XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 113 di martedì 13 gennaio 2009

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

La seduta comincia alle 15.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Balocchi, Bindi, Brancher, Brugger, Caparini, Cirielli, De Biasi, Donadi, Frattini, Lo Monte, Mazzocchi, Melchiorre, Menia, Migliavacca, Pescante, Scajola e Stucchi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale (A.C. 1972-A) (ore 15,03).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali e che i relatori ed il rappresentante del Governo hanno rinunciato alla replica.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 1972-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 1972-A), nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 1972-A).
Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 1972-A).
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A - A.C. 1972-A).
Ricordo che, trattandosi di provvedimento collegato, a norma dell'articolo 123-bis, comma 3-bis, ultimo periodo, del Regolamento, gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi dichiarati inammissibili dalle Commissioni riunite non possono essere ripresentati in Assemblea e, ove ripresentati, non sono pubblicati.
Inoltre non sono pubblicati, in quanto non ricevibili: gli emendamenti già presentati presso le Commissioni riunite, ma in quella sede ritirati ovvero decaduti per assenza del presentatore; i nuovi emendamenti, non previamente presentati presso Pag. 2le Commissioni riunite, riferiti a parti del testo non modificate dalle Commissioni stesse.
Avverto che, prima della seduta, sono stati ritirati dai presentatori gli emendamenti Marinello 3.1, 3.7, 16-bis.1, 16-bis.2, 17.01, 30-bis.1, 32.1 e 32.2, Armosino 2-ter.01 e Cazzola 1.14.
Avverto inoltre che l'onorevole Letta ha sottoscritto l'emendamento Franceschini 22.1 ed ha ritirato la propria firma dall'emendamento 29.1, il cui primo firmatario deve pertanto intendersi l'onorevole Colaninno.
Avverto altresì che la Presidenza non ritiene ammissibile l'emendamento Franzoso 3.9, limitatamente alla parte volta a sopprimere integralmente il comma 13 dell'articolo 3, in quanto si tratta di un comma modificato soltanto parzialmente nel corso dell'esame in sede referente.
Avverto inoltre che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 123-bis del Regolamento, in quanto recano nuovi o maggiori oneri finanziari privi di idonea quantificazione e copertura, le seguenti proposte emendative riferite a parti del testo modificate dalle Commissioni riunite: l'emendamento Zeller 29.4, che modifica, con effetti onerosi, il numero delle rate entro cui deve essere ripartita la detrazione dell'imposta lorda di cui all'articolo 29, comma 6; l'articolo aggiuntivo Poli 5.03, in quanto l'incremento del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello reca oneri e copertura riferiti all'anno 2008.
Faccio presente, infine, che l'emendamento Damiano 19.1 deve intendersi ripresentato nel testo riformulato nel corso dell'esame in sede referente, ricomprendendo quindi anche il comma 5 dell'articolo 19. Tale testo è in distribuzione.

(Posizione della questione di fiducia - Articolo unico - A.C. 1972-A)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro per i rapporti con il Parlamento. Ne ha facoltà.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, credo sinceramente che quanto sto per annunciare a nome del Governo sul provvedimento in esame non possa dirsi che rappresenti una novità, una sorpresa non annunciata ai colleghi (Commenti del deputato Cambursano). Credo piuttosto che rappresentino, invece, una novità, una sorpresa per la quale personalmente sono soddisfatto e ritengo che possano rappresentare un motivo di soddisfazione o comunque di riflessione per tutta l'Assemblea, le ragioni e le motivazioni, che esporrò a nome del Governo, che stanno alla base della decisione che abbiamo assunto.
È evidente che ad un provvedimento del genere, recante misure a sostegno delle famiglie, del lavoro, dell'occupazione e dell'impresa, come lei ha ricordato, quindi misure urgenti che necessitano di entrare non solo immediatamente in vigore, ma di essere anche immediatamente stabilizzate in un testo, in una versione definitiva, il Governo attribuisca particolare importanza e rilievo. È per questa ragione, che è d'altra parte una ragione tipica nel nostro ordinamento costituzionale, nel nostro sistema politico, nella nostra prassi regolamentare, che in genere si ricorre a quello strumento particolare che è la posizione della questione di fiducia.
Signor Presidente, solo delle legislature in qualche modo degenerative di questa norma costituzionale e di questa lettura del Regolamento hanno fatto sì che una questione così importante e delicata nel rapporto tra il Governo e il Parlamento (nella lettura della Costituzione e dei nostri Regolamenti) diventasse una prassi degenerativa legata al procedimento parlamentare. Si tratta di una prassi legata, come sappiamo, al numero degli emendamenti presentati, quasi che il Governo (o la maggioranza) avesse il diritto di quantificare il numero massimo di emendamenti che potesse essere presentato per giustificare o non giustificare il ricorso alla fiducia. Oppure di una prassi legata ai tempi di approvazione e di scadenza del provvedimento che evidentemente pur Pag. 3sono presenti nell'iter legislativo, ma che devono essere lasciati alla libera determinazione dei gruppi parlamentari e dei Regolamenti parlamentari ove possibile, previsto e auspicabilmente previsto.
Quindi, credo che sia il caso anche di aprire una riflessione su questa prassi degenerativa dell'autorevolezza, dell'importanza, del rilievo e anche quasi della nobiltà che, nel rapporto tra la Camera e il Governo, acquista la posizione della questione di fiducia. Si tratta di un'autorevolezza e di una nobiltà che in qualche modo si è persa a causa di questa prassi degenerativa alla quale tutti abbiamo assistito e, quindi, alla quale tutti in qualche misura (maggioranza, opposizione e Governo) abbiamo contribuito.
Allora Presidente, prendo atto che su questo decreto-legge si è svolto un ampio, approfondito, lungo e complesso lavoro da parte delle Commissioni di merito, ovvero la Commissione bilancio e la Commissione finanze. In maniera non rituale credo che sia stato fatto ieri un giusto ringraziamento dai relatori ai presidenti e a tutti i componenti di queste Commissioni. Il procedimento legislativo, nella fase prevista esplicitamente dalla Costituzione (ed è una caratteristica del nostro sistema istituzionale), deve passare nelle Commissioni. Troppo spesso ci siamo tutti abituati a ritenere la fase referente dell'esame delle Commissioni un orpello o un passaggio che poteva essere anche saltato.
Su questo provvedimento così non è stato fatto per volontà dei presidenti delle Commissioni, per decisione sua, Presidente, e della Conferenza dei presidenti di gruppo che hanno opportunamente concesso alle Commissioni un tempo ben ulteriore ai 15 giorni previsti per l'esame dei decreti-legge. Ciò è stato possibile - se consente - anche per volontà e per decisione del Governo, che ha convenuto su questo metodo di lavoro e che ha anche assunto la decisione politica - che il ministro Tremonti sa bene quanto è stata onerosa per la responsabilità del Governo - di non presentare direttamente propri emendamenti governativi al decreto-legge.
Il Governo, infatti, ha espresso la volontà collegiale di intervenire sulla crisi - primo Governo dell'Europa occidentale - con il testo varato dal Consiglio dei ministri. Insomma, Presidente non ho voglia di tirarla molto a lungo, ma è evidente che le Commissioni hanno svolto un lavoro ampio. Più di dieci sedute...

ROBERTO GIACHETTI. Tanto lavorano le Commissioni!

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, la prego di ascoltare il Ministro. Se vuole ha il diritto, come lei ben sa, di prendere la parola subito dopo, ma non interrompa.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Quindi, Presidente, le Commissioni hanno svolto un lavoro ampio e sono stati votati tutti gli emendamenti segnalati dai gruppi di maggioranza e di opposizione. Si è trattato di un lavoro che ha impegnato anche in sedute notturne le Commissioni parlamentari e anche ciò non è rituale.
A questo punto posso, quindi, rispondere in qualche modo alla domanda, al quesito, alla richiesta, all'appello e all'impegno chiesto al Governo dall'onorevole Duilio a conclusione dell'esame del provvedimento nelle Commissioni. L'onorevole Duilio, già presidente della Commissione bilancio, conoscendo come sono andate le cose (e come vanno le cose in Parlamento e nella Camera soprattutto sui provvedimenti economici e su quelli in materia finanziaria) e conoscendo come sono andate con tutti i Governi di centrodestra o di centrosinistra nelle ultime legislature, giustamente ha chiesto, a conclusione dei lavori, che, a conclusione dell'esame del provvedimento da parte delle Commissioni, il Governo garantisca che in caso di posizione della questione di fiducia non verrà modificato il testo del provvedimento elaborato dalle Commissioni medesime.
Intendo rispondere ora e in questa sede alla richiesta del presidente Duilio. Infatti, per onore al Parlamento, al Governo, all'importanza del provvedimento e alla necessità Pag. 4che le norme qui contenute siano definitivamente e stabilmente comunicate all'opinione pubblica, alle famiglie, alle imprese e ai lavoratori, abbiamo deciso di confermare la decisione di porre la questione di fiducia.
Tuttavia, abbiamo anche deciso di porre la fiducia - e questa è la novità alla quale facevo riferimento all'inizio, Presidente - sul testo licenziato dalle Commissioni bilancio e finanze. Si riconosce, quindi, la centralità del Parlamento e l'importanza del lavoro fatto in quella sede e che il Governo ha lasciato che fosse liberamente svolto dalle Commissioni parlamentari, in quanto non ha presentato proprie proposte emendative.
Devo dire, però (rispondendo a qualche articolo di giornale e a qualche nota di agenzia, più che a polemiche interne al Parlamento), che vi è stata una straordinaria prova di compattezza fra maggioranza e Governo: di questo voglio ringraziare i gruppi parlamentari di maggioranza, perché noi siamo abituati al fatto che, su provvedimenti così ampi e complessi, i pareri dei relatori e del Governo siano spesso diversi e difformi o siamo abituati a votazioni da parte delle Commissioni che divergono sostanzialmente dal parere espresso dal Governo, che in questa sede è rappresentato dal sottosegretario Casero, che voglio ringraziare. In questo caso ciò non è accaduto: abbiamo, quindi, assistito ad un lavoro che liberamente la maggioranza e il Governo hanno svolto, ma in piena sintonia e in armonia con la volontà del Governo.
Signor Presidente, ciò considerato e considerata anche la decisione assunta poco più di due ore fa dall'altro ramo del Parlamento, il Senato della Repubblica - che, nella sua autonoma determinazione, ha inserito il provvedimento nel calendario dei lavori a partire da lunedì 26 gennaio; il termine di scadenza del provvedimento, come sappiamo, è mercoledì 28 gennaio -, con queste motivazioni, a nome del Governo e autorizzato dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (nel testo licenziato dalle Commissioni bilancio e finanze), recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà - Applausi polemici del deputato Cambursano).

PRESIDENTE. Ministro Vito, prima di dare la parola all'onorevole Borghesi, all'onorevole Soro e all'onorevole Vietti, il rappresentante del Governo e i colleghi mi permettano di esprimere una sommessa valutazione su quanto ho testé ascoltato, in ragione - se mi è consentito - di una lunga permanenza in quest'Aula. In tanti anni ho avuto modo di ascoltare le molteplici ragioni per le quali il Governo, avvalendosi di una sua esplicita prerogativa, ha deciso di porre la questione di fiducia. È la prima volta che ascolto il rappresentante del Governo porre la questione di fiducia in onore del lavoro della Commissione (mi associo anch'io all'apprezzamento che è stato espresso nei confronti dei colleghi delle Commissioni) ed è la prima volta che sento dire che la questione di fiducia viene posta in omaggio alla centralità del Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro e Italia dei Valori).
Ricordo sommessamente al rappresentante del Governo che il procedimento legislativo, a Costituzione vigente, prevede l'esame in Commissione e quello in Aula: porre la questione di fiducia è certamente un diritto del Governo, ma credo che sia doveroso, da questo punto di vista, esprimere valutazioni di tipo squisitamente politico, perché l'omaggio al Parlamento e alla centralità del medesimo - che credo stiano a cuore a tutti, senza eccezione alcuna - lo si fa nello stesso momento in cui si consente alle Commissioni di lavorare e si consente ai deputati in Aula di esprimersi sugli emendamenti.

ANNA TERESA FORMISANO. Bravo, Presidente!

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PRESIDENTE. Le motivazioni che vengono poste per la questione di fiducia sono certamente legittime e attengono al dibattito politico. Ve ne sono state tante in passato e ve ne saranno altrettante in futuro, tuttavia mi assumo la responsabilità di affermare ciò che ho appena pronunciato, perché mi creda, Ministro Vito, la centralità del Parlamento e la sua funzione nel processo legislativo non si possono liquidare con un omaggio alla Commissione, salvo poi porre la questione di fiducia, impedendo di fatto ai deputati di pronunciarsi in Aula (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro e Italia dei Valori).

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, nel mio intervento avevo intenzione di rivolgerle un appello affinché difendesse questa istituzione. Lei lo ha già fatto: la ringrazio, gliene sono grato e non aggiungerò una parola a ciò che lei ha testé affermato. Grazie a nome del gruppo Italia dei Valori (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori, Partito Democratico e Unione di Centro).

ANTONELLO SORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONELLO SORO. Signor Presidente, intervengo brevemente per esprimere, intanto, l'umana comprensione per il compito del Ministro Vito e per il disagio che traspare dal suo intervento, che certamente non ci consente di condividerne le ragioni. Lo ha detto egregiamente il Presidente della Camera e potrei rifarmi anch'io sicuramente alle sue parole, per dire che non credo sia questo il modo di attribuire centralità al Parlamento. Credo che la degenerazione del rapporto tra Governo e Parlamento sia un tema che ci interroga da tempo, che noi abbiamo più volte posto in quest'Aula, ma l'oggetto di questo decreto-legge è diverso: c'è un supplemento di ragioni per esprimere il disagio politico e istituzionale della parte che noi rappresentiamo in quest'Aula, ma credo sia un disagio che tende ad andare al di là dei confini dell'opposizione. L'oggetto di questo decreto-legge è la crisi, quella crisi che nel mondo sta mettendo in discussione i fondamentali dell'economia, che sta suscitando qualcosa di più di un grande allarme sociale anche nostro Paese, che non è estraneo al resto del mondo. La crisi sta interrogando e sfidando i Governi a trovare modi, misure e strumenti per arginarla, per invertire la tendenza di un ciclo recessivo che non ha precedenti nella storia del mondo moderno. Di fronte a questo, noi pensavamo che ci fosse, in questa circostanza, in quest'Aula, una risposta matura, sobria, serena e responsabile all'appello che su questo tema ha rivolto al Parlamento il Presidente della Repubblica solo qualche giorno fa, un appello ipocritamente condiviso da tutti, mentre mi pare che vi sia un tentativo di sfuggire ai doveri che competono a tutte le istituzioni, anche a chi rappresenta in questo Parlamento una maggioranza che ha vinto le elezioni e che giustamente rivendica il diritto di governare.
Noi vogliamo fare la nostra parte, che è diversa dalla vostra, ma che mette in conto il dovere e il diritto di confrontarci sulle ragioni della nostra politica, per esprimere giudizi su una manovra che non è la prima. Sono sei mesi, da quando avete deciso di fare una finanziaria valida per tre anni, che fate una manovra ogni mese e penso che dovrete farne ancora nei prossimi mesi.
Questo ci turba, perché pensiamo che le dimensioni della crisi meriterebbero forse altra risposta rispetto a quella che voi proponete. Ma questo riguarda il merito, sul quale ritorneremo. Pongo un problema più generale sul rapporto che deve esistere in questo Parlamento tra la maggioranza e l'opposizione, tra il Governo e il Parlamento, per la dimensione della crisi e del tema che è oggetto di questo decreto-legge, anche per il rispetto per le più alte cariche dello Stato, che in Pag. 6queste settimane si sono fatte parte attiva nel suscitare in tutti noi un sentimento di partecipazione, nel ruolo distinto di maggioranza e di opposizione, ma di assunzione di responsabilità, che pensiamo sia dovere di tutti i cittadini italiani in questa crisi, in questa fase. Invece, voi avete fatto finta di niente. Non si può dire - il Ministro Vito non ci ha neanche provato - che ci sia stato ostruzionismo da parte di qualcuno. Noi, non solo nel mese di dicembre ci siamo assunti la responsabilità di favorire l'uscita da un groviglio, da un ingorgo di decreti-legge che aveva intasato il calendario di dicembre, ma ci siamo fatti carico di rinunciare ai temi di competenza dell'opposizione per discutere quelli della maggioranza, perché eravate in difficoltà palese e la difficoltà di questo Governo è ogni giorno di più una difficoltà del Paese. Tuttavia, nelle Commissioni abbiamo fatto il nostro dovere. Ministro Vito, signor Ministro dell'economia e delle finanze, è vero che nelle Commissioni riunite sono stati concessi tempi un po' più ampi, ma semplicemente perché i relatori, per due giorni, sono stati in stallo, incapaci di esprimere pareri, con l'opposizione presente dal primo all'ultimo momento e con la maggioranza imballata, perché non era in condizioni di esprimere un parere sugli emendamenti della maggioranza stessa, oltre che dell'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Abbiamo fatto di più: ieri - non potevamo farlo prima - abbiamo deciso di tagliare in modo drastico gli emendamenti dell'opposizione. Per parte nostra, ci siamo limitati a proporre dieci emendamenti, per suscitare su tali emendamenti, che consideriamo fondamentali, un confronto vero.
Il confronto non è fatto per convergere. Non abbiamo la pretesa (perché non abbiamo i numeri, non perché non abbiamo le ragioni) di cambiare la natura di questo provvedimento, ma abbiamo l'ambizione di dire cosa pensiamo e di esprimere in quest'Aula, e non solo nelle agenzie di stampa, il nostro giudizio su quella misura.
La risposta è quella che è venuta oggi. Non c'è nessuna ragione, nessun ragionevole argomento per porre la fiducia. Ve ne è uno solo...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONELLO SORO. Voi non vi fidate della vostra maggioranza! Questo è così grave che vi ritornerà addosso, perché la vostra maggioranza, pian pianino, si stancherà di essere considerata un oggetto imbelle.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONELLO SORO. Concludo, signor Presidente, per dire che consideriamo questa decisione una porta in faccia a tutti gli attori istituzionali che in queste settimane ci hanno chiesto di collaborare.
Chiederemo, signor Presidente, di illustrare, ai sensi di quella prassi inaugurata dal Presidente Iotti, i nostri dieci emendamenti, perché almeno si sappia quali erano (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, mi consenta di esprimere, innanzitutto, a nome del gruppo dell'UdC, pieno e totale apprezzamento per il suo intervento, che ha fatto seguito alle comunicazioni del Governo.
Il suo è stato uno scatto d'orgoglio non solo, come lei ha ricordato, di un parlamentare che da tanti anni vive la vita delle istituzioni legislative in quest'Aula, ma anche - di questo, in particolare, la ringraziamo - del rappresentante della Camera dei deputati, che reagiva a nome dell'intera Camera dei deputati ad un comportamento del Governo che, francamente, non ha giustificazioni.
Mi sentirei anch'io di dare solidarietà al Ministro Vito per il compito ingrato che ha dovuto svolgere qui, oggi, davanti a noi. Pag. 7Il suo è stato un caso di scuola di excusatio non petita, che, come noto, diventa accusatio manifesta.
Il Ministro Vito ci ha spiegato che siamo di fronte ad un caso di assoluta compattezza della maggioranza, della maggioranza con il Governo, di ampia condivisione, di ampia discussione.
Non si capisce come, di fronte a tutto questo, se questo è vero, si giustifichi, poi, la sua conclusione; se fosse vero, infatti, che le Commissioni hanno ampiamente discusso e hanno trovato ampie convergenze, che nella maggioranza non vi sono problemi, che nei rapporti con il Governo non vi sono problemi, non si capisce, allora, perché si impedisca a quest'Aula la fisiologica discussione, che, peraltro, i tempi avrebbero tranquillamente consentito.
Il Ministro Vito stesso, infatti, ci ha ricordato che il Senato ha calendarizzato questo provvedimento il 26 gennaio. Bene, da qui al 26 gennaio vi sarebbero stati 13 giorni a disposizione per discutere.
Questo, però, vuol dire che non solo non discuterà la Camera, ma, dato che il decreto-legge scade il 29 gennaio, non discuterà neanche il Senato; quindi, è già un annuncio preventivo che verrà chiesta la fiducia anche al Senato.
In sostanza, sul provvedimento che rappresenta la risposta del Paese - perché, signori del Governo, questa è una risposta che dovrebbe essere del Paese - ad una delle più gravi crisi economiche e finanziarie del secolo passato e di questo inizio secolo, si mette la mordacchia al Parlamento e si impedisce qualunque confronto.
L'UdC aveva presentato otto emendamenti. Otto! Credo, quindi, che nessuno possa parlare di ostruzionismo. Abbiamo anticipato anche noi ieri, come il Partito Democratico, per il tramite delle agenzie, che sono ormai l'unica forma di dibattito democratico che ci rimane, inevitabilmente, fuori dalle istituzioni, o almeno a lato delle istituzioni, che potevamo ridurli ad uno, uno solo.
Chiedevamo soltanto la rimodulazione del bonus per le famiglie, perché così come l'avete scritto premia i single e penalizza le famiglie numerose (e ciò ci sembra talmente assurdo che forse poteva essere ragionevole, anche da parte della maggioranza, provare un punto di intesa per calibrarlo in modo da favorire le famiglie che hanno più figli). Ma anche questo non ci è stato concesso!
Il Ministro ci ha ricordato che le Commissioni avrebbero ampiamente discusso, ma i nostri rappresentanti in Commissione evidentemente, Ministro Vito, hanno visto un altro film o erano in un'altra Commissione. I nostri rappresentanti ci dicono, infatti, che nelle Commissioni non si è affatto discusso approfonditamente, che le Commissioni riunite sono state ferme un giorno e mezzo in attesa che si trovasse una forma di compromesso all'interno dei partiti della maggioranza su alcuni temi particolarmente sensibili, e che non sono stati neppure discussi e votati tutti gli emendamenti! Nulla di nulla! Le Commissioni si sono limitate a registrare un compromesso faticoso all'interno delle componenti della maggioranza che si è espresso nello spot su Malpensa (che stava cuore alla Lega, dopo il disastro dell'operazione CAI-Alitalia, per cercare di salvare la faccia rispetto a quell'elettorato del nord cui avevano promesso che Malpensa avrebbe ottenuto chissà cosa) e nell'esclusione del Patto di stabilità per Roma capitale.

PRESIDENTE. Onorevole Vietti, la invito a concludere.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Noi siamo l'unico Paese d'Europa - anzi l'unico Paese del mondo sviluppato - in cui il Parlamento non discute delle misure anticrisi. E non lo fa, signor Presidente, per l'ostruzionismo dell'opposizione, ma lo fa - evidentemente - perché la maggioranza vuole nascondere le vistose crepe che tutti abbiamo visto si sono manifestate al suo interno.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Vietti!

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MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, mi unisco alla sua riprovazione e mi auguro che tutti insieme, grazie anche al suo senso di responsabilità istituzionale, potremo evitare il ripetersi di questi gravissimi modi di comportarsi, che penalizzano ed umiliano tutta quanta l'istituzione parlamentare (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori).

FABRIZIO CICCHITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, credo che si apra un interrogativo e una questione sulla quale noi diamo una risposta che va anche al di là delle valutazioni - che condividiamo - che ha dato il Governo. L'interrogativo è, cioè, se l'articolo 116 del Regolamento disciplina o meno un istituto che manca di rispetto al Parlamento.
Secondo noi, non veniamo meno al rispetto del Parlamento nel momento in cui il Governo reputa questo provvedimento così importante e significativo da porvi la questione di fiducia, verificando liberamente in Parlamento se questa è la valutazione o meno dei parlamentari.
Non mi sembra francamente che facendo questa scelta si spossessi il Parlamento, considerando il fatto che c'è stato il lavoro presso le Commissioni (che c'è stato), che c'è un dibattito generale, che voteremo o non voteremo la fiducia.
Credo, quindi, che il rilievo che è stato fatto sia materia di discussione e di dibattito, ma francamente non ci sentiamo di condividerlo. E ci assumiamo la responsabilità della scelta che il Governo fa di ritenere questo provvedimento così importante e significativo da sottoporlo ad un voto di fiducia dei parlamentari, che non è un modo per spossessare i parlamentari della loro sovranità.
Questa è la valutazione di fondo che noi diamo e che ci permettiamo di sottoporre anche alla sua attenzione, evidentemente tenendo conto dei rilievi che sono stati sollevati, non nascondendoci dietro un dito, bensì ponendoci di fronte al problema che abbiamo.
D'altra parte - consentitemi, colleghi - nessuno può dire che questo Parlamento nel corso di questi mesi è stato spossessato da una riflessione sulla crisi (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori). Non è stato spossessato da nessuna riflessione (Commenti del deputato Bressa)...

PRESIDENTE. Onorevole Bressa, la prego!

FABRIZIO CICCHITTO. Guardate, potete urlare quanto volete, mi lasciate completamente indifferente!
Noi praticamente stiamo svolgendo, di fronte ai vari provvedimenti che il Governo ha assunto, dibattiti e confronti su questo terreno, quindi non credo affatto che vi sia una linea del Governo che spossessa il Parlamento e, per queste ragioni, mi riconosco in quanto ha detto il Ministro Vito poco fa (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

ROBERTO COTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente e colleghi, quello in esame è sicuramente un provvedimento importante e noi, durante il lavoro in Commissione, abbiamo posto una serie di questioni che ritenevamo e riteniamo importanti. Alcune di esse sono state affrontate e risolte in maniera molto positiva, come la questione legata a Malpensa e alla necessità di rinegoziare gli accordi bilaterali, per andare incontro ad una liberalizzazione che consenta al territorio di riappropriarsi della possibilità di avere nuove rotte su questo aeroporto; altre questioni sono state da noi proposte e non hanno trovato accoglimento nel testo del provvedimento licenziato dalla Commissione.
Devo dire che, con riferimento a talune di tali questioni, abbiamo assistito anche ad una grande strumentalizzazione, che Pag. 9purtroppo ha coinvolto anche esponenti della nostra stessa maggioranza. Parlo di strumentalizzazione perché evidentemente si è fatta una tempesta in un bicchiere d'acqua: quando penso alla questione relativa alla tassa sul permesso di soggiorno, penso ad un aspetto che era già stato trattato durante il dibattito parlamentare al Senato, addirittura con l'approvazione di un emendamento che era ancora più restrittivo rispetto a quello approvato dalla Camera e sul quale il Governo aveva espresso parere favorevole e vi era stato poi il voto favorevole di tutti i deputati della maggioranza. Quindi, non era stata posta una questione «fuori sacco».
Abbiamo assistito a polemiche ed abbiamo assistito ad una serie di interventi, compreso un suo intervento, signor Presidente della Camera: lei è intervenuto nel merito su una vicenda, lei che oggi richiama invece un ruolo istituzionale, da Presidente della Camera dei deputati, che vuole essere super partes; in quella circostanza, invece, lei è intervenuto nel merito di una questione che era oggetto di una discussione in sede di Commissione parlamentare.
Ad ogni modo, Presidente, Ministro dell'economia e delle finanze e Ministro per i rapporti con il Parlamento, oggi ci si dice che si tratta di un provvedimento importante per l'azione del Governo, di un provvedimento fondamentale per quanto riguarda l'azione del Governo. È vero, prendiamo atto di questa sua considerazione e prendiamo atto anche del significato politico che assume la posizione della questione di fiducia. Diciamo soltanto che non rinunceremo a proporre in questo Parlamento le nostre idee e a riproporle, trovando lo strumento adeguato (alcuni strumenti sono già evidentemente all'orizzonte, perché in Senato vi è la discussione su un disegno di legge di iniziativa governativa in materia di sicurezza). Non rinunceremo a portare avanti le nostre idee, perché riteniamo che siano idee giuste e idee sulle quali abbiamo la cosa più importante che un movimento politico possa avere, caro Presidente della Camera e cari Ministri: il consenso della gente, il consenso della nostra gente, che ci ha mandato qui con i voti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, intervengo brevemente per esprimere tutto il nostro dissenso rispetto all'intervento dell'onorevole Cicchitto e le esprimiamo, altresì, il nostro apprezzamento per il suo autorevole intervento a difesa delle prerogative del Parlamento.
Qualche giorno prima della sospensione per le vacanze natalizie, e per circa un mese, siamo stati impegnati nelle Commissioni bilancio e finanze. In quelle sedi, abbiamo cercato di dare un contributo ad un decreto-legge che, da una prima lettura, ci sembrava debole rispetto alle misure che si sarebbero dovute adottare in favore del Mezzogiorno.
Abbiamo presentato una quarantina di emendamenti, tutti dichiarati ammissibili dalla Presidenza e su invito della Presidenza stessa abbiamo, poi, ridotto a tre gli emendamenti segnalati. Essi andavano in tre direzioni. Il primo riguardava il credito di imposta per le imprese delle regioni dell'Obiettivo 1, da finanziare con - udite, udite! - i famigerati fondi FAS. Il presupposto per questo emendamento nasceva da un'interlocuzione con il signor Ministro, laddove si diceva che, se avessimo utilizzato i fondi FAS, la Commissione (o, comunque, il Governo) non avrebbe avuto alcun problema a farlo proprio.
Il secondo emendamento riguardava - e riguarda - la viabilità primaria e secondaria di Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata. Ricordo cosa è accaduto con il decreto-legge n. 112 del 2008: sono stati sottratti dei fondi, che dovevano essere destinati al Mezzogiorno, per finanziare altro.
Il terzo emendamento riguardava le comunità montane. Il tutto da finanziare con i fondi per le aree sottoutilizzate.Pag. 10
La cosa grave, peraltro, è che, per analoghi emendamenti di altri deputati e di altri partiti, della stessa fattispecie e con la stessa fonte di finanziamento (attraverso i fondi FAS), è stato dato parere favorevole, laddove fosse stato ridefinito e rimodulato l'intervento.
Lascio ai colleghi le valutazioni politiche, così come noi faremo le nostre. Ho già preannunciato e ribadisco in questa sede che, allo stato delle cose, ci viene difficile immaginare un nostro voto favorevole sul decreto-legge in oggetto.
Mi auguro che si possa aprire un'interlocuzione politicamente seria rispetto a queste problematiche.
Ricordo, altresì, che su questi temi, che abbiamo affrontato e che volevamo venissero riportati all'interno di un decreto-legge estremamente delicato e importante in un momento tragico per il Paese (e non soltanto per la nostra comunità), si avesse un minimo di coerenza rispetto agli impegni programmatici assunti dalla maggioranza. Ricordo quel famoso documento politico al cui punto 5 si parla del sud, di infrastrutture e di interventi.
Non ultimi, vorrei ricordare gli interventi assunti in quest'Aula con alcuni ordini del giorno fatti propri dal Governo, in base ai quali, entro il 31 dicembre 2008 (termine che è già trascorso), si dovevano ripristinare i fondi che andavano in direzione della viabilità, della piccola e media impresa e di aiuto concreto e sostanziale alle famiglie.
Di questo non vi è traccia, né vi è stata la possibilità di avere un'interlocuzione politica. In Commissione abbiamo posto alcune domande al Governo, che non hanno avuto alcuna risposta. Le valutazioni politiche le faremo al momento e nelle sedi opportuni (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).

PRESIDENTE. A seguito della decisione del Governo di porre la questione di fiducia, convoco la Conferenza dei presidenti di gruppo per le ore 16 al piano Aula.
La seduta è sospesa e riprenderà al termine della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.

La seduta, sospesa alle 15,45, è ripresa alle 16,15.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che la Conferenza dei presidenti di gruppo si è testé riunita per definire l'organizzazione del dibattito conseguente alla posizione della questione di fiducia in relazione al disegno di legge n. 1972: Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale (da inviare al Senato - scadenza: 28 gennaio 2009).
Nella seduta odierna, con eventuale prosecuzione notturna, si svolgeranno gli interventi per l'illustrazione degli emendamenti.
La votazione per appello nominale avrà luogo domani, mercoledì 14 gennaio, alle ore 15,15. La seduta pertanto inizierà alle ore 14 con le dichiarazioni di voto.
Dopo la votazione di fiducia, avrà luogo l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata al disegno di legge di conversione n. 2044: Conversione in legge del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, recante misure urgenti in materia di semplificazione normativa.
Successivamente, nella stessa giornata di mercoledì 14 pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di giovedì 15 gennaio, si passerà all'esame degli ordini del giorno. Giovedì 15 gennaio, in un orario che sarà comunicato dalla Presidenza sulla base dell'andamento dei lavori, avranno luogo le dichiarazioni di voto finale dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto, con ripresa televisiva diretta. Si passerà, quindi, alla votazione finale del disegno di legge di conversione n. 1972.Pag. 11
Il termine per la presentazione degli ordini del giorno è stabilito alle ore 10 di domani.
Lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata potrà avere luogo giovedì 15 gennaio, alle ore 15. Nella stessa giornata di giovedì, al termine delle votazioni, avrà luogo lo svolgimento di interpellanze urgenti.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. A seguito della posizione della questione di fiducia il dibattito proseguirà a norma dell'articolo 116 del Regolamento, così come costantemente interpretato su conforme parere della Giunta per il Regolamento.
Potranno pertanto intervenire una sola volta, per non più di 30 minuti ciascuno, i primi firmatari o altro proponente degli emendamenti, che non siano già intervenuti nella discussione, sempre che non abbiano già preso la parola altri firmatari dei medesimi emendamenti.

(Illustrazione delle proposte emendative - A.C. 1972-A)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bersani che illustrerà il suo emendamento 11.1. Ne ha facoltà.

PIER LUIGI BERSANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi vorrei esordire ringraziando il mio capogruppo e la direzione del mio gruppo per aver scelto di costruire questa specie di Aventino alla rovescia che cerca di fare in modo che il Parlamento si riappropri delle sue funzioni, seppure in una forma che non è quella che avremmo voluto. Quindi illustro l'emendamento riferito ai consorzi fidi inquadrandolo in un ragionamento più generale.
Il Ministro Vito, nella sua imbarazzata richiesta di porre la questione di fiducia, ha osato dire che saremmo il primo Parlamento d'Europa ad esaminare misure anticrisi. Credo che si tratti di una forma di dadaismo puro, di surrealismo. Abbiamo in realtà un primato: siamo l'unico Paese nel quale è sottratta al Parlamento ogni possibilità di discussione efficace sui temi della crisi. Abbiamo cominciato qualche mese fa con riunioni alle 8,30 di mattino durate mezz'ora per fare un primo esame della più grave crisi planetaria dal 1929 ad oggi; abbiamo proseguito con voti di fiducia e siamo, qui, oggi a parlare fra noi esponenti dell'opposizione.
Questo ammutolimento del Parlamento è il segno di un fenomeno più ampio sul quale vorrei richiamare l'attenzione: questo Governo intende sottacere i temi della crisi non solo in Parlamento, ma anche nella discussione pubblica.
La scorsa settimana il nostro Ministro dell'economia e delle finanze ha partecipato ad un convegno internazionale a Parigi e ha svolto un intervento interessante, di questo non dubito. Prendo nota, però, che il TG1 ha ritenuto di trasmettere questa notizia prima delle notizie sulla striscia di Gaza.
Ora, questa piaggeria e questo pericoloso conformismo che sta investendo la discussione pubblica sui temi della crisi può portarci solo dei guai. Non faccio questioni personali - qui non c'è il Ministro Tremonti che è molto suscettibile in merito alle discussioni su di lui - e anzi riconosco evidentemente qualità ipnotiche al Ministro dell'economia e delle finanze, che riesce a fare in modo che qualsiasi sua divagazione occupi le prime pagine dei giornali. Suggerirei, anzi, qualche audacia in più, che si mettesse a parlare anche di faraoni e di marziani, oltre che di mostri di videogiochi e di imperatori romani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Inoltre, anche questo lo attribuisco alle sue capacità ipnotiche, si sta prendendo per buono il tormentone «io l'avevo visto», «io l'avevo detto», «io l'avevo previsto», senza che nessuno ponga una seconda domanda e registri (sarebbe facilissimo) almeno alcune delle «reincarnazioni» della politica economica del Ministro Tremonti e del centrodestra.Pag. 12
Non è un problema personale, come dicevo. Vorrei ricordare - siamo tutti lettori dei premi Nobel che fanno opinione - che Amartya Sen ha più volte sottolineato come la democrazia sia funzionale alla politica economica perché una democrazia consente, attraverso la discussione pubblica, di correggere per tempo gli errori, purché ci sia la discussione pubblica e purché ci sia la possibilità di parlare di fatti e non di chiacchiere.
Veniamo a noi. Mi spiego, a questo punto, con un'esperienza concreta di questi mesi e non parlo del Governo, ma dell'opposizione e chiedo al Governo, alla maggioranza, ai rappresentanti delle forze sociali, e ai facitori dell'opinione pubblica e ai commentatori: quando dicemmo a luglio che, invece di realizzare la seconda parte della manovra ICI, era meglio un'operazione di detrazione fiscale su salari, stipendi e pensioni medio-bassi, avevamo torto?
Chi c'è che sappia minimamente di economia o di rapporto fra società ed economia che possa dire che avevamo torto? Quando dicemmo che non era il caso di parlare di straordinari, ma di cassa integrazione (e lo dicemmo a luglio), c'è qualcuno che possa dire che avevamo torto? Quando dicemmo di mettere la nostra bandiera nazionale nel trasporto aereo su una grande compagnia internazionale, piuttosto che fare una costosissima soluzione domestica, avevamo torto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?
Ecco cos'è la discussione pubblica: parlare concretamente, perché qui siamo tutti nella «squadra Italia». Vogliamo che questo Paese venga fuori dalle difficoltà, pertanto bisogna ascoltarsi e riconoscere quando è ora di correggere una strada sbagliata.
A proposito di conformismo e piaggeria: ci sono dei peana da mesi sul nuovo modo di fare la legge finanziaria. Sia chiaro che non vogliamo tornare ai vecchi riti, ma siamo sicuri che questo sia il modo giusto? Siamo qui, di mese in mese, a continuare a correggere la politica economica per fatti minimali e non abbiamo mai il momento per discutere di manovra economica, perché è sempre una cosa che arriva dopo. Vogliamo fare così anche nei prossimi anni o vogliamo rifletterci?
Allora, eccoci all'oggi: c'è qualcosa da correggere. Vogliamo prendere atto che c'è qualcosa da correggere?
Noi sosteniamo una tesi che sarà anche discutibile, ma almeno discutiamone. Stiamo dicendo che qui non si sta facendo niente di sostanziale e di efficace non per risolvere la crisi, che è tema troppo grande, ma per fronteggiare la crisi che dovremo contrastare nei prossimi mesi.
Abbiamo chiesto una manovra di un punto di PIL che, fra l'altro, con gli accorgimenti vari (non siamo inconsapevoli di finanza pubblica) valeva, in sostanza, mezzo punto per quanto riguarda la contabilità pubblica. Si trattava di un mezzo punto facilmente riassorbibile. Invece, niente da fare! Credo che questa manovra non fosse granché. Era minimale già nel nostro punto di vista. Tuttavia, era totalmente compatibile con una situazione che può fruire del solido risanamento della finanza pubblica che abbiamo condotto negli ultimi due anni, solido risanamento di cui vi avvalete e di cui perfino vi vantate, in sede internazionale, senza mai una mezza parola di riconoscimento per chi l'ha portato avanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ciononostante avete detto di «no». Non siete d'accordo. Benissimo, si può anche non essere d'accordo, però - ora non è presente il Ministro Tremonti - non si può irridere. Ho sentito il Ministro Tremonti dire: «Questi chiedono un punto. Noi potremmo chiedere due punti. Qui vale chi la spara più grossa». No, questo non ve lo consentiamo e non lo consentiamo a chi, dal 2001 al 2005, in una situazione comunque di crescita e con manovre procicliche costosissime e inutili, ha sempre sovrastimato la crescita, portando danni evidenti al deficit, al debito, all'avanzo primario e contribuendo al non controllo della spesa corrente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), aspetti che abbiamo dovuto, noi, risanare. Quindi, prediche da quel lato per favore Pag. 13non ce le fate. Potete non essere d'accordo, ma non ci fate prediche da quel lato. Sappiamo benissimo cosa sia la stabilità dei conti pubblici. Se diciamo una cosa, per favore consideratela.
Voglio ricordare questo anche perché sembra che sia impossibile tutto (qui adesso è impossibile tutto): sia i mercati, sia la finanza, sia il debito. Ma per l'amor di Dio! Li conosciamo anche noi. Tuttavia, vorrei ricordarvi che quando spettò a noi governare si doveva rientrare da un'infrazione comunitaria (eravamo al 4,5 per cento di deficit). Ebbene noi, rientrando, spendemmo 6 miliardi di euro per il cuneo fiscale. Non so se lo ricordate. Dunque, questa storia che è impossibile tutto, non è affatto vera! No, vi pagano - come pagano anche noi - per rendere possibile qualcosa. Altrimenti cosa stiamo qui a fare?
Affermo che questa nostra proposta era sostenibile. L'avete respinta. Benissimo, ecco qui i risultati. I risultati sono che non vi è nessuna detrazione fiscale per i redditi medio-bassi, mentre il fiscal drag sottrae potere d'acquisto ulteriormente ai redditi da lavoro e ai redditi medio-bassi. Quindi, state mettendo le tasse. In una situazione di crisi state mettendo le tasse a quella fascia di popolazione cui si dovrebbe garantire potere d'acquisto. Non dite che non state aumentando le tasse. Le tasse stanno aumentando, come emerge ormai da varie documentazioni.
Inoltre, ricordo che non vi è nessuna certezza per gli ammortizzatori sociali. Abbiamo passato il Natale sull'onda della settimana corta. Fantastico! È stata una grande idea. Tuttavia, una volta che il Natale è trascorso non se ne è più parlato, perché qui funziona così. Bisogna fare i sondaggi.
Se i sondaggi dicono che sono tutti d'accordo, il giorno se ne inventa un'altra, non c'è mica il problema di farla quella cosa. L'importante è passare la giornata in grazia di Dio, cioè che il sondaggio funzioni. Poi se ne inventa un'altra e andiamo avanti a colpi di spot.
Vorrei ricordare che non siamo a posto né con le norme, né con i soldi per il sistema degli ammortizzatori sociali. Abbiate pazienza, ma lo sapete anche voi che la norma che avete scritto qui, per esempio, sulla bilateralità non può stare in piedi! Noi siamo d'accordo sulla bilateralità, ma per espandere, accrescere, arricchire gli strumenti, non per limitarli, selezionarli e renderli discriminatori. La famosa manovra sul Fondo sociale europeo - campa cavallo! - è molto complicata. Lo dissi nel colloquio con Tremonti, se aveva il registratore può tirarlo fuori. Vi ribadisco qui: per noi gli ammortizzatori rappresentano la prima priorità, non ci fa difetto nessuna soluzione. Però che sia funzionante, perché - se non funziona - non ci si dica che non ci sono soldi, perché per gli ammortizzatori i soldi se mai si vanno a prendere dove sono, perché non possiamo lasciare senza presidio una fascia di popolazione che andrà e sta andando in forte difficoltà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Lo sapete di quali cifre stiamo parlando? Stiamo parlando di cifre che oscillano tra i 700 mila e il milione di contratti a termine a fortissimo rischio di non essere rinnovati e di 500 mila persone - dicasi famiglie - fra cassa integrazione straordinaria, cassa integrazione ordinaria, cassa integrazione in deroga e meccanismi della cassa per la gestione dell'edilizia. Non penserete mica che si possa far finta di niente o far ballare la palla in riunioni con questo o con quell'altro! Siamo già dentro questo problema. Dovremmo essere pronti già da un mese, con strumenti operanti su questo punto. Dite: «Adesso facciamo le riunioni». Ma in questo decreto-legge non c'è la risposta.
Veniamo alle attività produttive. Non lo so, qui è pieno di norme o pleonastiche o largamente insufficienti. Qui continuiamo a raccontarci le cose. Ma insomma, prendiamo un tema che è oggetto, tra l'altro, dell'emendamento che sto illustrando (seppure con qualche allargamento del tema). Da ottobre ad oggi volete dirmi in concreto che cosa è successo dal punto di vista del miglioramento dell'accesso al credito per una piccola impresa? Tra decreti-legge, regolamenti, cose da fare, consorzi fidi, in Pag. 14concreto è successo qualcosa? No, e non siamo pronti a niente! È successo qualcosa dal lato delle banche? No, siamo i primi ad affrontare la crisi in Europa, ma non è successo niente! Sono venute avanti delle affabulazioni - lo ripeto - in una melassa generale.
Per quanto riguarda le politiche industriali, ditemi se c'è qualche misura. Alla fine vi abbiamo sospinti ad un paio di cose. La prima è la questione della possibilità di avvalersi delle banche per cedere il credito, seppur dentro mille condizioni. L'altra è il ripescaggio della norma sul massimo scoperto, che fu bombardata quando era nella cosiddetta «lenzuolata». Stiamo parlando comunque di cose significative, ma de minimis davanti al problema che abbiamo nella crisi. Non c'è una misura di politica industriale (crediti di imposta alla ricerca, Industria 2015). Venerdì cominciano le riunioni europee: Verheugen sta cominciando a riunire, per esempio, sui temi dell'auto e della componentistica. Che cosa gli andiamo a dire? Non ho capito che cosa gli andiamo a dire!
Qual è l'idea italiana su questo punto, che abbia anche una dimensione europea? Dice: bisogna che ci pensi l'Europa. Ho capito ma è un problema anche nostro andare a dire che cosa pensiamo; io non ho capito che cosa gli andiamo a dire.
Anche per quanto concerne le vostre iniziative sul lavoro autonomo e sulle attività professionali; insomma, c'è uno scambio implicito: non vi abbassiamo le tasse e vi allentiamo le misure di controllo della fedeltà fiscale. Guardate, questo è un tema molto serio, sappiamo bene la sensibilità del nostro sistema a questo tipo di messaggio, facciamo un appello al vostro senso di responsabilità. Bisogna fare un altro scambio anche nella crisi, a questi soggetti bisogna dire: ti aiuto all'accesso al credito, ti aiuto nell'innovazione, ti abbasserò le tasse se le paghiamo tutti; dimmi che cosa ti serve per migliorare, qualifico la domanda privata e pubblica, ma dammi un po' di fedeltà fiscale, perché questo è civismo.
Attenzione, noi andiamo, nella crisi, di nuovo a creare nel Paese un elemento di dissociazione molto profondo; non può essere in questi mesi che si aumenti l'entrata IRPEF di tre, quattro, cinque miliardi e si diminuiscano le altre al di là della portata della crisi. Stiamo introducendo una malattia in questo Paese. Richiamiamo nella difficoltà comune ad elementi di civismo, di sforzo collettivo, dando una mano a quelli che soffrono di più: questo è il messaggio che va negli Stati Uniti d'America, in Gran Bretagna e ovunque. Ma perché noi non diamo questo messaggio di solidarietà forte, a partire dalle esigenze di quelli che stanno soffrendo di più? Sia chiaro che su questo punto, sottosegretario Vegas, noi non molliamo la presa, lo dica al Ministro Tremonti.
Abbiamo detto dopo il nostro colloquio davanti ai giornalisti una cosa chiara: qui non c'è più trasparenza nei dati di finanza pubblica e nei dati sulle entrate fiscali. Voi dite che non è vero, parliamoci. Faremo un'iniziativa parlamentare per chiedervi in modo preciso e dettagliato la tipologia dei dati che ci servono. Non si può fare un comunicato del Governo che dice: la crescita del fabbisogno si spiega per misure che vi incidono e che voi avete dichiarato al Parlamento di essere coperte. Eh no, non è possibile! Attenzione che se qui passa l'idea che i dati statistici possono essere fruibili ad uso politico, qui viene giù il condominio! Vengono giù le colonne su cui si regge il sistema delle decisioni! Quindi noi, Presidente Fini, presenteremo al Parlamento un documento nel quale, in modo dettagliato, vengono richiesti gli indicatori fondamentali per l'analisi della situazione e anche le scadenze obiettive attorno alle quali poter ragionare tutti insieme sui dati reali della finanza pubblica e delle entrate fiscali.
Voi dite - e vado a chiudere - (la sostanza del discorso che fa il Ministro Tremonti la conosco ormai da tempo): non c'è bisogno della manovra, dobbiamo utilizzare meglio le risorse che abbiamo, riprogrammando, utilizzando soldi che ci sono; viene sempre in mente il FAS, la Pag. 15programmazione; per l'amor di Dio, siamo sempre lì attorno. Se la crisi è la più grave dal dopoguerra, ma vi pare che possiamo fare dei formalismi? Noi diciamo, per l'amor di Dio, discutiamo di tutto il paniere della risorse, purché e solo se stiamo parlando di un'utilizzazione di queste risorse per incidere immediatamente nel ciclo e dare quindi un immediato soccorso per transitare nella crisi. Perché se invece si tratta solo di spostare risorse da un fondo all'altro, girarle di qui e di là, rapinare una cosa per metterla nell'altra, stiamo parlando solo di beghe di potere tra Ministri, di risse nel CIPE, non stiamo mica parlando di altro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
Allora, se invece volete affrontare questo tema sul serio non fatelo come avete fatto nel decreto-legge, riunite il tavolo sulla crisi, anche con le regioni, con le parti sociali e se vi serve il nostro contributo noi ci siamo, e ragionate su due punti di cui abbiamo parlato più volte. Il primo è un paniere di opere pubbliche locali immediatamente cantierabili, perché nei prossimi 24 mesi val tanto un sovrappasso, come una rotonda o una manutenzione straordinaria di una scuola. Il secondo attiene alla necessità di ripristinare, magari rafforzandone il controllo, i crediti di imposta sulla ricerca, sugli investimenti nel Mezzogiorno: miglioriamo i controlli su di essi, diamogli copertura attraverso questi fondi, se avete preoccupazioni di copertura, anche se - fatemelo dire - è veramente commovente, a proposito di reincarnazione, il «tremontismo», questa improvvisa preoccupazione per le coperture. Ricordo che siamo il Paese in cui, in una fase di crescita, quindi in modo prociclico, abbiamo varato tutte le cosiddette leggi Tremonti (la 1, la 2, la 3, la 4, e così via) con coperture a babbo morto; ebbene, questa preoccupazione viene tutta adesso, nel momento in cui servirebbe un minimo di coraggio in più?
Mi avvio a concludere dicendo che il nostro giudizio è questo: fra un ottimismo vacuo del nostro Presidente del Consiglio e un pessimismo cosmico e da mostri dei videogiochi del nostro Ministro dell'economia, noi abbiamo deciso di stare fermi; questa è la realtà. Abbiamo deciso di stare fermi lanciando un messaggio: ci pensino da sé i cittadini, buttando via il malumore, cominciando a consumare, poi la vitalità incoercibile del sistema delle piccole e medie imprese sicuramente ci farà passare la nottata. Non siamo mica d'accordo! Qui c'è bisogno di accompagnare i processi, noi dobbiamo uscire da questo anno e mezzo con le nostre risorse produttive in piedi che vuol dire ammortizzatori sociali vasti, nuovi e solidi, per tutelare i bacini del lavoro e non farli disperdere e sostegno all'innovazione, alla qualificazione, comunque al sistema delle piccole e medie imprese, non patti fiscali da anni Sessanta! Di questo abbiamo bisogno e voi dovete attrezzare il sistema a reagire così, chiamando alla solidarietà verso chi sta soffrendo di più.
Lo so anch'io, come dice il Ministro Tremonti, che non c'è conflitto nel Paese: sì, non c'è conflitto nel Paese, però ci sono solo dei disperati in giro; c'è gente che ha incertezza nella sua prospettiva, non ha voce e dentro al tema sociale si può inserire un tema democratico. Questa gente deve vederci qui a Roma - lo dico anche a noi che siamo dell'opposizione - mentre diciamo che tutto va bene, che ci pensino loro? Dove vanno a sbattere la testa?
Noi opposizione abbiamo la responsabilità democratica e nazionale di dare un punto di riferimento a quelli che pensano che così non va, perché hanno ragione di pensare in questo modo. Abbiamo una disparità vergognosa nelle condizioni sociali di questo Paese, di reddito, dei servizi e se questa crisi non ci aiuta a stringere un maggior vincolo di solidarietà e ne usciamo ancora più divisi, non perdiamo solo un'occasione economica, questa crisi non porterà solo una variabile economica, ma anche una variabile sociale, politica e culturale. Vogliamo uscirne più uniti o più divisi?
Il silenzio, dire che non c'è niente da fare, equivale a dire che chi sta pagando la crisi dovrà continuare a pagarla: se lasci Pag. 16le cose come sono la pagano i più deboli. Noi non ci stiamo e con tutte le forze che abbiamo cercheremo di interpretare questa ingiustizia, prima ancora che questo problema economico.
Mi auguro che possa esserci un minimo di ripensamento e di riflessione all'interno della maggioranza. Registro una cosa: l'opposizione non sta benissimo in salute - questo lo vede chiunque, ed è inutile negarlo - tuttavia credo che, se guardiamo al sud o al nord, anche la politica del Governo non sta benissimo. A volte, li interpretiamo come problemi del nord e a volte come quelli del sud: è il problema del nord e del sud. Quindi, è il problema dell'Italia.
Di conseguenza, dobbiamo darci una mossa tutti quanti. Innanzitutto parlo per noi ed ho detto da che lato. Tuttavia, credo che debba darsi una mossa anche la maggioranza, perché diversamente in questa crisi si creerà un ulteriore distacco tra il sistema politico e quello sociale. Credo che di ciò dovremmo essere tutti preoccupati (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Italia dei Valori e del deputato Versace - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Letta, per illustrare l'emendamento Franceschini 22.1. Ricordo che l'onorevole Letta ha sottoscritto la proposta emendativa ritirando contestualmente la propria firma da altro emendamento dopo la scadenza del termine per la presentazione in Assemblea degli emendamenti. La Presidenza, tuttavia, consente in via eccezionale l'illustrazione dell'emendamento Franceschini 22.1. Prego, onorevole Letta. Ne ha facoltà.

ENRICO LETTA. Signor Presidente, la ringrazio anche per quest'ulteriore puntualizzazione. Chi oggi sta discutendo della crisi è il Parlamento dell'Italia, ovvero il Paese che oggi assume la guida del G8. Questa considerazione (che potrebbe sembrare banale e giornalisticamente ovvia) la voglio fare all'inizio del mio intervento nel momento in cui guardo questo Parlamento e nel momento in cui ognuno di noi, nell'affrontare questa discussione, non può che provare un profondo senso di pena per il livello al quale il nostro Parlamento è stato ridotto. Si tratta del Parlamento del Paese che guida oggi il G8, ovvero il consesso delle nazioni che dovrebbero guidare in questo momento la reazione alla crisi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Credo che per forza di cose dobbiamo sottolineare questo punto. E rispetto a questo punto, signor Presidente, le do volentieri atto del fatto che il suo intervento poco fa in quest'Aula abbia sicuramente rappresentato tutti noi e le prerogative e le richieste di un Parlamento che non accetta la volontà del Governo di chiudere la discussione e di cercare, con un atteggiamento burocratico, di limitare quella che, a nostro avviso, è una delle funzioni fondamentali della nostra democrazia.
L'esperienza di questi nove mesi ci dice che tante volte (è vero) un eccesso di lunghezza dei tempi ha fatto male all'efficacia delle discussioni. Tuttavia, questi nove mesi hanno dimostrato che tanti errori si sarebbero evitati se questo Parlamento avesse avuto il modo, il tempo e la possibilità di discutere ciò che il Governo presentava e che poi immediatamente era costretto a cambiare con un altro decreto o con un altro intervento. Temiamo che la cosa risucceda anche in questa occasione. Presidente, noi le diciamo con grande forza che tutte le volte che lei assumerà un atteggiamento di difesa delle prerogative del Parlamento, troverà non soltanto la formale attenzione e il sostegno della nostra parte politica, ma credo che incontrerà soprattutto l'attenzione di tutto un Paese che capisce che la risposta alla crisi non può che arrivare da un attento atteggiamento alle piccole cose degli interventi della pubblica amministrazione.
Voglio intervenire proprio su alcune di queste piccole cose. Credo, infatti, che la discussione che noi dobbiamo affrontare deve parlare delle difficoltà degli italiani, delle imprese, degli italiani che perderanno (o hanno perso) il loro lavoro, delle Pag. 17difficoltà dei distretti industriali, dei comuni, delle pubbliche amministrazioni e delle associazioni d'impresa.
Noi sappiamo benissimo che le cause della crisi economica sono in gran parte fuori dall'Italia, ma sappiamo anche che la crisi economica colpisce i Paesi con capacità di reazione diversa: colpisce alcuni Paesi che sono in grado di reagire, perché hanno gli strumenti per farlo e colpisce altri Paesi che, invece, hanno più difficoltà degli altri. Quando pensiamo all'Italia, pensiamo ad un Paese che presenta la più grande distanza tra le aree sviluppate e quelle meno sviluppate, una distanza che è in crescita. I dati ultimi, purtroppo, ci dicono che la distanze tra le aree più sviluppate e quelle meno sviluppate del nostro Paese non si stanno riducendo, come capita in Spagna o in Germania, ma stanno aumentando. I dati ultimi ci dicono che le disuguaglianze sociali nel nostro Paese stanno aumentando e che il nostro è un Paese nel quale le distanze e le differenze tra le classi e i tassi di disuguaglianza, purtroppo, sono in crescita.
Il nostro Paese, rispetto agli altri, non può usare il debito come lo usano gli altri, ad esempio la Gran Bretagna, che nel 2009, probabilmente, triplicherà il suo deficit: potrà farlo, perché non ha il debito che abbiamo noi sulle spalle. Questo Paese ha un livello di tasse che non può permettersi di aumentare.
Pronunciare questa frase sarebbe affermare una cosa ovvia, se non fosse che ieri, invece, abbiamo letto tutti sui giornali il dato, secondo il quale il Governo, che doveva ridurre le tasse, ci consegna un Paese nel quale le tasse aumentano (ed esse sono aumentate anche in quest'ultimo frangente). Alcune risposte, allora, ci dicono: «L'Italia dentro le sedi internazionali», ma molte risposte dipendono da quello che possiamo fare noi. Sicuramente alcune risposte riguardano il modo in cui noi saremmo in grado di gestire, a livello europeo, un coordinamento efficace tra i vari Paesi. Tutti gli storici ci raccontano che la grande crisi del 1929, probabilmente, poteva essere superata immediatamente, se non fosse che ogni Paese ha immaginato, allora, di trovare la risposta da solo, cercando di «fregare» il vicino: è successo che questo meccanismo ha creato la famosa depressione. Quando abbiamo visto i diversi Paesi europei inventarsi ognuno una soluzione diversa, credo che ad ognuno di noi sia venuta la paura di immaginare che questo potesse essere il caso; quindi, una Italia che deve aggrapparsi all'Europa.
Signor Presidente, mi permetta di sottolineare, con una certa amarezza, che pensare che questo Governo, questo Ministro dell'economia e delle finanze e questo Presidente del Consiglio debbano aggrapparsi all'Europa è un curioso contrappasso rispetto ad una storia politica che ha visto troppe volte, in questi anni, usare l'Europa esattamente al contrario, come l'alibi ed il nemico, che anzi ci obbliga a compiere cose cattive, che poi noi obblighiamo i nostri cittadini a fare.
A livello sovranazionale dobbiamo aiutare politiche monetarie espansive e lavorare per un ritorno ai fondamentali. Quando parlo di «ritorno ai fondamentali» non posso dimenticare da dove arriva questa crisi. Questa crisi non è arrivata da un destino cinico e baro, ma è arrivata perché si sono sovvertiti i fondamentali e perché, ad un certo punto, si è pensato che Copernico dovesse vincere su Galileo e si è immaginato che un passivo potesse diventare un attivo. L'utilizzo della finanza creativa e delle cartolarizzazioni nel modo in cui è avvenuto in Italia e nel mondo vuol dire avere immaginato che Copernico potesse rivincere su Galileo, ossia che un passivo potesse immediatamente e improvvisamente trasformarsi in attivo e che questo attivo diventasse qualcosa di utile da rivendere a qualcun altro (e improvvisamente i debiti non esisterebbero più). Non posso dimenticare chi e quale Governo ha legato la sua faccia, la sua firma e la sua politica all'arrivo in Italia della finanza creativa e non posso dimenticare che quel Governo, quel Ministro dell'economia e delle finanze e quel Presidente del Consiglio, purtroppo, sono gli stessi che oggi ci raccontano esattamente il contrario.Pag. 18
Non posso, quindi, nel momento in cui discutiamo di questi temi e del decreto-legge anticrisi, non dire che, da parte nostra, in questo senso, non può esserci un atteggiamento di assoluzione generico per tutti, soprattutto per coloro che oggi dicono che l'avevano predetto. Infatti, buona parte di questa crisi ha visto l'Italia protagonista e contribuire attraverso l'utilizzo di una finanza creativa, che oggi è sul banco degli accusati e dalla quale dobbiamo tornare indietro.
Sopra di noi, a livello sovranazionale, dobbiamo aiutare a costruire quell'efficace sistema multilaterale che altri, in Europa e nel mondo, hanno voluto non costruire (l'amministrazione americana uscente, con la sua politica di unilateralismo spinto, alcuni Paesi europei, che hanno impedito che, per esempio, nel 2007 nascesse l'Autorità di vigilanza e sorveglianza finanziaria europea e che si continuasse, come si è purtroppo continuato, con autorità nazionali). Occorre una Unione europea in grado di intervenire su questi temi e di farlo in modo significativo; poi dobbiamo essere lì in prima fila a chiedere politiche commerciali che non facciano ritornare esattamente, come invece purtroppo accadde tra il 1929 e 1933, il protezionismo come la possibile risposta alla crisi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, mi faccia dire che, in questo senso, appare quanto mai sconfortante vedere il livello di assuefazione della cultura e della politica italiana - faccio anche io come il mio collega Bersani un po' di autocritica - anche dell'opposizione italiana, rispetto alla considerazione del fatto che c'è stato un sostrato culturale che si è nutrito per anni di due grandi nemici e che ha additato agli italiani due grandi nemici: l'euro e la Cina, che sono stati additati come coloro che ci affamavano e mettevano in crisi. Ricorderò sempre le tante volte nelle quali il Presidente del Consiglio parlava dell'euro di Prodi, le tante volte nelle quali il Ministro dell'economia e delle finanze raccontava della Cina e dei cinesi, ironizzando addirittura sul colore del pullman del candidato Presidente del Consiglio Romano Prodi che era giallo, raccontando che quel giallo rappresentava la predisposizione a fare entrare la Cina in Italia.
Ebbene, oggi tutti sappiamo che, se il nostro Paese ce la farà ad uscire dalla crisi, questo dipenderà da noi, dall'euro e dalla scelta di essere entrati nell'euro e dalla tenuta dell'economia cinese. È grottesco che, in questo momento, quello stesso Ministro dell'economia e quello stesso Presidente del Consiglio siano appesi a capire se l'euro e l'economia cinese li salveranno. Credo che questo Parlamento debba tributare oggi e sempre un plauso a quegli italiani, primi tra tutti Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi, che hanno consentito l'ingresso nell'euro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Altre risposte, invece, dipendono da noi e riguardano certamente la difesa del sistema finanziario. Noi non abbiamo fatto mancare il nostro contributo ai decreti-legge che questo Parlamento ha approvato in materia di difesa del sistema finanziario, volti a garantire flussi di risorse economiche per le famiglie, i consumatori, i risparmiatori e le imprese. C'è bisogno di politiche serie per il rilancio economico ed industriale, quelle stesse politiche che consentano alle nostre imprese di essere competitive e ai nostri distretti industriali di farcela, ma c'è bisogno soprattutto, signor Presidente, di forme nuove ed efficaci di protezione sociale. Su questo intendo concentrare l'attenzione di quest'Aula. Se è vero che il 2009 vedrà il nostro Paese dover far fronte ad una cifra variabile tra i 500 mila e il milione di disoccupati, vorrei che fossimo tutti consapevoli del fatto che l'Italia non ha mai avuto, per fortuna, sino ad oggi, la necessità di far fronte ad un impatto improvviso così violento, tale da mettere in crisi il nostro sistema di ammortizzatori sociali e soprattutto il nostro sistema di coesione sociale.
Vorrei che ci mettessimo di fronte alla prospettiva di un milione di famiglie italiane Pag. 19che improvvisamente, in questo anno 2009, rischiano o perdono fisicamente e concretamente il lavoro.
Dobbiamo metterci di fronte all'idea che metà di quelle famiglie magari ha contratto un mutuo per acquistare la casa nella quale vive e metà di quelle famiglie lo ha fatto (ossia contrarre il mutuo), perché era sicuro del lavoro che aveva; oggi, quel lavoro non c'è più e la disperazione per il mutuo che è stato contratto è unita alla disperazione per il lavoro che non c'è più.
Ecco perché, da parte nostra, con l'emendamento che reca le firme dei colleghi Damiano, Bellanova, Berretta ed altri, poniamo all'attenzione di questo Parlamento (purtroppo questo emendamento sarà come lacrime nella pioggia, mi verrebbe di citare un famoso film, che se ne vanno via) la riforma degli ammortizzatori sociali, che è per noi la grande priorità in questo momento.
Sfidiamo il Governo, in modo costruttivo, dicendo di non mettere soldi sui vecchi strumenti degli ammortizzatori sociali, perché non è questo il modo per affrontare una crisi dalle dimensioni completamente diverse dal passato.
Questo è il momento non delle casse in deroga. Affrontare la crisi di oggi con le casse in deroga è come usare l'arco e le frecce per sparare agli aerei. In questo momento, è necessaria la riforma degli ammortizzatori sociali, che mettano al centro il lavoratore, la persona (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), che siano in grado di dare strumenti effettivamente efficaci in un'economia che è profondamente cambiata.
La difesa dei più deboli, questo è quello che oggi chiediamo. Tale difesa avviene nel momento in cui è visibile il bluff di alcune politiche, che erano state presentate come le politiche, addirittura, di Robin Hood.
Credo che il bluff della social card sia ormai sotto gli occhi di tutti, drammaticamente, e ci piange il cuore dirlo, perché vediamo la fila dei pensionati ai patronati per chiedere informazioni, per cercare di sapere se può essere utilizzata una qualche forma di sostegno oppure «no», e vediamo anche la risposta, che è una risposta di confusione, nel migliore dei casi, di uno strumento che doveva essere utilizzato da più di un milione di italiani. Fino adesso si parla soltanto ancora di lungaggini burocratiche, per non parlare della vicenda del bonus famiglia.
Credo che in questo caso, più delle mie parole, possa essere efficace la lettura dell'editoriale de L'Avvenire di domenica scorsa, uscito esattamente il giorno dopo che il Governo aveva annunciato interventi per le famiglie, per le famiglie con più figli, per le famiglie numerose. Abbiamo visto com'è andata a finire!
Il sud rischia di essere, in questo momento, quello più colpito degli altri dalla crisi, perché la crisi trova sicuramente da parte delle parti forti del Paese e dell'Europa forme e strumenti di reazione, che sono insiti nelle riserve accumulate e nella capacità di produttività che è ancora dentro il nostro sistema produttivo.
Ma il sud, che già va male, i sud, che vanno male, trovano nella crisi, con un'incapacità di reagire come quella che stiamo raccontando, una situazione che sicuramente rischia di peggiorare.
Ecco il perché della nostra attenzione, delle nostre richieste, dei nostri emendamenti e anche dello scoraggiamento nel vedere l'atteggiamento del Governo, che mette la fiducia contro gli emendamenti non soltanto dell'opposizione, ma anche, e soprattutto, della maggioranza, molti dei quali sul tema del sud.
Chiediamo ai parlamentari firmatari di quegli emendamenti che cosa dicano e pensino di questa scelta, che rappresenta, a nostro avviso, uno schiaffo in faccia ad una parte del Paese che dalla crisi rischia di uscire più debole di come è entrata.
Infine, voglio fare un riferimento non generico all'emendamento che riguarda la questione delle imprese e dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione.
Signor Presidente, la protezione delle piccole e medie imprese in questo momento è per noi l'elemento fondamentale, la base per difendere l'occupazione nel Pag. 20nostro Paese, e noi dobbiamo difendere l'occupazione che c'è, questo è il primo elemento essenziale.
Non a caso ho distinto, nel corso del mio intervento per illustrare questo emendamento, le cose che possono fare tutti gli Stati europei insieme e le cose che possiamo fare noi da soli.
Ebbene, questa è una cosa che dipende solo da noi. Anzi, l'Europa ci ha chiesto e ci ha obbligato a farla: nel piano anticrisi dell'Unione europea viene esplicitamente rivolto all'Italia l'invito, l'obbligo a smetterla con questa che è una delle piaghe nazionali, quella delle pubbliche amministrazioni che pagano a 90, a 120, a 365 giorni.
Il fatto che le nostre imprese finiscano per avere nella pubblica amministrazione il competitore scorretto che, colpito dai tagli centrali, finisce per rifarsi sul committente esterno, rappresenta un punto sul quale non sta ad altri intervenire, ma soltanto a noi.
In questo senso, il Governo - mi rivolgo al sottosegretario Vegas, in particolare - ha colto questo tema, e l'ha colto perché è un tema che l'intero Paese reclama con forza e che il sistema della rappresentanza imprenditoriale chiede con grande veemenza, anche perché intere imprese stanno chiudendo dal momento che la pubblica amministrazione non paga.
Gli esempi sarebbero tanti ma ne faccio uno per tutti (ed è un esempio paradossale), quello delle imprese che compiono per conto dell'amministrazione della giustizia le intercettazioni telefoniche: sono tutte imprese sull'orlo del fallimento, perché sono scoperte di centinaia di milioni di euro.
Riguardo a questo punto ho fatto un esempio, ma ve ne sono tantissimi. Addirittura vi è una discussione sul calcolo complessivo del credito che le imprese vantano nei confronti dello Stato. Si parla di 45, di 60 miliardi o addirittura di 90 miliardi: sono cifre immense, soprattutto se le paragoniamo al fatto che questo intervento vale un decimo di quelle cifre, ossia 5 miliardi.
Credo che qui ci giochiamo buona parte della nostra capacità di dare una risposta che cambi nella sostanza l'andamento della nostra economia: non si tratta di fare spot che siano in grado di influenzare l'opinione pubblica, sperando poi che nel corso delle cose cambi, bensì di realizzare cose concrete che cambino il corso dell'economia reale.
Essere in grado di dire a quelle imprese che si consente loro di non chiudere, di mantenere i propri dipendenti, in alcuni casi addirittura di assumere, costituisce uno degli elementi centrali per la ripresa (e questo noi chiediamo).
Il nostro emendamento, attraverso l'intervento della Cassa depositi e prestiti (mi riferisco all'emendamento che vede come primo firmatario l'onorevole Franceschini ed al quale hanno lavorato i colleghi Duilio, Causi ed altri), è un emendamento concreto che, senza un'aggiunta di risorse per il bilancio sconnesso del nostro Paese, consente un intervento straordinario che riesce efficacemente a dare una risposta reale.
Questo avviene nel momento in cui le nostre imprese si chiedono: ma che fine hanno fatto i decreti che il Governo ha messo in campo per dare liquidità? Lo ha detto prima il collega Bersani e lo voglio riprendere: ma rispetto a tutti quegli interventi che abbiamo approvato in autunno, c'è un'impresa italiana che ha visto qualcosa, c'è un decreto che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e che ha poi consentito di individuare concretamente una qualche soluzione? No, non è così! Signor Presidente, concludo, facendo un solo riferimento numerico che però credo siamo costretti a fare.
Qui vi è il Parlamento dell'Italia, il Paese che oggi guida il G8, il Paese che oggi è chiamato a dare le risposte, insieme agli altri grandi Paesi del mondo, alla crisi finanziaria. Un Paese che discute in modo così zoppo delle risposte alla crisi è quello stesso Paese che ha visto il Ministro dell'economia ed il Presidente del Consiglio annunciare che mentre la Gran Bretagna metteva 25 miliardi, mentre la Germania metteva 50 miliardi, noi addirittura, l'Italia, Pag. 21il Governo italiano, metteva 80 miliardi in campo per superare la crisi. Credo che tutti ci ricordiamo questa cifra e tutti, il giorno che abbiamo visto il Ministro dell'economia e il Presidente del Consiglio fare «bingo» con 80 miliardi, rispetto ai 25 miliardi della Gran Bretagna e ai 50 della Germania, ci siamo detti: ma che è successo? Dove siamo? Cosa sta succedendo?. È finita con i 5 miliardi di cui stiamo discutendo. Dovevano essere 6,3, sono diventati 5. Credo che qui, in questa parabola dagli 80 miliardi ai 5 di cui stiamo parlando, c'è tutto il senso di vivere al di sopra delle proprie possibilità, di alzare le aspettative e poi, in concreto, di non essere in grado o di non voler dare risposte concrete.
È assolutamente alla pari, questo atteggiamento sull'economia reale, con l'atteggiamento di troncare la discussione qui in Parlamento e di far sì che di questi temi non si discuta, che queste nostre parole siano, appunto, lacrime nella pioggia, e che tutto ciò finisca per lasciare una piccola traccia soltanto negli atti parlamentari. Noi crediamo che questa non sia la risposta giusta per quella che tutti definiamo la più grande crisi economica e finanziaria alla quale il nostro Paese deve far fronte. Questo è il motivo per cui noi, dall'opposizione, stiamo facendo e mettendo in campo proposte alternative, e questo è il motivo per il quale chiediamo al Paese un atteggiamento diverso, rispetto ad un rilancio che crediamo oggi più che mai necessario (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo soltanto per lasciare agli atti, ed anche all'attenzione di chi ci ascolta, la possibilità di rendersi conto della situazione. Lei è entrato nella sostanza, ed io di certo non aggiungerò una parola alle autorevoli considerazioni da lei espresse, però, signor Presidente, vorrei anche svelare qual è la realtà dell'atteggiamento e del comportamento nei confronti del Parlamento, in particolare, in questo momento, nei confronti della parte più lesa del Parlamento, che è l'opposizione, che non ha potuto portare concretamente avanti le proprie proposte.
Credo che ascoltando i due interventi che mi hanno preceduto e quelli che seguiranno ci sarebbe probabilmente anche occasione di cogliere qualche proposta concreta utile: non credo che siano certo interventi ostruzionistici. Però vorrei segnalarle, signor Presidente, sempre perché rimanga agli atti, che non solo il Ministro per i rapporti con il Parlamento, che ha omaggiato come ha ritenuto il Parlamento, ha rapidamente guadagnato l'uscita per andarsene, e che lo ha fatto anche il Ministro dell'economia, che chiaramente dimostra in questo momento quanto è interessato alle proposte dell'opposizione, ma anche che non abbiamo neppure l'autorevole presenza dei due relatori e dei due presidenti (vi sono due Commissioni, la Commissione bilancio e la Commissione finanze, che esprimono ciascuna un presidente ed un relatore).
Abbiamo un gruppo molto ristretto di colleghi della maggioranza, che ringraziamo per l'attenzione che portano nei confronti di questo dibattito. Abbiamo l'opposizione presente in Aula a cercare ancora di far valere, perlomeno per il futuro, le proprie proposte. Non voglio dire che è un oltraggio: è la dimostrazione di quale sia l'atteggiamento e di come sia tenuta in considerazione la discussione e la partecipazione dell'opposizione, da parte del Governo, ma anche della maggioranza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bindi, che illustrerà il suo emendamento 1.16. Ne ha facoltà.

ROSY BINDI. Signor Presidente, anch'io voglio iniziare questo intervento ringraziando la presidenza del mio gruppo per aver assunto la decisione che ci consente, pur nelle situazioni appena ricordate Pag. 22dall'onorevole Giachetti, di illustrare le nostre proposte e di dimostrare la serietà del nostro lavoro, e ringraziando anche lei per le sue parole, con le quali ha voluto, ancora una volta, ricordare la funzione del Parlamento. Di funzione del Parlamento, infatti, si tratta, e non certo di rivendicazione da parte dell'opposizione. Si tratta del Parlamento, nel quale sono rappresentati coloro che hanno avuto dagli elettori il compito di esercitare la funzione del Governo e coloro che hanno ricevuto dagli elettori una funzione altrettanto nobile nelle democrazie parlamentari, quella di svolgere un ruolo di opposizione.
Non è in gioco soltanto la dignità dell'opposizione. Non vi è una differenza di dignità tra maggioranza e opposizione, a meno che la prima differenza che dobbiamo registrare, la prima distanza della quale dobbiamo prendere atto tra maggioranza e opposizione sia legata alla funzione del Parlamento. Da questo punto di vista le sue parole sono state estremamente rassicuranti, perché se tra di noi dovessimo constatare la prima fondamentale distanza sulla dignità e il ruolo del Parlamento e sulla sua funzione, vorrebbe dire che è in atto una mutazione materiale della nostra Costituzione in uno dei suoi punti che ritengo indisponibili: la forma di Governo, che è quella della democrazia parlamentare, che un referendum del popolo italiano ha voluto recentemente ribadire e riconoscere ancora come estremamente valida.
È dall'inizio della legislatura che denunciamo questo aspetto, per il numero dei decreti-legge, per il numero delle questioni di fiducia, per la rilevanza delle materie che sono state affidate agli strumenti del decreto-legge e del voto di fiducia che, in qualche modo, hanno ridotto questo Parlamento ad una funzione di ratifica delle decisioni assunte altrove. Ciò è sintomo anche di una legge elettorale sbagliata, che rende il Parlamento subalterno al Governo, e non viceversa, e che crea uno squilibrio tra i poteri dello Stato e tra le sue funzioni.
Ricordiamo ancora una volta questo fatto non per una semplice questione formale, anche se sappiamo che la forma e le regole in democrazia sono fondamentali. Del resto, la nostra Carta costituzionale inizia con un articolo che affida la sovranità, al popolo che la esercita, però, nelle forme previste da questa Costituzione. Quelle regole sono fondamentali perché davvero la sovranità appartenga al popolo e non ad altri. Vogliamo ricordare questo, perché siamo di fronte ad un'umiliazione del Parlamento da parte del Governo su questioni sostanziali e fondamentali. È così dall'inizio della legislatura, e lo è soprattutto di fronte al provvedimento in discussione e al suo titolo così impegnativo.
In questo poco tempo che ci è dato vogliamo riappropriarci, in qualche modo, per restituirlo al Parlamento, di un pizzico della sua dignità, illustrando le nostre proposte e denunciando anche l'irrilevanza delle proposte presentate dal Governo.
Vogliamo farlo proprio per la gravità della crisi, che tutto il mondo, e in particolare il nostro Paese, sta attraversando, per la drammaticità che la caratterizza, per la serietà delle nostre proposte, per l'irrilevanza dei contenuti di questo provvedimento davanti alla gravità della crisi con la quale ci stiamo confrontando.
A me dispiace che non sia qui il Ministro dell'economia, perché avrei voluto chiedergli come mai, da quando è sulla scena politica, continua a cambiare la teoria economica alla quale fare riferimento. Come veniva prima ricordato anche dai miei colleghi, abbiamo conosciuto un Ministro dell'economia antieuropeista, che si scagliava contro le politiche di rigore dell'Europa, considerandole recessive per l'economia italiana; abbiamo conosciuto il Ministro dell'economia iperliberista; abbiamo visto un autore di un libro in versione no global durante la campagna elettorale, il Tremonti che ha vinto le elezioni sulle teorie contrarie alla globalizzazione e che ne denunciavano il pericolo. Adesso, di fronte a una crisi mondiale che vede tutti i Paesi - compresi gli Stati Uniti d'America - e l'Europa stessa allentare i vincoli del rigore (so bene Pag. 23che questo nel nostro Paese è più difficile che altrove, a causa del debito pubblico che ci portiamo dietro), improvvisamente abbiamo di fronte un Ministro dell'economia che, mentre fa crescere il debito, sostiene che l'Europa, quella stessa Europa che era rigorista nel passato, è oggi un'Europa che si dimentica dei vincoli di bilancio, e ciò accade quando tutti intervengono e giudicano l'intervento pubblico e gli stanziamenti di denaro pubblico in questo momento fondamentali per la ripresa dell'economia e per la tenuta dell'equità all'interno di un Paese.
In questo momento avrei voluto chiedere al Ministro Tremonti perché, ancora una volta, ha cambiato riferimento alla teoria economica, con un'unica costante: quella di far riferimento alla teoria economica sbagliata per il momento nel quale si deve intervenire. Ci troviamo ancora una volta in questa situazione rispetto al provvedimento in esame. Ma perché sta succedendo questo? Siamo forse di fronte a degli incompetenti, a degli incoscienti, a delle persone alle quali mancano gli strumenti? Non credo.
La crisi è drammatica, perché mostra il limite di un modello di sviluppo che, pur con tutti i suoi limiti, è pur sempre legato alla costruzione delle grandi democrazie occidentali, in maniera particolare delle democrazie europee. Come accennava prima il collega Bersani, nessuno può pensare che una crisi così evidente di questo modello di sviluppo lasci invariato il quadro politico, sociale, istituzionale e persino democratico, perché tra democrazia e capitalismo vi è stato un legame inscindibile in questi anni. Così si sono costruite le nostre democrazie, fondate sul costituzionalismo liberale, sulle politiche di welfare e sull'economia sociale di mercato. Nel momento in cui questo modello di sviluppo va in crisi, nessuno pensi che non succederà niente in tutti gli altri aspetti della nostra vita. È successo così nel 1929, dice qualcuno, ma c'è qualcosa di inedito nella crisi di oggi.
Da questa crisi, come da tutte le crisi, per l'ambiguità del significato di questa parola, si esce in due modi: o con un più di democrazia, con un più di giustizia, o invece con il rischio di una degenerazione autoritaria delle nostre democrazie e con l'aumento delle disuguaglianze.
In altre parole, di questa crisi si può approfittare in due modi: o per uscirne tutti insieme, rinnovando i fondamenti positivi del cammino percorso in questi sessant'anni, correggendo quello che c'è da correggere, innovando ciò che c'è da innovare; oppure si può rischiare di approfittare o usare questa crisi per uscirne con una società, e persino con un modello di democrazia, volutamente diversi. Vorrei che fosse tra di noi chiaro questo aspetto, e che di questo si avesse il coraggio di parlare: dietro l'irrilevanza dei provvedimenti che sono contenuti in questo decreto-legge, sul quale il Governo pone la questione fiducia (e credo che ponga la questione di fiducia per l'irrilevanza dei suoi contenuti, neanche per gli errori che vi sono, ma per l'irrilevanza dei contenuti), vi è in effetti questo confronto tra due modi diversi di concepire la crisi e la possibilità di uscirne.
Noi abbiamo presentato delle proposte che vogliono approfittare della crisi in senso positivo, a cominciare dal fatto che questa può essere un'occasione nella quale diventa più maturo il bipolarismo italiano. Penso che a nessuno siano sfuggite le parole di grande responsabilità usate dal collega Bersani, il quale ha detto che la crisi riguarda tutti e che se ne esce insieme. Noi, in particolare il collega Bersani, abbiamo presentato al Ministro dell'economia alcune proposte precise, qualche settimana fa: un punto di PIL, 16 miliardi di euro, per il rilancio dell'economia, per il superamento delle disuguaglianze e per un nuovo welfare. In questo atteggiamento c'è la volontà di approfittare della crisi per rendere più matura la nostra democrazia, per consentire un confronto più chiaro e per un'assunzione comune di responsabilità.
Parimenti, dai contenuti della nostra proposta risulta evidente che noi intendiamo approfittare di questa crisi per riformare il nostro sistema di welfare, gli ammortizzatori sociali, le politiche per la Pag. 24famiglia, per le donne e per l'innovazione della pubblica amministrazione. Ministro Brunetta, chissà mai quanti italiani dovrebbero vergognarsi del lavoro dei propri padri e delle proprie madri! Io credo che, invece, ne vadano orgogliosi, così come credo che le donne italiane sarebbero disposte ad accettare una proposta che crea davvero uguaglianza nell'accesso al lavoro tra uomini e donne, che attua davvero uguaglianza e pari opportunità nella carriera, che realizza politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Forse sarebbero anche disposte ad accogliere una legge sui congedi parentali e, per quella legge, anche a parlare di una revisione del sistema previdenziale italiano. Peccato che di tutto questo non ci sia traccia nei provvedimenti in esame, ma c'è tanta propaganda.
Questa era l'occasione per rafforzare l'universalismo del nostro sistema di welfare e coniugarlo, finalmente, con la personalizzazione delle politiche. Infatti, se c'è un'affermazione che ha visto maturare i sistemi di welfare nel Novecento è quella che siamo tutti uguali. Noi avvertiamo oggi che, di fronte al bisogno ma anche alle opportunità, siamo tutti differenti, e questo è il tempo non di abbassare l'universalismo ma di personalizzarlo, ponendo al centro la persona, la famiglia, gli enti locali, il valore vero della sussidiarietà e non quello propagandato quando c'è da fare il piacere a qualche amico.
Nelle nostre proposte c'è la possibilità di approfittare di questa crisi per innovare il sistema economico italiano attraverso la ricerca. C'è la possibilità di superare le disuguaglianze, soprattutto tra nord e sud e anche, lasciatemelo dire, la possibilità di approfittare di questa crisi per introdurre nuovi elementi di mobilità sociale. Infatti, il nostro Paese sta pagando questa crisi più di altri Paesi non soltanto a causa del debito pubblico ma per la forte disuguaglianza che attraversa il nostro territorio e per l'immobilità sociale, che pesa soprattutto sui giovani e, comunque, soprattutto sui più deboli.
Il provvedimento proposto sul quale avete posto la fiducia (e che quindi caratterizza la cifra della vostra azione per il Paese e segue in maniera profondamente coerente tutto ciò che è stato fatto nei mesi precedenti) dimostra che volete usare la crisi, usarla per affermare un modello alternativo di società e persino di democrazia.
Infatti, cosa altro possiamo pensare quando ci troviamo di fronte, non alla rinnovazione del welfare, ma a tagli permanenti e a vantaggi una tantum? Tagli permanenti alla sanità, alla scuola, al fondo sociale, al fondo famiglie, ai quali corrispondono una tantum irrisorie quando ci sono, quando non succede quello che abbiamo visto accadere in queste settimane, in maniera cinica, a troppe persone di questo nostro Paese che, dopo essere passate attraverso i vincoli di quella burocrazia che il Ministro Brunetta non riesce a modificare, si sono sentite rispondere che non c'erano neanche quei miseri 40 euro.
Quando ci sono, i bonus! Ma intanto i tagli sono permanenti perché si può approfittare della crisi per privatizzare finalmente quei settori della scuola e della sanità sui quali da troppo tempo si voleva intervenire e che, forse, non si era riusciti a privatizzare perché mancava il consenso nel Paese. Tuttavia quando mancano i soldi, al fondo il consenso non importa e la crisi la si usa per affermare quel modello di società e la stessa cosa vale per gli altri settori.
Penso che avete vinto le elezioni perché siete apparsi la destra dei valori, primo fra tutti il valore della famiglia, ed in campagna elettorale la propaganda paga. Noi non siamo stati capaci di fare questo, siamo apparsi la «solita sinistra» che tradisce i valori, che non li sa rispettare, che è pragmatica, che fonda la democrazia sulle regole, non sui valori, che si dimentica della dignità della persona umana, che non sa cosa sia il valore della famiglia.
Bene, però, visto che su questa base avete vinto le elezioni, a queste benedette famiglie italiane, a quelle che conoscono la difficoltà del lavoro precario, dell'assistenza agli anziani, anche della lacerazione dei rapporti affettivi perché non Pag. 25hanno il tempo di coniugare quel poco di lavoro precario con i tempi della loro famiglia, a quelle famiglie che hanno un non autosufficiente a casa, che hanno un figlio con problemi di crescita, che risposte state dando? Pensate si accontentino del fatto che voi credete nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?
Ci crediamo anche noi, ma quelle famiglie oggi, quelle famiglie fondate sul matrimonio e fondate su ciò su cui possono essere fondate oggi aspettano da voi risposte concrete, quelle risposte che sono contenute nelle nostre proposte di assegni familiari, di conciliazione di vita e di lavoro, di ammortizzatori sociali, di superamento del precariato del lavoro, di possibilità date ai nostri giovani.
È su questi punti che temo stiate approfittando della crisi per modificare la nostra società e persino la nostra democrazia.
Ciò vale anche per quanto riguarda i rapporti tra noi. Lo abbiamo detto più volte che siamo preoccupati del fatto che le democrazie moderne, quelle che abbiamo contribuito a costruire, mostrino la loro incapacità e perdano il consenso nella loro difficoltà di prendere decisioni e di essere efficaci nei confronti della soluzione dei problemi. Tuttavia non crediamo che la soluzione a questa difficoltà sia rappresentata dall'autoritarismo che impone le decisioni, che ignora le opposizioni, il Parlamento e le parti sociali. Noi non ci rassegniamo!
Per questo motivo crediamo che, mentre si difendono i diritti, si debba difendere anche il diritto e mentre si difendono i contenuti della democrazia si debba difendere anche la sua forma. Su questo punto ci troverete sempre presenti e sempre al punto, sia in questa sede sia nella società, anche con i nostri limiti, ma non ci dimenticheremo del mandato che abbiamo ricevuto (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori e del deputato Versace - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Borghesi che illustrerà il suo emendamento 32.3. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, intervenendo ieri nella discussione sulle linee generali del provvedimento in esame ho cominciato con le indicazioni che l'Unione europea e la Commissione hanno ritenuto di dare ai Paesi membri per intervenire, in una situazione di crisi così grave come quella che stiamo vivendo in questi mesi.
Questo emendamento e gli altri proposti dall'Italia dei Valori, hanno essenzialmente un file rouge che li lega, quello di voler far sì che l'intervento sia effettivamente aderente alle indicazioni e ai principi che l'Unione europea ha dato. Infatti, è sintomatico che quando andiamo ad illustrare i principi che stanno alla base degli interventi proposti dall'Unione europea ci ritroviamo, in realtà, un Governo che ha fatto esattamente il contrario di quello che ci chiedeva l'Unione europea, a partire dall'entità delle risorse messe in gioco.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 17,40)

ANTONIO BORGHESI. Infatti, l'Unione europea raccomandava interventi per l'uno e mezzo per cento del PIL di ciascun Paese, per un importo complessivamente pari a 20 miliardi di euro. Invece, che cosa mettiamo in campo? Noi avevamo suggerito di mettere in campo almeno 20 miliardi di euro. Ma qualcuno ci risponde: «Bravi, voi parlate ma dove li andiamo a prendere 20 miliardi di euro?». Non ci siamo limitati, con i nostri emendamenti, a dire di mettere in campo 20 miliardi di euro ma abbiamo anche indicato dove si potessero reperire.
A parte i 6 miliardi (che poi oggi sono diventati 5 e forse anche meno) che voi avete ritenuto di stanziare, noi abbiamo affermato che vi sono altri 5 miliardi che possono essere trasformati rapidamente in liquidità disponibile. Si tratta di quei denari Pag. 26immobilizzati per condoni non pagati, dall'anno 2003 in poi. È evidente che ci fu un errore in quell'occasione, tant'è che appunto si permise a qualcuno di pagare, di scegliere la soluzione rateale e di pagare una rata, fatti salvi tutti gli effetti positivi e i vantaggi del condono. Tuttavia, a quel punto non sarebbe accaduto più nulla finché l'amministrazione non fosse stata capace di andarsi a prendere i quattrini.
Cosa fate oggi, per restare su questo tema? State commettendo lo stesso errore di alcuni anni fa perché, di fatto, date vita ad una sorta di condono. Infatti, quando si dimezzano le sanzioni che sono già dimezzate - riducendole così ad un quarto - a condizione che uno paghi quando riceve l'avviso di accertamento, mi sembra che si sia in presenza, né più né meno, di una forma mascherata di condono fiscale. Inoltre, anche in questo caso date loro la possibilità di rateizzare, il che vuol dire che vi sarà qualcuno che dirà di «sì» all'accertamento, che pagherà una rata e poi ci ritroveremo, pari pari, nella stessa situazione in cui ci troviamo oggi. Nel 2003 si trattava di persone che si erano dichiarate evasori irregolari, perché erano condoni di vario genere, e che poi hanno smesso di pagare. Mi chiedo: dobbiamo avere tolleranza nei confronti di questi soggetti o dobbiamo, invece, trovare strumenti rapidi e veloci per permettere allo Stato di incamerare subito questi 5 miliardi? Ecco dove i 5 miliardi si possono trovare rapidamente.
Inoltre, sappiamo già che gli oneri finanziari diminuiranno, così come gli interessi da pagare sui debiti. Questo varrà anche per il debito pubblico italiano. Oggi dobbiamo registrare il massimo dell'entità del debito pubblico raggiunto nel nostro Paese.
Non c'entra nulla dire che l'Unione europea ci permette di sforare sul debito. Quel debito è l'effetto delle azioni che avete compiuto in questi sei mesi e non c'entra nulla con quello che c'è da fare; è la registrazione del fallimento dell'intervento di questi sei mesi. Inoltre, anche il fatto che nel 2009 dovremo lavorare due giorni in più per dare i soldi al fisco è un fallimento rispetto alle vostre ipotesi elettorali di far pagare meno tasse agli italiani.
Torniamo al punto. La riduzione degli oneri finanziari, tendente a zero negli Stati Uniti e che forse non arriverà a zero in Europa, significa almeno 4 miliardi in meno di interessi sul debito pubblico. 5 miliardi più 4 fa 9 miliardi e se si aggiungono i nostri 5 si arriva a 14 miliardi. Inoltre, dove è possibile intervenire? Credo che oggi abbiamo bisogno di interventi che non devono necessariamente essere eterni. Ci aspettiamo tutti almeno due anni di difficoltà e non è detto che dobbiamo dare potere d'acquisto per sempre. Possiamo, intanto, cominciare a intervenire per coprire questi due anni di difficoltà.
Può trattarsi di interventi temporanei, ma allora qual è il problema di sospendere per due anni la seconda parte dell'intervento sull'ICI che, oggettivamente, è andata a vantaggio di persone che non avevano bisogno di essere aiutate? Sospendiamo l'applicazione della norma per due anni: ci sono 3 miliardi pronti per essere presi e utilizzati per far fronte alle emergenze che abbiamo, da sottrarre ai trasferimenti ai comuni che, anzi, sarebbero contenti perché li incasserebbero subito senza tanti contenziosi con lo Stato.
Manca l'ultimo pezzettino per arrivare a 20 miliardi. Vogliamo riprendere seriamente la lotta all'evasione fiscale? È possibile recuperare un paio di miliardi di euro se si torna a serietà di interventi. Infatti, misure apparentemente banali, come la riduzione della tracciabilità dei pagamenti e lo strumento che permetteva di scoprire le fatture false (l'elenco dei clienti e fornitori) che è stato eliminato, potrebbero essere reintrodotti pienamente. Che lo si faccia in via temporanea, se si vuole. Questo ci permetterebbe di raggiungere quell'1,5 di PIL che l'Unione europea ritiene sia il minimo per poter intervenire nella situazione attuale.
L'Unione europea non ci dice solo questo, ma anche come intervenire. Per esempio, afferma che dobbiamo realizzare investimenti nell'efficienza energetica per Pag. 27creare occupazione e risparmiare energia, dobbiamo investire in tecnologie pulite per lanciare i settori dell'edilizia e fare investimenti nelle infrastrutture. Se andiamo a guardare gli interventi sul campo energetico negli Stati Uniti il Governo americano sta pensando di investire 800 miliardi di euro per rendere la produzione più ecocompatibile. Cosa vuol dire? Che sta lanciando un programma che porterà sul mercato - anche l'Unione europea in realtà lo chiede - prodotti con i quali le nostre imprese tra qualche anno si dovranno confrontare e se il mercato, come immagino, favorirà prodotti ecocompatibili o con contenuto di ecocompatibilità, e non lo faremo anche noi, favorendo una ristrutturazione e una riconversione industriale verso questo tipo di prodotto come stanno facendo la Germania ed altri Paesi, le nostre imprese si troveranno in difficoltà perenne e non riusciranno a confrontarsi sul mercato.
Credo che l'intervento che gli Stati Uniti stanno predisponendo ha anche un'altra idea alla base, ossia che la Cina non riuscirà così velocemente a riconvertire la sua industria verso prodotti di qualità in termini di contenuto di ecocompatibilità. Quindi, chi arriverà prima sul mercato avrà la capacità di produrre e di dare occupazione. Invece, noi cosa facciamo? Addirittura, di primo acchito, togliamo completamente l'appoggio agli interventi per rendere più efficienti sul piano energetico le nostre abitazioni. Poi recuperiamo in qualche modo, ma comunque a condizioni meno favorevoli di quanto non fosse prima. Allora, dico che stiamo sbagliando e uno dei nostri emendamenti tendeva proprio in questa direzione.
Vi è un altro intervento dell'Unione europea (che poi vedremo in rapporto a quanto è contenuto in questo decreto-legge): aprire opportunità di finanziamento alle piccole e medie imprese, ridurre gli oneri amministrativi, avviare investimenti per la modernizzazione. A me pare che l'Unione europea fornisca proprio una bella indicazione, ma che stiamo facendo esattamente il contrario. Infatti, quando parliamo di imprese è evidente che non ci possiamo rivolgere alle grandi imprese, che fanno da sé, non hanno bisogno di difensori dell'importanza dello Stato, perché sono capaci di avere un rapporto di forza con i fornitori di denaro (e, quindi, con le banche), anzi, a volte hanno persino eccessi di zelo e, quindi, lasciano le briciole alle piccole e medie imprese.
In un'economia come la nostra, questa indicazione dell'Unione europea è ancora più significativa, dato che siamo un Paese così sbilanciato a favore della piccola e piccolissima impresa: abbiamo una percentuale elevatissima (quasi l'80 per cento) di imprese con meno di venti dipendenti, in una situazione di asimmetria totale rispetto al sistema bancario. Quindi, c'era bisogno di dire alle banche che, se vogliono, possono essere aiutate dallo Stato, ma accettando alcune condizioni, compreso l'allargamento del credito alle piccole e medie imprese.
Invece, siamo in presenza di quei santuari ai quali ci si può avvicinare, ma ai quali non si può imporre niente, perché in fondo la commissione di massimo scoperto sui trenta giorni, tutto sommato è qualcosa di molto banale. Per carità, interesserà qualcuno, ma non si dice che in contemporanea tutte le piccole e medie imprese hanno visto arrivare in queste settimane le nuove condizioni praticate dalle banche, che sono sempre in crescita nelle commissioni e negli oneri a carico delle imprese. Era necessario un intervento che realmente imponesse certe condizioni alle banche che volevano essere aiutate e rifinanziate e alle quali si doveva dare liquidità. C'è anche questo nei nostri emendamenti.
Non parliamo poi della semplificazione amministrativa. Chiunque abbia conoscenza del mondo delle piccole imprese, sa che oggi quelle che avevano malauguratamente accolto e utilizzato quello strumento dato dal Governo per la detassazione degli straordinari stanno dedicando ore e ore di lavoro per riuscire a sistemare la pratica sul piano amministrativo. Altro che semplificazione nei confronti delle Pag. 28piccole e medie imprese: sono oberate più di prima di carichi sostenibili di costi per aver utilizzato lo strumento della detassazione degli straordinari! Abbiamo visto a che cosa ha portato aumentare gli investimenti per migliorare l'efficienza energetica.
C'è poi un'altra cosa che l'Unione europea propone: favorire gli investimenti in ricerca ed innovazione. Perfetto! E in questo decreto-legge che cosa c'è? Si toglie il credito di imposta che era l'unico strumento reale, effettivo, concreto e rapido per permettere alle imprese di investire in ricerca attraverso l'università. Si tratta di qualcosa di fondamentale: chiediamo alle università di essere capaci di fare da sole e di trovare le risorse e poi gli togliamo uno strumento (l'unico forse) che potevano avere per invogliare i privati e le imprese ad investire in ricerca. Quindi, togliamo uno dei pilastri che l'Unione europea indica come linea da seguire per uscire dalla crisi.
Poi però c'è un'altra questione ed è l'ultima di cui voglio parlare. Infatti, l'altro pilastro che indica l'Unione europea sono i principi di solidarietà e giustizia sociale, cioè l'idea che nei momenti difficili l'azione non può che essere rivolta ad aiutare chi ne ha bisogno.
Allora ecco che chiede azioni volte a favorire l'occupazione con interventi sugli oneri sociali, azioni sulle prospettive occupazionali di lungo termine per coloro che perdono il lavoro, riduzione di costi e interventi che non dispongono di Internet, infatti il telelavoro passa attraverso la diffusione di Internet.
Sono idee di politiche di flexicurity, flessibilità e sicurezza, intensificando programmi di attivazione soprattutto per le persone poco qualificate. Per esempio, un'altra azione che chiede l'Unione europea è quella volta a creare domanda di manodopera, vale a dire invita lo Stato ad azioni che favoriscano l'aumento della domanda. E noi cosa facciamo? Noi produciamo degli interventi che definire ammortizzatori sociali non rende bene quello che accade, perché secondo alcune ricerche e indagini più di tre milioni e mezzo, quasi quattro milioni di individui, non potranno usufruire degli ammortizzatori sociali o lo potranno fare in misura così ridotta che di fatto servirà a poco o niente. Con i nostri emendamenti noi chiedevamo anche un intervento che andasse in questa direzione, a favore di quei 300 mila precari che non erano solo giovani in cerca di occupazione, ma persone con famiglia che da due o tre anni vedevano rinnovato il loro contratto e che dal 1o gennaio si ritrovano senza alcuna fonte di reddito. Noi chiedevamo interventi che potessero in qualche modo coprire anche queste persone, ed era ciò che l'Unione europea ci aveva chiesto.
Noi abbiamo anche fatto una proposta, in uno degli emendamenti, che faceva riferimento al modello tedesco. Che cosa ha fatto la Germania? Se le imprese mettono in cassa integrazione a zero ore il loro personale si ottengono degli effetti che sono non solo depressivi per l'economia ma anche per quelle persone che improvvisamente si ritrovano senza un lavoro e senza sapere come occupare il tempo, con una riduzione che spesso è ben più di quanto ci si possa immaginare, atteso che l'importo della cassa integrazione non corrisponde ad una percentuale fissa del salario prima percepito, perché è una misura determinata in modo virtuale e in molti casi può essere persino la metà del salario che la persona percepiva prima. Cosa ha pensato la Germania? La Germania ha detto: se noi risparmiamo sulla cassa integrazione possiamo ottenere un duplice effetto; se le imprese invece di interrompere l'attività la mantengono a ritmo ridotto noi otteniamo effetti solamente positivi, perché da un lato andiamo a reintegrare la differenza salariale ai lavoratori, dall'altro facciamo sì che quei lavoratori non perdano la cognizione del lavoro, non perdano l'idea dell'utilità di ciò che fanno perché stanno producendo, seppure ad un orario ridotto. Era un'idea interessante anche perché non dobbiamo dimenticare che in questa situazione ci sono anche casi, e non sono sporadici, di imprenditori - chiamiamoli così - che approfittano della situazione per liberarsi Pag. 29di un po' di personale in eccesso e quindi i costi rischiano di essere al di là di quanto si vuole.
Infine, e chiudo con questo, un altro emendamento andava proprio nel senso di dire: se dobbiamo aumentare il potere di acquisto delle famiglie esse sono da aiutare quando hanno un carico di soggetti e quindi quando hanno dei figli. Si pensava a qualcosa di meglio del bonus. A tal proposito a me spiace rilevarlo, ma il Governo ha delle capacità mediatiche molto forti e quindi dice «da 200 a 1000 euro», così resta in testa l'idea dei 1000 euro.
In realtà sui 7 milioni e mezzo di famiglie che saranno toccate da quel bonus il 10 per cento circa riceverà 1000 euro, l'80 per cento di queste famiglie riceverà un bonus una tantum che è di 200-300 euro, altro che! Con 10 miliardi di euro si poteva intervenire sui lavoratori e sui pensionati con meno di 15 mila euro di indennità all'anno, con un intervento che avrebbe permesso loro di avere circa 200 euro al mese, lo ripeto: 200 euro al mese. Questo sarebbe stato un intervento che si poteva avere e che sarebbe costato la metà di quei 20 miliardi che potevano, e dovevano, essere destinati ad un intervento per affrontare una crisi così importante.
Credo di avere dimostrato, o almeno ho cercato di dimostrare, che noi qui sbagliamo doppiamente, da un lato, perché facciamo poco: 5 miliardi di euro sono niente, ma, dall'altro, sbagliamo anche nei contenuti perché facciamo esattamente il contrario di ciò che l'Unione europea ci ha chiesto di fare (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'istituto tecnico commerciale «Antonio Loperfido» di Matera, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Ventura, che illustrerà l'emendamento Veltroni 1.15, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MICHELE VENTURA. Signor Presidente, come hanno sottolineato i colleghi che sono già intervenuti nel dibattito, noi ci troviamo in questo Parlamento in una situazione paradossale: ad un'opposizione che vuol svolgere un ruolo positivo e costruttivo, come gli interventi sinora hanno dimostrato, non è consentito farlo. Signor sottosegretario Vegas, il problema della questione di fiducia di oggi è che non è una qualsiasi fiducia; il punto è che su un decreto-legge, che avete caricato in modo pomposo come manovra di contrasto alla crisi, voi negate all'Assemblea, al di là del dibattito positivo che si è svolto nelle Commissioni (positivo dal punto di vista del metodo, non dei risultati ottenuti e delle modifiche apportate, ma diciamo della buona educazione), un confronto per verificare la possibilità di una convergenza fra le varie forze politiche per affrontare una crisi che, appunto, come il collega Bersani ci ha ricordato, è la più significativa a livello planetario dal 1929.
Sono rimasto anche colpito da un'affermazione del Ministro Vito, il quale ha detto che siamo il primo Paese dell'Occidente che interviene sui problemi della crisi. Non so dove viva il Ministro Vito, perché abbiamo registrato una serie di interventi in altri Paesi di grande significato. Non citerò, come sempre facciamo, se non di passaggio, gli Stati Uniti (in particolare, il rapporto fra Presidente eletto ed uscente che è tale per cui nella giornata di ieri il Presidente uscente si è attivato, su richiesta di quello eletto, per sbloccare i fondi in modo tale da consentire al Presidente Obama di essere pronto, dal 20 gennaio in poi, a dare il via ad una manovra di proporzioni gigantesche), ma abbiamo assistito a significativi interventi in Germania, in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna. Si è intervenuti sul piano delle detrazioni fiscali; in Gran Bretagna si è realizzata una delle operazioni più significative a favore dei ceti medio-bassi, rimodulando il meccanismo del prelievo fiscale e andando incontro per l'appunto a quelle fasce di popolazione che hanno più necessità di un sostegno in questa fase.Pag. 30
Queste misure sono accompagnate da un puntuale intervento nei settori industriali, ovvero quelli strategicamente ritenuti più rilevanti nei singoli Paesi. Collega Borghesi, si è dato vita a provvedimenti sulla base di quanto concordato in sede europea a sostegno di piccole e medie imprese e per l'incremento di fondi per la ricerca. Si è cercato, inoltre, di mettere l'accento su politiche di sviluppo.
Vengo ora al punto per cui in un Parlamento ovviamente non si possono raccontare cose palesemente non vere. Altrimenti, come ricordava il collega Bersani, siamo allo spot: qui andiamo avanti per spot e siamo i più bravi. Ciò è in contrasto in realtà con quello che è accaduto e sta accadendo in altri Paesi, in contrasto palese.
A me interessa tornare un momento su due questioni. La prima, già citata da Bersani, da Letta e dalla collega Bindi, è quella della democrazia e della discussione pubblica. Colleghi, ci stiamo disabituando. Questo è un grave fatto di svuotamento silenzioso che è sostanziale per la democrazia e non costituisce un punto indifferente. Lo lego ad un malessere che si avverte anche nei settori della maggioranza e che rappresenta il grande interrogativo, soprattutto nelle fasi di crisi, ovvero in cosa si riconosce una grande comunità nazionale.
Colleghi della maggioranza, seppure presenti in numero così esiguo, non vi sembra che vi sia un senso di malessere profondo che comincia a riguardare il rapporto tra intere aree geografiche di questo Paese e che è trasversale? Non è il tradizionale dibattito (come è stato ricordato) sul nord e sud, ma non si sente che vi è questo profondo disagio? Deputati del Mezzogiorno e possiamo dire deputati del nord, io sono un privilegiato: sono un deputato eletto nel centro e quest'ultimo, di solito, non viene mai citato, in quanto sembra stare in una specie di limbo o qualcosa del genere. Ma non si avverte questa preoccupazione di deputati del Mezzogiorno, collocati nei vari schieramenti politici, che segnalano una difficoltà a riconoscersi in ciò che sta avvenendo? Attenzione, perché la crisi determina dei fenomeni che possono minare le stesse caratteristiche di come ci si riconosce in una comunità nazionale. Con questo provvedimento si manca ancora un'occasione e un'opportunità.
Prima di arrivare all'illustrazione dell'emendamento vorrei dire che noi in realtà siamo di fronte ad un quadro che rischia di ripetere gli errori del passato e allenta il controllo sulla fedeltà fiscale. Si tratta di un modo furbesco e antico di questo Paese che annulla sforzi di anni, come, giustamente ricordato, il tentativo di riportare su un piano di civiltà il rapporto tra contribuenti e Stato. Accanto a ciò noi siamo in presenza di una ripresa della spesa corrente che rischia nuovamente di essere fuori controllo e che ci pone degli interrogativi.
Colleghi, non so se ricordiamo le discussioni che abbiamo tenuto in quest'Aula: vorrei chiedere a chiunque di noi di ricordare se esse abbiano avuto un filo logico o una coerenza, perché sono cinque mesi che discutiamo in modo continuativo di interventi sulle questioni economiche e finanziarie. Se vi ricordate, però, avevamo detto con chiarezza che la spesa corrente non sarebbe stata limitata attraverso i tagli lineari e che questi ultimi non servono al contenimento della spesa corrente, perché determinano una situazione attraverso la quale, in alcuni settori di attività dello Stato, essi non sono contenibili. Si tratta di un modo di illusorio e sbagliato, che non porta a quei risultati attesi.
Unitamente all'iniziativa che è stata preannunciata dall'onorevole Bersani (che porta ad avere un quadro preciso, dettagliato e specifico della situazione finanziaria nella quale ci troviamo), credo che sarebbe molto utile chiedere al Ministro Brunetta, dopo tutti i polveroni sollevati sul pubblico impiego, sull'efficienza della pubblica amministrazione e sulla riduzione della spesa, che cosa sia effettivamente accaduto nel corso di questi mesi: non credo sia accaduto niente di apprezzabile, né dal punto di vista della qualificazione, né dal punto di vista del contenimento della spesa pubblica. La ripresa Pag. 31della spesa corrente può portarci, dopo aver negato la possibilità di utilizzare un punto di PIL per politiche di sviluppo, a un rapporto deficit-PIL del 4 per cento, se non anche superiore, se gli andamenti non verranno rapidamente corretti: questo è ciò che potrebbe delinearsi.
Colleghi, credo che dobbiamo tornare ad una riflessione sul modo in cui sono state utilizzate o sperperate le risorse nel corso di questi mesi. Gli esempi indiscutibili sono due, già ricordati. Uno riguarda le misure ICI, ma vorrei tornare con più enfasi su un episodio, su un fatto che io ritengo, noi tutti riteniamo, realmente scandaloso: mi riferisco alla vicenda Alitalia, che è costata ai cittadini italiani miliardi di euro; la soluzione trovata è peggiore dell'accordo che era stato realizzato con Air France alcuni mesi prima delle elezioni, ed è stata raggiunta solo in nome di una demagogia scomposta e di una concezione della politica economica e della «politica spettacolo» tipica della visione che dei problemi politici ha il nostro Presidente del Consiglio.
Siamo in una situazione che ci segnala una sofferenza crescente di settori vasti della nostra popolazione e di famiglie in difficoltà che non ce la fanno. Cresce il numero degli emarginati e di coloro che rischiano di non essere rappresentati più da nessuno, che noi però vogliamo rappresentare: l'intervento appassionato svolto dalla collega Bindi ci ha richiamato a considerare le famiglie come uno dei punti centrali.
Tant'è che noi avevamo presentato l'emendamento Veltroni 1.15, relativo agli assegni familiari, che avrebbe potuto comportare una misura di pieno rispetto con gli andamenti di finanza pubblica e, quindi, con un'attenzione rigorosa ai meccanismi della spesa pubblica e di riequilibrio dei conti dello Stato. Vi erano e vi sono due indicatori che ci fanno capire che si sarebbero potute reperire risorse da inserire in quel fondo previsto per gli assegni: il rendimento dei BOT e la riduzione degli interessi. Ciò prudenzialmente ci ha spinto a sostenere che poteva essere disponibile un miliardo di euro, ma anche che, più probabilmente, ciò avrebbe significato un incremento medio del 20 per cento degli assegni per oltre 3 milioni di famiglie, per minori, pari a 4,5 milioni, con un importo medio di incremento di 220 euro (440 euro, nel caso di due figli, e crescente, nel caso di famiglie numerose). Si tratta, quindi, di un intervento estremamente significativo, inserito in un quadro più complessivo di iniziative, che i nostri emendamenti segnalano.
Non si è capito il diniego operato dal Governo, anche nelle Commissioni riunite, su questi emendamenti e la posizione della questione di fiducia impedisce un dibattito in Aula. Si tratta di emendamenti, a mio avviso largamente condivisibili, sui quali poteva esserci uno schieramento vasto a sostegno. Infatti, colleghi, credo che noi ci dobbiamo intendere su una questione. Mi avvio alla conclusione. Il punto non è di fronte a questioni di questa natura, come sarà per gli ammortizzatori sociali, quando si parla delle famiglie, di maggioranza e di opposizione, ma di una visione che ci dovrebbe vedere tutti sensibili nella difesa di esigenze fondamentali e basilari, che riguardano settori interi della nostra popolazione.
Infine, vorrei chiudere con una annotazione: il collega Bersani ha fatto riferimento allo stato della maggioranza e dell'opposizione e non ha negato le nostre difficoltà. Lasciatemi concludere con una annotazione importante: secondo me, per quello che il Paese deve percepire, questo dibattito, per gli interventi che ci sono stati finora, ha dimostrato che un'opposizione c'è. È un'opposizione che ha idee e ha avanzato proposte importanti. Si tratta di fare uno sforzo per essere in maggiore sintonia con il Paese. Questo dovrebbe essere avvertito da tutti, signor Presidente, proprio perché una crisi come questa mette seriamente alla prova le istituzioni, nelle quali si svolge la vita democratica, che è un patrimonio comune. Quindi, occorre avere in mente che questioni economico-sociale di questa importanza devono essere sempre viste strettamente correlate alla difesa e allo sviluppo della Pag. 32democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Antoni, che illustrerà il suo articolo aggiuntivo 29.03. Ne ha facoltà.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Signor Presidente, penso che tutti conosciamo l'oggetto della nostra discussione. Tra l'altro, i colleghi che mi hanno preceduto hanno già affrontato molti dei temi che riguardano questo decreto-legge, ma anche le conseguenze politiche, il rapporto tra Governo e Parlamento, tra Governo e maggioranza e tra Governo e opposizione.
Vorrei tornare al merito del provvedimento. Quest'ultimo reca una dizione molto importante e molto significativa: misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale.
Ora, questo Governo ci ha abituato a testi e titoli che definiscono i propri disegni di legge, i cui contenuti però non corrispondono a quanto viene annunciato negli stessi.
Questo è un ulteriore caso, perché in merito alla grande dizione «anticrisi», nel quadro strategico nazionale, chi avrà la bontà di leggere il testo che sarà sottoposto alla votazione di questa Assemblea (e domani vi sarà il voto di fiducia), si accorgerà che tra essa ed i contenuti di questo disegno di legge non vi è corrispondenza.
Non siamo assolutamente in una condizione di affrontare in un quadro strategico nazionale misure anticrisi per sostenere famiglie, lavoro ed occupazione.
Questa è la riflessione di partenza, perché ormai discutiamo da mesi sulla questione, con un Governo che ci aveva spiegato che aveva capito tutto, che aveva anticipato tutto, che aveva messo al riparo l'Italia dalle conseguenze anche di eventuali crisi, quando lo annunciò; poi la crisi è arrivata, con conseguenze, che ancora, nella loro, speriamo, non auspicata drammaticità, si determineranno nel corso del 2009.
Siamo in presenza di un Governo che ha approvato la finanziaria in nove minuti, che ha annunciato al mondo che aveva trovato la soluzione di tutto, che ha un Ministro dell'economia e delle finanze di cui dobbiamo essere orgogliosi, perché, in qualunque sede internazionale, viene elogiato e portato ad esempio.
Recentemente Blair lo ha definito come il Ministro dell'economia e delle finanze più colto che esista in Europa. Penso che sicuramente sarà colto, ma, in quanto ad economia, rispetto a quello che è avvenuto in questi mesi, francamente non ci prende, nel senso che ciò che ha deciso è esattamente - direbbero gli economisti - prociclico, non anticiclico, non anticrisi. Le misure che questo Governo ha adottato finora sono tutte misure che favoriscono la crisi, non la contrastano.
Una persona che è così eccezionale, che è così brava, che contemporaneamente critica il Governatore della Banca d'Italia in una sede internazionale, critica il piano di Obama prima che si conosca, perché si conoscono solo i contorni di questo piano, critica l'universo mondo, l'unica cosa che, invece, dovrebbe fare è guardarsi allo specchio e criticare quanto ha fin qui fatto.
Una seria autocritica servirebbe per evitare di continuare a commettere errori, perché se mettiamo insieme - lo hanno già fatto i miei colleghi - le misure che in questi mesi sono state adottate, sono tutte misure procicliche: l'ICI innanzitutto, ma anche la grande misura di detassare gli straordinari.
In una fase in cui è a rischio l'occupazione, detassare gli straordinari significa esattamente questo: mettere a rischio l'occupazione, perché se il lavoro si può svolgere con le persone che sono già in organico, non se ne assumeranno altre e si farà svolgere il lavoro stesso ai dipendenti che già ci sono. Si tratta di una misura esattamente prociclica, che serve ad aggravare la crisi.
Ora ve ne siete accorti, almeno di questo, e non insistete al riguardo in questo decreto-legge, però, per mesi, l'avete annunciata come una grande misura Pag. 33che aumentava la produttività e le condizioni delle imprese e dei lavoratori.
Il grande Ministro, lo scienziato Ministro dell'economia e delle finanze ci ha presentato questa misura come quella che avrebbe cambiato le cose nel nostro Paese. Ma si è proseguito! Si è proseguito - è già stata citata e non la citerò di nuovo - sulla vicenda Alitalia.
Si è proseguito - udite udite - sulla grande questione della Robin Hood tax, salvo poi restituire alle banche, a distanza di un mese, quanto con quella tassa gli abbiamo tolto; in pratica, chi aveva indovinato e previsto tutto a distanza di un mese ha dovuto rivedere tutto. Siamo quindi francamente in presenza di situazioni da questo punto di vista quasi farsesche, se non fossero serie e drammatiche.
Ma c'è di più: dall'inizio di questa legislatura viene portata avanti un'azione sistematica di svuotamento degli interventi di investimento produttivo nelle aree deboli del Paese, che sono tra le poche misure anticicliche che bisognerebbe adottare per aggredire la crisi.
Se la crisi è il frutto di una cattiva distribuzione della ricchezza, di una diseguaglianza sempre più marcata tra le zone e tra i ceti sociali e di una distribuzione iniqua della ricchezza, la prima cosa che occorre fare è favorire lo sviluppo delle zone deboli del Paese e, contemporaneamente, venire incontro ai ceti deboli del Paese.
Questo vuole una capacità di affrontare la crisi con misure anticicliche per ottenere risultati concreti! Altrimenti i risultati non si ottengono, la nostra previsione di non crescere nel 2009 verrà aggravata, come sta avvenendo, i nostri conti pubblici risulteranno aggravati, come sta avvenendo, e tutta la grande questione del rigore sui conti verrà smentita.
Più si abbasserà la crescita (nel caso arriveremo a percentuali di meno due, meno tre o chissà dove), più avremo problemi enormi riguardo ai conti pubblici, e quindi in termini di aumento del debito, di abbassamento dell'avanzo primario e di tutto quello che è stato il frutto di un'azione di Governo dura ed impopolare, che abbiamo pagato nelle elezioni dell'aprile scorso ma proprio perché tenevamo tanto ai conti e al futuro di questo Paese.
Questa è la verità! Ma se questa è la verità, non si possono usare le risorse destinate alle zone deboli del Paese per fare tutto quello che si vuole e il contrario di tutto quello che si vuole. Non è possibile tagliare 16 miliardi e 600 milioni, come avete fatto finora, con una motivazione francamente risibile: siccome le aree deboli non sono in grado di spendere i loro soldi perché non ce la fanno ed hanno una classe dirigente inadeguata, allora glieli leviamo e così risolviamo il problema!
Ad Obama è stato chiesto: Presidente, non crede che quelli che non riescono a pagare il mutuo e che voi state aiutando non si siano comportati bene (giacché è chiaro che quelli che hanno sottoscritto mutui senza avere i soldi per pagarli non si sono comportati bene)?
Dunque, gli hanno chiesto: perché li aiutate? I cittadini che si sono comportati bene potrebbero adirarsi e prendersela. Il Presidente Obama allora ha risposto che se ti brucia la casa perché hai commesso una leggerezza, magari perché hai gettato una cicca o altro, il tuo vicino non si preoccupa del fatto di chi è stato e di chi è la colpa dell'incendio, ma come prima cosa cerca di spegnerlo per evitare che anche la sua casa bruci. Altrimenti, il risultato è che non solo vedrà la casa del vicino bruciarsi, ma che anche la sua sarà a rischio. Noi ci troviamo in queste stesse, precise condizioni.
Se usiamo come argomento il fatto che il taglio delle risorse alle zone deboli è il frutto dell'incapacità dei gruppi dirigenti delle zone deboli a saperle spenderle, condanniamo quelle zone deboli all'abbandono a vita e contemporaneamente, prima o dopo, quelle zone deboli influenzeranno anche le zone forti, la casa del vicino.
Il risultato finale sarà un'Italia tutta che non cresce, non solo le zone deboli. Fate un errore strategico formidabile: il grande scienziato Tremonti sta commettendo un errore di proporzioni incalcolabili, Pag. 34nel momento in cui taglia le risorse delle zone deboli. Insisto: si tratta di 16 miliardi e 600 milioni e ancora non sappiamo il resto, perché aspettiamo la delibera CIPE sulla distribuzione delle opere prioritarie, che abbiamo previsto, maggioranza ed opposizione, con l'85 per cento al sud ed il 15 per cento al nord; non ci comunicano le opere perché così non sarà: quando scopriremo le opere, scopriremo che questa proporzione non sarà stata rispettata. Infatti, l'avete proprio nel DNA, nel modo di concepire.
Ma alla fine, anche chi prende poi si lamenta, perché non avendo tutto, vuole tutto e il contrario di tutto. Le reazioni del sindaco di Milano sono la testimonianza incredibile che, dopo aver speso 4 miliardi di soldi pubblici per salvare Alitalia e salvare Malpensa, avete questo grande e bel prodotto: non avete né Alitalia, né Malpensa, ma avete Air France, senza soldi, perché come dire ha preso la compagnia gratuitamente, perché eravate in svendita, con il sindaco di Milano che si lamenta perché Milano e Malpensa sono state trascurate, che è il massimo della vita.
Contemporaneamente, proprio per questo, tutte le misure che hanno le caratteristiche di venire incontro ai ceti deboli ed alle zone deboli vengono sostanzialmente - per questo la dizione del provvedimento in esame non corrisponde ai contenuti - tradite dai contenuti.
Faccio alcuni esempi: il primo è stato già fatto e riguarda il cosiddetto bonus alle famiglie. Quali famiglie? Di che parlate? Avvenire, non un giornale comunista rivoluzionario della III internazionale, un giornale moderato. Se anche Avvenire è diventato rivoluzionario, allora siamo a posto, signor Presidente. Non Famiglia Cristiana, che si dice sia scatenata, ma Avvenire vi ha spiegato che avete fatto una cosa incredibile.

PRESIDENTE. Non mi faccia dire cose che non ho mai detto.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. No, signor Presidente, era l'espressione. Avvenire ha scritto che quel bonus è offensivo per le famiglie italiane, non solo perché è una tantum, e le misure una tantum non migliorano alcuna condizione, ma perché non viene incontro alle famiglie, non viene incontro esattamente allo scopo per cui lo avete previsto. Non si capisce perché continuate ad intestardirvi, quando le nostre proposte - lo ha detto per ultimo il collega Ventura - erano di una semplicità inaudita: gli assegni familiari sono una cosa chiara ed esplicita, non occorreva inventare nulla, è tutto già inventato. No, bisognava inventarsi l'ISEE e via dicendo.
La verità è che questi pochi soldi non andranno alle famiglie, ma voi le convincerete, perché avete questa capacità mediatica, di avere i soldi (anche se Avvenire forse, a forza di dirlo, le convincerà che non è vero). Infatti, di questo si tratta, come per la social card: è la stessa cosa. Avete detto che siamo snob e siamo radical-chic: non è vero, a noi vanno bene 40 euro al mese, a noi vanno benissimo. Io poi ho fatto trent'anni il sindacalista: per me, quando portavo a casa qualunque contratto, anche di 20 euro, andava bene (certo, ne volevano di più, ma andava bene). Il problema è che li prendano! Infatti, del 1.300.000 persone potenziali che devono usufruire di questo provvedimento, ad oggi solo 350.000 hanno ritirato la tessera. Inoltre, di questi 350.000 la gran parte va ai supermercati e quando deve pagare si sente rispondere: «La tessera è scarica». Questa è una mortificazione impressionante, di cui tutti coloro che hanno inventato questa specie di strano meccanismo dovrebbero vergognarsi: quando una persona si reca al supermercato e scopre che la sua tessera è scarica e non può pagare la merce che ha preso, è il massimo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro). Se avete 40 euro, dateglieli!
Non costringete le persone a questi livelli e a questo tipo di mortificazione incredibile! Ma non perché si è radical chic, bensì per una questione di dignità umana, che è qualcosa che viene prima di qualunque altro elemento. Avete 40 euro? Pag. 35Dateglieli! Finitela con queste scene! I costi di questa carta non ce li avete ancora detti. Secondo me, alla fine, si scoprirà che il vero affare l'ha fatto chi produce le carte e non i poveri che si mettono in fila per ritirarle e per scoprire, poi, che sono scariche (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Prima o poi dovrete dire quanto vi è costata questa operazione! Ad oggi non lo dite. Aspettiamo di saperlo: sarebbe interessante, almeno per fare un confronto tra il beneficio e il costo della misura, perché ad oggi non lo sappiamo.
Poiché era giusto aiutare i deboli, era altrettanto giusto che, da questo punto di vista, la questione si allargasse ad un tema delicatissimo: gli ammortizzatori sociali. Napolitano, che tutti avete osannato - noi, voi, tutto il mondo -, nel messaggio di fine anno ha detto che dalla crisi si può uscire meglio di come siamo entrati. Ha usato, addirittura, questa bellissima espressione: può uscire una società più giusta. Tuttavia, egli ha detto che, per farlo, è necessario cercare di prendere provvedimenti condivisi con le parti sociali e, se possibile, tra maggioranza e opposizione. Su un tema così delicato, come gli ammortizzatori sociali, avete inventato un meccanismo assolutamente non discusso con le parti sociali. Ciò lascia pensare quale sensibilità abbiate, perché se vi è una materia che deve essere affrontata e discussa con le parti sociali, lo si deve fare con chi la vive ogni giorno, altrimenti si commettono sciocchezze incredibili, come quelle che questo testo, purtroppo, presenta, in particolare all'articolo 19.
Dunque, avete inventato un meccanismo infernale, la cui gestione - non voglio essere né una cassandra né un uccello del malaugurio - sarà delicatissima, perché in esso tutti hanno diritto al sostegno al reddito. In altre parole, avete allargato - come era giusto e come abbiamo chiesto - la platea a tutti coloro che perdono il lavoro, qualunque sia il loro rapporto di lavoro precedente (a tempo indeterminato, nelle aziende sopra e sotto i quindici dipendenti, nel commercio, nel turismo, dovunque). Va benissimo; il problema è che per fare ciò è necessario individuare esattamente, attraverso una riforma, i soggetti, nonché gli strumenti di sostegno al reddito, perché se si lascia un'espressione generica, si apre un'aspettativa universale, a cui non corrispondono né risorse (che qui non vi sono), né gli strumenti per individuare questi soggetti. Tutto viene lasciato ad un decreto imprecisato del Ministro del lavoro che, attraverso delle convenzioni con le regioni, potrà individuare questi bacini di utenza e stabilire la quantità del sostegno al reddito ed anche l'individuazione dei soggetti.
Questo meccanismo presenta due rischi spaventosi. In primo luogo, le risorse si reperiscono solo dal Fondo sociale europeo, utilizzando, quindi, risorse che devono essere destinate ad altro, come alla formazione (esattamente quella conoscenza di cui questo Paese ha un grande bisogno). In secondo luogo, ammesso che realizzerete le convenzioni e che potranno essere utilizzate, questo tipo di meccanismo previsto comporta due rischi formidabili. Innanzitutto, le regioni che individueranno (se lo faranno) i soggetti e che realizzeranno progetti formativi potranno anche differenziare gli interventi di sostegno. Pertanto, avremo un disoccupato di serie A e uno di serie B, uno che può prendere una determinata cifra ed uno che può prendere meno. Pensate quale meccanismo di giustizia sociale state mettendo in piedi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Ma vi rendete conto? Dopo una fatica enorme in Commissione, abbiamo ottenuto che fosse scritto: «salvaguardando l'uniformità». L'uniformità: spero che non sia una parola equivoca, altrimenti il rischio è veramente quello. Vi è un ulteriore rischio nelle zone deboli: se si individua il bacino di utenza nella zona forte, cioè quella che ha lo sviluppo, speriamo che si superi la crisi.
Quando la crisi passerà quelle persone andranno a lavorare, e lì finirà. Nelle zone deboli, dato che non emanate alcun provvedimento di sviluppo, queste persone resteranno assolutamente senza una prospettiva di lavoro, però si troveranno dentro un bacino: si prepara una nuova ventata Pag. 36di LSU, di lavori socialmente utili, ve ne rendete conto, voi che siete contrari all'assistenza e il Ministro Tremonti che è per la Banca del sud (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)? State preparando tutto ciò in questo testo. Se lo aveste concordato con le organizzazioni sindacali e con le imprese sicuramente non sareste giunti a questo; se aveste ascoltato noi in Commissione sicuramente non sarebbe accaduto, ma siccome siete depositari della verità, della scienza e della vita proseguite: i danni li pagheremo noi, li pagherà il popolo italiano.
C'è un'altra norma incredibile relativamente al rapporto tra zone forti e zone deboli. Vi siete inventati la tariffa di energia elettrica differenziata, che rappresenta un altro rischio spaventoso. Mentre discutete di federalismo fiscale al Senato e promettete alle zone deboli che è giusto avere il federalismo, ma che avranno anche la fiscalità compensativa per poter attrarre gli investimenti, nel frattempo gli preparate un bel pacchetto in cui, a fronte della fiscalità compensativa - che non arriverà mai, perché l'Europa non la consentirà -, arriverà invece qualcosa di ben più volgare: le imprese del Mezzogiorno pagheranno di più l'energia elettrica che consumeranno, con uno scoraggiamento agli investimenti nelle zone deboli del Paese.
Chi ha pensato tutto questo è sempre lui, il Ministro di poc'anzi, quello che critica il mondo, l'uomo più colto del mondo! Di fronte a quello è inutile discutere! Ma le conseguenze saranno pesanti. Ora persino i componenti della vostra maggioranza si sono accorti che tutto ciò è proprio intollerabile: persino i pazienti prima o dopo perdono la pazienza, persino i sordi prima o dopo sentono, persino i ciechi prima o dopo vedono. Forse ci può essere un movimento che vi spinge a riflettere; se sommate ciò che avete già fatto e quello che fate con questo decreto e aggiungete la circostanza che nel frattempo cancellate tutti gli strumenti che avrebbero potuto portare investimenti nelle zone deboli del Paese e aggiungete anche l'eventualità che forse quelle zone pagheranno di più l'energia elettrica e avranno condizioni peggiori (perché di strade non se ne parla e di ferrovie nemmeno), il risultato è quel rischio di assistenza di cui vi ho parlato, con una pericolosità enorme.
C'è anche un altro rischio, che è già in atto: una ripresa massiccia dell'emigrazione, nonostante la crisi. Non sappiamo quale ne sarà l'entità, ma è ripresa un'emigrazione senza precedenti dalle zone deboli alle zone forti del Paese su cui tutti dovrebbero riflettere, e voi che fate? L'unico strumento che aveva aperto uno spiraglio, quello oggetto, in particolare, della proposta emendativa che porta la mia firma e quella di altri, vale a dire il credito di imposta automatico, voi cosa fate? Lo smontate. La Confindustria ha dichiarato (ogni tanto si sveglia anche la Confindustria) che in vigenza della norma precedente c'erano domande provenienti da 21 mila imprese per investimenti per un ammontare pari a 4 miliardi.
Se questo fosse vero (la fonte è Confindustria, ma del resto il dato è anche confermato da una dichiarazione rilasciata in Commissione dal sommo Tremonti), la preoccupazione principale del Governo dovrebbe essere quella di verificare se questi 4 miliardi di investimenti sono possibili e consentire la loro realizzazione perché misura anticiclica, perché misura a favore delle zone deboli, perché misura che porta sviluppo produttivo ed evita l'assistenza, cioè esattamente quello di cui abbiamo bisogno come il pane e di cui ci siamo occupati nei nostri due anni al Governo per evitare una dispersione a pioggia, una dispersione cattiva, un superamento della legge n. 488 del 1992, la legge che distribuiva a fondo perduto alle imprese e che è stata oggetto di dispersione, qualche volta di latrocinio e qualche volta di inquinamento mafioso.
Proprio per questo abbiamo creato uno strumento di automatismo tale da spingere le imprese ad investire, in modo da dare questa possibilità. Se voi lo smontate, se eliminate questo strumento, cosa resterà? Qual è il modello che avete per fare in modo che ci sia una ripresa, per attuare Pag. 37una misura anticrisi? Che cosa può spingere un'impresa ad investire per fare lavoro produttivo, se quello strumento poteva portare quattro miliardi? Voi dite che se non è coperto non si può fare. Ebbene, avete finora usato il FAS per 16 miliardi 600 milioni, e forse lo userete chissà per quanto ancora: benissimo, prendete 4 miliardi dal FAS e coprite questi investimenti. È una cosa così semplice: perché lo potete fare per tutto, ma non per questo? Il motivo è che scegliete di non farlo, non che è impossibile farlo o che ritenete che tutto questo non si possa fare. Questa misura, che è l'unica che può dare un contributo serio allo sviluppo produttivo delle zone deboli, voi la cancellate, la smontate, la mettete in soffitta.
Stavate mettendo in soffitta anche altre misure altrettanto importanti come quella del credito di imposta per la ricerca in tutto il Paese o del credito di imposta per il risparmio energetico. Con la nostra battaglia, con la nostra iniziativa, con la nostra azione abbiamo corretto tali iniziative, non del tutto, però abbiamo attutito i danni. Il danno resta, perché sul risparmio energetico non è come prima e non c'è la stessa spinta, mentre tutto il mondo e l'Europa ci spingono in quella direzione. Sulla questione del credito d'imposta per la ricerca, rimanete con un meccanismo, quello della prenotazione, che scoraggia. Infatti, l'impresa che deve investire quando si presenta e si sente dire che la sua prenotazione è valida, ma che potrà ottenerlo solo nel 2012, saluta e non investe.
Quella norma collegava anche la stessa misura all'università pubblica. Costituiva quindi un sostegno reale alla possibilità di mettere in moto processi positivi in tutto il Paese, tra impresa e università, per crescere, per ottenere sviluppo e una società della conoscenza, esattamente quello che ci vuole per superare questa crisi, nelle sue dimensioni e nella sua possibilità di colpire ulteriormente i ceti e le zone deboli.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Ma voi di tutto questo - ho finito - non fate cenno, non vi curate, perché avete la verità, avete il «sommo» e con il «sommo» sbagliate dalla mattina alla sera. Noi cercheremo di correggervi, almeno parzialmente, quando ci riusciremo. Se non ci riusciremo, prima o poi convinceremo il popolo italiano che il «sommo» veramente sbaglia dalla mattina alla sera (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Damiano, che illustrerà il suo emendamento 19.1, nel testo corretto. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, vorrei, come hanno fatto altri miei colleghi, ringraziare il Presidente Fini per il suo intervento sulla questione di fiducia, che ci riporta ad una logica di rispetto delle istituzioni e del ruolo del Parlamento, quest'ultimo poco rispettato da questo Governo. Dopo questa breve premessa vorrei entrare nell'argomento: si tratta di un argomento cruciale, quello degli ammortizzatori sociali che, in qualche modo, dà un senso generale al tema della manovra. Sulla manovra molto è stato detto. Io mi limito a ribadirne l'inadeguatezza, inadeguatezza tanto più preoccupante quanto più ci mette in una condizione, con il tempo, di grande svantaggio rispetto ad altri Paesi del mondo industrializzato, che stanno realizzando ben altri interventi.
Parlando degli Stati Uniti d'America, vorrei ricordare che alcuni componenti del Partito Democratico degli Stati Uniti hanno criticato il Presidente Obama perché, a loro avviso, una manovra di 800 miliardi di dollari a sostegno dell'economia, del ceto medio e della tutela sociale sarebbe insufficiente: ci vorrebbe il doppio di quella cifra. Che cosa dovremmo dire noi a fronte di una situazione come quella che viviamo in Italia, l'unico Paese nel quale il Ministro dell'economia diventa la vestale dei saldi di bilancio?
Abbiamo chiesto di impegnare un punto percentuale del prodotto interno Pag. 38lordo, 15 miliardi di euro, in un intervento di carattere straordinario (se la crisi viene considerata per quello che è, appunto, di carattere straordinario, non normale, non ordinaria), e devo dire che in questo intendimento (che per noi significa sostenere il potere d'acquisto delle retribuzioni, e quindi il reddito delle famiglie - penso ai salari e alle pensioni -, e sostenere il reddito dei lavoratori autonomi, gli ammortizzatori sociali universali, l'impresa, a partire dalle piccole imprese) abbiamo, in questa visione per il bene del Paese, anche degli alleati sicuramente non sospettabili di tifare tout court per la sinistra.
Penso a Mario Monti che ha detto, con poche parole, che è chiaro che dobbiamo avere prudenza quando si parla di una situazione come la nostra nella quale c'è un forte debito pregresso, ma sarebbe doppiamente imprudente, in questa situazione, non fare debiti se si vuole intervenire attraverso un grande patto sociale, come noi abbiamo richiesto, di rientro nell'arco dei due anni, quelli prevedibili della durata della crisi, attraverso una concertazione capace di spendere, in questa fase, risorse necessarie e rientrare dal debito con un grande accordo.
Di questo non c'è traccia, di questo non c'è assolutamente nessuna nozione nelle decisioni assunte da questo Governo, che sono decisioni che stanno nell'ambito delle risorse disponibili, quindi nell'ambito dei saldi di bilancio, e che si limitano, da una parte a spostare risorse da una posta di bilancio all'altra, e dall'altra a richiedere risorse ai fondi europei o al FAS, a chiedere risorse alle regioni, a chiedere risorse ad altri meno che a se stessi, meno che al Governo.
Pensiamo che questa sia una visione non solo miope ma che porta, come ho già detto, uno svantaggio competitivo. Si pensi, quando parliamo di imprese, al settore automobilistico: che ne sarà del nostro settore automobilistico di fronte al fatto che, negli Stati Uniti, in soccorso di quell'industria nazionale si impiegano 17 miliardi di dollari, mentre in Italia si discute se sarà necessario intervenire in un settore strategico che è sempre stato un volano per l'occupazione, per l'innovazione e per la ricerca? In sostanza non solo svantaggi competitivi, ma anche iniquità sociali, e anche su questo punto sicuramente mi ripeto.
Mi pare che questo Governo sia stato molto generoso con Alitalia e con Air One. Viene un dubbio, ma credo ci siano più conferme che dubbi, sul fatto che con questa manovra si siano volute salvare non una, ma due compagnie aeree. Questo Governo è stato molto generoso anche con i redditi medio-alti quando è stata cancellata l'ICI, è stato invece molto avaro e molto poco generoso con i deboli, i più poveri, soprattutto quando si parla di ammortizzatori sociali e di reddito, quando si parla di manovra assente su un punto fondamentale, quello del sostegno al ceto medio.
L'aspetto più grave che mi ha sempre preoccupato è che alcuni Ministri autorevoli - penso al Ministro Tremonti, al Ministro Sacconi e al Ministro Brunetta - hanno affermato che già dalla manovra dell'estate avevano previsto quello che sarebbe successo. Allora viene spontanea la domanda: come mai chi ha previsto butta dalla finestra per l'ICI, Alitalia ed Air One più di 6 miliardi di euro che potevano andare a sostegno delle famiglie? Se si era previsto quello che sarebbe successo come mai, come è stato ricordato, una manovra sugli straordinari, che dovrebbe incentivare il prolungamento degli orari mentre cresce la disoccupazione in Italia?
Si tratta dell'aspetto più paradossale e, per fortuna, la stessa Confindustria ha chiesto di fare marcia indietro e il Governo è stato costretto a rendersi conto che questa proposta (la detassazione degli straordinari), tanto decantata, non era altro che una manovra ideologica e demagogica in un momento assolutamente controproducente. Ad un certo punto vi abbiamo fermati. La cosa più assurda è che avete proposto di estendere questa detassazione anche al pubblico impiego, con un grande capolavoro del Ministro Brunetta, ma ve lo abbiamo impedito. Infatti, da una parte si proponeva ai padri stabili della pubblica amministrazione di Pag. 39arrotondare la propria retribuzione con qualche ora in più di straordinario al giorno, mentre lo stesso Ministro, con l'annullamento della cosiddetta «norma salva precari» consentiva ai figli, di quei padri, di essere licenziati. Insomma, far lavorare di più i padri per tenere i figli disoccupati a casa.
Queste sono le contraddizioni di un Ministro del lavoro che è un propagandista della diminuzione del costo degli straordinari. Si tratta della stessa persona che ha propugnato le sessantacinque ore in Europa; è lo stesso che poi, senza tema di smentita, ha voluto anche sostenere in Italia addirittura la settimana corta, inventando «l'acqua calda», come ha ricordato l'onorevole Cazzola, perché se per settimana corta si intendono tre giorni di lavoro e due di cassa integrazione esistono le leggi e, forse, sarebbe meglio utilizzare i contratti di solidarietà.
Cosa dire dei bonus? I bonus non sono strutturali e lo sappiamo (mi riferisco ai bonus per le famiglie e alla credit card). Viene un sospetto: che il Governo faccia grandi annunci. Esso annuncia la credit card, con un milione e 200 mila persone coinvolte e con 350 mila fruitori. Inoltre, vi è il bonus per le famiglie, con otto milioni di fruitori annunciati. Ma quale sarà il numero dei fruitori reali? Di questo dobbiamo parlare, perché agli annunci roboanti seguono delle politiche di grande risparmio. Diciamolo con chiarezza: questi risultati non si ottengono, come aveva fatto il Governo Prodi in ordine alle pensioni, con la corresponsione della quattordicesima mensilità automaticamente e dignitosamente nella retribuzione pensionistica ma, invece, su richiesta, con la carta sociale. Le aziende diventano sostituto di imposta e anticipano le erogazioni che verranno successivamente rimborsate; inoltre, dovranno anche compilare un elenco di presentazione di domanda fino a concorrenza. Il tutto rende anche poco costituzionale la norma. Infatti, una volta che le risorse saranno esaurite, che cosa succederà? L'ultimo della coda dovrà rinunciare a questi benefici?
Che dire, inoltre, delle risorse per gli ammortizzatori sociali, che dovrebbero essere il cuore di questa grande manovra contro la crisi che sta attraversando il Paese? Siamo di fronte ad un Governo che spende le sue risorse a rate (per così dire) e in modo molto avaro e molto meditato, a differenza del fatto che tutto era stato previsto. Ma ci ricordiamo che la prima cifra che il Governo ha annunciato, che aveva previsto tutto per quanto riguarda le casse integrazioni in deroga, è stata di 450 milioni di euro? Vale a dire 20 milioni in meno di quanto stanziato dal Governo Prodi nel 2007, anno sicuramente non di crisi e nel quale non si prevedeva nessuna crisi che sarebbe occorsa un anno dopo. Poi, sulla spinta dell'opposizione, queste risorse sono diventate 600 milioni e poi sono ancora aumentate, sempre utilizzando, ovviamente, risorse esistenti. Ma che cosa vuol dire questo? Vuol dire che non vi è nessuna lungimiranza per quanto riguarda la capacità di questo Governo di varare delle misure che siano adeguate e all'altezza della profondità e della gravità della crisi.
Ricordo anche con quanto sarcasmo furono raccolte, dall'allora opposizione al Governo Prodi, alcune misure. Penso all'onorevole Baldassarri che in ordine alla quattordicesima ai pensionati di Prodi (una misura strutturale rivolta a tre milioni di persone che vale ogni anno un miliardo e 200 milioni, per 400 euro a testa) in una discussione la definì «un caffè al giorno». Che cosa diciamo, allora, di questa social card che per tre volte, in un anno, porterà addirittura 120 euro ai più poveri?
Come è già stato ricordato dal collega D'Antoni non disprezziamo nulla e non abbiamo atteggiamenti snobistici, ma vorremmo fare il confronto: che cosa significa varare, come noi abbiamo fatto nel precedente Governo, misure strutturali, avere dei bonus, che cosa significa l'entità di cifre che non trovano paragone e, soprattutto, che cosa significa fare promesse roboanti alle quali non corrisponde nulla di concreto?Pag. 40
Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, anche su questo punto, credo valga la pena di fare un'osservazione. Abbiamo chiesto di avere una misura di carattere universale perché siamo profondamente consapevoli della dualità del sistema del mercato del lavoro in cui vi è chi è protetto e dispone di tutele contro il licenziamento e nel momento della disoccupazione (come la cassa integrazione, la mobilità e così via) e vi è chi non solo non è protetto contro i licenziamenti, ma non dispone neanche di tutele nel momento in cui cessa il contratto a termine, il lavoro a progetto o il lavoro interinale.
Volevamo andare in questa direzione con misure strutturali e con investimenti adeguati. Qual è stata la vostra risposta? Il bonus per i cosiddetti lavoratori a progetto equivale, come è stato proposto da voi, al 10 per cento della retribuzione dell'anno precedente. Sappiamo che oggi un lavoratore a progetto percepisce mediamente 8 mila euro l'anno per cui si tratta di 800 euro una tantum. Pensiamo che con 800 euro una tantum una persona, per lo più giovane, ma alle volte anche di media età (perché purtroppo non solo nella pubblica amministrazione con il lavoro precario, il lavoro saltuario e il lavoro flessibile si può stare anche per cinque o dieci anni con contratti rinnovati di tre mesi in tre mesi), possa sopravvivere per un anno o due anni di crisi?
L'aspetto paradossale è il fatto che poi qualcuno sarà escluso. Ad esempio, le partite IVA, come sappiamo, non sono coinvolte in questa manovra. Ma la cosa ancor più paradossale è che nel protocollo del 23 luglio 2007, votato da cinque milioni di lavoratori e pensionati, c'era una misura che voglio ricordare in quanto 150 milioni non sono tanti, ma di questi tempi credo siano una cifra molto consistente, soprattutto se paragonati a quello che stanzia normalmente il Governo, ossia quasi nulla. Si trattava di 150 milioni per un fondo destinato ai lavoratori precari che prevedeva una erogazione, fino a un massimo di 600 euro mensili per dodici mesi, rimborsabili dopo 24 o 36 mesi a tasso zero, nella presunzione che, perso il lavoro - la misura interveniva nel caso in cui il lavoratore a progetto perdesse il lavoro - il lavoratore potesse nell'arco di due o tre anni ritrovare un nuovo lavoro. Sapete che fine ha fatto questa misura? Con un emendamento presentato in Commissione da un componente della maggioranza è stata cancellata.
Si vogliono aiutare i precari e si cancellano le misure esistenti a vantaggio dei precari. Adesso questa risorsa sarà trasferita al Dipartimento che cura i giovani nell'ambito della Presidenza del Consiglio il quale, forse fra sei mesi, troverà le regole per l'erogazione di queste risorse. È come dire ai giovani precari che vivono oggi, quotidianamente e silenziosamente, il dramma della disoccupazione, di aspettare e di avere pazienza perché si deve ancora riflettere, cancellando le buone norme già contenute in precedenti delibere del Governo Prodi.
Vi sono altre questioni che credo debbano essere messe in luce nei meccanismi che avete voluto costruire nell'ambito di questa manovra. Cosa dire, ad esempio, del fatto che si pretende di subordinare le erogazioni universali, come le indennità di disoccupazione, al fatto che gli enti bilaterali siano anticipatori di un'erogazione pari al 20 per cento di questa indennità? Cosa vuol dire subordinare una misura universale ad un atto che è il frutto di un accordo fra le parti sociali? La domanda che mi faccio è se sapete o no che la struttura degli enti bilaterali non copre l'intero mondo del lavoro e dell'occupazione.
Nel caso in cui ci siano dei settori scoperti nei quali non ci sono gli enti bilaterali e, se questo meccanismo è preventivo e subordina la possibilità successiva di erogare gli ammortizzatori sociali pubblici, questi settori e questi lavoratori rinunceranno? Nel momento in cui è obbligatorio per accedere alla cassa integrazione in deroga avere almeno 90 giorni trascorsi sulla base dell'utilizzo degli ammortizzatori, coloro che non li avranno avuti perché non hanno gli enti bilaterali, non potranno neanche accedere alla cassa Pag. 41integrazione in deroga? Si è creato un mostro giuridico, perché costituzionalmente è molto discutibile il fatto che possa rimanere in piedi la subordinazione di una norma di tutela universale ad un atto compiuto da un ente bilaterale, e anche un atto di disparità di condizione tra lavoratore e lavoratore.
Naturalmente sappiamo che tutto questo fa parte di una precisa filosofia del Governo e del Ministero del lavoro. Infatti, questa enfasi che si è voluta dare agli enti bilaterali è tutt'uno con il fatto che, nonostante i nostri suggerimenti, non abbiate voluto correggere nelle Commissioni bilancio e finanze lo svilimento dei centri per l'impiego. Anche di questo occorre parlare, della disponibilità del lavoratore al reimpiego nel momento in cui è destinatario di nuove tutele di cui prima non godeva e sul quale siamo profondamente d'accordo. Si chiama da tempo «patto di servizio», che viene normalmente stipulato nel centro per l'impiego. Come mai la prima formula che prevedeva che il patto di servizio fosse depositato - come è tradizione - nel centro per l'impiego è stata sostituita da una formula seguente che cancella il centro per l'impiego, per cui il patto di seguito sarà depositato direttamente all'INPS? Ma allora viene il sospetto che questa enfasi su enti bilaterali, che diventano addirittura il «metaregolatore» degli interventi universali di tutela, e lo svilimento dei ceti per l'impiego significhi una revisione profonda dei meccanismi del governo del mercato del lavoro che debbono avere, per quello che ci riguarda, un intervento pubblico di regolazione e di controllo, che non sostituisce ovviamente l'iniziativa privata, con la quale può anzi allearsi e trovare le sinergie necessarie.
Che cosa dire poi, come già ricordato da D'Antoni, del tentativo che avete fatto in Commissione di differenziare l'erogazione degli ammortizzatori sociali sulla base delle regioni, su base territoriale? Differenziare perché la modulazione degli interventi derivava dal differente apporto in sede locale e nazionale. Vi abbiamo suggerito di correggere e lo avete fatto. Ci auguriamo che l'interpretazione del sottosegretario Viespoli sia valida e condivisa. So che i rappresentanti della Lega Nord Padania «masticano amaro» su questo, non sono d'accordo, vorrebbero una differenziazione. Si dice che da una parte costa di più la vita e da un'altra parte (nel Mezzogiorno) costa di meno. Ma stiamo parlando di ammortizzatori sociali, di interventi di sussistenza, di lavoratori che potranno godere di un'indennità di mobilità pari all'80 per cento soltanto per un anno e al 60 per cento nell'anno successivo. Si tratta di cifre che si avvicinano ai 700-800 euro mensili. Sfido chiunque a dire che un monoreddito, una persona con famiglia e un figlio, una moglie e un marito, con questa cifra possa fare qualcosa che vada al di là della pura sussistenza. Quindi, credo che sia un fatto molto grave che abbiamo voluto correggere.
Sugli enti bilaterali voglio ancora aggiungere una piccola notazione forse tecnicistica. Ma come mai su questo 20 per cento di erogazione preliminare è stata cambiata la formula e si gioca sulla indennità? Vuol dire che il 20 per cento del 60 per cento è soltanto il 12 e che, quindi, anche in questo caso abbiamo trovato con l'ingegno di Tremonti il modo di risparmiare sulla pelle di quelli che hanno bisogno del pane quotidiano?
Ecco, queste sono domande di merito che si riconnettono al senso politico, sociale, di contenuto della vostra manovra che è assolutamente insufficiente. Viene la domanda: ma avete voluto migliorare la situazione o avete voluto peggiorarla?
Infine, credo che non possiamo dimenticare i dati relativi alla cassa integrazione. Che la cassa integrazione cresca lo abbiamo sotto i nostri occhi, però voi avevate previsto tutto e risulta strano che di fronte a queste previsioni ci siano degli interventi così insufficienti. La cassa, noi lo abbiamo denunciato e abbiamo lanciato un allarme in questo Paese inascoltati, cresce dal mese di giugno. Anche un cieco avrebbe visto quello che stava per accadere. Sapevamo che ci sarebbe stata un'esplosione, penso al Piemonte, una situazione nella quale la Fiat aveva già annunciato la cassa Pag. 42integrazione praticamente per tutti lavoratori in tutti gli stabilimenti del nord, del centro e del sud dell'Italia. E l'esplosione c'è stata. La cassa integrazione ordinaria è cresciuta nel mese di dicembre del 500 per cento e il Ministro dice: state tranquilli, è diminuita la straordinaria del 12. Ma chi conosce questi meccanismi non può fare queste affermazioni. Abbiamo forse dimenticato che le aziende in questa situazione consumano le settimane di cassa ordinaria a loro disposizione sulla base del semplice criterio della crisi economica e della crisi aziendale, e che questo consumo è l'anticamera per l'utilizzo successivo estremo della cassa straordinaria? Le aziende preferiscono consumare la cassa ordinaria perché non prevede la presentazione di piani di ristrutturazione e l'erogazione di investimenti a sostegno della ristrutturazione medesima. Soltanto un cieco o una persona che non conosce i meccanismi può fare affermazioni di questo genere.
È naturale quello che sta capitando, ma questo significa anche un peggioramento molto grave della situazione. Guardate che questo non sarà sicuramente di consolazione né per i precari dei contratti a progetto del settore privato che sono silenziosamente licenziati giorno dopo giorno, non hanno voce, non hanno organizzazione, non hanno possibilità di far valere le loro ragioni, né sarà di consolazione per quei sessantamila precari della pubblica amministrazione che grazie al decreto del Ministro Brunetta rimarranno a casa da qui al mese di giugno e aggiungeranno disoccupazione a disoccupazione. Se questo vuol dire intervenire efficacemente nell'ambito della crisi, io francamente non riesco più a comprendere se si vede la realtà dei fatti oppure ci si immagina qualcosa di diverso.
Il nostro emendamento era molto concreto e prevedeva un fondo per il 2009 e per il 2010, lo abbiamo chiamato «fondone», in attesa di una riforma più generale già contenuta come delega del Governo Prodi nel protocollo del luglio dell'anno scorso. Si prevedeva di utilizzare le risorse di questo fondo per il tempo determinato e indeterminato di tutti i settori, anche quelli non coperti, per i dipendenti artigiani, per gli apprendisti, per la gestione separata dell'INPS, per gli interinali, con tutti gli strumenti - la cassa ordinaria e straordinaria, la mobilità, la disoccupazione - attraverso un patto di servizio, che naturalmente chieda a quei lavoratori ai quali si estendono questi ammortizzatori di avere la disponibilità alla rioccupazione.
Abbiamo in ultima istanza, sulla base della nostra proposta, in una logica di ricerca di un confronto e di un incontro, anche avanzato una proposta di utilizzo nel 2009 di un miliardo di euro e di 600 milioni nel 2010 per arrivare quindi alla segnalazione di un sostegno di misure aggiuntive per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, per dare anche speranza al Paese perché con le misure esistenti non si può intervenire in una situazione così profonda.
Ebbene questo emendamento è stato cancellato, come è stato cancellato il dibattito in Parlamento. Vorrei ricordare che anche le regioni forti, penso ancora una volta al Piemonte, hanno già esaurito la cassa integrazione in deroga: per dire quanto sia grave la situazione e come questa situazione sia estesa a molte regioni italiane. In questo modo voi avete cancellato una speranza, la speranza di imprimere una svolta nella crisi.
Le parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di uscire da questa crisi cambiati, ma con più eguaglianza, più competitività e più forza corrono il rischio, con questa manovra, di essere messe in un angolo al di là delle approvazioni formali. Lo confermo: la montagna degli annunci - su questo avete una grande abilità mediatica, invidiabile - ha partorito il topolino delle risposte e delle risorse. Avete anche dimenticato che c'è una delega sulla riforma degli ammortizzatori di cui al Protocollo del 2007; vi ricordo che questa delega è scaduta, ma non è stata neanche inserita nel cosiddetto «decreto-legge milleproroghe» e finché il progetto di legge n. 1441-quater non verrà Pag. 43approvato, vi sarà una vacanza di delega che potrà essere ripresa solo successivamente.
In conclusione, voglio ricordare anche qui che in un'altra epoca nella quale l'Italia ha vissuto un momento drammatico di crisi economica, in cui si diceva che eravamo sull'orlo del baratro, era il 1993, si fece un grande patto di concertazione tra le forze politiche, nonché tra forze politiche e parti sociali, un atto forte del Governo di riregolazione dell'economia per fronteggiare la crisi. Fu un patto che sconfisse l'inflazione, che gettò le basi per una nuova crescita del Paese, per l'ingresso a testa alta nell'Europa.
Noi vi abbiamo chiesto con insistenza, ripetutamente, di stringere un nuovo patto sociale, su questi argomenti, in questa circostanza, senza confondere il ruolo di maggioranza e di opposizione perché siamo consapevoli che quando il Paese ha un'emergenza drammatica come questa, che si chiama occupazione, lavoro, reddito, arrivare a fine mese, abbiamo bisogno di unire le forze su un grande progetto, su un grande investimento. Voi questo ce lo avete negato, ma negandolo a noi vi assumete la grande responsabilità di averlo negato al Paese. State sicuri che noi continueremo la nostra battaglia per il bene di questo Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Colaninno, che illustrerà il suo emendamento 29.1, ma credo anche che raccoglierà interventi di altri colleghi. Ne ha facoltà.

MATTEO COLANINNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il mio intervento assorbo gli interventi anche dei colleghi Lulli, Fluvi e Baretta. Nel momento in cui il Parlamento si accinge ad approvare le misure predisposte dal Governo per fronteggiare la gravissima crisi economica e finanziaria non possiamo sottrarci all'esigenza di valutare la validità e l'efficacia di tali misure in rapporto anche all'eccezionalità della situazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 19,15)

MATTEO COLANINNO. La gravità della congiuntura internazionale è stata negli ultimi mesi evidenziata da tutti gli attori istituzionali a livello internazionale e non è quindi necessario, in questo momento, una mia disamina delle caratteristiche e delle cause di una crisi dalle proporzioni veramente ingenti che si riflette sui comportamenti degli operatori economici su scala planetaria.
Di fronte alla caduta dei consumi e degli investimenti, di fronte al grave rischio del crollo della domanda aggregata con i conseguenti effetti in termini occupazionali e deflattivi, il nostro compito adesso è di concentrarci sulle risposte che la politica economica può mettere in campo, attivando tutti gli strumenti manovrabili dai Governi nazionali. Purtroppo un'analisi lucida e obiettiva delle disposizioni contenute in questo decreto-legge ci porta a formulare un giudizio di assoluta inadeguatezza sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo delle misure predisposte dal Governo.
In tutti questi mesi credo che noi, come Partito Democratico, abbiamo avuto un atteggiamento assolutamente responsabile.
Nel momento in cui si è aperta la più grave crisi finanziaria che ha contagiato l'economia finanziaria del mondo e ha investito come un'onda d'urto anche la nostra economia italiana (che già era di per sé in recessione tecnica), abbiamo accolto i primi decreti per stabilizzare gli intermediari finanziari con un grande senso di responsabilità. Nello stesso tempo, con la stessa responsabilità abbiamo ammonito il Governo sull'insufficienza di quelle misure. Si tratta di un'insufficienza che andava in più direzioni, la prima delle quali proprio nella direzione del credito. Fin dall'inizio, infatti, quei provvedimenti a nostro avviso (e così purtroppo si è rilevato) non avrebbero determinato quegli effetti che i decreti volevano ridurre. Abbiamo assistito, infatti, per mesi sostanzialmente ad un mercato interbancario Pag. 44bloccato, con differenziali di tassi di interesse, interbancari e di quelli di riferimento BCE, che si sono progressivamente allargati e che hanno nello stesso tempo impedito fluidità nel meccanismo del credito. Quei provvedimenti, che noi comunque avevamo responsabilmente riscontrato e sui quali ci volevamo confrontare con un atteggiamento positivo per rispondere come una grande forza di opposizione, hanno dimostrato in sé implicitamente di avere dei vizi che ancora oggi non sono stati assolutamente risolti. L'impresa (soprattutto la piccola impresa) continua a denunciare sofferenze nell'accesso al credito, ovvero a denunciare quelle sofferenze che quei provvedimenti avrebbero voluto ridurre.
Fin dall'inizio abbiamo ammonito il Governo e il Ministro dell'economia e delle finanze che non era sufficiente (anche se indispensabile) ridare stabilità ai mercati finanziari, ma che di fronte ad un rischio di crollo verticale della domanda aggregata era immediatamente indispensabile porre dei pesanti correttivi per ridare il potere d'acquisto alle famiglie. Ricordo che sia l'ISTAT sia la Caritas hanno più volte lanciato un allarme sull'ampliamento di fasce sempre più pesanti di persone in difficoltà e di un ceto medio che sempre più si avvicina a momenti di grande difficoltà. Quindi, avevamo responsabilmente posto e richiamato il Governo ad affrontare il tema della crisi non solo nella prospettiva di stabilizzazione dei mercati finanziari, ma anche e soprattutto nei confronti delle famiglie e delle imprese (soprattutto le piccole) che avevano bisogno di ulteriori interventi.
Dunque, ci siamo immediatamente preoccupati che la sofferenza dell'economia potesse comportare anche delle emergenze sociali e purtroppo i fatti ci hanno dato ragione. Quando, infatti, si arrivano ad ipotizzare 700 mila o un milione di posti di lavoro in pericolo, si sta parlando non solo di una gravissima crisi economica e finanziaria, ma anche della stessa tenuta sociale del Paese che di fronte a questi numeri indubbiamente si pone a dei potenziali molto gravi.
Inoltre - e lo dico anche da persona che ha fatto delle importanti esperienze imprenditoriali anche in Confindustria e anche all'interno della sua presidenza - ci ponevamo di fronte ad un drammatico problema generazionale, rispetto al quale una politica del coraggio che sappia guardare in faccia la crisi non può voltare lo sguardo. Noi ci troviamo di fronte ad una generazione giovane che ha avuto accesso al mercato del lavoro attraverso contratti a termine, quella flessibilità che è risultata mancante nella «gamba» degli ammortizzatori sociali, delle sicurezze rispetto ai giovani entrati nel mondo del lavoro attraverso questi contratti. Oggi ci dobbiamo preoccupare di fronte a questo dramma generazionale, il quale rischia di non avere le risposte concrete di fronte a questa crisi.
Fin dall'inizio abbiamo ammonito il Governo sul tema dell'estensione degli ammortizzatori sociali rispetto a questi giovani che oggi, da una parte, si trovano la crisi «sbattuta in faccia» e, dall'altra, non hanno alcuna risposta. Abbiamo chiesto fin dall'inizio, quindi, una cura shock e un intervento pesante e rapido per le famiglie, per il sostegno ai redditi più bassi e per rafforzare la competitività della piccola impresa.
Finora abbiamo ottenuto risposte che non ci convincono assolutamente e abbiamo affermato, fin dall'inizio, che la maggioranza deve sentire la responsabilità di condividere con l'opposizione una strategia seria di rilancio. Anch'io, come ha ricordato il collega D'Antoni, sono assolutamente rispettoso delle risorse che in questo momento vengono collocate nelle tasche degli italiani da parte dell'attuale maggioranza, ma le rispetto ancor di più se esse vengono quantificate e prese per quello che sono. Parliamo di 40 euro, con tutti i meccanismi di difficoltà della social card: li rispetto, ma 40 euro rimangono! Parliamo di un bonus alle famiglie e di difficoltà di accesso a queste risorse attraverso meccanismi complicati, burocratici e «a rubinetto». Parliamo anche di risorse assolutamente marginali rispetto alla straordinarietà della crisi, che vanno Pag. 45nella direzione dell'impresa e, soprattutto, della piccola impresa. Stiamo parlando, ancora, di una crisi che, a detta di tutti, è senza precedenti e gli strumenti che oggi vengono messi in campo, seppur rispettabili, rimangono nell'ordinarietà: non è pensabile, in questo momento, né frenare la curva e la caduta verticale della curva economica, né, tantomeno, rilanciare il volano dell'economia.
È ovvio che il sentiero è stretto. Siamo assolutamente consapevoli anche noi del vincolo del bilancio pubblico e della finanza pubblica del nostro Paese e del fatto che il rapporto tra lo stock ed il prodotto è superiore al 100 per cento e siamo assolutamente consapevoli del problema del disavanzo in rapporto al PIL. Siamo altrettanto consapevoli che nel 2006 - io non ero parlamentare, ma sedevo nella presidenza di Confindustria - il precedente Governo, presieduto da Romano Prodi e con Tommaso Padoa Schioppa al Ministero dell'economia e delle finanze, ereditò un bilancio pubblico in seria difficoltà, sul quale è stata aperta nel 2006 una procedura di infrazione per deficit eccessivo da parte dell'Unione europea. Ciononostante, ricordo che, quando ero in Confindustria e facevo l'imprenditore, noi imprenditori avevamo chiesto con forza misure di competitività per l'impresa e, soprattutto, per la piccola impresa italiana.
Il Governo, ripeto, si trovava di fronte un bilancio con un avanzo primario ridotto praticamente a zero e una procedura di infrazione per deficit aperta, eppure ebbe il coraggio di riscontrare le richieste di competitività provenienti dal mondo imprenditoriale: vennero messi sul tavolo 7 miliardi di euro di detrazioni fiscali e contributive per la competitività dell'impresa e venne predisposto un grande progetto per l'innovazione e la competitività dell'impresa (il credito di imposta, anche lì, fu frutto di una grande collaborazione con la Confindustria); vennero messi in campo una grande prospettiva e un grande piano che riguardava la frontiera delle nuove tecnologie in campo energetico.
La politica, quindi, nei momenti di difficoltà non ha l'alibi di non trovare le risorse. L'onorevole Bersani lo ha detto molto chiaramente: lo Stato deve trovare i soldi. Il sentiero è stretto, ma credo che la politica del coraggio possa portare anche questo Governo, che certamente ha i voti e il consenso per continuare a governare da solo, a non interpretare questo momento così difficile in questa incomprensibile, assurda e splendida solitudine.
Il rischio che state assumendo, che state facendo correre anche all'intera nazione, di rispondere a questa crisi con strumenti assolutamente ordinari, credo sia più grave di quello che potremmo assumerci tutti insieme adottando misure certamente più rischiose, ma che avrebbero il merito e, a mio avviso, la responsabilità di provare a dare uno shock forte ai consumi e agli investimenti delle imprese.
Arrivo all'illustrazione dell'emendamento, anche perché ci troviamo di nuovo in un grande paradosso. Vi è un provvedimento nato per fronteggiare la più grave crisi sistemica degli ultimi decenni e sembra che il Governo si voglia accanire proprio nei confronti di quelle poche leve di incentivo fiscale concesse alle famiglie e alle imprese italiane per creare sviluppo. Una sintesi perfetta è quella suggerita dall'articolo 29, norma che ha suscitato critiche vivaci da parte di tutte le organizzazioni di rappresentanza degli operatori economici. Sotto la barriera dell'introduzione di meccanismi di controllo per assicurare la trasparenza e l'effettiva copertura delle agevolazioni fiscali, in realtà l'effetto della disposizione è quello di applicare a tutti i crediti di imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge - e, quindi, anche ai crediti di imposta per le spese per le attività di ricerca e alle detrazioni per interventi di riqualificazione energetica degli edifici, il cosiddetto 55 per cento - la normativa sul monitoraggio dei crediti di imposta, cioè, in questo momento, con un quadro di finanza pubblica non più con procedura UE pendente, voi state andando in direzione diametralmente opposta alla sinergia Pag. 46che era stata prodotta dal precedente Governo e dalle rappresentanze degli imprenditori.
In sintesi, questa normativa, per assicurare il rispetto degli oneri finanziari previsti nelle disposizioni che hanno introdotto le agevolazioni fiscali in parola, in concreto condiziona pesantemente la fruibilità delle agevolazioni concesse in forma di credito d'imposta sulla base del principio generale in base al quale i soggetti interessati hanno diritto di fruire dei crediti di imposta vigenti fino all'esaurimento delle disponibilità finanziarie appositamente stanziate per ciascuno di essi. La comunicazione dell'avvenuto esaurimento delle risorse secondo una particolare procedura di monitoraggio ne impedisce l'ulteriore fruizione. È evidente che discipline di questo tipo assicurano e garantiscono che il costo delle agevolazioni per il bilancio pubblico non ecceda quello quantificato al momento dell'introduzione dell'agevolazione e ciò rappresenta sicuramente una giusta preoccupazione. La nostra proposta di emendamento punta, quindi, a superare l'impatto negativo in termini di crescita economica di tali interventi sulla disciplina delle agevolazioni fiscali, che possono risultare cruciali in questo periodo di crisi, come ho prima illustrato. Ci riferiamo in modo particolare ai crediti di imposta per le spese di attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo, ma grande importanza hanno anche le detrazioni per la riqualificazione energetica degli edifici, che riguardano spese documentate relative ad interventi di adeguamento degli immobili, volte a garantire migliori risultati in termini di risparmio energetico. Oltretutto, ciò significa assoggettare queste preziose agevolazioni ad ulteriori adempimenti burocratici. Nello specifico, per usufruire del credito di imposta per la ricerca, occorre che le imprese inoltrino per via telematica all'Agenzia delle entrate un apposito formulario. Sulla base dei dati rilevati dai formulari pervenuti, esaminati rispettandone rigorosamente l'ordine cronologico di arrivo, l'Agenzia delle entrate comunica telematicamente ai soggetti interessati l'esito delle istanze. Anche per l'agevolazione del 55 per cento si prevedeva che i contribuenti inviassero all'Agenzia, in via telematica, apposita istanza per consentire il monitoraggio della spesa e la verifica del rispetto dei limiti di spesa. L'Agenzia delle entrate esamina le istanze secondo l'ordine cronologico di invio delle stesse e comunica, entro trenta giorni dalla ricezione dell'istanza, l'esito della verifica agli interessati.
La funzione della detrazione è comunque subordinata alla ricezione dell'assenso da parte dell'Agenzia delle entrate; decorsi 30 giorni dalla presentazione dell'istanza senza esplicita comunicazione di accoglimento da parte dell'Agenzia, l'assenso si intende non fornito.
Veniva introdotta, insomma, una singolare e penalizzante per il cittadino forma di silenzio-diniego. Questo impianto normativo ha suscitato critiche così unanimi da spingere il Governo a modificarlo in extremis, ripristinando l'automatismo del bonus del 55 per cento per l'anno 2008 e prevedendo, per il 2009-2010, una disciplina meno vessatoria, soprattutto escludendo la subordinazione dell'agevolazione all'assenso dell'Agenzia delle entrate.
Concludo il mio intervento, esprimendo piena sintonia con l'intervento del presidente del mio gruppo, onorevole Soro; nello stesso tempo, condivido le ferme prese di posizione del Presidente della Camera dei deputati di fronte ad una continua torsione e distorsione dell'assetto di Repubblica parlamentare vigente che questa Costituzione garantisce, alla quale continuiamo ad assistere dall'inizio di questa legislatura.
In tutti questi mesi abbiamo dimostrato rigorosamente il nostro senso di responsabilità verso i cittadini, verso il Parlamento, verso questa crisi senza precedenti, presentando dieci emendamenti.
Mi sembra un atteggiamento di grande disponibilità e di grande senso istituzionale rispetto a questo Parlamento. Prendiamo atto, con rammarico, che l'appello, tra l'altro, del Presidente della Repubblica, contenuto nel suo discorso di fine anno, in cui parlava di corresponsabilità e di convergenza Pag. 47di responsabilità di maggioranza e di opposizione per far uscire l'Italia migliore da questa crisi, è stato, purtroppo, ed è rimasto inascoltato.
In un'occasione importante, come quella dei provvedimenti contro la crisi, abbiamo assistito di nuovo ad uno stravolgimento della Carta costituzionale. Sono convinto, e concludo davvero, che questo sia il momento della politica del coraggio, della responsabilità e della solidarietà.
Sono ancor di più convinto - di fronte alle misure messe in campo dai Governi europei, alla quantità di risorse messe in campo, illustrate prima di me da illustri colleghi, guardando quanto sta facendo la stessa America di fronte ad un disavanzo che sta viaggiando intorno all'8-10 per cento del proprio prodotto interno lordo, rispetto a quello che stanno facendo le grandi democrazie del mondo, guardando questa maggioranza e questi numeri - che nessun Governo e nessuna maggioranza possa pensare di dare risposte convincenti e coraggiose di fronte al sentiero e ai vincoli di bilancio che abbiamo, senza il contributo e la corresponsabilità dell'opposizione.
Non è, onorevoli colleghi, una questione di ottimismo o di catastrofismo; non è una questione di ottimisti o di disfattisti. Dobbiamo guardare in faccia questa crisi, senza moltiplicare, certamente, il pessimismo, ma avendo la schiena dritta per guardarla in faccia e non prendere in giro chi guarda a queste istituzioni.
Dobbiamo guardarla in faccia per elaborare antidoti coerenti e non antidoti rispettabili, ma ordinari, rispetto all'eccezionalità della crisi. Penso - e concludo - che non sia con un ottimismo ipocrita, ma creandone i veri presupposti, che i mercati finanziari, l'economia e la politica possano uscire da questa crisi senza precedenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Delfino, che illustrerà l'emendamento Galletti 1.9, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, ci troviamo in una stagione e in una fase sulle quali sono state già dette e logorate molte parole.
Abbiamo davanti a noi la realtà di un Paese che cresce nella sua difficoltà economica e in quella del lavoro, nella difficoltà delle famiglie ad affrontare, con sempre maggiore complessità, le esigenze quotidiane del proprio bilancio familiare.
A fronte di tale difficoltà, registriamo una serie di appelli, non ultimo quello rivolto dal Presidente della Repubblica Napolitano, cercando di dare un segnale forte - almeno così lo ha letto e lo interpreta il gruppo parlamentare dell'UdC - nella direzione di far crescere una visione nuova e vera, una grande coesione nazionale per affrontare una crisi economica e finanziaria, i cui ambiti e le cui ricadute sembrano ancora lontani dall'essere totalmente percepiti ed approfonditi.
Non abbiamo assunto, in questi otto mesi del Governo Berlusconi, un atteggiamento pregiudiziale; abbiamo cercato di capire le ragioni che hanno portato il Governo, il Ministro dell'economia e delle finanze e la maggioranza ad una serie di successivi provvedimenti, con cui cercare di far fronte anche alle crescenti difficoltà che l'economia manifestava lungo il decorso di questi mesi.
Certamente, tra le misure che sono state assunte voglio soltanto ricordare quella sulle banche, la Robin Hood tax, che sembrava essere preliminare ad una politica del togliere risorse a ceti e realtà economiche che avevano - allora sembrava - una grande abbondanza, per riversarle in termini puntuali ed immediati sulle famiglie.
Cito solo tale intervento per collocare in una visione realistica un approccio che certamente abbiamo per qualche verso condiviso (con un atteggiamento di astensione o di voto favorevole su alcuni provvedimenti che si sono dipanati), ma che ci ha poi condotto - questa è la preoccupazione preliminare che voglio qui rappresentare - ad un approccio e ad un modo di affrontare i problemi economici e finanziari Pag. 48che sono stati manchevoli, rispetto all'esigenza fondamentale, quando si manifesta una così grande emergenza, di uno sforzo vero e comune di tutto il Paese e di tutte le forze politiche.
Vi è stata più che altro una rivendicazione, molto spesso formulata più per ragioni strumentali e di parte, ad un invito al dialogo, ma poi non si è voluto, da parte del Governo e della maggioranza, giungere ad una discussione franca che effettivamente guardasse al bene comune e che ci consentisse di dare una risposta a tutto campo alle difficoltà che si manifestavano.
Dunque, abbiamo un impegno che vogliamo ribadire anche oggi in questa situazione, con un anno nuovo che vede ripetersi un voto di fiducia, che toglie a questa speranza e a questa volontà, manifestata a parole, di arrivare ad un dialogo e ad un confronto, quel terreno e quella possibilità di confronto parlamentare che abbiamo sempre detto essere la via maestra. La nostra opposizione si è sempre qualificata come un'opposizione né pregiudiziale né strumentale, ma come un'opposizione che ha guardato dentro la realtà dei problemi e sui problemi ha formulato proposte molto specifiche.
Ribadiamo per l'ennesima volta alla maggioranza e al Governo che questa esigenza di costruire insieme una risposta efficace ai problemi dell'economia, ai problemi del lavoro, ai problemi delle famiglie, ai problemi delle imprese, è un'esigenza ineludibile, inderogabile e che deve essere affrontata in un quadro largamente condiviso.
Vorrei qui richiamare un'azione che abbiamo svolto e discusso nell'ambito della Commissione lavoro della Camera, dove abbiamo affrontato i temi degli ammortizzattori sociali e i temi di una risposta ai problemi del lavoro e dell'occupazione, per l'esigenza - che abbiamo intensamente rilevato - di dare strumenti a una politica del lavoro che premiassero chi lavora, chi aumenta la produttività e naturalmente penalizzassero coloro che invece non vogliono contribuire, in una fase così importante, ad uno sforzo più diligente e più forte.
Allora ritenevamo - lo avevamo già detto rispetto al decreto-legge n. 112 del 2008, approvato nella scorsa estate - assolutamente positivo un diverso modo di affrontare i temi del lavoro e della pubblica amministrazione, però avevamo ribadito che non si poteva procedere con decisioni solitarie da parte della maggioranza e del Governo. Soprattutto, occorreva un confronto forte, che portasse il lavoro dipendente, privato e pubblico, ad avere una risposta in termini di maggiore salario, collegato agli incentivi e alla produttività in modo omogeneo.
Riscontriamo invece che allora, per quanto riguardava lo strumento della detassazione del lavoro, si disse da parte del Governo e da parte del Ministro del lavoro nonché del Ministro della pubblica amministrazione Brunetta che quella era una misura sperimentale, temporanea e sulla quale poi, in sede di finanziaria e dei provvedimenti collegati alla manovra di finanza pubblica, si sarebbe data una risposta.
Su questo tema non riconosciamo e non notiamo alcun passo in avanti: ancora si sviluppa una politica di sostegno alla produttività e agli incentivi, con strumenti tra l'altro imperfetti, non completamente rispondenti anche alle sollecitazioni delle forze sociali, e vediamo che queste misure di incentivazione e di riconoscimento di una maggiore produttività nel pubblico impiego invece vengono negate. Quindi, questa è una prima constatazione che abbiamo rilevato e che abbiamo assolutamente ribadito nella Commissione lavoro.
Allo stesso modo, per quanto riguarda il tema degli ammortizzatori sociali, abbiamo fatto presente che condividiamo, in termini generali, l'utilizzo degli strumenti della cassa integrazione straordinaria e della casa integrazione in generale, per cercare di adeguare la risorsa lavoro nella sua realtà professionale e nella sua possibilità di formazione e di qualificazione. Tuttavia, vorrei fare riferimento ai provvedimenti Pag. 49da noi fortemente contestati, come, ad esempio, il decreto-legge n. 112 del 2008, concernente i lavoratori precari che, secondo l'impostazione originaria del Governo, dovevano stare a casa a partire dal 1o gennaio 2009. A seguito del dibattito svolto proprio in Commissione lavoro, vi fu un emendamento recepito dal Governo, che proponeva di spostare al 30 giugno la risoluzione di tutti i rapporti precari nella pubblica amministrazione.
Anche allora, avevamo detto che, davanti a questa difficoltà dei lavoratori, soprattutto quelli precari, quelli a tempo determinato, quelli a progetto, era necessario aprire lo strumento degli ammortizzatori sociali a nuovi settori, a nuovi comparti, e dare rappresentanza e possibilità di sussistenza (e, quindi, di sostegno) anche a queste nuove figure professionali. Tutta la materia dell'estensione a nuovi comparti non solo non ha fatto passi in avanti, ma sostanzialmente vi è stata una regressione. Notiamo certamente con favore l'ampliamento delle risorse, però sappiamo che esse sono assolutamente insufficienti per far sì che si risponda alla drammatica realtà del lavoro e, soprattutto, del lavoro precario.
Si sente spesso dire dai rappresentanti e dai Ministri del Governo, come anche dalla maggioranza, che si fa tutto ciò che è possibile e non è possibile fare tutto, ma certamente in un provvedimento così titolato, come quello di cui stiamo parlando, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, al lavoro, all'occupazione e all'impresa, ritenevamo - e riteniamo - che un approccio fondamentale andava garantito nella direzione di articolare gli interventi di sostegno, soprattutto riconoscendo la centralità della famiglia, le situazioni delle famiglie con familiari a carico e le maggiori difficoltà che hanno le famiglie numerose e con figli. Questa sensibilità, che abbiamo visto tante volte essere annunciata e condivisa nelle dichiarazioni da parte del Governo, a partire dalle dichiarazioni programmatiche di insediamento del Presidente del Consiglio, poi, non è tradotta in efficaci provvedimenti.
Per questo motivo, oggi chi ha più bocche da sfamare, chi ha un nucleo familiare con figli, a parità di reddito, si trova a sopportare un carico per una risorsa sociale fondamentale come la famiglia, senza che il Governo, il Parlamento né la sua maggioranza tengano conto di una situazione peculiare, irrinunciabile, che non può essere ulteriormente affrontata in questi termini.
Anche per quanto riguarda il tema dell'impresa, abbiamo affrontato sovente tale questione dal punto di vista dello snellimento, della semplificazione amministrativa e burocratica e di una maggiore corresponsabilità degli imprenditori e dei lavoratori per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro.
Recentemente il sottosegretario Viespoli, rispondendo ad una interpellanza a mia firma e a firma del gruppo Unione di Centro, ebbe a dire che sulla sicurezza nei luoghi di lavoro si era fatto tutto il possibile.
Al di là dei fatti, ahimè tragici, dei continui e costanti incidenti che si verificano sul lavoro, riteniamo che, dopo le enunciazioni condivisibili - come abbiamo detto in Commissione e come diremo nell'analisi definitiva del libro verde promosso e messo in discussione dal Governo e dal Ministro Sacconi - si è però proceduto lungo una direzione che ha portato ad attuare, più che una semplificazione responsabile e una sburocratizzazione e più che andare incontro alle imprese, una politica di liberismo rispetto a questo tema che rischia di penalizzare gravemente una parte rispetto all'altra.
Al contrario, noi abbiamo sostenuto - e lo ribadiamo in questa sede - che la questione fondamentale della sicurezza sui luoghi di lavoro (e quindi del sostegno all'impresa) passa anche attraverso una corresponsabilità più forte delle forze sociali, vuoi datoriali e vuoi sindacali, al fine di trovare quelle misure largamente condivise che, invece, non sempre nei provvedimenti portati avanti dal Governo in questi anni abbiamo rilevato.
Per questo motivo, signor Presidente, volendo proseguire l'analisi di questo Pag. 50provvedimento (alcuni colleghi lo hanno fatto e altri lo faranno nella fase delle dichiarazioni di voto), crediamo, pur rilevando alcuni elementi positivi perché siamo con i piedi per terra, che anche un assetato, davanti ad una goccia d'acqua, è portato ad assumere quella goccia d'acqua con grande sollievo personale; riteniamo, però, che questa sia una politica che non si confà ad uno Stato come il nostro che vuole prospettare un rilancio, un superamento della crisi, coinvolgendo (come dicevo prima nel richiamare il Presidente della Repubblica) tutte le migliori energie del Paese, della società civile e delle nostre istituzioni a partire dal Parlamento.
Il nostro auspicio profondo è che il Governo cerchi di aprire un dialogo ed un confronto con le forze politiche parlamentari e che in tale ricerca manifesti una vera disponibilità; credo che allora andremmo ad individuare con consapevolezza e coscienza misure di cui conosciamo tutti i risvolti e penetriamo tutti gli aspetti, senza trovarci in un Parlamento che, come anche in questa occasione, si trova a dividersi soltanto per una scelta del Governo, di fronte ad una realtà di opposizioni diverse, di opposizioni che, di fronte alle difficoltà del Paese, hanno comunque riscoperto prima di tutto la responsabilità verso il Paese stesso, presentando un numero ridotto di proposte emendative. Su queste proposte un confronto vero in Parlamento avrebbe certamente portato al miglioramento del provvedimento e per questo motivo esprimeremo un voto contrario.
Speriamo che si voglia ridisegnare (come dice una parola nel testo del provvedimento) un quadro di interventi di politica economica, sociale e del lavoro, ma - mi consenta signor sottosegretario - anche di politica familiare che possa effettivamente offrire una vera speranza di uscire insieme da questa crisi e di aprire una nuova stagione di crescita, di sviluppo e di lavoro per la nostra comunità nazionale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ciccanti, che illustrerà l'emendamento Galletti 1.7, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario Vegas, onorevoli colleghi, questo emendamento si inserisce, ovviamente, all'interno della situazione contabile di questo provvedimento. La manovra timidamente espansiva delineata dal Governo si attesta, in termini di indebitamento netto, su circa 6 miliardi di euro per il 2009, 3,5 miliardi di euro per il 2010 e 4,4 miliardi di euro per il 2011. L'aumento netto di spesa corrente è di soli 3 miliardi e 400 milioni di euro per il 2009, con un impatto preponderante per il solo esercizio 2009 del bonus famiglie, che costa 2 miliardi e 400 milioni di euro e del contributo in conto interesse sui mutui che costa 350 milioni di euro. Per quanto riguarda la spesa in conto capitale, si rileva una riduzione complessiva degli investimenti pari a ulteriori 360 milioni di euro. A fronte degli investimenti comunque programmati si rileva quello per il 2009, pari a 960 milioni di euro per le Ferrovie dello Stato, su una spesa complessiva in conto capitale, per il 2009, di 1.270 milioni di euro.
Elencati questi aspetti positivi, dobbiamo evidenziare quelli negativi, relativi alla copertura di tali maggiori spese. Il riallineamento dei valori contabili, che per il 2009 dovrebbe procurare 2 miliardi e 400 milioni di euro di maggiori entrate e un miliardo e 772 milioni di euro derivanti da maggiori accertamenti fiscali per il 2009, lasciano fortemente perplessi. Il riallineamento dei valori contabili presuppone che i contribuenti aderiscano al supposto vantaggio di una rideterminazione dei valori patrimoniali dei loro beni. Dalla relazione tecnica non emergono dati oggettivi e statistici che possano rendere credibile tale stima e su tale rilievo converge anche il parere del Servizio Bilancio della Camera dei Deputati.
La stessa osservazione va formulata in relazione alla stima dell'accertamento fiscale: non ci sono elementi oggettivi che giustifichino tale maggiore entrata tanto che, sui saldi di cassa, viene definito un Pag. 51introito effettivo variabile tra il 10 e il 15 per cento delle somme iscritte, come entrata nel saldo netto da finanziare. Vale a dire che nemmeno il Governo crede di realizzare un'entrata pari a un miliardo e 700 milioni di euro per il 2009 derivante da maggiori accertamenti fiscali. Se si escludono la maggiorazione dell'IVA sui servizi televisivi e l'addizionale sul materiale pornografico e quanto aggiunto con un emendamento delle Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) della Camera dei Deputati concernente le trasmissioni afferenti la credulità dei telespettatori con telefonate a pagamento, le altre entrate sono solo desideri che non si avvereranno, con un conseguente aumento dell'indebitamento e del debito pubblico. Siamo di fronte ad un bilancio taroccato per ingannare probabilmente la Commissione europea ed i mercati finanziari. Questo va detto per amore della verità e per denunciare la mancanza di una strategia di riforme strutturali che ristrutturi veramente il sistema fiscale e riqualifichi la spesa pubblica. Siamo agli spot, alla politica del giorno per giorno, a tirare a campare, nonostante una solida maggioranza che dovrebbe garantire decisioni coraggiose e di lunga durata.
Veniamo alle specifiche misure: tra le più significative rileviamo il bonus per la famiglia, il contributo in conto interesse per i mutui per l'acquisto della prima casa e la detassazione degli incentivi per il comparto sicurezza. Condividiamo queste misure perché erano state proposte dall'UdC nei precedenti provvedimenti finanziari e questo Governo le aveva respinte.
Per quanto riguarda il bonus per le famiglie l'intervento previsto è una misura una tantum per il solo 2009 che costa, come dicevo, 2 miliardi 400 milioni di euro quando poteva valere almeno il doppio, sia per ragioni di equità sociale, sia a fini economici, per l'incremento dei consumi interni.
Lo spot del Governo parla di sostegno alle famiglie con figli. Ho in mente il titolo de Il Sole 24 Ore, che il giorno dopo il provvedimento del Governo recava, a tutta pagina: bonus per otto milioni di famiglie. Non era vero niente: in realtà queste famiglie c'entrano ben poco, infatti beneficeranno davvero di questo bonus solo otto milioni di soggetti, ma non soggetti famiglia. Di questi, 3 milioni 546 mila 914 sono pensionati in famiglie monocomponenti e 2 milioni 956 mila 616 sono famiglie con due persone, marito e moglie, con redditi fino a 17 mila euro l'anno.
Quindi, degli otto milioni di soggetti solo 6 milioni 503 mila 530, cioè l'81 per cento, riguardano famiglie senza figli, che dei 2 miliardi 400 milioni di euro destinati prenderanno ben un miliardo 600 milioni di euro, cioè il 66 per cento, lasciando appena 803 milioni di euro per le famiglie con figli e handicappati a carico: davvero un'elemosina. Basti pensare che ad una famiglia con moglie e tre figli a carico viene dato un beneficio di 600 euro per il solo 2009, ma a partire dal 28 febbraio prossimo, pari cioè a 1,6 euro al giorno, ossia 41 centesimi ciascuno al giorno: il costo di mezzo chilo di pane o di un pezzo di pizza per la scuola.
L'inconsistenza della misura è stata mitigata dall'emendamento 2.54, che ha previsto un eventuale ipotetico finanziamento degli assegni familiari per complessivi 350 milioni di euro qualora si verifichino minori spese a carico dello Stato derivanti dai minori costi dei mutui ai quali lo stesso Stato ha destinato un contributo sui tassi di interesse che superino il 4 per cento. Allo stesso modo anche l'assimilazione dei titolari di reddito da lavoro autonomo a quelli da lavoro dipendente per gli assegni familiari, tanto sbandierata come una misura definita, è in realtà uno spot pubblicitario. Infatti non viene destinato uno stanziamento specifico per tale misura, ma viene prevista una tendenziale assimilazione dei redditi da lavoro autonomo, così come è stato previsto dall'emendamento 2.54. Sicché ci troviamo di fronte ad eventuali minori spese e ad una tendenziale assimilazione di misure legislative, tutte ipotetiche, il cui esito è tutto da verificare, un abile gioco Pag. 52delle tre carte del Governo per apparire sulla stampa, sulla televisione di Stato e sulle televisioni di Berlusconi.
Per quanto riguarda il contributo in conto interessi per mutui contratti per la prima casa ci si trova anche in qui di fronte ad un altro spot. Da una parte si dice, nella relazione tecnica, che lo Stato si accollerà la quota di interessi eccedenti il 4 per cento dei mutui a tasso variabile in corso, dall'altra ci si dice che le condizioni di mercato dei tassi per il 2009 potrebbero attestarsi solo di qualche decimale sopra il 4 per cento (viene definito un tasso del 4,10 per cento), ovvero scendere sotto il 4 per cento e quindi esonerare lo Stato da qualunque intervento. Nulla viene detto per coloro che hanno un mutuo a tasso fisso superiore al 4 per cento per la prima casa.
Questi probabilmente, per il Governo e per la maggioranza, sono figli di un'altra Repubblica. Sicuramente lo Stato sarà costretto ad accorgersi di loro a causa dei contenziosi che nasceranno. Infatti, situazioni eguali non possono essere trattate in modo diseguale.
È di tutta evidenza l'assenza di una politica della casa per i cittadini meno abbienti e di una politica di riqualificazione urbana dei quartieri degradati che costituirebbe una risposta sociale ed economica nello stesso tempo, se è vero che intorno all'edilizia operano 32 settori indotti, soprattutto costituiti da artigiani e piccole e medie imprese. Anche qui il decreto-legge è stato corretto ed integrato dall'emendamento 2.55, che ha aggiunto il comma 5-ter, che prevede l'incremento del Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione di appena 20 milioni di euro per il solo anno 2009, a fronte di un fabbisogno e di un'esigenza dieci volte superiore.
Veniamo ora alle altre norme. Anche qui si tratta di propaganda e spot, fumo negli occhi per gli italiani, materia per pubblicità governativa sulla stampa e sulla televisione. Si pensi al blocco delle tariffe: queste non potranno aumentare, in base al tasso di inflazione, per tutto il 2009. Però, poi la norma precisa che le tariffe di acqua, luce, gas e autostrade potranno aumentare in ragione dei maggiori oneri effettivamente sostenuti e, comunque, il blocco non vale per i servizi di pubblica utilità degli enti locali, che sono la stragrande maggioranza delle erogazioni di questi servizi di pubblica utilità. Una bella presa in giro! Infatti, tutti possono constatare che i prezzi delle materie prime sono crollati a cominciare dai prodotti energetici e che l'inflazione è in discesa e che, comunque, è assorbita nella voce dei maggiori oneri effettivamente sostenuti, dove lievitano i maggiori costi da scaricare sulle tariffe, che senza liberalizzazioni aumenteranno, stante il monopolio dell'offerta.
Il bonus elettrico, vale a dire una franchigia a favore delle famiglie economicamente svantaggiate nonché di famiglie con più di quattro figli a carico e con reddito ISEE non superiore a 20 mila euro, è un'agevolazione del precedente Governo Prodi spacciata per una novità. L'onere maggiore per la compensazione di tale agevolazione non è a carico dello Stato, ma di altre utenze elettriche non domestiche. In tal senso è negativo l'emendamento Abrignani 3.36, approvato dalle Commissioni V e VI, che ha ristretto l'applicabilità del bonus elettrico ai soli clienti domestici con persone in gravi condizioni di salute, tali da richiedere l'utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche alimentate da energia elettrica per la loro esistenza in vita: davvero una maggioranza eroica. Va, inoltre, sottolineato l'emendamento 3.106 che ha esteso ai settori dell'energia elettrica e del gas il blocco dell'aumento di contributi e tariffe in relazione al tasso di inflazione, già previsto per il settore idrico.
Per quanto riguarda, poi, la sospensione della riscossione del sovrapprezzo sui pedaggi autostradali incassato dall'ANAS, la relazione tecnica non dice nulla su come viene compensato. Chi paga il minore introito nel bilancio dell'ANAS? Anche qui nascerà un bel pasticcio per le casse dello Stato, perché su di esso graverà l'obbligo di reintegro. Vedremo poi, tra Pag. 53qualche mese, le pretese dell'Unione europea sugli effetti indiretti sull'IVA, che subirà contrazioni non compensate.
Sugli ammortizzatori sociali, di cui all'articolo 19, commi 1 e 8, non mi soffermo. Condivido le considerazioni del collega Bersani, del collega D'Antoni e del collega Damiano. Mi limito ad aggiungere che avverto un certo cinismo politico e sociale. La crisi occupazionale è drammatica. I quotidiani di destra Libero e Il Giornale, durante le vacanze natalizie, ci hanno fatto vedere un'Italia che si diverte e che spende.
Le TV di Stato e di Berlusconi ci hanno detto che c'erano cenoni da 800 e 1.000 euro a persona, che la spesa per consumi è cresciuta e alberghi e ristoranti hanno fatto il pieno. La crisi non c'è. Sicuramente ci sono quelli che la crisi non la sentono e il Popolo della Libertà non la vede. È vero che noi dell'UdC e noi del family day la crisi la vediamo e la sentiamo. La vediamo attraverso la Caritas e il banco alimentare, la sentiamo perché con 1.200 euro al mese non si mantiene una famiglia, quella che si declina troppo spesso in termini etici e non economici e sociali.
Ci saranno, secondo la CISL, 900 mila disoccupati in più nel 2009. Questi disoccupati, come altri, non avranno neanche 1.200 euro al mese. C'è un sistema di protezione sociale inadeguato che tutela parzialmente chi è nel mercato del lavoro, ma ignora coloro che ne stanno fuori. C'è un sistema previdenziale che nega diritti e opportunità alle donne ed è il più oneroso d'Europa a fronte di un sistema di tutele sociali tra i più poveri d'Europa.
A questa maggioranza questo mondo sociale, questo target elettorale, non interessa perché non è la propria base elettorale. Finanziate questa manovra con 7 miliardi e 400 milioni di euro di risorse, di cui 5 miliardi 147 milioni derivanti da maggiori entrate tributarie dovute a meccanismi introdotti dall'odiato Ministro Visco. Il 70 per cento, infatti, deriva dal gettito IRPEF, cioè da chi paga le tasse.
È scomparsa la lotta all'evasione fiscale. Abbiamo un miglioramento dei saldi - sottosegretario Vegas, lei che è un esperto e quindi capisce il senso di queste cifre - di soli 390 milioni per il 2009. Saremmo pure stati i primi a varare misure anticrisi in Europa, ma siamo gli ultimi per risorse destinate al rilancio dei consumi e degli investimenti.
Ognuno per sé e Dio per tutti: questo dovrebbe essere il titolo del decreto-legge in esame. Siamo preoccupati di tale cinismo comunicativo. Siamo preoccupati per un Paese deluso e disorientato, quel Paese più debole che la virtù cristiana vorrebbe fosse al primo posto di un Governo che a tale virtù si richiama, troppo spesso solo in termini meramente elettorali.

PRESIDENTE. Sono così conclusi gli interventi per l'illustrazione delle proposte emendative. Il seguito dell'esame del provvedimento è rinviato alla seduta di domani che avrà inizio a partire dalle ore 14 con lo svolgimento delle dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia.

Per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo.

AMEDEO CICCANTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, intervengo per sollecitare il Governo a fornire una risposta alla mia interrogazione n. 4-01679, presentata il 20 novembre e rivolta al Ministro del lavoro.

IVANO STRIZZOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, intervengo anch'io per sollecitare il Governo a rispondere ad una interrogazione che ho presentato molto tempo fa circa il grave problema degli ex militari contagiati dall'uranio impoverito. Su tale problema, in questi giorni c'è stata anche una sentenza del tribunale di Firenze.

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PRESIDENTE. Onorevoli Ciccanti e Strizzolo, la Presidenza si farà carico di sollecitare le risposte del Governo alle interrogazioni che sono state richiamate.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 14 gennaio 2009, alle 14:

(ore 14 e dopo l'esame del punto 2)

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale (per la votazione della questione di fiducia e il seguito dell'esame) (1972-A).
- Relatori: Corsaro, per la V Commissione e Bernardo, per la VI Commissione.

(dopo la votazione della questione di fiducia)

2. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata):
Conversione in legge del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, recante misure urgenti in materia di semplificazione normativa (2044).

La seduta termina alle 20,15.