provvedimento simile, sul cosiddetto «lodo Schifani», si è già espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2004. Secondo alcuni, la Suprema Corte con quella sentenza, ha stabilito che il Parlamento dovrebbe addirittura rinunziare a legiferare e ad intervenire su una materia come quella che affrontiamo con questo provvedimento. Io non sono d'accordo su questa linea. In altre parole, non mi sarei scandalizzato se fossimo stati coinvolti su una proposta di questo genere e se essa fosse stata presentata in un altro momento, in una fase politica meno difficile e delicata di quella che stiamo affrontando. Il punto, allora, è politico. È il contesto nel quale questo disegno di legge è maturato. Voi l'avete legato al corso di un processo particolare e avete stabilito un nesso preciso tra questo provvedimento ed un'altra norma scandalosa e vergognosa che avete inserito nel decreto-legge in materia di sicurezza con la quale volete bloccare i processi. Vi siete assunti fino in fondo la responsabilità di questo nesso nel momento in cui avete affermato, in Commissione, attraverso il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, che eravate disposti a ritirare la norma che blocca i processi a condizione che il Parlamento attribuisse o assegnasse una corsia preferenziale al provvedimento in esame. Noi non abbiamo accettato tutto ciò perché lo riteniamo assurdo.
Voi non vi fate scrupoli. Per voi è indifferente come si raggiunge l'obiettivoPag. 44di tutelare e salvaguardare il Presidente del Consiglio. È indifferente se, per farlo, si possa arrivare, come voi state facendo, a bloccare 100 mila processi. L'importante per voi è raggiungere l'obiettivo di sottrarre al giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri. Vi è obiettivamente un problema politico che si ripropone all'attenzione di tutte le parti politiche del nostro Paese, ossia il fatto che voi avete ricominciato anche in questa legislatura a tenere in ostaggio il Parlamento, occupandovi poco degli interessi generali e molto degli interessi del Capo del Governo. Si è detto che il problema è che ci sono processi che sono cominciati nel 2002 e che fino ad oggi non sono ancora conclusi.
Ma tale problema, cari colleghi, non lo si risolve né con la norma «bloccaprocessi», che produce effetti devastanti, né con questo lodo. Se sussiste, come è vero, un problema di questo genere, abbiate il coraggio di porre il tema della riforma del sistema giudiziario del nostro Paese. Noi saremo disposti a discutere per consentire alla giustizia di funzionare meglio.
Concludo affermando, altresì, che il disegno di legge in esame, come già è stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto, presenta seri profili di incostituzionalità. Non sì può contraddire con una legge ordinaria il contenuto della nostra Costituzione. La Costituzione del nostro Paese, infatti, già disciplina la responsabilità giuridico-penale dei membri del Governo, con riferimento però ai reati funzionali, vale a dire quei reati posti in essere dalle cariche di Governo nell'esercizio delle proprie funzioni. La disciplina prevede un foro speciale, il tribunale dei ministri. L'assurdità che voi introducete con questo disegno di legge è che i processi nei quali fosse coinvolto il Presidene del Consiglio, per reati commessi nell'esercizio delle sue funzioni, proseguirebbero. Al contrario, se il Presidente del Consiglio commettesse reati extrafunzionali, ossia reati comuni, non sarebbe perseguibile perché con questo provvedimento voi sospendete i processi. Questa disarmonia è molto difficile da tenere in piedi.
Inoltre, con questo provvedimento violate l'articolo 3 della Costituzione, che prevede l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, l'articolo 112 della Costituzione, perché mettete in discussione l'obbligatorietà dell'azione penale e l'articolo 111 della Costituzione, che riguarda la ragionevole durata del processo.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Bordo.

MICHELE BORDO. Concludendo, visto che si è fatto riferimento al contenuto della sentenza della Corte costituzionale sul «lodo Schifani», voglio dire che quella sentenza si limitò ad affermare che quel lodo era incostituzionale, ma in essa non si faceva nessun riferimento al contenuto dell'articolo 138 della Costituzione: il che significa, evidentemente, che non si dava con quella sentenza via libera ad una legge ordinaria per disciplinare la materia che voi regolate con questo provvedimento, come invece voi volete far credere.
Dunque, in conclusione, signor Presidente, con questo disegno di legge state rendendo quasi impossibile il dialogo che si era aperto in Parlamento, in apertuara di legislatura, tra la maggioranza e l'opposizione per affrontare le grandi riforme che servono a far funzionare meglio il nostro Paese. Il dialogo rischia di finire per responsabilità vostra. Il dialogo si tiene in piedi se c'è la convergenza ad affrontare riforme strutturali e non se, come voi state facendo con questo provvedimento, si affrontano leggi ad personam che riguardano interessi particolari e non gli interessi generali. Se questa è però la vostra direzione di marcia, anche in questa legislatura, dovete sapere che noi ci opporremo con determinazione nel Paese e nel Parlamento. (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mannino. Ne ha facoltà per nove minuti.

CALOGERO MANNINO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi,Pag. 45il gruppo dell'UdC ha seguito nelle Commissioni riunite affari costituzionali e giustizia il decreto-legge in materia di sicurezza pubblica, con ogni disponibilità ad offrire un proprio contributo positivo. Ha manifestato critiche, ha esercitato una critica e un'opposizione serrata nei confronti dell'introduzione dell'articolo 2, non soltanto per le ragioni esplicite che quell'articolo presentava ma per tutta la carica di problemi, anche di carattere costituzionale e soprattutto politico, che veniva a porre.
Il gruppo dell'UdC ha sollecitato il Governo a ritirare l'articolo 2, per agevolare una possibile conclusione nell'esame del decreto-legge sicurezza, con la forte preoccupazione - era segno di responsabilità - di un partito come il nostro che si sforza di tenere ferma la rotta dell'opposizione e di esercitare il dovere della navigazione in modo costruttivo e positivo, perché non vogliamo procedere da un'opposizione all'altra e soprattutto non intendiamo confonderci, non per un'esigenza di originalità ma perché abbiamo portato davanti agli elettori italiani le ragioni della nostra distinzione, della nostra identità e della nostra differenza tra due schieramenti che, peraltro, in campagna elettorale si sono scambiati amorosi sensi e, anzi, hanno determinato il risultato elettorale in forza dell'invocazione del voto utile.
Abbiamo sollecitato il ritiro dell'articolo 2, perché abbiamo intravisto all'orizzonte il rischio di una tensione al vertice delle istituzioni, eventualità assolutamente inopportuna in un momento come l'attuale, in cui il Paese è travagliato da problemi seri e profondi. Vorrei, quindi, dire che questa discussione, questo provvedimento di legge rappresentano una contraddizione rispetto alle ragioni per le quali il Parlamento oggi dovrebbe essere fortemente impegnato, nella ricerca delle soluzioni per i problemi della ripresa e dello sviluppo, per il controllo della finanza pubblica e via dicendo. Lo abbiamo fatto per uno spirito positivo, per la ragione molto semplice che cogliamo la drammaticità del problema.
È vero, nessuno può nasconderlo ed il Governo e la maggioranza devono assumersi davanti al Parlamento e davanti al Paese la propria responsabilità. È vero che vi è un problema personale del Presidente del Consiglio dei ministri, ma è anche vero che in questo Paese è aperta dal 1992 una questione assai delicata e complessa, sulla quale tutte le forze politiche dovrebbero essere chiamate ad intervenire in modo innovativo, non più prigionieri - e parla uno che ne avrebbe pur ragione - di quel risentimento che Stendhal considerava, a volte, coefficiente decisivo della storia degli uomini. Orbene, nel 1992-1993 si è rotto un equilibrio costituzionale, perché ciascuno avrà fatto il solo lodo - è stato ricordato poc'anzi dal collega Tabacci il lodo personale Scalfaro - però, da quel momento, sono sorte le ragioni per cui questo Parlamento ha modificato un articolo fondamentale e decisivo della Costituzione italiana, rispetto all'esigenza dell'equilibrio tra i poteri. Ripeto qui un concetto che ho manifestato stamani in Commissione: chi vuole difendere l'indipendenza e l'autonomia della magistratura - e noi siamo tra quelli, perché riteniamo che l'indipendenza e l'autonomia della magistratura siano condizione essenziale per il pieno ed efficace svolgimento della funzione della giurisdizione, requisito essenziale di ogni Stato di diritto e di ogni democrazia - deve prevedere come corrispettivo anche l'immunità parlamentare, la libertà del parlamentare dal rischio di un esercizio di un'azione penale che, a volte, non è esattamente controllata nei suoi fini e nei suoi obiettivi, nelle sue cause e nelle sue portate.
Questo Parlamento - lo voglio ricordare a colleghi ai quali può sfuggire - ha votato la non autorizzazione a procedere al deputato Moranino, responsabile di omicidio, e ha votato invece l'autorizzazione a procedere, nonostante un discorso che credo riecheggi ancora in quest'aula, almeno nella memoria di chi lo ha ascoltato, per l'onorevole Tanassi. Quindi, l'autorizzazione a procedere non è un privilegio di casta: l'autorizzazione a procedere è uno strumento fondamentale per l'esercizioPag. 46del mandato parlamentare. Orbene, proprio in questa prospettiva, non abbiamo inteso né contrastare né criticare, prendendone atto realisticamente, il provvedimento sottoposto alla nostra attenzione, così com'è stato presentato, perché vi è un rischio altissimo: che si continui a disputare, in questo Paese, tra legalità e legittimità, non soltanto nei begli articoli dei vari quotidiani o delle varie riviste, ma nel vivo dello scontro politico.
Vi è una parte politica che si ritiene legittima in ragione di un risultato elettorale, vi è chi ne contrasta i comportamenti sotto il profilo della legalità: dentro questo contrasto, vi è il rischio della paralisi del Paese. Noi siamo contro la paralisi del Paese. Pertanto, siamo disponibili attraverso l'astensione, che è la misura del nostro senso di responsabilità. Prendere posizione sul provvedimento in esame con piglio moralistico sarebbe facile e porterebbe ad ottenere il successo, ad avere l'applauso.
Noi non vogliamo l'applauso né della sinistra né della destra, ma vogliamo richiamare la sinistra e la destra ad un atto di grande responsabilità. È venuto il tempo in cui problema della giustizia - perché vi è un problema della giustizia in Italia - abbia un capitolo preliminare, e tale capitolo preliminare si chiama l'immunità parlamentare, autorizzazione a procedere.
La libertà assoluta dei parlamenti non significa irresponsabilità: vorrei ricordare ai colleghi che oltretutto il parlamentare è responsabile davanti agli elettori (purtroppo l'ordinamento giudiziario italiano non rende ugualmente responsabili davanti ad alcuno i magistrati, soprattutto quelli delle procure, e ne abbiamo le prove ripetute anche in questi giorni).
Quindi il problema c'è. Riguarda tutti, riguarda il Paese, riguarda l'Italia. È necessario uscire da questo pantano. Passi questo provvedimento - noi ci asterremo - ma credo che sia venuto il tempo di rimettere mano al ripristino dell'articolo 68 della Costituzione che - lo ripeto - rappresenta una condizione fondamentale.
Probabilmente la maggioranza di centrodestra sarà costretta a questa scelta. Certo, dovrà superare sentimenti e legami alla stagione del 1993-1994, dalla quale ha ricavato le ragioni della sua presenza nella vita politica del Paese, assecondandole talvolta. Non lo dico, caro Tabacci, soltanto per ricordare ferite e piaghe, ma perché tutti, adesso, abbiamo il dovere di prendere atto di una realtà nuova e della necessità di portare il Paese fuori - lo ripeto ancora una volta - dal pantano nel quale è stato precipitato tra il 1993 ed il 1994 (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà, per sette minuti.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, ci troviamo a dibattere di questo disegno di legge in un contesto del tutto particolare, un contesto strano. Questo disegno di legge viene messo all'ordine del giorno all'improvviso, con una forzatura, per una volontà precisa del Governo - tanto da far sembrare la Camera ostaggio del Governo - con una violazione palese del Regolamento (non me ne voglia il presidente Fini, ho avuto già modo di dirlo ieri, in Giunta per il Regolamento) e con una dicotomia tra ciò che dichiara il Ministro nella relazione e ciò che invece dice il Presidente della Camera, interpretando l'articolo 24 del Regolamento (guarda caso, gli articoli 24 sono centrali nell'analisi di questo disegno di legge: da una parte quello del Regolamento, dall'altro quello della Costituzione).
Ciò detto, questo disegno di legge non è accettabile e noi dell'Italia dei Valori voteremo contro per una serie di motivi. Anzitutto perché viola la Costituzione e i principi fondamentali dei rapporti tra organi costituzionali.
È un disegno di legge che arriva in questo ramo del Parlamento in maniera del tutto inopportuna perché, nel sospendere i processi nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato, pone dellePag. 47dicotomie (ad esempio, possono essere arrestate in flagranza, ma non possono essere processate).
Siamo poi in un contesto del tutto particolare, in un contesto ad personam. Non era opportuno discuterne per un motivo principale e particolare. Si sa già che questa normativa potrà essere applicata e dovrà essere applicata: non è una normativa generalista o generale. Ci auguriamo che il Presidente del Consiglio si avvalga di quanto previsto dal secondo comma: della facoltà cioè, per l'imputato o per il suo difensore munito di procura speciale, di rinunciare, in ogni momento, alla sospensione. Se questa norma non è una norma ad personam, come crediamo, ci aspettiamo che il Presidente del Consiglio - se è vero che vuole un principio generale - non si avvalga di una legge che sembra - e temo lo sia - essere fatta soltanto nel suo interesse. Questo provvedimento è incostituzionale.
Voi avete modificato una parte censurata, rispetto al lodo Schifani, dalla Corte costituzionale, ossia quella relativa alla non reiterabilità, in quanto una delle censure che la Corte costituzionale ha eccepito nella sua sentenza era proprio quella della reiterabilità e, quindi, della non sottoponibilità a processo del soggetto fruitore di questa norma per un periodo indistinto, indeterminato.
Questo ci rafforza proprio nel pensare che avete predisposto questa norma apposta per la persona del Presidente del Consiglio dei ministri, proprio per evitare che sia censurata di incostituzionalità. Tuttavia, questa norma è ugualmente incostituzionale in quanto - come ho avuto modo di dire ieri e lo dice meglio di me, ovviamente, la Corte costituzionale - il sacrificio fondamentale del diritto previsto dall'articolo 24 della Costituzione, cioè il diritto alla difesa, è anche il sacrificio del diritto della parte civile.
Leggo la sentenza della Corte costituzionale relativa al cosiddetto lodo Schifani: «Sacrificato è altresì il diritto della parte civile, la quale, anche ammessa la possibilità di trasferimento dell'azione in sede civile, deve soggiacere alla sospensione prevista dal comma 3 dell'articolo 75 del codice di procedura penale».
Cosa significa ciò? Che, ove nel processo sospeso vi sia la parte civile, questa parte fondamentale ed importantissima del processo non ha il diritto di vedere subito esaminata la propria domanda in quel processo penale, perché deve soggiacere alla sospensione; ha il diritto (e, quindi, gli viene obbligato un comportamento) di trasferire la propria azione in sede civile. Questa norma permane al sesto comma dell'articolo 1. Pertanto tale norma, che era già prevista nel «lodo Schifani», è assolutamente incostituzionale.
Questi sono i vari motivi per i quali voteremo contro questo disegno di legge. Si tratta, infatti, di un provvedimento che viola gli articoli 3 e 24 della Costituzione (ma soprattutto l'articolo 3, ossia l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge); si tratta, altresì, ci sia consentito di ribadirlo, di un disegno di legge che giunge in questa Camera, dando alla Camera stessa e alle Commissioni riunite un giorno e mezzo, due giorni, quando, almeno per il lodo Schifani, erano stati previsti otto giorni soltanto in Commissione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DAVID FAVIA. Chiedo scusa, concludo, signor Presidente.
Come dicevo, si tratta di un disegno di legge sul quale l'opposizione viene coartata e imbavagliata, male interpretando l'articolo 24 del Regolamento, dicendoci che questa normativa non ha nulla a che vedere né con la prima, né con la seconda parte dell'articolo 24 del Regolamento e, quindi, indirettamente con la normativa costituzionale citata dall'articolo 49 del Regolamento, tra cui l'articolo 24 della Costituzione, quando lo stesso Ministro...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DAVID FAVIA. Sto concludendo, signor Presidente, mi perdoni.Pag. 48
Come dicevo, lo stesso Ministro presentatore del disegno di legge, nella relazione introduttiva, sostiene: «si realizza, così, con questo disegno di legge, l'equo contemperamento dei valori sottesi agli articoli 24 e 51 della Costituzione». Ritengo che ciò sia assolutamente negativo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vassallo. Ne ha facoltà, per sette minuti.

SALVATORE VASSALLO. Signor Presidente, devo confessare che avrei preferito svolgere il mio primo intervento in quest'Aula in un clima e su un oggetto diversi. Si intende che il mio personale stato d'animo e il disagio che provo sono poca cosa, se non fosse che, credo, corrispondano al disagio di tanti cittadini italiani che avrebbero preferito di gran lunga non assistere ad un cattivo film già visto.
Anche grazie alle scelte compiute dal Partito Democratico prima, durante e dopo le elezioni, sarebbe stato possibile costruire in questa legislatura una pratica politica nuova, con un Parlamento meno frammentato, un Governo che gode di un mandato chiaro dagli elettori e di una larga maggioranza e un'opposizione egualmente forte e istituzionalmente leale; sarebbe stato possibile superare la logica delle contrapposizioni pregiudiziali, pur nel riconoscimento delle differenze, anche notevoli, sull'indirizzo politico contingente.
Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio nel suo discorso di investitura e le stesse dichiarazioni del Presidente Fini nel momento in cui ha assunto la carica di Presidente di questa Assemblea contenevano un'enfasi particolare sulla necessità e sull'opportunità di un dialogo costruttivo sulle regole del gioco. Alla prima prova, però, in cui si discute di una delicatissima regola del gioco istituzionale, la maggioranza e il Governo hanno dimostrato di essere largamente inadatti al ruolo che si erano assegnati. È evidente a tutti che l'agenda parlamentare delle ultime settimane sia stata dettata non da statisti con una visione compiuta del disegno istituzionale e dei suoi necessari equilibri, ma da colleghi della maggioranza, eccellenti professionisti nel loro campo, che sono anche - o prima ancora - avvocati difensori del Presidente del Consiglio nei procedimenti giudiziari che lo coinvolgono.
È un fatto ovvio, palese a tutti e in alcuni casi apertamente dichiarato in Transatlantico, che l'agenda parlamentare sia stata dettata dai tempi delle inchieste che coinvolgono l'onorevole Berlusconi; questa fretta è stata, purtroppo, una pessima consigliera, che rischia di rendere l'attuale legislatura, sotto vari punti di vista, fin troppo simile alla XIV: tutto il contrario di ciò che avremmo voluto, che abbiamo chiesto e che la maggioranza si è impegnata a garantire, e tutto ciò per il modo in cui si è svolta la discussione e per la sequenza di proposte che sono state avanzate in quest'Aula.
Non intendo, però, eludere il merito. Il disegno di legge che oggi esaminiamo tocca un problema reale, devo dirlo in poche parole, a rischio di essere male interpretato, ma non mi voglio sottrarre per comodità retorica a questo punto. Il disegno di legge Alfano tocca un problema che merita di essere discusso: la possibile contraddizione tra il mandato conferito dagli elettori, la continuità delle funzioni di Governo e le iniziative potenzialmente fallibili della magistratura, un problema percepito e affrontato anche in altri ordinamenti. Ma tale problema, per essere affrontato con l'equilibrio che merita, richiederebbe una cautela, una credibilità e una reale disponibilità al dialogo da parte della maggioranza che sono totalmente assenti dal suo orizzonte, come è dimostrato, purtroppo, dallo svolgimento della vicenda parlamentare degli ultimi due mesi. Si tratta di un problema che è difficile affrontare con l'equilibrio che merita, d'altro canto, se si ha come chiodo fisso l'obiettivo di sottrarre il Presidente del Consiglio a uno specifico procedimento giudiziario già in corso, a qualsiasi costo, ammantando, magari, questo chiodo fisso con la teoria che sarebbe in corso unPag. 49complotto da parte della magistratura contro la volontà popolare e una persecuzione giudiziaria nei confronti del Primo Ministro.
Seguendo tale teoria tutti gli strumenti legislativi diventano leciti e giustificabili. Non c'è tempo per una legge costituzionale? Si ricorre al cosiddetto «lodo Schifani-Alfano». Non c'è tempo per un «lodo Schifani» emendato? Si decide nientemeno che di bloccare migliaia di processi per crimini odiosi, per i quali chi chiede giustizia non potrà averne e chi è accusato non potrà difendersi. Come si fa soltanto a pensare di imporre per legge la sospensione di migliaia di processi per crimini che generano allarme sociale solo per fermarne uno che riguarda il capo del Governo? Che questo fosse l'obiettivo è palesemente dimostrato, come ha ricordato ieri l'onorevole Franceschini, dal fatto che se dovesse passare il disegno di legge Alfano, allora il Governo sarebbe pronto a ritirare il «bloccaprocessi».
Il disegno di legge Alfano, però, a volere soprassedere sul metodo e sui tempi forzosi di approvazione, non è affatto privo di problemi anche nei suoi contenuti e non risolve parte delle questioni poste dalla sentenza n. 24 del 2004 della Corte costituzionale, ed in particolare il richiamo al rispetto dell'articolo 3 della Costituzione. Esso si applica a cariche, come quella dei Presidenti delle Camere, per le quali, a mio parere, è ingiustificato, come forse lo stesso Presidente in una diversa circostanza sarebbe disposto ad ammettere. Inoltre, esso prevede un'estensione smisurata e irragionevole del campo di applicazione: la sospensione dei processi si attiva sempre e comunque, per qualsiasi reato o in qualsiasi fase o grado del giudizio, per di più in maniera automatica e viene meno solo in caso di rinuncia da parte dell'interessato.
Un problema di questa delicatezza, a mio parere, dovrebbe essere trattato solo con norme di rango costituzionale, prevedendo, in ogni caso, meccanismi sospensivi non automatici, che si attivano solo a seguito di una pubblica assunzione di responsabilità, per la sospensione temporanea dei procedimenti, da parte della maggioranza parlamentare.
Se, infatti, il problema è il legame tra la magistratura e la politica, se il problema è quello di garantire la continuità del mandato naturale, questo non può essere garantito in maniera automatica; deve esserci un'espressione di responsabilità della maggioranza al riguardo.
Il modo in cui si è cercato di mettere la polvere sotto il tappeto rischia di riaprire una vicenda simile sul piano giuridico, oltre che sul piano politico, a quella che abbiamo visto nel quinquennio 2001-2006 (per come la vedo e, per quello che qui importa, per quanto riguarda il Paese, la peggiore prospettiva possibile).
Non ci faremo portare in un gorgo come quello della XIV legislatura; un gorgo prodotto, da un lato, da iniziative abnormi, come il «bloccaprocessi», o gravemente sbagliate, come il cosiddetto «lodo Alfano», e, dall'altro - devo dirlo - da alcuni toni sentiti nella manifestazione svoltasi ieri a piazza Navona.
Saremo qui - credo e spero - con il medesimo atteggiamento istituzionalmente corretto e leale che ci porta ad opporci al cosiddetto «lodo Alfano», nell'improbabile caso in cui la maggioranza sia in grado di tornare sui suoi passi.
Saremo in ogni caso qui, come accaduto nel 2006, quando il Paese capirà - non serviranno cinque anni - che le promesse della politica economica tremontiana valgono, forse, per alcune aziende vicine al Governo, ma per il resto del Paese sono solo messaggi pubblicitari, che non aiutano ad arrivare alla fine del mese; quando si capirà che le leggi ad personam sono efficaci per i loro fini, ma deteriorano il clima sociale e indeboliscono le istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina. Ne ha facoltà, per sette minuti.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, signor Ministro, siamo chiamati oggi aPag. 50parlare di una norma che mette in serio imbarazzo il Parlamento; è una norma anomala rispetto a tutto il contesto non solo nazionale del nostro ordinamento, ma anche internazionale, che va oltre ciò che ognuno di noi avrebbe mai potuto immaginare.
È la norma che prevede la sospensione del processo penale nei confronti delle più alte cariche dello Stato, individuate in quattro cariche dello Stato; è una norma che individua esattamente ciò che va sospeso, e che dice, nei commi che si susseguono, che, intanto, vengono sospesi i processi penali per fatti antecedenti all'assunzione della carica.
In sostanza, cioè, le quattro più alte cariche dello Stato, nel momento in cui assumono il ruolo istituzionale, se hanno commesso reati in precedenza, comunque, non possono essere processati.
Ma non basta, la norma va oltre e aggiunge che vengono sospesi anche i processi penali in corso, in ogni fase e stadio, all'entrata in vigore della legge; non soltanto, quindi, i reati comuni che venissero commessi durante l'esercizio delle funzioni, ma anche i reati commessi in precedenza, per i quali c'è un giudizio penale in corso.
Immaginate il caso in cui un'alta carica dello Stato abbia già subito già, per un reato comune, una condanna in primo grado, abbia subito, per un reato comune, una condanna in grado di appello e stia aspettando il giudizio in Cassazione. Ci dobbiamo fermare, perché il processo non può andare avanti.
Devo dire che in questi giorni ci sono stati tanti commenti e anche in quest'Aula sono venuti dei commenti a sostegno di questa norma da parte della maggioranza. Ne cito uno: l'intervento dell'onorevole Cota, della Lega, che ha, addirittura, disturbato i padri costituenti, nel momento in cui ha detto che questa norma andava fatta, perché anche i padri costituenti avrebbero pensato una cosa simile; non essendo prevista nella nostra Costituzione, ma, anzi, poiché una norma del genere comporta una violazione seria e pone seri dubbi di costituzionalità, egli pensava, al contrario, di dover fare questa norma.
Ebbene, credo che i padri costituenti non abbiano dimenticato di inserire una norma di questo genere nella Costituzione. I padri costituenti hanno inserito delle immunità specifiche, che riguardavano alcune alte cariche dello Stato per fatti commessi nell'esercizio delle loro funzioni.
E certamente il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, i Presidenti della Camera e del Senato non credo che per l'esercizio delle loro funzioni debbano commettere reati come la truffa, la rapina, lo stupro, reati di pedofilia: credo che non fosse questo il messaggio che i padri costituzionali volevano dare, né che si tratti di una dimenticanza. Ecco perché non capisco qual è il senso.
Tra l'altro, se si vuol fare qualcosa in questo senso, si segua il nostro ordinamento, se si dice di rispettarlo; e seguire il nostro ordinamento significa prevedere una norma di carattere costituzionale che introduca una guarentigia di questo tipo, ma che la introduca per l'avvenire, non per tappare i buchi di situazioni che si sono già verificate. C'è già l'articolo 90 della Costituzione, che prevede l'immunità per il Capo dello Stato nell'esercizio delle proprie funzioni, e ribadisco che l'esercizio delle proprie funzioni non significa certo andare in giro a commettere reati.
Quanto all'intervento dell'onorevole Mannino, che mi ha preceduto, non credo che un parlamentare debba temere di essere sottoposto alla giustizia ordinaria per l'esercizio delle proprie funzioni; credo che un parlamentare nell'esercizio delle proprie funzioni non abbia motivo di preoccuparsi della giustizia (e poi su questo problema è inutile tornare). Al contrario, un parlamentare è doveroso che venga sottoposto alla giustizia ordinaria, e le alte cariche dello Stato devono dare l'esempio, nel momento in cui parliamo e trattiamo di reati comuni. Che esempio si dà al nostro Paese nel momento in cui, alta carica dello Stato, mi sottraggo a un giudizio per un reato comune? Compio sostanzialmente un'istigazione a commetterePag. 51reati comuni, nella speranza che qualcuno si alzi per tutelare i miei interessi con qualche norma di circostanza.
Ecco perché ci saremmo aspettati qualcosa di diverso da persone che ricoprono cariche istituzionali importanti, da parte di chi ha un processo penale (può capitare a tutti) e viene chiamato ad assumere un'alta carica dello Stato italiano, per rispetto delle istituzioni che è chiamato a tutelare. Infatti il Capo dello Stato, e le alte cariche, devono tutelare anche la magistratura, non solo attaccarla o pensare alla magistratura compiacente; la magistratura quando sbaglia deve pagare, ma è giusto che la magistratura sia libera di esprimere il proprio giudizio. Ci saremmo aspettati una norma che accelerasse i processi a cui erano sottoposte le alte cariche dello Stato, o che le future alte cariche dello Stato dovessero avere.
Io per la verità, come cittadino, non avrei mai immaginato che un'alta carica dello Stato avesse dei processi penali in corso al momento dell'assunzione: è imbarazzante! Però, se così è, avrei pensato a un livello alto nelle istituzioni: avrei pensato a una corsa a presentarsi in giudizio, per fare in modo che in poco tempo si sgombrasse il campo da quelli che potevano essere gli equivoci, nei confronti non solo degli italiani, ma anche dei Paesi stranieri. Al contrario, si evita di sottoporsi al processo! Quanto imbarazzo, nell'introdurre una norma che non ha precedenti in nessun Paese.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

IGNAZIO MESSINA. Concludo, signor Presidente. Non ha precedenti in nessun Paese: negli Stati Uniti, con dei Presidenti processati, in Francia, addirittura in Iran, dove per nessun reato è consentita un'immunità. Non è possibile, secondo me, andare avanti.
Oggi si è verificato un fatto molto grave. Il fatto grave è che il Ministro Scajola, in un'intervista rilasciata questa mattina, ha detto chiaramente quello che pensava rispetto alle norme, all'incrocio tra allontanamento e sospensione dei processi e immunità alle cariche dello Stato.

PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.

IGNAZIO MESSINA. Concludo, signor Presidente. La domanda del giornalista è stata: toglierete la legge che blocca i processi per evitare il processo Mills? Il Ministro Scajola ha risposto: dipende molto da come si comporterà l'opposizione, da come si comporterà in Parlamento il Partito Democratico. Sono rimasto confortato dall'onorevole Bordo, perché ha detto che il Partito Democratico si comporterà in maniera seria e farà in modo che non ci sia scambio; perché altrimenti avremmo un nuovo reato: invece di prevedere sospensioni inventeremmo un nuovo reato, quello della legge di scambio. Mi auguro che tutto questo non sia possibile, e si possa puntare a una soluzione vera dei problemi. La maggioranza è chiamata a rispondere moralmente di fronte al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà, per nove minuti.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, onorevole Ministro della giustizia, onorevoli colleghi, questa è una legge ad personam, e ne sono convinte ormai anche le pietre in Italia.
È stata presentata il 2 luglio scorso e in meno di quindici giorni sarà legge della Repubblica per volontà del Popolo della Libertà e della Lega Nord.
Il comma 1 prevede la sospensione per legge dei processi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio e dei Presidenti delle Camere. In realtà, essa riguarda solo Berlusconi, perché il Presidente della Repubblica può essere messo sotto processo da parte del Parlamento per attentato alla Costituzione o per alto tradimento, mentre Fini ha detto ieri, rispondendo all'onorevole Franceschini, che questa legge non lo riguarda (lo sottolineava il collega Tabacci poc'anzi). È vero che la stessa frase non è stata pronunciata anche da Schifani, PresidentePag. 52del Senato, ma se si tiene conto della norma di cui agli articoli 2-bis e 2-ter inserita nel decreto-legge n. 92 del 2008 sulla sicurezza, con cui si sospendono per un anno tutti i processi riguardanti reati con pene superiori a dieci anni, fra cui anche il processo per corruzione giudiziaria a Mister Mills, con imputato Silvio Berlusconi, ben si comprende come questa norma riguardi soltanto Berlusconi.
Qual è la differenza fra la norma «salva Premier» inserita dal Senato nel decreto-legge n. 92, all'insaputa del Capo dello Stato, e il disegno di legge Alfano? Nel primo provvedimento per salvare dal processo Berlusconi se ne sospendono 100 mila - un'amnistia mascherata - mentre con il lodo Alfano se ne sospende uno, quello di Berlusconi. Ci pare che da parte della maggioranza questa sia una riduzione di danno abbastanza significativa ed importante, che si è ottenuta anche grazie alle iniziative diplomatiche dell'opposizione, fra cui l'Unione di Centro.
In questa decisione della maggioranza, che - come è stato già ricordato - l'Unione di Centro non voterà, cogliamo tre aspetti positivi rispetto alla situazione che abbiamo di fronte. Il primo è che non si blocca la giustizia nei confronti di centinaia di migliaia di delinquenti che, invece di stare in carcere, seguiterebbero a circolare indisturbati. Il secondo è che finisce la rissa e si torna a parlare dei problemi del Paese e della difficile crisi economica che soffoca famiglie ed imprese, mettendo alla prova la capacità di governo di Berlusconi. Il terzo è che si solleva il Presidente Napolitano dal firmare una legge di conversione del decreto-legge n. 92 dal contenuto inaccettabile sul piano costituzionale, che avrebbe aperto fra Governo e Quirinale una voragine dagli esiti imprevedibili.
La maggioranza ha i numeri per approvarsi questa legge, e se la approvi. Noi dell'opposizione dobbiamo subire questa infamia morale e giuridica che ripropone al mondo un'Italia viziosa e corrotta, però abbiamo la possibilità di un referendum popolare che potrà cancellare questa norma, restituendo al popolo quella parte di verità negata con artifizi, promesse e raggiri l'8 aprile scorso. Quella verità, noi dell'Unione di Centro, l'avevamo detta, ma siamo stati zittiti dal voto utile: Berlusconi non ci ha voluto alleati perché sapeva che sulla difesa dei suoi interessi economici e giudiziari saremmo stati alleati ostici, non saremmo stati remissivi e rassegnati come tanti colleghi della sua maggioranza. Berlusconi aveva visto giusto: una legge del genere una gran parte di noi non l'avrebbe mai votata, a cominciare da chi vi parla.
Gli esponenti politici della prima Repubblica si sono sempre difesi nei processi e non dai processi. Questa è la prima regola per sconfiggere l'accanimento giudiziario di magistrati politicizzati ed estremisti: chi è innocente non teme la giustizia. Lo sa bene Berlusconi che finora, per quanto perseguitato, non è stato mai condannato da quella giustizia che giudica eversiva.
Allora, perché temere quei giudici di Milano, che finora lo hanno sempre salvato da accuse ingiuste? Oggi questo Parlamento non scrive una pagina nobile della propria storia legislativa. Ce ne rendiamo conto tutti, anche quella parte della maggioranza che crede in un'Italia più ordinata e più giusta. Siamo confortati però dal fatto che quello che non siamo riusciti a fare qui dentro, lo faremo fuori, con l'aiuto del popolo italiano, nella prossima primavera. Vogliamo riavvicinare la politica al popolo, visto che non riusciamo a produrre una buona politica in questo Parlamento, che è la sua sede naturale.
Il Presidente Fini, nel discorso di insediamento, parlò di un'Italia disorientata e in crisi di identità e parlò di relativismo etico quale causa dell'assenza di ancoraggi forti nella vita, nel lavoro, nella cultura. Al Presidente Fini vogliamo far sapere che il Parlamento - cioè la sua maggioranza - oggi consente al Presidente del Consiglio - e a lui stesso e al Presidente del Senato - ogni tipo di reato senza doverne pagare le conseguenze come qualsiasi cittadino, divenendo il codice genetico del relativismo etico della politica.
C'è un'Italia che si chiede perché bisogna cancellare le intercettazioni e sospenderePag. 53i processi, e c'è un'Italia che ha capito che a farne le spese sarebbe Berlusconi. C'è un'Italia che non intende pagare il costo di questa deriva morale e politica, ma c'è un'Italia altrettanto grande che non intende rinunciare a Berlusconi per via giudiziaria per la soluzione dei gravi problemi economici che abbiamo.
Io appartengo all'Italia democratica e repubblicana, che crede a sé stessa e non all'uomo della provvidenza, all'Italia onesta che vive del proprio lavoro e insegna ai propri figli a rispettare la legge e ad una vita libera e dignitosa. Credo ai valori del 25 aprile e della Resistenza, non come espressione di circostanza, ma perché grazie ad essi è stata spazzata via una classe politica prepotente che identificava lo Stato con i propri interessi personali e di gruppo.
Credo nelle istituzioni previste dalla Costituzione, compresa la magistratura italiana, quella che ha sconfitto il terrorismo e che ogni giorno combatte a rischio della propria vita la criminalità organizzata per difendere gli italiani e le loro famiglie. Non è la magistratura eversiva e dei matti, quella di cui parlo, né è quella delle manette facili, che tanto piaceva nel 1992 alla Lega, al partito di Fini e alle reti di Mediaset. Questa magistratura non sta più in trincea con le toghe, ma ha guadagnato un posto al Parlamento per servire meglio, ciascuna, le ragioni del proprio principe. La mia storia - e quella di altri amici - è quella di Moro, Bachelet, Ruffilli ed altri martiri repubblicani. Per queste ragioni, signor Presidente, l'Unione di Centro non è stata ieri a piazza Navona e non voterà domani il lodo Alfano (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti. Ne ha facoltà, per sette minuti.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, può sembrare stravagante, di fronte al metodo e al merito di quanto vediamo accadere sotto i nostri occhi in quest'Aula in nome della giustizia, parlare dell'iniziativa non violenta in corso di Marco Pannella per evitare la condanna a morte di Tareq Aziz, braccio destro e Ministro degli esteri di Saddam Hussein, che trattò fino all'ultimo con l'Occidente, che forse ha colpe ancor più gravi dell'ex rais e che è titolare, oggi, della possibilità di dire una verità scomoda (per cui, forse, è meglio tagliargli la testa, per tagliargli, in realtà, la gola).
Colleghi, la non violenza che anima questa iniziativa e che per altri aspetti - lo voglio ricordare - vede il collega Roberto Giachetti al secondo giorno di sciopero della sete, è fatto costitutivo e costituente la democrazia, è una pratica che richiede per il suo esercizio il divenire e l'essere persone di legge, persone che, nel rispetto della norma e della regola, trovano la forza per dare corpo ad un'idea, ad un principio, e da questo poter anche giungere ad ottenere poi il rispetto del diritto e a creare magari anche nuovo diritto.
È esattamente questo senso della legge ciò che manca al nostro Paese, dove mi pare che ormai si sia smarrito il senso istituzionale, che è senso della legalità. Sono in Parlamento da pochi mesi, alla mia prima legislatura, ma quello a cui ho assistito in Aula e in Commissione mi porta a dire che il mancato rispetto delle regole è divenuto fatto istintivo più che doloso, espressione ormai di una mentalità e di una cultura che assimilano largamente al ceto politico i giudici e gli attori dell'informazione.
Anche perché la magistratura e l'informazione, nella loro grande maggioranza, hanno concorso a creare questa situazione di ingiustizia che è autentico disservizio e degrado complessivo, in cui assistiamo ad un uso sistematico nella lotta politica della menzogna e della diffamazione. Tutto ciò anche perché vi è stata una sistematica elusione, da parte dell'ordine giudiziario, della difesa del diritto all'immagine e all'identità di ciascuno e di tutti.
Per noi Radicali lo Stato di diritto è estraneo a questa situazione che si è venuta a determinare, così come sono estranei i principi liberali cui magari anPag. 54che alcuni si richiamano per difendere il lodo Alfano. Rispetto a tale provvedimento, voglio dire che se fossimo in un Paese democratico o in uno Stato di diritto potrei anche concepire forme di tutela liberale o prerogative quali l'immunità. Ma siccome viviamo in una situazione di totale illegalità e di non rispetto della legge e della Costituzione - tant'è che oggi si parla di Costituzione materiale e non più di Costituzione tout court - non voglio e neanche mi sogno di aggiungere all'illegalità anche questa sorta di immunità per le massime cariche dello Stato, nei confronti di alcune delle quali Marco Pannella anni fa avanzò l'accusa di alto tradimento della Costituzione, salvo assistere poi al salvataggio da parte della partitocrazia, che in questo Parlamento negò l'autorizzazione a procedere. Il fatto è che la legge viene ormai vissuta come una nozione astratta, se non come un vero e proprio fastidioso impiccio di cui liberarsi in nome, oggi, del decisionismo e dell'efficientismo.
Noi Radicali non abbiamo invece fretta di sbarazzarci dello Stato di diritto e dei principi liberali. Abbiamo invece la determinazione di dare loro corpo, quello di chi conduce la lotta non violenta, e di dare magari anche un volto e un nome alla nostra battaglia. Oggi è quello di Tarek Aziz, ieri quello di Enzo Tortora o di Bettino Craxi. Se è giusto che vengano perseguiti i reati, dai furti agli omicidi, è decisivo però che si ristabilisca, o in alcuni casi si stabilisca, la regola dell'affermare e creare anche diritto e diritti.
È stato questo il senso della battaglia di Nessuno tocchi Caino e del Partito Radicale per la moratoria universale delle esecuzioni capitali, promossa nei suoi albori dal primo Governo Berlusconi nel 1994 e portata poi a conclusione dal Governo Prodi lo scorso anno. Con il voto dell'Assemblea generale dell'ONU abbiamo stipulato un contratto con le Nazioni Unite, e inizia ora la parte più difficile e impegnativa, vale a dire l'attuazione e la messa in pratica dei contenuti di quel contratto.
Noi riteniamo che operare per evitare la condanna a morte o l'esecuzione di Tarek Aziz sia esattamente questo: dare attuazione a quel contratto sancito con le Nazioni Unite che ha visto uniti Parlamenti e Governi che si sono succeduti in questi ultimi quattordici anni, e crediamo che l'impegno di tutte le forze politiche su questa battaglia possa servire a contrastare quel costante arretramento di fronte alle frontiere rappresentate da nuovi diritti umani, civili, politici, sociali ed economici con cui la politica, laicamente, deve invece urgentemente confrontarsi (Applausi di deputati del gruppo del Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà, per sei minuti.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, viene da dire: purtroppo ci risiamo. Viviamo in queste settimane una nuova crisi nel rapporto tra magistratura e politica, un conflitto che il nostro Paese si porta dietro ormai da troppo tempo e a cui è necessario, responsabilmente, dare una risposta non conflittuale né vendicativa.
L'Unione di Centro ha affermato che, se esiste un problema di tutela delle funzioni svolte dalle persone chiamate a rivestire le più alte cariche dello Stato, esso va affrontato per quello che è, riconoscendone la rilevanza e senza pregiudicare l'autonomia, l'indipendenza e l'efficacia delle funzioni della magistratura. Per questo abbiamo denunciato con forza il maldestro tentativo della maggioranza di far fronte ad un singolo problema giudiziario, tramite la cosiddetta norma bloccaprocessi inserita come emendamento nel decreto-legge sulla sicurezza, che avrebbe finito per creare confusione e ritardi negli uffici giudiziari italiani, sospendendo arbitrariamente decine di migliaia di procedimenti penali pendenti. Questa norma era e rimane per noi inaccettabile.
Viceversa, abbiamo sostenuto sin dall'inizio che, se il Governo avesse deciso di liberare il provvedimento sulla sicurezza dei cittadini - così si chiama - da norme improprie, contraddittorie e controproducenti,Pag. 55saremmo stati disponibili a discutere nel merito di un disegno di legge governativo finalizzato, legittimamente, a tutelare le alte cariche dello Stato dalla pressione di procedimenti penali che possano pregiudicare il sereno esercizio delle loro delicate funzioni istituzionali.
Tuttavia, onorevoli colleghi, avremmo preferito che il Parlamento si accingesse ad approvare la proposta del Governo come legge costituzionale, perché così si sarebbe messo al riparo da molte polemiche e da ogni ulteriore censura della Corte costituzionale. In quel caso la maggioranza avrebbe potuto legittimamente cercare, da parte delle opposizioni, il sostegno necessario ad evitare il ricorso al referendum confermativo e, dunque, la più rapida entrata in vigore di una norma ineccepibile. Viceversa, la maggioranza e il Governo non hanno seguito la via maestra della legge costituzionale e si sono assunti autonomamente, senza corresponsabilità delle opposizioni, il rischio di una nuova pronuncia di incostituzionalità.
Onorevoli colleghi, un autorevole esponente del Partito Democratico ha sostenuto che i problemi siano due, Berlusconi e la giustizia, e che questi due problemi si alimentino a vicenda. Sarebbe sbagliato quindi se, per attaccare Berlusconi, si difendesse la giustizia come se in Italia il sistema giudiziario funzionasse alla perfezione. Se queste premesse sono vere, infatti, per eliminare le disfunzioni della giustizia, per far sì che il Governo metta mano seriamente a una riforma efficace e complessiva del sistema giustizia in Italia - di quella civile, oltre che di quella penale -, cosa dobbiamo aspettare? Che scompaia il problema Berlusconi?
Signor Presidente, l'Unione di Centro si candida ad essere una forza di governo senza avere, peraltro, la pretesa di costituire un Governo ombra, anche perché ci sembra che il Governo ombra sia funzionale soprattutto al Governo vero di questo Paese. Pertanto, noi ci poniamo il problema delle priorità del nostro Paese e pensiamo che il contenuto del cosiddetto lodo Alfano non lo sia. Riteniamo che l'aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, i servizi inadeguati rispetto alle tasse che paghiamo, la crisi delle fonti energetiche, il mancato adeguamento e la valorizzazione del merito siano le priorità, ma anche una giustizia a misura dei cittadini, di tutti i cittadini. Prendiamo atto, però, che per il Governo questa è la priorità.
L'UdC, dunque, non voterà a favore di questo provvedimento che prevede l'immunità per le quattro più alte cariche dello Stato, anche se non considera il testo in esame la fonte di ogni male, e crede che sia controproducente assumere atteggiamenti oltranzisti nei confronti di misure che, tutto sommato, si sforzano di bilanciare diversi interessi in gioco nel conflitto tra politica e giustizia.
Certamente, avremmo gradito una diversità di contenuto e di metodo, avremmo preferito una legge costituzionale e un lungo e approfondito dibattito parlamentare che - ne siamo certi - avrebbe, senza dubbio, arricchito e migliorato questo provvedimento anche alla luce degli interventi appassionati e competenti che abbiamo ascoltato nelle Commissioni in questi giorni. Avremmo avuto un provvedimento migliore, nell'interesse della stessa maggioranza e anche delle opposizioni che, invece, sulla giustizia si sono trovate, ancora una volta, a combattere da opposte trincee.
Concludendo, signor Presidente, se questo disegno di legge vedrà la luce, sarà per responsabilità esclusiva di questa maggioranza. Tuttavia, la speranza del mio partito è che con esso si rimuova, almeno in parte, quel macigno di incomunicabilità tra Governo e magistratura, e tra maggioranza e opposizione, su tutti i temi che, direttamente o indirettamente, possono riguardare la giustizia che - come sapete - sono tanti e inquinano da troppo tempo la nostra attività parlamentare.
È ora di voltare pagina e di non avere più alibi da parte del Governo per fare poco in questo settore o per non avere il coraggio di confrontarsi con l'opposizione sui reali problemi del Paese. Se il lodo che porta il suo nome, Ministro Alfano, alleviasse il peso di questo macigno non saràPag. 56stato inutile, e se impedirà il blocco di 100 mila processi sarà stato perfino utile. Altrimenti, il Governo all'inizio della legislatura avrà perso una grande occasione, con una maggioranza così ampia, per disinnescare le piazze facinorose (di cui gli stessi artefici oggi sono pentiti come gli apprendisti stregoni) e per concentrarsi, invece, sui tanti altri problemi che sentono tutti i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

Sul ferimento di due militari italiani in Afghanistan (ore 18,30).

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al collega Ciriello, devo darvi la notizia del ferimento di due militari italiani che durante un'esplosione in Afghanistan sono stati feriti agli arti inferiori e in questo momento sono sottoposti ad un intervento chirurgico. Naturalmente ai nostri militari va tutta la nostra solidarietà, il nostro affetto e l'augurio che l'intervento possa riuscire e che soprattutto possano tornare alle loro famiglie (Applausi).

Si riprende la discussione.

(Ripresa della discussione sulle linee generali - A.C. 1442)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciriello. Ne ha facoltà.

PASQUALE CIRIELLO. Signor Presidente, naturalmente mi unisco all'auspicio che lei ha rivolto ai nostri militari feriti. In apertura del mio intervento mi lasci dire che la pagina, che temo stiamo per scrivere, segnerà un punto molto basso nelle vicende dell'Assemblea e contribuirà in modo sostanziale ad estendere sempre più all'area delle nostre istituzioni la crisi di credibilità della politica che, da tempo, attanaglia il nostro Paese.
A spingermi a svolgere tale osservazione sono considerazioni di metodo e di merito: inizio da quelle di metodo. La legislatura si era avviata (ricordo il discorso di insediamento del Presidente del Consiglio) con grandi aperture di credito verso un dialogo e un rapporto di collaborazione tra maggioranza e opposizione, soprattutto in ordine alla riscrittura delle regole del gioco di cui, per unanime consenso, il Paese ha enorme bisogno. Questo era l'impegno, ma la realtà purtroppo è ben diversa.
In sede di Commissioni riunite affari costituzionali e giustizia, mentre eravamo impegnati nella discussione del decreto-legge in materia di sicurezza, siamo stati informati, lunedì sera intorno alle ore 20,30, che quella discussione doveva intendersi sospesa per dare spazio al disegno di legge recante il cosiddetto lodo Alfano. Lascio ad ognuno giudicare quanta congruenza vi sia in un provvedimento urgente che cede il passo ad uno ordinario. Abbiamo avuto poche ore per la presentazione e la discussione degli emendamenti e, oggi, siamo già in Aula per la discussione e l'approvazione del provvedimento. Non ho bisogno di aggiungere altro in ordine al rispetto delle prerogative della minoranza che, pure, è un caposaldo di tutte le democrazie liberali.
Francamente l'aver appreso che vi sono stati dei precedenti in cui si è riusciti a fare ancora di peggio non mi conforta affatto. Se sono accusato di un reato assai grave, venire a conoscenza che altri si è macchiato di altro reato ancora più odioso in nulla lenisce la mia posizione.
Comunque, se questi sono i termini di contesto che la maggioranza aveva in mente, quando ha parlato di collaborazione e di dialogo, non possiamo che prenderne atto. Forse, però, è il caso di suggerire una modesta correzione lessicale: sarà più opportuno d'ora in poi, anziché di dialogo, parlare di monologo.
In ordine al merito, sono soprattutto due i profili che vorrei toccare tra i tanti che pure suscitano perplessità. Il primo attiene allo strumento giuridico prescelto per intervenire, l'altro all'ambito delle figure istituzionali che la disciplina sottoposta al nostro esame ricomprende.Pag. 57
In Commissione, sono stati spesi inutilmente tanti argomenti per dimostrare che un intervento nella materia in questione abbisognasse del ricorso alla legge costituzionale. Si è fatto notare, traendo spunto dalla relazione che accompagna il disegno di legge, che è vero che non vi è bisogno di annoverare tra i destinatari di queste norme il Presidente della Corte costituzionale, giacché lo stesso è già coperto da immunità, ma egli è immune sulla base di una legge costituzionale, la n. 1 del 1948.
Allo stesso modo, l'istituto, già ricordato in quest'Aula, dell'autorizzazione a procedere, che come sappiamo copriva tutti parlamentari, era previsto nel testo stesso della Carta costituzionale, il che costituisce, se mi si passa l'espressione, una sorta di interpretazione autentica del testo.
Chi ha scritto la Costituzione, quando ha inteso difendere le prerogative dei membri del Parlamento, lo ha fatto con un comma inserito nel corpo stesso della Costituzione, in quell'articolo 68, poi modificato attraverso la legge costituzionale n. 3 del 1993.
Ebbene, che cosa è cambiato perché oggi si debba inopinatamente mutare registro e intraprendere la strada della legislazione ordinaria? C'è una sola risposta logica e plausibile: l'urgenza di proteggere qualcuno, attraverso l'introduzione di uno scudo modellato ad hoc.
Attenzione, però, perché l'urgenza non è una buona consigliera in materie così delicate e potrebbe anche rivolgersi come un boomerang contro chi vi fa ricorso, essendo praticamente scontato che la norma, non appena introdotta, sarà oggetto di impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale. Non oso pensare a quale scenario si aprirebbe se la Corte, una volta adita, dovesse emanare una sentenza di accoglimento.
Inoltre, in questi giorni abbiamo sentito evocare a più riprese gli esempi di legislazione di altri Paesi che prevedrebbero discipline consimili. Ebbene, non è vero! Vi sono solo le Costituzioni di Grecia, Portogallo, Israele e Francia (lo ripeto: le Costituzioni), che prevedono immunità temporanee per reati comuni, ma sempre e solo con riferimento alla figura del Capo dello Stato.
Che cosa ha di diverso il nostro Paese per andare in tutt'altra direzione? Si dice che vi è da tempo un rapporto patologico tra giustizia e politica. Ebbene, se così è, si abbia il coraggio di affrontare la questione alla radice, ridisegnando con nettezza i reciproci perimetri di azione, ma non si inizi dalla fine, sottraendo qualcuno al suo giudice naturale.
D'altronde, sul filo dello stesso ragionamento, se si teme che vi sia una parte della magistratura desiderosa di capovolgere, attraverso la via giudiziaria, gli equilibri politici sanciti dalle urne, cosa c'entrano con questo i Presidenti di Assemblea? Non c'è anche qui un forte sospetto di violazione del principio costituzionale di eguaglianza rispetto a tutti gli altri componenti il collegio? Insomma, signor Presidente, è un gran pasticcio, con un unico obiettivo, su cui non mi attardo a ritornare.
Concludo, rivolgendo all'Aula, ancorché quasi vuota, il medesimo invito che ho indirizzato ai componenti delle Commissioni riunite. Colleghi, possiamo anche intervenire per coprire le responsabilità del Premier o di chi per lui, ma quello che non possiamo permetterci, per rispetto all'istituzione di cui siamo parte e per il rispetto che dobbiamo anzitutto a noi stessi, è di farlo in violazione dei principi costituzionali, su cui si regge il nostro ordinamento e la nostra stessa convivenza civile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà, per quindici minuti.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, anche in questo dibattito - come nei tanti altri che si sono svolti in questa Aula, da ormai oltre un quindicennio, in cui sono stati trattati argomenti che in qualche modo afferiscono al rapporto tra politica e magistratura - si finisce per trovare toniPag. 58alcune volte esagitati, che non sono giusti o, comunque, certamente non utili per la risoluzione di un problema.
L'impressione è che, a volte, ciascuna parte politica, per proprio interesse, finisca per vestire la maschera che è abituata a indossare, più per piacere al proprio pubblico che per dire quello che realmente pensa. Troppe volte, le discussioni tra colleghi, discussioni in sedi più informali, hanno contenuti molto diversi da quanto si dice in questa Aula.
Abbiamo avuto sinora, e lo abbiamo visto nella discussione, interventi di ben diversa natura. Al di là del giudizio su ciascun intervento, siamo passati attraverso toni e interventi piuttosto spiacevoli come quelli che sono stati utilizzati, ad esempio, nei confronti del Ministro Alfano a cui non è stato dato atto di un fatto: non ricordo, a memoria, un Ministro presente in un dibattito in un'Aula semivuota che ascolta tutti (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania); dovrebbe essere la normalità ma non lo è stata in questi anni.
Vi sono stati interventi abbastanza offensivi anche all'indirizzo dello stesso Presidente della Repubblica. Lasciamo ai propri compiti la Presidenza della Repubblica ed evitiamo di spiegare qui quello che deve fare - non dovrebbe, ma deve fare - se non vuole avere la scomunica non tanto dell'Assemblea ma della piazza come, è avvenuto ieri. Il giacobinismo anche di quest'Aula e i toni esagerati, portano, infatti, a manifestazioni come quella di ieri, dove gli stessi organizzatori devono salire su un palco a sconfessare la piazza. Non sono scene belle da vedersi da parte di una politica ormai matura.
Vi sono stati, però, interventi importanti, alti, anche da parte della stessa opposizione. Non voglio far torto a nessuno, ma credo che interventi come quelli dell'onorevole Tassone o il pudore con cui ha trattato la materia l'onorevole Mannino, allorché ha rammentato con estremo stile vecchie vicende personali, dovrebbero farci riflettere.
Dobbiamo discutere di questo provvedimento, ma qualcuno nel dibattito ha riecheggiato anche precedenti questioni. Se mi consentite, vorrei leggere una dichiarazione che risale al 12 novembre 1993; si direbbe giornalisticamente, che stiamo parlando di un'altra Repubblica, mentre i tempi sembrano gli stessi. L'agenzia Ansa pubblicava la dichiarazione dell'allora procuratore di Roma, Vittorio Mele, in cui lo stesso procuratore precisava che, su una nota indagine relativa ai cosiddetti fondi neri del SISDE non compariva nell'atto di invio del fascicolo al tribunale dei ministri il nome del Presidente della Repubblica in quanto nei suoi confronti non esiste la possibilità, per disposizioni costituzionali, di avviare un'indagine.
Ovviamente non ci interessa commentare quella scelta così come è stato fatto dalla dottrina, dalla giurisprudenza e da vari opinionisti, ma vi è un dato da rilevare: l'esigenza in cui si è trovata allora la procura della Repubblica, purtroppo ancora esiste nel Paese e si tratta della possibilità di mettere in gioco, come accadeva nel 1993, in momento in cui tutto sembrava andare nel baratro, anche la Presidenza della Repubblica. Sappiamo come è andata a finire quella vicenda, ma da quindici anni non si può continuare solo ad affermare «io non ci sto». Qualcuno deve prendersi la responsabilità di assumere delle decisioni.
Tornando al punto, allo scoglio che divide la politica e la magistratura, il collega che mi ha proceduto dichiarava di voler capire come si risolvono i problemi. Io vorrei capire, invece, come il Partito Democratico decide di risolvere il problema tra politica e magistratura.
Ho ascoltato, nell'arco di questi quindici anni, un passaggio lento da posizioni estremamente giustizialiste, con poche voci dissonanti, a posizioni che avevano sempre più voci che condividevano l'analisi di una ferita della democrazia di questo Paese. Da tutto questo dibattito, che rimane ancora all'interno di un partito, non abbiamo visto tracce in Parlamento. Ancora ascoltiamo soltanto frasi come: «non va bene nel merito, non va bene il metodo, saremmo d'accordo sul principio, ma...».Pag. 59Vedete, non mi aspetto un grosso contributo al dialogo su questi temi da partiti che, legittimamente, hanno scelto un'altra strada.
Hanno scelto sostanzialmente di rappresentare qui delle istanze, se volete diverse, ma in qualche modo rappresentative di una parte di una magistratura che vorrebbe avanzare e che ha sempre ragione in questo Parlamento, ma dal partito più importante dell'opposizione mi aspetto una parola chiara, che non è arrivata, e una proposta chiara, messa sulla carta. È questa la sfida che mi auguro sia raccolta in questo dibattito. Non si può dire: siamo d'accordo sul principio del lodo. Il collega afferma «non lo diciamo», ma lo hanno affermato autorevoli esponenti del PD: siamo d'accordo sulla sospensione dei processi nei confronti delle alte cariche dello Stato come principio democratico, ma la vogliamo realizzare attraverso una norma costituzionale - oppure - lo vogliamo fare nella prossima legislatura - oppure - lo vogliamo fare quando probabilmente alcuni giornali non ci staranno addosso, e quando probabilmente anche alcune componenti del nostro partito decideranno di offrire argomenti diversi su questo tema.
Almeno qui - colleghi - cerchiamo di non ripararci dietro la tecnica e gli artifici, e parliamo di politica, almeno in questa sede. All'interno del dibattito la voce è distonica. Abbiamo sentito due voci da parte del Partito Democratico: una voce ricorda tempi andati, con la quale si negava l'esistenza del problema del rapporto tra politica e magistratura, e con la quale si negava che ci potesse essere una discussione, e si parlava addirittura di violazione palese dell'articolo 3 in generale, perché le alte cariche o chi svolge una certa funzione doveva essere parificato a tutti i cittadini. Poi abbiamo sentito un'altra voce, con la quale si riconoscevano dei problemi, e la stessa esprimeva - scusate se lo dico in gergo e tra virgolette - un «vorrei ma non posso»: capiamo e condividiamo il problema, ma forse se lo facessimo nella prossima legislatura nessuno ci accuserebbe di dialogare troppo con l'attuale maggioranza; siamo d'accordo sul principio ma se lo facciamo dalla prossima legislatura nessuno in piazza ci potrebbe dire che stiamo aiutando l'attuale Presidente del Consiglio: siamo d'accordo sul principio, siamo d'accordo su alcune cose, ma vi sono alcune virgole che non vanno bene, però condividiamo l'esigenza di risolvere il problema.
Allora, data questa premessa politica, per non sottrarci anche al dato tecnico, mi riferisco ad un aspetto. Abbiamo sentito vari colleghi dire che serve una riforma costituzionale per questa materia. Chiaramente non abbiamo la controprova, ma probabilmente se avessimo presentato un progetto di riforma costituzionale ci sarebbe stato detto che non si può discutere soltanto della sospensione dei processi alle alte cariche ma bisogna discutere di altro, o poi di altro ancora, per non assumere mai una decisione. Oggi assumiamo delle decisioni serie, ma questo punto determinante, da spiegare anche a coloro i quali ci ascoltano al di fuori di questa Aula, ovverosia il problema della scelta tra un disegno di legge costituzionale e un disegno di legge ordinaria, è stato già definito e lo ha fatto la Corte Costituzionale. Infatti tale Corte, esaminando la legge, che poi è stata dichiarata incostituzionale, il cosiddetto lodo Schifani per adottare una terminologia in uso, ha affermato che era assolutamente costituzionale utilizzare la legge ordinaria, perché non si tratta di immunità bensì di condizione sospensiva del processo. Non siamo noi a dire queste cose ma una sentenza della Corte.
Abbiamo anche ascoltato alcuni colleghi dire di non condividere quella sentenza, oppure che vi sono altri costituzionalisti che la pensano in modo diverso. Ma colleghi, almeno su questo punto, cerchiamo di essere chiari. Il dato oggettivo è una sentenza. Leggiamola e commentiamola pure, ma il dato oggettivo è quello. Non possiamo presupporre il pregiudizio che nella sentenza, in fondo, la Corte ha sbagliato perché non vi era stato abbastanza coraggio. Lo strumento ordinario è uno strumento puramente legittimo. Credo che, proprio perché questo provvedimentoPag. 60viene esaminato quasi all'inizio della legislatura, non è utile e non serve nascondersi dietro un dito, argomentando sul tipo di strumento. Parliamo del contenuto. Va bene o non va bene? Occorre una parola chiara. È necessario prevedere questo? Possiamo difendere almeno le alte cariche dello Stato da quella che potrebbe essere un'influenza, al di là della patologia, anche a regime?
Lo possiamo fare o no? Altri colleghi hanno detto che sì, è vero, ma stiamo manomettendo la Costituzione. Colleghi, se la Costituzione va difesa per intero o, comunque, se riteniamo che quell'architrave, quell'architettura costruita era perfetta, in essa, costruita sulla base di un bilanciamento di poteri, era presente una norma centrale determinata dall'articolo 68 che costituiva, appunto, quel bilanciamento. Noi oggi discutiamo di un assetto di poteri che, con una legge forse frettolosa, è stato profondamente mutato. Non è più quello dei costituenti. Dovremmo discutere di altro ma, per il momento, dateci una risposta su questo punto. Aggiungo che le argomentazioni della Corte costituzionale, quindi, non noti costituzionalisti a noi vicini o la mente di alcuni deputati, dal momento che non ci arrischiamo a commentare la Costituzione, ma la sentenza della Corte costituzionale afferma che le alte cariche dello Stato, per propria prerogativa e funzione, sono sottoposte ad una differenza di ruolo che giustifica un trattamento differenziato, di fronte alla giurisdizione, rispetto agli altri cittadini.
Almeno questo punto è chiaro: l'articolo 3 della Costituzione, che recita che siamo tutti uguali di fronte alla legge, non afferma: «tutti con lo stesso trattamento indipendentemente da chi siamo», ma obbliga a trattare in maniera uguale situazioni uguali e in maniera diseguale situazioni diseguali. Così l'articolo 3 e non un malinteso giacobinismo per il quale è stato annullato tutto il sistema. Infatti, a questo proposito, non stiamo parlando o non dovremmo parlare, almeno esclusivamente, di persone ma anche di funzioni. Questa è la sfida di domani.
In conclusione, sperando di non avervi tediato troppo, mi auguro che almeno si utilizzi quest'occasione nel confronto e nello scontro delle idee ma la si utilizzi per chiarirci le idee e perché, forse, tra qualche mese in un dibattito sulla giustizia, possiamo discutere di proposte operative ma sgombrando il campo e riconoscendo che in questo Paese esiste un problema di democrazia, di rapporti squilibrati, un problema istituzionale che dobbiamo risolvere.
Non è un atteggiamento rivolto contro qualcuno, non è contro i magistrati o contro una parte di magistrati ma è dovuto al fatto che il sistema così non funziona, perché i poteri non sono ben equilibrati tra loro. Di questo dobbiamo parlare, almeno me lo auguro sperando di non essere sconfessata e che, anzi, pur nella dialettica naturale tra maggioranza e opposizione, negli interventi almeno questo dato emerga in maniera chiara (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio qui ripetere solo per un attimo, come ho già fatto in Commissione, lo stralcio di un famoso discorso pronunciato qualche anno fa ad Atene. «Qui ad Atene» - diceva un famoso statista - «noi facciamo così: il nostro Governo favorisce i molti invece dei pochi, per questo è detto democrazia. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private ma, in nessun caso, si avvale delle pubbliche cariche per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così». Queste parole, come ho già detto, furono pronunciate da Pericle nel lontano 461 avanti Cristo in un celebre discorso agli Ateniesi. Vedete, in poche parole, il celebre statista greco è riuscito con incredibile preveggenza a disegnare la situazione politica che stiamo vivendo in Italia da quando il Presidente Berlusconi e il centrodestra sono tornati a guidare ilPag. 61Paese, dopo una campagna elettorale trascorsa a disegnare scenari rassicuranti per i cittadini, che sarebbero stati posti al centro delle attenzioni del Governo per risolvere, una ad uno, tutti i problemi che affliggevano il Paese.
Ma, sino ad oggi, i problemi, che si stanno risolvendo sono soltanto quelli di pochi eletti o, più semplicemente, quelli del Presidente del Consiglio, tornato a gestire la cosa pubblica nel suo esclusivo interesse al fine di sistemare le sue faccende private. Questo spiega perché, di fronte a milioni di famiglie italiane che stentano ad arrivare ormai anche alla terza settimana del mese, di fronte a salari inadeguati, all'inflazione galoppante, ai costi insostenibili delle case, le priorità del Governo sono state nell'ordine: il decreto-legge «salva Retequattro», il minacciato decreto-legge contro le intercettazioni, il decreto-legge sulla sicurezza e l'odioso attuale disegno di legge per garantire l'immunità processuale alle alte cariche dello Stato, ovvero a Berlusconi.
Ciò che conta ormai è solo il parere dei suoi avvocati, i quali sanno bene che per il loro facoltoso cliente è meglio evitare un processo per corruzione, così com'è stato consigliabile in passato depenalizzare il reato di falso in bilancio, per trasformare da illegale a trasparente la gestione amministrativa delle reti Mediaset. Se oggi Pericle fosse tra noi, sarebbe davvero arduo spiegargli che ci troviamo in una democrazia e che al Premier di questa democrazia piace fare così. Ma signor Presidente, veniamo al cuore del provvedimento in questione: un articolo unico, otto semplici commi, che da soli sono sufficienti a sconquassare il nostro complesso e tutt'oggi valido e prezioso sistema costituzionale.
Soltanto col provvedimento in esame quegli equilibri fra gli organi costituzionali, che da sempre hanno costituito la garanzia certa per il corretto funzionamento del nostro sistema democratico, saltano. Prendiamo ad esempio il comma 7, ovvero la retroattiva immunità: questa è una vera perla. Il Governo ormai ha abbandonato quel velo di pudore che aveva utilizzato per coprire la vergogna della «bloccaprocessi» - provvedimento che avrebbe bloccato centomila processi per salvarne uno - rinunciando allo strumento del decreto-legge ed optando, non senza una malcelata fatica, per il disegno di legge.
Il Governo ha fretta, è evidente che ha una fretta spasmodica, e con frettolosa puntigliosità il Ministro, in un telegramma di 274 parole - signor Ministro, 274 parole -, precisa, con quel comma 7, che le quattro più alte cariche della Repubblica non solo saranno immuni, ma lo saranno da ancor prima che la norma entri in vigore. Siamo in presenza dell'esatta identificazione del beneficiario. Se vi fosse ancora qualche dubbio, con il comma 7 diventa chiarissimo che l'unico beneficiario è l'onorevole Presidente del Consiglio. Senza volerlo, con il comma 7 il Ministro Alfano mette il dito sulla piaga. Già, perché al di là di tutto, il problema nasce a monte, e cioè sta nell'avere eletto un plurindagato Presidente del Consiglio: qui è il vero problema.
Senza questo irrilevante particolare, al Ministro Alfano - e il signor Ministro dovrebbe avere almeno la correttezza di confessarlo - il disegno di legge in esame non sarebbe mai venuto in mente. Allora, con coraggio qui evidentemente ci dovrebbe dire se senza l'elezione del Presidente del Consiglio lei sarebbe venuto qui a presentare il disegno di legge in esame.
Non si tratta, come si vede, di proteggere strumentalmente, in armonia con i principi fondamentali del diritto, l'assetto dello Stato, la continuità e la regolarità del suo operato, come indicato dalla Corte costituzionale nella sentenza che ha bloccato il lodo Schifani, ma esclusivamente gli interessi del Capo del Governo. E la retroattività, a questo punto, non è affatto funzionale al dichiarato spirito della norma, ma necessaria e contingente, e in aperta violazione all'articolo 3 della Costituzione, secondo cui tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.
Concludo, signor Presidente: dunque, denuncio la disinvoltura di un disegno di legge di 274 parole, che prima scavalca ilPag. 62limite dei reati funzionali, poi estende questo limite anche nel tempo. Vorrei solo citare, in trenta secondi, se mi è concesso, signor Presidente, il fatto degli Stati Uniti d'America: nel caso Watergate i reati contestati al Presidente degli Stati Uniti, l'uomo più potente del mondo, risalivano a prima della sua elezione. Erano reati contro la democrazia, commessi attraverso l'abuso di intercettazioni. Il comma 7 avrebbe sanato anche il Watergate, perché sospende anche i reati eventualmente commessi in campagna elettorali, compresi eventuali brogli.
Concludo, onorevole Presidente, riferendomi al Presidente Fini, non ovviamente a lei. Se veramente il Presidente Fini avesse a cuore le sorti della democrazia e la salvaguardia del nostro sistema costituzionale, con l'autorevolezza che gli deriva dal ruolo che ha l'onore di ricoprire, gli chiedevo e gli chiedo ancora per interposta persona: intervenga sul Governo, tenti di impedire questo sfregio alla Costituzione e questo danno al democrazia, questa offesa al Parlamento e questa umiliazione al nostro Paese, al cospetto del mondo civile. Ci riprovi almeno, signor Presidente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bianconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BIANCONI. Signor Presidente, Ministro, colleghi, è vero, esiste un problema di fondo ed è un problema di fondo e di sistema che, tuttavia, colleghi, non consiste nella sin troppo discussa questione personale in sé e per sé, e non consiste neppure in tutta quella serie di questioni importanti in materia giuridica e costituzionale di cui abbiamo parlato e ascoltato in Commissione.
Il problema di fondo consiste nel fatto che ci troviamo di fronte ad un problema di democrazia. E non è un problema di democrazia che possa aspettare discussioni infinite, che possa trovare la sua soluzione in un contesto avulso da valutazioni temporali. È un problema di democrazia che si pone qui e subito e che, qui e subito, deve avere una soluzione. Esso richiede una soluzione hic et immediate, non perché il fato o il destino cinico e baro - come diceva un vecchio deputato - o qualche diverso accidente imputabile alla politica in sé abbia fatto sì che questo problema di democrazia diventasse così concreto e pressante. Il problema di democrazia è così concreto e pressante perché un fatto, un fattore che per sua natura dovrebbe essere esogeno, esterno ed extrapolitico, è diventato, per precisa scelta operativa di qualcuno, endogeno, interno ed invasivo. E questo fatto - che poi, come tutti sanno, è un processo - è diventato endogeno, interno ed invasivo in quanto è il frutto di un esercizio della funzione giurisdizionale praticata secondo un metodo, o meglio secondo un'interpretazione che voglio definire, nel modo meno polemico possibile, quantomeno singolare. Infatti, ripartendo da un principio, o meglio da una precisa impostazione culturale, si è proceduto secondo un preciso percorso ad personam sicuramente non casuale. Non siamo qui al «pensar male si fa peccato, ma ci si indovina»; siamo - tanto per venire a percorsi più noti e più cari ad altri - ad una serie di fatti e comportamenti univoci, precisi e concordanti, i quali non possono lasciare dubbi sulle reali intenzioni di questo percorso.
Abbiamo diversi elementi. I lunghi anni in cui costantemente questo percorso si è riprodotto, la reiterazione continuata del comportamento, i numeri impressionanti che segnano questo percorso ad personam: su settemila-ottomila magistrati in servizio, mille magistrati si sono occupati di questa persona; il numero dei precedenti iniziati è enorme; il numero delle udienze, dei processi, delle assoluzioni e dei proscioglimenti è da primato mondiale. È difficile, se non impossibile, pensare che tutto questo continuo e costante lavorio sia mosso da una puntuale ansia di esercitare la giustizia e di applicare la legge. È più normale pensare e convincersi, in base ai fatti oggettivi, che questo percorso ad personam sia piuttosto l'applicazione pratica di una cultura secondo la quale l'esercizio della funzione giurisdizionale è, o può essere, un sistema di correzione degliPag. 63effetti dei risultati elettorali democraticamente conseguiti, ma ritenuti sbagliati o dannosi. Si tratta di una cultura, per la quale la giustizia è per definizione sovraordinata: gerarchicamente essa ha tutto, è regina, è strumento correttore e calmieratore della democrazia, dei suoi valori e delle sue scelte, è sovrana in politica più del popolo, dei cittadini e dei risultati elettorali.
Dunque, il problema di democrazia è concreto ed immanente. Il quesito non è, colleghi, se sia giusto o no processare il Premier, il quesito è se sia giusto o no determinare il destino della vita democratica, condizionare l'efficacia dei risultati elettorali, far fuori uomini, scelte politiche, Governi, credibilità interna ed esterna delle istituzioni utilizzando la leva giurisdizionale. Non è quindi tanto questione tecnica o tecnico-giuridica, come par di capire da quanti si sono attardati a discutere di tutto questo. Non è lecito far finta che tutto questo non sia, né è lecito ripararsi fittiziamente dietro l'usbergo della «dura lex, sed lex», strumentalmente applicata nel fare le vergini stupefatte che non sapevano dov'erano e cosa facevano! È doveroso, dunque, risolvere il problema di democrazia qui e immediatamente.
È nostro dovere consentire alla volontà popolare di governare il Paese nella serenità, che non è un elemento bucolico, non è che stiamo cogliendo fiori nei prati! La serenità è un dato costituzionale. È la Corte costituzionale ad affermare che chi esercita una determinata funzione deve poterlo fare con la dovuta serenità, e non con la spada di Damocle di centinaia di processi per quindici anni, pretendendo poi la serenità di sottoporsi a giudizi persecutori che seguono un filone culturale. Come la Corte costituzionale ci insegna, occorre avere la serenità necessaria per il corretto espletamento del mandato, serenità che è dovuta a chi vinse, fece promesse e intende applicare un programma politico esposto chiaramente agli italiani.
È una buona soluzione, un'ottima soluzione, è una brutta o una pessima soluzione quella che va sotto il nome di «lodo Alfano»? Lo vedremo. Se ne potevano trovare di migliori o di peggiori, non sto qui a compiere una tale analisi, ma è una soluzione che è stata ricercata anche nell'interesse di un sistema democratico che oggi paga una cambiale antica, una cambiale che va sempre allo sportello, nonostante sia scaduta: è la cambiale di quando si cambiò lo stato delle cose ed ebbe inizio la seconda Repubblica, quando, anziché farlo con un voto popolare, come la democrazia richiedeva, ricorremmo alla scorciatoia delle manette e dei mandati di cattura (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capano, per sette minuti. Ne ha facoltà.

CINZIA CAPANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei partire dal dato del diritto alla serenità. Non credo che nella nostra Costituzione esista un tale diritto, è in quella americana che si pensa ad un diritto alla felicità. La serenità in Italia viene costituita da un sistema di contrappesi previsto dalla Costituzione e il diritto alla serenità non è assolutamente scritto nella citata sentenza della Corte costituzionale.
La mia sensazione, che deriva sia della relazione, sia dai molti interventi che si sono succeduti, è quella che, in realtà, il senso della sentenza della Corte, ma anche il dato letterale, sia stato più volte travisato. Si ritiene che su tutte le questioni che presentava il «lodo Schifani» e che sono riproposte oggi nel provvedimento al nostro esame, su tutte le questioni sulle quali la Corte non ha pronunziato nulla essa si sia voluta sostanzialmente pronunziare favorevolmente, come se esistesse nell'ordinamento giuridico italiano una specie di silenzio-assenso della Corte costituzionale. Questo mi pare un elemento del tutto infondato nel nostro ordinamento giuridico, perché la Corte, in realtà, si pronunzia sul primo profilo di costituzionalità, quello che riguarda l'articolo 3, e su tutti gli altri profili dichiara esplicitamentePag. 64che restano assorbiti, pertanto non si pronunzia perché non può farlo.
Occorre chiarire quali sono problemi che abbiamo davanti, ed essi sono sostanzialmente due: uno riguarda la necessità di intervenire con una norma costituzionale, e non con una legge ordinaria come si pretende di fare; l'altro riguarda il contenuto di tale norma, affinché possa essere costituzionalmente legittima. Sul primo aspetto sono già intervenuti i colleghi, in particolare l'onorevole Zaccaria e l'onorevole Tabacci, io vorrei aggiungere un elemento. Le norme al nostro esame modificano l'impianto della disciplina delle immunità politiche contemplate dalla nostra Costituzione, perché tutte, nonostante i diversi destinatari, condividono un principio generale: l'immunità è volta a tutelare l'autonomia di un organo, non già la persona. Per tale motivo, essa si riferisce ai reati compiuti nell'esercizio delle funzioni.
Con questa norma, invece, non solo modifichiamo quell'impianto costituzionale, ma eliminiamo proprio questo principio generale di tutela dell'organo, sostituendolo con la tutela della persona, qualunque sia quella persona. Questa apparentemente semplice modifica ci sposta dal terreno delle prerogative di un'istituzione a quello del privilegio di una persona; questo è un dato incontestabile. Questo privilegio può davvero essere considerato compatibile con il nostro ordinamento solo perché riporterebbe un clima di serenità (esigenza che, secondo tanti interventi e la stessa relazione, sarebbe stata avvertita dalla stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 24 del 2004)?
Non è così, perché, quando parla della serenità, la Corte lo fa indicando il valore che nel «lodo Schifani» si assume come prevalente, ma a quel valore affianca, o forse, direi meglio, oppone, un altro valore, che così testualmente definisce: il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, che sta alle origini della formazione dello Stato di diritto e che nel nostro ordinamento, sotto più profili, è regolato da precetti costituzionali.
Sul problema della diversa parità rispetto alla giurisdizione, la Corte afferma esplicitamente la violazione dell'articolo 3, perché, per la prima volta, si distinguono, sotto il profilo della parità riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti. Questo provvedimento ripropone testualmente tale dato, che è già stato esplicitamente dichiarato incostituzionale dalla Corte, con la sentenza n. 24 del 2004.
È evidente, quindi, che ci troviamo - e concludo - davanti a un paradosso: o facciamo nascere una legge che già porta dentro, incorporata, questa sanzione di illegittimità, o, per renderla, paradossalmente, compatibile con l'articolo 3, dovremmo estendere la sospensione dei processi a tutti i parlamentari. Dovremmo aggiungere un elemento a quella che viene comunemente definita la «casta». Il segnale che mandiamo arriverà a quella piazza di ieri, a quei brutti toni, ma anche a quel tentativo di sultanato di cui oggi, sul Corriere della Sera, ci ha parlato Pizzorusso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cuperlo. Ne ha facoltà, per sette minuti.

GIOVANNI CUPERLO. Signor Presidente, esattamente 48 ore fa ci siamo trovati davanti ad una novità rilevante sotto il profilo del metodo, ma anche ad una continuità sostanziale sotto il profilo del merito. Naturalmente, giudichiamo come un successo del buonsenso, e in parte anche dell'opposizione, la scelta di congelare la norma «bloccaprocessi», ma questo non esaurisce il tema che quella norma aveva ispirato e vorrei provare, in questi minuti, a dirne la ragione.
Dopo che per settimane la maggioranza ha motivato l'urgenza di quella norma per un contrasto adeguato dell'emergenza sicurezza, si è prodotto un cambio di scenario improvviso, anche se, forse, non imprevisto: via quella norma, derubricata in poche ore da soluzione principale aPag. 65subordinata, e, al suo posto, l'accelerazione del «lodo» che stiamo discutendo oggi in quest'Aula.
Rimane la sostanza, e cioè che il Parlamento è stato chiamato a discutere in successione due provvedimenti che rispondono, con procedure diverse, all'esclusivo venire in campo di un'emergenza personale che ha come protagonista il capo del Governo. Cambiano in corso d'opera i provvedimenti: prima un decreto-legge sulla sicurezza, nel quale surrettiziamente è stato inserito l'emendamento sulla sospensione dei processi, e ora il «lodo» sulle alte cariche dello Stato. Ma la sostanza, viene da dire, è la stessa: il Presidente del Consiglio ha un problema; di conseguenza, il Governo ha un problema e la sua maggioranza parlamentare ha un problema. Insomma, avete un problema.
Ma il Parlamento, e soprattutto il Paese, non hanno lo stesso problema: ne hanno altri, e radicalmente diversi. Hanno il problema di una giustizia che non funziona per tutti i cittadini normali, quelli senza potere: come ha detto il Presidente della Cassazione, se lo Stato italiano dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi non basterebbero tre leggi finanziarie. Questo è il problema della giustizia: quattro milioni e mezzo di procedimenti civili e cinque milioni di fascicoli penali arretrati; senza dire dell'impatto che ha una geografia giudiziaria profondamente diseguale: 500 giorni per una sentenza di primo grado a Trento, il triplo a Messina.
Ecco di cosa dovrebbero occuparsi il Governo e il Parlamento: dei mali antichi e profondi della giustizia italiana. Non del modo per risolvere il contenzioso di un solo cittadino, anche se si tratta del più potente tra tutti i cittadini. E però è proprio questo atteggiamento che noi abbiamo contestato, perché lo consideriamo lesivo del principio dell'uguaglianza delle persone, dei cittadini dinanzi alla legge, ma soprattutto perché lo riteniamo sbagliato sotto il profilo dell'impatto che una percezione di irresponsabilità del potere è destinato ad avere su un Paese già prostrato da una crisi di fiducia verso i luoghi della decisione e del potere.
Non saremmo sinceri se negassimo prima di tutto a noi stessi la crisi di autorevolezza che la politica nel suo insieme soffre oggi nel nostro Paese. Nel suo insieme: quelli che stanno da quella parte dell'Aula e quelli che stanno da questa parte dell'Aula. Per molte ragioni, che non posso neppure accennare, ma che mettono a ciascuno di noi, parlamentari dell'opposizione e della maggioranza, dinanzi a una responsabilità in più, che è questa: come contrastare questo sentimento, come invertire quella percezione di distacco, di irresponsabilità appunto delle classi dirigenti, e di una loro componente specifica, che è la classe politica, cioè noi. Ma proprio da questo punto di vista è apparsa grave la scelta di utilizzare ogni vagone utile pur di arrivare alla stazione finale: c'era un obiettivo da raggiungere, e per farlo andava bene manomettere la struttura della giustizia. Poi, anche di fronte alle reazioni che quella soluzione ha indotto, la decisione di cambiare tattica e di accelerare la norma che oggi discutiamo. Insomma, il messaggio che giunge al Paese è chiaro: chiediamo al Parlamento una norma che ci serve, e che ci serve subito, in un modo o nell'altro. Noi rispondiamo che nel contesto che si è venuto a determinare per volontà della maggioranza, entrambe le soluzioni, quella di prima e quella di adesso, non vanno bene: ci paiono sbagliate, perché in entrambi i casi le modalità e le finalità che le ispirano poco hanno a che vedere con l'affermazione di un principio, mentre molto hanno a che vedere con l'incalzare di uno specifico atto giudiziario, scomodo certo, e magari sgradevole ma in democrazia legittimo.
Concludo il mio intervento. Dico tutto questo consapevole della mia posizione di parte, ma lo dico anche con il rispetto dovuto a quest'Aula e con grande rispetto verso i colleghi della maggioranza: noi tutti compiremmo un errore drammatico se non vedessimo il pericolo di uno strappo ancora più grave di quello che giàPag. 66esiste tra una parte larga dell'opinione pubblica e la dimensione della rappresentanza politica e istituzionale. E sbaglieremmo, sbagliereste ad accettare l'idea di una corsia preferenziale per alcuni, mentre si fa più acuta la percezione di una sfiducia motivata nei confronti della classe dirigente tutta. Per parte nostra non abbiamo dubbi che sia doveroso anteporre l'interesse dei cittadini a quelli di parte, e per questo la nostra posizione sarà ferma, pacata ma coerente. Lo faremo per rispetto del Parlamento e per quel senso di responsabilità verso il Paese che dovrebbe ispirare sempre l'azione dei legislatori, indipendentemente dai banchi dove si trovano a sedere.
Per questo a voi colleghi della maggioranza mi permetto di dire, con grande rispetto: ripensateci!

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIOVANNI CUPERLO. Ho concluso. Se potete, ripensate al passo che state per compiere. Se davvero, come dite, avete a cuore il principio che scegliete di affermare siate coerenti e noi lo apprezzeremo. Dubito che accadrà, ma sarebbe una scelta saggia, condotta anche nel vostro interesse, perché le elezioni si possono vincere o perdere; voi le avete vinte, noi le abbiamo perse, ma la qualità della democrazia non dovrebbe mai dipendere dai voti che si sono raccolti: dovrebbe venire prima di ogni altro interesse.
Sarebbe giusto poter dire che sulla difesa di questo principio fra di noi non vi sono differenze. Ma ho detto sarebbe, ed è un condizionale che è d'obbligo in questi tempi. L'unica certezza è che, infine, come sempre, a giudicarci e a giudicarvi sarà il Paese: e ognuno, come è giusto che sia, risponderà delle proprie scelte (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Papa. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

ALFONSO PAPA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il dibattito cui abbiamo partecipato in questi giorni - che si è contraddistinto per il vero per imprecisioni, riferimenti impropri e collegamenti strumentali - ci riporta necessariamente alla pronuncia della Corte costituzionale del 2004, molti aspetti della quale evidentemente non si è saputo o non si è voluto mettere in chiaro. Nel 2004, la Corte costituzionale, evidenziando la valenza costituzionale - per la verità pacifica, poiché contenuta fin dalle origini della Costituzione - di una tutela delle posizioni di maggiore rilievo legate al mandato parlamentare e rappresentativo, evidenziava come tale tutela dovesse essere legata alla durata del mandato e dovesse rispettare comunque una serie di aspetti. Rispetto a quella statuizione, il provvedimento che ha formato oggetto di analisi in questi giorni potremmo dire che si pone in una linea di diretta consequenzialità. Chi infatti ha potuto o voluto leggere i contenuti di questo provvedimento ha potuto constatare che la sospensione viene calibrata in relazione alla durata politica del mandato rappresentativo; che i processi, ove esistenti, non vengono in alcun modo cancellati; che, con una deroga alle disposizioni generali, si prevede la permanenza delle posizioni del processo civile se legate a quello penale; che sono fatte salve le posizioni delle parti civili. Tutte queste sono scelte che partono - lo si capisce se si legge quella pronuncia - esattamente dai limiti e dalle richieste che all'epoca la Corte pose come necessari in eventuali provvedimenti normativi in materia.
La stessa posizione assunta all'epoca dal Presidente della Repubblica, e ribadita poi della Corte, confermava inoltre come il rango che veniva richiesto ad un tale provvedimento fosse pacificamente quello della legge primaria, che è quello che viene scelto in questa sede, di talché persone responsabili e di buona fede non potrebbero che rilevare oggi che questo provvedimento, di fatto, pone in esecuzione i precetti indicati dal Giudice costituzionale nel 2004.
Tutto ciò, purtroppo, si è manifestato nell'ambito di un dibattito a tratti sciatto, caratterizzato da interventi estranei a quest'AulaPag. 67e ricchi di volgarità, di invocazioni facilmente plebiscitarie ad una folla e ad una massa che, in certo senso, devo dire che da liberali ci spaventa. Ecco perché siamo oggi di fronte alla necessità - e potrei dire all'urgenza - di un provvedimento che viene oggi ad essere accolto da un clima polemico che cerca quasi di trascinare come una bandiera quell'indipendenza e quell'autonomia della magistratura rispetto alle quali in più occasioni - sono recenti gli interventi anche dell'Associazione nazionale magistrati - si è evidenziato come questo tema (che si collega a quello più generale dell'immunità) è conseguente e non contrapposto.
È per questo che noi oggi riteniamo che questo provvedimento sia necessario, e ricordiamo che esso diventa ancora più necessario dopo che un giudice, a Napoli, ha evidenziato l'assoluta illegittimità - per motivi di competenza territoriale - di un anno di indagini fatte all'epoca a carico del capo dell'opposizione, che oggi potrebbero travisarsi nei confronti del capo della maggioranza, del Presidente del Consiglio o di una qualunque altra carica istituzionale. È una regola di responsabilità e di rispetto della Costituzione, per la quale auspichiamo che questo Parlamento eviti di incorrere in altri equivoci (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossomando. Ne ha facoltà, per sette minuti.

ANNA ROSSOMANDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, vorrei concentrarmi su due aspetti per esprimere la contrarietà, mia e del Partito Democratico, alla norma del cosiddetto lodo Alfano. Il primo riguarda il perché fosse necessario intervenire con legge costituzionale, il secondo concerne invece il merito del provvedimento. Perché era necessario intervenire con legge costituzionale è già stato detto dai molti che mi hanno preceduto, ed il motivo deriva dal fatto che viene introdotta una norma che va a comprimere uno dei principi fondamentali - tra i tanti - della Costituzione, ossia il principio di uguaglianza, e che il bilanciamento di questi beni di rango costituzionale non può che avvenire attraverso una norma costituzionale.
È già stata menzionata la questione dell'omogeneità degli interventi, ed infine ricordo anch'io che non è corretto appellarsi al tenore della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004 sul «lodo Schifani», in quanto quella sentenza ha riaffermato - e oggi può essere interpretata in questo senso - che si potrebbe intervenire anche con una norma non costituzionale, ma rimanendo esattamente nell'alveo, nel sentiero e nei limiti che la Costituzione prevede.
Il secondo aspetto che mi interessa sottolineare è, però, un altro, e cioè che la procedura prevista per l'approvazione di una norma di rango costituzionale vede il Parlamento particolarmente coinvolto non solo per l'importanza della materia, ma anche per poter meglio meditare e soppesare, soprattutto attraverso un confronto ricco e un dibattito. Esprimendo la nostra contrarietà, intendiamo oggi riaffermare anche le prerogative del Parlamento, e quindi difendere tutto il Parlamento, e non soltanto le prerogative ed i diritti dell'opposizione.
Si è ritenuto non soltanto di procedere con una norma non costituzionale, ma addirittura contingentando i tempi ed impedendo quindi il confronto e il dibattito (un confronto ed un dibattito su questioni molto rilevanti che avrebbero sicuramente avuto il pregio di coinvolgere anche diverse opinioni della maggioranza, la cui importanza e pregevolezza mi è confermata dagli interventi che oggi ho ascoltato in Aula).
Più volte è stata invocata l'investitura popolare, di cui naturalmente non discutiamo assolutamente la legittimità, che addirittura coinvolgerebbe il merito e l'approvazione ab origine di questo tipo di provvedimento. Vorrei ricordare che quello stesso popolo - che noi preferiamo chiamare cittadini, non a caso - ha votato bocciando un referendum che appunto tendeva a comprimere e a sopprimere le prerogative del Parlamento, e che sopratPag. 68tutto avrebbe impresso una svolta autoritaria alla concezione delle istituzioni. Non bisogna confondere il consenso espresso con il voto alla persona o all'eletto con un consenso che svincola dal controllo di legalità. La seconda questione, che è già stata affrontata, riguarda la differenza tra prerogativa e privilegio.
Riteniamo che con questa norma siamo nell'ambito del privilegio, per l'indeterminatezza dei reati cui fa riferimento, per l'indeterminatezza dei tempi, per il mancato collegamento alla questione funzionale, ma soprattutto perché si fa riferimento ad un profilo soggettivo della carica, la semplice assunzione della carica. Per parlare con chiarezza ai cittadini e non correre il rischio di rimanere su un tecnicismo pur interessante, la differenza è che se stiamo ad una concezione che guarda il bene comune può essere affrontata e discussa un'immunità eventualmente condivisa quando è riferita ad una motivazione concernente il bene comune. Quindi, in questo caso è una prerogativa. Viceversa, quando si deborda e si scade sul privilegio, allora andiamo a tutelare una posizione soggettiva. Ma è soltanto il bene comune che può legittimare, con le dovute cautele, quella compressione del principio fondamentale di uguaglianza tutelato dalla nostra Costituzione.
Noto che avere evitato un dibattito più approfondito è stata una grave ferita, e ho rilevato negli interventi di alcuni esponenti della maggioranza un imbarazzo nell'affrontare questo tema che viene tradito proprio nel menzionare l'importanza - alla quale non ci sottraiamo - di un serio confronto sul rapporto tra politica e potere giudiziario (con buona pace dell'onorevole Brigandì, nella dottrina costituzionale della divisione dei poteri - ahimè - si chiama proprio «potere giudiziario»).

PRESIDENTE. Onorevole Rossomando, la prego di concludere.

ANNA ROSSOMANDO. Mi avvio alla conclusione. L'aver affrontato questo tema con questa velocità e con questa approssimazione e prepotenza tradisce una cultura secondo la quale chi assume il potere comanda e non deve, quindi, essere disturbato mentre esercita questo ruolo di comando.
Noi, invece, riteniamo di poterci appellare ad una democrazia liberale e, quindi, la differenza sta proprio tra una concezione della democrazia liberale e una concezione autoritaria del potere assolutamente populista. Quindi, con questa nostra contrarietà intendiamo difendere i poteri e le prerogative del Parlamento, che sono le colonne portanti del costituzionalismo democratico che è parte essenziale della storia repubblicana di questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sisto. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

FRANCESCO PAOLO SISTO. Signor Presidente, gentili ed illustri colleghi, credo che in questo dibattito non si è tenuto conto di un dato assolutamente fondamentale. Ci si è limitati a personalizzare, con una sorta di reductio ad unum, il significato di questo intervento, che vede una norma giuridica complessa affacciarsi nell'ambito del nostro ordinamento. Diceva bene il presidente Bongiorno, quando sosteneva che è un problema di metodo più che di merito. Sui problemi di merito dobbiamo confrontarci, chiedendoci se il flusso giuridico che motiva l'accesso a questa fattispecie sia fisiologico, ortodosso e corretto.
Prendo le mosse da quella che è stata, secondo me, una sorta di omissione, ovviamente colposa e involontaria, da parte di chi ha sostenuto, con scarsa conoscenza della sentenza della Corte costituzionale, che il bene giuridico «sereno svolgimento» sia non presente nella scelta della Consulta.
Leggerò soltanto il seguente passaggio della sentenza n. 24 del 2004 della Corte costituzionale: «La situazione cui si riconnette la sospensione disposta dalla norma censurata è costituita dalla coincidenza delle condizioni di imputato e di titolare diPag. 69una delle cinque più alte cariche dello Stato ed il bene che la misura in esame vuol tutelare deve essere ravvisato nell'assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche. Si tratta - udite udite - di un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale». Quindi, se questo dice la sentenza dalla Corte costituzionale, noi prendiamo le mosse da un passed - se vogliamo utilizzare questo termine - che dalla Consulta viene su un bene giuridico assolutamente presente nell'ordinamento e cristallizzato. Questa norma si adegua e adempie alle scelte della Corte costituzionale, eseguendole.
Verifichiamo il secondo passaggio, ossia se, partendo da un principio costituzionalmente e letteralmente protetto per specifica indicazione della Consulta, la tecnica normativa utilizzata, che è complessa, sia una tecnica ortodossa. La stessa Corte costituzionale chiarisce che garantire la serenità, senza neutralizzare i principi costituzionali che regolano il processo penale, può essere ben perseguito con la sospensione del processo, e nella seconda parte la sentenza della Corte ratifica che la sospensione utilizzata è del tutto conforme all'ordinamento. Inoltre, si introduce l'istituto della rinuncia, che è noto al diritto di difesa (si pensi, ad esempio, alla rinuncia alla prescrizione e alle cause estintive del reato). Siamo dunque di fronte ad atteggiamenti del tutto conformi, presenti e storicizzati nell'ambito del sistema. Ciò non sfuggirà all'attento lettore che abbia un minimo di dimestichezza con il diritto, che è indispensabile, perché non ci si può tuffare in osservazioni di tipo giuridico partendo da un presupposto di obliterazione dei profili giuridici che vanno considerati puntualmente, in una norma che è solida e storicamente strutturata secondo i principi del nostro ordinamento. Si pensi, ad esempio, all'assunzione delle prove non rinviabili con l'incidente probatorio, che esclude qualsivoglia intempestività o poca chiarezza sulla fase di applicazione, e all'articolo 467 del codice di procedura penale. Siamo perciò di fronte ad uno strumento complesso, articolato e flessibile, che può utilmente intervenire nel sistema.
Riguardo alla sospensione della prescrizione - sulla quale non mi soffermerò - osservo che questo impedisce di pensare che il congelamento possa essere influente; si tratta, infatti, di un congelamento ininfluente, noto anche questo al sistema, senza andare alle scelte di ciascuna procura. Soprattutto, il sistema che condivido e che mi piace è quello che favorisce gli interessi della parte civile: la deroga all'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale, i termini di cui all'articolo 163-bis del codice di procedura civile che vengono dimezzati, ma soprattutto la priorità di trattamento di questi processi.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCESCO PAOLO SISTO. Signor Presidente, le segnalo che questa priorità di trattamento la ritroveremo nel decreto-legge sulla sicurezza, ove si prevede di poter favorire i processi, ad esempio, che riguardano gli infortuni sul lavoro. La scelta del legislatore di dare prevalenza agli interessi delle persone offese è un altro leitmotiv del nostro sistema assolutamente prioritario. Dunque, questa è una giustizia che mira a dare serenità. A tal proposito, è singolare che si debba ricorrere alla categoria della serenità rispetto ad un fenomeno quale quello dell'attività giudiziaria, e vi invito a riflettere sul fatto che la Corte costituzionale ha ritenuto che tutelare la serenità delle più alte cariche dello Stato possa significare tutelarle dall'attività giudiziaria: che si rifletta su questo punto.
Si tratta, quindi, di una giustizia che è efficiente e coerente e credo, signor Presidente, perfettamente sovrapponibile a qualsiasi appartenente a qualsivoglia partito o forza politica che ricopra la più alta carica dello Stato. Noi dobbiamo avere il coraggio di astrarci, di leggere questa norma e di dirci che è perfettamente ePag. 70correttamente applicabile a qualunque tipo di scelta politica.
Credo che pertanto queste valutazioni di tipo giuridico, tecnico, ma soprattutto la matrice fortemente costituzionale di questa scelta, impediscano ogni tipo di digressione verso lidi che sono strumentali, direi ad effetto mediatico, ma che in quest'Aula, a mio avviso, non devono avere ospitalità (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pollastrini. Ne ha facoltà, per sette minuti.

BARBARA POLLASTRINI. Signora Presidente, colleghi e colleghe, intervengo in quest'Aula, a quest'ora tarda, con un sentimento di tristezza, ma non certo di rassegnazione. Vedo ripiombare questo Paese nella nebbia della sfiducia e del disincanto. Sono molte - voi lo sapete - le inquietudini e le preoccupazioni di tante persone perbene, che non reggono il peso economico della crisi e che si sentono umiliate nella dignità del proprio lavoro e dei propri diritti, ma voi, il Governo, con passo pesante e accelerato producete una torsione nei principi, nei valori e nell'interpretare la funzione stessa di una classe dirigente. Sto parlando di qualcosa che dovrebbe stare a cuore a tutti, tanto più quando siamo richiamati, costantemente, ad una realtà evidente, ad una domanda di riferimenti anche morali che urta, purtroppo, con la fragilità di élite - mi riferisco ad élite della politica, ma anche a quelle dell'economia, dell'informazione e della giustizia - incapaci di ispirare autorevolezza. Si tratta di qualcosa che per me viene prima della politica e degli schieramenti, perché investe il senso di responsabilità di ciascuno di noi.
La vicenda è conosciuta: avete sottoposto al Parlamento un disegno di legge che di fatto crea un'immunità, o meglio una condizione di impunità per le quattro più alte cariche dello Stato, con un provvedimento che non ha uguali in altre democrazie parlamentari. È una proposta che tocca il principio essenziale dell'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, che state impacchettando frettolosamente con l'umiliazione della funzione del Parlamento e che rappresenta uno sfregio alla Costituzione.
In queste ore, nelle Commissioni riunite, vi abbiamo chiesto di fermarvi e di riflettere, e vi abbiamo indicato un'altra via, quella della valorizzazione del confronto parlamentare. È offensivo, inoltre, quel nascondersi del Presidente Fini (che ora non mi ascolta) dietro il Regolamento, tanto più che la sua figura istituzionale è direttamente interessata e coinvolta nel merito del provvedimento. Prestigio e autorevolezza delle istituzioni non possono passare dalla copertura dell'ossessione, o meglio, credo, della paura di un uomo potente che è ancora in grado di illudere, irretire e condizionare il mondo che lo circonda.
Vi abbiamo detto nelle Commissioni di non sfuggire al punto a cui vi richiamano costituzionalisti e studiosi anche di diverso orientamento: un provvedimento di questo rango non può che procedere attraverso una legge costituzionale. Tuttavia, voi avete respinto con nettezza persino una riduzione del danno, ed ecco che noi oggi siamo contrari all'introduzione della norma per ragioni di merito, di forma e di principio.
Alle spalle abbiamo giornate, lo confesso, che mi hanno dato angoscia per come ho potuto misurare, con questo procedere, i rischi di una vera e propria recessione democratica, fino alla sera dell'altro ieri, quando, usando e alimentando le paure dei cittadini, difendevate una norma blocca-processi che avete introdotto con un emendamento al Senato, stravolgendo l'impianto e il profilo del decreto-legge sulla sicurezza che il Presidente Napolitano aveva emanato in base a criteri di correttezza che ne contraddistinguono da sempre l'azione.
Alla fine della giornata il contrordine: forse quella norma blocca-processi può saltare e può cambiare in alcune parti. Ne temevate, infatti, con tutta evidenza le conseguenze drammatiche: una sorta di indulto discrezionale e mascherato, chePag. 71abbiamo rivelato anche noi. Avete deciso uno scambio, ma tutto al vostro interno, e quel salvacondotto e quella grazia tanto agognata arrivano infine al Premier, anche se per altra via.
Vi chiedo di non scomodare in Aula parole impegnative, perché vi è un'etica anche nelle parole. Io sono favorevole ad un bilanciamento tra tutti i poteri (politica, giustizia e informazione), e credo di conoscere l'urgenza di una riforma della giustizia in termini di garanzie, celerità e certezza della pena. Ma se sbilanciamento tra poteri vi è stato, a partire dagli anni di cui ha parlato in Aula l'onorevole Tabacci, e nel nome della giustizia si sono commessi anche soprusi, ciò è avvenuto perché la politica e le sue classi dirigenti non hanno saputo per tempo essere un passo in avanti nelle soluzioni, nell'autorevolezza e, fatemelo dire, nell'etica.
Oggi state commettendo un errore di miopia anche peggiore: per il salvacondotto di un uomo solo proponente una scorciatoia irricevibile. State usando male il vostro consenso che avete nei numeri del Parlamento, perché scegliete di offuscare l'etica pubblica - che è un bene indisponibile per le singole maggioranze - e anche perché allontanate la possibilità di una riflessione seria, di riforme che avrebbero preteso ascolto e di un pensiero che anteponesse lungimiranza e responsabilità ad un autistico e, a mio avviso, indecoroso interesse personale.
In questi giorni, ho ascoltato interventi di colleghe e colleghi del centrodestra. Li ho ascoltati con attenzione e con rispetto. Anche per voi, così come per ognuno di noi, la scelta ogni giorno è tra essere una classe dirigente, avere questa ambizione, che è innanzitutto morale, o ridursi, invece, a essere un ceto politico che costruisce l'ennesima scialuppa di salvataggio, in questo caso per un uomo solo.
Fatemi chiudere così, come un grande, molti secoli fa, rispose alla figlia, quando il coraggio costava molto più di ora. «Com'è la notte?» chiedeva la figlia. Oggi per molti aspetti, dal mio punto di vista, è una notte. Egli rispose: «È chiara». Alla fine, infatti, anche i vuoti dell'etica e del dovere si colmano e le speranze non muoiono.
Noi, con molta modestia, cerchiamo di esserci anche per questo. Perciò, siamo intervenuti nelle Commissioni e continueremo a farlo, nella speranza che le cose possano migliorare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Beltrandi. Ne ha facoltà, per sette minuti.

MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, neppure in questa concitata occasione noi deputati radicali del Partito Democratico rinunciamo a uno sforzo di valutazione oggettiva del provvedimento in esame, alla luce dell'interesse generale del Paese e, quindi, indipendentemente dalle ragioni vere o supposte e dagli interessi contingenti dei presentatori.
Sappiamo che nell'ordinamento giudiziario italiano, anzi - mi correggo - nell'ordinamento italiano, esiste uno squilibrio tra poteri. I pesi notevolissimi dell'ordine giudiziario non sono bilanciati dai contrappesi della democrazia liberale. Da questo punto di vista, l'Italia è un caso unico tra i Paesi di democrazia consolidata, anche e soprattutto per la denegata giustizia al cittadino ignoto, per la quale viene continuamente condannata dalla Corte di giustizia europea.
Questa è la vera e più importante emergenza giudiziaria del Paese: l'assenza di fatto dello Stato di diritto e della possibilità di far valere il diritto. Questa emergenza non lo è per caso, ma per una serie di ragioni, fra cui l'anomalo assetto dell'ordinamento giudiziario, che richiederebbe urgenti riforme di struttura, oltre a risorse economiche, che incredibilmente vengono pesantemente ed ulteriormente tagliate dal Governo in questa manovra finanziaria. Quindi, è proprio la gravità di tale situazione a richiedere soluzioni adeguate e strutturali, non escamotage dell'ultima ora.
Sono proprio quelle soluzioni, che il Governo oggi non propone, come non lePag. 72ha proposte nei cinque anni del precedente Governo Berlusconi, mostrando urgenza e volontà di intervento solo ed esclusivamente per salvare temporaneamente il Premier da una possibile sentenza. Ben diversa sarebbe stata la valutazione se il Governo avesse presentato un pacchetto complessivo di riforme per tutti, affinché la giustizia fosse assicurata a tutti cittadini, anziché un'immunità per poche e determinate cariche, un pacchetto contenente misure come l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale, la responsabilità civile ed effettiva dei magistrati, l'effettiva separazione delle carriere, la riforma del CSM, le depenalizzazioni e aggiungo persino l'amnistia (perché l'indulto andava accompagnato da un provvedimento di amnistia) per liberare i tribunali da migliaia di cause destinate con certezza alla prescrizione, una prescrizione che non occorre a caso, ma soprattutto a coloro che possono pagare i difensori che consentono di allungare i tempi.
Invece, la maggioranza propone un'immunità temporanea per le quattro più alte cariche dello Stato e, contestualmente, misure repressive ai limiti estremi di tutela dei diritti e della libertà delle persone per i reati comuni, aggravando la condizione già esplosiva delle carceri, con la rinuncia anche ai benefici carcerari, prevedendo lunghe detenzioni, fino a diciotto mesi, nei centri, significativamente ribattezzati centri di identificazione ed espulsione per i clandestini.
Ulteriori sono le responsabilità negative della maggioranza sulla giustizia. Ricordavo prima l'esistenza di «pesi senza contrappesi» dell'ordine giudiziario in rapporto al potere politico. Si tratta dei pesi dell'ordine giudiziario che il Presidente del Consiglio Berlusconi ha addirittura rafforzato in questi giorni, facendo strame del precetto costituzionale della presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva. Berlusconi, infatti, a fronte del rischio di subire una condanna in primo grado ha fatto trapelare, e non ha mai smentito, di doversi, nel caso, dimettere. Ecco, ancora prima del salvacondotto per pochi, Berlusconi avrebbe potuto difendersi nel processo e invocare le tutele previste dalla nostra Costituzione per tutti fino a sentenza definitiva e, invece, ha preferito scatenare l'ennesimo conflitto, non per le riforme liberali, ma per sottrarre momentaneamente se stesso dal giudice.
Al tempo stesso, però, il Governo si dimostra disponibilissimo alle richieste corporative dei magistrati. Quando nel decreto-legge n. 112 è stata prevista una riduzione del 30 per cento degli scatti degli stipendi di anzianità di servizio dei magistrati, subito l'Associazione nazionale magistrati ha ventilato lo sciopero e immediatamente il Governo si è detto pronto a ridiscutere la norma in nome di quel neocorporativismo che ampi settori della maggioranza, non tutti fortunatamente, incluso il Ministro dell'economia e delle finanze, amano, teorizzano e praticano appena possibile.
Non è di questo che il nostro Paese ha bisogno, non sono queste le emergenze vissute dai cittadini e nemmeno è questo ciò di cui ha bisogno la giustizia italiana denegata, la democrazia italiana sempre più oligarchica, lo Stato di non diritto italiano, ma questo e solo questo ci propone oggi la maggioranza.
Spero di essere smentito nella previsione che allorquando il lodo Alfano divenisse legge, approvato da entrambi i rami del Parlamento, Berlusconi e la sua non maggioranza si dimenticheranno dell'emergenza ingiustizia per tutti gli italiani, per i detenuti e per coloro che sono soprattutto più svantaggiati. Per tutto questo, esprimiamo con la massima forza il nostro più completo dissenso nei confronti di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà per dieci minuti.

ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, onorevole Ministro, cari colleghi, è tanto l'interesse e il pathos che l'opposizione ha sviluppato attorno a questo provvedimento che l'Aula a quest'ora è ancora piena. Mi complimento per la massicciaPag. 73presenza dei colleghi dell'opposizione che sono qui a testimoniare proprio il grande interesse che hanno manifestato verso questo provvedimento, in realtà, solo all'esterno; siete tantissimi. Veramente, per chi ci ascolta solamente e non ha la possibilità di vederci, la realtà è che l'Aula è desolatamente vuota. Ciò dimostra come, evidentemente, avete articolato un'opposizione a questo provvedimento meramente strumentale e di facciata con argomentazioni che non sto qui a riepilogare ma che sono tutte francamente risibili.
Eppure non è la prima volta, signor Presidente, onorevole Ministro, cari colleghi, che il Parlamento, dopo la stagione di Tangentopoli, affronta il tema dei rapporti tra i poteri dello Stato e, in particolare, il delicatissimo argomento dei rapporti tra potere giudiziario ed Esecutivo, tra giustizia e politica e non sarà neanche l'ultima.
L'articolo unico del disegno di legge che stiamo per approvare, che nella sua ratio intende ricostituire parzialmente l'argine da tempo demolito che separava i poteri testé citati, non risolve definitivamente e complessivamente l'articolata questione dell'immunità parlamentare e delle frequenti incursioni che una parte minoritaria e politicamente schierata della magistratura italiana ha effettuato nel corso di questi anni nel terreno proprio dell'azione politica mettendo in discussione la stessa legittimità della rappresentanza popolare. La norma che ci accingiamo ad approvare è sicuramente un'ottima soluzione che copre il vuoto legislativo determinato dalle modifiche all'articolo 68 della Costituzione avvenuto sull'onda del disdoro che la politica negli anni Novanta determinò nell'opinione pubblica italiana ma non è la soluzione o la soluzione definitiva.
Mettere oggi al riparo le quattro più alte cariche dello Stato da un eventuale processo penale che possa alterare la serenità dello svolgimento di delicate funzioni politiche e amministrative significa anzitutto garantire il valore della stabilità politica (valore politico, condiviso dalla stragrande maggioranza degli italiani, non negoziabile). In questo devo rendere omaggio al Ministro, alla sua determinazione, al suo coraggio nell'essere stato intransigente nel difendere la posizione su questo provvedimento, perché la stabilità politica e la separazione dei poteri rappresentano un valore non negoziabile, ed è grazie alla determinazione del Ministro Alfano se oggi finalmente possiamo mettere un punto fermo su tale aspetto.
Però, questo provvedimento significa anche restituire alla politica il ruolo centrale che deve avere in un sistema democratico, dove la separazione dei poteri esclude categoricamente la subordinazione o dipendenza di un potere da un altro, ma non la derivazione necessaria che ciascun potere ha dalla legge, dalla Costituzione e, per la politica, direttamente dal popolo, con la conseguenza proprio della primazia della politica.
In questi anni abbiamo assistito al sovvertimento di questo principio. Non c'è stata vittoria del centrodestra cui non è seguita, puntuale, la controffensiva della magistratura contro esponenti del centrodestra, Presidente del Consiglio in testa. Sono innumerevoli, infatti, gli esempi nei quali il potere giudiziario, il suo strumento, la magistratura, ha tentato di imporre all'Esecutivo, e a volte anche al Parlamento, autentici diktat, oppure di sovvertire il dato elettorale, a partire dalle rivolte dei PM di Milano del 1994. Le ricorderete tutti, mi riferisco a quando i pubblici ministeri si riunirono, guidati da Di Pietro e da Davigo, e imposero il ritiro del decreto Biondi; mi riferisco all'avviso di garanzia al Presidente del Consiglio durante il G8 del 1994, oppure, nella storia più recente, al tentativo del CSM, per fortuna impedito dall'autorevole intervento del Presidente Napolitano, di bocciare con un parere non richiesto la legittimità costituzionale della norma che sospende alcuni processi; mi riferisco altresì al modo più surrettizio, e perciò stesso ancora più pericoloso, attivando e accelerando processi a carico del Presidente del Consiglio con il nemmeno malcelato scopo di arrivare per via giudiziaria al sovvertimento del risultato elettorale.
Ecco perché è stato necessario intervenire immediatamente: per garantire stabilitàPag. 74e serenità. Non occorre alcuna legge costituzionale, come da più parti sostenuto, per intervenire nella materia oggetto di questo disegno di legge. Lo sapete benissimo - cari colleghi - che le cose stanno in questo modo. Perché non stiamo intervenendo sul sistema delle immunità che necessiterebbe sicuramente di un intervento costituzionale, ma più semplicemente su un riflesso processuale meritevole di tutela, che è quello che riguarda un principio: il principio del sereno svolgimento delle funzioni delle più alte cariche dello Stato. È come se si volesse intervenire con legge costituzionale per regolare la tutela del diritto di proprietà.
Allora, al di fuori di queste metafore, ovviamente va detto - cari colleghi del PD - che voi ci avete chiesto di seguire la strada dell'intervento costituzionale, ma sulla base di quali coordinate? Non lo dite, perché non avete il coraggio di ammettere che le uniche coordinate costituzionali da seguire per regolare questa delicatissima materia sono quelle per cui occorre ricostruire un sistema di immunità legato all'autorizzazione a procedere, che non sia privilegio di casta ma garanzia di indipendenza della politica secondo principi universalmente riconosciuti e codificati nelle democrazie moderne.
A questo proposito mi sorprende la posizione ondivaga e contraddittoria che ha sostenuto l'UdC attraverso tre suoi qualificanti esponenti in quest'Aula, perché non si capisce bene da che parte l'UdC vuole andare. Io ho condiviso e ho apprezzato molto l'intervento dell'onorevole Mannino, che richiamava la necessità di una rivisitazione complessiva dell'articolo 68 della Costituzione, ma voglio ricordare all'onorevole Mannino e all'onorevole Tabacci (il cui livore non si capisce bene da cosa tragga alimento, un livore che dura ormai da decenni nei confronti del PdL, di questa maggioranza e del Presidente del Consiglio) che il loro partito politico da cui orgogliosamente affermano di provenire, la Democrazia Cristiana, ebbe in quella grande stagione una colpa storica.
Tale colpa fu di avere appunto consentito la modifica dell'articolo 68 della Costituzione sull'onda del disdoro popolare, non intuendo quello che sarebbe accaduto di lì a qualche tempo.
In conclusione, oggi abbiamo consumato un primo importante passaggio, superato il quale sarà necessario riannodare le fila di un confronto sereno e stabile tra maggioranza e opposizione, per garantire al Paese - che non ne può più, comprese le migliaia di magistrati che ci stanno ascoltando e che vogliono lavorare in pace e amministrare giustizia senza tentare rappresaglie o sovvertimenti del dato elettorale - e a tutti cittadini quella stagione di riforme che tutti desideriamo e sappiamo essere necessaria: noi sereni e liberi di governare senza ricatti e voi affrancati dalla mai sopita speranza di arrivare al potere attraverso la via giudiziaria, secondo gli insegnamenti dei cattivi maestri di una sinistra pseudorivoluzionaria che ancora resiste nelle vostre coscienze.
Concludendo, signor Presidente, prendetene atto: è questo l'invito che rivolgo ai colleghi del Partito Democratico. Senza infingimenti preparatevi a confrontarvi con noi sul futuro del nostro Paese e dei nostri giovani e a meritarvi sul campo della politica il diritto a sostituirci per governare, se ne sarete veramente capaci, quando gli elettori decideranno che sarà venuto il vostro turno (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bachelet. Ne ha facoltà per tre minuti.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, anzitutto in qualità di partecipante alla manifestazione di ieri a Piazza Navona, vorrei esprimere anche a nome degli altri partecipanti, che per questo stesso motivo hanno abbandonato la piazza, la mia espressione di gratitudine e stima al Capo dello Stato, al Presidente Napolitano, e la mia condanna di qualsiasi offesa a lui, al Papa, al Ministro Carfagna e a chiunque altro sia stato gravemente insultato dopo il mio abbandono della piazza, come ho appreso dai giornali.Pag. 75
Rivendico, però, il diritto di esprimere qui in Parlamento e anche in piazza, tutta la mia contrarietà a provvedimenti che hanno come unico scopo quello di garantire l'impunità al Presidente del Consiglio, come hanno fatto ieri, a piazza Navona, Moni Ovadia, Rita Borsellino e la stragrande maggioranza degli altri oratori che questo stesso concetto hanno espresso in modo civile e sobrio.
Nel dibattito di ieri e oggi, qualcuno ha richiamato i terribili anni di Tangentopoli. Qualcuno è andato anche più indietro ricordando Moro, Ruffilli e mio padre come martiri della democrazia. Anch'io e anche la mia famiglia pensavamo a questi martiri quando le banconote del Pio Albergo Trivulzio volavano giù dai balconi di Milano, quando si parlava di «conto protezione» e dai divani di ministri e sottosegretari emergevano a sorpresa banconote al posto delle piume. Pensavamo a questi martiri e ci chiedevamo: era questa la Repubblica per la quale poliziotti, carabinieri, magistrati, giornalisti, sindacalisti e anche i nostri erano morti? Anche in quegli anni alcuni vedevano il problema nei magistrati: si domandavano sgomenti come uscire da Tangentopoli ma un politico di primo piano, Mino Martinazzoli, che allora aveva una grande responsabilità disse: «Da Tangentopoli si esce smettendo di rubare» e, ad alcuni di noi, questo semplice concetto piacque molto, parve molto convincente. Ma comprendiamo che ad altri - lo abbiamo sentito più volte anche oggi - questo concetto non pare altrettanto convincente.
Sembrava che l'Italia crollasse. La politica economica del CAF ci aveva portato fuori dal serpente monetario europeo, quando nella penombra televisiva di un lontanissimo capodanno ascoltavamo con la mia famiglia un uomo già allora anziano che diceva: «L'Italia risorgerà». Quell'uomo compie 90 anni a settembre di quest'anno ma ha ancora il cuore di un ventenne, con il quale ha guidato alla vittoria il comitato del referendum costituzionale del 2006 e anche il comitato Veltroni delle primarie. Con lo stesso cuore ha sopportato due anni di insulti al Senato e sopporterà bene - credo - anche gli insulti che ho sentito al suo riguardo nel dibattito di questi giorni. Insulti del resto risibili, perché chi ricorda Tangentopoli sa bene chi fu in quegli anni a portare il Paese vicino alla rovina e chi, invece, candidato alla Presidenza della Repubblica, non dal suo partito ma da Marco Pannella, proprio perché aveva le mani pulite e l'animo libero e forte, aiutò il Paese a risorgere. Grazie Presidente Scalfaro, altri cento anni come questi. Se tutti fossero come lei non ci troveremmo a discutere dei provvedimenti di cui discutiamo oggi e ci occuperemmo, forse, dei veri problemi dell'Italia.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Concia. Ne ha facoltà, per un minuto.

ANNA PAOLA CONCIA. Signor Presidente, l'emergenza del nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio. Con una decisione illiberale e senza precedenti, avete espropriato il Parlamento per assicurare al Capo del Governo la sospensione dei suoi processi passati e futuri. Avete scritto una brutta pagina per la storia della nostra Repubblica. Perché non destinate tutte le vostre energie per aumentare gli stipendi e le pensioni, che sono la vera emergenza delle famiglie italiane? Perché ciò che vi preme è l'immunità e gli interessi personali dell'onorevole Berlusconi, che vengono prima dei problemi reali del nostro Paese. L'articolo 3 della Costituzione italiana recita: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. L'emergenza nel nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire al primo posto l'impunità del vostro Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Braga. Ne ha facoltà, per un minuto.

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CHIARA BRAGA. Signor Presidente, mi rivolgo agli sparuti colleghi della maggioranza per ribadire che l'emergenza nel nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio. Con una decisione illiberale e senza precedenti, avete espropriato il Parlamento per assicurare al Capo del Governo la sospensione dei suoi processi passati e futuri. Avete scritto un'altra brutta pagina per la nostra Repubblica. Perché non destinate tutte le vostre energie per aumentare gli stipendi e le pensioni, che sono la vera emergenza per le famiglie italiane? Perché ciò che vi preme è l'immunità e gli interessi personali dell'onorevole Berlusconi, che vengono prima dei problemi reali del Paese.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali: questo è scritto nella nostra Costituzione, che è e rimane la nostra bussola. L'emergenza nel nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Losacco. Ne ha facoltà, per un minuto.

ALBERTO LOSACCO. Signor Presidente, l'emergenza nel nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio. Con una decisione illiberale e senza precedenti, avete espropriato il Parlamento per assicurare al Capo del Governo la sospensione dei suoi processi passati e futuri. Avete scritto un'altra brutta pagina per la nostra Repubblica. Perché non destinate tutte le vostre energie per aumentare gli stipendi e le pensioni, che sono la vera emergenza per le famiglie italiane? Perché ciò che vi preme è l'immunità e gli interessi personali dell'onorevole Berlusconi, che vengono prima dei problemi reali del Paese. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali: questo è scritto nella nostra Costituzione, che è e rimane la nostra bussola. L'emergenza del nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà, per un minuto.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, l'emergenza del nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto (Commenti). Così la imparate a memoria, che è utile.
A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio. Con una decisione illiberale e senza precedenti, avete espropriato il Parlamento per assicurare al Capo del Governo la sospensione dei suoi processi passati e futuri. Avete scritto un'altra brutta pagina per la nostra Repubblica. Perché non destinate tutte le vostre energie per aumentare gli stipendi e le pensioni, che sono la vera emergenza per le famiglie italiane? Perché ciò che vi preme è l'immunità e gli interessi personali dell'onorevole Berlusconi, che vengono prima dei problemi reali del Paese. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali: questo sta scritto nella nostra Costituzione, che è e rimane la nostra bussola. L'emergenza del nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà, per un minuto.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, poco fa l'onorevole Lo Presti denunciava la linea ondivaga e contraddittoria dell'UdCPag. 77in merito a questo provvedimento. La posizione del Partito Democratico è invece piuttosto chiara, quindi la ripeto. La ripeterei volentieri anche all'onorevole Lo Presti se fosse ancora in Aula, ma visto che se ne è andato, la ripeterò agli altri otto deputati della maggioranza che sono presenti e al signor Ministro della giustizia, Angelino Alfano, che passerà alla storia della Repubblica per aver messo il nome su questo provvedimento.
L'emergenza nel nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio. Con una decisione illiberale, senza precedenti, avete espropriato il Parlamento, per assicurare al Capo del Governo la sospensione dei suoi processi passati e futuri. Avete scritto un'altra brutta pagina per la nostra Repubblica. Perché non destinate tutte le vostre energie per aumentare gli stipendi e le pensioni, che sono la vera emergenza per le famiglie italiane? Perché ciò che vi preme è l'immunità e gli interessi personali dell'onorevole Berlusconi, che vengono prima dei problemi reali del Paese. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Questo è scritto nella nostra Costituzione, che è e rimane la nostra bussola.
L'emergenza nel nostro Paese, non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio (Applausi polemici del deputato Paolini).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zampa. Ne ha facoltà, per un minuto.

SANDRA ZAMPA. Mi rivolgo alla maggioranza e al signor Ministro, per ricordar loro che l'emergenza del nostro Paese non è quella che voi mettete al primo posto (Commenti)... Può essere utile che lo ascoltiate...

MAURIZIO DEL TENNO. Ma l'avete imparata a memoria?

SANDRA ZAMPA. Bene, spero che domani la possiate ripetere a memoria. Questo era l'obiettivo. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio. Con una decisione illiberale, senza precedenti, avete espropriato il Parlamento, per assicurare al Capo del Governo la sospensione dei suoi processi passati e futuri. Avete scritto un'altra brutta pagina per la nostra Repubblica. Perché non destinate tutte le vostre energie per aumentare gli stipendi e le pensioni, che sono la vera emergenza per le famiglie italiane? Perché ciò che vi preme è l'immunità e gli interessi personali dell'onorevole Berlusconi, che vengono prima dei problemi reali del Paese. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Questo è scritto nella nostra Costituzione, che è e rimane la nostra bussola.
L'emergenza nel nostro Paese, non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione...

ANTONIO LA FORGIA. Presidente, chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole La Forgia, credo di non poterle dare la parola, se non la chiede per un altro motivo, dato che lei non è iscritto a parlare (Commenti)... Un minuto?

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Presidente, per cortesia, lo lasci parlare.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Ma sì, lo faccia parlare!

PRESIDENTE. Sta bene, può parlare. È una decisione democratica, non del Presidente ma dell'Assemblea! Prego, ne ha facoltà.

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ANTONIO LA FORGIA. La ringrazio comunque signora Presidente e soprattutto ringrazio i colleghi che consentono anche a me di rammentare che l'emergenza nel nostro Paese non è quella che voi stessi mettete al primo posto. Sembra che a voi interessi garantire prima di tutto impunità al Presidente del Consiglio. Con una decisione illiberale, senza precedenti, avete espropriato il Parlamento, per assicurare al Capo del Governo la sospensione dei suoi processi passati e futuri. Avete scritto così un'altra brutta pagina per la nostra Repubblica. Perché non destinate tutte le vostre energie ad aumentare gli stipendi e le pensioni, che sono la vera emergenza delle famiglie italiane? Perché ciò che vi preme è l'immunità e gli interessi personali dell'onorevole Berlusconi, che vengono prima dei problemi reali del Paese. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Questo è scritto nella nostra Costituzione che è e rimane la nostra bussola.
L'emergenza nel nostro Paese, non è quella che voi mettete al primo posto. A voi interessa solo garantire impunità al Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. Davvero adesso, non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1442)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la II Commissione, onorevole Costa.

ENRICO COSTA, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, avendo pochissimo tempo a disposizione, replicherò solamente in relazione ad alcune questioni tecniche che sono state sollevate, in quanto, nella maggior parte, si è trattato di considerazioni vaste, ad ampio raggio, generali.
Il collega Zaccaria, in particolare, è entrato su una tematica specifica, che aveva già sollevato in Commissione. È chiaro che il riferimento agli articoli 90 e 96 della Costituzione non interferisce assolutamente con le norme previste dall'articolo 1, comma 1, del provvedimento in esame. Infatti, le norme contenute in questi due articoli, che attengono ad atti o reati commessi nell'esercizio delle funzioni (i cosiddetti reati funzionali), fanno riferimento ad ipotesi di immunità. Nel caso di specie, il provvedimento in esame fa riferimento ad un'ipotesi di sospensione, che è ben diversa da quella di immunità. La Corte costituzionale, infatti, nella sentenza relativa al precedente provvedimento (il cosiddetto lodo Schifani), ha evidenziato tutta una serie di casi, di ipotesi di sospensione del processo o del procedimento, evidenziando che non si tratta di una cerchia chiusa di ipotesi di sospensione, ma tali ipotesi potrebbero ben essere ampliate da parte del legislatore. Ecco che questa è un'ipotesi che il legislatore ordinario ritiene di disciplinare.
Per quello che attiene, poi, alla differenziazione tra processo o procedimento, mi sembra che vi sia una norma molto chiara: si fa riferimento al processo. Esso contiene, al suo interno, l'udienza preliminare e l'articolo 392 del codice di procedura penale fa riferimento all'incidente probatorio che si tiene durante l'udienza preliminare, mentre l'articolo 467 del codice di procedura penale fa riferimento agli atti urgenti predibattimentali e, quindi, alla possibilità di assumere prove nell'ambito, appunto, della fase successiva all'udienza preliminare.
Ritengo, in questo modo, di aver chiarito la posizione dei relatori in ordine alle osservazioni svolte dal collega Zaccaria. Anche il collega Beltrandi - così come, forse, anche altri deputati - ha fatto riferimento, in uno degli ultimi interventi, al termine immunità. Ritengo che non sia un termine utilizzato correttamente in questa ipotesi, poiché il termine esatto è quello di sospensione.

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PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la I Commissione, onorevole Calderisi, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, replicherò nel merito durante il prosieguo della discussione. Ho ritenuto opportuno essere presente in Aula sin dall'inizio della seduta, ascoltando i trentasei interventi che si sono succeduti in queste oltre cinque ore di dibattito, ne ho preso regolarmente nota e senz'altro domani non mancherà occasione di intervenire per specificare alcune questioni tecniche ed altre questioni politiche che sono emerse dal dibattito di oggi.
Non posso sottrarmi al dovere di ringraziare i relatori per avere colto, sia in senso tecnico, sia in senso più latamente politico, il pieno cuore di questa norma, che riteniamo importante e utile per il Paese e non per un cittadino di questo Paese. Mi sia consentito, a proposito di questo argomento, di replicare ai sei colleghi che si sono cimentati con tanta fantasia nella ripetizione dello stesso intervento e che ci hanno ricordato che stipendi e pensioni sono la vera emergenza di questo Paese: è troppo facile affermare che tali questioni sono la vera emergenza di questo Paese. Voi ci avete preceduto e ce l'avete consegnata come grande emergenza di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della libertà)!
Nel frattempo noi, in questi due mesi, ci siamo esercitati a togliere i rifiuti dalle strade di Napoli che voi ci avete lasciato, a togliere l'ICI che voi avete lasciato molto alta e che avete consentito di aumentare e, magari, a prendere qualche contromisura contro l'invasione di immigrati irregolari dovuta alla cattiva applicazione di una buona legge e alla chiusura dei CPT da parte vostra. Ma questa era una esercitazione retorica, il resto lo affronteremo domani, in un dibattito che, credo, sarà costruttivo e proficuo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Comunicazioni del Presidente ai sensi dell'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento, e assegnazione di un disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica (ore 21,20).

PRESIDENTE. Comunico, ai sensi del comma 1 dell'articolo 123-bis del Regolamento, la decisione in merito al seguente disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica:

«Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» (1441).

Alla luce del parere espresso in data odierna dalla V Commissione (Bilancio) ed esaminato il predetto disegno di legge, la Presidenza comunica che lo stesso non reca disposizioni estranee al suo oggetto, come definito dall'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento.

A norma del comma 1 degli articoli 72 e 123-bis del Regolamento, il disegno di legge è assegnato, in sede referente, alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e V (Bilancio), con il parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), III, IV, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Sull'ordine dei lavori.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

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GIAMPAOLO FOGLIARDI. Signor Presidente, la presente comunicazione è anche a nome dei colleghi parlamentari di Padova, l'onorevole Miotto e l'onorevole Naccarato, e di tutti i parlamentari del gruppo del Partito Democratico.
Ha destato grande scalpore nei giorni scorsi la notizia del ritrovamento del corpo della giovane Federica Squarise di Padova in vacanza in Spagna a Lloret de Mar, nella regione catalana.
A seguito dell'autopsia ci sarebbe la conferma di una morte violenta, ma non è dato saperne, purtroppo, di più; ci sono molti misteri e le mancate risposte ai molti interrogativi attorno a questa terribile vicenda si susseguono. È una vicenda che sconvolge e lascia senza parole. Al dolore della famiglia, alla quale esprimiamo sentimenti di profondo cordoglio, si unisce anche l'angoscia, però, in queste ore, delle tante famiglie che in questo periodo estivo hanno figli e parenti fuori casa per le giuste pause feriali.
Chiediamo, allora, che il Governo si attivi in tal senso, per aiutare la famiglia, per avere delle notizie, per ottenere dei ragguagli, e che venga a riferire in Parlamento su questo caso, sia perché lo stesso sta creando molto allarme nell'opinione pubblica sia per rispondere ai familiari della giovane ragazza, che hanno denunciato una scarsa collaborazione delle autorità catalane sulla conoscenza dell'effettivo stato delle indagini.

PRESIDENTE. Onorevole Fogliardi, riferirò al Presidente della Camera, che provvederà ad informare e attivare il Governo.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 10 luglio 2008, alle 9,30:

Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali presentate):
Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato (1442).
- Relatori: Calderisi, per la I Commissione e Costa, per la II Commissione.

La seduta termina alle 21,25.

DICHIARAZIONE DI VOTO DEL DEPUTATO LUDOVICO VICO SULLE MOZIONI VICO ED ALTRI N. 1-00007, RAISI ED ALTRI N. 1-00020, POLLEDRI ED ALTRI N. 1-00021 E ANNA TERESA FORMISANO ED ALTRI N. 1-00022

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor sottosegretario, le fonti WTO, OCSE e UE ci forniscono i seguenti dati: il valore degli scambi di prodotti contraffatti nel mondo è pari a 450 miliardi di dollari; il 70 per cento della produzione mondiale è contraffatta nel Sud est asiatico; l'Organizzazione mondiale delle dogane stima che la contraffazione sia pari al 5-7 per cento del commercio mondiale delle merci. Inoltre il 60 per cento delle merci contraffatte finiscono all'interno dell'Unione europea, il 40 per cento negli USA e il 60 per cento della contraffazione in Italia riguarda la moda. L'80 per cento del gettito Irpef e il 21 per cento del gettito IVA sono stati sottratti al fisco del nostro Paese, i posti di lavoro persi per effetto della contraffazione sono stati in Italia 40 mila negli ultimi cinque anni.
Il Parlamento europeo, il 14 dicembre scorso, con una Risoluzione sostenuta da tutti i gruppi politici, ad eccezione del gruppo Ind-Dem, ha sollecitato l'adozione di norme vincolanti sull'indicazione dell'origine dei prodotti tessili importati e sulla lotta alla contraffazione. In sostanza, il Parlamento preme affinché l'Unione europea ricorra agli strumenti di difesa commerciale, garantendo la sicurezza dei consumatori, creando un nuovo programma a favore dell'industria europea e promuovendo la creazione di una zona di produzione euro-mediterranea.Pag. 81
Con la Risoluzione si chiede di applicare misure di salvaguardia nei confronti delle importazioni dalla Cina fino alla fine del 2008 in modo da assicurare una transizione agevole verso il libero commercio dei prodotti tessili. Infatti dal 2008 non saranno più sottoposte ad alcun sistema di quote le importazioni dalla Cina relative a ben otto categorie di prodotti tessili e di abbigliamento (t-shirt, pullover, pantaloni, bluse, biancheria da letto, abiti, reggiseni, tessuti di lino o di ramiè).
L'Unione europea è il secondo esportatore mondiale di prodotti tessili e di abbigliamento.
Noi condividiamo la manifesta preoccupazione del Parlamento europeo per le elevate barriere tariffarie e non tariffarie che applicano numerosi paesi terzi «perciò riteniamo che la Commissione UE, negli accordi bilaterali, regionali e multilaterali con i paesi terzi, dovrebbe garantire migliori condizioni di accesso ai mercati di tali paesi». Questo è essenziale per il futuro dell'industria tessile e dell'abbigliamento europea e particolarmente per le PMI soprattutto italiane.
Inoltre, vanno applicate «norme vincolanti» sulla denominazione d'origine per i prodotti tessili, perciò è importante che il Consiglio europeo adotti la proposta di regolamento sull'indicazione del «made in» per tutelare meglio i consumatori, per sostenere l'industria europea e salvaguardare i «diritti della proprietà intellettuale» sottoposti a sistematiche e intollerabili violazioni.
L'11 dicembre scorso il Consiglio europeo ha adottato una dichiarazione scritta sul marchio d'origine, sul «made in» a livello comunitario ma il provvedimento è stato bloccato dagli Stati membri che rappresentano gli interessi della distribuzione in contrapposizione agli Stati membri che rappresentano gli interessi della produzione: l'Italia è un paese produttore.
Noi condividiamo il ricorso - come recita la Risoluzione - agli strumenti di difesa commerciale (antidumping, antisovvenzioni e misure di salvaguardia) perché costituiscono «meccanismi essenziali» di regolamentazione e strumenti legittimi per far fronte alle importazioni legali ed illegali da paesi terzi, in particolare per il settore tessile-abbigliamento, che attualmente è un mercato aperto non protetto dalle quote.
Così come, al fine di garantire la sicurezza e la protezione dei consumatori, la Commissione dovrà avvalersi dei suoi poteri »per proibire che siano immessi prodotti pericolosi per la salute nel mercato UE. Più specificatamente i prodotti tessili importati, in particolare dalla Cina, «siano soggetti ad esigenze di sicurezza e di protezione dei consumatori identiche a quelle applicate ai prodotti tessili confezionati nel territorio UE». Andrebbero inoltre realizzati una valutazione ed uno studio adeguati sulla questione del presunto «pass-through» (trasferimento) delle riduzioni dei prezzi ai consumatori dell'Unione europea.
Onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la trasparenza, la tracciabilità, l'etichettatura ed il marchio, la riconoscibilità e l'origine dei prodotti manifatturieri sono gli unici certificati della qualità del prodotto e del produttore e, di conseguenza, della sicurezza per il consumatore nel mercato interno e rispetto all'importazione dei prodotti extraeuropei.
I diritti del consumatore innanzitutto, la lotta alla contraffazione e alla falsificazione, la tutela e la riconoscibilità delle produzioni italiane, nel design, che realizzano le grandi imprese e del made in Italy prodotto dalle PMI sono gli obiettivi comuni per il paese.
Nella scorsa XV Legislatura la X Commissione della Camera dei deputati ha adottato un testo unificato delle abbinate cinque proposte di legge a firma Lulli, Raisi, Conte, Contento e Forlani sulle «norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani».
Il teso unificato si è orientato a predisporre una normativa a tutela del diritto dei consumatori alla salute e dei produttori per contrastare le frodi commerciali, recependo le osservazioni che negli anni scorsi aveva formulato l'Unione europea.Pag. 82
Quel testo unificato segna un primo importante passo perché prevede che i produttori possano adottare il marchio «full made in Italy» in maniera volontaria per non entrare in collisione con l'attuale normativa europea.
Colleghi, è necessario collegare marchio, tracciabilità della filiera tessile-abbigliamento, materiali riciclabili e di lunga durata, rispetto delle regole in materia di lavoro, associando tale specifica normativa ad una forma più estesa di etichettatura obbligatoria riguardante la provenienza dei capi di abbigliamento che circolano all'interno del territorio nazionale.
Onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la mozione, di cui all'oggetto, vuole ricercare e verificare la possibilità di una ampia condivisione del Parlamento ed impegnare il Governo ad intervenire in sede UE per sostenere misure di salvaguardia nei confronti delle importazione dalla Cina per almeno tutto il 2008, dal momento che quest'anno è scaduto il sistema delle quote per 8 categorie di prodotti tessili e per sostenere la posizione italiana sul marchio d'origine quale punto di partenza per una negoziazione ed un confronto che abbia ad oggetto la tutela del consumatore italiano ed europeo ed il contrasto del fenomeno del dumping sociale ed ambientale.
Per queste ragioni, signor Presidente, chiediamo il voto favorevole per la nostra mozione.