XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 60 di venerdì 3 ottobre 2008

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 10.

EMILIA GRAZIA DE BIASI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Buttiglione è in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori e per un richiamo al Regolamento.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signora Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori e, successivamente, per un richiamo al Regolamento. Pertanto le chiederei di tener conto, nel computo dei termini, in modo distinto dei due argomenti che illustro, in modo che, quando inizierò a parlare dell'articolo del Regolamento in questione, lo citerò così che lei possa computare il tempo per l'intervento per un richiamo al Regolamento.
Il primo argomento che le vorrei sottoporre, signor Presidente, è molto serio e da affrontare con grande delicatezza e con grande saggezza. Si tratta dell'ennesimo episodio di razzismo che si scatena nel nostro Paese, in particolare nella capitale del nostro Paese, e che è stato perpetrato ieri nei confronti di un giovane cinese, che fa seguito a quello perpetrato qualche ora prima nei confronti di un senegalese. Sembra che i responsabili siano gli stessi, sempre dei minorenni.
È inutile che ricordi la lista di episodi simili verificatisi nei giorni scorsi e nelle settimane scorse, non solo a Roma, ma anche in tante altre città del nostro Paese e che hanno condotto a conseguenze anche molto peggiori a quella cui mi riferisco, comunque gravi in quanto il ragazzo si trova ricoverato al policlinico di Tor Vergata.
Potrei fare una battuta ma non è certo il caso di farla, signor Presidente. Tuttavia anche questo episodio ci deve aiutare a riflettere sul fatto che - ritengo - il cinque, sei o sette in condotta - si tratta di ragazzi minorenni, signor Ministro - non potrebbe mai risolvere un problema di questo tipo.
Abbiamo il dovere di reagire e soprattutto di richiedere che le istituzioni, in Parlamento, ci facciano capire qual è il fenomeno. È chiaro che le persone normali che guardano la televisione e che leggono i giornali percepiscono la sensazione di un fenomeno in crescita. Stiamo parlando di un fenomeno di razzismo, quindi, qualcosa di particolarmente grave e odioso rispetto al quale credo che sarebbePag. 2molto utile, senza alcuna polemica e senza alcun tipo di strumentalizzazione, per il Parlamento e non solo, che vi sia l'intervento del Governo in Aula nelle prossime ore e nei prossimi giorni affinché riferisca - ripeto - non soltanto, pur essendo importante, su singoli episodi ma soprattutto sulla strategia da assumere. Quest'ultima non può essere soltanto una strategia di repressione e probabilmente deve tener conto anche dell'analisi di quanto sta accadendo per capire se questi episodi effettivamente rappresentano la tendenza di quanto sta accadendo nelle nostre generazioni e nelle giovani generazioni. Si tratta di episodi isolati, tuttavia se si moltiplicano, ritengo che l'analisi dal punto di vista repressivo ma anche del disagio di quello che sta accadendo nel nostro Paese debba essere compiuta.
D'altra parte, signor Presidente, è notizia uscita sulla stampa che anche le istituzioni sono coinvolte. Infatti, il vicesindaco di Treviso Gentilini è stato denunciato e anche inquisito, perché ha detto una frase del tipo che non vuole i neri nella sua città o qualcosa del genere. Non vi è dubbio che è difficile contenere un fenomeno di questo tipo, nel momento in cui è coinvolto anche chi dovrebbe, invece, garantire che questi fenomeni siano espulsi dal nostro Paese e dalla civiltà che rappresentiamo nel nostro Paese. È difficile poi pretendere che ragazzi di quattordici e quindici anni non mettano in pratica determinati esempi. Ripeto: anche in questo caso si tratta di episodi isolati, ma ritengo che sarebbe utile che il Governo riferisca in Parlamento. Pertanto in questo senso la pregherei, attraverso la Presidenza, di intervenire sul Governo, affinché venga in Aula per riferire non solo sull'episodio specifico ma su cosa si intende fare di fronte ad esso.
Passo ora invece, signor Presidente, ad una questione di molto minor rilievo ma che la investe direttamente in qualche modo, anche se guardando al suo aspetto in questo momento mi sembra una persona serena e tranquilla. Signor Presidente, mi riferisco all'articolo 8 del Regolamento della Camera dei deputati, che, inizia stabilendo che lei, in questo momento, rappresenta la Camera. Lei che è seduta su quello scranno non è il Presidente titolare ma in questo momento svolge le funzioni di Presidente e rappresenta la Camera.
A lei forse è sfuggito, signor Presidente, che non rappresenta la Camera, ma in questo momento rappresenta il popolo dei depressi. Lo ripeto: guardandola in faccia, francamente questa dimensione che ci è stata spiegata dal Presidente Berlusconi nella giornata di ieri stride con quello che lei è oggi, ma anche con quello che è sempre stata (credo che di tutto possa essere accusata o di tutto può essersi macchiata, tranne del fatto di avere un comportamento o anche semplicemente esprimere un sentimento di depressione).
Tuttavia, siccome quel ruolo istituzionale la vuole lì, lei è la rappresentante di tutti noi, che dovremmo essere un popolo di depressi. Non le nascondo che sono molto tentato - e lo farò - di presentare una proposta di riforma del Regolamento affinché, in ragione di ciò che dice non l'ultimo che passa per strada, ma il Presidente del Consiglio, che è un'istituzione, l'articolo 8, anziché dire che il Presidente rappresenta la Camera, riporti che il Presidente rappresenta il popolo dei depressi.
Questo sicuramente può aiutare nel campo delle riforme istituzionali che il Popolo della Libertà vuole fare e delle riforme del Regolamento che servono per accelerare i nostri lavori. Sarà sicuramente un argomento che aiuterà e farà parte di un pacchetto che, magari, il Ministro Vito verrà a spiegare nelle Commissioni congiunte di Camera e Senato, e che sta alla base ed è ragione delle riforme regolamentari che il Governo e la maggioranza vogliono realizzare per poter procedere più rapidamente. Arriveremo magari anche alla distribuzione degli eccitanti.
Però vorrei dirle, signor Presidente, che presumo che il Presidente del Consiglio si sia sbilanciato in questa affermazione dopo che si è riunito, qualche giorno fa, il gruppo del Popolo della Libertà e ancor di più dopo che ieri ha fatto qualche telefonata,Pag. 3quando la maggioranza è andata sotto per l'ennesima volta su un emendamento, perché alcuni deputati non erano in aula o, invece, essendo in aula e in disaccordo con alcune decisioni, hanno deciso di non votare.
Capisco che questo possa essere il sentimento, mi auguro che non lo sia e che i colleghi della maggioranza riescano a spiegare al Presidente del Consiglio che così non è e che tutto ciò invece non nasce da questa situazione.
Vorrei garantire al Presidente del Consiglio e a lei che noi - parlo in questo caso a titolo personale, ma credo di rappresentare almeno un buon numero di esponenti della mia parte politica - non siamo assolutamente depressi, noi siamo combattivi (e lo dimostra quanto accade in Aula), siamo molto intenzionati a contrapporci a tutto quello che riteniamo non vada della maggioranza e del Governo, a farlo in Aula, partecipando, essendo presenti, promuovendo le nostre iniziative e avanzando le nostre proposte.
Un sintomo di depressione potrebbe essere quello di colui che, poiché è di fronte alla necessità di evitare di sottoporsi ad un processo ed eventualmente ad un giudizio, deve convincere e forzare a tutti i livelli per fare una legge che gli impedisca di essere processato. Questo può essere un elemento che ci tiene tutti i giorni impegnati, dalla mattina alla sera, e non ci consente di essere liberi.
Ma io personalmente, e credo molti di noi, signor Presidente, questo problema non l'abbiamo, non ci sentiamo addosso questo peso che ci deprime. Mi riferisco ad un fatto politico, poi sul piano personale non è questa la sede, signor Presidente, però se lei se ne vuole fare carico può dire al Presidente del Consiglio che sono disponibilissimo anche a raccontargli la mia vita privata. Io, per esempio, preferisco fare sport piuttosto che andare in un centro di benessere per cercare di mantenermi in forma e non ho bisogno di ricorrere neanche ad eccitanti, perché lo faccio in modo amatoriale, e ciò mi aiuta a non essere depresso. Magari chi va in un centro benessere perché si è ingrassato lo fa per una depressione, ma non è che la può riversare sul prossimo.
Altri argomenti sono molto personali, però se il Presidente del Consiglio è interessato sono disponibile anche ad incontrarlo, per raccontargli come la vita normale di un deputato e di tanti deputati che sono qui è anch'essa non necessariamente condizionata dalla depressione che può vivere chi pensa che gli altri lo sono.
Concludo, dopo un intervento di questo tipo, dicendo però che il Presidente del Consiglio, spesso e volentieri - e non è la prima volta -, utilizza questioni e parole senza sapere che il tema della depressione è un tema serio, che riguarda molte persone che ci soffrono e non di rado ci muoiono e che quindi, probabilmente, anche quando pensa di fare lo spiritoso ed usa determinati argomenti, farebbe bene a sapere quanto questo costituisca un problema di disagio e di delicatezza per la gente, e non un argomento con il quale giocare.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, lei sa bene, da grande conoscitore del Regolamento qual è, che la seconda parte del suo intervento non era proprio un richiamo al Regolamento, ma la questione politica che ha sollevato è di tale importanza che ho ritenuto giusto ed opportuno che svolgesse tutte le sue argomentazioni.
Non mancherò di investire il Presidente Fini della questione, affinché si faccia carico della preoccupazione espressa da lei, ma anche da molti altri colleghi nel corso delle ultime ore, proprio in relazione al rispetto che si deve a questa istituzione.
Valga lo stesso per la sollecitazione al Governo a presentarsi in Aula a riferire sulla aggressione al ragazzo cinese, vicenda che segue all'aggressione al ragazzo di colore e a tanti altri fatti che si sono verificati negli ultimi mesi nei confronti dei quali credo che il Parlamento debba assumersi le proprie responsabilità e debba chiedere al Governo di fare altrettanto.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

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PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, vorrei riprendere l'argomento introdotto dall'onorevole Giachetti relativo ad una vicenda triste e drammatica che evidenzia una situazione molto grave e preoccupante: mi riferisco all'aggressione razzista che si è verificata a Roma.
Non ho nulla da obiettare al fatto che il Governo venga in quest'Aula a raccontare i fatti, ma (detto con estrema chiarezza, signor Presidente) io sono sempre un po' restio nei confronti della reiterazione di queste liturgie. È importante che il Governo venga a raccontare i fatti e che coinvolga anche il Parlamento sulle situazioni che si verificano, ma farei una riflessione in più.
Il tema del razzismo, infatti, evidenzia aspetti di adattamento che coinvolgono le istituzioni ad ampio raggio. La mia richiesta e la mia sollecitazione sono accompagnate anche dalla preoccupazione, che occorra evitare che puntualmente si ripetano tali drammatici fatti. Crediamo di risolvere il problema e di consumare con una convocazione dei deputati tutti quelli che sono, invece, fatti e aspetti che dovrebbero essere affrontati in termini molto più complessivi. Certo, se il Governo si presenta in Aula e ci dice qualcosa di più, lo giudico un fatto importante rispetto a limitarsi a raccontare i fatti.
Quale ultimo aspetto desidero evidenziare una situazione altrettanto drammatica, quella della città di Crotone. Viste le ultime notizie delle agenzie di stampa, insieme alle comunicazioni trasmesse da radio e televisione, Crotone sta vivendo una condizione sempre più drammatica per quanto riguarda le scorie e i rifiuti; sembra una bomba ad orologeria che coinvolge tutto il territorio della città. Sono vicende che non devono passare sotto silenzio e che devono coinvolgere anche il Parlamento attraverso il dibattito, affinché si possa capire sul piano operativo cosa il Governo intenda fare.
La situazione è inagibile e si tratta di una inagibilità vera, reale; la popolazione vive una grossa angoscia, al di là delle scuole e dei bambini - visto che ci apprestiamo a discutere del provvedimento sulla scuola - ed è una vicenda che dovrebbe avere una risposta immediata da parte del Governo, il quale è chiamato ad assumere iniziative al di là di dello strumento del sindacato ispettivo che possiamo presentare, perché non è sufficiente porre una domanda e avere una risposta. Lo stesso si può dire a proposito della vicenda a sfondo razzista: domandare e avere una risposta rappresenta una liturgia che non affascina nessuno e non soddisfa.

PRESIDENTE. Non mancherò di riferire al Presidente Fini anche la sua giusta preoccupazione che riguarda la città di Crotone e i suoi abitanti.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università (A.C. 1634-A) (ore 10,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università.
Ricordo che nella seduta del 30 settembre scorso si è conclusa la discussione sulle linee generali ed hanno avuto luogo le repliche del relatore e del Governo.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 1634-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 1634-A), nel testo recante le modificazioni apportate dalla Commissione (Vedi l'allegato A - A.C. 1634-A).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli Pag. 5del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dalla Commissione (Vedi l'allegato A - A.C. 1634-A).
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (Vedi l'allegato A - A.C. 1634-A).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, 89 e 96-bis, comma 7, del Regolamento, le seguenti proposte emendative, già dichiarate inammissibili nel corso dell'esame in sede referente: Evangelisti 4.2, che destina risorse finanziarie allo sviluppo delle tecnologie multimediali negli istituti scolastici; Evangelisti 4.6, volto a dirottare talune economie di spesa al finanziamento del piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici; Vannucci 4.02, concernente la salvaguardia della specificità organizzativa vigente per la scuola dell'obbligo nei territori montani e nelle isole minori; Giovanelli 5.17, volto a istituire un fondo per promuovere la formazione degli insegnanti per l'utilizzo di nuovi strumenti didattici; Levi 5.04, volto a prevedere una detrazione fiscale per le spese inerenti l'acquisto dei testi scolastici; Gentiloni 7.01, recante norme relative al funzionamento dell'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica; Evangelisti 7.02, concernente la costituzione delle commissioni di ammissione e di esame con riferimento alle strutture ospedaliere convenzionate.
Avverto, inoltre, che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, 89 e 96-bis, comma 7, del Regolamento, le seguenti ulteriori proposte emendative non previamente presentate in Commissione, il cui contenuto non risulta strettamente attinente all'oggetto del decreto-legge in esame: Bellanova 1.71 e Lovelli 1.76, relativi alle iniziative per lo studio del codice della strada; Grassi 4.010, recante disposizioni finalizzate alla salvaguardia della presenza della scuola primaria nei territori montani e nelle isole minori (parzialmente analogo all'articolo aggiuntivo 4.02 già dichiarato inammissibile in Commissione); Lulli 5.91, che esclude i soggetti con specifiche difficoltà di apprendimento dalla nuova disciplina in materia di costo dei libri scolastici; Lo Moro 5.92, che prevede l'utilizzazione delle risorse economiche finalizzate a garantire la gratuità dei libri di testo nelle scuole dell'obbligo per l'acquisto della carta e dei toner; Evangelisti 5.050, volto a prevedere una detrazione fiscale per le spese inerenti l'acquisto dei testi scolastici (parzialmente analogo all'articolo aggiuntivo 5.04 già dichiarato inammissibile in Commissione).
Avverto, infine, che la presidente della Commissione cultura, onorevole Aprea, in data 30 settembre, ha inviato alla Presidenza una lettera con la quale trasmette due proposte emendative adottate dal Comitato dei nove all'unanimità dei rappresentanti dei gruppi in Commissione partecipanti alla riunione del predetto Comitato e sui quali - successivamente - hanno manifestato il proprio consenso anche i gruppi non presenti in tale sede, affinché la Presidenza valuti la possibilità di ammetterle al voto.
Le proposte emendative riguardano rispettivamente l'edilizia scolastica (emendamento 2.200) e la messa in sicurezza degli edifici scolastici (articolo aggiuntivo 7.0200), materie - come riconosciuto anche nella lettera - estranee al contenuto del provvedimento.
In considerazione del fatto che le stesse sono unanimemente sostenute da tutti i gruppi parlamentari (come risulta dalla lettera di cui ho testé dato conto) e della particolare importanza delle materie trattate, la Presidenza - anche sulla scorta di analoghi precedenti - ha ritenuto di ammetterli, accedendo in tal modo alla richiesta avanzata dalla presidente Aprea a nome della Commissione.
Avverto che la Commissione ha presentato una nuova formulazione dell'emendamento 4.200, volta a recepire la condizione formulata - ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione - dalla Commissione bilancio.
Avverto, inoltre, che la Commissione ha altresì presentato una nuova formulazione dell'articolo aggiuntivo 7.0200, anche inPag. 6questo caso al fine di recepire una condizione della Commissione Bilancio. I relativi testi sono in distribuzione.
Passiamo agli interventi sul complesso delle proposte emendative presentate.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, signor Ministro, ci ritroviamo qui anche questa mattina e siamo arrivati alla fase della discussione sul complesso degli emendamenti al decreto-legge n. 137 del 2008. Con la sua replica, a conclusione della discussione generale di martedì 30 settembre, ancora una volta, lei non ha voluto confrontarsi sul merito delle questioni poste nei numerosi interventi delle deputate e dei deputati del Partito Democratico. Ancora una volta, ha voluto sfuggire al confronto, non ha voluto tener conto delle nostre posizioni e delle proposte contenute negli emendamenti che abbiamo presentato, prima in Commissione e poi, per la verità molto di più, in Assemblea. Tuttavia non ci rassegniamo, ma continuiamo con pazienza e determinazione a dare voce in Parlamento non solo alle posizioni del Partito Democratico, ma anche e soprattutto al mondo della scuola, alle famiglie, agli insegnanti, agli operatori scolastici e agli studenti che, in tutto il Paese, esprimono, con varie modalità, le loro perplessità e il loro dissenso sulle gravissime scelte concernenti la scuola contenute nella manovra economica estiva: un taglio di circa 8 miliardi di euro e di oltre circa 130 mila posti di lavoro, che avete imposto al Parlamento con la decretazione d'urgenza e con i voti di fiducia. Con questo decreto-legge volete portare a compimento tali scelte. Nei vari articoli del provvedimento avete cercato di spostare l'attenzione degli italiani su altri argomenti: il voto in condotta, il voto numerico, il maestro unico. In particolare, con una straordinaria campagna mediatica, avete cercato di occultare il vero obiettivo del maestro unico che, nel suo intervento conclusivo, è diventato non più un maestro solo unico, ma anche prevalente. Mi consenta, Ministro, il maestro o è unico o è prevalente. Ma, come dicevo, il vero obiettivo - come risulta dal piano programmatico consegnato alle organizzazioni sindacali ma non ancora al Parlamento - è quello di tagliare oltre 25 mila posti negli organici degli insegnanti della scuola primaria. Vorremmo sapere, Ministro, come è concretamente possibile conciliare questi tagli con le promesse sul tempo pieno e con quanto è scritto nel piano. In esso infatti si prevede di definire, nel triennio, un organico con 25 mila insegnanti in meno, di garantire la dotazione organica alle classi con il maestro unico e con ventiquattro ore settimanali di attività didattica (in quanto considerate classi «privilegiate», proprio così è scritto nel piano) e di destinare i posti che avanzano nell'organico ai moduli e al tempo pieno. Di nuovo, con la decretazione d'urgenza, si vuole imporre al Parlamento una scelta così importante senza dare la possibilità ai deputati di poter verificare se le promesse del Governo corrispondono ad atti concreti. Ecco perché noi chiediamo lo stralcio dell'articolo 4 e di poterlo discutere insieme al piano programmatico. Abbiamo espresso la disponibilità a discutere il merito del decreto-legge, nonostante il chiaro intento propagandistico dei suoi contenuti. Abbiamo presentato infatti emendamenti finalizzati a migliorarlo, come ad esempio quelli riguardanti l'articolo 1, relativo alla disciplina «Cittadinanza e Costituzione». Abbiamo proposto altresì alcuni emendamenti finalizzati a correggere un impianto assurdamente punitivo nei confronti dei bambini della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, per i quali, all'articolo 3, viene addirittura prevista la bocciatura per un'insufficienza in una sola materia. Non tanto per noi, quanto per i bambini italiani, siamo contenti di aver contribuito a modificare almeno in parte questa assurda vessazione. Poco importa se non ci viene neanche riconosciuto il merito di aver sollevato per primi e con forza la questione.
Torniamo alla questione centrale di questo decreto-legge: quella del maestro unico. Francamente, Ministro, mi sareiPag. 7aspettata che, almeno nelle conclusioni, avesse difeso la ragione fondamentale di tale scelta e cioè quella che: «non possiamo permetterci una scuola così costosa» (sono le parole del Ministro Tremonti). Invece, anche questa volta, ha tentato di supportare tale scelta con i dati negativi del libro bianco sulla ricchezza dell'apprendimento in matematica e nella lettura dei ragazzi italiani.
Conosciamo bene il libro bianco, i punti positivi e i punti critici della scuola italiana che vengono individuati. E su tutto questo volevamo confrontarci per contribuire, con idee e proposte, a individuare scelte efficaci per affrontare questi nodi critici. Ma i dati critici del libro bianco, in particolare per quanto riguarda la ricchezza degli apprendimenti, si riferiscono ai nostri ragazzi quindicenni e non ai bambini della scuola primaria. Invece, a fronte di questi dati negativi, ricerche internazionali collocano la nostra scuola primaria tra i primi posti nel mondo e in Europa.
Per quale ragione, dunque, non si affrontano le vere criticità e si attacca la scuola primaria che è quella che viene certificata a livello internazionale come scuola di eccellenza? Per quale motivo si vuole destrutturare il punto di forza del nostro sistema di istruzione?
La scuola elementare riformata del modulo e del tempo pieno è stata costruita, giorno per giorno, anno dopo anno da circa vent'anni (e dopo anni di sperimentazione). Si partiva, è vero, da una scuola che aveva già dato una buona prova di sé nel perseguire gli obiettivi fondamentali di quella fase storica del nostro Paese e cioè di insegnare a scrivere, a leggere e a far di conto. Ma la scuola elementare riformata è nata per rispondere a nuove sfide educative e formative: l'inserimento dei bambini disabili, l'integrazione in tempi brevi di migliaia di alunni immigrati, le difficoltà e le crisi delle famiglie e dei contesti sociali, l'emergere di nuove forme di povertà, di marginalità e l'irrompere della società della conoscenza. La nuova scuola è stata contemporaneamente chiamata a sostenere, per lungo tempo da sola, l'impatto con la società multimediale e con un vorticoso rumore mediatico in un orizzonte globalizzato. Una società della conoscenza, ma anche dell'immagine che sostituiva la calma lenta del fruire del tempo e il ricorso rassicurante degli eventi familiari. Sono entrati, tra gli alfabeti su cui istruire gli alunni, quelli delle immagini, dei suoni, del movimento. Si sono dilatati gli spazi geografici e gli orizzonti storici.
Per esemplificare con le discipline (o materie) tutto questo vuol dire: italiano, inglese, storia, geografia, matematica, scienze, tecnologia e informatica, arte e immagine, scienze motorie e sportive, musica e infine, cittadinanza e Costituzione.
Ma davvero pensate che riducendo il tempo scuola a ventiquattro ore settimanali, quattro ore al giorno e con un solo maestro si possa continuare a soddisfare bisogni educativi e formativi dei bambini di oggi e degli anni che verranno? Noi siamo veramente molto preoccupati per i danni irreversibili che queste scelte possono determinare.
In questi giorni, poi, è anche successo l' inverosimile: per le scuole autonome oltre al danno anche la beffa. Con un emendamento, chiaramente imposto dal Governo, le risorse aggiuntive necessarie per far decollare il maestro unico vengono messe a carico delle scuole. Così, non solo non vengono aumentati i Fondi per l'autonomia scolastica, ma addirittura sono decurtati per supportare una scelta che non hanno condiviso. È del tutto evidente, dunque, che la scelta del maestro unico e della riduzione dell'orario scolastico non ha altra ragione se non quella di procedere ad un taglio indiscriminato della spesa, senza alcuna considerazione delle ricadute negative sulla qualità del nostro sistema dell'istruzione, che dovrebbe al contrario costituire un punto di forza del nostro Paese.
Noi non vogliamo sottrarci ad un confronto sul tema del contenimento e della qualificazione della spesa anche nella scuola. Ma per affrontare questo tema in modo efficace e produttivo per il Paese noi pensiamo che il punto di partenza nonPag. 8possa essere: prima si taglia e poi si fa il progetto. Per noi il punto di partenza è che la scuola, l'educazione, la formazione delle giovani generazioni debbono essere la priorità per la crescita e per costruire un nuovo futuro per il nostro Paese. Un Paese invecchiato, ripiegato su se stesso, per superare la crisi e le difficoltà di oggi e guardare al futuro, deve investire sui propri giovani, sulle loro diverse intelligenze, sui loro talenti.
Per questo pensiamo che sia un grave errore, per giustificare le scelte sbagliate del Governo, continuare ad umiliare (come ha fatto nuovamente ieri, in una conferenza stampa, il Presidente del Consiglio) la scuola italiana, senza affrontare seriamente le sue debolezze e aggredendo i suoi punti di forza.
Ma proprio per dare voce a questa scuola italiana che vuole cambiare, e non per tornare al passato, ma per essere in grado di affrontare le nuove sfide di oggi guardando al futuro, che noi continueremo ad confrontarci in quest'Aula e a sostenere i nostri emendamenti chiedendo con forza, in particolare, lo stralcio dell'articolo 4 sulla riduzione dell'orario scolastico a ventiquattro ore settimanali ed il maestro unico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor Ministro, prendere la parola sul complesso degli emendamenti è sempre un aspetto ripetitivo ma, anche se si rifà certamente all'apporto, al contributo dei colleghi per quanto riguarda il testo che, come si dice con una parola ormai consumata ed usata, serve a migliorare il testo, è un contributo migliorativo.
Intanto voglio ringraziare il relatore, che ho visto in Aula già in altre occasioni impegnato sui problemi della scuola e poi anche il collega del Governo. Ritorniamo su temi che si ripropongono puntualmente. Infatti, ad ogni principio di legislatura si ripresenta una riforma scolastica o un abbozzo di riforma scolastica.
Tuttavia, volevo svolgere una riflessione, signor Presidente, perché so di trovarla sensibile anche in ordine a tali aspetti. Non so se le vicende della scuola siano rapportate o armonizzate con l'evolversi delle vicende storiche, sociali e civili di questo nostro Paese. Certamente dovrebbe essere così. Tuttavia, a volte la scuola è stata una variabile indipendente rispetto a ciò che avveniva all'interno del nostro Paese e negli ultimi anni vi è stato uno sforzo di sincronizzare la scuola con quelle che sono le attese più vere diffuse all'interno della società italiana.
Non so se i Governi e i Parlamenti, nel corso del tempo, siano riusciti a collegarsi e a sintonizzarsi con questo pensiero, con queste richieste ed esigenze. Certo è che abbiamo, per quanto riguarda le riforme, portato una serie di stratificazioni. Infatti, ognuno è venuto qui - anche in qualità di membro del Governo - con la propria idea e con la propria visione della storia e della società. Tuttavia, non vi è dubbio che le grandi riforme si possono riferire e riportare alla scia culturale che è venuta fuori nel nostro Paese nel 1968, iniziando certamente anche con le vicende dell'università. Infatti, chi non ricorda il diciotto garantito nelle università? Si trattava di un concetto di formazione e anche di una certa forma di autorità - tra virgolette - che veniva meno, che veniva ad essere inficiata e ad essere posta in discussione.
Le università poi si sono rivalse, dopo il 1968, aumentando la loro autonomia. A questo punto voglio chiedere e sottoporre al Ministro la seguente riflessione. Anche le università devono essere riformate, ma se pensiamo ad una riforma della scuola elementare e primaria per poi proseguire con la scuola secondaria, ebbene le università non possono essere qualcosa di distaccato nel contesto della società. Infatti, un altro aspetto che mi ha sempre angustiato - l'ho sostenuto in Aula in ogni occasione - è che le università sono legibus solutae, sono al di fuori di ogni norma anche di diritto penale (lo ripeto: anche di diritto penale!). Quando parliamo di scuola parliamo di formazione, di messaggi, di testimonianze, di input, di esempi,Pag. 9di comportamenti e certo ciò che viene dall'università non è un esempio esaltante. Di conseguenza, vi è un percorso, una sorta di tram che va e ritorna, perché non c'è dubbio che coloro che escono dalle università sono i futuri docenti venuti fuori ed educati in un certo modo che non è, come dicevo poc'anzi, un modo che possa essere soddisfacente per un Paese che ritiene di essersi incamminato inesorabilmente sulla strada della civiltà.
Ciò detto, signor Presidente, volevo far presente anche al Ministro che non sono fra coloro che bacchettano i Ministri solo perché si trovano all'opposizione e ne ho dato atto al relatore, per carità! Non uso recitare il copione della ubicazione in quest'Aula. Tuttavia, una riflessione la voglio ugualmente fare.
Questo approccio si dovrebbe sintonizzare con una riforma più complessiva e più generale, rompendo il circuito della sclerosi e della burocratizzazione in cui la scuola è caduta in questo momento dove non è più prevalente la didattica, ma la burocratizzazione e soprattutto la cura degli scritti, dei moduli e dei sotto-moduli e la questione dei cellulari, verso un progetto più alto e più vasto non della scuola, ma della società.
Non c'è un progetto di scuola svincolato dal modo di essere della società e non ci può essere, ovviamente, un progetto di scuola che non risenta anche delle condizioni politiche (che non sono ininfluenti). A mio avviso, il concetto di democrazia è quello che abbiamo vissuto via via nel tempo e che si è smarrito dal 1994, soprattutto in riferimento al ruolo dei partiti, al pluralismo, e dove si evidenzia una realtà sempre più chiusa e circoscritta rispetto al fluire delle vicende.
Abbiamo sentito il collega poco prima fare una polemica con il Presidente del Consiglio dei ministri e non ho voluto assolutamente rispondere. Tuttavia, il problema non è cosa dice il Presidente del Consiglio dei ministri, ma il fatto che, più che il Parlamento, è il Paese ad essere stanco e lo è anche la politica che, meglio ancora, è inesistente. Ci dovremmo interrogare in termini più lati; poi se vogliamo fare la polemica con Berlusconi la facciamo tranquillamente tanto è a portata di mano e soprattutto è dietro l'angolo.
Il dato della scuola è questo: vi è il problema della burocratizzazione. Signor Ministro, lei ha la fortuna di essere molto giovane. Noi abbiamo vissuto anche il 1975 ed il dibattito degli anni 1973-1974 (onorevole Aprea, lo ricorda?) quando i cosiddetti decreti delegati dovevano essere un momento di rottura di una vecchia concezione scolastica e dei rapporti scolastici e dovevano costituire un momento di raccordo tra docenti, discenti e famiglie.
Che cosa rimane di quella realtà e di quel momento tanto atteso e tanto vissuto anche dalla scuola italiana e dalla società italiana? Proprio nulla: le famiglie sono la controparte della scuola. Avevamo anche auspicato l'abolizione del valore legale del titolo di studio ed anzi la estenderei alla scuola dell'obbligo.
La scuola dell'obbligo è stata intesa, però, come promozione ad ogni costo. Bisogna promuovere e a 13, 14 anni, bisogna cacciare via gli studenti dalla scuola media perché è come se la scuola dell'obbligo fosse accompagnata dall'obbligatorietà anche del pezzo di carta. Abbiamo burocratizzato tutto. Certamente il dato che oggi emerge è questo.
Non voglio assolutamente pensare che si faccia un provvedimento, dove c'è un discorso di precariato, con 83 mila posti in meno e 47 mila in meno per quanto riguarda gli ausiliari e gli amministrativi. Non voglio pensare minimamente che un Governo della Repubblica tolga soldi al sapere (che è poi un problema della formazione) per fare poi queste riforme; sarebbe veramente una iattura.
Sulla scuola abbiamo demandato molto e su una cosa volevo... poi il Ministro, ovviamente, leggerà il mio intervento sul resoconto stenografico dopo le sue telefonate, tranquillamente. Gli stenografi sono attrezzati per questo, ma molte volte diventa anche difficile capire perché il Governo sia in Aula, forse per avere soltanto una presenza fisica. C'è un parlamentare in Aula che sta intervenendo (Commenti del deputato Aprea)... sono stato anche io alPag. 10Governo per dieci anni e avevo rispetto anche nei confronti dell'Aula. Poco fa ho contestato Giachetti che diceva alcune cose, non mi fate dare ragione a Giachetti, tanto per intenderci!
Continuo nel mio ragionamento.
Noi alla scuola abbiamo dato molti compiti. Il compito principale è quello della formazione e dell'educazione, soprattutto al senso della legalità. Si dice che dobbiamo mettere tra gli insegnamenti l'educazione civica e la Costituzione, ma c'è già da molti anni, introdotta da Aldo Moro: non si è fatto. Il problema dell'educazione civica e della Costituzione è trasversale, il problema non è quello di prevedere la materia e basta, ma di capire come si inserisce tutto questo discorso per quanto riguarda la crescita e la formazione dei cittadini e dei giovani. Noi avevamo fatto nella XIV legislatura un accordo con il Ministro Moratti per quanto riguarda l'educazione stradale; poi c'è qualcuno che chiede l'educazione ambientale, l'educazione alimentare: possiamo affidare tutto alla scuola? Con queste strutture e con questi docenti così pagati e così considerati?
Noi dobbiamo considerare la scuola come un momento fondamentale perché nasca un senso della legalità, dell'ordine e anche del rispetto dell'autorità: in tal modo l'insegnante è un educatore e un momento importante, imprescindibile della vita civile e democratica del Paese, e lo dobbiamo considerare non come un burocrate, ma come un insegnante da pagare adeguatamente e da formare, perché la classe docente va formata. Qualche maligno può pensare che abbiamo sfiducia nei confronti dei docenti. I docenti sono ovviamente sfiniti: non si è capito le riforme che abbiamo fatto; non si è capito in quale direzione devono andare gli uffici regionali scolastici, perché a quelli provinciali abbiamo lasciato solamente compiti tecnici e basta; non si sa quale sarà il rapporto tra gli uffici regionali scolastici e l'assessorato della regione, quando verrà fuori il federalismo: sono tutti problemi che certamente possono avere una loro collocazione e possono avere una loro razionalizzazione nella misura in cui tutto questo si raccorda con una scia più vasta.
Poi c'è il problema del tempio pieno: non ci sono più le ore di recupero nel pomeriggio, con le ripetizioni che i maestri facevano con il tempo prolungato. Dobbiamo anche capirci, perché il tempo prolungato è un parcheggio, come la scuola sta diventando un parcheggio, per le famiglie è la continuità dell'asilo. Il tempo pieno dovrebbe essere invece sostitutivo delle ripetizioni che i professori facevano prima. Ridimensionare questo tipo di realtà non so se si raccorda con un progetto complessivo della scuola. Vi è anche il problema dell'insegnante di sostegno: si parla di rapporti uno a quattro, uno a tre, uno a uno. Ci sono delle patologie, lo ha evidenziato anche la scuola Aldisio di Catanzaro, che sono gravissime: ma è possibile immaginare che il rapporto sia di uno a due o uno a tre?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Ho finito, signor Presidente, e la ringrazio anche per la sua considerazione e attenzione.
Ma veramente possiamo immaginare questo, con patologie gravi? Signor Presidente, mi rivolgo a lei, visto e considerato che non ho interlocutori se non la cortesia dei colleghi: non si è capito che non è soltanto un problema di docenti ma anche un problema sanitario, di aiuto psicologico.
Una battuta sul maestro unico e ho finito, signor Presidente. Io sono per il maestro prevalente o unico, come lo vogliamo chiamare, forse vengo da una vecchia concezione, sono della cosiddetta prima Repubblica (qualcuno si è riciclato, anche in quest'Aula, io sono rimasto lì perché non mi vergogno, tanto per intenderci; qualcuno si è riciclato per essere attuale ed essere sempre in pista). Io sono per il maestro unico con un corollario di discipline, ma per un maestro come educatore, come formatore, come riferimento, non un burocrate. Ecco perché dico che questo sforzo fatto dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - siPag. 11dice così, perché ogni tanto qualcuno cambia etichetta e dicitura del Ministero - è uno sforzo che va considerato con molta attenzione.
I colleghi del mio gruppo, onorevoli Ciocchetti e Capitanio Santolini, hanno apportato i loro contributi, e l'onorevole Capitanio Santolini è intervenuta anche in sede di discussione sulle linee generali.
Non vi è dubbio che noi andremo in quella direzione e daremo ulteriori contributi, ma ovviamente, in sede di esame delle proposte emendative, il Ministro dovrebbe essere così cortese da dirci qual è la tappa successiva, non della piccola riforma o della mia riforma, ma di una riforma che nasce dal cuore e non dai numeri tristi di un'economia e, soprattutto, dalle istanze del Ministro dell'economia e delle finanze.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Giuseppe. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, signor Ministro, signor presidente della Commissione cultura, onorevoli colleghi, dopo i diversi interventi in Aula mi sarei aspettata un ripensamento o, meglio, una riflessione da parte del Ministro. La speranza, comunque, è l'ultima a morire, e me lo auguro ancora.
Considerata l'urgenza di questo decreto-legge in esame, sembra che abbiano sbagliato tutti quelli che fino ad ora, per decenni, hanno lavorato per una scuola vicina ai bambini, ma anche ai genitori e agli utenti della scuola. Noi tutti ci siamo chiesti quali fossero le emergenze e le motivazioni che hanno portato a questi cambiamenti, ma poi le motivazioni addotte dal Ministro ci hanno fatto capire che, in fondo, non vi sono fini o motivi pedagogici. Il dubbio che è affiorato è che il Governo voglia favorire le scuole private, offrendo poi denaro pubblico.
Signor Presidente, si invoca un'urgenza che, in fondo, non ha ragione di esistere. Ad inizio anno scolastico sono stati effettuati cambiamenti che hanno messo in difficoltà l'organizzazione scolastica stessa. All'inizio di ogni legislatura la scuola è bersagliata da decreti e circolari esplicative degli stessi, che la destabilizzano. Eppure, non esistono nel decreto-legge in esame problematiche tali da non potere essere risolte in tempi più lunghi, anche con la condivisione di chi lavora nella scuola.
Sarebbe stato opportuno analizzare i punti di forza e di debolezza della scuola, provvedendo a monte ad un'analisi più approfondita, considerato che la scuola è il luogo di educazione e di formazione per eccellenza. È a questo obiettivo, soprattutto, che dobbiamo tendere: dobbiamo crederci.
Signor Ministro, ritengo che gli utenti della scuola, gli studenti, i genitori, i docenti e il personale ATA avrebbero meritato una maggiore considerazione: ciò si sarebbe potuto ottenere rendendo la scuola più attraente per gli alunni e maggiormente partecipativa per i genitori, gratificando i docenti e il personale ATA e valorizzando le loro professionalità (perché, signor Ministro, di professionalità ne hanno!).
In verità, però, le difficoltà che si riscontrano nelle scuole derivano da problemi connessi all'edilizia scolastica, alla mancanza dei laboratori e di strutture e, soprattutto, al rapporto fra le attese delle famiglie e il territorio stesso, considerato che la scuola deve essere aperta al territorio. È quindi sbagliato porre l'accento su questioni che non sono né di fondamentale importanza né centrali. In questo modo continuiamo a dare una rappresentazione non vera della scuola italiana e dei suoi problemi.
Fattori che noi dell'Italia dei Valori, invece, riteniamo rilevanti sono gli effetti della razionalizzazione della rete scolastica, perché centinaia di scuole perderanno l'autonomia. Ci sarà un taglio di dirigenti scolastici e di altrettanti direttori dei servizi generali amministrativi e ci sarà anche una diminuzione del personale docente ed ATA: scusate se questo è poco!
Un dato che deve far riflettere, ad esempio, è il seguente: il prossimo anno, nella mia regione, il Molise, saranno operati tagli e riduzioni per 402 posti diPag. 12lavoro nella scuola. Come ho affermato in un precedente intervento, dopo l'inaugurazione della scuola di San Giuliano di Puglia, comunque in Molise chiuderanno decine e decine di scuole. Alla faccia del bene comune per tutti (ma di questo, signor Ministro, parleremo in seguito).
Pare giusto un corretto dimensionamento scolastico, per evitare uno spreco di risorse, ma credo che sia ancora più importante trovare le risorse da reinvestire nella scuola per la formazione dei nostri giovani e per effettuare una giusta azione di orientamento, per prevenire l'abbandono scolastico, che preoccupa tutti.
Signor Presidente, la riorganizzazione di un sistema tanto complesso come quello della scuola ha bisogno di maggiori risorse e di progetti che valorizzino l'esistente, ma nella manovra finanziaria di Tremonti e nel piano attuativo del Ministro Gelmini questi aspetti non si evidenziano.
Da dirigente di un'istituzione scolastica in aspettativa mi chiedo: cosa si vuole fare? Si vuole tornare a un sistema di istruzione vincolato da gestioni centralistiche e burocratiche? Quale margine sarà lasciato, in fondo, alle scuole? Quanta libertà nelle scelte educative e formative?
Il nostro sistema scolastico verrà distrutto da una mannaia che produrrà: riduzione del numero delle sedi scolastiche; classi più numerose, prodotte dai numeri massimi di alunni per classe; chiusura di classi e scuole nei piccoli centri, dove le scuole non riusciranno a formare classi con i nuovi massimi; sicuramente l'aumento delle pluriclassi, con la possibilità di raggruppare alunni di corsi diversi; riduzione degli organici per l'istruzione per adulti; riduzione oraria del funzionamento delle scuole; cancellazione dei modelli didattici di qualità, quali sono i moduli; eliminazione di figure professionali nella scuola.
È vero, la scuola italiana deve essere rinnovata e riformata, ma sicuramente ridurre non vuol dire rinnovare. Per quanto concerne l'espressione del giudizio valutativo, numeri o vocaboli, ciò che conta è la qualità del processo valutativo.
Ventiquattr'ore alla scuola primaria sono davvero poche, se vogliamo una scuola in cui bambini si mettano in gioco. Vogliamo questo? Questo serve oggi ai nostri ragazzi per proseguire adeguatamente negli studi? Ridurre il tempo-scuola significa sottrarre spazio alla riflessione e alla rielaborazione, significa dare poco tempo agli alunni per ragionare, provare, confrontarsi. Siamo convinti che ogni esperienza scolastica offerta in meno ad un bambino si ripercuoterà significativamente sul piano della sua crescita futura.
Infine, vorrei raccomandare al Ministro di fare meno dichiarazioni: non segua il Presidente del Consiglio. È stata grave la sua affermazione sulla nostra depressione; non commetta, signor Ministro, lo stesso errore, lei che reputo una persona intelligente. Sarebbe meglio parlare poco e ascoltare molto, per poter governare bene.
Se è vero, come è vero - ne sono convinta - che il bambino è la forma migliore dell'essere umano, cerchiamo di non danneggiarlo. Anche se ritengo che il Ministro abbia ascoltato ben poco il mio intervento, lo ringrazio lo stesso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, inizio ringraziando il presidente della Commissione e tutta la Commissione, nonché la solerzia del Ministro, perché tutti insieme sono stati attenti, presenti e diligenti nell'ascoltare e nel recepire le varie istanze emerse da un dibattito lungo, attento e, devo dire, anche appassionato. D'altra parte, l'argomento su cui ci troviamo a discutere è talmente pregnante ed è talmente importante per la nostra società che credo sia quasi pleonastico dire che bisogna porre attenzione a questa realtà.
Tutti noi che siamo qui, in modo particolare i componenti della VII Commissione, che, in un modo o nell'altro, sono tutti legati al mondo della scuola, abbiamo dato il nostro contributo, e non poteva essere diversamente, contributo che è stato anche il risultato di discussioni, magariPag. 13anche accese, che hanno tenuto conto della situazione globale nella quale ci troviamo oggi nella nostra società. È stata una discussione che, però, ha dato anche dei risultati.
Volevo partire anche dalla considerazione, anch'essa pleonastica, che la scuola riflette la situazione della società.
La scuola è il riflesso della società. Ma cosa succede quando la scuola viene considerata, più che un elemento di formazione e di istruzione, un luogo in cui collocare i nostri figli? Vorrei che quando si parla di scuola si tenesse conto di questo: la scuola non è un parcheggio. È già stato detto anche da chi mi ha preceduto, ma l'avevamo già osservato anche nel corso della discussione sulle linee generali, e anche in tante altre occasioni in cui ci siamo trovati a parlare di scuola.
Perché dico questo? Perché già si è detto più volte che per dare valore, per dare il giusto valore alla scuola, bisogna partire da chi si trova all'interno della scuola, ossia dai docenti e dagli studenti: docenti e studenti che meritano rispetto, docenti e studenti che meritano la giusta attenzione. Spesso abbiamo detto a proposito dei docenti che sono in Italia (mi sembra di ripetermi, ma è utile ricordarlo) che probabilmente si è trattato di rispondere ad un problema di «sistemazione» (brutto termine), sistemazione come posto di lavoro, molto spesso ci si è dimenticati del loro ruolo e della loro importanza: tanto che si è scaduti a considerare l'insegnante soltanto o un parcheggiatore o una baby sitter, visto che ci sono fra loro tante donne, e ci si è dimenticati invece della dignità e della credibilità che si deve dare all'insegnante.
La dignità e la credibilità passano anche dall'aspetto economico (purtroppo la nostra società dà valore in modo particolare all'aspetto economico); ma voglio aggiungere anche un altro termine, il termine competenza. Si discuteva, anche nella nostra Commissione, della situazione della scuola media: ho sostenuto diverse volte che l'anello debole della scuola è la scuola media, la cosiddetta secondaria di primo grado. Ma bisognerebbe, come sempre, risalire alle cause di queste situazioni così gravi. Ci troviamo di fronte ad una realtà che tante volte sembra che ci sia caduta sulla testa, ma che è invece il risultato di certe scelte che sono state assunte precedentemente, che magari sono state prese tenendo presenti altre finalità. Mi voglio riferire all'affermazione che tutti ormai fanno, che i nostri studenti sono i più carenti in Europa per quanto riguarda l'insegnamento della matematica.
Ci siamo chiesti qual è il motivo per cui proprio la matematica è l'elemento più debole? La risposta è semplice, se andiamo a considerare come sono stati fatti gli accorpamenti delle discipline. Ci sono degli insegnanti laureati in alcune discipline che insegnano matematica nella scuola secondaria inferiore, e mi voglio riferire in modo particolare, per esempio, agli insegnanti laureati in biologia, o peggio ancora a laureati in sociologia, laureati in psicologia. È chiaro che poi, se la scuola secondaria inferiore è quella che deve dare lo slancio per la scuola secondaria superiore, quelle carenze, che nascono per una scelta sbagliata nell'accorpamento di queste discipline, il cosiddetto vulnus, come si usa dire oggi, non verrà mai sanato.
Un invito quindi voglio rivolgere da questi banchi, affinché venga presa in considerazione anche la riforma in toto, in modo particolare la riforma della scuola media inferiore. Avrei delle idee che ho già espresso in altre occasioni, ma magari se ne può riparlare. Questa mi sembrava una cosa importante, perché se non andiamo alla radice delle situazioni, se non andiamo alla radice dei mali della scuola, non riusciremo mai a risolverli, nessuna riforma o nessun tentativo darà risultati positivi.
Per entrare nel merito del decreto-legge che stiamo convertendo, abbiamo discusso a lungo, come dicevo all'inizio, e siamo riusciti a trovare degli accordi, sia tra i rappresentanti del Popolo della Libertà e noi che rappresentiamo la Lega, sia anche con i colleghi dell'opposizione.
Per questo ringrazio sia la presidente sia il Ministro che hanno recepito le nostre istanze, in modo particolare quando si èPag. 14parlato appunto della scuola primaria, la quale, come sappiamo, è il punto iniziale dell'educazione e della formazione (ed insisto proprio nel riferimento all'educazione).
Riguardo alla scuola primaria giustamente forse non era il caso di esprimere un atteggiamento troppo forte, ed esprimo un ringraziamento per il fatto che è stato recepito dalla Commissione tutta un emendamento in base al quale si è ritenuto di dare collegialità alle decisioni sulla valutazione e sulla promozione dei bambini e, in modo particolare, di prevedere che solo in casi gravissimi un bambino di prima o di seconda elementare possa non essere ammesso alla classe successiva (peraltro, siamo riusciti a reperire e a riconfermare il principio della collegialità anche per ciò che riguarda le decisioni nella scuola secondaria).
Mi interessa molto anche discutere di ciò che abbiamo ottenuto laddove si parlava di educazione alla legalità, in modo particolare attraverso la reintroduzione della cosiddetta educazione civica (educazione civica che vi è sempre stata e che gli insegnanti di letteratura e storia, perlomeno chi di loro la considerava positivamente, hanno sempre insegnato).
Siccome crediamo che la scuola abbia un compito molto importante - insisto, ripeto, molto di più sull'educazione che sulla formazione -, abbiamo ritenuto che l'educazione alla legalità partisse giustamente dallo studio della Costituzione, ma per essere più vicini ai nostri ragazzi e ai nostri studenti abbiamo chiesto di reintrodurre anche lo studio degli statuti regionali. Questa nostra istanza è stata accolta ed anche ciò è per noi motivo di soddisfazione.
Ci interessa, inoltre, riflettere e riconsiderare l'attenzione rivolta alla questione dei disabili (ossia all'educazione e alla formazione dei disabili e, comunque, al loro processo di crescita), rispetto alla quale siamo molto attenti. Ritengo che giustamente, laddove si parla di valutazione, non si può certo parametrare la valutazione dei disabili alla valutazione degli altri studenti (e ai relativi criteri). Bene hanno fatto, quindi, i colleghi ad approfondire tale argomento, che anche noi abbiamo sostenuto e che tutti hanno convenuto di sostenere.
Ci interessa anche un'altra realtà, alla quale noi teniamo in modo particolare, proprio perché siamo a contatto con il mondo della scuola, cioè quella dei libri di testo. Sappiamo bene che all'inizio di ogni anno le famiglie - è inutile ripeterlo - si trovano a sostenere un peso molto forte ed importante per la spesa scolastica. A tale proposito apro una parentesi, solo per ricordare quanti soldi spendono i nostri ragazzi in merendine e cose di questo tipo e, quando i genitori venivano a lamentarsi, ricordavo sempre loro che un libro è molto più importante di tante altre cose. Ciò detto, è anche vero che purtroppo tante volte le case editrici, se mi passate il termine, ci marciano; ed è anche vero che spesso era sufficiente cambiare una fotografia all'interno del testo, oppure modificare qualche riga di una pagina per cambiare l'edizione e, quindi, costringere in qualche modo i genitori a cambiare il libro.
Il parametro dei cinque anni (l'impegno degli editori a non cambiare il contenuto se non dopo i cinque anni) mi sembra pertanto abbastanza utile; tuttavia abbiamo sottolineato un altro aspetto, e cioè che anche adottare il testo dopo i cinque anni, non prima di cinque anni, fosse per così dire una svista. Bisogna infatti considerare sei anni, perché i percorsi temporali della scuola secondaria, sia primaria, sia secondaria, sono diversi da quelli della primaria e quindi non procedono di cinque anni in cinque, bensì di sei anni in sei (considerando il biennio di due anni, e quindi i tre cicli del biennio, e i due cicli del triennio).
Anche questa nostra istanza è stata accolta e quindi riteniamo che la Commissione abbia lavorato bene, che i colleghi ci siano stati vicini e che anche il Ministro abbia recepito queste nostre realtà.
Come poi non ricordare anche il contributo fornito dalla V Commissione, chePag. 15ci ha evidenziato la reperibilità di 20 milioni di euro per la sicurezza delle scuole?
Questi aspetti, quindi, ci rendono soddisfatti e, di conseguenza, esprimiamo un parere favorevole su tutto il lavoro svolto e la nostra posizione sul provvedimento sarà estremamente positiva.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola elementare «Salvatore Valitutti» del 71o circolo di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). Saluto, inoltre, anche l'altra scuola che, nel frattempo, si è unita nelle tribune e di cui sono in attesa di conoscere il nome: siamo ben lieti che siate qui presenti proprio in questa giornata (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevole presidente della Commissione, avviando il mio intervento, questa mattina, a nome del gruppo Partito Democratico mi piace citare una frase, che nel dibattito di questi giorni sulla scuola mi ha molto colpito e che vorrei riferire all'Aula come inizio di riflessione. La frase è del cardinale Dionigi Tettamanzi, che scrive quanto segue: «le riforme sono pane quotidiano in settore cruciali come questo» - parlando della scuola - «ma dopo la riforma ci deve essere anche una verifica utile e necessaria per confermarla, oppure modificarla» e termina la citazione dicendo: « la riforma non può essere permanente ». Partirei proprio da questa affermazione di buon senso, per esprimere tutte le mie, le nostre, perplessità sul provvedimento in discussione.
Constato che il Governo è assente; ieri ci hanno parlato di scuola telematica, forse questo è un «avangusto» della scuola telematica. Noi però continuiamo, il Parlamento sembra depresso, ma noi siamo qui e lavoriamo.

PRESIDENTE. Onorevoli Touadi, le chiedo scusa, ma se quella del Ministro è un'assenza temporanea, ritengo sia il caso di rispettarla.
Sospendo la seduta per qualche minuto.

La seduta, sospesa alle 11,13, è ripresa alle 11,15.

PRESIDENTE. Saluto un'altra classe di studenti dello stesso istituto della scuola elementare «Salvatore Valitutti» di Roma, che sta assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Prego l'onorevole Touadi di proseguire il suo intervento. Non toglieremo alcun minuto al suo intervento, né lo aggiungeremo però.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, onorevole Ministro, abbiamo pensato che ci fosse un'anticipazione della scuola telematica che è stata inaugurata ieri.
Stavo dicendo che nel corso degli ultimi dieci anni la scuola, nel suo complesso, è stata investita da una serie di riforme che hanno interessato tutti gli ordini di istruzione, spesso col cambio di Governo in carica, ed entrando anche in contraddizione tra di loro. E, come giustamente ha rilevato il cardinal Tettamanzi - lei, Ministro, non ha sentito la citazione perché era assente - la riforma non può essere permanente. Invece, il Governo si accinge ad adottare un'ennesima riforma della scuola, in particolare della scuola elementare, proprio quel segmento del nostro sistema scolastico che le rilevazioni internazionali (le famose rivelazioni OCSE) pongono al secondo posto in Europa e al sesto nel mondo.
Entriamo nel metodo e nel merito del provvedimento proposto dal Ministro Gelmini. Prima di tutto occorre rilevare che l'adozione di numerosi provvedimenti in materia di istruzione mediante un decreto-legge pone in essere numerose criticità. Non si cambia un modello pedagogico, quello del modulo per esempio, con un provvedimento adottato ad agosto e con carattere di urgenza. Una riforma di tale ampiezza in un segmento, in un settore della nostra vita collettiva così sensibile dovrebbe essere una riforma pensata, ponderataPag. 16e, soprattutto, metodologicamente si doveva effettuare quello che ormai nei metodi di lavoro anglosassoni, e non solo, si chiama la evaluation del passato: una valutazione di ciò che ha prodotto la riforma antecedente, ma anche uno studio degli scenari culturali e sociali dentro ai quali questa riforma viene a collocarsi. Non è accaduto niente di tutto questo. In pochissimo tempo la riforma è stata varata con carattere d'urgenza.
Non si cambia quindi un modello pedagogico - questo è il secondo rilievo e la seconda criticità - senza il necessario e indispensabile confronto con gli insegnanti e le famiglie. Si tratta di un punto fondamentale perché la nostra, Ministro, è una società complessa e articolata, dove esistono, oltre alle istituzioni e alle famiglie, una serie di corpi intermedi che hanno un'importanza proprio nell'articolazione complessa della nostra società. Ebbene, questa società complessa mal sopporta le scelte dettate dall'alto, senza quella necessaria e propedeutica consultazione che sarebbe stata utile anche per arricchire e per dare un contributo positivo al progetto iniziale del Governo.
Vengo alla terza criticità: non si cambia un modello pedagogico avendo quale unico obiettivo il taglio della spesa pubblica. È stato già detto da altri colleghi, però vorrei insistere su questo elemento. Il Ministro Tremonti ha abituato l'opinione pubblica, il Parlamento e la nostra riflessione sull'onnipresenza del mercato e dell'economia. Qualcuno diceva - mi pare fosse Jospin, l'ex leader francese - che ci è stata promessa un'economia di mercato e ci siamo ritrovati a vivere in una società di mercato.
Ebbene il metodo, il punto di partenza per questa riforma, che è un punto di partenza di equilibrio di bilancio e di taglio della spesa pubblica, contraddice in qualche modo questa impostazione del Ministro che sembra far prevalere gli elementi quantitativi e quindi econometrici sugli elementi di qualità e di merito in un aspetto così sensibile. Parlando di scuola io penso che alcuni settori della vita collettiva devono essere sottratti alla logica imperante della quantità e delle valutazioni econometriche. La scuola non ha prezzo, la scuola non si misura in quantità di spesa, ma andrebbe calibrata con altri criteri.
Mi domando, quindi, e chiedo a lei, signor Ministro, come abbia potuto accettare senza battere colpo di delegare il proprio ruolo fondamentale, di indirizzo e di controllo, alle volontà esclusive del Ministro dell'economia e delle finanze. Dietro l'istruzione, come lei sa, ci sono bambini, alunni, studenti ai quali è fatto obbligo dalla nostra Costituzione, finché sarà vigente, finché afferma principi che sappiamo sono in essa contenuti nella prima parte, di offrire loro un servizio adeguato e confacente con l'obiettivo di una moderna società di formare persone preparate e responsabili.
Proprio questo dettame costituzionale avrebbe richiesto da parte del Governo e da parte sua, Ministro, una valutazione più attenta, non solo a quelli che sono gli equilibri di bilancio e di taglio della spesa, ma nell'investire in quello che sempre di più le istanze internazionali e tutta la riflessione dell'UNESCO chiama la risorsa immateriale. Non c'è possibilità di competere a livello globale senza che un Paese possa investire e possa investire qualitativamente sulla risorsa immateriale, sulla produzione e la trasmissione del sapere. Invece, abbiamo fatto una valutazione di tipo opposto, di tipo econometrico.
Mi sarei aspettato un atto di orgoglio da parte sua, Ministro Gelmini: invece, lei è tutta fiera di annunciare al mondo della scuola e delle famiglie che, grazie alla sua opera riformatrice, il tempo a scuola sarà ridotto e la scuola pubblica subirà un taglio complessivo di personale pari a 87 mila unità. È questa la riforma, questa è la scuola che immaginate per i nostri figli? Qual è il modello culturale, se mai ce ne fosse uno, che ha ispirato questa riforma? Penso, invece, che dietro la vostra bieca e futile propaganda si nasconda un disegno di destrutturazione sistematica del nostro sistema di istruzione. La scuola anche qui è vista come un problema e non come una risorsa.Pag. 17
Il segretario del Partito Democratico ha detto in uno dei suoi discorsi: trattano così la scuola, perché, per Berlusconi, la scuola per i nostri bambini sono le sue televisioni e le sue trasmissioni televisive.
Con il provvedimento in oggetto viene leso un principio costituzionale, metodologicamente viene seguito un approccio quantitativo, anziché qualitativo. Ma soprattutto rileva il danno che state facendo alle famiglie, perché state scaricando sulle famiglie la vostra incapacità di far quadrare i conti pubblici, state mortificando gli insegnanti promettendo per il futuro un miglior trattamento di retribuzione, laddove invece le riforme della scuola che sono state fatte in altri Paesi - penso solo a quella di Blair in Inghilterra - hanno puntato proprio sulla riqualificazione e rivalorizzazione della figura dell'insegnante, sempre più demotivato, non solo malpagato ma anche demotivato. Qui, invece, si è scelta la strada della mortificazione degli insegnanti, di migliaia di insegnanti altamente qualificati.
L'articolo 33 della Costituzione afferma che la scuola è aperta a tutti: è questo un ultimo rilievo. Con questi tagli che il Governo Berlusconi sta adottando la scuola non sarà più aperta a tutti, soprattutto sarà negata ai più deboli. Il vostro unico obiettivo è ridurre la spesa - lo abbiamo detto - e per farlo siete animati da ciò che possiamo chiamare il peggior darwinismo sociale. Con questa impostazione, l'ascensore sociale che funzionava attraverso una scuola obbligatoria, aperta a tutti, che dà pari opportunità, non funzionerà più grazie a questa riforma.
Oggi la scuola elementare è in grado di rispondere a molte esigenze. Una delle esigenze alle quali la scuola elementare risponde è quella della costruzione della società multiculturale di domani, dove bambini di diversa provenienza possano integrarsi nel gioco e nell'apprendimento. Proprio nelle scuole elementari i bambini diversamente abili trovano un contesto capace di accoglierli e di farli sentire come gli altri bambini. Con questa riforma non solo ci sarà questo darwinismo sociale, una specie di selezione naturale dettata dalle esigenze di bilancio che non permetterà ai più deboli di avere pari opportunità, ma saranno mortificate anche le esigenze della costruzione della società multiculturale e, soprattutto, l'assistenza necessaria ai bambini disabili.
Vorrei aprire una parentesi, signor Presidente, se me lo permette, riguardante la scuola multiculturale. La pedagogia interculturale non è, come si sente dire in alcune regioni del nostro Paese, uno svantaggio per i bambini italiani; la pedagogia interculturale è invece un valore aggiunto, che permette ai nostri ragazzi di inserire, accanto alle altre «i» della vostra riforma, la riforma Moratti, una quarta «i» indispensabile, che è la cifra della nostra contemporaneità: la «i» di intercultura, ossia la capacità, per i nostri giovani, di coniugare un radicamento locale con la necessaria e doverosa intelligenza di dilatare i loro orizzonti alle dimensioni del mondo.
La pedagogia interculturale, come valore aggiunto, non sarà più presente nel modello di scuola che avete immaginato. Ecco perché il Partito Democratico si batterà in tutte le sedi, dentro e fuori il Parlamento, contro la riforma in esame, che rischia di mettere il nostro Paese nelle condizioni di non concorrere nella competizione globale, perché proprio la risorsa immateriale della produzione e della trasmissione del sapere viene mortificata (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, come tutti gli altri colleghi dovrei parlare sul complesso degli emendamenti su un provvedimento che si chiama «Conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137 recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università».
Se quello che ha detto ieri il Presidente del Consiglio ha un senso, evidentemente si riferiva proprio a queste situazioni: parlare degli emendamenti è irreale, virtuale,Pag. 18perché già sappiamo che questi emendamenti non saranno mai discussi né votati dall'Assemblea. Sappiamo già - ce lo dicono vari tam-tam, ma lo sappiamo benissimo - che lunedì sarà presentato un maxiemendamento su cui verrà posta la questione di fiducia. Questo fatto evidentemente rende qualcuno - non certamente me né i miei colleghi di partito - depresso, forse alcuni deputati della maggioranza sono depressi, perché - poveretti! - non possono mai parlare. Noi almeno abbiamo la possibilità di parlare, fornire le nostre indicazioni, dare sfogo a quanto pensiamo e diciamo le cose come stanno. Quindi, questa è una prima considerazione che volevo svolgere parlando di emendamenti virtuali. Un'altra considerazione che voglio fare e che è stata messa evidentemente in rilievo da altri interventi, in particolare dal collega Touadi: perché adoperare un decreto-legge su questioni di tale natura (che chiamano di riforma scolastica, ma che ritengo riforma non siano)?
Il decreto-legge in esame è stato emanato in agosto e si arriva a discuterlo dopo che l'anno scolastico è iniziato. Se vi fosse stata una necessità e un'urgenza di carattere pedagogico, credo che si sarebbe potuto intervenire nella scuola in modo adeguato anche con un decreto-legge. Ma non si tratta di questo, perché la parte fondamentale del decreto-legge in esame è dedicata alla scuola di primo grado, la scuola primaria: i bambini vanno già a scuola, non vi è da cambiare in corso d'opera. Forse ora bisogna ordinare i grembiuli: se si approva il provvedimento sottoposto alla nostra attenzione, bisogna mettere in moto le aziende tessili per i grembiuli.
Per il resto non vedo la ragione del decreto-legge. Con questo atto si introduce un cambiamento della scuola su alcuni punti particolari (ne ho esaminati cinque o sei), ma è un cambiamento e non una riforma. È un cambiamento di carattere quantitativo che ha effetti qualitativi (non vi è dubbio) di peggioramento della situazione: ciò che è certo è che di quantità si tratta. Ha un carattere quantitativo il riferimento all'introduzione dell'insegnante unico; è chiaro che una riduzione del numero degli insegnanti ci sarà comunque (il numero fornito dagli uffici riferita ad un triennio è di circa 90 mila unità). L'assicurazione data dal Presidente dal Consiglio è quella per cui nessuno perderà il posto. Come sarà possibile? Hanno già calcolato quanti sono gli esuberi e hanno calcolato che non ci sarà il turnover. Ma il turnover che non si rinnova nella scuola è un delitto; non immettere i giovani docenti nella scuola - soprattutto nella scuola primaria - è assolutamente negativo, specialmente in una scuola in cui si vogliano inserire elementi di innovazione tecnologica (si parla di 10 mila lavagne digitali: e noi lasciamo il povero maestro unico ad occuparsene!).
Avremmo voluto collaborare a questo cambiamento non solo come parlamentari e come forze politiche, ma soprattutto come forze sociali. Se fosse stato approvato un disegno di legge, anche con pochi articoli come il provvedimento che esaminiamo (sei o sette), avremmo potuto fornire un contributo non delle piazze, ma negli istituti, nelle assemblee delle scuole insieme alle famiglie: insomma, avremmo potuto fornire un contributo qualitativo insieme ai docenti e ai preparatori degli insegnanti. A proposito di questi preparatori, c'è un'altra norma che avete introdotto che giudico molto grave - e anche un po' assurda - all'articolo 6. Tale norma ripristina il valore abilitante dell'insegnamento nella scuola primaria della laurea in scienze della formazione primaria. Essa era stata precedentemente abrogata, per effetto dell'articolo 2, comma 416, della legge finanziaria per il 2008 e voi l'avete ripristinata con il suddetto articolo 6; inoltre, fate in modo che coloro che si sono laureati nel frattempo possano avvalersi dei benefici della nuova norma. Effettivamente si tratta di un'anomalia del sistema universitario - era forse a questo, oltre alla questione della specializzazione in medicina, che si riferiscono le nuove disposizioni sull'università: solo a tale abrogazione, oltre alla questione delle modalità di numero accesso alle scuole di specializzazione medica. Per il resto, fortunatamente, l'università non è stata toccataPag. 19da questo decreto-legge. Io sono contrario ai continui cambiamenti della scuola e dell'università, anche quando è noto che presentino delle criticità; è difficile in una società moderna accettare che i cambiamenti avvengano ogni qual volta cambi la maggioranza governativa, anche se quella precedente avesse sbagliato qualcosa. Quando è in atto una sperimentazione occorre far passare almeno un certo numero di anni per vederne le conseguenze positive o negative. Nel caso della scuola primaria avevamo visto che dopo molti anni di sperimentazione essa si era consolidata ed era andata bene.
Essere intervenuti su di essa può avere un significato diverso: qualcuno dice che c'era bisogno di far cassa, non c'era bisogno di cambiamenti nella scuola primaria.
Per quanto concerne l'altra questione importante - ossia che bisogna cominciare a bocciare inizialmente, sin dalla scuola primaria - sappiamo che in Italia la scuola secondaria, specialmente quella tecnica, ha un numero di bocciature molto elevato, non sono poche. Tuttavia, cominciare a bocciare da prima, all'inizio, per una sola insufficienza, significa effettivamente intervenire sempre, se volete, numericamente, ma poi con un significato reale: in questo modo, voi allontanate dalla scuola cosiddetta dell'obbligo i ragazzi e li buttate in mezzo alla strada.
Naturalmente, anche per quanto riguarda l'altra questione, ossia, il voto in condotta - che corrisponde numericamente e, quindi, anch'esso si può considerare un fattore numerico (ecco, di nuovo, la quantità) - ebbene, bisogna aver paura di essere bocciati per stare buoni, per tenere un comportamento buono. Su quale fondamento pedagogico, su quale fondamento didattico si basa una scelta di questo genere? Pertanto, credo che anche questa sia una cosa effettivamente negativa.
L'altro fatto quantitativo riguarda le ore di presenza a scuola. In questo caso - bisogna dirlo - vi è un attacco effettivo alle famiglie più deboli e più povere: come fa una mamma a lasciare il bimbo o la bimba a casa, se va a lavorare, senza poterla lasciare a scuola? Si deve licenziare? Si interviene sulla famiglia che è il punto più delicato! Tutti si sciacquano la bocca nel dire: dobbiamo aiutare le famiglie, dobbiamo aiutare le famiglie, ma questo non è un aiuto alle famiglie!
Ecco perché era necessario parlare con le famiglie, era necessario parlare con gli insegnanti, era necessario preparare dei cambiamenti, era necessaria, se volete, anche una riforma, alla fine, ma condivisa! Qui, infatti, non si tratta di avere colori, non si tratta di questo, si tratta di cose ben più serie, si tratta della preparazione della nuova società, dalla nuova classe dirigente!
Io sono favorevole ad alcune misure contenute in questo provvedimento, ad esempio, sono favorevole all'introduzione di una materia come quella della «Cittadinanza e Costituzione». Non mi piace che, ad un certo punto, la si definisca con una legge nazionale, però è chiaro che una materia come quella può essere un fatto estremamente positivo.
Anche in relazione a quanto diceva la collega Goisis, può essere un fatto positivo se si insegnano argomenti come gli statuti delle regioni, anche se spesso è diseducativo perché, insomma, alcune di quelle cose sono un po' strane. Pensate agli statuti dove sono previsti i monogruppi: direi di nasconderlo ai giovani, perché, evidentemente, ci facciamo una cattiva figura. In un monogruppo, infatti, un consigliere regionale è presidente del gruppo, cioè di sé stesso, con sprechi enormi nella pubblica amministrazione.
Pertanto, a mio avviso, in questo provvedimento non vi è una sola proposta - e non sto parlando degli emendamenti perché li ritengo virtuali, ma del provvedimento, sinora un po' modificato dalla Commissione, il quale, alla fine, dovrebbe essere contenuto in questo maxiemendamento (ed io spero che vi siano contenute almeno quelle cose condivise da tutti gruppi) - ebbene, dicevo, in questo provvedimento non vi è una sola proposta per lo sviluppo degli apprendimenti.
Dunque, è chiaro che poi qualche malpensante dice: voi lo avete fatto non certamentePag. 20per la scuola, ma lo avete fatto per altri motivi, lo avete fatto, evidentemente, tentando di cominciare a far cassa fin da questo anno! Subito! È urgente fare cassa! Lo sappiamo pure noi, ci rendiamo conto che avremmo potuto trovare insieme il modo di fare cassa in un altro modo, riducendo gli sprechi. E mi riferisco proprio agli statuti regionali, ove si potrebbe ridurre parecchio.
Riduciamo gli sprechi lì e lasciamo la possibilità dell'insegnamento dell'informatica a un maestro esperto di informatica e non a un maestro tuttologo. Quanto alle scelte che sono state fatte io non voglio fare per forza il bastian contrario ma certamente non mi aiuta la lettura di queste striminzite norme - senza una base, senza uno studio e senza un confronto - che sono state portate all'attenzione del Parlamento. Spero che successivamente, io lo spero, si vorrà fare una riforma seria, con la quale cambiare i punti che non vanno bene. Va benissimo se la facciamo insieme, se la fa insieme la società italiana, perché la scuola non può essere una questione di maggioranza o di minoranza ma deve essere qualcosa alla fine assorbita e fatta propria dalla società civile. Se le varie maggioranze che vincono le elezioni (e non mi riferisco solo all'attuale) capiscono queste cose - e sto per concludere, signor Presidente - questo nostro Paese può ricominciare a competere. In caso contrario, non può competere con altre società che trattano tali problemi in modo completamente diverso. Chiunque vada al potere, è non solo fiducioso ma anche orgoglioso della propria scuola e della propria università, chiunque l'abbia fatta.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AURELIO SALVATORE MISITI. Anche nella scuola riformata nel famigerato 1936, durante il periodo fascista, c'erano delle cose estremamente positive, che sono state conservate dopo la Resistenza, nella nuova Repubblica.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo significativo iniziare il mio intervento da un richiamo, come molti hanno fatto, all'articolo 33 della Costituzione italiana, che sancisce l'onere dello Stato a garantire il diritto all'istruzione per tutti i cittadini, sottoponendovi però un successivo quesito: il decreto-legge Gelmini, approvato lo scorso 1o settembre e la riforma della scuola che questo Governo si appresta a varare nei prossimi mesi garantiscono effettivamente il diritto all'istruzione nel nostro Paese? La risposta, a mio avviso, è assolutamente negativa e cercherò di dimostrarlo in otto punti.
Il primo: il decreto-legge Gelmini fissa in 8 miliardi di euro le minori risorse da destinare alla scuola pubblica nei prossimi tre anni. La prima domanda, dunque, è come si possa garantire il diritto all'istruzione a fronte di una popolazione scolastica che rimane costante, sottraendo tali e tante risorse economiche. In tal senso, ovviamente, la manovra finanziaria per il 2009, all'articolo 64, comma 6, parla chiaro, laddove prevede, per il bilancio dello Stato, economie lorde di spese non inferiori a 456 milioni di euro per l'anno 2009, 1.650 milioni di euro per il 2010, 2.538 milioni di euro per il 2011 e addirittura 3.188 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012. In altri termini, questo Governo afferma il primato della finanza sul diritto all'istruzione. Questa è la conclusione alla quale potremmo arrivare sin da ora.
Il secondo elemento: il decreto-legge Gelmini introduce nuovamente nella scuola primaria la figura del maestro unico, con una motivazione apparentemente di natura pedagogica: i bambini piccoli hanno bisogno di un'unica figura di riferimento per la volubilità dei loro caratteri. Una motivazione questa che è contraddetta da tutte le ricerche internazionali, ultima in ordine di tempo, il rapporto OCSE che, in controtendenza con il resto della scuola italiana, reputa la scuola la elementare del nostro Paese tra le più efficienti al mondo, soprattutto a seguito dell'introduzione dei tre maestri, che hanno garantito maggior qualità dell'insegnamento,Pag. 21nelle tecniche didattiche e pedagogiche. L'innalzamento dello standard di efficienza della nostra scuola elementare, garantito in particolare da maestri specifici per l'informatica, l'inglese e la matematica, viene di colpo azzerato dal ritorno al maestro tuttologo, che non ha effettuato alcun tipo di studi specifici per apprendere le tecniche di insegnamento delle nuove materie introdotte nella scuola primaria. Si propone di specializzare i maestri unici all'insegnamento della lingua inglese attraverso un corso di aggiornamento di appena duecento ore, quando la padronanza dell'insegnamento di tale lingua è stata acquistata da maestri e professori dopo anni interi di università.
Siamo davvero alla follia, ma anche qui la risposta è evidente: si torna al maestro unico per risparmiare, affermando di nuovo il primato della finanza sul diritto all'istruzione.
Il terzo punto: il decreto-legge Gelmini prefigura la consistente riduzione di organico degli insegnanti di sostegno, tutto ciò mentre negli ultimi anni i casi di alunni bisognosi di sostegno sono costantemente e massicciamente aumentati. Lo dimostra il fatto che attualmente le scuole stanno ricorrendo agli insegnanti di terza fascia - e sottolineo terza fascia - rimasti esclusi dagli incarichi annuali per garantire il sostegno agli alunni gravati da problemi mentali, motori e sociali. In pratica, l'attuale organico di insegnanti di sostegno è insufficiente rispetto alla domanda della scuola italiana e il Governo non trova di meglio da fare che ridurne ulteriormente le unità. Ciò significa di fatto non garantire agli alunni gravati da handicap il diritto all'istruzione. Questa è un'amara verità!
Il quarto punto: il decreto-legge Gelmini garantisce, a parole, la tutela e l'incremento del tempo prolungato, senza tuttavia specificare con quali risorse (che, come visto, vengono drasticamente ridotte) né con quali docenti (anch'essi drasticamente in diminuzione con il ritorno al maestro unico). Senza cifre e personale reale di cui disporre rimane un unico dato di fatto, ovvero che anche il tempo prolungato è destinato a diminuire in molte scuole, privando alunni e famiglie italiane di un importante quanto spesso vitale diritto.
Il quinto punto: il decreto-legge Gelmini prefigura nei prossimi anni la chiusura di quegli istituti scolastici che non raggiungeranno il numero di 500 iscritti: in pratica si condannano alla chiusura migliaia di scuole nelle quali, spesso, il numero di alunni è inferiore anche alle 100 unità. Si tratta delle scuole di quei piccoli paesi con popolazione inferiore a 5 mila abitanti che in Italia rappresentano il 70 per cento degli 8 mila comuni in totale.
In quale scuola andranno questi alunni? Dove saranno costretti ad accompagnarli le loro famiglie? A quali sacrifici economici si costringeranno? Perché un alunno di una città potrà avere una scuola a disposizione e un alunno di un paese no? Anche in questo caso il diritto all'istruzione viene evidentemente negato con pericolose quanto odiose discriminazioni.
Il sesto punto: il decreto-legge prevede l'innalzamento del numero di alunni fino a trenta per ogni classe. Qui è veramente difficile cogliere, come sostiene il Ministro a difesa del suo decreto, motivazioni finalizzate al miglioramento della didattica. Infatti, sfido chiunque a dimostrare che un maggior numero di alunni per classe consenta un innalzamento della qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento. In tal senso è fin troppo evidente l'intero disegno su cui è costruito il decreto-legge Gelmini: risparmiare, risparmiare, risparmiare, disinteressandosi completamente della didattica.
Tutti i rapporti scolastici degli ultimi anni, senza alcuna eccezione, hanno rimarcato il costante incremento annuale di alunni disagiati, non solo per handicap, ma soprattutto per problemi sociali legati in particolar modo alle difficili situazioni familiari. I casi di alunni con genitori separati arrivano ormai ad un rapporto di uno a tre, addirittura in alcune classi due a quattro: quindi siamo al 50 per cento. Portare a trenta il numero di alunni per ogni classe, contestualmente ad un taglioPag. 22degli insegnanti di sostegno, significa impedire al corpo docente di svolgere adeguatamente la didattica ed agli alunni di apprendere adeguatamente le lezioni. Anche in questo caso è purtroppo evidente che il diritto all'istruzione viene messo sicuramente in discussione.
Il settimo punto: il decreto-legge Gelmini prevede un drastico taglio delle cosiddette ore a disposizione degli insegnanti, ritenendole un'inutile spesa per lo Stato secondo un abusato luogo comune per cui, durante le ore a disposizione, gli insegnanti trascorrerebbero il tempo a leggere il giornale in attesa del suono della campanella successiva. Vale la pena di ricordare che le ore a disposizione sono utilizzate in tutte le scuole di ogni ordine e grado per lo svolgimento di attività di recupero e potenziamento, anche attraverso progetti specifici e copresenza a sostegno di alunni con difficoltà caratteriali e di apprendimento. Eliminare queste ore significa assestare un colpo durissimo alla qualità dell'insegnamento e alle funzioni didattiche e sociali della scuola ovvero al diritto all'istruzione, senza peraltro contare, in temi di risparmi economici tanto cari al Ministro, che in molti casi le ore a disposizione sono utilizzate per sopperire all'assenza di insegnanti in malattia. Eliminare queste ore significa, quindi, paradossalmente aumentare i costi per lo Stato perché le scuole sarebbero costrette a chiamare, anche per uno o due giorni, dei supplenti esterni.
L'ottavo punto, ed il più importante: il decreto-legge prevede, nei prossimi anni, una riduzione di 87 mila unità del corpo docente e di 48 mila unità del corpo non docente per un totale di 140 mila posti di lavoro. Voglio permettermi una veloce, ma ineludibile digressione. In queste settimane, signor Presidente, il mondo politico, quello economico, quello sindacale e quello mediatico sono stati ininterrottamente calamitati sul caso Alitalia e sul destino di 20 mila lavoratori. L'intero Paese ha prestato la massima attenzione e dedicato i maggiori sforzi per salvare il futuro di queste persone. Una mobilitazione sacrosanta, ritengo, perché di fronte al rischio di perdere anche un solo posto di lavoro è dovere dello Stato spendere fino all'ultima delle sue energie per evitarlo.
Ma qui siamo di fronte a numeri sette volte superiori a quelli di Alitalia: stiamo parlando di 140 mila persone che da qui ai prossimi anni non avranno più un'occupazione! Oltre la metà di queste 140 mila persone sono giovani precari, che hanno studiato e faticato per anni e che oggi, dopo tanti sacrifici economici e di studio, vengono privati di un'occupazione e, soprattutto, di un futuro!
Onorevoli colleghi, qualcuno si sta rendendo conto del dramma umano e sociale che provocheranno questi tagli di personale nel mondo della scuola? Che migliaia di giovani non potranno comprare una casa, non potranno sposarsi né avere dei figli perché, di fatto, non avranno un futuro? È possibile che si affronti con tanta indifferenza e quasi crudeltà questa situazione? Il nostro Stato democratico, la cui Costituzione al primo articolo recita che «l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», può permettersi un colpo di accetta così drastico su 140 mila lavoratori, senza peraltro preoccuparsi in nessun modo di una loro ricollocazione? Credo che ciò non sia degno di un Paese civile.
So già l'obiezione che vorrebbero rivolgermi molti colleghi di centrodestra, ovvero che i tagli sono inevitabili per contribuire a salvare l'economia del Paese. Bisogna rispondere, in primo luogo, che ciò non è comunque accettabile, perché uno Stato democratico non può assolutamente risparmiare sull'istruzione dei propri figli se vuole garantirsi la propria sopravvivenza sociale, che va collocata prima ancora di quella economica; in secondo luogo, che non è vero, perché se gran parte dei fondi destinati alle scuole private, nei confronti dei quali non ci risultano tagli in eguale percentuale, venissero dirottate su quelle pubbliche, non si andrebbe incontro allo sfascio della scuola italiana che si sta profilando.
Si tratta di uno sfascio studiato a tavolino, perché il decreto-legge in esamePag. 23è perfettamente coerente, o meglio propedeutico, rispetto alla proposta di legge d'iniziativa del deputato Aprea n. 953, vale a dire la proposta di riforma della scuola che questo Governo si appresta a varare, una riforma che può essere riassunta con un unico e semplicissimo termine: privatizzazione, l'unica soluzione che il centrodestra, indisponibile ad investire nella scuola pubblica, ha deciso di percorrere.
Non è un caso che a voler trasformare la scuola in una vera e propria impresa sia il Governo di un imprenditore. La privatizzazione della scuola pubblica italiana è messa nero su bianco nella proposta di legge n. 953, quando si parte da un assunto alquanto evidente: siccome lo Stato non ha risorse per tutelare al meglio la scuola pubblica, la si trasforma direttamente in scuola privata, ribaltando mostruosamente l'articolo 33 della Costituzione, che reca: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato».
A giustificazione di questa aberrante rivoluzione costituzionale, la proposta di legge n. 953 cita il rapporto 2006 della Fondazione per la sussidiarietà, secondo cui il 56 per cento degli intervistati auspica un sistema misto, Stato-privato, nella scuola italiana. Un dato che non ha alcun riscontro oggettivo, dal momento che non si specifica chi e quanti sono gli intervistati, dove, quando e come sono stati interrogati, ma in termini pratici, alla domanda su come avviene questa privatizzazione, la risposta è chiarissima e sta nella relazione alla proposta di legge, laddove si afferma che si prevedono partner pubblici e privati disposti ad entrare nell'organo di governo della scuola. Qual è l'organo di governo della scuola? Fino ad oggi è stato sempre il consiglio di istituto, destinato ad essere soppiantato, in puro stile aziendale, da un consiglio di amministrazione con pieni poteri deliberativi sull'intera gestione scolastica in cui trovano posto, oltre al dirigente scolastico, rappresentanti dei docenti, dei genitori e degli studenti - ma senza diritto di voto, se minorenni - nonché rappresentanti dell'ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola e - ecco la novità aziendale - esperti scelti in ambito educativo, tecnico e gestionale. Esperti scelti da chi? Su quali basi e con quali criteri? È fin troppo facile intuire che molti di questi esperti potranno coincidere con i rappresentanti degli enti privati che sosterranno la scuola. Il consiglio di istituto che fine fa? Sparisce completamente? Stessa sorte per un altro organo fondamentale della scuola italiana, il collegio dei docenti, ovvero l'organo che attualmente ha il compito di programmare la didattica. Questo organismo, nella proposta di legge Aprea n. 953, rimane in vita, ma completamente spogliato del suo ruolo, perché gli vengono riconosciute solo funzioni di formulare proposte e indirizzi al consiglio di amministrazione, che quest'ultimo può tranquillamente respingere e chiedere di riformulare. Ma lo Stato, viene da chiedersi, in questa gestione mista della scuola come interviene per sostenere la pubblica istruzione?
Signor Presidente, tralascio le mie ulteriori considerazioni, perché mi rendo conto di aver quasi terminato il mio tempo, e vado direttamente alla conclusione. La conclusione, onorevoli colleghi, è che i tagli alla scuola e la sua privatizzazione sono riconducibili all'ordine di scuderia arrivato dal Ministro Tremonti, che ha deciso di sacrificare alla finanza il diritto all'istruzione, ed a quello del Presidente del Consiglio che, evidentemente, ha molti amici imprenditori che probabilmente potranno guadagnare da una scuola privatizzata.
Mi auguro che su questo tema, così vitale per il futuro del nostro Paese, ci sia uno scatto d'orgoglio da parte dei deputati del centrodestra, affinché non concorrano in modo criminoso alla distruzione della scuola pubblica e alla negazione di uno dei principali diritti sanciti dalla nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

Pag. 24

PRESIDENTE. Onorevole Tidei, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, signor sottosegretario Pizza, che con pazienza ci ha seguito durante i lavori della Commissione, avremmo gradito la presenza della Ministra...

ROBERTO GIACHETTI. Si è depressa e se n'è andata!

PIERFELICE ZAZZERA. ... che chiamerò, da oggi in poi, Ministra Tremonti.
Colleghi deputati, la parola dialogo ha la sua etimologia greca in «dialogos», che significa «alternare i discorsi», ovvero ascoltare l'altro, cosa pensa l'altro, cosa dice l'altro, e alla fine del dialogo vi è la sintesi, nell'interesse supremo del Paese.
Questo Governo, sin dal giorno del suo insediamento, ha parlato di dialogo, di confronto con le opposizioni, anzi, con l'opposizione, perché c'è una parte dell'opposizione che il Governo definisce eversiva. Questo Governo ha detto che bisogna costruire insieme il Paese. Ci sono sfide difficili, difficoltà internazionali, problemi da risolvere nell'immediato, ma il Governo, se da un lato mostra la carota, dall'altro usa il bastone.
È quanto sta accadendo in queste ore, in cui il Premier annuncia, infischiandosene del Parlamento, che governerà sempre con la decretazione d'urgenza, magari ricorrendo alla fiducia. Il Parlamento, quindi, come l'azienda di Arcore, il Parlamento ridotto a dipendenti di Mediaset, il Parlamento mal ridotto.
E tale è il comportamento di questo Governo che ieri pomeriggio, dopo una mattinata persa ad ascoltare la velina di regime del Ministro Tremonti sulla crisi finanziaria internazionale dei mercati, è poi fuggito, come di fronte alle responsabilità di chi chiedeva di sapere se anche l'Italia cadrà nel baratro della crisi finanziaria dei mercati, se fosse vero, come è vero, che il nostro Paese ha acquistato derivati finanziari dalla Lehman Brothers, la banca americana fallita.
Faccio questa premessa per arrivare a parlare del provvedimento in discussione, il decreto-legge n.137 del 2008, che va letto in questo contesto, il provvedimento firmato Gelmini e letto Tremonti. Mi scuserà la Ministra Gelmini, ma da oggi lei dovrà essere chiamata Ministra Tremonti. Il decreto-legge n.137 del 2008 va letto in questo contesto perché ci troviamo di fronte, ancora una volta, all'abuso della decretazione d'urgenza, alla fiducia che porrete certamente, all'arroganza delle decisioni.
Credo che siamo ormai sopra il livello di guardia per la tenuta democratica delle istituzioni parlamentari: il dibattito è soffocato, le Commissioni annullate nel loro compito istituzionale: cosa dobbiamo aspettarci ancora? Quindi, possiamo oggi parlare con serenità del decreto-legge n.137 del 2008 di fronte all'emergenza democratica di questo Paese? Il decreto-legge n.137 del 2008 sta dentro l'emergenza democratica perché è un tassello ulteriore della costruzione di un Paese autoritario. Si comincia dalla scuola autoritaria e si getta il fumo negli occhi della gente (il grembiule, il voto in condotta, la paura del bullismo, i voti in decimi, e magari un domani il saluto di nota memoria all'ingresso in aula).
Invito, peraltro, la Ministra Tremonti a riascoltare la sua replica del 30 settembre perché, nella descrizione del provvedimento, ha persino confuso l'articolo 3 sui voti in decimi con l'articolo 5. Pensavo che fosse un refuso del resoconto stenografico, invece ha letto proprio così; insomma, come quei somari che nelle scuole scrivono il compito sbagliato perché qualcuno gli ha passato la copia sbagliata.
Oggi esaminiamo il complesso degli emendamenti al decreto-legge n. 137 del 2008, e assisteremo purtroppo all'arte della finzione teatrale: ci parleremo addosso, ci scontreremo, non ci ascolteremo, insceneremo una finzione teatrale per far divertire il pubblico, mentre Tartufo, come nella commedia di Moliere, acrobata dellaPag. 25captatio benevolentiae, non si fa scrupolo di invocare la fede e la morale cristiana per asservirla ai propri biechi bisogni.
Anche in questo provvedimento il Governo ha dimostrato di essere arrogante, di annunciare il dialogo e attuare lo sconto, mostrare la carota e usare il bastone. Dov'è il dialogo? Arrogante a tal punto da respingere tutti gli emendamenti dell'opposizione, arrogante nella volontà di non aver tentato neppure per un secondo la strada del confronto e del dialogo. Eppure, in questa emergenza democratica, siamo riusciti ugualmente a trovare lo spazio per momenti di condivisione e per la collegialità. Una goccia nell'oceano, e devo dare atto, ancora una volta, alla presidente della Commissione, Aprea, di aver voluto difendere con testarda caparbietà e fino in fondo le prerogative delle istituzioni parlamentari e della VII Commissione. Ho apprezzato l'impegno della presidente nello sforzo fatto per recuperare quella quota di risorse necessarie alla messa in sicurezza delle scuole, che l'Italia dei Valori aveva presentato come emendamento. E in tempo di magra è già tanto, visto che il Ministro Tremonti è preoccupato più della sicurezza dei conti che della sicurezza dei nostri figli.
È importante che la Commissione abbia recepito l'urgenza, proposta dalle opposizioni, delle graduatorie SSIS, il cui ingresso avverrà non in coda, come il Governo in un primo momento aveva proposto, ma nel rispetto del diritto di chi ha sacrificato anni di studi affinché venisse riconosciuto loro ciò che spetta; anche questo lo dobbiamo alla sensibilità della presidente di Commissione. Poi il buio, altro che dialogo, altro che disponibilità: siete arroganti! Questo provvedimento blindato sul piano economico va respinto al mittente per intero. Si tratta di un provvedimento che risponde non alla riforma della scuola, di cui pure si sente il bisogno, ma al taglio di 8 miliardi di euro in tre anni previsto dalla finanziaria.
Ministra Tremonti, non può venirci a dire con semplici slogan, come ha detto nella sua replica, che il tempo pieno non sarà toccato, che i moduli sono un'anomalia tutta italiana in Europa, oppure che sarà mantenuto l'insegnamento della lingua straniera e della religione cattolica: ci spieghi come, con quali soldi, con quali insegnanti, assumendoli come. Questo provvedimento va respinto con forza di fronte all'arroganza di un Governo che per trovare la copertura finanziaria del maestro unico, che non c'era, non è intervenuto sugli sprechi, ma sul fondo di istituto delle scuole, sottraendo ulteriori risorse. Si tratta di un fondo che viene utilizzato per altre ragioni, e ciò in Commissione ha persino visto l'imbarazzo evidente della presidente, che forse di scuola ne capisce molto di più di me, ma anche della Ministra dell'istruzione.
È una vergogna! Si tagliano 8 miliardi in tre anni, si introduce il maestro unico e si impoveriscono ancora di più le scuole: siete un Governo di irresponsabili. Mi rivolgo a quelle forze politiche che fanno della territorialità la loro bandiera: che cosa andranno a raccontare ai loro elettori dopo che spariranno 14 mila cattedre, molte nei paesi di montagna? Cosa racconteranno ai loro elettori lombardi quando non si potrà fare più il tempo pieno, magari sostituito dal doposcuola comunale, e magari saranno costretti a pagare più tasse? Cosa diranno ai propri elettori quando dovranno spiegare perché resteranno fuori dalle scuole 140 mila tra docenti e tecnici ATA? Vi invito ad un atto di pentimento: rivedete la vostra posizione, valutate la possibilità di ritornare indietro. State aprendo una stagione di scontro sociale nel Paese.
Pentitevi voi, che avete avuto paura per il licenziamento di 1800 dipendenti di Alitalia (così come era previsto nel piano del centrosinistra) e che, per questo motivo, avete chiamato i «capitani coraggiosi» dell'impresa italiana per il salvataggio. State invece lasciando affondare la scuola pubblica, insieme a 140 mila lavoratori. Perché non chiamate i «capitani coraggiosi», qui, nella scuola, dove non vi sono dividendi, ma solo perdite da socializzare? Perché i «capitani coraggiosi»Pag. 26dell'impresa italiana «caciarona» non investono nella scuola, nella formazione e nel futuro?
La scuola forma il futuro del Paese, i figli della nazione, che si troveranno con una scuola elementare anacronistica, mentre il mondo corre veloce, si globalizza, parla più lingue, usa Internet e l'iPhone. In Italia avranno davanti il maestro unico, che magari conosce tutto poco e, quindi, insegna male.
Conseguentemente, qualcuno si pagherà le scuole. Lo farà chi può, per i propri figli, che sono i figli solo di alcuni, appunto di chi può. Chi non potrà si arrangerà e il Paese diventerà più povero, non solo economicamente, ma anche di risorse umane, di cervelli e di intelligenze, che perderà (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signora Presidente, sottosegretario Pizza, colleghe e colleghi, vorrei iniziare il mio intervento rilevando una preoccupazione molto seria circa il recupero di dignità del nostro Parlamento.
Le parole pronunciate dal Presidente Berlusconi, reiterate in queste settimane in vario modo, al di là del folclore un po' crepuscolare (quello delle «piccole cose di pessimo gusto» e delle battute, che comunque fanno stile e segnalano il valore e la coerenza di un modo di governare), segnano un momento molto grave e delicato e gettano un'ombra sulle prerogative del Parlamento e su come si intenda la democrazia nel nostro Paese. Lo affermo esprimendo sincera preoccupazione e sincero rammarico, ovviamente. La depressione, infatti (come già affermava il collega Giachetti), è un fatto che appartiene individualmente alle persone, sul quale sarebbe bene non scherzare: un Governo serio dovrebbe promuovere, secondo le indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, politiche serie, di cui però non abbiamo traccia. Quest'anno, peraltro, ricorre l'anniversario della legge Basaglia e, quindi, sarebbe opportuno svolgere un dibattito serio e approvare provvedimenti seri in materia, su un problema sociale che sta avendo una crescita esponenziale nel mondo e che tocca particolarmente le aree avanzate del mondo e dell'Europa.
Sarebbe preferibile, pertanto, avere un po' più di attenzione e di cautela, ma la preoccupazione riguarda la qualità della democrazia: quando, infatti, si afferma che, in sostanza, il Parlamento fa perdere tempo e che l'unica strada è l'utilizzo della decretazione d'urgenza su tutto, significa non aver compreso minimamente - o scegliere di non comprendere - che cosa sia non il dialogo del gossip mediatico, ma il sacrosanto dovere del Parlamento di discutere e interloquire. Questo è un punto dal quale non si può tornare indietro, altrimenti chiudiamo anche le Commissioni parlamentari: se ciò avviene, questo Parlamento diventa un «votificio», e quindi maggioranza e opposizione non potranno mai svolgere seriamente e serenamente il proprio compito, affidato loro, fino a prova contraria, dagli elettori.
Mi auguro, pertanto, che vi possano essere segnali da parte del Governo, ma anche da parte della maggioranza: il Presidente Fini, come Presidente della Camera, ha pronunciato parole importanti, ma aspetto segnali da parte di tutti, affinché in questo Parlamento si possa ritrovare quella funzione e quella dignità delle istituzioni che è prerogativa essenziale della democrazia.
Ora, è chiaro che, se l'atteggiamento di partenza è «ci fate perdere tempo, lasciateci lavorare», tutto quello che consegue è che si può soltanto dire «sì» o «no», fare come in una partita di calcio, agitare le tifoserie, e non, invece, far funzionare l'intelligenza e la capacità di dialogare, nel senso vero e proprio, sui contenuti. In questo senso, sottosegretario Pizza, lo voglio dire: questo decreto è davvero un'occasione persa, perché non vi è dubbio che la nostra scuola, la scuola italiana richiede cambiamenti profondissimi.
Sono anni e anni, al di là dei diversi ministri che si sono succeduti, che si tentaPag. 27di mettere mano a segmenti organizzativi e di sostanza di un sistema scolastico che, in molte sue parti, segna il passo, non vi è dubbio; non è possibile, però, che da questa affermazione, che è largamente condivisa da tutti, derivi un provvedimento non all'altezza dei problemi.
Non lo è non solo perché, come hanno detto tutti i miei colleghi e le mie colleghe, si parte dall'unico segmento che funziona, cioè la scuola elementare (questo è già, di per sé, abbastanza paradossale), ma perché la scuola italiana, in tutta la sua sofferenza, che è davvero enorme, è anche un grande tesoro e contiene in sé risorse fondamentali, che vanno tirate fuori, vanno messe in evidenza. Va separato il grano dal loglio, va fatto un lavoro serio sulla valutazione; di tutto ciò non c'è traccia in questo decreto-legge.
Il primo Trattato di Lisbona riporta chiaramente parole importanti sulla società della conoscenza e sull'importanza dell'istruzione, non soltanto per il rapporto con il mondo del lavoro, ma per la compiuta cittadinanza delle persone, perché davvero tutti possano sentirsi cittadini. Oggi le differenze, come sappiamo, non sono più soltanto di carattere materiale fra chi ha e chi non ha, ma sono sempre di più fra chi sa e chi non sa, fra chi conosce e chi non conosce, fra chi ha gli strumenti per poter conoscere e chi non li ha.
Allora, perché agitare tagli indiscriminati senza lavorare sui territori e sulle loro differenze? Quello fatto dal Ministro Tremonti è un taglio indiscriminato. In questo Paese ci sono differenze e ci sono differenti problemi. Un Governo che si dice così tanto federalista e che vuole valorizzare l'autonomia dei territori, e in questa autonomia rientra anche l'autonomia delle istituzioni scolastiche, perché si comporta nel modo più centralista possibile?
Sappiamo che modelli organizzativi possono essere davvero differenziati, mantenendo l'unità della nazione e l'unità dei principi che governano le istituzioni scolastiche. Perché non ragionare, allora, sulle differenze regionali? Perché non vedere che i problemi che ha la scuola a Napoli sono molto diversi da quelli della scuola a Milano, e non perché una sia migliore dell'altra, ma perché i territori in questa nazione sono davvero diversi? Perché, ancora una volta, interpretare il federalismo solo in chiave, devo dire, bassamente economica e in modo davvero molto restrittivo? Ci sarebbe stato un discorso importante da fare sul rapporto tra il sistema dell'istruzione e il titolo V della Costituzione; questa sarebbe stata un'opportunità formidabile per ragionare su questi temi.
Invece no, si è deciso di procedere nel modo più centralista possibile. Il Presidente del Consiglio ieri ha parlato dell'egualitarismo da Paese socialista degli stipendi. Ma lui dov'era? Ha governato dal 1994 un certo numero di volte, è un imprenditore, sa perfettamente cosa sono i conti pubblici. Si è mai mosso? Abbiamo mai sentito una volta dal Presidente Berlusconi, in tutti questi anni, se non ieri, che gli stipendi sono da realismo socialista? Avremmo fatto una grande alleanza su questo!
Non mi pare che vi siano provvedimenti del Governo che portano ad un miglioramento economico della questione salariale, degli stipendi, del tenore di vita dei cittadini italiani e, in primis, in questo caso, degli insegnanti. Anche qui, evitiamo le battutine di bassa lega, perché mi pare che il problema sia davvero molto serio.
Il problema molto serio si sostanzia in un punto: la caduta di valorizzazione sociale, di ruolo sociale dell'insegnante, che oggi viene considerato, anche in virtù del suo bassissimo stipendio, personale di secondo piano e, quando succede questo, è evidente che non c'è credibilità sociale, non c'è credibilità e autorevolezza anche verso gli studenti.
Si è detto che la scuola è un ascensore sociale, lo dice il Ministro, lo diciamo tutti, è verissimo! Ma nel decreto-legge in esame dov'è? Dov'è l'ascensore sociale in un decreto-legge che riduce il «tempo scuola»? Dov'è l'ascensore sociale che mette in pari opportunità, come da dettato costituzionale, un bambino che vive nell'estrema periferia di Milano (parlo di casa mia,Pag. 28non voglio neanche discutere di altre parti d'Italia perché nessuno davvero si risenta) ed è figlio di immigrati e un bambino che vive nella stessa realtà, nella stessa città, nel centro e proviene da una famiglia ricca? Non ci sono pari opportunità! E con questo decreto-legge ci saranno ancora meno, perché è del tutto evidente che andremo ad un modello quanto meno stravagante.
Anche quando il Ministro diceva che le famiglie potranno scegliere tra 24, 27, 30 ore: ma di cosa stiamo parlando? Ma la scuola cos'è, un parcheggio dove le famiglie vanno e prendono i bambini quando vogliono? Guardate che nella scuola c'è una missione educativa che è fondamentale, e da cui le famiglie dovrebbero anche stare fuori. Le famiglie dovrebbero avere un ruolo importantissimo nel patto educativo con gli insegnanti, ma non dovrebbero considerare che se devono andare fuori per il week end vanno e prelevano il bambino, perché questo non funziona e toglie dignità, autorevolezza e forza alla scuola, sia essa pubblica, sia essa privata.
Il punto è molto ma molto importante. C'è un libro molto bello, la cui lettura consiglio sempre a tutti, di due psicanalisti francesi, Schmit e Benasayag, che si intitola L'epoca delle passioni tristi. In esso è scritto molto chiaramente che c'è una difficoltà e una caduta di autorevolezza di tutte le agenzie educative, compresa la famiglia, come sappiamo nel nostro Paese, e che gli stessi psicanalisti e tutti gli operatori che vivono attorno al mondo dell'infanzia e dell'adolescenza sono in grandissima difficoltà, perché fanno fatica ad individuare i nuovi contenuti del disagio. Se questo è il problema, la risposta è quella? La risposta è mettere il maestro unico a dei bambini che apprendono solo il 30 per cento circa di ciò che apprendono a quell'età dalla scuola, e che vivono tra mille sollecitazioni, e che hanno bisogno di un indirizzo, hanno bisogno per esempio - lo dico perché sto lavorando su questo - di essere educati all'uso dei media, come fanno i Paesi moderni avanzati? Questa era un'occasione per poter inserire tale insegnamento, ed è stata anche questa un'occasione mancata. Perché il problema è ancora solo l'inglese, e ci si viene a parlare delle lavagnette digitali? Scusate, ma di cosa parliamo? Le lavagne digitali, quando l'edilizia scolastica in questo Paese non consente in alcune aree neanche di appenderle perché cade il muro! Ma su cosa stiamo investendo? Sottosegretario, mi perdoni la passione, ma ci credo proprio, davvero!
L'innovazione tecnologica è un punto fondamentale: i nostri bambini e i nostri ragazzi vivono in un mondo che è fatto di immagini, vivono in un mondo dettato dalla multimedialità. Si chiudono dopo cena nella loro stanza e «smanettano», come dicono loro, con il computer, e non sappiamo neanche cosa succede in quel mondo perché non lo indaghiamo mai. E a tutto questo diamo risposta mettendo il maestro unico, che è una sorta di figura che neanche più è assimilabile a quella genitoriale di oggi, che comunque è una figura assai più frammentata e meno depositaria dell'insieme della conoscenza e delle indicazioni sul mondo di quanto potesse essere anche soltanto fino a cinque anni fa?
Penso sinceramente che ci sia, come problema, un rischio di disuguaglianza molto pesante, una disuguaglianza non da regime socialista, ma rispetto alle opportunità del sapere, perché chi potrà si pagherà i corsi, e chi non potrà il pomeriggio farà il doposcuola dei poveri, e penso ai bambini stranieri.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. E veniamo al punto su cui desidererei dire qualcosa più nel merito, che riguarda l'articolo 5 relativo ai libri di testo.
Ho già rivolto l'invito in Commissione - devo dire non accolto - a rivedere drasticamente quell'articolo, perché, per i seguenti motivi, è scritto davvero molto male. Viviamo in una società tecnologica - siamo d'accordo - e nel nostro Paese il 39 per cento delle famiglie possiede un computer, e sappiamo che grazie al decreto n. 112 del 2008 (ora legge n. 133 del 2008)Pag. 29entro il 2011 i libri di testo si dovranno scaricare da Internet (ciò ora avviene in modo misto, ma dal 2011 avverrà definitivamente).
Scaricare i libri di testo da Internet, però, non è esattamente una passeggiata, ed anche in questo caso si parte da un punto condiviso, il costo dei libri di testo. Siamo d'accordo, esso è un peso per le famiglie, ma perché da tale affermazione deriva uno scempio del libro (perché vi è una differenza tra un libro pensato on line e un libro scaricato da Internet), uno scempio del sapere (perché i ragazzi scaricheranno foglietti sparsi, non un libro), uno scempio, infine, del rapporto con le case editrici e la qualità dei libri di testo (perché naturalmente sarà molto problematico, soprattutto per le piccole case editrici - le grandi come al solito ce la faranno, ma questo è un altro discorso che non voglio aprire oggi -, riuscire a mettervi mano e continuare ad andare avanti, come hanno fatto fino ad oggi, fra mille difficoltà)?

PRESIDENTE. Onorevole De Biasi, deve concludere!

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Faccio presente, inoltre, la sciocchezza - e concludo - della scansione temporale delle nuove adozioni, il fatto cioè che non si specifichi nel testo che si tratta di nuove adozioni (non ho ancora visto una correzione in tal senso, ma se vi sarà ne sarò assolutamente contenta).
Inoltre, come se non bastasse, non si capisce chi pagherà: saranno le famiglie a doversi stampare un libro da Internet (sapendo appunto che il 39 per cento possiede un computer) o saranno le scuole? Ritengo che saranno le scuole, ma per quale motivo allora non si deve fare un aggiornamento del personale e delle strutture e dotare le scuole di computer? Altro che lavagnette digitali, dobbiamo ancora fornire le scuole di computer, siamo ancora all'anno zero!
Ho ricordato tutto ciò perché ritengo che quell'articolo vada completamente riscritto. Nel caso venga posta la questione di fiducia (anche se ritengo un po' patetico porre la questione di fiducia sulla scuola, ma evidentemente ciascuno fa ciò che vuole in questo Paese), presenteremo in materia un ordine del giorno dettagliato.
Tengo a dire un'ultima cosa: il libro è una cosa importante, non è una zavorra o un peso. Un grande scrittore, Ray Bradbury, ne ha fatto una grande opera (da cui è stata tratta anche una grande opera teatrale), Fahrenheit 451: non eliminiamo la conoscenza! E comunque non ce la farete, perché ci sarà sempre qualcuno, come in Fahrenheit 451, che sarà disponibile ad imparare a memoria il testo e a fare in modo che la memoria e la conoscenza non si perdano anche in una società che vuole diventare autoritaria (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Concia. Ne ha facoltà.

ANNA PAOLA CONCIA. Signor Presidente, cara Ministro Gelmini, c'era una volta la tradizionale educazione civica. Certamente la nuova materia scolastica, Cittadinanza e Costituzione, introdotta dal Ministro Gelmini deve essere una materia diversa, altrimenti perché introdurla con tale urgenza? Soprattutto quando in Italia vi sono già molte più discipline rispetto agli altri Stati dove gli studenti ottengono i migliori risultati di apprendimento. Tuttavia, l'inserimento di questa nuova materia nell'ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse lascia spazio a molti dubbi sul fatto che possa diventare materia effettiva di studio e non semplice corollario, come avveniva in passato.
La maggioranza, in Commissione cultura, ha bocciato un emendamento del Partito Democratico che mirava a concretizzare e definire l'insegnamento della presunta nuova materia di studio dandole dignità di disciplina. E quindi, se non era per darle dignità di disciplina, perché creare un clone della vecchia educazione civica?Pag. 30
Come ha ben detto la capogruppo Ghizzoni, di cui riprendo le parole, «il parere contrario del Governo e la bocciatura dell'emendamento del Partito Democratico per dare dignità di disciplina all'insegnamento della materia Cittadinanza e Costituzione dimostra che questa nuova materia sbandierata dalla Ministra Gelmini è solo fumo, un vuoto slogan!
Quindi, niente ore di lezione, niente individuazione di quali insegnanti dovrebbero insegnarle, ma solo vacue azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale». Altro che Governo del fare! È l'ennesima dimostrazione che dietro a questo decreto-legge non vi è nessun progetto educativo ma solo tagli alla scuola pubblica. Si fa presto a dire educazione civica a scuola. Dopo averla reinserita tra le materie di insegnamento, diventa decisivo scegliere il taglio culturale e la finalizzazione didattica. L'apprendimento, pare, riguarderà anche la Costituzione, intesa come giacimento, in gran parte inutilizzato, dei principi e dei valori su cui si regge una cittadinanza che sia proponibile alle nuove generazioni, dal piano locale a quello mondiale.
«Da qui la scelta di riscoprirla nella scuola», così ha spiegato Luciano Corradini, pedagogista di fama e presidente del gruppo di lavoro ministeriale, che sta redigendo le linee guida da inviare gli istituti. «Non è casuale» - ha sottolineato la Ministra Gelmini - «che l'introduzione della valutazione del comportamento si affianchi all'introduzione della disciplina Cittadinanza e Costituzione, in quanto la diffusione della cultura della cittadinanza e della conoscenza delle istituzioni tra i giovani deve essere inserita a pieno titolo nel offerta formativa». Bene, dico io, brava! Sulla necessità di conoscere le istituzioni non vi è alcun dubbio. Ma è sufficiente conoscere le istituzioni, avere nozioni di educazione ambientale, stradale e alla salute, per essere cittadini di una società come oggi è la nostra: multietnica, multiculturale e multivaloriale? Secondo Jerome Bruner: «occorre chiedersi a proposito di una materia scolastica se, una volta, correttamente svolta, quelle disciplina risulti degna del sapere di un adulto e se una persona che si sia iniziata ad essa da giovane diventi un adulto migliore». E allora, io mi chiedo e vi chiedo se questa nuova materia insegnerà quei valori importanti per la società di oggi, formando il cittadino a rispettarli e a farli propri, per divenire, nel rispetto della convivenza e nella solidarietà, un adulto migliore.
Dalle ricerche svolte in vari Paesi emerge la grande importanza di inculcare, non solo nozioni, ma anche valori. Valori come il rispetto e la solidarietà, in una parola: l'inclusione, concetto a me particolarmente caro. Questa sarebbe la vera educazione alla cittadinanza, l'educazione a quella società inclusiva dove tutti potranno sentirsi cittadini e non ospiti a casa propria; cittadini uguali, con gli stessi diritti, tutti cittadini di serie «A». Mi spiego meglio: la nostra società va verso ambiti multirazziali, a causa del fenomeno migratorio che, per quanto possano funzionare i rimedi «democratici» voluti contro l'immigrazione clandestina da questo Governo, è destinato a crescere, come dimostrano le esperienze di Paesi come l'Olanda, la Francia e la Germania. L'immigrazione porta con sé un altro fenomeno, che è quello della multireligiosità. Questa comporta che il nostro Paese ha bisogno di formarsi anche al rispetto dei diversi culti religiosi. La stessa evoluzione dei costumi sociali porta al radicale mutamento di quelli che un tempo si potevano considerare valori condivisi, ma che oggi cedono il passo a nuove visioni etiche e morali. La nuova educazione civica, dunque, deve tendere a far non solo rafforzare il rapporto verticale tra cittadini e Stato, ma deve anche lavorare sul rapporto orizzontale tra i membri della società. Nelle parole del Ministro Gelmini, e in quelle dei funzionari del Ministero, che - pare - stanno lavorando alle linee guida di questo nuovo insegnamento, non mi sembra di avere sentito alcunché in ordine alla formazione di una cittadinanza e, quindi di una società, inclusiva, aperta e consapevole del valore delle differenze, attraverso quella che - dico - dovrebbe essere la vera educazione alla cittadinanza,Pag. 31che non si limita a studiare la Costituzione, ma ad imparare come viverla, come vivere quel principio di uguaglianza dei cittadini che essa ha nel DNA. Per i sessanta anni della Costituzione è stata fatta, quest'anno, una ricerca su 4 mila giovani intitolata «I giovani e la Costituzione». Secondo i giovani interessati, il mondo è pieno di ingiustizie, non solo dal punto di vista legale; è stato così tradito il valore della Costituzione. I giovani puntano il dito sulla politica e denunciano le generazioni precedenti, accusandole di non aver speso tutte le proprie energie nella realizzazione dei principi costituzionali. Nella ricerca i ragazzi e le ragazze parlano di un Paese a velocità differenti in cui la matrice sociale di origine è ancora fonte di disuguaglianze e differenze. Una realtà in cui ci sono ancora tensioni, discrasie e ingiustizie.
Sono quindi i ragazzi che chiedono di imparare a vivere i valori della Costituzione, non solo di imparare i suoi articoli. Le nostre scuole sono però anche piene di microcriminalità e gravi fenomeni di bullismo. Come pensa, il Ministro Gelmini, di affrontare questa emergenza? Pensate davvero che sia sufficiente ripristinare il voto in condotta e costringere gli allievi e le allieve delle nostre scuole a indossare il grembiule per arginare questi fenomeni? Davvero è solo sufficiente questo? E affronterà, questa nuova materia, il problema del bullismo omofobo, per evitare che accadano nuovamente tragedie come quella di due anni fa, che portò il giovane Matteo, sedicenne di Torino, a suicidarsi pur di liberarsi delle pressioni dei bulli che gli rendevano la vita impossibile a causa della sua presunta omosessualità?
Non ogni scuola e non ogni didattica consentono l'integrazione. Essa richiede una scuola inclusiva, capace di valorizzare anche la dimensione socio-affettiva dell'esperienza scolastica. Una scuola inclusiva integra tutti i suoi alunni rendendone significative la loro presenza a livello cognitivo, relazionale e psicologico. I bisogni educativi speciali non sono incidenti da contenere, ma occasioni che integrano la qualità dell'esperienza scolastica di tutti. Decine di migliaia di ragazzi gay e di ragazze lesbiche popolano, invisibili, le nuove scuole. La loro presenza mai viene citata in un contesto di accoglienza, ma solo come offesa nei corridoi e nei bagni della scuola. Così una generazione dopo l'altra, migliaia di studenti, crescono convinti di essere gli unici al mondo e quindi disperatamente soli.
Dal progetto transnazionale Schoolmates, promosso da Arcigay in collaborazione con le associazioni spagnole, polacche e con il comune di Vienna (il progetto è finanziato dalla Commissione europea: Programma Dafne II) possiamo trarre alcuni dati. Su quasi cinquecento studenti e insegnanti delle scuole superiori è emerso che più della metà dei ragazzi e delle ragazze, il 53 per cento, sente pronunciare spesso e continuamente a scuola parole offensive come «finocchio» per indicare maschi omosessuali, o percepiti come tali; il 28 per cento lo sente usare qualche volta, il 14 per cento raramente, il 3,8 per cento mai. Ma succede anche che dalle parole si passi ai fatti. A più del 10 per cento degli studenti capita di vedere spesso, o continuamente, un ragazzo deriso, offeso o aggredito a scuola perché è, o sembra, omosessuale e raramente qualcuno interviene in difesa della vittima. Non lo fa mai nessuno secondo il 19 per cento, raramente per il 29 per cento, mentre il 22 per cento risponde: non so. I professori inoltre non se ne accorgono. Alla stessa domanda sul frequente verificarsi di episodi di derisione o di aggressione risponde infatti positivamente lo zero per cento degli adulti intervistati, mentre l'83 per cento dice di non aver mai assistito a niente di simile. E ancora l'Organizzazione internazionale dei giovani e studenti omosessuali ha di recente presentato al Parlamento europeo un'indagine che rivela come due ragazzi omosessuali su tre (il 61 per cento) subiscono discriminazioni a scuola; uno su due in famiglia; uno su tre nel gruppo dei pari.
Questi sono i dati raccapriccianti, specie alla luce del silenzio assordante della Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Nella scorsa legislatura, perPag. 32prevenire i fenomeni di omofobia, transfobia e razzismo, un ordine del giorno non votato, ma accolto dal Governo con alcune modifiche impegnò lo stesso Esecutivo a sviluppare protocolli di intesa con la Agedo, l'associazione di genitori, parenti e amici di omosessuali e con altre associazioni maggiormente rappresentative. Lo impegnò a promuovere e a sostenere progetti culturali e formativi che contribuiscono alla diffusione della cultura del rispetto delle differenze e alla diffusione di un clima di prevenzione del bullismo e della violenza verso gli omosessuali, specie se minorenni, riconoscendo loro il diritto al rispetto e all'informazione corretta sulla propria identità nella scuola e nei centri educativi. Di tutto questo, oggi, nei programmi del Ministero non vi è traccia.
Questo accade in Italia mentre in altri Paesi viene applicata la cosiddetta strategia di Lisbona, ovvero l'educazione alla cittadinanza per combattere l'esclusione sociale. Non voglio fare qui l'esempio della Spagna dove, da quest'anno scolastico, è obbligatorio per tutte le scuole di ogni ordine e grado l'insegnamento della materia "Educazione alla cittadinanza", con precisi riferimenti alla diffusione della cultura del rispetto e dell'inclusione verso le persone omo e transessuali. Voglio invece parlarvi della Francia; voglio portare in quest'Aula l'esempio francese, di un Governo conservatore.
Ebbene, la lotta contro l'omofobia è una delle grandi priorità dell'educazione nelle scuole francesi già dall'anno scolastico in corso. È la «rivoluzione» del Ministro Darcos, che per la prima volta nella storia dell'educazione nazionale ha fatto diventare la lotta contro l'omofobia uno dei dieci «grandi orientamenti prioritari» in una circolare ministeriale indirizzata a presidi, direttori, insegnanti delle scuole elementari e superiori.
Di fronte al crescere degli episodi discriminatori e di isolamento nei confronti di bambini, chiamati «femminucce», all'aumento dei tentativi di suicidio di giovani omosessuali e di violenze contro di loro, il Governo francese ha ritenuto l'intervento necessario ed urgente. Secondo uno studio dell'Istituto di vigilanza sanitaria francese del 2007, i tentativi di suicidio tra i giovani omosessuali sarebbero infatti cinque volte superiori a quelli tra eterosessuali: il 32 per cento dei ragazzi omosessuali sotto i venti anni ha tentato di suicidarsi. Lo scuola - è scritto nella circolare del Ministro dell'educazione francese - deve offrire a tutti i bambini le stesse opportunità e la possibilità di integrarsi appieno nella società. La lotta contro ogni forma di discriminazione dovrà quindi permettere la scomparsa di pregiudizi, cambiare la mentalità e i comportamenti. A scuola si dovranno prevenire e punire le offese all'integrità fisica e alla dignità della persona, tra cui figurano le violenze a carattere sessuale e omofobo. La lotta contro ogni forma di violenza e di discriminazione avrà una priorità assoluta. Questo è il Governo Sarkozy.
Ieri, 2 ottobre 2008, centotrentotto anni dopo il giorno della nascita di Gandhi, si festeggiava la "Giornata Mondiale della Non-violenza". L'Assemblea generale delle Nazioni Unite, infatti, ha approvato da tre anni la risoluzione proposta dal Governo indiano con l'obiettivo di ricordare e diffondere il messaggio di pace del Mahatma, nato il 2 ottobre 1869. La non violenza è frutto di un lungo iter interiore, che richiede la riconciliazione con se stessi e con gli altri: Gandhi rifiutava la violenza in quanto fonte di altra violenza, predicando che si deve imparare a trattare gli altri come si vorrebbe essere trattati. E allora, un Paese che si rispetti e che rispetta tutti i propri cittadini non può ignorare le esigenze di una parte di questi. L'Italia non può essere da meno della Francia nella lotta contro l'omofobia nelle scuole e contro il bullismo omofobo. L'insegnamento di questa nuova materia, lo dico a gran voce, Ministro Gelmini, dovrà occuparsi anche della prevenzione e della lotta contro l'omofobia e il bullismo omofobo, anche coinvolgendo le associazioni che nel nostro Paese «hanno un sapere» e che possono condividere con le istituzioniPag. 33scolastiche questo sapere, metterlo al servizio del benessere dei cittadini e della salute della società che verrà.
Perché la scuola non deve solo trasmettere nozioni. Deve affrontare le emergenze vere, quelle che i ragazzi vivono ogni giorno sulla loro pelle, esperienze che a volte li segneranno per tutta la vita, più di ogni nozione scolastica, Ministro Gelmini, più di ogni nozione scolastica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, intervengo per commentare, augurandomi che le sollecitazioni che vengono dai banchi dell'opposizione possano in qualche modo essere valorizzate. Si parla di un emendamento del Governo che dovrebbe essere presentato con la finalità di tagliare i tempi della discussione parlamentare e favorire una veloce approvazione del disegno di legge di conversione di questo decreto-legge, che si propone come una riforma della scuola, ma che in realtà in buona sostanza attua quella forma di comunicazione istituzionale sotto forma di slogan, più per finalità demagogiche che per concrete e reali novità ordinamentali. Certo è che il metodo che stiamo seguendo nella legislazione di questa fase parlamentare non è soddisfacente. Ieri si sono levate fondate critiche da parte dei banchi dell'opposizione che, in qualche modo, intercettano un malumore che penso serpeggi anche nelle file della maggioranza e che il Presidente Fini si è sentito in dovere di condividere proprio nella censura ad un atteggiamento del Governo che, come è stato ricordato proprio in Aula ieri dal Ministro Tremonti, non solo si è già speso in numerosi decreti-legge, ma addirittura nel suo programma di produzione legislativa insiste sulla decretazione d'urgenza, annunciando che su questa farà ancora leva per evitare le lungaggini del Parlamento.
Dunque, a cosa serve la discussione parlamentare, qual è il contributo che deputati e senatori possono dare al miglioramento di un tessuto ordinamentale che necessita di interventi, di razionalizzazione e di miglior corrispondenza alle esigenze di un Paese in forte trasformazione, se dai banchi del Governo si procede con editti e, su questi, si chiede la fiducia e non si accettano suggerimenti di sorta?
Da questo punto di vista, stigmatizzo quella evidente contraddizione in termini che deriva dal confronto tra il discorso inaugurale del Presidente Berlusconi del 13 maggio scorso - quando si presentò alle Camere per chiedere la fiducia e da cui sembrava che appunto sarebbe stata una legislatura improntata alle riforme condivise e soppesate - rispetto a quanto abbiamo assistito in questi mesi e a quello a cui faceva riferimento il Ministro Tremonti, nell'insistere su questo tipo di provvedimenti catenaccio.
Lo stesso Premier, peraltro, nelle ultime ore ha rimarcato questa condivisione dell'inutilità di un Parlamento che fa perdere tempo al manovratore e della necessità di provvedimenti immediati che il Governo si accinge ad elaborare con la fretta di cui abbiamo registrato il record (9 minuti per la manovra economica triennale, nel periodo pre-agostano).
Ebbene, noi siamo molto critici, ma non lo siamo per partito preso: almeno è opportuno, quando si pone mano a meccanismi così delicati come quelli del sistema scolastico e del sistema universitario, approcciare tali materie con grande ponderazione e con grande discernimento.
Se è vero che lo stesso programma elettorale del Popolo della Libertà aveva enunciato la ricerca di un'implementazione delle tre «i» nella scuola (impresa, informatica e inglese), come facciamo a demandare al maestro unico queste competenze ed attitudini, quando l'esempio che ci viene proposto è quello di un maestro deamicisiano, con i suoi alunni con il grembiulino, in un'aula un po' fuori dal tempo, che però - e qui sta anche il paradosso - si vuole dotata di lavagne luminose, elettroniche e digitali? Obiettivamente, mi pare che sia un'immaginePag. 34stonata, non solo nella dicotomia che ho appena citato, ma anche rispetto alle esigenze di una società in forte crescita, con necessità di specializzazioni sempre più accentuate, nella quale la competizione globale dovrebbe comportare scelte importanti di investimenti strutturali nel settore strategico della formazione e della conoscenza.
Da questo punto di vista, il provvedimento in esame va in antagonistica direzione, proprio diametralmente opposta.
Qualche tempo fa, il 3 giugno 2008, proprio in quest'Aula avevo interrogato il Ministro Gelmini sugli annunciati tagli al personale della scuola, che nella mia regione erano stati paventati. Ebbene, in quel occasione mi rispose il sottosegretario allo sviluppo economico, l'onorevole Martinat, che mi rassicurò dicendo che avremmo trovato, già per quest'anno scolastico, le opportune indicazioni per adeguare l'organico di diritto all'organico di fatto e alle necessità della scuola. Proprio alla luce di queste rassicurazioni che il sottosegretario Martinat mi fece a nome del Governo sospesi il mio giudizio, non mi ritenni insoddisfatto da quella risposta, ma invitai il Governo a rivederci all'inizio dell'anno scolastico, per capire se questi buoni intendimenti fossero conseguenti oppure fossero una semplice captatio benevolentiae.
Devo dire, con grande amarezza, che nonostante il mio personale interessamento, nonostante la supervisione del Ministro e la collaborazione del suo staff di più diretta vicinanza, anche un piccolo problema, una pagliuzza nel fienile, in una scuola primaria di Aquileia, nella quale il comitato delle famiglie rivendicava la garanzia di un tempo pieno così come era stato fino ad allora garantito, anche qui (nonostante tutti questi interessamenti) l'inizio dell'anno scolastico è stato contraddistinto da una deficitaria disponibilità di personale docente, con la necessaria sovrapposizione di numerosi docenti che a scavalco tappano la falla nel momento in cui la compresenza non è stata garantita, con la conseguenza che questo non è più il tempo pieno della scuola, ma diventa un doposcuola dove i nostri studenti vengono parcheggiati, in attesa che la campanella li lasci tornare alle loro famiglie insieme ai genitori, impiegati od occupati nelle varie fabbriche o nelle varie attività lavorative.
Questa è una scuola a cui non vorremmo fare riferimento, come anche alle notizie degli ultimi giorni relative ai tagli al personale docente, questi 87 mila che poi, magari, diventeranno 90 mila o anche di più: non sono questi i modi in cui si risana il bilancio dello Stato. C'è da recuperare un'evasione fiscale, sempre molto spiccata, c'è da contenere una serie di spese superflue, ma gli investimenti che dobbiamo destinare al settore scolastico e al settore della formazione e dell'università dovrebbero andare in tutt'altra direzione.
Ancora, voglio sottolineare come sia una brutta prova di questo Governo il predicare bene e il razzolare male. Non solo nel settore dell'educazione scolastica assistiamo a queste stravaganze, che annunciano modelli di scuola obsoleti e anacronistici, con finalità di buon Governo improntato alla tradizione e all'approccio un po' bacchettone nelle nostre aule; la realtà è che si vuole tagliare a man bassa - senza alcuna consultazione, senza un discernimento, senza un approfondimento con le parti sociali e, soprattutto, in questa sede parlamentare - in maniera indiscriminata in un settore così importante e nevralgico del Paese.
Anche nel merito le scelte sono discutibili. Non è assolutamente scandaloso parlare del voto in condotta, anzi, possiamo dirci d'accordo con questa proposta che, peraltro, già in passato era stata sostenuta, sia pure dopo l'abrogazione del sette in condotta che portava agli esami di riparazione o alle bocciature. Come ricorda la relazione al provvedimento in esame, vi erano stati anche degli interventi tesi a sanzionare i comportamenti più indisciplinati dei nostri studenti. Ma, tant'è: si è voluto introdurre il voto di condotta, ma (badate bene) non più evocando l'elemento iconografico del sette in condotta che ha accompagnato tutti i nostri studi (ormai piuttosto datati), bensì parlandoPag. 35del sei in condotta, cioè di un voto in condotta che nelle sue applicazioni pratiche autorizza e legittima un tasso di indisciplina scolastica ancora più alto di quanto non fosse quello di un tempo. Nel momento in cui la scala di valori non è più il sette in condotta, ma è il sei implicitamente si riconosce che il tasso di indisciplina che si ammette nelle scuole possa essere al limite del vituperio e della indisciplina da bullo.
Pertanto, da questo punto di vista, direi che il provvedimento merita gli emendamenti che abbiamo proposto come Italia dei Valori, così come l'ordine del giorno da me presentato (che mi auguro il Governo potrà condividere) nel quale, per quanto riguarda la materia «Cittadinanza e Costituzione», si chiede che in sede applicativa non si dimentichino tutti quei portati della cittadinanza europea e del fondamento dei diritti umani a livello internazionale, che pure gli articoli 10 e 11 della Costituzione evocano. È, quindi, opportuno che un'Italia inserita in un quadro internazionale e all'interno dell'Unione europea formi le proprie scolaresche e i propri cittadini anche di fronte a questi valori, e non solo nel limite circoscritto di una regione o di uno Stato (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Pasquale. Ne ha facoltà.

ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, vorrei iniziare il mio breve intervento portando ancora - rispetto al mio ultimo contributo offerto in quest'Aula lunedì scorso - a voce alta una riflessione, in questo luogo dell'ascolto e del dialogo per antonomasia, il Parlamento, in questo Parlamento vuoto, immagine significativa del dove siamo oggi, che fa da giusto sfondo a queste mie parole che vogliono mettere in evidenza due considerazioni sul dove stiamo, purtroppo, andando.
La prima considerazione: il 1o ottobre un'indagine Astra Ricerche-Notizie ANSA, presentata nel corso di un convegno a Milano dell'ordine dei giornalisti della Lombardia, su un campione di duemila intervistati, afferma che il 68 per cento degli italiani pensa che i giornalisti siano bugiardi, il 60 per cento poco informati, il 52 per cento non indipendenti.
La seconda considerazione: la difficilissima crisi finanziaria in atto, dove la fiducia ha smesso di correre tra gli operatori, bloccata dalle furbizie speculative e funzionali solamente al potere di pochi; la crescente diminuzione di fiducia nei confronti delle istituzioni, anche di quelle morali, sino ad oggi mai sfiorate, come riporta un'indagine Focus Marketing.
Informazione, quindi, sempre più ritenuta non vera e mancanza di fiducia che viene avanzando: una tendenza esplosiva, se a questo si aggiunge il crescente vizio del diniego - consistente nel negare, nelle forme più svariate e ipocrite, l'esistenza di ciò che esiste e per giunta si conosce - che manifesta, come affermava Cohen nel suo libro Stati di negazione, il modo per tenere segreta a noi stessi la verità che non abbiamo il coraggio di affrontare.
Ora, signor Ministro, signor sottosegretario, oggi in quest'Aula, su questo suo decreto-legge, per riuscire a non farci gestire dagli stati di negazione, non si tratta di nascondere la politica dietro il dovere di governare. La politica, nell'interpretazione corrente, è considerata come arte di governare, di reggere la cosa pubblica, e già sarebbe determinante se voi governaste con questa sensibilità. Si tratta di reindirizzare la politica verso il suo vero significato, la politica come arte del bene comune, sempre, ma specialmente, quando si parla della scuola. Il fine, infatti, non giustifica i mezzi, signor Ministro e signor sottosegretario, come sapeva bene Machiavelli, il quale, in apertura de Il principe, avverte i lettori che in quell'opera non tratta della politica, nella quale il potere è rivolto al bene di tutti, ma della tecnica per conquistare e mantenere il potere, rivolto al bene di uno solo: il principe, appunto. In politica, chi non cerca e vuole il bene di tutti, per quanto possa essere abile in particolariPag. 36aspetti di questo mestiere, si dimostra incompetente nella cosa fondamentale. In ultima analisi, chi non cerca e vuole il bene di tutti, non fa politica.
Lo sforzo di apertura che abbiamo cercato di operare con la stesura di questi nostri emendamenti - sforzo solo apparentemente inutile - è volto a cercare di portare il nostro possibile contributo, vista l'annunciata vostra arte di governo di imporre per decreto-legge le vostre scelte legislative e in particolare, qui, di porre addirittura la questione di fiducia, probabilmente, per l'approvazione del decreto-legge n. 137 del 2008.
È uno sforzo che facciamo con grande senso di responsabilità, forti della storia e delle conquiste democratiche di questo Paese, perché ci permette di perseguire ed affinare l'unica arte possibile per la politica, appunto l'arte del bene comune, specialmente quando si parla della scuola. Fate attenzione: state svuotando la democrazia, state svuotando il senso della comunitas. Un grande uomo del nostro tempo affermava: la persona individualista è il fascio dei suoi fatti. L'individualista non ha consistenza personale, è un fascio di reazioni; l'uomo che appartiene a se stesso è una manciata di polvere, in cui ogni grano è staccato dall'altro e perciò può essere utilizzabile facilmente dal potere.
Veniamo alle considerazioni sugli emendamenti, continuando ad avere presente il senso sopra premesso. Cominciamo da quelli all'articolo 1 che, per come è scritto nel decreto in esame, non introduce alcuna novità rispetto all'attività che la scuola già porta avanti, tanto in materia di formazione alla legalità e alla cittadinanza attiva che di studio della Carta costituzionale. Di fatto l'articolo 1 del decreto in esame prevede, e peraltro tramite un italiano non troppo comprensibile, solo non ben definite azioni di sensibilizzazione e formazione del personale, e null'altro. Ciò è molto meno di ciò che già si fa nelle scuole, ed è offensivo per i docenti, che in questi anni si sono specializzati ed arricchiti in questo campo tramite meravigliose esperienze di attività e studio con gli alunni. Ma noi crediamo che sia essenziale studiare e sperimentare la materia dell'educazione civica: lo abbiamo per primi affermato nel mese di giugno, quando, in Commissione, personalmente sono intervenuta dinanzi al Ministro, chiedendo di ripristinare l'insegnamento dell'educazione civica come materia autonoma e non solo trasversale. Ciò allo scopo di favorire un effettivo insegnamento della stessa, che tratti, in particolare, attraverso lezioni concrete e articolate, della legalità, della cittadinanza attiva, iniziando da uno studio attento e fattivo della nostra Costituzione (queste le mie parole). Forse il Governo ne è stato ispirato, ma ha raccolto la sfida mutandola in un contenitore vuoto. Per questo abbiamo presentato emendamenti all'articolo in questione, in modo da renderlo un contenitore pieno, ricco, vivo e vero.
Abbiamo messo in evidenza il metodo dell'apprendimento-servizio, il service-learning, signor Ministro, non so se lei lo conosce. Si tratta di un metodo didattico la cui nascita si data a partire dall'influenza teorica suscitata da John Dewey. Egli, nel 1902, nel suo discorso «La scuola come centro sociale», pronunciato di fronte al Consiglio nazionale dell'educazione degli Stati Uniti d'America, presentò il bisogno di promuovere un cambiamento sociale utilizzando un nuovo modello educativo che si servisse delle risorse scolastiche e dello spazio comunitario come sorgente di educazione alla cittadinanza e di crescita della comunità. John Dewey affermava: l'educazione alla democrazia richiede la trasformazione della scuola in un'istituzione che sia provvisoriamente un luogo in cui il bambino vive ed è considerato un membro dalla società, alla quale tiene coscienza di appartenere e di poter contribuire.
La difficoltà, signor Ministro, signor sottosegretario, risiede nel fatto che la maggior parte delle scuole non sono state concepite per trasformare la società ma solamente per riprodurla: è così che pare debba continuare ad andare la tendenza, analizzando le scelte che voi, colleghi deputati della maggioranza, siete costretti aPag. 37fare. Eppure, come Edgar Morin sintetizza con un'esclamazione che può essere letta, da una parte, come richiesta al mondo degli adulti e, dall'altra, come speranza di apertura dei nostri giovani all'età scolare, «voglio apprendere a vivere». Si sposa in maniera giusta al nostro modo di concepire cittadinanza e Costituzione, perché rimarca l'importanza vitale della dimensione dell'essere cittadino sovrano, consapevole protagonista della propria comunità inserita in un territorio comunale, provinciale, regionale, nazionale e sovranazionale. È l'esigenza di far sì che la Costituzione sia cosa viva.
Ci siamo comunque aperti al disegno di legge che il Ministro Gelmini ha presentato all'inizio di agosto e questo dimostra il nostro desiderio di costruire, con onestà di pensiero, concretezza di azione e in reale apertura ideologica.
Infatti, come già sottolineato, la scuola non è né di destra né di sinistra, ma è uno dei grandi beni comuni di un Paese lungimirante, progressista e riformista.
In particolare, il disegno di legge del Governo inseriva un monte annuale di 33 ore istituito ad hoc per la materia autonoma dell'educazione civica, ora denominata «Cittadinanza e Costituzione». Noi questo lo abbiamo ripreso prevedendo, inoltre, un insegnamento più qualificato della stessa nella scuola secondaria di secondo grado, destinandola agli insegnanti di diritto ed economia.
Inoltre, al fine comunque di garantire e preservare la trasversalità della materia «Cittadinanza e Costituzione» e di assicurare l'autonomia delle istituzioni scolastiche, abbiamo proposto di inserire un periodo che recita: «Le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia, inseriscono nel proprio piano dell'offerta formativa progetti ed iniziative a favore della partecipazione attiva alla vita della scuola anche allo scopo di sviluppare in modo efficace la consapevolezza negli studenti dei diritti e dei doveri».
L'articolo 2 tratta della valutazione del comportamento degli studenti che, a parer nostro (proprio perché inserita nel contesto della scuola, il cui primario compito è quello di educare istruendo senza venir meno all'incarnare una comunità educante viva ed inclusiva), non può prescindere dall'iniziare con il rafforzare il patto educativo di corresponsabilità come codificato dallo statuto delle studentesse e degli studenti, dove ogni istituzione scolastica definisca il regolamento di istituto con la partecipazione attiva di studenti e genitori oltre che, ove possibile, un percorso di condivisione, anche con la partecipazione di tutta la comunità scolastica prevedendo, inoltre, proprio nell'ottica educativa, la dimensione riparativa delle sanzioni nel contesto ed in coerenza con il patto educativo tra la scuola, i genitori e gli studenti.
Di conseguenza, in questa direzione si collocano i nostri emendamenti all'articolo 2, emendamenti che, del resto, non fanno altro che coinvolgere ed ampliare la base di confronto dando così vita, voce e forma a quello che il signor Ministro ha ripetuto e, con forza, rivendicato anche in quest'Aula il 30 settembre ultimo scorso. Ma come mai non lo ha scritto nel suo decreto, secondo un vizio molto comune di questo Governo? Perché? Signor Ministro, signor sottosegretario, lo chiedo a lei : verba volant scripta manent?
L'articolo 3 cancella, di fatto, la valutazione che configura l'assetto formativo, e non sommativo. La valutazione in decimi presuppone, infatti, una scuola con un atteggiamento selettivo, in contrasto con la necessità di realizzare piani di studio personalizzati in modo da permettere ad ogni allievo di raggiungere il successo formativo e di realizzare i propri talenti.
Con l'enunciazione della non ammissione alle classi successive per quegli allievi che non raggiungono i sei decimi in tutte le discipline si creano i presupposti per una selezione consistente fin dal primo anno della scuola elementare, con un evidente ritorno all'esclusione piuttosto che all'inclusione e all'accoglienza. Non dimentichiamo la situazione drammatica di un numero sempre maggiore di alunni non italiani, di alunni con difficoltà specifiche di apprendimento o disagio sociale, che si troverebbero sicuramente nella situazionePag. 38sopradescritta: espulsi dal percorso formativo in pochi anni. Conferma queste parole l'intervento odierno dell'Associazione italiana presidi, apparso oggi sui principali organi di stampa.
In particolare, il comma 3 dell'articolo 3 distrugge, di fatto, la collegialità in tutti i suoi aspetti didattici, valutativi, programmatici e di ricerca.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA DE PASQUALE. Si lascia al singolo la possibilità di escludere, con la bocciatura, l'assioma dell'inclusività della scuola nel suo non voler lasciare indietro nessuno.
Proprio per le considerazioni sopra esposte abbiamo presentato emendamenti volti a far sì che nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite è espressa in decimi ed illustrata con giudizio analitico sul livello globale di maturazione e sul livello di apprendimento delle competenze raggiunte dall'alunno.
Inoltre, per quanto attiene al comma 3, abbiamo proposto, per i ragazzi che abbiano ottenuto valutazione insufficiente, specifici interventi di integrazione, recupero e potenziamento degli apprendimenti.
Cosa c'è di ideologico - accusa rivoltaci dalla maggioranza - o non accettabile nei nostri emendamenti che, pur rispettando la scelta governativa dell'introduzione del voto numerico, vanno a completare ed arricchire la valutazione dell'alunno come persona unica ed irripetibile, non esauribile in una semplice cifra decimale che di per sé non spiega, né a lui né alla sua famiglia, la multiforme grandezza della capacità umana?
Introducendo questi emendamenti potremmo dar vita alle parole di una grande educatrice dei primi del Novecento, Albertina Violi Zirondoli.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, poiché ho esaurito il tempo a mia disposizione chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento, nel quale allego anche una lettera di un'insegnante, una signora maestra, che attualmente insegna in una classe delle nostre scuole (Applausi dei deputati del Gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole De Pasquale, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Saluto gli appartenenti al centro anziani di Cocciano, frazione di Frascati, e gli studenti della scuola elementare di Cesi paese e Cesi stazione di Terni, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Pompili. Ne ha facoltà.

MASSIMO POMPILI. Signor Presidente, voglio subito affermare che la mia opinione è che anche in questo dibattito sulla conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, si conferma a pieno la fondatezza delle dichiarazioni del segretario del mio partito, l'onorevole Veltroni, quando afferma che siamo di fronte ad un processo di svuotamento della democrazia.
La dimostrazione più evidente di ciò sta nel fatto che voi, signor sottosegretario, spacciate per una riforma - o meglio una pseudo-riforma - dell'istruzione un qualcosa che in realtà non è nient'altro che la conseguenza, cioè l'attuazione, di quando già illustrato e previsto con il DPEF e poi anticipato con il decreto-legge n. 112 del 2008.
Non è davvero credibile che il vero nocciolo e il vero merito del provvedimento in esame, vorrei dire, sia la riorganizzazione del sistema scolastico, il miglioramento e l'ottimizzazione del suo funzionamento (su questo argomento ritornerò tra un attimo), ma in realtà la tesi da cui esso genera che prende forma e contenuti,Pag. 39la tesi che ne modella il basso profilo culturale e ne detta le crude regole, è proprio quella manovra economica che avete imposto a colpi di fiducia prima dell'estate. È un pessimo provvedimento proprio per queste ragioni, perché non ha una sua anima né una sua struttura culturale forte e, dunque, non ha una propria autonomia, ma è un provvedimento che di certo non posso definire comandato ma sicuramente, questo sì, condizionato dal Ministro Tremonti e dalle scelte di politica economica che egli ha impostato per conto del Governo.
Pertanto, il risultato che ne è scaturito è un mix tra tagli profondissimi e devastanti spalmati su tutto il sistema e direi quasi inevitabilmente poche e povere idee, tra l'altro tutte improntate a un ritorno al passato, e il risultato che ne è scaturito, dicevo, è un'inutile «vulnerazione» e indebolimento strutturale che rimette in discussione venti anni di paziente tessitura, di miglioramento del sistema scolastico, che lo riporta indietro di decenni, che disorienta il mondo della scuola, che crea enormi disagi alle famiglie e mina l'istruzione nelle sue fondamenta.
È un fatto gravissimo, lo hanno già detto molti colleghi dell'opposizione, perché nella scuola si svolge una parte importante della formazione dei nostri adolescenti e dei nostri giovani come persone e perché la scuola è il luogo del sapere, dell'insegnamento e dell'apprendimento. Lì c'è il futuro del nostro Paese che dovrà camminare e costruire le sorti progressive dell'Italia proprio sulle gambe e sul pensiero dei nostri adolescenti e dei nostri giovani.
Dunque, si tratta di un provvedimento che definirei curvato, più che plasmato, piegato da altre compatibilità. Infatti, come è già stato ricordato, le misure sul grembiule, sul voto in condotta, sulla valutazione in decimi, sul maestro unico, sono misure attorno alle quali si tenta, anche con una certa sapienza mediatica, perfino di costruire un'aurea culturale e di propugnazione, come dicevo, del passato come ritorno ad una scuola austera e rigorosa.
Ma davvero volete far credere che si possa ragionevolmente pensare che tutte queste misure possano costituire la struttura di un rinnovamento, che possano esse, insieme nella loro pochezza, costituire e rappresentare una motivazione per la società, per gli alunni, per gli insegnanti, per gli altri operatori della scuola e per le famiglie, profonda e convinta per migliorare il funzionamento dell'insegnamento e dell'apprendimento?
La verità, purtroppo, è un'altra: il decreto-legge n. 112 del 2008 ha comportato una manovra depressiva e noi lo abbiamo denunciato con forza. Infatti, non è intervenuto sul potere d'acquisto, non ha abbassato le tasse (anzi le ha aumentate dello 0,2 per cento), ha ridotto gli investimenti e non ha rilanciato l'economia, come testimoniano tutti i più recenti dati purtroppo negativi anche sull'occupazione.
Non è andata meglio sul versante della riduzione della spesa pubblica, dove i tagli sono stati lineari, generalizzati e non mirati a ridurre gli sprechi e a superare le inefficienze per investire altrove, su quelle che invece venivano individuate come delle priorità. Si tratta di una scelta miope, che non ha guardato almeno ad una selezione delle priorità sociali con l'obiettivo, non dico di aumentare, ma quanto meno di mantenere inalterato il livello della qualità dei servizi e soprattutto dei servizi alla persona.
Ecco con quale logica sono venuti fuori i tagli alla sicurezza, al welfare locale e nazionale (solo per fare alcuni esempi) e anche i tagli alla scuola, all'università e alla ricerca. I tagli alle regioni e agli enti locali, insieme alle minori entrate dall'ICI, aggraveranno ulteriormente questa situazione, avranno un effetto non solo, anche in questo caso, sulla modernizzazione delle città e dei territori e sullo sviluppo dei servizi, ma anche sulla tenuta dei servizi di prossimità (sanitari, sociali e scolastici). In particolare, saranno messi in discussione quelli scolastici, come i servizi che riguardano i nidi, le scuole dell'infanzia, le mense scolastiche, il trasporto scolastico,Pag. 40il diritto allo studio dei bambini disabili o di quelli in condizioni sociali ed economiche disagiate.
Si porrà il tema per gli enti di prossimità dell'aumento delle tariffe e, a proposito delle famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese, come vedete siamo punto e a capo.
Allora eccola, la vera riforma della scuola che si propone: è una riforma segnata da una scelta solo economica che, per gli spazi di manovra angusti nella quale si è mossa, mortifica, fa tornare indietro, mette in discussione e in difficoltà uno degli assi valoriali attorno a cui ruota la vita del Paese, e con esso mortifica, fa tornare indietro, mette in discussione e in difficoltà il funzionamento di uno dei gangli socialmente più sensibili per i giovani, per le famiglie e insieme a questo una delle più delicate e importanti professioni italiani, per il compito che svolge, come quella degli insegnanti. Più in generale smantella pezzo per pezzo tutte le condizioni all'interno delle quali si opera.
I tagli previsti per il triennio 2009-2011 sono di circa 8 miliardi di euro, poco meno; gli esuberi previsti riguardano 87 mila docenti e 43 mila tra tecnici, bidelli e amministrativi. Ciò vuol dire una minore dotazione del 30 per cento per la scuola elementare, una minor dotazione del 29 per cento per la scuola media e, in generale, il 13 per cento in meno di insegnanti e il 17 per cento in meno degli altri operatori. Nella sua drammaticità, qualcuno lo ricordava, qui c'è tutto il tema del destino degli operatori della scuola, sia degli insegnanti sia, come si dice in gergo, degli ATA. Sono risorse umane e professionali di grande valore: quali sono le soluzioni che proponete? Non voglio nemmeno pensare che le soluzioni siano quelle che, con qualche anticipazione di stampa, qualche Ministro buontempone ha affacciato.
Ma poi questi tagli mettono in discussione anche i livelli minimi di funzionamento delle scuole e il rapporto tra le famiglie e la scuola. Con il maestro unico i bambini della scuola elementare dovranno tornare a casa alle 12,30, l'orario infatti sarà di 24 ore settimanali, e tra una cosa e l'altra diciamocelo, si avranno meno di quattro ore al giorno. Senza più moduli pomeridiani e attività integrative, ci sarà una riduzione drastica del tempo pieno, del tempo prolungato nelle scuole dell'infanzia, elementari e medie, con le conseguenze immaginabili sulla formazione, sulla socializzazione del bambino, nonché quelle devastanti sulle famiglie nelle quali per più ragioni, non solo lavorative, siano impegnati entrambi i genitori.
Vi sono il rischio di chiusura stimato tra mille e quattromila scuole, soprattutto nei piccoli comuni, la riduzione del numero degli insegnanti di sostegno per i bambini disabili, maggiori difficoltà per l'integrazione dei bambini migranti, dei bambini rom, l'aumento della dispersione scolastica, già tra i livelli più alti d'Europa. Insomma, lo diceva già Touadi, la scuola che sta disegnando il Governo Berlusconi è una scuola più povera di risorse, che non può svolgere il ruolo fondamentale di ascensore sociale.
Le nostre proposte le conoscete, quindi le salto a piè pari, comprendendo anche il senso della sollecitazione che viene dalla Presidente. Voglio concludere dicendo che questa visione della scuola si nutre di una logica che noi non condividiamo. Noi siamo per una logica inclusiva, di riorganizzazione, di qualificazione, di miglioramento progressivo e paziente che non rimetta sempre tutto ogni volta in discussione.
È il contrario di una logica che non solo vuole cambiare tutto per non cambiare niente - come ho detto, addirittura con idee povere -, ma che, addirittura, agisce sotto la spada di Damocle di tagli che hanno l'obiettivo di smantellare una delle istituzioni più importanti del Paese.
Signor sottosegretario, ritengo che il Governo, di fronte alla strada che avete scelto della contrapposizione e della blindatura del provvedimento e del rifiuto del confronto con le nostre proposte, abbia per intero le responsabilità di ciò che questa riforma produrrà di fronte al Paese.

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PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO POMPILI. Per questo motivo, le scelte sbagliate che avete compiuto saranno contrastate da noi, non solo in Parlamento, ma in tutto il Paese.
Alla fine, forse - anzi quasi certamente - questo provvedimento sarà approvato, ma per quanto ci riguarda siamo solo all'inizio di una grande battaglia sociale, come dimostra anche la grande manifestazione che ieri sera si è svolta nella nostra città (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ghizzoni. Ne ha facoltà.

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, le anticipo che chiederò di allegare il testo integrale del mio intervento in calce al resoconto della seduta odierna, perché non riuscirò ad esaurire le mie considerazioni nel tempo concesso.
Signor Presidente, signor sottosegretario, collega relatrice, onorevoli colleghi, l'iter parlamentare del decreto-legge che reca disposizioni urgenti in materia di scuola e di università procede verso un destino che potremmo definire noto, nel senso che la sua conversione in legge senza sostanziali modifiche avverrà a breve: non sono state apportate modifiche a quei punti qualificanti del testo, sui quali si è più spesa la Ministra Gelmini e si è spinta anche la propaganda mediatica del Governo.
Varrebbe forse la pena ricordare - lo farò velocemente - che ci troviamo di fronte all'ennesimo decreto-legge (il tredicesimo) e forse ci troviamo di fronte alla posizione della quarta questione di fiducia (lo sapremo la prossima settimana).
Se avessi avuto tempo, avrei davvero insistito volentieri, per stigmatizzarla, sulla scelta del Governo di procedere ancora una volta con lo strumento della decretazione d'urgenza, su cui aleggia la posizione della questione di fiducia. Il tempo, però, manca e poi, in realtà, dopo le dichiarazioni di ieri del Presidente Fini su questo specifico tema, credo che le mie osservazioni, anche se sintetiche, troveranno ascolto. Credo di dover dire, però, che se i decreti-legge rappresentano di per sé un colpo al confronto costituzionale tra opposizione e maggioranza e alle prerogative parlamentari, ciò è ancora più vero e grave se la materia oggetto del decreto-legge è strategica, come quella dell'istruzione e del sistema scolastico.
Signor Presidente, nel corso del dibattito generale che si è tenuto nei giorni scorsi gli esponenti della maggioranza non hanno mancato di ribadire, mostrando un certo pregiudizio nei confronti dei rilievi costruttivi da noi mossi, quanto ideologici e pretestuosi fossero gli argomenti di critica avanzati dal PD. Ben più benevoli sono stati i colleghi della maggioranza nei confronti della collega Capitanio Santolini dell'UdC, la quale non si è comunque sottratta dal rimarcare rilievi nei confronti dell'operato del Ministro Gelmini. A proposito della decretazione d'urgenza, l'onorevole Capitanio Santolini ha pronunciato le seguenti parole, che faccio mie: «Anch'io dirò (...) che non mi piace un decreto-legge che riguarda la scuola, perché la scuola è una cosa troppo seria per essere blindata da un'intesa tra il Ministro del Tesoro e il Ministro dell'istruzione. Credo che la scuola meriti un rispetto ed un'attenzione infinitamente maggiori di quelle che ad essa sono stati dedicati in questo inizio di legislatura (...). Sono anche d'accordo che non si può fare una riforma di questa portata (...) senza un serio dibattito in Parlamento e nel Paese, senza un coinvolgimento serio di tutti coloro che sono interessati al comparto della scuola e senza che si cercasse di ragionare tra componenti della scuola e, ripeto, pubblica opinione».
La collega Capitanio Santolini mi scuserà della lunga citazione, ma queste sono le parole che anche noi del Partito Democratico abbiamo più volte ribadito: forse, però, per bocca dell'onorevole Capitanio Santolini esse possono sembrare alla maggioranza più accettabili. Siamo anche assolutamente convinti che la scuola meriti tutta la nostra attenzione e tutti iPag. 42nostri sforzi congiunti per potere assolvere al meglio alla propria missione educativa e di istruzione.
Il Partito Democratico ha ben chiari quali siano gli interventi necessari perché i diversi ordini di scuola possano con serenità, fiducia, autonomia, autorevolezza e adeguate risorse offrire un sistema educativo e istruttivo di qualità per tutti i ragazzi, per tutti i giovani che nascono e vivono nel nostro Paese - ripeto: per tutti, indipendentemente dalle loro condizioni economiche e sociali - e soprattutto per quanti si trovano in condizioni di svantaggio.
Si tratta di un obiettivo che realmente ci preme raggiungere e al quale abbiamo teso responsabilmente nella precedente esperienza di Governo. Si tratta di un obiettivo prioritario per il Partito Democratico, che non vuole difendere lo status quo, ma migliorare e potenziare il sistema di istruzione pubblico.
Il Partito Democratico è un partito riformista, consapevole che proprio rispetto alle politiche scolastiche deve dimostrare questo specifico profilo, per il bene della scuola, del Paese e dei giovani. Proprio a partire da molti emendamenti modificativi di questo decreto-legge, il Partito Democratico non si è sottratto dal fare proposte, che svelano, in realtà, quanta demagogia e quanti slogan ci siano in questo provvedimento.
La relatrice Aprea l'ha definita una legge di principi, proprio ieri, mi pare in Commissione, e per tale motivo è stata molto parca nell'accogliere emendamenti correttivi, perfino dalle file della sua maggioranza.
Ma vede, signora Presidente, poiché l'obiettivo ambizioso del provvedimento annunciato dal Ministro e dal Governo è di dare autorevolezza alla scuola, valore al merito, ristabilire una relazione personalizzata tra docente e discente nella scuola primaria con meno tempo-scuola a disposizione, il decreto-legge non dovrebbe limitarsi a enunciare presunti principi, bensì dovrebbe possedere una sorta di capacità taumaturgica, cosa che non credo rientri nelle disponibilità del Ministro Gelmini e tanto meno del Presidente del Consiglio, anche se immagino che l'eventualità non gli dispiacerebbe.
I pareri negativi espressi sui nostri emendamenti dalla relatrice in Commissione sono, però, la testimonianza concreta che nessun apporto dell'opposizione è stato accolto dalla maggioranza, con l'eccezione di due, su cui tornerò.
Erano apporti di merito, migliorativi del testo, come cercherò di dimostrare, ma di cui si è ritenuto di poter fare a meno. Così è stato per gli emendamenti presentati in Commissione durante l'esame del provvedimento.
Due soli emendamenti accolti su cinquanta! Davanti a questi numeri, signor Presidente, l'atteggiamento di chiusura e di indisponibilità al dialogo, che negli ultimi giorni ci è stato rinfacciato, lei crede ci appartenga o non sia piuttosto da attribuire alla maggioranza?
Ma vengo al merito di alcuni emendamenti e, per la verità, rinvio al testo scritto per quanto riguarda le mie considerazioni sugli emendamenti all'articolo 1, in particolare dopo l'intervento della collega De Pasquale.
Vengo velocemente al merito dell'articolo 3, che reintroduce la valutazione degli apprendimenti in decimi. Ritengo che molti emendamenti presentati dal Partito Democratico affrontino nel merito e senza pregiudizio il problema della valutazione, che non risiede, e concorderà l'onorevole Aprea, tanto nella forma utilizzata (voti, numeri, cifre, giudizi sintetici o analitici), quanto, piuttosto, nella chiarezza dei criteri valutativi e degli esiti di apprendimento da perseguire e, soprattutto, nella capacità dei criteri scelti di comunicare agli studenti e alle famiglie i significati reali degli esiti raggiunti.
In altre parole, una buona valutazione dipende dai significati reali che sottendono un voto o un giudizio, dall'assenza di ambiguità interpretativa per lo studente, e quindi per la famiglia, che dal voto o dal giudizio deve trarre una precisa indicazione formativa per l'attività di studio che ha svolto e per quella che dovrà svolgere.Pag. 43
Invece, la semplicistica reintroduzione del voto, come prevista dall'articolo 3 del decreto-legge, appare davvero un intervento estemporaneo e inadeguato a migliorare il sistema scolastico e a premiare il merito. Signor Presidente, mi permetta una considerazione: le pare che sostituire - questa è una pagella, adesso si chiamano in un altro modo, documento di valutazione - il giudizio sintetico (ottimo, distinto) con un sei o un sette, possa davvero cambiare la scuola e la valutazione?
A questo proposito, devo dire che mi rammarico particolarmente per il parere negativo che la relatrice ha dato su un nostro importante emendamento, a firma del collega Tocci, che nasce da una riflessione approfondita sulla valutazione degli apprendimenti e sulla certificazione delle competenze.
In esso si prevede, infatti, l'attività di ricerca e di formazione degli insegnanti, per arrivare alla definizione condivisa di standard e all'intervento dell'INVALSI per diffondere una cultura della valutazione orientata al miglioramento e all'armonizzazione dei risultati scolastici sull'intero territorio nazionale.
Insomma, un emendamento importante che, se approvato, permetterebbe davvero di cominciare a fissare alcuni punti fermi, con quali criteri, con quali modalità e secondo quali indicatori valutare gli apprendimenti conseguiti dagli studenti rispetto ai risultati attesi; un emendamento per compiere una buona valutazione, che permetterebbe, quella sì, di migliorare la scuola e conseguentemente la preparazione dei nostri ragazzi.
Dedico la parte finale del mio intervento all'articolo 4. Quanti minuti ho ancora, signor Presidente?

PRESIDENTE. Cinque minuti.

MANUELA GHIZZONI. Cerco allora di concludere in cinque minuti.
Dicevo che concludo il mio intervento con alcune riflessioni sull'ormai «mitico» articolo 4, che reintroduce il maestro unico nella scuola primaria e contemporaneamente la riduzione del tempo scuola a sole ventiquattro ore settimanali di insegnamento. A questo tema, come sa, sono stati dedicati molti interventi dei colleghi nel corso della discussione sulle linee generali, che hanno esposto le ragioni del nostro dissenso sul maestro «tuttologo» e sul tempo scuola decurtato, argomentandolo con dati di indagini nazionali e internazionali, con esperienze personali di padri e di madri, con gli esiti di incontri avuti con docenti, con dirigenti scolastici, con pedagogisti, con pedagoghi, e soprattutto con le valutazioni che ci hanno affidato le quarantanove associazioni che abbiamo ascoltato in Commissione cultura nel corso di una lunga ma appassionantissima audizione informale. Di questa audizione restano le memorie, redatte dalle associazioni, che sono ricche di suggerimenti, di riflessioni, di considerazioni, purtroppo inascoltate dal Governo e dalla maggioranza. Ad esempio, mi scusi la pedanteria, ma credo che sia giusto ricordare che, di queste quarantanove associazioni, rispetto al contenuto dell'articolo 4, cioè maestro «tuttologo» e riduzione del tempo scuola a ventiquattro ore, ben diciannove danno un giudizio pessimo, undici cattivo, dieci non hanno espresso valutazioni perché non sono interessate a quell'argomento, solo due danno un giudizio ottimo e solo sette danno un giudizio buono, pur esprimendo però riserve e condizioni, in particolare rispetto alla necessità di prevedere non un maestro unico, ma un maestro prevalente, accompagnato cioè da docenti esperti per l'insegnamento della religione cattolica, dell'inglese, di informatica, di scienze motorie, eccetera: cioè tutti quegli insegnamenti che si sommano alle ventiquattro ore. Ma allora mi chiedo, e ovviamente è una domanda retorica: queste associazioni pensano ad un modello che si avvicina a quello che state proponendo, che il Governo sta proponendo, cioè un maestro unico a ventiquattro ore, comprensive dell'insegnamento della religione cattolica e dell'inglese, oppure pensano al modulo tradizionale, per esempio molto utilizzato in Friuli, chePag. 44prevede nel team di tre docenti un maestro prevalente, ma su un tempo scuola di ventisette-trenta ore?
Da questa considerazione, e altresì da quelle espresse da tutti i colleghi che mi hanno preceduto, credo risulti ormai chiaro per tutti che il dissenso espresso in Aula dal Partito Democratico è un dissenso di merito e non ideologico; infatti, quanto principalmente muove il Partito Democratico sono i livelli di apprendimento dei bambini e il miglior modello educativo e pedagogico da offrire ai giovani. Obiettivi, tra l'altro, che abbiamo perseguito anche nella precedente esperienza di Governo, durante la quale siamo riusciti a coniugare il risanamento dei conti pubblici con il principio dell'equità sociale, degli investimenti nei settori strategici per la crescita e l'innovazione del Paese. Possiamo dire che l'attuale Governo, che ha presentato il decreto-legge, e la maggioranza che lo sostiene abbiano gli stessi obiettivi? Credo francamente di no, soprattutto dopo che mercoledì è stato consegnato ufficialmente il piano programmatico attuativo dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, la cosiddetta manovra d'estate. Non posso qui «snocciolarvi» tutti i numeri, ma un dato è significativo: nel prossimo anno l'organico verrà ridotto di 10 mila docenti nelle scuole primarie, solo il prossimo anno, e si assommeranno 4 mila docenti specialisti di lingua inglese; a questi si assommeranno, nei due anni successivi, altri quattromila e poi 3 mila 900. Scusate, ma voglio osservare al riguardo quanto segue. A fronte alle rassicuranti dichiarazioni del Ministro sul fatto che il maestro non sarà unico perché accompagnato dallo specialista di inglese, chi state prendendo in giro? Gli specialisti di inglese in meno nel triennio saranno ben più di 11 mila, 11 mila 200. Credo allora che sia chiaro a tutti i colleghi che gli obiettivi fissati nell'articolo 64 potranno essere raggiunti soltanto se verrà introdotto il nuovo, o vecchio, modello del maestro unico a ventiquattro ore.
A questo punto si chiarisce anche perché in Commissione - non so poi come andrà a finire la discussione in Aula - la relatrice ed il Governo si siano opposti, a fronte della nostra richiesta cui si era affiancata anche la Lega, a modificare il comma 1 dell'articolo nella parte in cui si prevede che le istituzioni scolastiche costituiscano classi affidate ad un unico insegnante, e non «possano costituire», in sintonia con quanto scritto nella relazione tecnica.

PRESIDENTE. Onorevole Ghizzoni, la invito a concludere.

MANUELA GHIZZONI. Allora è chiaro - e mi affretto a concludere, signor Presidente - che se nel testo di legge fosse esplicitata questa opzione i conti non tornerebbero. Affido le ultime considerazioni al testo integrale del mio intervento, però mi conceda ancora un minuto, non di più.
Voglio citare una dichiarazione che l'onorevole Aprea ha rilasciato recentemente ad un giornale (spero che l'onorevole relatrice non si dispiaccia di questa citazione) nella quale afferma: ammetto che le misure come la riduzione dell'orario sono dovute a ragioni di bilancio.
Ma questo è proprio lapalissiano, è un dato incontrovertibile. Chiedo allora alla maggioranza la stessa onestà intellettuale mostrata dalla collega Aprea. Questa onestà intellettuale non guasterebbe ed è quella che noi del Partito Democratico abbiamo cercato di mantenere nei nostri emendamenti, tra i quali figura ovviamente quello abrogativo dell'articolo 4, ma ve ne sono anche diversi modificativi che potremmo definire di riduzione del danno.

PRESIDENTE. Onorevole Ghizzoni, deve concludere.

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, concludo davvero. Non temiamo alcun confronto, vogliamo davvero discutere della scuola e della scuola primaria. Sarebbe buona cosa farlo tenendo presente un passaggio del discorso del Presidente della Repubblica all'avvio ufficiale dell'anno scolastico, un passaggio oscuratoPag. 45da molti quotidiani. Per quanto riguarda la scuola, dice il Presidente della Repubblica, l'obiettivo di una minor spesa non può prevalere su tutti gli altri e va formulato con grande attenzione ai contenuti e ai tempi, in un clima di dialogo. Un dialogo - aggiungo io - che sarebbe certamente stato opportuno avviare, ad esempio, sulla scorta di un secondo monitoraggio della cosiddetta legge Mattarella a quindici anni dalla sua introduzione, alla luce dell'autonomia - e ho davvero concluso - attribuita alle scuole e a fronte di un investimento sulla formazione degli insegnanti.
Questi spunti sono presenti nei nostri emendamenti: avrà la maggioranza la forza e il coraggio di confrontarsi su queste proposte? Me lo auguro, perché se così non fosse dovremo aspettarci giorni tristi per la scuola pubblica italiana, per i nostri bambini e per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, come anticipato, chiedo dunque che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ghizzoni, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

Sull'ordine dei lavori (ore 13,35).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, dopo aver ascoltato le parole del collega Giachetti questa mattina in apertura di seduta vengo colto da un insolito buonumore e da una particolare euforia, sarà forse anche a causa del fatto che abbiamo vinto le elezioni e che il Governo sta ponendo in campo provvedimenti che nei fatti risolvono problemi ereditati dal vecchio Governo (dall'immondizia a Napoli a tante altre questioni), o sarà forse anche in relazione a questa discussione.
Sono molto contento del fatto che tornino alcuni metodi - vecchi, ma molto apprezzati dagli italiani - come il voto in condotta, i voti a scuola, nonché le misure sul caro libri e su tante altre questioni.
Credo dunque che vi sia motivo per essere molto sereni. Sarei depresso viceversa, signor Presidente, se avessi perso le elezioni, ed evidentemente avrei un senso di frustrazione se vedessi risolvere problemi che il Governo che ho sostenuto ha lasciato in eredità, non potendo molto incidere su questi meccanismi di cambiamento del Paese, non riuscendo ad avere un atteggiamento costruttivo ma solo ad insultare la maggioranza, a prendermela direttamente con il Premier, a seguire a ruota alleati, come Di Pietro, che seguono il dibattito politico sul terreno puramente giustizialista, avendo, per così dire, un partito disorientato e situazioni del genere.
C'è pertanto una differenza tra chi è depresso e chi, invece, non lo è. Credo, signor Presidente, che al di là delle ironie, su cui poi ci si può confrontare e anche, per tanti aspetti, venire incontro, dovremmo svolgere una riflessione, che peraltro è già stata avviata sui rapporti tra Governo e Parlamento, sulla decretazione, sui Regolamenti parlamentari, su alcune norme del Regolamento che sono rimaste inapplicate (ma questo non è oggetto di discussione in questa sede).
Credo che forse possa rappresentare, per così dire, un segnale di depressione dover sollevare ogni volta in quest'Aula, di fronte a qualsiasi parola di un Ministro, del Premier o della maggioranza, una questione politica. Questo sì, perché evidentemente dà la misura del fatto che vi è una difficoltà politica a interagire in maniera costruttiva, magari con il Governo, o a portare avanti la linea del proprio partito; ma sono, tuttavia, tutte valutazioni politiche che lascio al di fuori di questa Aula.
Ritengo, invece, che l'Assemblea stia lavorando bene su un provvedimento come il cosiddetto decreto Gelmini e che questaPag. 46mattina ci sia stata un'utile discussione, un confronto tra la relatrice - che ringrazio, insieme al Governo, per la presenza - e molti colleghi intervenuti con posizioni serene e serie. Questo dibattito dovrà proseguire in maniera costruttiva e riteniamo, per parte nostra, che il provvedimento abbia contenuti, disposizioni, norme, che siano, non solo apprezzati dai cittadini italiani, ma che facciano bene alla scuola italiana e, perciò, continueremo a difenderlo.

PRESIDENTE. L'onorevole Giachetti ha detto che non è depresso, lei anche ha detto che non lo è: dirò, quindi, al Presidente Fini di riferire al Presidente Berlusconi che i parlamentari non sono depressi.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14, con il prosieguo degli interventi sul complesso degli emendamenti.

La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 14.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto, i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 1634-A)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Picierno. Ne ha facoltà.

PINA PICIERNO. Signor Presidente, a me pare che l'assunto per cui la qualità di un Paese si misura dalla qualità del suo sistema formativo sia assolutamente condiviso da tutti noi in questa Aula. Allora vorrei prima di tutto provare a riportare l'attenzione sull'oggetto della nostra discussione. Noi stiamo discutendo della qualità e del futuro del nostro Paese. È per questo che il Partito Democratico ha inteso stigmatizzare, sin dalla discussione avvenuta in Commissione, e con forza, la scelta del Governo di procedere in assoluta solitudine attraverso un vettore normativo d'urgenza che non ha consentito un confronto autentico con i docenti, con gli studenti e con le famiglie. Di più, non ha consentito un confronto autentico nemmeno in questa Aula. Il Parlamento non è stato utilizzato come luogo di discussione, di proposta e di condivisione, tutt'altro.
Onorevole sottosegretario, avete voluto evitare un confronto di merito, scegliendo di metterci davanti ad una scelta curiosa: dovevamo fidarci della vostra presunta riforma e basta, senza possibilità di partecipare nelle scelte e di indicare insieme soluzioni. Dovevamo ubbidire insomma, e possibilmente in silenzio. Questo ci avete chiesto perché un'opposizione che discute, che propone, che s'interroga e che s'indigna è un'opposizione fastidiosa. Questo ci avete detto dentro e fuori di qui, attraverso interventi in questa Aula e articoli di giornale. Ci avete chiesto di non fare rumore, e, insieme a noi, lo avete chiesto agli studenti, ai genitori e ai docenti, preoccupati degli effetti che questo decreto avrà sulle loro vite. Avete chiesto a tutti noi di rinunciare alla preoccupazione per il futuro del Paese, ma siamo spiacenti: non possiamo e non vogliamo accontentarvi. Non possiamo perché noi abbiamo a cuore il destino di questo nostro grande Paese, perché il nostro partito è nato proprio per questo, per farlo uscire dall'impasse che si trova a vivere.
Viviamo in un tempo bulimico, con la storia che sbiadisce e il presente che non garantisce più quel senso di appartenenza senza il quale una comunità - ma vorrei dire una nazione - non è davvero tale. Ed è vero, verissimo, che ci sono stati episodi di egoismo e di violenza anche a scuola, ma rispondere ad esempio, come voi fate, con il voto di condotta - come proponetePag. 47appunto all'articolo 2 del provvedimento in esame - è senza dubbio banalizzare. Tutti noi abbiamo il dovere di ricreare un sistema di valori, avvicinando i cittadini alle istituzioni, i docenti ai genitori e agli studenti. Certo, questa è una risposta più complessa, che richiede tempo e che non produce l'effetto spot, perché parlare di patto educativo è oggettivamente più complicato rispetto al cinque in condotta, rilanciare nelle scuole la scrittura condivisa dei regolamenti di istituto per avere regole chiare e sanzioni accertate, così come previsto dallo statuto degli studenti è cosa certamente più difficile.
Ne siamo consapevoli ma credo che in questo, nella diversità dei nostri approcci, ci siano tutti gli anni luce che ci separano, perché tra la ricerca del consenso immediato e la preoccupazione per l'educazione e la formazione dei nostri bambini e dei nostri ragazzi sta tutta la nostra differenza. La scuola deve tornare ad essere luogo in cui, prima di imparare l'italiano e la matematica, si impara ad essere delle persone. Deve essere il luogo in cui la società, con le sue problematiche, entra in classe per permettere di crescere con spirito critico e forti valori di convivenza democratica, e dove i ragazzi vengono coinvolti, vengono stimolati, vengono aiutati ad essere cittadini attivi e responsabili. Per questo sarebbe utile incentivare spazi di confronto e di coordinamento nelle scuole, e per esempio - come ho proposto in Commissione - forme di servizio civile: altro che cinque in condotta! Significa che se si tratta male un compagno di classe poi bisogna fare i compiti insieme a lui; che se si imbratta un muro poi si è costretti a ridipingerlo, perché non si nasce cittadini attenti e cittadini responsabili, lo si diventa, e noi abbiamo il dovere di fare tutto il possibile perché i nostri ragazzi lo diventino sul serio.
Vogliamo una scuola inclusiva dove tutti hanno le stesse opportunità di partenza e il merito è il solo strumento utilizzato per la valutazione. Questo decreto-legge, al contrario, metterà in ginocchio il nostro sistema formativo già duramente provato da troppi anni di disinvestimento.
Rifiutiamo completamente l'idea di una scuola impoverita, marginale, nella quale trascorrere pochissime ore al giorno e pochi anni, per poi trovare velocemente un lavoro. Non vogliamo una scuola che discrimina socialmente, dove bimbi ricchi avranno scuola, doposcuola, sport e momenti di socialità, avendo la possibilità di scegliere e tutti gli altri, invece, dovranno accontentarsi di prendere un pullman al mattino presto per andare nel paese vicino - infatti bisogna ricordarlo con forza: le scuole in tanti piccoli comuni chiuderanno; sono a rischio quattromila scuole - e di uscire poi a mezzogiorno e mezzo, perché con un orario di ventiquattro ore settimanali il tempo pieno non ci sarà più. Questa è la verità. E quanti saranno i bambini che prenderanno quel pullman? Quanti rimarranno a casa, di quanto aumenterà ancora la dispersione scolastica? Soprattutto come faranno le mamme a conciliare il lavoro con la cura per i bambini?
Per non parlare poi di quella misura assurda che è la bocciatura per l'insufficienza in una sola materia. Come si può citare, ricordare don Milani, come voi fate, e poi pensare ad una misura di questo tipo? Ve li ricordate, se li ricorda, sottosegretario, Gianni e Sandro, i ragazzini di cui scriveva don Milani: i professori - diceva don Milani - li avevano giudicati cretini. Volevano che ripetessero la prima classe per la terza volta. Erano ridotti a desiderare l'officina - scriveva don Milani - sono venuti da noi solo perché noi ignoriamo le vostre bocciature. Quanti anni luce ci sono tra questa tensione educativa e la vostra volontà di escludere, di discriminare, riportando tra l'altro la scuola alla dipendenza completa dalle lezioni private? E chi non può, onorevole sottosegretario? Chi non può permettersi le lezioni private? Ma a queste domande a voi non interessa rispondere. Queste preoccupazioni vi lasciano assolutamente insensibili, altrimenti avreste accettato un confronto vero e di merito che invecePag. 48rifiutate ancora. E la prova provata è il fatto che scegliete di esercitare la prova muscolare attraverso il voto di fiducia. La verità è che intendete fare cassa sulle spalle del futuro del Paese e delle giovani generazioni. Questa è la vera ragione di fondo del vostro provvedimento. Ed è per questo che la nostra non è, come dite, un'opposizione ideologica. Siamo anche consapevoli che il sistema formativo italiano va ripensato ma non così. Davvero, non così. Perché il nostro Paese è già tra gli ultimi nella classifica europea di finanziamenti statali destinati all'istruzione e per aumentare la qualità e l'incisività della formazione bisogna portare i fondi ai livelli europei. È necessario investire, bisogna considerare la formazione l'asset centrale su cui impostare le scelte del Governo. Perché non è la competizione tra le agenzie formative che permetterà all'Italia di migliorare nelle classifiche OCSE-PISA. I risultati arriveranno solo se metteremo il sistema in condizione di svolgere il suo compito delicato. Vogliamo che si prosegua nella definizione di livelli minimi di prestazione per il diritto allo studio e nella definizione di una legge quadro che la scuola attende da anni. Perché la residenza geografica non può diventare un discrimine rispetto al merito. Lo dico soprattutto alla luce della discussione che ci attende sul federalismo.
Chiediamo scuole aperte di pomeriggio come antidoto rispetto alla dispersione: questa è la vera battaglia che insieme dovremmo sostenere contro l'illegalità. Il Ministro, il sottosegretario e la relatrice sanno che nelle aree difficili la scuola è un vero e proprio presidio per sottrarre i ragazzi alla criminalità organizzata. In sostanza chiediamo una scuola più qualificata, una scuola più efficiente, una scuola più moderna con al centro gli studenti e il loro futuro.
Questo in sostanza abbiamo cercato di trasferire nei nostri emendamenti e per questo non ce ne staremo qua ben ordinati e silenziosi a guardare lo smantellamento della scuola pubblica e del futuro del nostro Paese. A qualcuno immagino verrà voglia di metterci un bel cinque in condotta e magari bocciarci, ma questo, almeno in quest'aula, non è consentito (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Villecco Calipari. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, intervengo nella discussione con profonda preoccupazione per le decisioni che questo Governo ha assunto con il provvedimento in esame, in materia di istruzione. Si tratta di decisioni che implicheranno inevitabilmente pesanti conseguenze sul sistema scolastico italiano, sulle famiglie e, in una prospettiva più lunga, anche sulla preparazione e formazione dei nostri studenti. Sembra quasi che non abbiate presente il valore indiscutibile della cultura, della formazione e della scuola.
Mi sono già trovata diverse volte a contestare decisioni che questo Governo ha preso in materia di gestione e utilizzo delle nostre Forze armate. Sappiate che quello che state facendo contro la scuola e l'università ha la stessa grave portata. Dico ciò ricordando le parole di un grande uomo, un grande magistrato italiano, Giovanni Falcone, che alle domande dei giornalisti, che gli chiedevano se l'esercito poteva contribuire alla sconfitta della mafia, rispondeva che sicuramente l'esercito avrebbe aiutato, ma precisava che l'esercito a cui alludeva era un esercito costituito da maestri elementari. Per Falcone l'istruzione era un valore imprescindibile, era alla base della formazione etica e civile di un uomo, di una comunità, di uno Stato.
Mi chiedo e vi chiedo se per voi l'istruzione ha lo stesso valore, oggi che con agghiacciante leggerezza infliggete altri tagli alla scuola, dopo quelli già realizzati con la manovra economica triennale, con l'aggravante di non aver ancora disegnato ed indicato un vostro progetto complessivo, per quanto riguarda l'intero sistema scolastico nazionale.
Disinvestire sulla scuola: è forse questa la vostra soluzione? Parliamo di unaPag. 49scuola nuova, autonoma, parliamo di un progetto o state parlando semplicemente, come al solito, in maniera propagandistica, con uno spot? Uno spot che è in realtà un attacco feroce e senza precedenti nella storia di questa Repubblica, che stravolgerà il percorso e la qualità della formazione dei nostri ragazzi e tutto ciò fra l'indifferenza e l'arroganza di un Ministro incapace di confrontarsi con docenti e famiglie.
Ai genitori è stato detto che i ragazzi trascorrono troppo tempo sui banchi di scuola, che ci sono troppi insegnanti e troppi bidelli a fronte di risultati modesti, che la scuola non può essere uno stipendificio e un ammortizzatore sociale, deridendo una categoria, quella dei docenti, che opera tra difficoltà e mancati riconoscimenti già da tempo. Il tutto attraverso una campagna mediatica condotta ad hoc, volta a far credere ai cittadini che i problemi dell'educazione si risolvono con voti in pagella e grembiulini, tacendo invece su quella che è l'unica vera volontà del Governo: fare cassa a discapito della qualità dell'insegnamento offerto agli alunni, senza tenere minimamente in conto le esigenze delle famiglie. Uno spot che ha tanto il sapore di un ritorno al passato, alla memoria nostalgica del maestro unico alle elementari, voluto così tanto dal Ministro Gelmini e concretizzato attraverso tagli veri, questi invece voluti dal Ministro Tremonti: una sinergia perfetta per un'autentica controriforma.
Secondo la vostra riforma si risparmierà sui maestri specializzati nelle varie materie: il loro posto verrà preso da un maestro unico, a cui si chiede di diventare un tuttologo, che in ventiquattro ore settimanali dovrà insegnare ai propri studenti tutte le materie, dall'italiano alla matematica, dalle scienze alla storia, passando per la geografia e la lingua inglese. In un numero di ore così limitato, cosa potrà dare ai bambini?
Non si può sostenere che il ritorno al maestro unico è ciò che può dare certezza e sicurezza nella formazione degli alunni, interpretando e manipolando così impunemente teorie pedagogiche ed educative, perché in realtà state pregiudicando il futuro di intere generazioni. È assolutamente necessario, per un Paese come il nostro, caratterizzato da un tasso di invecchiamento tra i più alti al mondo, poter investire sul suo futuro. Per poterlo fare, deve investire sulle generazioni più giovani, riconoscendo il merito e, contemporaneamente, dando ad esse tutte le opportunità, pari opportunità però. In questo modo, invece, non sarà così: siamo di fronte ad una scuola non per poveri, come ha giustamente affermato il nostro segretario, Walter Veltroni.
La scuola pubblica che voi state realizzando sarà ovviamente ed inevitabilmente una scuola impoverita, nella quale ancora una volta chi più avrà più potrà ricercare fuori dalla scuola altre opportunità educative e formative.
Avete dimostrato una totale noncuranza verso i problemi delle famiglie. Con ventiquattr'ore settimanali - che significano mediamente quattro ore al giorno - sapete che di conseguenza i bambini torneranno a casa a mezzogiorno e mezza? Avete un'idea di cosa voglia dire questo per i genitori che lavorano tutto il giorno? Come potranno conciliare i tempi di lavoro con gli orari scolastici dei propri figli? Sono tutti interrogativi sui quali è calata una coltre di indifferenza mortificante. Siete riusciti a scontentare praticamente tutti con un'esclusione ideologica e a prescindere da ogni suggerimento, da ogni idea e da ogni proposta. Un ennesimo muro, un'ennesima occasione persa al confronto: peccato che a pagare siano soprattutto i nostri ragazzi.
Noi, insieme alle famiglie, ai sindacati, agli amministratori locali e agli insegnanti vi ribadiamo con rinnovata forza che siamo contrari alla vostra riforma. Una riforma contro la scuola, non solo perché non si investe nella scuola e per la scuola, ma perché si destruttura quello che in essa funziona, e solo per fare cassa. Voglio portare l'attenzione su un problema gravissimo sul quale sapientemente siete riusciti a fare silenzio e che riguarda la chiusura delle scuole con meno di 600 studenti. Nella sola Calabria sono a rischioPag. 50di chiusura 416 scuole, soprattutto nei piccoli centri dall'Aspromonte alle coste ioniche calabresi. Come si farà? I sindaci dovranno organizzare i trasporti? Mi chiedo se vi rendete conto delle conseguenze che questa riforma avrà come inevitabile accorpamento delle scuole elementari che porterà nei territori collinari e montani gravi disagi per gli studenti che già a sei anni dovranno fare i pendolari. A questo si aggiungeranno i costi che ricadranno direttamente sulle famiglie e quelli che invece precipiteranno sulle casse degli enti locali che dovranno attivare i servizi di scuolabus. Un ulteriore provvedimento che aggrava l'abbandono di realtà territoriali segnate già da difficoltà infrastrutturali e che ricadrà pesantemente sulla qualità di vita dei cittadini, soprattutto nel Mezzogiorno.
Considerando questa situazione, ritengo che il pericolo di un ritorno all'analfabetismo per vaste aree del nostro Paese sia oggi, con la vostra controriforma, un rischio reale. Per non parlare, poi, del problema sociale. I tagli sono, infatti, enormi e di nuovo - e soprattutto - al sud (che sappiamo non godere delle migliori attenzioni del Ministro dell'istruzione) e in particolar modo in Calabria, dove occorrerebbe invece costruire centri di istruzione scolastica anche nel più sperduto paese dell'entroterra aspromontano e silano, altro che smantellamento! La forza distruttiva della 'ndrangheta affonda le proprie radici su una cultura che deve essere sconfitta sullo stesso piano, cioè quella dei valori che devono essere trasmessi e profusi con una costanza e una capacità anche maggiore rispetto a quello che avviene in altre regioni d'Italia, proprio perché i bambini come soggetti in età evolutiva sono più vulnerabili e direttamente influenzabili dai messaggi e dagli stimoli esterni.
È su Il Sole 24 Ore di oggi la notizia della lettera inviata da otto governatori - tutti delle regioni meridionali - al Ministro Gelmini perché si profila un nuovo preoccupante taglio di risorse. Già la manovra economica triennale (cioè la vera finanziaria) ha ridotto le risorse per l'istruzione per una somma pari a 7 miliardi 832 milioni di euro. A questa cifra, già di per sé esorbitante, rischia di aggiungersi un ulteriore miliardo di euro se il Governo sottrarrà questa somma al Fondo per le aree sottoutilizzate destinato al programma istruzione previsto nel quadro strategico nazionale messo a punto per il periodo 2007-2013. Con questo finanziamento lo Stato si era impegnato negli anni scorsi a sostenere le scuole nelle regioni meridionali. In termini concreti l'Esecutivo - che tre giorni fa ha coperto il crack finanziario attuato dall'amministrazione di centrodestra di Catania proprio attingendo dal FAS - potrebbe, sulla base di un articolo del decreto-legge n. 112 del 2008, utilizzare le risorse FAS del programma istruzione per il potenziamento di una non meglio precisata rete infrastrutturale di livello nazionale. A questo proposito, è stata, appunto, invitata una lettera al Ministro Gelmini con la richiesta di una rassicurazione che, però, ancora ad oggi, signor sottosegretario, non mi pare sia arrivata e non so se potrà arrivare neppure questo pomeriggio.
In questi mesi abbiamo sentito di tutto: dalle interpretazioni dei dati statistici sull'istruzione alquanto dubbie, fino alle odiose considerazioni e valutazioni personali del Ministro Gelmini sugli insegnanti meridionali. Assolutamente indefinibile e molto grave la posizione espressa dal Ministro, secondo la quale i docenti del sud sono meno preparati dei colleghi che operano al nord e necessitano di apposito giuramento.
Infatti, nelle strutture scolastiche del nord operano ed ottengono brillanti risultati moltissimi docenti provenienti dal sud, il cui ritardo è, pertanto, da individuare in fattori sociali, economici e strutturali che il Ministro dovrebbe conoscere e casomai contribuire ad eliminare. Ma forse, delle realtà lì vicino, lontane da voi, vi importa ben poco.
Avete un'idea dell'interesse generale e del bene comune discutibile e assolutamente non condivisibile. È per questo motivo che state ancora sottovalutando le conseguenze di tagli così indiscriminati,Pag. 51che vanno a colpire un settore fondamentale per il futuro e la vita del nostro Paese. In questo caso possiamo parlare di disinteresse generale, che vi fa compiere anche l'errore più grave che un Governo possa fare: ritenere che la spesa pubblica per l'istruzione sia assimilabile a tutti gli altri impegni di risorse di uno Stato e credere, quindi, che i recenti rapporti dell'OCSE dimostrino che la scuola pubblica italiana sia rea di avere una spesa fuori controllo per 43 miliardi di euro nel 2008.
Ecco, quindi, l'ennesimo capolavoro del Governo Berlusconi, è sotto gli occhi di tutti: 8 miliardi di euro in meno fino al 2011 per la scuola pubblica; si tagliano 87 mila docenti e 43 mila addetti al personale tecnico e amministrativo. Al contrario, non è vero che la spesa per la scuola è notevolmente cresciuta negli ultimi anni: infatti, la quota di spesa complessiva è scesa dal 12,6 per cento del 1990, al 10,6 per cento del 2005 (sono dati ISTAT). Ciò è dovuto ai continui tagli operati dai vari Governi in questo settore. E ancora: se tra il 1995 e il 2005 gli investimenti nella scuola dei Paesi europei sono aumentati del 41 per cento, in Italia l'incremento è rimasto contenuto al 12 per cento (dati OCSE).
Le conseguenze delle vostre scelte sono di una gravità unica. Molti docenti di ruolo saranno individuati come soprannumerari e saranno, pertanto, costretti a cambiare sede: il che significa che la continuità didattica non sarà garantita e che i ragazzi potrebbero dover cambiare insegnante anno dopo anno. L'orario di insegnamento nella scuola primaria sarà ridotto a ventiquattro ore settimanali, insufficienti a garantire il rispetto dei tempi di apprendimento propri di ciascun alunno. Non vi saranno più né pluralità dei docenti, né compresenze: il che significa che non sussisteranno le condizioni per permettere attività di recupero per alunni con difficoltà di apprendimento. Non saranno possibili gite di istruzione, visite guidate e una didattica aperta al territorio. Il tempo pieno non sarà garantito a tutti, perché solo le scuole del nord sono dotate delle infrastrutture necessarie: il che porterà ad accentuare il divario culturale tra il nord e il sud del Paese, penalizzando fortemente quest'ultimo dove il tasso di abbandono scolastico risulta già molto alto.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Gli unici insegnanti specialistici saranno i docenti di religione, visto che gli insegnanti specialistici di lingua inglese nella scuola primaria saranno riassorbiti nel posto comune e tutti gli altri saranno obbligati ad abilitarsi all'insegnamento dell'inglese attraverso corsi di 150-200 ore: il che sfacciatamente contraddice con quanto «sbandierato» dal precedente Governo Berlusconi nella quattordicesima legislatura, ovvero l'importanza delle tre «I», tra cui, appunto, quella dell'insegnamento dell'inglese.
A causa dei tagli già operati dal decreto-legge n. 112 del 2008, molti alunni non avranno più l'insegnante di sostegno, finora risorsa per la classe intera, oltre che strumento formidabile di integrazione sociale e garante del diritto allo studio per gli alunni diversamente abili, i quali, in tal modo, verranno ghettizzati con conseguenze disastrose sul piano sociale e didattico.
La riduzione del numero di indirizzi nella scuola secondaria di secondo grado non terrà conto del fatto che gli istituti professionali sono ben diversi dagli istituti tecnici, hanno finalità diverse e non sono doppioni. Inoltre, l'accorpamento delle classi di concorso sarebbe molto deleterio, soprattutto per chi insegna materie tecniche e professionalizzanti, e per gli allievi che si troveranno insegnanti che dovranno necessariamente ricominciare a studiare per prepararsi su materie che non hanno mai insegnato.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Ho concluso, signor Presidente. Il Ministro ha sostenuto che parte dei soldi risparmiati servirà a rendere più sicure lePag. 52scuole, ma anche questa volta si tratta di un'affermazione priva di fondamento, dal momento che l'edilizia scolastica compete ai comuni, così come non corrisponde a verità il fatto che i docenti di ruolo vedranno aumentato il loro stipendio. Secondo il Ministro, infatti, solo i più meritevoli - e solo a partire dal 2012 - saranno premiati con 50 euro.
Abbiate il coraggio di raccontare questa verità alle famiglie italiane, abbiate il coraggio di dire che tipo di Paese state costruendo, o distruggendo, dipende dalla prospettiva. Un Paese che non investe nella formazione e nella ricerca è destinato a un declino inarrestabile e ad invecchiare non solo per ragioni demografiche, ma anche per mancanza di cultura e di innovazione. È indiscutibilmente un Paese per vecchi. Ecco, voi state negando questo al Paese: il futuro delle nostre generazioni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bossa. Ne ha facoltà.

LUISA BOSSA. Signora Presidente, signor sottosegretario, signora presidente della Commissione cultura, colleghi deputati, sono una docente del sud, una di quelle di cui è stato detto che sarebbe ignorante, rozza ed incolta. E tuttavia vi assicuro, malgrado le mie ataviche carenze, ho letto il decreto-legge presentato dal ministro Gelmini e dai suoi colleghi di Governo e di cui oggi discutiamo. Tale decreto-legge, che ha l'ambizione di diventare legge dello Stato in materie come l'istruzione e l'università, che riguardano speranze e futuro del nostro Paese, si sarebbe dovuto avvalere, lo speravo davvero, della collaborazione strettissima dei Ministri competenti in materia di cultura, politiche sociali e sviluppo economico e invece è stato presentato di concerto con il Ministro Tremonti, che gli insegnanti vuole «tonti», e con il ministro Brunetta, che vorrebbe «tagliarli a fette». La furia iconoclasta del ministro Tremonti si è avvalsa della fragile esperienza del Ministro dell'istruzione; infatti, ha pensato solo ai tagli e, l'amara pillola, si è voluta addolcirla con il cinque in condotta per i bulli, il grembiulino che rende tutti uguali e il voto che dà immediatamente l'idea del merito o del demerito dell'alunno. In questa lettura faticosa, come dicevo prima, del decreto in oggetto, nella prima stesura ho trovato la parola magica «contenimento» e solo nell'ultima stesura, quella che leggiamo ora e che vi apprestate ad approvare, compare la parola «razionalizzazione». Credo, che un po', sottosegretario Pizza, vi siate vergognati a lasciare la prima versione, perché - lo dico così, in maniera poco ortodossa - c'è un che di scandaloso in questa parola. Quando si contiene infatti si finisce con il restringere, rimpicciolire, insomma si impoverisce e si trattiene. Mi perdoni, c'è una sorta di stipsi culturale in questo documento. Allora, meglio la parola: «razionalizzare», che richiama la testa, anziché l'intestino.
Sempre all'articolo 4 - oh, galeotto chi lo scrisse! - appare una sorta di concetto filosofico. Io non so che studi ha fatto, mi perdoni ancora, ma spero ne abbia sentito parlare. Si tratta di una sorta di concetto filosofico riconducibile ad Aristotele. Lei si domanderà: «Che c'entra in questo decreto il buon vecchio filosofo greco»? Vede, l'articolo in questione recita così: «(...) le istituzioni scolastiche della scuola primaria costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali (...)», ma subito dopo, un rigo e mezzo più in basso, si legge: «Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alle domande delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola». Aristotele ha detto che non è lecito affermare che qualcosa sia e non sia nello stesso modo e nello stesso tempo: il cosiddetto principio di non contraddizione. In realtà l'articolo 4 è solo apparentemente contraddittorio. In sintesi, il suo Governo dice che il tempo scuola dei nostri bambini si svolgerà nel solo orario antimeridiano. Per pranzo, tutti a casa! Subito dopo, però, aggiunge: il tempo pieno non si toccherà!Pag. 53
Ma come è possibile, signor sottosegretario? Se «A» è «A», non può essere «B»: eccolo qui quel principio cui facevo riferimento prima. Allora, cosa è successo? Ho capito che il suo Governo non poteva fare a meno di scrivere un articolo così, anche in barba alla logica classica, e sa perché? Perché i vostri elettori del nord manderebbero al rogo il Ministro Gelmini come Giovanna D'Arco perché le classi con il tempo pieno sono tutte concentrate al nord. Pensi che solo a Milano sono il 96 per cento del totale.
Allora, devo ammettere, con una punta di fastidio, che perfino in Bossi c'è del buonsenso perché conosce i suoi elettori, anzi le sue elettrici. Come si fa ad accettare - lui ha pensato - che i propri bambini tornino a casa all'ora di pranzo dopo che per quarant'anni la scuola a tempo pieno ha permesso alle loro mamme di lavorare, di avere un secondo reddito, a differenza che nel Mezzogiorno dove la disoccupazione femminile è drammatica e tra le più alte d'Europa?
Ecco le due affermazioni, come dicevo all'inizio, che sono solo apparentemente contraddittorie! La verità è che queste affermazioni rappresentano il programma politico di una maggioranza che ha in testa un Paese spaccato a metà e rende una parte di questo Paese, ahimè, ancora più fragile.
È il programma di una parte, che sa bene che al sud è difficile l'integrazione tra scuole ed enti locali, troppo poveri, troppo zeppi di problemi per elargire la mensa o il bus scolastico.
Debolezza degli enti locali, mancata emancipazione delle donne del sud, ma questo al suo Governo cosa importa? E quindi, queste donne, le mie donne, che passano il loro tempo davanti alle vostre TV, possono andare a prendere tranquillamente i bambini all'ora di pranzo perché così si risparmierà un bel po', si razionalizzeranno le spese, insomma si conterranno, per dirla con l'antica parola della prima stesura.
Gli altri bambini, quelli che se lo possono permettere, passeranno i pomeriggi nelle palestre, nelle piscine, nelle scuole di inglese e informatica.
Ho fatto il sindaco per dieci anni: nel 1996 - o nel 1997, non ricordo bene - ci fu una prima conferenza nazionale sull'infanzia (con la partecipazione del Ministro Livia Turco, durante il primo Governo Prodi). A Firenze, prima di me parlò, credo, l'assessore di Torino, una donna. Disse: noi, a Torino, abbiamo un problema (io pensavo: uno solo, beati i torinesi!); abbiamo un problema: come facciamo, visto che i nostri bambini vedono la strada dal finestrino del bus, dalle macchine dei loro genitori? Come si fa? Eppure stiamo spendendo tanti denari in psicologi, psichiatri e terapeuti: come si fa a riportare bambini in strada?
Quando parlai io, dissi esattamente: «Anche noi abbiamo questo problema, al contrario: come facciamo a togliere i bambini dalla strada?»
Allora non è un paradosso e neppure una falsità e una bugia che in questo Paese vi saranno due scuole e di questa riforma, come ha scritto in uno straordinario editoriale Francesco Merlo, resterà solo il veleno razzista ormai entrato in circolo contro il sud, contro gli insegnanti meridionali sottosviluppati, incolti, ignoranti e contro i bambini. Questi ultimi, dalle mie parti (lo dicevo prima: ho fatto il sindaco) hanno visto il mare per la prima volta - loro che si svegliano avendo il terreno proprio di fronte - solo perché alcuni volenterosi, eroici insegnanti, le mattine d'estate, li accompagnano al mare.
Non lo conoscevano, il mare, semplicemente perché non se lo potevano permettere, e non sapevano nuotare.
Anche questo la scuola al sud, dalle mie parti, sa fare. Insegnare a mantenersi a galla quando tutto intorno è naufragio, insegnare a remare quando tutto è controcorrente, insegnare ad abbassare le vele quando il vento è sfavorevole. È difficile fare scuola, signor sottosegretario. Questo lo dice una che l'ha fatta per venti anni e lo è ancora di più, mi creda, nel Mezzogiorno. La vostra scuola, quella che vi apprestate a stravolgere con un decreto-legge da saldo di fine stagione li ha già condannati, quei bambini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bachelet. Ne ha facoltà.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, onorevole presidente della mia Commissione cultura ed unica rappresentante della maggioranza e perciò gentilissima! Il complesso degli emendamenti del Partito Democratico è ispirato alla esortazione del Presidente della Repubblica ad un atteggiamento costruttivo e responsabile. Così è stato anche in Commissione dove, purtroppo, il nostro atteggiamento non è stato ricambiato. Infatti, la maggioranza ha stroncato tutti i nostri emendamenti. Tuttavia, a scoppio ritardato, lo ha affermato proprio la presidente della Commissione cultura, il nostro atteggiamento ha pagato. Martedì sera durante le repliche del relatore e del Governo, la presidente della Commissione ci ha detto che due punti molto importanti della nostra battaglia erano stati recepiti dal Governo, che quest'ultimo avrebbe corretto la rotta sia sulla stupidaggine della bocciatura con una sola insufficienza alle medie e alle elementari, sia sulla grave ingiustizia di mettere in coda alle graduatorie, anziché in ordine meritocratico, chi ha frequentato l'ultimo ciclo della SSIS (Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario).
Sempre in relazione alle nostre battaglie in Commissione, abbiamo appreso con soddisfazione anche l'impegno del Governo per la messa a norma e l'adeguamento degli edifici scolastici, le cui condizioni pessime sono, fra l'altro, causa della quasi assenza del tempo pieno in quasi tutto il Meridione.
La natura costruttiva delle nostre proposte è rivelata dal fatto che di quasi tutti gli articoli - l'articolo 1, sull'educazione e alla Costituzione, l'articolo 2, sul voto di condotta, l'articolo 5, sui libri di testo, e anche gli altri - non abbiamo proposto la soppressione ma solo correzioni, spesso riconosciute come ragionevoli, in Commissione, anche da una parte della maggioranza. Solo di due articoli abbiamo chiesto la soppressione, ossia l'articolo 3 e l'articolo 4. Anche di questi abbiamo previsto, in subordine, una serie piuttosto nutrita di emendamenti via via meno radicali, che introducono correzioni parziali nella direzione di un miglioramento o di una razionalizzazione.
Così sull'articolo 3, che introduce il voto in decimi, abbiamo, oltre alla soppressione, proposto emendamenti che escludono la bocciatura per una sola insufficienza, che rimettono in gioco la collegialità, che rendono esplicita la valutazione delle competenze, anche attraverso descrittori e standard di valutazioni agganciati ai voti numerici. Secondo quanto promesso dalla presidente della Commissione cultura, onorevole Aprea, nella replica di martedì sera, alcuni di questi nostri emendamenti sono stati di fatto recepiti dalla maggioranza e dal Governo, benché a scoppio ritardato. Ma come si diceva, meglio tardi che mai.
Pur trovando inaccettabile il metodo, la decretazione d'urgenza, e il merito di gran parte del decreto-legge in esame, siamo fieri di aver contribuito, pur essendo in minoranza, almeno a qualche miglioramento. Forse don Ciotti parlerebbe, in questo caso, di riduzione del danno di questo bruttissimo provvedimento. Sarebbe bello se il Governo, adesso in Aula, volesse venire incontro a noi dell'opposizione (e alla maggioranza del Paese, stando non solo ai sondaggi del Corriere della Sera e alle nostre audizioni in Commissione) sull'articolo del decreto-legge in esame del quale abbiamo chiesto e chiediamo, con forza, la soppressione. Si tratta dell'articolo 4, quello sul maestro unico o meglio sulla riduzione dell'orario scolastico a ventiquattro ore settimanali, con rientro anticipato a casa dei bambini delle elementari.
I sondaggi del Corriere della Sera sono chiari: tre italiani su quattro non vogliono la riduzione dell'orario scolastico (come si evince dal supplemento Magazine del 25 settembre) e nella pagella al Ministro (Magazine della settimana dopo, cioè di ieri) l'insufficienza più grave della Gelmini, ironia del voto numerico, è un brutto 4 proprio sul maestro unico.Pag. 55
A proposito delle nostre audizioni, visto che la presidente Aprea sostiene che non tutte erano negative sul Governo, sul decreto-legge e sull'articolo 4, in particolare, rispondiamo: sì, è vero! Di cinquantuno sigle associative e sindacali ascoltate in Commissione ventinove erano contrarie all'articolo 4, dieci neutrali e solo nove favorevoli. C'era qualcuno favorevole al Governo, è vero: ma erano pochi. Comunque perfino su questo articolo 4 del quale, insieme all'opinione pubblica, chiediamo la soppressione, abbiamo individuato con spirito fattivo una ventina di emendamenti costruttivi, incentrati soprattutto sullo scopo che va incontro alla preoccupazione prevalente dell'opinione pubblica, quella di garantire le ventisette e le trenta ore a quelle famiglie che ne facciano tuttora richiesta. Lo stesso vale per il tempo pieno, da mantenere dove è già funzionante e da potenziare dove la domanda è inevasa.
Almeno questi emendamenti la maggioranza potrebbe passarceli. Si tratta, dopo tutto, della garanzia che il Ministro ha molte volte confermato a voce in tutte le sue uscite pubbliche, accusando, anzi, noi dell'opposizione di diffondere un panico ingiustificato.
Per spazzare via un panico ingiustificato basterebbe, diciamo noi, introdurre per iscritto una precisa disposizione di legge, mettere nero su bianco questa garanzia che per ora nella legge non c'è e, purtroppo, non c'è neanche nella bozza del piano che il Ministro ha illustrato ai sindacati (non a noi, non so perché; ma noi buoni buoni, lo abbiamo scaricato da Internet e ce lo siamo studiato lo stesso).
L'articolo 4 presenta anche danni collaterali, come li chiamavano in guerra, ai quali altri nostri emendamenti pongono rimedio: ad esempio, la ripresa della collegialità, il sostegno ai diversamente abili, l'orario pieno di ventisette e trenta ore nelle zone dove vi è disagio e dispersione scolastica, il recupero esplicito di ore aggiuntive per l'italiano e l'inserimento di bambini e ragazzi immigrati secondo quel che funziona già in molte zone del nostro Paese ad alta immigrazione, sia con la formula delle classi di accoglienza, sia con quelle del laboratorio. Ad esempio, questo sistema funziona bene a Brescia, la provincia del nostro Ministro.
In Commissione abbiamo notato l'interesse della Lega su non poche di queste nostre precisazioni ma, come abbiamo detto, tale interesse si è tradotto alla fine solo in qualche mal di pancia. Ha sempre prevalso, alla fine, la ferrea disciplina governativa, ma non importa. Saremmo contenti, anche se solo adesso, a scoppio ritardato, ci fosse qualche correzione di rotta in Aula.
Vediamo se in Aula riusciremo, con l'aiuto di qualche deputato della maggioranza, a portare a casa almeno qualcuna di queste buone idee o, viceversa, come ormai si dice nei corridoi, il Governo, anche stavolta, porrà la questione di fiducia. Sarebbe davvero una grossa delusione; vorrebbe dire che al Governo non interessa nessuno dei miglioramenti, anche piccoli, contenuti nei nostri emendamenti, in alcuni casi anche simili a quelli proposti da deputati della maggioranza.
Vorrebbe dire che di fronte ad un'opposizione molto vispa, il Governo è un po' depresso: sa già di non riuscire a trascinare ed entusiasmare, non solo noi, ma nemmeno la propria maggioranza e tanto meno il Paese, su un provvedimento impopolare.
Il Governo è depresso perché pensa solo a tagliare le spese (è uno scopo che non diverte nessuno). Taglia la scuola pubblica, per giunta le elementari, senza fantasia, senza nemmeno cogliere la triste necessità dei tagli come occasione di razionalizzazione e riqualificazione della spesa di qualche piccola riforma buona.
Viene il dubbio, a volte, che sia valida l'ipotesi di Calamandrei pubblicata su Scuola Democratica - recentemente! - il 20 marzo 1950). Diceva Calamandrei: trascurare le scuole pubbliche, screditarle, impoverirle, lasciare che si anemizzino può avere uno scopo, favorire le scuole private.
La scuola pubblica che in Italia, come ho affermato in un precedente intervento martedì scorso in Aula, è un patrimonioPag. 56strategico costruito non solo e non tanto dai comunisti, ma anche e soprattutto dai democristiani, da Franca Falcucci a Sergio Mattarella (per riferirsi solo agli ultimi trent'anni). Cominciare a picconare la scuola pubblica è dunque (o potrebbe essere) lo scopo del provvedimento che questo Governo persegue a colpi di decreti e fiducie, cercando lo scontro.
Speriamo che sull'articolo 4 il Governo colga i segnali del Paese e lo voglia stralciare, che voglia discutere con calma. Se non lo fa, se dopo aver scelto la decretazione d'urgenza pone anche la questione di fiducia e va avanti come una schiacciasassi, allora dovremo tristemente concludere in rima: fior di betulla, nel decreto di Giulia e Mariastella a parte i tagli non c'è proprio nulla. Fior di farina, la pubblica istruzione democristiana soccombe alla spallata ciellina (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Madia. Ne ha facoltà.

MARIA ANNA MADIA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, gli ultimi dati ISTAT sulle dinamiche occupazionali mostrano uno scenario che va oltre le preoccupazioni. Sono un milione e 700 mila gli italiani in cerca di lavoro: questo significa che non possono sostenersi economicamente, che non possono vivere una vita libera e dignitosa, che sono a carico di altri, a carico delle loro famiglie, oppure di pochi ed esigui strumenti di protezione sociale.
Sono 300 mila in più rispetto all'anno passato, rispetto a quando al Governo c'era il centrosinistra. Non voglio naturalmente affermare che la gravissima crisi occupazionale del nostro Paese sia colpa dell'attuale Esecutivo, ma certo è che le scelte di questo Governo pesano.
Avremo modo di riaffrontare la questione tra pochi giorni, ma l'iniziale decisione, arrivata con un emendamento del Ministro Brunetta, di licenziare in tronco decine di migliaia di precari della pubblica amministrazione (e parlo di licenziamenti dato che sono precari di lungo corso, un precariato consolidato e molto spesso qualificato, persone che hanno spesso più di quarant'anni, quindi di difficile ricollocazione) non avrebbe certo aiutato gli equilibri occupazionali del nostro Paese.
Scongiurata l'Alitalia, il Governo si stava apprestando a provocare un dramma occupazionale che può essere quantificato pari a quattro fallimenti Alitalia. Soltanto la forte e decisa opposizione del Partito Democratico, delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori spontaneamente sui luoghi di lavoro, ha creato il clima affinché il Governo smorzasse almeno l'effetto di questo emendamento. Ripeto, avremo modo nelle prossime settimane in Aula di discutere di questo, ma se il Governo avesse deciso in maniera incontrastata, i dati occupazionali sarebbero stati ben peggiori.
Non tutte le responsabilità sono del Governo, ma appare comunque evidente che l'Italia vive una profonda crisi strutturale di crescita, una crisi che viene da lontano, inserita in una crisi generale delle economie occidentali avanzate.
In questo contesto il ruolo dello Stato è fondamentale: è lo Stato, con il Governo in carica e con le politiche che mette in atto, che ha il compito, anzi il dovere, di risollevare i mercati, di stimolare i consumi e l'occupazione e, quindi, la crescita e lo sviluppo del Paese. Lo stanno facendo in molte economie occidentali e, come abbiamo visto nell'esempio degli Stati Uniti, quando lo Stato non riesce a decidere, il mercato collassa a causa delle sue paure.
In Italia come rispondiamo alla crisi? Licenziando i precari e tagliando in maniera lineare tutti i servizi sociali.
Credo che ognuno di noi, signor Presidente, colleghi, abbia in mente della scuola, oltre che l'importante valore sociale, culturale ed educativo, anche la funzione strategica di primo livello di quella società della conoscenza che costituisce l'indirizzo di sviluppo di un'economia come la nostra; una società fondata sui saperi, sulla formazione, sulla ricerca, sullo sviluppo delle tecnologie, insomma sulla qualificazione delle risorse umane ePag. 57sull'inclusione sociale. È questo il modello di società che può vincere la competizione globale, è questo l'unico modello di società che può farcela contro i giganti asiatici e latino-americani della produzione manifatturiera e dell'energia.
La scuola è un anello fondamentale di questa catena, è il primo percorso formativo dei cittadini, innesta i saperi di base, porta l'individuo alle sue prime relazioni sociali al di fuori della famiglia, instrada in maniera determinante verso i percorsi formativi successivi. Eppure, questo Governo la considera una semplice perdita, un peso da contenere, un peso finanziario da ridurre il più possibile in un'ottica che vede tagli lineari effettuati senza criterio e senza strategie.
Certamente il pareggio di bilancio è un obiettivo giusto, sacrosanto, ma non si può fare degradando il ruolo dello Stato nel determinare condizioni e opportunità affinché l'economia si possa sviluppare, affinché l'economia, e quindi la società, sia più equa, affinché i cittadini possano godere di migliori servizi.
Noi del Partito Democratico siamo convinti che, se massacriamo la scuola nel medio e nel lungo periodo, le conseguenze sull'economia nazionale, e quindi anche sugli stessi conti dello Stato, saranno peggiori rispetto agli apparenti benefici dati dai tagli che il Governo propone, perché manca una strategia, perché manca un'idea di scuola.
Sembra che anche i contenuti di merito sull'organizzazione scolastica - penso ad esempio al maestro unico - siano niente altro che espedienti normativi per coprire l'estensione dei tagli e non reali risposte alle esigenze di una scuola moderna.
Perfino il voto in condotta, che in sé può anche essere una misura condivisibile, in questo decreto-legge è soltanto un espediente comunicativo, strumentale alla ricerca di consenso, la cui presenza, così come quella del maestro unico, davvero non si spiega in un decreto-legge. È veramente difficile ravvisare, infatti, la necessità e l'urgenza degli articoli 2 e 4 del testo che stiamo discutendo.
Ben diverse, invece, sarebbero le emergenze della scuola italiana. Vorrei ricordare - sono dati dello stesso Ministero - che la dispersione scolastica è ancora pari al 20 per cento, una media molto alta, molto lontana dalla media europea e assolutamente incongrua rispetto allo sviluppo economico del nostro Paese.
È molto difficile giudicare, quindi, l'operato del Ministro Gelmini sul fronte delle politiche scolastiche, per la semplice ragione che sembra che non esista alcuna politica scolastica degna di tale nome. Il Ministro Gelmini si limita a ratificare i diktat del collega Tremonti, riesce bene nella comunicazione, ma opera debolmente e confusamente, fa grandissimi proclami sul merito.
Proprio ieri il Presidente del Consiglio, in sua presenza, ha premiato i ragazzi che alla maturità hanno ottenuto 100 e lode. Nel frattempo, però, in un altro provvedimento, collegato alla finanziaria, il disegno di legge n. 1441-quater, che arriverà in Aula la settimana prossima, un emendamento della maggioranza cancella il voto degli studi come titolo di merito nella formazione delle graduatorie dei concorsi pubblici, con il messaggio implicito che, nella tanto strumentalmente utilizzata società del merito, impegnarsi e conseguire, grazie all'impegno, dei risultati è solo una perdita di tempo o, al massimo, può farti ottenere una medaglia dal Presidente del Consiglio.
Ne è anche la riprova un altro settore di competenza del Ministro Gelmini, un settore importantissimo, come quello dell'università e della ricerca. Lì è emblematico quanto il Ministro comunichi bene e operi male. Le università stanno affrontando un problema nell'erogare l'aumento delle borse di dottorato. Questo era stato rivendicato dal Ministro Gelmini come uno dei primi successi del Governo. Ebbene, a quanto pare, i tagli non consentono a tutte le università di aumentare le borse. È un po' come l'effetto sul bilancio dei comuni che sta avendo la mancata restituzione del gettito ICI. Il Governo, da una parte, aumenta le borse, tutte pagate dal Ministero dell'istruzione, dell'universitàPag. 58e della ricerca ma, dall'altra, taglia il fondo di finanziamento ordinario e, quindi, lascia le università insolventi di fronte al pagamento delle borse d'ateneo, che in ogni caso dipendono in gran parte dai finanziamenti statali.
Ebbene, se questo è il modo di governare le risorse umane nel campo della ricerca, settori strategici per il futuro del Paese potrebbero trovarsi in seria difficoltà.
Spesso il Ministro Gelmini ha proclamato di voler pagare di più gli insegnanti e di voler valorizzare le risorse umane nella scuola. Questi aumenti, per ora, non si vedono.
La scuola italiana, invece, perderà sicuramente, se questo decreto-legge venisse convertito in legge, 87 mila insegnanti e 42 mila amministrativi. Sicuramente, se questo decreto-legge venisse convertito in legge, la scuola e, soprattutto, milioni di bambini e ragazzi sarebbero molto più poveri.
Signor Presidente, colleghi, credo che, senza strumentalizzazioni di parte, il complesso degli emendamenti presentato dal gruppo del Partito Democratico migliori, per ragioni oggettive, proprio come diceva il collega Bachelet, il testo che verrebbe licenziato dall'Aula. La visione generale dei nostri emendamenti propone una scuola universale, equa, attenta alle particolari e delicate esigenze educative dell'infanzia, proiettata verso obiettivi formativi europei e contrassegnata da una gestione secondo criteri di efficienza, economicità, ma anche di alta qualità dei servizi.
Signor Presidente, vorrei soltanto sottolineare brevemente il valore di alcune di queste proposte emendative.
L'articolo 1 del decreto-legge prevede che, nell'anno scolastico appena iniziato, si dia corso ad una non meglio definita sperimentazione per l'acquisizione di conoscenze e competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione». Il testo del Governo scorda di quantificare il monte ore annuale che l'istituto scolastico dovrebbe dedicarvi nella programmazione didattica, e questo è l'oggetto dell'emendamento Zaccaria 1.111; si tratta di un requisito indispensabile per comprendere reale funzione e peso di questo indirizzo formativo.
Sul voto in condotta, vorrei sottolineare la semplice, ma fondamentale, precisazione dell'emendamento Pollastrini 2.3, che richiede un patto di corresponsabilità tra famiglie, scuole e studenti.
L'emendamento Picierno 2.66 definisce con chiarezza il processo per il quale ogni istituto definisce il proprio regolamento ai fini del rafforzamento del processo di corresponsabilità delle famiglie, vero e proprio processo condiviso per la definizione degli standard educativi degli studenti, e quindi delle relative sanzioni, che devono avere una dimensione di riparazione più che di mera punizione.
L'emendamento Motta 3.10, sul voto espresso in decimali, riporta la necessità di articolare dei giudizi analitici di supporto al voto numerico sia sulle singole materie sia sul livello globale di apprendimento.
Come vedete, onorevoli colleghi, si tratta di proposte concrete, fattibili e sensate, che migliorano l'impianto della legge. Come espresso dagli altri colleghi del gruppo, la nostra posizione sul maestro unico è fortemente critica.
Credo che la richiesta di soppressione dell'articolo a firma della collega Coscia, così come ricordava, ancora una volta, il collega Bachelet, renda con chiarezza come riteniamo inaccettabile una scelta di arretramento sui servizi scolastici e l'educazione dei bambini, che non ha alcun altro scopo se non quello di fare cassa sulla pelle della scuola.
Fra le tante proposte migliorative del Partito Democratico, vorrei ancora sottolineare la logicità dell'emendamento Pedoto 4.54, che lascia la scelta dell'insegnante unico alla volontà delle famiglie, e dell'emendamento Bachelet 4.14, che accetta l'insegnante unico, a patto, però, che abbia un adeguato supporto di insegnanti di sostegno.
Insomma, vorrei concludere, signor Presidente e onorevoli colleghi: il nostro gruppo ha dimostrato che propone battagliePag. 59nette, ma che offre soluzioni concrete, realmente a disposizione dei colleghi della maggioranza.
Per questo, ci auguriamo che vengano accolte, per tutelare e, forse, migliorare la scuola italiana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, prima che la relatrice e il Governo si esprimano, volevo sottolineare all'una e all'altro, anche a partire dall'ultimo intervento della collega Madia, ma anche con riferimento a quello dell'onorevole Bachelet e a tutti gli interventi che si sono oggi svolti in Aula, esattamente come successo lunedì nel dibattito generale, che non solo sono stati tutti interventi sul merito, ma sono stati tutti interventi che, rispettando quanto prevede il nostro Regolamento, hanno riguardato il complesso degli emendamenti, indicandoli, entrandovi nel merito.
È, quindi, un comportamento dell'opposizione che è esattamente conforme a un dibattito parlamentare. Poiché siamo abituati a queste voci insulse, ma non sarà sicuramente così, che già il Governo si prepara a porre la questione di fiducia, vorrei semplicemente far sapere a quei pochi che ci ascoltano, e magari anche, attraverso di lei, al Presidente della Camera, che noi, alle ore 15, concludiamo serenamente un dibattito di merito, che ha riguardato gli emendamenti, che ha fatto seguito a un dibattito generale di merito, che si è concluso serenamente, e che, per lo meno, il Governo, se per l'ennesima volta, seguendo la linea del Presidente Berlusconi, intende porre la questione di fiducia su questo provvedimento, abbia almeno l'accortezza e la dignità di porla spiegando che lo fa per ragioni tutte interne alla maggioranza, e non certo perché si sta perpetrando alcuna forma di ostruzionismo in Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione sulle proposte emendative presentate.

VALENTINA APREA, Relatore. Signor Presidente, vorrei inizialmente ringraziare proprio la Presidenza della Camera, che ha reso ammissibili degli emendamenti estranei per materia, ma che sono stati condivisi dall'unanimità dei gruppi parlamentari.
Rispetto ai pareri, raccomanderei l'approvazione delle proposte emendative della Commissione; comincerei, quindi, con l'elencare le proposte emendative per le quali il parere della Commissione è favorevole, se lei è d'accordo.

PRESIDENTE. Penso che, anche per l'economia dei nostri lavori, convenga che la relatrice ci dica prima quali sono le proposte emendative sulle quali il parere della Commissione è favorevole.

VALENTINA APREA, Relatore. Grazie, signor Presidente. Abbiamo svolto un approfondito esame.
La Commissione raccomanda l'approvazione del proprio emendamento 2.200, ed esprime parere favorevole sull'emendamento Goisis 3.50. Il parere è, altresì, favorevole sull'emendamento Goisis 3.51 a condizione che sia accolta la seguente riformulazione: sostituire le parole: «nelle scuole secondarie» con le parole: «nella scuola secondaria di primo grado». La Commissione esprime parere favorevole sull'emendamento Goisis 3.52 e raccomanda l'approvazione dei suoi emendamenti 4.200 (Nuova formulazione) e 4.201. La Commissione esprime parere favorevole sull'emendamento Goisis 5.50 a condizione che sia accolta la seguente riformulazione: sostituire, in fine, le parole: «con cadenza sessennale, a valere per il successivo sessennio» con le parole: «ogni sei anni, a valere per i successivi sei anni».
La Commissione raccomanda l'approvazione dei suoi emendamenti 5-bis. 200, 5-bis. 201, 5-bis. 202 e 5-bis.204 (si trattaPag. 60in questo caso di emendamenti aventi natura formale, mentre altri sono di natura sostanziale).
La Commissione raccomanda l'approvazione del suo articolo aggiuntivo 7.0200 (Nuova formulazione), rispetto al quale il Presidente ha chiarito, in apertura di seduta, la natura delle modifiche introdotte.
La Commissione, infine, esprime parere contrario sulle restanti proposte emendative presentate.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,08)

MAURIZIO TURCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, prendo la parola sull'ordine dei lavori per richiamare la persistente mancata elezione di un giudice della Corte costituzionale e del presidente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Sappiamo che si tratta di obblighi a cui il Parlamento non può ulteriormente sottrarsi, in quanto questi organi toccano la funzionalità di importanti istituti di garanzia.
A questo proposito vorrei dare lettura di una dichiarazione che ha rilasciato in giornata il Presidente della Repubblica. Spero che queste parole del Capo dello Stato siano utili alla soluzione di queste controversie, che di fatto vedono da una parte coloro che pensano che il nostro sia quasi un dovere morale e non invece un obbligo a cui il Parlamento non può ulteriormente sottrarsi.
Il Presidente Napolitano ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Ho avuto un cordiale colloquio telefonico con l'onorevole Marco Pannella, in relazione alla lettera inviatami dalla segretaria dei Radicali Italiani e allo sciopero della fame del leader radicale, per la persistente mancata elezione di un giudice costituzionale e del presidente della Commissione di vigilanza sulla RAI. A Marco Pannella, di cui ben conosco il disinteressato rigore nell'esigere il rispetto di adempimenti costituzionali, ho fatto presente la preoccupazione e l'impegno con cui da tempo seguo queste vicende. Lo sanno bene i Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
Si tratta di obblighi» - dice il Presidente della Repubblica - «a cui il Parlamento non può ulteriormente sottrarsi, in quanto toccano la funzionalità di importanti istituti di garanzia. Le norme e le prassi vigenti prevedono per fondati motivi di equilibrio, a tutela del pluralismo e a presidio dello Stato di diritto, l'espressione di maggioranze qualificate e la realizzazione di ampie intese in Parlamento per perfezionare gli adempimenti di cui oggi si lamenta la violazione. Tali norme non hanno però impedito, in anni recenti, e segnatamente all'inizio della XV legislatura, il rispetto di scadenze e vacanze delicate. È indispensabile che su ogni pur comprensibile diversità di valutazioni politiche prevalga la consapevolezza dell'inderogabile dovere costituzionale da adempiere».
Signor Presidente, il Presidente della Camera, d'intesa con il Presidente del Senato, deve convocare il Parlamento per adempiere ad un obbligo costituzionale: questo deve essere l'ordine del giorno! Dobbiamo essere convocati in una seduta fino a voto utile, ma se il Parlamento non è in grado di compiere il proprio dovere morale e l'obbligo costituzionale, c'è sempre l'articolo 88 della Costituzione (se questo Parlamento non è in grado di compiere il proprio obbligo costituzionale). Noi continuiamo, continueremo - e naturalmente in questa settimana continueremo ancora di più - a sollecitare ilPag. 61Presidente della Camera e del Senato perché alle parole del Presidente della Repubblica facciano seguito conseguenze chiare. Si tratta di obblighi a cui il Parlamento non può ulteriormente sottrarsi. Spero che sia chiaro il messaggio anche del Presidente della Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Maurizio Turco, la informo che il Parlamento in seduta comune è convocato per giovedì 9 ottobre alle ore 12,30 perché abbia luogo il terzo scrutinio per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale.
Il Presidente Fini, nel corso della Conferenza dei presidenti di gruppo del 30 settembre, ha altresì sollecitato i presidenti dei gruppi di maggioranza a mettere il Parlamento nella condizione di adempiere ad un suo preciso dovere costituzionale nel dar vita all'organismo di controllo e di garanzia di vigilanza sulla RAI.
Le sue parole, d'altra parte, verranno da me riferite al Presidente della Camera anche in relazione alla solennità delle parole espresse dal Presidente della Repubblica.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 6 ottobre 2008, alle 15:

Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università (1634-A).
- Relatore: Aprea.

La seduta termina alle 15,10.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI PIETRO TIDEI, ROSA DE PASQUALE E MANUELA GHIZZONI SUL COMPLESSO DELLE PROPOSTE EMENDATIVE AL DISEGNO DI LEGGE N. 1634-A

PIETRO TIDEI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ritengo significativo iniziare il mio intervento da un richiamo all'articolo 33 della Costituzione italiana che sancisce l'onere dello Stato a garantire il diritto all'istruzione per tutti i cittadini sottoponendovi un successivo quesito: il decreto-legge Gelmini approvato lo scorso 1 settembre e la riforma della scuola che questo Governo si appresta a varare nei prossimi mesi garantiscono veramente il diritto all'istruzione nel nostro Paese?
La risposta a mio avviso è assolutamente negativa e cercherò di dimostrarlo con pochi ma essenziali fatti.
Il primo. Il decreto-legge Gelmini fissa in 8 miliardi di euro le minori risorse da destinare alla scuola pubblica nei prossimi tre anni. La prima domanda che mi pongo, dunque, è come si possa garantire il diritto all'istruzione, a fronte di una popolazione scolastica che rimane costante, sottraendo tali e tante risorse economiche. In tal senso la finanziaria 2009, all'articolo 64, comma 6, parla chiaro laddove prevede per il bilancio dello Stato economie lorde di spesa non inferiori a 456 milioni di euro per l'anno 2009, a 1650 milioni di euro per l'anno 2010, a 2538 milioni di euro per l'anno 2011 e a 3188 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012. In altri termini questo Governo afferma il primato della finanza sul diritto all'istruzione.
Il secondo. Il decreto-legge Gelmini introduce nuovamente nella scuola primaria la figura del maestro unico, con una motivazione apparentemente di natura pedagogica: i bambini piccoli hanno bisogno di un'unica figura di riferimento per la volubilità del loro carattere. Una motivazione smontata da tutte le ricerche internazionali, ultima in ordine di tempo il rapporto Ocse, che, in controtendenza con il resto della scuola italiana, relegano laPag. 62scuola elementare del nostro Paese tra le più efficienti al mondo soprattutto in seguito all'introduzione dei tre maestri che hanno garantito maggiore qualità nell'insegnamento, nelle tecniche didattiche e pedagogiche. L'innalzamento dello standard di efficienza della nostra scuola elementare, garantita in particolare da maestri specifici per l'informatica, l'inglese e la matematica, viene di colpo azzerato dal ritorno a un maestro tuttologo che non ha effettuato alcun tipo di studi specifici per apprendere le tecniche di insegnamento delle nuove materie introdotte nella scuola primaria. Tanto che si propone di specializzare i maestri unici all'insegnamento della lingua inglese attraverso un corso di aggiornamento di appena 200 ore quando la padronanza dell'insegnamento di tale lingua è stata appresa da maestri e professori dopo anni interi di università. Siamo davvero alla follia.
Ma anche qui la risposta è evidente. Si torna al maestro unico per risparmiare, affermando di nuovo il primato della finanza sul diritto all'istruzione.
Il terzo. Il decreto-legge Gelmini prefigura la consistente riduzione di organico degli insegnanti di sostegno. Tutto ciò mentre negli ultimi anni i casi di alunni bisognosi di sostegno sono costantemente e massicciamente aumentati. Lo dimostra il fatto che attualmente le scuole stanno ricorrendo agli insegnanti di terza fascia, rimasti esclusi dagli incarichi annuali, per garantire il sostegno agli alunni gravati da problemi mentali, motori e sociali.
In pratica l'attuale organico di insegnanti di sostegno è insufficiente rispetto alla domanda della scuola italiana e il Governo non trova di meglio da fare che ridurne ulteriormente le unità. Questo significa di fatto non garantire agli alunni gravati da handicap il diritto all'istruzione.
Il quarto. Il decreto-legge Gelmini garantisce a parole la tutela e l'incremento del tempo prolungato senza tuttavia specificare con quali risorse, che come visto vengono drasticamente ridotte, né con quali docenti, anch'essi drasticamente in diminuzione con il ritorno al maestro unico. Senza cifre e personale reale di cui disporre rimane un unico dato di fatto, ovvero che anche il tempo prolungato è destinato a diminuire in molte scuole, privando alunni e famiglie italiane di un importante quanto spesso vitale diritto.
Il quinto. Il decreto-legge Gelmini prefigura nei prossimi anni la chiusura di quegli istituti scolastici che non raggiungeranno il numero di 500 iscritti. In pratica si condanna alla chiusura migliaia di scuole nelle quali spesso il numero di alunni è inferiore anche alle 100 unità: sono le scuole di quei piccoli paesi, con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, che in Italia rappresentano il 70 per cento degli 8.000 comuni totali. In quale scuola andranno questi alunni? Dove saranno costretti ad accompagnarli le loro famiglie e a quali sacrifici economici si costringeranno? Perché un alunno di una città potrà avere una scuola a disposizione e un alunno di un paese no? Anche in questo caso il diritto all'istruzione viene evidentemente negato, con pericolose quanto odiose discriminazioni.
Il sesto. Il decreto-legge Gelmini prevede l'innalzamento del numero di alunni fino a 30 per ogni classe. Qui è veramente difficile cogliere, come sostiene il Ministro a difesa del suo decreto, motivazioni finalizzate al miglioramento della didattica, perché sfido chiunque a dimostrare che un maggior numero di alunni per classe consente un innalzamento della qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento. In tal senso è fin troppo evidente l'intero disegno su cui è costruito il decreto-legge Gelmini: risparmiare, risparmiare e risparmiare disinteressandosi completamente della didattica. Tutti i rapporti scolastici degli ultimi anni, senza alcuna eccezione, hanno rimarcato il costante incremento annuale di alunni disagiati, non solo per handicap ma soprattutto per problemi sociali legati in particolar modo alle difficili situazioni famigliari. I casi di alunni con genitori separati arrivano ormai ad un rapporto di 1 su 3, talvolta anche 2 su 4 ovvero il 50 per cento di una classe. Portare a 30 il numero di alunni per ogni classe, contestualmente ad un taglio degli insegnanti di sostegno, significa impedire al corpo docente di svolgerePag. 63adeguatamente la didattica, e agli alunni di apprendere adeguatamente le lezioni. Anche in questo caso, è fin troppo evidente, il diritto all'istruzione viene messo seriamente in discussione.
Il Settimo. Il decreto-legge Gelmini prevede un drastico taglio delle cosiddette «ore a disposizione» degli insegnanti, ritenendole una inutile spesa per lo Stato secondo un abusato luogo comune per cui, durante le «ore a disposizione», gli insegnanti trascorrerebbero il tempo a leggere il giornale in attesa del suono della campanella successiva. Vale la pena ricordare che le «ore a disposizione» sono utilizzate in tutte le scuole di ogni ordine e grado per lo svolgimento di attività di recupero e potenziamento, anche attraverso progetti specifici o co-presenza, a sostegno di alunni con difficoltà caratteriali o di apprendimento. Eliminare queste ore significa quindi assestare un altro durissimo colpo alla qualità dell'insegnamento e alle funzioni didattiche e sociali della scuola, ovvero al diritto all'istruzione. Senza peraltro contare, in termini di risparmi economici tanto cari al Ministro, che in molti casi le «ore a disposizione» sono utilizzate per sopperire alle assenze di insegnanti in malattia. Eliminare queste ore significa quindi, paradossalmente, aumentare i costi per lo Stato poiché le scuole sarebbero costrette a chiamare anche per uno o due giorni dei supplenti esterni.
L'ottavo, ed il più importante. Il decreto-legge Gelmini prevede nei prossimi anni una riduzione di 87.000 unità del corpo docente e di 48.000 unità del corpo non docente, per un totale di circa 140.000 posti di lavoro in meno. Qui permettetemi una veloce ma ineludibile digressione. In queste settimane il mondo politico, economico, sindacale e mediatico italiano è stato ininterrottamente calamitato sul caso Alitalia e sul destino di 20.000 lavoratori. Un intero Paese ha prestato la massima attenzione e dedicato i maggiori sforzi per salvare il futuro di queste persone. Una mobilitazione sacrosanta, ritengo, perché di fronte al rischio di perdere anche un solo posto di lavoro è dovere dello Stato spendere fino all'ultima delle sue energie per evitarlo. Ma qui siamo di fronte a numeri sette volte superiori a quelli di Alitalia, stiamo parlando di 140.000 persone che da qui ai prossimi anni non avranno più una occupazione. Oltre la metà di queste 140.000 persone sono giovani precari che hanno studiato e faticato per anni e oggi, dopo tanti sacrifici economici e di studio, li si priva di una occupazione e soprattutto di un futuro. Onorevoli colleghi, qualcuno si sta rendendo conto del dramma umano e sociale che provocheranno questi tagli di personale nel mondo della scuola? Che migliaia di giovani non potranno comprare una casa, non potranno sposarsi, non potranno avere figli perché di fatto non avranno un futuro? È possibile che si affronti con tanta indifferenza e quasi crudeltà questa situazione? Lo Stato, il nostro Stato democratico la cui Costituzione al primo articolo recita che siamo una Repubblica fondata sul lavoro, può permettersi un colpo di accetta così drastico su 140.000 lavoratori senza peraltro preoccuparsi in nessun modo di una loro ricollocazione? Io credo che ciò non sia degno di un paese civile. So già l'obiezione che vorrebbero farmi molti colleghi del centrodestra, ovvero che i tagli sono inevitabili per contribuire a salvare l'economia del Paese. Io rispondo però in primo luogo che ciò non è comunque accettabile, perché uno Stato democratico non può assolutamente risparmiare sull'istruzione dei propri figli se vuole garantirsi la sua sopravvivenza sociale, che va collocata prima ancora di quella economica; ed in secondo luogo che non è vero, perché se gran parte dei fondi destinati alle scuole private, nei confronti delle quali, tra l'altro, non ci risultano tagli in uguali percentuali, venissero dirottati su quelle pubbliche, non si andrebbe incontro alla sfascio della scuola italiana che si sta profilando. Uno sfascio studiato a tavolino, onorevoli colleghi, perché il decreto-legge Gelmini è perfettamente coerente, o meglio propedeutico, al disegno di legge Aprea n. 953, vale a dire la proposta di riforma della scuola che questo Governo si appresta a varare. Una riforma che può essere riassunta con un unico ePag. 64semplicissimo termine: privatizzazione, l'unica soluzione che il centrodestra, indisponibile ad investire nella scuola pubblica, ha deciso di percorrere. E non è un caso che a voler trasformare la scuola in una vera e propria impresa sia il Governo di un imprenditore. La privatizzazione della scuola pubblica italiana è messa nero su bianco nel disegno di legge 953 quando si parte da un assunto alquanto evidente: siccome lo Stato non ha risorse per tutelare al meglio la scuola pubblica (essendo migliaia i milioni di euro spesi per sostenere gli istituti privati), la si trasforma direttamente in scuola privata, ribaltando mostruosamente l'articolo 33 della Costituzione: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». A giustificazione di questa aberrante rivoluzione costituzionale il disegno di legge 953 cita assurdamente il Rapporto 2006 della Fondazione per la sussidiarietà, secondo cui «il 56 per cento degli intervistati auspica un sistema misto Stato-privato nella scuola italiana»; un dato che non ha alcun riscontro oggettivo dal momento che non si specifica chi e quanti sono gli intervistati dove, quando e come sono stati interrogati. Ma in termini pratici, come avviene questa privatizzazione? La risposta, chiarissima, sta nell'introduzione del disegno di legge, laddove si afferma che si prevedono «partner pubblici e privati disposti ad entrare nell'organo di governo della scuola». E quale sarebbe l'organo di governo della scuola? Fino ad oggi è sempre stato il consiglio d'istituto, destinato però ad essere soppiantato in pur stile aziendale da un consiglio di amministrazione, con pieni poteri deliberativi sull'intera gestione scolastica, in cui trovano posto, oltre al dirigente scolastico, rappresentanti dei docenti, dei genitori, degli studenti (ma senza diritto di voto se minorenni) rappresentanti dell'ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola (senza specificare se possano essere anche soggetti privati) e, ecco la novità «aziendale», «esperti scelti in ambito educativo, tecnico e gestionale». Esperti scelti da chi? Su quali basi? Con quali criteri? Fin troppo facile intuire che molti di questi «esperti» possano coincidere con rappresentanti degli enti privati che sostengono la scuola. E il consiglio di istituto che fine fa? Sparisce completamente. Stessa sorte per un altro organo fondamentale della scuola italiana, il collegio dei docenti, ovvero l'organo che attualmente ha il compito di programmare la didattica. Questo organismo, nel disegno di legge Aprea, rimane in vita, ma completamente spogliato del suo ruolo, poiché gli vengono riconosciute solo funzioni di proposta e indirizzo al consiglio di amministrazione che questi può tranquillamente respingere e chiedere di riformulare. Ma lo Stato, viene da chiedersi, in questa gestione mista della scuola, come interviene per sostenere la pubblica istruzione? Una prima sconfortante risposta è già arrivata con il decreto-legge Gelmini, fatto come abbiamo visto di soli tagli, a cui il disegno di legge Aprea aggiunge una preziosa «chicca»: la proposta di assunzione diretta del 30 per cento del corpo docente da parte del dirigente scolastico, senza punteggi e senza concorsi, in pure stile di favoritismo aziendale. Ecco insomma, in sintesi, qual è il futuro che attende la scuola pubblica italiana. «Le famiglie hanno il diritto di scegliere a quale scuola mandare i propri figli» ha detto nel corso dell'inaugurazione dell'anno scolastico il Ministro Gelmini nell'illustrazione del disegno di legge Aprea. Si può facilmente obiettare che possono avere la fortuna di scegliere le famiglie benestanti che mandano i propri figli agli istituti privati. I milioni di famiglie normali devono avere il diritto di una scuola valida e funzionale per i propri figli, qualunque essa sia e ovunque essa si trovi, senza essere costretti per l'appunto a scegliere. Altrimenti lo Stato abdica all'esercizio delle proprie funzioni costituzionali. E lo fa nel modo peggiore in assoluto: senza alcun confronto, senza alcuna discussione. Devo infatti prendere atto, come è prassi consolidata per questo Governo che afferma di ispirarsi tanto ai valori della libertà, che questa vera e propria rivoluzione della scuola italiana sta ormai passando senza alcun confrontoPag. 65con le famiglie, gli studenti, gli operatori scolastici e, naturalmente, le aule del Parlamento, dal momento che si è deciso di ricorrere ad un decreto-legge di cui non si capisce assolutamente l'urgenza, se è vero che tutte le misure sopra elencate entreranno in atto a partire da settembre del 2009. Un lasso di tempo molto lungo in cui ci si poteva con tutta tranquillità confrontare e dibattere. La conclusione, onorevoli colleghi, è che i tagli alla scuola e la sua privatizzazione, sono riconducibili all'ordine di scuderia arrivato dal Ministro Tremonti che ha deciso di sacrificare alla finanza il diritto all'istruzione, e a quello del Presidente del Consiglio che evidentemente ha molti amici imprenditori che possono guadagnare con una scuola privatizzata. Mi auguro che su questo tema così vitale per il futuro del nostro Paese ci sia uno scatto di orgoglio da parte dei deputati del centrodestra affinché non concorrano in modo criminoso alla distruzione della scuola pubblica e alla negazione di uno dei principali diritti sanciti dalla nostra Costituzione.

ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, signor Ministro, signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, vorrei iniziare il mio breve intervento portando ancora, rispetto al mio ultimo contributo offerto in quest'aula lunedì scorso, a voce alta, una riflessione, in questo luogo dell'ascolto e del dialogo per antonomasia, il Parlamento, in questo Parlamento vuoto, immagine significativa del dove siamo oggi , che fa da giusto sfondo a queste mie parole che vogliono mettere in evidenza due considerazioni sul dove stiamo purtroppo andando. La prima: il 1o ottobre un'indagine Astra Ricerche (notizia Ansa) presentata nel corso di un convegno a Milano dell'ordine dei giornalisti della Lombardia, su di un campione di 2000 intervistati, afferma che il 68 per cento degli italiani pensa che i giornalisti siano bugiardi, il 60 per cento poco informati, il 52 per cento non indipendenti. La seconda: la difficilissima crisi finanziaria in atto dove la fiducia ha smesso di correre tra gli operatori, bloccata dalle furbizie speculative e funzionali solamente al potere di pochi, la crescente diminuzione di fiducia nei confronti delle istituzioni, anche di quelle morali sino ad oggi mai sfiorate, come riporta un'indagine Focus Marketing.
Un'informazione quindi sempre più ritenuta non vera e una mancanza di fiducia che viene avanzando, una tendenza esplosiva se a questo si aggiunge il crescente vizio del diniego che consiste nel negare, nelle forme più svariate e ipocrite, l'esistenza di ciò che esiste e per giunta si conosce, che manifesta, come affermava Cohen nel suo libro Stati di negazione «il modo per tenere segreta a noi stessi la verità che non abbiamo il coraggio di affrontare».
Ora, signor Ministro, oggi in quest'aula, su questo suo decreto, per riuscire a non farci gestire dagli «stati di negazione» non si tratta di nascondere la politica dietro il dovere di governare - la politica nella interpretazione corrente è considerata come «arte di governare, di reggere la cosa pubblica» e già sarebbe determinante se voi governaste con questa sensibilità - ma quanto di reindirizzare la politica verso il suo vero significato: la politica come arte del bene comune, sempre, ma specialmente quando si parla della scuola.
Il fine infatti non giustifica i mezzi, signor Ministro, come sapeva bene Machiavelli che, in apertura de Il principe, avverte i lettori che in quell'opera non tratta della politica (nella quale il potere è rivolto al bene di tutti), ma della tecnica per conquistare e mantenere il potere, rivolto al «bene» di uno solo: il Principe appunto. In politica, chi non cerca e vuole il bene di tutti, per quanto possa essere abile in particolari aspetti di questo mestiere, si dimostra incompetente nella cosa fondamentale. In ultima analisi, chi non cerca e vuole il bene di tutti non fa politica.
Lo sforzo di apertura che abbiamo cercato di operare con la stesura di questi nostri emendamenti, sforzo solo apparentemente inutile, è volto a cercare di portare il nostro «possibile» contributo, vista l'annunciata vostra arte di Governo, diPag. 66imporre per decreto le vostre scelte legislative e in particolare, qui, di mettere addirittura la fiducia per l'approvazione del decreto n. 137; è uno sforzo che noi facciamo con grande senso di responsabilità, forti della storia e delle conquiste democratiche di questo paese, perché ci permette di perseguire ed affinare l'unica arte possibile per la politica, appunto, l'arte del bene comune, specialmente quando si parla della scuola.
Fate attenzione, state svuotando la democrazia, state svuotando il senso della communitas. Un grande uomo del nostro tempo affermava: «La persona individualista è il fascio dei suoi fatti. L'individualista non ha consistenza personale, è un fascio di reazioni. (...) l'uomo che appartiene a se stesso è una manciata di polvere in cui ogni grano è staccato dall'altro e perciò può essere utilizzabile facilmente dal potere».
Ma veniamo alle considerazioni sugli emendamenti continuando ad avere presente il senso sopra premesso, cominciando da quelli introdotti all'articolo 1, che per come è scritto nel decreto non introduce alcuna novità rispetto all'attività che la scuola già porta avanti in materia di formazione alla legalità, alla cittadinanza attiva e di studio della Carta costituzionale.
Di fatto l'articolo 1 del decreto n. 137 prevede, pure tramite un italiano non troppo comprensibile, solo non ben definite azioni di sensibilizzazione e formazione del personale e null'altro, molto meno di ciò che già nelle scuole si fa, ed anche in modo offensivo per i docenti che in questi anni si sono specializzati ed arricchiti in questo campo tramite meravigliose esperienze di attività e studio con gli alunni.
Ma noi crediamo che sia essenziale studiare e sperimentare la materia dell'educazione civica e lo abbiamo per primi affermato ancora nel mese di giugno quando, in Commissione, io personalmente sono intervenuta dinnanzi al Ministro chiedendo« di ripristinare l'insegnamento dell'educazione civica come materia autonoma (non solo trasversale, per favorire un effettivo insegnamento della stessa) e che tratti in particolare, attraverso lezioni concrete ed articolate, della legalità e della cittadinanza attiva, iniziando da uno studio attento e fattivo della nostra Costituzione».
Forse il Governo ne è stato ispirato ma ha raccolto una sfida mutandola in un contenitore vuoto. Per questo abbiamo emendato l'articolo in modo da renderlo un contenitore pieno, ricco, vero.
Abbiamo messo in evidenza il metodo dell'apprendimento servizio (il service learning), signor Ministro perché - non so se lo conosce - è un metodo didattico cui nascita si data a partire dall'influenza teorica suscitata da John Dewey, il quale nel 1902, nel suo discorso «La scuola come centro sociale», pronunciato di fronte al Consiglio nazionale dell'educazione degli Stati Uniti d'America, presentò il bisogno di promuovere un cambiamento sociale utilizzando un nuovo modello educativo che si servisse delle risorse scolastiche e dello spazio comunitario come sorgente di educazione alla cittadinanza e di crescita della comunità. John Dewey affermava: «L'educazione alla democrazia richiede la trasformazione della scuola in un'istituzione che sia, provvisoriamente, un luogo in cui il bambino vive ed è considerato un membro della società, alla quale tiene coscienza di appartenere e di poter contribuire».
La difficoltà, signor Ministro, risiede nel fatto che la maggior parte delle scuole non sono state concepite per trasformare la società, ma solamente per riprodurla ed è così che pare debba continuare ad andare la tendenza, analizzando le scelte che voi, colleghi deputati della maggioranza, siete costretti a fare. Eppure, come Edgar Morin sintetizza con un'esclamazione che può essere letta, da una parte, come richiesta al mondo degli adulti e, dall'altra, come esigenza di apertura dei nostri giovani nell'età scolare: voglio apprendere a vivere! Si sposa in maniera giusta al nostro modo di concepire «cittadinanza e Costituzione» perché rimarca l'importanza vitale della dimensione dell'essere cittadino sovrano, consapevolePag. 67protagonista della propria comunità inserita in un territorio comunale, provinciale, regionale, nazionale e sovranazionale e della esigenza di far sì che la Costituzione sia cosa viva.
Ma ci siamo comunque aperti al disegno di legge che il ministro Gelmini ha presentato ai primi di agosto, e questo dimostra il nostro desiderio di costruire con onestà di pensiero e concretezza di azione in reale apertura dialogica, perché, come già sottolineato, la scuola non è né di destra né di sinistra ma è uno dei grandi beni comuni di un paese lungimirante, progressista e riformista.
In particolare il disegno di legge del Governo inseriva un monte annuale di 33 ore istituite ad hoc per la materia autonoma della educazione civica ora denominata «cittadinanza e Costituzione», e noi questo lo abbiamo ripreso, prevedendo inoltre un insegnamento più qualificato della stessa alla scuola secondaria di secondo grado, destinandolo agli insegnati di diritto ed economia.
Inoltre, al fine comunque di garantire e preservare la trasversalità della materia «Cittadinanza e Costituzione» e di assicurare l'autonomia delle istituzioni scolastiche abbiamo inserito un quarto comma che recita: «Le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia, inseriscono nel proprio piano dell'offerta formativa progetti ed iniziative a favore della partecipazione attiva alla vita della scuola anche allo scopo di sviluppare in modo efficace la consapevolezza negli studenti dei diritti e dei doveri».
L'articolo 2 tratta della «valutazione del comportamento degli studenti» che a parer nostro, proprio perché inserita nel contesto della scuola il cui primario compito è quello di educare istruendo senza venir meno all'incarnare una comunità educante viva ed inclusiva, non può non prescindere dall'iniziare con il rafforzare il patto educativo di corresponsabilità, come codificato dallo statuto delle studentesse e degli studenti, dove ogni istituzione scolastica definisce il regolamento di istituto con la partecipazione attiva di studenti e genitori oltre che, ove possibile, un percorso di condivisione, con la partecipazione di tutta la comunità scolastica, e sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione al fine di fissare i criteri per correlare la particolare e oggettiva gravità del comportamento al tipo di valutazione da effettuare. Si prevede, inoltre, proprio nell'ottica propriamente educativa, la dimensione riparativa delle sanzioni nel contesto e in coerenza con il patto educativo tra la scuola i genitori e gli studenti. Di conseguenza, in questa direzione vanno i nostri emendamenti all'articolo 2, emendamenti che tra l'altro non fanno altro che coinvolgere ed ampliare la base di confronto, dando così vita, voce, forma a quello che il signor ministro ha ripetutamente e con forza rivendicato anche in quest'aula il 30 settembre ultimo scorso. Come mai non lo ha scritto nel suo decreto? Secondo un vizio molto comune di questo Governo, perché, signor Ministro: «verba volant scripta manent».
L'articolo 3 cancella di fatto la valutazione che configura l'assetto formativo e non sommativo. La valutazione in decimi presuppone infatti una scuola con atteggiamento selettivo, in contrasto con la necessità di realizzare piani di studio personalizzati in modo da permettere ad ogni allievo di raggiungere il successo formativo e di realizzare i propri «talenti». Con la enunciazione della non ammissione alle classi successive, per quegli allievi che non raggiungono i sei decimi in tutte le discipline, si creano i presupposti per una selezione consistente fin dal primo anno della scuola elementare con un evidente ritorno all'esclusione piuttosto che all'inclusione e all'accoglienza. Non dimentichiamo la situazione drammatica di un numero sempre maggiore di alunni non italiani, di alunni con difficoltà specifiche di apprendimento o disagio sociale che si troverebbero sicuramente nella situazione sopra descritta: espulsi dal percorso formativo in pochi anni. Conferma queste parole l'intervento odierno dell'Associazione italiana presidi apparsa oggi sui principali organi di stampa.
In particolare, il comma 3 dell'articolo 3 distrugge di fatto la collegialità in tuttiPag. 68i suoi aspetti didattici, valutativi, programmatici e di ricerca; si lascia al singolo la possibilità di escludere con la bocciatura l'assioma dell'inclusività della scuola, nel suo non voler lasciare indietro nessuno.
Proprio per le considerazioni sopra esposte abbiamo introdotto emendamenti nel senso che:« nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite è espressa in decimi ed illustrata con giudizio analitico sul livello globale di maturazione e sul livello di apprendimento e di competenze raggiunte dall'alunno» oltre che prevedere al termine della scuola primaria il rilascio di una attestazione e al termine del primo ciclo una certificazione dei traguardi di competenza raggiunti, espressi attraverso appositi indicatori descrittivi individuati dal MIUR con il supporto scientifico dell'Invalsi.
Inoltre, per quanto attiene al terzo comma abbiamo previsto, per i ragazzi che abbiano ottenuto valutazioni insufficienti, specifici interventi di integrazione, recupero e potenziamento degli apprendimenti di base al fine di un appropriato raggiungimento degli obbiettivi previsti dal piano educativo individualizzato, oltre che la promozione alla classe successiva o l'ammissione all'esame di Stato con decisione collegiale del consiglio di classe.
Cosa c'è di ideologico (come ci accusa la maggioranza) o non accettabile nei nostri emendamenti, che, pur rispettando le scelte governative dell'introduzione del voto numerico, vanno a completare ed arricchire la valutazione dell'alunno come persona unica ed irripetibile, non esauribile in una semplice cifra decimale che di per se non spiega né a lui né alla sua famiglia la multiforme grandezza della capacità umana? Introducendo questi emendamenti potremo dar vita alle parole di una grande educatrice dei primi del Novecento, Albertina Violi Zirondoli, una signora maestra già dichiarata dalla Chiesa serva di Dio, che descriveva il compito dell'insegnante dicendo: «l'alunno è una persona alla quale si fa il vestito su misura»
Per quanto riguarda poi l'articolo 4, che introduce l'insegnante unico nella scuola primaria contro l'attuale presenza in ogni classe di un team di docenti, in genere composto da due o tre insegnanti a seconda che si tratti di tempo scuola modulare o a tempo pieno, e che riduce il tempo scuola, sottolineo che si riduce il tempo dedicato ad istruire le generazioni future del nostro paese, passando dalle 27/30 ore settimanali del modello modulare e dalle 40 ore settimanali con 4 ore di compresenza, che consentono un'ampia distensione di tempo nel quale incastonare il processo educativo/formativo dell'istruzione, a 24 ore secche settimanali.
Vi è poi il ritorno ad un unico maestro che debba affrontare tutte le discipline di studio, spesso in presenza di alunni con disabilità o disagio sociale, di nazionalità diverse, lavorando nella complessità che tutti noi riconosciamo oggi alla nostra società e, grazie all'attuale Governo, in classi sempre più numerose, a causa dell'innalzamento del rapporto alunni/insegnanti previsto dall'articolo 64 del decreto legge n. 112 del 2009 che quest'estate, ponendo la fiducia, l'Esecutivo ha varato.
Quanto riportato rende comprensibile come noi non possiamo condividere in modo assoluto la scelta del Governo e pertanto abbiamo presentato emendamenti, per la maggior parte soppressivi dell'articolo 4, con l'eccezione di qualche emendamento che, nell'ottica di un ampliamento della scelta per le famiglie e nel pieno rispetto dell'autonomia scolastica, introducono accanto alle altre già vigenti modalità didattiche di insegnamento anche quella del maestro unico.
Non dovrebbe essere difficile per il signor Ministro, che in tutto il mese di settembre non ha fatto altro che garantire e assicurare, ovunque abbia avuto modo di affrontare questo discorso, che nulla cambierà per le famiglie e anzi il tempo pieno potrà essere, se richiesto, aumentato del 50 per cento, riconoscere l'utilità del nostro emendamento.Pag. 69
Allora, signor Ministro, siamo d'accordo, accetti i nostri emendamenti che non fanno altro che rendere legge dello Stato ciò che lei ha detto a parole, a meno che anche in questo caso, come per l'articolo 2 si tratti solo di parole e vane promesse, perché il tempo scuola che lei potrà ampliare non è il vero tempo pieno, modello didattico ed educativo di estrema ricchezza e potenzialità che ho sopra descritto, ma solo un parcheggio ad ore per i nostri figli.
Ora, per meglio comprendere la ricchezza di opportunità pedagogico-educative che l'attuale modello di tempo pieno contiene in sé e che dal 1o settembre 2009 il decreto-legge del Governo va a cancellare, entriamo in una classe quinta di una scuola primaria del nostro paese ascoltando insieme la lettera di una signora maestra che da anni porta avanti questa meravigliosa avventura educativa e che solo pochi giorni fa ha indirizzato al signor Ministro Maria Stella Gelmini e a quanti hanno a cuore la scuola pubblica: «questa mattina, una come tante, appena entrata in classe alle 8,20 sono stata presa d'assalto dai miei bambini. Avevano da mostrarmi alcuni "tesori": le pietre raccolte in vacanza all'isola d'Elba. "Vedi questa com'è brillante? È perché c'erano le miniere..."; una buccia di mela miracolosamente intatta e rinsecchita, del tutto priva di polpa, "deve essere stato un animalino che le ha mangiato tutto il dentro"; un orecchino di vetro verde, "ho imparato a farli, se volete ve lo posso insegnare"; un mazzo di carte, "così a ricreazione ci giochiamo, te le posso appoggiare sulla cattedra?"; un temperamatite elettrico "lo potete usare, è per tutti!" portato dal bambino appena arrivato da noi.
Ho osservato le pietre, mi ha incuriosito una blu, "forse questa è un lapislazzulo!" ho detto, ma non ne ero sicura. Ho osservato quella buccia di mela incartapecorita chiedendomi come fosse riuscita a mantenere intatta la sua rotondità, anche vuota, "un animalino? possibile?", poi l'ho fatta girare tra i banchi perché tutti la osservassero. Quanto all'orecchino sono morta di invidia perché adoro gli orecchini e non li so fare. Ho osservato le carte, sono le napoletane, con quelle non ho troppa confidenza. E per concludere, ho scoperto l'esistenza del temperamatite elettrico, promessa di vita per la folla di matite spuntate raccolte nel mio portamatite.
Questa, a mio parere, è la scuola: è quell'insostituibile luogo di scambio di cultura e di culture, alimentato dalle piccole ma significative scoperte di ogni giorno, di bambini e adulti, alle prese coi saperi.
Le pietre e la buccia di mela rimandano alle scienze.
Gli orecchini e il temperamatite alla tecnica e gli orecchini anche all'arte.
Le carte ai giochi della tradizione, che è storia.
Contenuti di tutto rispetto, apprezzabili quanto quelli scritti sui libri di testo. Ma portati dai bambini, scelti da loro, tratti dalle loro esperienze. E quindi carichi di un'elettricità vitale che entra immediatamente in circolo, si trasmette, interessa, motiva, avvince.
Quando ho guardato l'orologio erano quasi le 9. Quasi le 9!
L'ora seguente è stata assorbita dalla prova d'ingresso di italiano: in classe non volava una mosca. Una bella prova di impegno e di concentrazione. Evviva!
Ho notato più volte che quando chiedo il massimo dell'impegno di cui sono capaci è più facile ottenerlo all'interno di un patto: abbiamo dedicato tempo alle cose che avete proposto voi, ora ne dedichiamo a quelle che propongo io.
Poi hanno fatto un disegno dal vero. Mi sono dimenticata di dire che tra i tesori arrivati questa mattina c'era un sacchetto di uva, fichi e pere cotogne che la mamma di un bambino aveva raccolto per noi.
Ho pensato che, prima di gustarli, potevamo utilizzarli come "natura morta" da disegnare.
Un'attività "giocherellosa", Le direbbero i miei bambini di quinta.
Sì, perché qualche giorno fa ho ritenuto necessario illustrare alla lavagna i termini della riforma da Lei annunciata, specie per quanto riguarda il tempo scuola.Pag. 70
E commentando la riduzione dell'orario scolastico da Lei prevista, abbiamo convenuto che tra le attività che necessariamente verranno ridotte ci sono quelle tipo pittura, palestra, uscite didattiche, attività musicali, teatrali, "insomma tutte quelle giocherellose" ha commentato una bambina con aria accorata.
"Giocherellando" con disegno e pittura, questa mattina è accaduto che un bambino che da tempo rifiuta di fare i compiti che assegniamo per casa, abbia fatto un disegno veramente bello, curato come mai prima di oggi.
Gli ho fatto i complimenti, ero davvero felice di questo suo risultato! Mi ha detto che la mamma gli ha comprato gli acquerelli e un album e lui spesso a casa disegna e colora.
"Vedi? - gli ho detto - L'esercizio dà sempre buoni risultati. Se tu facessi un po' di compiti a casa diventeresti bravo anche nelle altre materie e saresti soddisfatto di te, come sei adesso!".
Mi ha risposto: "Ho capito, li faccio." Semplice! Mentre tutte le "prediche" fatte fino ad oggi non hanno mai trovato una via di accesso alla sua comprensione. Sono certa dal suo sguardo, questa volta non colpevole, né di sfida, ma profondo e sereno, che ha capito. Non sono certa che metterà in pratica, ma il primo passo c'è stato. Siamo solo all'inizio della quinta, per fortuna c'è tempo!
Funziona così la scuola: non c'è altro modo per fare apprendere che partire dai processi individuali, che seguono tempi e percorsi diversi da bambino a bambino. Il problema è che con alcuni bambini è difficile capire quali siano questi percorsi. Vanno cercati insieme, con pazienza, aggirando il problema o talvolta aggredendolo con ostinazione. Parlarne aiuta, maestro-bambino, bambino-genitore, maestro-genitore, maestro-altro maestro.
Pazienza, ostinazione, e dialogo, mai fretta. Ho fissato nella mia memoria una frase ascoltata da un formatore: "La differenza tra fare una torta con un bambino a casa e a scuola sta nel fatto che alla mamma interessa che cresca la pasta, alla maestra che cresca il bambino".
E allora Le chiedo: se tutto ci porta a dire che a scuola il tempo è un fattore di qualità più che di quantità, come si fa a pensare di ridurlo?
Anzi, quantità e qualità stanno insieme: perché per tanti bambini ogni ora in più passata a scuola è un'ora in meno passata per strada o in casa, abbandonati passivamente davanti alla televisione.
Le posso raccontare una cosa che mi commuove ogni volta che si ripete? Alcuni dei nostri bambini, quando sono assenti, ci telefonano per salutare compagni e maestre e tenere ben tesi i fili dei nostri rapporti. Non è certo stata una nostra richiesta, ha cominciato uno di loro e gli altri hanno seguito l'esempio perché gli è piaciuto.
Perché tagliare i panni addosso ai bambini?

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevole relatrice Aprea, colleghi, l'iter parlamentare del decreto-legge n. 137 che reca disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, procede verso un destino noto: la sua conversione in legge senza sostanziali modifiche al testo originario o, quanto meno, ai punti sui quali più si è spesa personalmente il Ministro Gelmini e più si è spinta la propaganda mediatica del Governo.
Una conversione in legge sulla quale pende la spada di Damocle della richiesta di fiducia: mi auguro sinceramente di essere smentita rispetto a questa eventualità che, tuttavia, le cosiddette voci di corridoio ben informate danno ormai per certa.
Vede, se così fosse, ci troveremmo di fronte allo scenario decisamente straordinario e inquietante della quinta fiducia richiesta dal Governo in quest'aula, nonostante esso goda di una maggioranza bulgara, anche se non troppo disciplinata, almeno stando allo scivolone in cui è incappata mercoledì durante il voto sulla riforma del processo civile. Inoltre, tanto per rinverdire la memoria dei colleghi, aggiungo che stiamo convertendo in legge l'ennesimo decreto, il tredicesimo, mentrePag. 71in quest'aula non è ancora approdata una sola proposta di iniziativa parlamentare.
Perché insisto, con l'intento di stigmatizzarla, sulla scelta del Governo di procedere ancora una volta con lo strumento della decretazione d'urgenza, su cui aleggia la fiducia? Perché, in generale, se il decreto rappresenta un colpo al confronto costituzionale tra opposizione e maggioranza e alle prerogative parlamentari, ciò è ancor più vero e grave se la materia oggetto del decreto è strategica quanto lo è quella dell'istruzione e del sistema scolastico.
Vede, signor Presidente, nel corso del dibattito generale, gli esponenti della maggioranza non hanno mancato di ribadire - non senza mostrare un certo pregiudizio rispetto ai nostri rilievi costruttivi - quanto ideologici e pretestuosi fossero gli argomenti di critica avanzati dal Partito Democratico. Ben più benevoli sono stati nei confronti dell'onorevole Capitanio Santolini, dell'UDC, la quale non si è comunque sottratta a rimarcare rilievi pesanti alle scelte del Ministro Gelmini. E, a proposito della decretazione d'urgenza l'onorevole Capitanio Santolini ha pronunciato le seguenti parole, che faccio mie, sperando che la collega non si dispiaccia per la citazione: «Anch'io dirò - e non sono l'unica - che non mi piace un decreto-legge che riguarda la scuola, perché la scuola è una cosa troppo seria per essere blindata da un'intesa tra il Ministro del tesoro e il Ministro dell'istruzione. Credo che la scuola meriti un rispetto ed un'attenzione infinitamente maggiori di quelle che ad essa sono stati dedicati in questo inizio di legislatura (...) sono anche d'accordo che non si può fare una riforma di questa portata - perché di riforma si tratta, e non sono piccoli aggiustamenti, bensì autentiche riforme, quelle che sono state messe in campo - senza un serio dibattito in Parlamento e nel Paese, senza un coinvolgimento serio di tutti coloro che sono interessati al comparto della scuola e senza che si cercasse di ragionare tra componenti della scuola e, ripeto, pubblica opinione».
Parole ribadite più volte dal Partito Democratico, ma forse per bocca dell'onorevole Capitanio Santolini possono sembrare alla maggioranza più accettabili.
Vede, siamo assolutamente convinti che la scuola meriti tutta la nostra attenzione, tutti i nostri sforzi congiunti per poter assolvere al meglio alla propria missione educativa e d'istruzione.
Il Partito Democratico ha ben chiaro quali interventi siano necessari perché i diversi ordini di scuola possano con serenità, con fiducia, con autonomia, con autorevolezza e con adeguate risorse offrire un sistema educativo e istruttivo di qualità per tutti i giovani che nascono e vivono nel nostro Paese. Ripeto, per tutti i giovani, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali e soprattutto per quanti si trovano in condizioni di svantaggio.
Si tratta di un obiettivo che ci preme, e al quale abbiano teso responsabilmente nella precedente esperienza di Governo. Si tratta di un obiettivo prioritario per il Partito Democratico che non vuole difendere lo status quo, ma vuole migliorare e potenziare il sistema di istruzione pubblico. Il Partito Democratico è un partito riformista, consapevole che proprio rispetto alle politiche scolastiche deve dimostrare questo preciso profilo, per il bene della scuola, dei giovani e del Paese.
E proprio a partire dai molti emendamenti modificativi a questo decreto non ci siamo sottratti dal fare proposte, che svelano quanta demagogia e quanti slogan ci siano in questo provvedimento.
La relatrice Aprea l'ha definita una legge di principi e per tale motivo è stata assai parca nell'accogliere emendamenti correttivi, persino dalle file della stessa maggioranza. Ma vede, poiché l'obiettivo ambizioso del provvedimento presentato dal Ministro Gelmini e dal Governo è di dare autorevolezza alla scuola, valore al merito, ristabilire una relazione personalizzata docente-discente nella scuola primaria con meno tempo scuola a disposizione, allora il decreto non dovrebbe limitarsi a enunciare presunti principi, bensì dovrebbe possedere una capacità taumaturgica, cosa che credo non rientriPag. 72nelle disponibilità né del Ministro Gelmini, né del Presidente del Consiglio, anche se immagino che l'eventualità non gli dispiacerebbe.
I pareri tutti negativi espressi dalla relatrice Aprea ai numerosi emendamenti del Partito Democratico sono la testimonianza concreta che nessun apporto delle opposizioni vuole essere accolto dalla maggioranza. Apporti di merito, migliorativi del brutto testo iniziale, come cercherò di dimostrare, ma di cui si è ritenuto di poter fare a meno. Così è stato anche per gli emendamenti presentati in Commissione durante l'esame del provvedimento: due soli emendamenti accolti sugli oltre 50 presentati. Davanti a questi numeri, signor Presidente, lei crede che l'atteggiamento di chiusura e di indisponibilità al dialogo, che negli ultimi giorni ci è stato spesso rinfacciato, ci appartenga o non sia piuttosto da attribuire alla maggioranza?
Veniamo al merito di alcuni emendamenti proposti dal Partito Democratico e rigettati dalla relatrice.
E inizio proprio dall'articolo 1, che introduce la sperimentazione di «Cittadinanza e Costituzione», forse sotto forma di disciplina poiché il testo non lo precisa. Ancora non riesco a comprendere le ragioni del parere negativo espresso dalla relatrice su alcuni emendamenti, ad esempio quelli a firma Mantini e Zaccaria che, peraltro in analogia a quanto previsto dal disegno di legge Gelmini approvato il 1o agosto, qualificano concretamente l'innovazione didattico-formativa del nuovo insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione» rispetto al tradizionale e mai abolito studio di educazione civica. I nostri emendamenti prevedono, tra le altre cose, un monte ore da dedicare alla sperimentazione, la definizione dei suoi contenuti in relazione alle discipline affini e la determinazione di un fondo per l'acquisto di apposito materiale didattico. Questo perché noi crediamo, insieme al Presidente della Repubblica, che la Costituzione rappresenti la base del nostro stare insieme, pertanto sosteniamo convintamente lo studio dei valori sanciti nella Carta Costituzionale - da porre a sfondo di tutti i campi disciplinari - per l'esercizio della cittadinanza attiva caratterizzata da diritti e doveri, per l'esercizio della convivenza civile, del principio di legalità, di partecipazione, di corresponsabilità. Personalmente, auspico che tale apprendimento avvenga il più velocemente possibile: in questo modo i giovani italiani avranno le necessarie conoscenze, ad esempio, per indignarsi del continuo ricorso del Governo ai decreti pur in assenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza previsti dall'articolo 77 della Costituzione e conseguentemente del pericoloso squilibrio tra il potere legislativo e quello esecutivo, con evidente vantaggio per il secondo.
Signor Presidente, e concludo questo punto, esprimiamo perplessità sulla genericità e laconicità dell'articolo 1 che, ad esempio, non mette un solo euro a disposizione e non declina le modalità dell'insegnamento, che non dovrà essere interpretato in forma nozionistica. Temiamo, in sintesi, che queste carenze vanifichino fin dal suo avvio l'obiettivo della sperimentazione stessa.
Sull'articolo 2 mi soffermerò brevemente, poiché interverrà la collega Picierno, se non per ribadire lo stupore per l'inspiegabile parere negativo espresso sull'emendamento modificativo Picierno e ai più sintetici ma ugualmente significativi emendamenti Cuperlo e Pizzetti, così come quelli Gatti e Melis, ispirati dalla volontà di inserire la valutazione del comportamento degli alunni all'interno di un patto educativo tra famiglia, studenti e tutta la comunità scolastica. Il rifiuto di inserire nella norma il richiamo al patto educativo che si fonda sul coinvolgimento diretto degli studenti e dei genitori pare tradire l'intenzione del legislatore di rafforzare gli strumenti punitivi rispetto a quelli educativi. In questo caso, il rischio è di introdurre uno strumento inefficace, che magari può consentire a qualcuno di mettersi la coscienza in pace, ma destinato a fallire completamente nell'obiettivo di consentire alla scuola, insieme alla famiglia e alla società intera, di educare i giovani al rispetto delle regole della convivenza, alPag. 73senso di responsabilità, alla legalità, all'assunzione di rapporti e comportamenti corretti, ispirati al rispetto di sé e degli altri. Lo sappiamo tutti che per contrastare bullismo e atti di prevaricazione non serve il cinque in condotta. È necessario invece che l'intera vita scolastica diventi un'esperienza di partecipazione, di cittadinanza attiva, di legalità, così che lo sia anche la vita fuori dalle aule scolastiche.
Altrettanto inspiegabile poi il diniego ad acquisire sul decreto del ministero che specificherà i criteri per correlare la gravità del comportamento al voto insufficiente il parere del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, come proposto da Codurelli, o quello delle competenti Commissioni parlamentari, come suggerito dall'emendamento Scarpetti. In particolare su quest'ultimo aspetto mi meraviglio molto per il mancato accoglimento da parte della relatrice Aprea, che nei venti mesi del Governo Prodi ha condotto una personale battaglia per l'acquisizione, in analoghe situazioni, del parere delle Commissioni parlamentari. Una battaglia da lei spesso vinta, ma che ora evidentemente, in quanto esponente di maggioranza, non reputa più così importante.
In merito all'articolo 3, che reintroduce la valutazione degli apprendimenti in decimi, ritengo che i molti emendamenti presentati dal Partito Democratico affrontino nel merito, e senza pregiudizio, il problema della valutazione, che non risiede tanto nella forma utilizzata (sistema numerico, alfabetico, giudizi sintetici o analitici), quanto nella chiarezza dei criteri valutativi e degli esiti di apprendimento da perseguire e, soprattutto, nelle capacità dei criteri scelti di comunicare agli studenti e alle famiglie i significati reali degli esiti raggiunti. In altre parole una buona valutazione dipende dai significati reali che sottendono un voto o un giudizio, dall'assenza di ambiguità interpretativa per lo studente (e la famiglia), che dal voto o dal giudizio deve trarre una precisa indicazione formativa per l'attività di studio svolta e per quella che dovrà svolgere. Insomma, il tema della valutazione è serio, e va affrontato senza improvvisazioni, soprattutto in un Paese come il nostro, nel quale la cultura valutativa non è diffusa.
Invece, la semplicistica reintroduzione del voto, come prevista dall'articolo 3, appare un intervento estemporaneo, inadeguato a migliorare il sistema scolastico e a premiare il merito.
Signor Presidente, le pare possibile che sostituendo nella pagella, o nel documento di valutazione, che le sto mostrando, i giudizi sintetici con un voto numerico espresso in decimi, come recita la nuova disciplina, si possa realmente cambiare la scuola e premiare i migliori?
Dicevo che abbiamo presentato diversi emendamenti per conseguire una buona valutazione nel significato che ne ho dato prima: naturalmente nessuno di questi è stato accolto. Analoga sorte hanno subito le alle molte proposte abrogative e correttive al contestato comma 3, quello che prevede la bocciatura con l'insufficienza in una disciplina. La relatrice ha accolto due emendamenti che introducono il giusto concetto di collegialità nella decisione di ammissione all'anno successivo, presentati dalla Lega solo a seguito della battaglia del Partito Democratico svolta in Commissione. Alcuni nostri emendamenti, ad esempio quello Pompili, pur con una diversa formulazione, hanno lo stesso obiettivo, ma l'onorevole Aprea ha ovviamente accordato le sue preferenze ai colleghi di maggioranza. Nei nostri emendamenti, ad esempio in quello a firma Lenzi, abbiamo anche previsto forme di recupero delle carenze e di potenziamento degli apprendimenti di base, in analogia a quanto accade alle scuole superiori per scelta del precedente Governo, ma non abbiamo raccolto l'interesse della relatrice.
Ci rammarichiamo, naturalmente, per questi dinieghi, così come per il parere negativo, davvero incomprensibile, espresso sull'emendamento Tocci che nasce da una riflessione approfondita sulla valutazione degli apprendimenti e sulla certificazione delle competenze. In esso si prevedono, infatti, attività di ricerca e di formazione degli insegnanti per giungere alla definizione condivisa di standard ePag. 74l'intervento dell'Invalsi per diffondere una cultura della valutazione orientata al miglioramento e all'armonizzazione dei risultati scolastici sull'intero territorio nazionale. Insomma un emendamento importante che, se approvato, permetterebbe di cominciare a fissare alcuni punti fermi su quali criteri, con quali modalità e secondo quali indicatori valutare gli apprendimenti conseguiti dagli studenti rispetto ai risultati attesi. Insomma, un emendamento per fare una buona valutazione che permetterebbe, quella sì, di migliorare la scuola e conseguentemente la preparazione dei nostri ragazzi.
Signor Presidente, dedico la parte finale del mio intervento all'articolo 4 che reintroduce - le faccio notare, signor Presidente, che il termine «reintroduzione» ricorre come un ritornello nel presente provvedimento, che rappresenta davvero un rassicurante quanto inutile e dannoso ritorno al passato - il maestro unico nella scuola primaria e la riduzione del tempo scuola a sole ventiquattro ore settimanali di insegnamento.
A questo tema sono stati dedicati molti interventi dei colleghi in discussione generale, che hanno esposto le ragioni del nostro pieno dissenso al maestro tuttologo e al tempo scuola decurtato, argomentandolo con dati di indagini nazionali e internazionali, con esperienze personali di madri e padri, con gli esiti di incontri avuti con docenti e dirigenti scolastici, pedagogisti e pedagoghi e con le valutazioni che ci hanno affidato le 49 associazioni ascoltate in VII Commissione cultura nel corso di una lunga e appassionante audizione informale. Di essa restano le memorie redatte dalle associazioni, ricche di riflessioni, suggerimenti, considerazioni, purtroppo inascoltate dal Governo e dalla maggioranza. Infatti, rispetto all'articolo 4 sono ben diciannove le associazioni e le organizzazioni che danno un giudizio pessimo, undici sono quelle che esprimono un giudizio cattivo, mentre dieci non hanno espresso valutazioni perché interessate ad altri aspetti del provvedimento; solo due danno un giudizio ottimo e sette un giudizio buono, pur esprimendo riserve e condizioni, in particolare rispetto alla necessità di prevedere non un maestro unico, bensì «prevalente», accompagnato da docenti esperti per l'insegnamento della religione cattolica, dell'inglese, dell'informatica, delle scienze motorie, tutti insegnamenti che si sommano alle ventiquattro ore di base. Ma allora, mi chiedo: queste associazioni pensano ad un modello che si avvicina di più al vostro maestro unico e alle ventiquattro ore comprensive dell'insegnamento di religione cattolica e inglese, oppure si ispirano al tradizionale modulo - molto utilizzato in Friuli - che prevede il team di tre docenti con un maestro prevalente su un tempo scuola di 27/30 ore?
Vede, dalla considerazione appena esposta e da quelle dei colleghi che mi hanno preceduta, credo sia ormai chiaro a tutti - soprattutto a coloro che hanno voglia di ascoltare e confrontarsi - che il dissenso espresso in quest'aula dal Partito Democratico è un dissenso di merito e non ideologico poiché ciò che principalmente muove il Partito Democratico sono i livelli di apprendimento dei bambini e il miglior modello didattico ed educativo da offrire ai giovani. Si tratta di obiettivi che abbiamo perseguito anche nella precedente esperienza di Governo, durante la quale siamo riusciti a coniugare il risanamento dei conti pubblici con il principio dell'equità sociale e degli investimenti nei settori strategici per la crescita e l'innovazione del Paese. Possiamo dire che l'attuale Governo, che ha presentato il decreto, e la maggioranza che lo sostiene abbiano gli stessi obiettivi? Io non credo, soprattutto dopo che mercoledì scorso ci è stato consegnato ufficialmente il piano programmatico, previsto dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112, degli interventi volti alla razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico. Una ardita circonlocuzione per non dire dove e come operare i tagli previsti dalla manovra estiva. Pesantissimi tagli che metteranno in evidenti difficoltà la funzionalità della scuola pubblica e negheranno l'immissione in ruoloPag. 75per migliaia di docenti precari, che da anni assolvono al loro compito di docenti.
Nella tabella a pagina 14 del Piano le riduzioni di organico per il prossimo anno scolastico nella scuola primaria assommano a ben diecimila docenti, a cui si devono aggiungere quattromila insegnanti specialisti di lingua inglese; l'anno successivo (2010/2011) la riduzione sarà di altri quattromila docenti e 3.900 specialisti di inglese. A questi ultimi se ne aggiungeranno altri 3.300 nell'anno scolastico 2011/2012. E a fronte di questi numeri il ministro continua a rilasciare dichiarazioni rassicuranti sul fatto che il maestro non sarà unico, perché accompagnato dallo specialista di inglese? Ma chi volete prendere in giro, se la riduzione di organico sarà di ben 11.200 posti!
Credo sia chiaro a tutti, colleghi, che il Governo raggiungerà questi obiettivi solo se sarà introdotto il nuovo/vecchio modello del maestro unico a ventiquattro ore.
E a questo punto si chiarisce anche perché in Commissione cultura (e per sapere cosa accadrà in Aula dovremo attendere la prossima settimana) la relatrice ed il Governo si siano opposti alla nostra richiesta, a cui si era associata anche la Lega, di modificare il comma 1 lì dove si prevede che le istituzioni scolastiche «costituiscano» classi affidate ad un unico insegnante con un «possano costituire», che risulterebbe peraltro in sintonia con quanto scritto nella relazione tecnica allegata al decreto. Ma è chiaro che, se il testo normativo esplicitasse chiaramente l'opzione e non la condizione, vi salterebbero tutti i conti! Ma abbiate almeno il coraggio di dirlo, e non trinceratevi più dietro alla stucchevole litania di un ampliamento di opzioni educative messe a disposizione delle famiglie. Nominalmente il Piano programmatico fa riferimento al modello a ventiquattro ore, da privilegiare, e a quelli a 27, 30 e 40 ore (il tempo pieno): peccato che nel Piano sia anche scritto che la più ampia articolazione del tempo scuola prenderà in considerazione le richieste delle famiglie, ma soprattutto dovrà tener conto della dotazione organica assegnata alle scuole. Ma se l'organico delle primarie viene decurtato, quali opzioni potranno mai offrire le istituzioni scolastiche?
Semmai avessimo bisogno di altre prove circa le motivazioni ragionieristiche che, di punto in bianco, hanno imposto nel dibattito parlamentare il maestro unico, avremmo gioco facile nel rintracciarle nelle dichiarazioni dello stesso Ministro Gelmini, che a fine luglio asseriva in una nota trasmissione radiofonica: «le elementari sono un ciclo scolastico che funziona, lo dicono anche i dati OCSE-PISA, e quindi mi auguro che non sarà necessario tornare al maestro unico». Evidentemente cosa sia intervenuto tra fine luglio e fine agosto per far cambiare idea al Ministro Gelmini così repentinamente e radicalmente lo sa solo il ministro Tremonti. Più di recente, e con un'onestà intellettuale che le fa certamente onore, Valentina Aprea ha dichiarato: «Ammetto che misure come la riduzione dell'orario (specialmente alle elementari) sono dovute a ragioni di bilancio, ma purtroppo non possiamo più permetterci una scuola come quella che abbiamo avuto fino ad oggi». Mah, questo è un convincimento del centrodestra, perché nei sette anni di Governo del centrosinistra si è riusciti a mantenere a buoni livelli la spesa per l'istruzione senza compromettere i bilanci dello Stato. Evidentemente è una vostra precisa volontà ridurre e tagliare risorse in questo specifico e strategico settore!
Se l'onorevole Aprea dice la verità - e non abbiamo motivo di credere il contrario poiché si tratta di una verità scomoda - perché nei banchi del Governo non siede il Ministro del dell'economia? E se, come abbiamo dimostrato, l'obiettivo è far cassa a discapito della scuola primaria, cioè del futuro dei nostri ragazzi e del Paese, perché nei loro interventi il Governo e i colleghi della maggioranza si sono scomodati a cercare motivazioni didattico-pedagogiche, quali ad esempio che un solo maestro stabilirebbe una migliore relazione individuale con l'alunno (in una classe di trenta?) e potrebbe finalmente rappresentare (data la disattenzione dellePag. 76famiglie e della società intera) un punto fermo nello sviluppo cognitivo e nel progresso educativo dei bambini?
Un po' di onestà intellettuale, quella stessa di Valentina Aprea, certo non guasterebbe. Ed è quella che abbiamo cercato di mettere nei nostri emendamenti, tra i quali figura ovviamente quello abrogativo dell'articolo 4, ma ve ne sono anche di modificativi che potremmo definire di «riduzione del danno». Perché vede, signor Presidente, non temiamo alcun confronto, vogliamo davvero discutere della scuola e della scuola primaria, e sarebbe buona cosa farlo tenendo presente un passaggio del discorso del Presidente della Repubblica, pronunciato all'avvio ufficiale dell'anno scolastico. Si tratta di un passaggio oscurato da molti quotidiani e per questo motivo vale la pena riprenderlo: «per quanto riguarda la scuola l'obiettivo di una minore spesa non può prevalere su tutti gli altri e va formulato, punto per punto, con grande attenzione ai contenuti e ai tempi, in un clima di dialogo». Un dialogo che sarebbe stato opportuno avviare sulla scorta di un secondo monitoraggio della legge Mattarella, a più di quindici anni dalla sua introduzione, e alla luce dell'autonomia attribuita alle scuole e a fronte di investimenti nella formazione degli insegnanti per la valutazione. Questi spunti sono presenti nei nostri emendamenti: avrà la maggioranza la forza e il coraggio di confrontarsi con queste proposte? Me lo auguro, perché, se così non fosse, dovremo aspettarci giorni tristi per la scuola pubblica italiana, per i nostri bambini, per il nostro Paese.