XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di mercoledì 13 ottobre 2010

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 13 ottobre 2010.

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Castagnetti, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fitto, Gregorio Fontana, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Jannone, La Russa, Leo, Leone, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Mazzocchi, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Vegas, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bongiorno, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Caparini, Carfagna, Casero, Castagnetti, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fitto, Gregorio Fontana, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Jannone, La Russa, Leo, Leone, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Mazzocchi, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Vegas, Vito.

Annunzio di una proposta di legge.

In data 12 ottobre 2010 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
NASTRI: «Disposizioni per l'istituzione di scuole di agricoltura nell'ambito delle iniziative di cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo» (3765).

Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

La proposta di legge BINETTI ed altri: «Agevolazioni fiscali e altre norme a sostegno dell'accesso all'abitazione per le giovani famiglie» (621) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Vaccaro.

La proposta di legge COSENZA ed altri: «Modifica all'articolo 184 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e altre disposizioni contro l'inquinamento ambientale e i danni alla salute derivanti dalla dispersione dei mozziconi dei prodotti da fumo nel suolo e nelle acque» (3344) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Ginoble.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
VII Commissione (Cultura):
MELANDRI: «Istituzione dell'insegnamento dell'"introduzione alle religioni" nella scuola secondaria di primo grado e nella scuola secondaria superiore» (3711) Parere delle Commissioni I, V, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
XI Commissione (Lavoro):
DAMIANO ed altri: «Agevolazioni per la conversione dei rapporti di collaborazione in contratti di lavoro a tempo indeterminato, nonché modifiche all'articolo 61 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di limiti di applicazione del contratto di lavoro a progetto, e all'articolo 82 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in materia di esclusione del costo del lavoro nell'applicazione del criterio del prezzo più basso» (3542) Parere delle Commissioni I, V, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
PISICCHIO: «Abolizione del termine previsto dagli articoli 127 e 128 del testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, per la presentazione delle domande di pensione per eventi verificatisi prima della data di entrata in vigore del medesimo testo unico» (3726) Parere delle Commissioni I, IV e V.
XIII Commissione (Agricoltura):

BELLOTTI: «Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa» (3113) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), V, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
NASTRI: «Disciplina dell'agricoltura biologica» (3704) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI, VII, VIII, X, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IX (Trasporti):

LANZILLOTTA ed altri: «Abrogazione dell'articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, concernente limiti all'esercizio e all'uso delle postazioni pubbliche per comunicazioni telematiche e dei punti di accesso ad internet mediante tecnologia senza fili» (3736) Parere delle Commissioni II, X, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 12 ottobre 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), per l'esercizio 2009. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dell'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 230).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

Il ministro per le politiche europee, con lettera in data 12 ottobre 2010, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 3 e 19 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

La Commissione europea, in data 12 ottobre 2010, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Progressi nella realizzazione degli obiettivi di Kyoto (a norma dell'articolo 5 della decisione n. 280/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad un meccanismo per monitorare le emissioni di gas a effetto serra nella Comunità e per attuare il protocollo di Kyoto) (COM(2010)569 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente);
Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni a norma dell'articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (COM(2010)581 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente).

La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla rilevazione statistica dei trasporti di merci su strada (rifusione) (COM(2010)505 definitivo), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 28 settembre 2010, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla IX Commissione (Trasporti), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), è altresì assegnata alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 13 ottobre 2010.

Trasmissione dalla Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Il presidente della Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, con lettera in data 12 ottobre 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera n), della legge 12 giugno 1990, n. 146, e successive modificazioni, copia dei verbali delle sedute della Commissione relative ai mesi di giugno e luglio 2010.

Questa documentazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

Nell'Allegato A al resoconto della seduta del 7 ottobre 2010, a pagina 5, seconda colonna, alla trentottesima riga, dopo la parola: «VII» si intende inserita la seguente: «, XI».

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Conseguenze dell'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948 in materia di associazioni di carattere militare con scopi politici - 3-01271

DONADI, DI STANISLAO, FAVIA, EVANGELISTI e BORGHESI. - Al Ministro per la semplificazione normativa. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, contiene il «Codice dell'ordinamento militare», rivisitato alla luce della legge sulla semplificazione della legislazione;
tale ultima legge (legge 28 novembre 2005, n. 246) contiene una delega al Governo per la permanenza in vigore delle leggi approvate prima del 1970, prevedendo che nei decreti delegati il Governo faccia un elenco delle leggi che vengono mantenute in vigore e di quelle che si abrogano, nel rispetto dei principi e criteri direttivi;
il «Codice dell'ordinamento militare» semplificato e riordinato a marzo 2010 si compone di 2.272 articoli ed è entrato in vigore 5 mesi dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo avvenuta l'8 maggio 2010, esattamente il 9 ottobre 2010;
nell'articolo 2268 del codice vi è l'elenco delle norme primarie che vengono espressamente abrogate e che include al numero 297) il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, ovvero il decreto che punisce le associazioni di carattere militare con scopi politici. Precisamente il decreto legislativo punisce «chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o partecipa ad associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici, costituite mediante l'inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina ed ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l'eventuale adozione di gradi o di uniformi, e con organizzazione atta anche all'impiego collettivo in azioni di violenza o di minaccia»;
la delega data al Governo esclude dalla semplificazione normativa le «disposizioni la cui abrogazione comporterebbe lesione dei diritti costituzionali» e la Costituzione, all'articolo 18, comma 2, vieta espressamente «le associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare», oltre a prevedere tra i valori costituzionali la protezione dell'ordine pubblico. Pertanto, il Governo non poteva abrogare il decreto legislativo n. 43 del 1948;
fino alla data dell'entrata in vigore del Codice dell'ordinamento militare, pochi giorni fa, il Governo poteva e doveva intervenire a modificare gli eventuali errori contenuti nella lista delle leggi abrogate, attraverso la pubblicazione in Gazzetta ufficiale di un comunicato contenente le correzioni necessarie, dal momento che, dopo l'entrata in vigore del codice, le modifiche possono essere fatte solo con un atto di pari rango, ovvero con un nuovo decreto legislativo. Le correzioni sono semplici e veloci da farsi, mentre l'approvazione di un nuovo decreto legislativo ha tempi piuttosto lunghi, oltre alle conseguenze che comporta l'entrata in vigore di un'abrogazione come quella indicata;
il Governo, per giunta, era già intervenuto proprio sulla lista delle leggi da abrogare contenuta nel Codice dell'ordinamento militare, al fine di eliminarne alcune; e lo ha fatto attraverso il comunicato del 7 settembre 2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 7 settembre 2010, n. 209. Si è trattato appunto di una correzione;
l'Italia dei Valori aveva chiesto a gran voce che il Governo mantenesse in vigore il decreto legislativo che punisce le associazioni di carattere militare con scopi politici, facendo pubblicare in Gazzetta ufficiale un comunicato che poteva essere di un solo rigo, prima del 9 ottobre 2010;
non avendolo fatto, l'entrata in vigore del codice nella sua versione attuale, ha comportato che i procedimenti penali attualmente in corso per i reati di cui al decreto legislativo n. 43 del 1948 termineranno con un'archiviazione o una sentenza di assoluzione perché il reato non esiste più, anche se successivamente il Governo intervenisse con un decreto legislativo che ripristini la vigenza del reato di associazione di carattere militare con scopi politici, anche solo indiretti. Né la situazione cambierebbe se, successivamente, la Corte costituzionale dichiarasse incostituzionale l'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948;
in particolare, l'eliminazione di questo reato avrà da subito l'effetto di porre fine al procedimento in corso a Verona da ben 14 anni, nel quale sono imputati 36 esponenti politici del partito della Lega Nord, che avevano dato vita e partecipato alla «Guardia nazionale padana». Un processo nel quale erano coinvolti anche i vertici del partito, incluso il Ministro Bossi, la cui posizione è stata «stralciata» -:
se il Governo sia consapevole di aver determinato con propri atti l'abrogazione di una norma per la quale diversi esponenti leghisti sono sottoposti a giudizio con l'accusa di aver organizzato un'associazione di carattere militare con scopi politici. (3-01271)
(12 ottobre 2010)

Risultati conseguiti in materia di semplificazione normativa e ulteriori iniziative al riguardo per favorire la competitività del «sistema Paese» - 3-01272

BALDELLI e STRACQUADANIO. - Al Ministro per la semplificazione normativa. - Per sapere - premesso che:
già nel precedente Governo Berlusconi, con la legge di semplificazione del 2005 (legge n. 246 del 2005), è stata introdotta la versione italiana della ghigliottina normativa, il cosiddetto taglia-leggi, che si è rivelato un obiettivo strategico per il miglioramento della qualità della regolazione;
l'effettiva consapevolezza dell'importanza di questi temi è dimostrata anche dal programma della Commissione europea di riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi derivanti da normative comunitarie e nazionali, da realizzarsi entro il 2012;
semplificare il sistema normativo che regola la vita di cittadini e imprese significa anche rendere più semplice e proficua l'attività svolta da questi soggetti -:
quali siano i risultati già raggiunti dall'inizio della XVI legislatura in materia di semplificazione normativa e le iniziative che si intendono adottare per produrre benefici effettivi anche sulla competitività del sistema Paese. (3-01272)
(12 ottobre 2010)

Orientamenti del Governo in merito alla partecipazione dei privati alla gestione e valorizzazione del patrimonio culturale - 3-01273

COSENZA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'Italia possiede il più grande e straordinario patrimonio culturale del mondo. Eppure - come dimostrano molti esempi, a partire da quello dei Campi flegrei, in cui musei e siti archeologici sono abbandonati in stato di totale incuria - la gestione pubblica di questo patrimonio è spesso insufficiente per mancanza di risorse e per carenze organizzative;
sul polo opposto si pongono Paesi, come gli Stati Uniti, la Francia, la Germania o la Gran Bretagna, che al contrario sono dotati di un patrimonio culturale certamente di minore spessore, sia quantitativo che qualitativo, rispetto all'Italia. Eppure lo sanno sfruttare nel modo migliore, valorizzandolo sia sul piano della conservazione che su quello dell'utilizzo a fini turistici, grazie, in particolare, al ricorso alle risorse del privato, che, se affiancate a quelle pubbliche e se selezionate in base a criteri rigorosi, possono garantire un'offerta culturale di qualità;
l'esempio più eloquente è, in particolare, quello degli Stati Uniti, dove grandi istituzioni culturali, come il Metropolitan museum di New York, ricevono sostegni pubblici in quantità del tutto minoritaria rispetto alle donazioni ricevute dai privati (semplici cittadini, università, istituzioni culturali, fondazioni e imprese) oppure sono direttamente gestiti da soggetti privati -:
quali siano gli intendimenti del Governo rispetto alle seguenti ipotesi:
a) affidare a privati in totale concessione sperimentale i musei italiani oggi più periferici e peggio gestiti, superando i limiti molto stretti posti dall'attuale ordinamento, che affida ai privati solo la conduzione di alcuni servizi;
b) estendere alle sponsorship delle imprese private coinvolte in progetti culturali la disciplina del credito di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico;
c) alzare dal 19 per cento attuale al 30 per cento l'aliquota da portare in detrazione fiscale, quando le erogazioni in favore di istituzioni culturali siano effettuate da persone fisiche. (3-01273)
(12 ottobre 2010)

Intendimenti del Governo in merito alla proroga dell'efficacia dei limiti previsti dall'articolo 7 del decreto-legge n. 144 del 2005 in materia di accesso senza fili alla rete Internet - 3-01274

RAO, COMPAGNON, CICCANTI, NARO, VOLONTÈ, GALLETTI, LIBÈ, OCCHIUTO, ENZO CARRA e MEREU. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 7 del decreto-legge n. 144 del 2005 (il cosiddetto decreto Pisanu) ha posto dei limiti severi, in termini di adempimenti burocratici, per l'accesso senza fili alla rete internet;
la norma, infatti, obbliga il gestore di pubblico esercizio, dopo aver chiesto una specifica licenza al questore, a richiedere l'identificazione da parte di coloro che vogliono accedere alla rete a mezzo wi-fi e a conservare in un apposito archivio i vari log relativi ai clienti/utenti;
adottata nell'ambito delle misure volte a contrastare il terrorismo internazionale, una regolamentazione dell'utilizzo delle reti wi-fi aperte così rigida è riscontrabile solo in Italia e comporta elevati oneri burocratici, oltre a rappresentare un freno all'utilizzo della rete da parte dei cittadini e all'erogazione dei nuovi servizi offerti da parte delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici;
la norma, infatti, limita l'utilizzo dei servizi informativi diretti, quelli della infomobilità, dei servizi innovativi per la fruizione di beni culturali, ambientali e servizi per il turismo, dei servizi specifici destinati ai diversamente abili, dei servizi in ambienti pubblici, come aree verdi, biblioteche, ospedali, e dei servizi per la sicurezza;
il «decreto Pisanu» dal 2005 è stato oggetto di numerose proroghe, l'ultima delle quali scadrà il prossimo 31 dicembre 2010 -:
se non ritenga opportuno evitare una ulteriore proroga di una norma che non ha eguali in Europa e che rischia di frenare lo sviluppo del wi-fi in Italia, di pregiudicare il processo di semplificazione in atto e di limitare il diritto dei cittadini al libero accesso ai servizi della pubblica amministrazione. (3-01274)
(12 ottobre 2010)

Misure in relazione alla chiusura dello stabilimento Carrier di Torreglia (Padova) e iniziative per la riduzione del costo del lavoro al fine di contrastare la delocalizzazione delle imprese - 3-01275

REGUZZONI, LUCIANO DUSSIN, FOGLIATO, LUSSANA, MONTAGNOLI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAL LAGO, D'AMICO, DESIDERATI, DI VIZIA, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, LANZARIN, MAGGIONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI, VOLPI e ZAFFINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
è notizia di questi giorni che l'azienda multinazionale Carrier chiude lo stabilimento di Torreglia per delocalizzare la produzione dei banchi frigo nell'Est Europa;
la decisione è stata ufficializzata con una lettera inviata alle segreterie provinciali di Fim, Fiom e Uilm, in cui si comunica l'apertura della procedura di licenziamento per cessata attività dei 193 lavoratori interessati, dirigenti inclusi;
nella lettera medesima la multinazionale americana spiega i motivi del trasferimento della produzione di banchi frigo nella Repubblica ceca ed in Ungheria, dove sono presenti altri stabilimenti Carrier, ovvero che il costo di produzione a Torreglia è del 60 per cento, contro il 28 per cento nell'Est Europa;
come risulta da notizie di stampa, alla base della chiusura dello stabilimento non c'è una carenza di ordini e quindi di attività, ma semplicemente un'operazione di delocalizzazione, che andrebbe contrastata anche in relazione al grande impatto che tale iniziativa determina sul piano occupazionale;
da diversi giorni i lavoratori presidiano lo stabilimento per tentare di evitarne la chiusura;
le modalità con cui la Carrier ha comunicato la propria decisione e, sopratutto, i motivi che stanno alla base della stessa destano grande preoccupazione a livello politico-locale, paventando il rischio che il modo di operare della Carrier possa essere seguito dalle altre multinazionali, presenti in gran numero nella provincia di Padova -:
se ed in quali termini il Governo intenda intervenire con urgenza per risolvere una questione che sta creando preoccupante allarme sociale e se non convenga sull'opportunità di adottare al più presto misure volte alla riduzione del costo del lavoro, al fine di evitare il diffondersi di iniziative di delocalizzazione, anche valutando l'adozione di misure che introducano meccanismi premiali a favore delle aziende che non delocalizzano. (3-01275)
(12 ottobre 2010)

Iniziative per favorire la ripresa economica, anche in relazione ai nuovi parametri per l'accesso al credito stabiliti dall'accordo «Basilea 3» - 3-01276

MELCHIORRE, GRASSANO e TANONI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
tra poche settimane, come noto, sarà approvato in via definitiva il nuovo quadro normativo sulle condizioni per il credito, al fine di garantire la stabilità del sistema finanziario internazionale;
tali norme, conosciute come «Basilea 3», prevedono delle regole più rigorose dal punto di vista delle tutele previste per il capitale, al fine di garantire le banche da crisi finanziarie, grazie alla necessaria adozione da parte degli istituti di credito di requisiti patrimoniali più severi;
si opera, cioè, un «irrobustimento» del patrimonio delle banche, attraverso la modulazione del patrimonio di vigilanza rispetto al totale delle attività della banca, in considerazione del grado di rischio delle operazioni di prestito. Se queste cautele ridurranno il rischio di shock finanziari, al tempo stesso probabilmente questo significherà penalizzare tutte quelle piccole e medie imprese che incontreranno maggiori difficoltà nell'accedere al credito;
il rischio evidenziato in primis dagli stessi operatori è che, per realizzare nel lungo periodo l'obiettivo di tenuta e di maggiore affidabilità dell'intero sistema bancario, si produca, nel medio periodo, un danno alla ripresa economica, venendo a mancare proprio le risorse necessarie per superarla -:
se e con quali strumenti il Ministro interrogato intenda sollecitare o accompagnare la ripresa economica e, in particolare, fornire sostegno alle imprese del nostro Paese, alla luce del mutato contesto normativo internazionale tuttora in evoluzione. (3-01276)
(12 ottobre 2010)

Intendimenti in ordine a misure di protezione a favore dei magistrati destinatari di minacce e intimidazioni da parte della criminalità organizzata ed elementi di competenza in merito ad una presunta riunione tra esponenti di vertice delle mafie svoltasi recentemente a Messina - 3-01277

PICIERNO, FERRANTI, GARAVINI, MARAN, AMICI, QUARTIANI, GIACHETTI, CAPANO, CAVALLARO, CIRIELLO, CONCIA, CUPERLO, MELIS, ANDREA ORLANDO, ROSSOMANDO, SAMPERI, TENAGLIA, TIDEI e TOUADI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
si sta assistendo negli ultimi mesi al continuo ripetersi di azioni intimidatorie, minacce e attentati contro esponenti delle procure e operatori dell'informazione coinvolti nell'accertamento della verità e nel racconto di fatti riguardanti le organizzazioni mafiose;
l'intensa attività investigativa portata avanti in questi anni dalle forze dell'ordine e dalla magistratura ha consentito l'avvio di nuove indagini, l'arresto di numerosi latitanti, la confisca di beni per diversi milioni di euro, lo smantellamento di alcuni nuclei operativi di Cosa nostra, camorra e 'ndrangheta su tutto il territorio nazionale, l'apertura di nuovi importanti processi giudiziari;
in particolare, alcuni aspetti negli ultimi anni hanno dimostrato un rinnovato vigore nella lotta alle mafie da parte dello Stato: l'emergere di nuovi elementi sulle stragi di Capaci e Via D'Amelio, tali da condurre, secondo quanto risulta da notizie di stampa, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari ad annunciare, nel corso dell'audizione in Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere del 21 luglio 2010, la trasmissione alla procura generale della richiesta di revisione del processo per l'attentato in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta nel luglio del 1992; la realizzazione del più grande processo contro la camorra, il processo Spartacus, concluso nel corso del 2010 con il terzo grado di giudizio, che ha coinvolto 115 persone e condannato numerosi esponenti del clan dei Casalesi, fra cui Francesco Schiavone (detto Sandokan), Francesco Bidognetti, Michele Zagaria e Antonio Iovine, gli ultimi due processati in contumacia poiché latitanti; la grande energia con cui le forze investigative e giudiziarie hanno provveduto ad arresti, confische, indagini e processi ai danni della 'ndrangheta, in particolare dopo l'omicidio del vicepresidente della regione Francesco Fortugno nel 2004 e dopo la strage di Duisburg del 2007, nonché la centralità data dalla relazione annuale della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere del 2008 all'organizzazione criminale calabrese, a cui bisogna aggiungere l'evidente e positivo cambiamento intervenuto nella società calabrese, dove sono sorti vari movimenti a sostegno della legalità e dove sono apparsi per la prima volta dei collaboratori di giustizia appartenenti alle 'ndrine;
a questi importanti fatti sono seguiti avvenimenti che non possono che suscitare la più viva preoccupazione: sempre secondo quanto emerge da fonti di stampa, nel corso dell'audizione sopra citata in Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, è cominciato ad emergere come a impedire fino ad ora l'identificazione dei responsabili della strage di Via D'Amelio siano stati colossali depistaggi, le amnesie istituzionali, le false prove, parole chiare per descrivere come si vada delineando per gli avvenimenti del 1992 un coinvolgimento del più volte evocato «terzo livello», comprendente pezzi deviati dello Stato, uomini dei servizi, logge segrete; le minacce esplicite, considerate attendibili e pericolose, nei confronti del giudice Raffaele Cantone, della giornalista Rosaria Capacchione e dello scrittore Roberto Saviano, ognuno a suo modo protagonista di un nuovo racconto di verità sulla camorra, nonché le ripetute minacce e intimidazioni a esponenti politici e amministratori campani noti per l'impegno in difesa della legge; i ripetuti attentati e atti intimidatori avvenuti in Calabria negli ultimi mesi: la bomba del gennaio 2010 alla procura di Reggio Calabria, il 26 agosto 2010 lo scoppio di un ordigno nel palazzo del procuratore generale Salvatore Di Landro e il 5 ottobre 2010 il ritrovamento poco distante dalla procura di Reggio Calabria di un bazooka destinato al procuratore generale Pignatone; fatti particolarmente inquietanti, perché fanno emergere un tentativo delle organizzazioni criminali di rispondere all'attacco sferrato dallo Stato con maggiore violenza e ferocia, ricreando un clima che da più voci è stato descritto come simile a quello degli anni '90, precedente la stagione stragista;
in questo quadro, il recapito di una lettera anonima agli inquirenti di Caltanissetta, avente la forma di una nota riservata proveniente da organi investigativi o apparati di sicurezza, contenente informazioni riguardanti una recente riunione svoltasi a Messina tra esponenti di Cosa nostra, camorra e 'ndrangheta, per concordare e pianificare l'eliminazione fisica di rispettivi «nemici», fra i quali vengono citati lo stesso Lari, l'ex pubblico ministero Cantone e il procuratore Pignatone, assume dei contorni estremamente oscuri; la tempistica della nota e della relativa riunione di Messina risalirebbe proprio ai giorni successivi all'audizione svolta presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, in cui sono stati, tra l'altro, evidenziati gli ostacoli riscontrati nell'accertamento della verità sulla strage di Via D'Amelio -:
alla luce di quanto riportato, quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato ritenga opportuno avviare affinché sia accertata l'effettiva esistenza della riunione tra boss delle mafie tenutasi a Messina e di piani volti a dare vita a una nuova stagione di violenza, con attentati e omicidi «eccellenti», e al contempo, nel caso in cui questa ipotesi fosse considerata attendibile, quale ulteriore supporto intenda fornire all'azione repressiva e preventiva nei confronti delle organizzazioni mafiose, accertando che siano state prese le più efficaci misure di protezione e sicurezza per consentire piena incolumità e agibilità ai procuratori minacciati. (3-01277)
(12 ottobre 2010)

SCHEMA DELLA DECISIONE DI FINANZA PUBBLICA PER GLI ANNI 2011-2013 (DOC. LVII, N. 3)

Risoluzioni

La Camera,
esaminata la Decisione di finanza pubblica relativa alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2011-2013,
considerato che:
la Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 (DFP), trasmessa alle Camere il 30 settembre 2010, costituisce il nuovo documento di programmazione economica e finanziaria - delineato dalla legge di riforma della contabilità (legge n. 196 del 2009) - che sostituisce il Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) previsto dalla precedente disciplina contabile (legge n. 468 del 1978);
ai sensi dell'articolo 10 della nuova legge, la DFP indica gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica almeno per il triennio successivo. Essa reca, inoltre, quale importante novità rispetto al precedente DPEF, la definizione degli obiettivi programmatici articolati per i tre sottosettori del conto delle amministrazioni pubbliche relativi all'amministrazione centrale, alle amministrazioni locali e agli enti di previdenza;
la nuova legge di contabilità fissa al 15 settembre la data di presentazione dello schema di Decisione alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari (articolo 7, comma 2, lettera b)), un mese prima della presentazione al Parlamento dei disegni di legge di bilancio e di stabilità, prevista entro il 15 ottobre;
la procedura di formazione della DFP da parte del Governo avrebbe già dovuto iniziare il 15 luglio, con l'invio alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (in attesa della sua istituzione, alla Conferenza unificata Stato regioni-città ed autonomie locali) delle linee guida per la ripartizione degli obiettivi programmatici di finanza pubblica tra i diversi settori istituzionali, sulle quali la Conferenza è tenuta ad esprimere il parere entro il 10 settembre. Nel medesimo termine del 15 luglio le linee guida avrebbero dovuto essere trasmesse alle Camere;
oltre alla circostanza della tardiva presentazione al Parlamento dello schema di DFP 2011-2013, trasmesso il 30 settembre anziché il 15, l'anzidetta fase procedurale relativa alle linee guida di riparto degli obiettivi non risulta essere stata attivata;
avendo il Governo anticipato all'inizio dell'estate la manovra triennale di finanza pubblica 2011-2013 (decreto-legge n. 78 del 2010), la DFP per gli anni 2011-2013 si limita a recepire gli effetti del citato decreto-legge di manovra confermando nella sostanza - salvo alcune marginali modifiche derivanti dal quadro macroeconomico - gli obiettivi programmatici già esposti nella RUEF per il 2010, presentata a maggio scorso;
la Decisione di finanza pubblica non aggiunge nulla a ciò che già è stato stabilito dalla manovra della scorsa estate, ripropone le stesse cifre del decreto-legge n. 78 del 2010, conferma che il debito pubblico, nei prossimi anni, continuerà di fatto a crescere in rapporto al prodotto intorno lordo, e omette di prevedere e definire qualsiasi obiettivo per lo sviluppo economico del nostro Paese;
oltre a rappresentare, insieme al decreto-legge n. 78 del 2010, la prova che il nostro Governo ha disatteso le nuove procedure di bilancio introdotte dalla legge n. 196 del 2009, la Decisione di finanza rappresenta uno strumento di incerta valutazione da parte del Parlamento, anche e soprattutto a causa del notevole ritardo con cui è stato presentato, ovvero il 29 settembre scorso;
nella premessa alla DFP viene, inoltre, sottolineato il superamento dello stessa DFP quale documento di programmazione economica e finanziaria alla luce della ormai prossima riforma della politica economica europea, di una nuova versione del Patto di stabilità e crescita. Secondo quanto riportato nella citata premessa, i nuovi documenti politico-contabili europei (Stability Program, National Reform Program), che dovranno essere presentati da ciascun paese prima della fine dell'anno, assumeranno una «centralità politica assoluta ed assorbente». Sarà conseguentemente all'interno di questo nuovo schema europeo, e non all'interno dello schema di DFP che si dovrebbe concentrare la discussione sulla politica economica;
analogamente, il mutare del quadro di riferimento europeo dovrà comportare una sostanziale riforma della legge di contabilità n. 196 del 2009 al fine di allinearla alla nuova «sessione di bilancio» europea;
le revisioni del Patto di stabilità e crescita su cui sta maturando un consenso a livello europeo rendono gli scenari di finanza pubblica delineati in questa «decisione» del tutto inadeguati prospettandosi un aggiustamento più ampio del previsto;
la Decisione (DFP), ai sensi della nuova legge di contabilità e segnatamente della legge 31 dicembre 2009, n 196, avrebbe dovuto:
rappresentare lo strumento di programmazione, almeno triennale, sostitutivo del Documento di Programmazione Economico-Finanziaria (D.P.E.F);
indicare, secondo l'articolo 10 della nuova legge di bilancio, l'evoluzione economico-finanziaria internazionale, per l'anno in corso e per il periodo di riferimento, nonché le previsioni macroeconomiche tendenziali e programmatiche per l'Italia, per ciascun anno del periodo di riferimento;
esplicitare i parametri economici essenziali utilizzati per le previsioni di finanza pubblica in coerenza con gli andamenti macroeconomici tendenziali e programmatici;
contenere l'esposizione dei dati tendenziali a legislazione vigente del conto economico della pubblica amministrazione, del saldo di cassa e del debito, sia nel complesso, che ripartiti per i diversi sotto-settori in cui la pubblica amministrazione è articolata: amministrazione centrale, amministrazioni locali ed enti di previdenza e assistenza sociale;
indicare l'andamento tendenziale della pressione fiscale complessiva così come del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato e del saldo di cassa del settore statale;
fornire un'indicazione di massima delle risorse necessarie a confermare, per il periodo di programmazione, gli impegni e gli interventi di politica economica e di bilancio per i vari settori di spesa;
individuare gli obiettivi programmatici della pubblica amministrazione e l'articolazione della manovra necessaria al conseguimento degli obiettivi, dando evidenza all'apporto di ciascun sotto-settore;
indicare eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, ciascuno dei quali volto a concorrere al raggiungimento degli obiettivi programmatici fissati dalla DFP, anche attraverso interventi di carattere ordinamentale, organizzatorio e di rilancio e sviluppo dell'economia, e indicativamente, a fini conoscitivi, i valori del prodotto potenziale e degli indicatori strutturali programmatici del conto della pubblica amministrazione;
riportare il contenuto del Patto di convergenza, del Patto di stabilità interno e delle sanzioni per gli enti territoriali nel caso di mancato rispetto di quanto previsto da quest'ultimo;
rispetto al contenuto proprio della DFP, esso non risulta corredato dalle seguenti informazioni previste dalla nuova legge di contabilità n. 196 del 2009:
l'indicazione di massima delle risorse finanziarie necessarie a confermare normativamente, per il periodo di riferimento, gli impegni e gli interventi di politica economica e di bilancio adottati negli anni precedenti per i principali settori di spesa (articolo 10, comma 2, lettera d));
l'obiettivo di massima della pressione fiscale complessiva; la pressione fiscale è riportata nella DFP come dato previsionale (articolo 10, comma 2, lettera e));
il contenuto del Patto di stabilità interno, le sanzioni per gli enti territoriali nel caso di mancato rispetto di quanto previsto da quest'ultimo, nonché il contenuto del Patto di convergenza di cui all'articolo 18 della legge n. 42 del 2009, in relazione al quale debbono essere attivate le procedure e le sedi proprie nell'ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale (articolo 10, comma 2, lettera f));
alla Decisione di finanza pubblica non risultano allegati i seguenti documenti:
le relazioni programmatiche per ciascuna missione di spesa del bilancio dello Stato e le relazioni sullo stato di attuazione delle leggi pluriennali di spesa (articolo 10, comma 6);
il quadro riassuntivo delle leggi di spesa a carattere pluriennale (articolo 10, comma 7), con la ricognizione dei contributi pluriennali iscritti a bilancio (articolo 10, comma 8);
questo documento è dunque sostanzialmente e politicamente superato, come riconosciuto esplicitamente nella stessa premessa alla DFP,
rilevato che:
i dati principali contenuti nella Decisione di finanza pubblica (DFP) al nostro esame sono:
una leggera revisione al rialzo per la crescita del 2010, che passa all'1,2 per cento rispetto all'1 per cento stimato in aprile, ma contestualmente un peggioramento di 2 decimali per il PIL del 2011, ora all'1,3 per cento contro l'1,5 per cento della precedente previsione. Nel 2012 si dovrebbe raggiungere quota 2 per cento;
per quanto concerne il deficit, è confermato il percorso di rientro previsto dalla «Relazione Unificata» (RUEF) e dall'aggiornamento del programma di stabilità inviato a Bruxelles: 5 per cento del PIL a fine anno, 3,9 per cento nel 2011, 2,7 per cento nel 2012. L'incertezza sulla crescita e gli interventi a sostegno della Grecia incidono sul debito, che ora viene stimato per il 2010 al 118,5 per cento del PIL (contro il precedente 118,4 per cento), e nel 2011 è previsto un ulteriore aumento al 119,5 per cento (rispetto al 118,7 per cento stimato in aprile). La lenta discesa è indicata a partire dal 2012, quando il debito dovrebbe attestarsi al 117,5 per cento del PIL. Benché il deficit sia in crescita la corsa della spesa pubblica sembra segnare una battuta d'arresto: nel secondo trimestre di quest'anno è scesa dal 49,9 per cento di un anno fa al 48,2 per cento del PIL, la stessa tendenza si registra sui sei mesi. Un buon segnale per i conti pubblici, ma con riflessi negativi sull'economia reale: la spesa per investimenti, quella in conto capitale, è precipitata dal 20,4 per cento nel periodo gennaio-giugno 2010 rispetto al primo semestre del 2009);
del calo del PIL e dell'economia che procede al rallentatore sembra risentirne il gettito fiscale in diminuzione: le entrate totali nel secondo trimestre del 2010 sono diminuite di 0,8 punti su base annua (infatti nel secondo trimestre l'incidenza è stata del 44,7 per cento contro il 46,5 per cento nel secondo trimestre 2009). Stessa tendenza nei primi sei mesi dell'anno quando il rapporto tra entrate totali e PIL è stato pari al 42,3 per cento (43,3 per cento nel primo semestre 2009);
per la pressione fiscale la stima 2010 è del 42,8 per cento del PIL, contro il picco del 43,2 per cento dello scorso anno, e poi in leggera flessione al 42,4 per cento nel 2011 per poi risalire nel 2012 al 42,6 per cento;
l'inflazione media del 2010 resta stabile su base annua all'1,6 per cento;
il tasso di disoccupazione che si attesta all'8,7 per cento nel 2010 e nel 2011 (con un aumento di circa 1 punto percentuale rispetto al 7,8 per cento del 2009), e all'8,6 per cento nel 2012; tenendo conto dei cassaintegrati siamo intorno all'11 per cento, e questo è forse l'aspetto più preoccupante;
per quanto riguarda la spesa pensionistica, si rileva che le misure introdotte nell'ultimo anno consentiranno di stabilizzare e ridurre la spesa; nel 2010 sarà al 15,3 per cento ma poi scenderà al 14,8 per cento nel periodo 2012-2016;
il saldo primario, indicatore di grande importanza per saggiare la tenuta dei conti pubblici nel medio periodo, dal segno negativo di quest'anno (-0,3 per cento) passerà allo 0,8 per cento nel 2011 e al 2,2 per cento nel 2012; tuttavia, il saldo primario nel secondo semestre dell'anno resta scarso: è stato pari a 5,8 miliardi (contro i 6,5 miliardi nel corrispondente trimestre del 2009) con un incidenza positiva sul PIL, dell'1,5 per cento (+1,7 per cento nel corrispondente trimestre del 2009),
in sintesi, la DFP non aggiunge nulla a ciò che già è stato deciso;
ripropone le cifre della manovra di maggio, assumendo che essa si realizzi interamente e con piena efficacia;
il miglioramento del saldo primario (il risultato differenziale calcolato con riferimento ai conti pubblici depurato degli interessi passivi) deriverebbe nel triennio 2011-2013 da una sostanziale stabilità delle entrate (resta costante la pressione tributaria e si riducono leggermente i contributi sociali, in buona parte per il congelamento delle retribuzioni pubbliche) e da una riduzione di quasi tre punti di PIL della spesa primaria corrente;
il dato Istat del 6,1 per cento del rapporto tra deficit e PIL rende irrealizzabile l'obiettivo del 5 per cento entro fine anno salvo che non ci sia un nuovo intervento sui conti. Ma, considerando la situazione attuale, di grave depressione, un nuovo intervento, se non abbinato ad un intervento per favorire la crescita economica, sarebbe una catastrofe;
il debito pubblico continuerà a crescere, in rapporto al PIL, nel 2010 e 2011, la diminuzione nei due anni successivi lo riporterà nel 2013 a un livello analogo a quello del 2009, nonostante una previsione di crescita reale del prodotto al 2 per cento reale l'anno nel 2012-2013, che oggi appare ottimistica;
il Governo ha lasciato aumentare il debito pubblico italiano di altri 150 miliardi di euro. Il livello più alto mai visto e in questo caso il risanamento delle banche non è una scusa plausibile perché le ragioni, a nostro avviso, sono altre: la riduzione dello sviluppo, la riduzione delle entrate, l'aumento fuori controllo delle spese malgrado i tagli ed i regali fiscali a categorie sociali amiche;
gli ultimi dati Ocse sul PIL dicono che siamo fanalino di coda tra i paesi europei, tra i quali la Germania che cresce il quadruplo di noi e la Gran Bretagna oltre il doppio. Per rientrare nei parametri stabiliti da Bruxelles, l'Italia dovrà faticare non poco: questa è la realtà, ben diversa dal quadro che Tremonti e il suo Governo continuano a presentare ai cittadini;
il Financial Stability Report del Fondo monetario internazionale, diffuso il 5 ottobre 2010, evidenzia che il sistema finanziario resta il «tallone d'Achille» della ripresa economica mondiale e ad aggravarne i problemi hanno contribuito pesantemente negli ultimi mesi le difficoltà del debito pubblico, soprattutto dei paesi europei. Nel richiamato rapporto sulla stabilità finanziaria globale, il Fondo monetario internazionale nota fra i paesi europei, che l'Italia e la Grecia presentano un rischio più alto di altri per i conti pubblici: o perché il debito è alto in termini assoluti (ovvero supera il 100 per cento del PIL) o perché «sensibile al deterioramento della crescita». Nonostante l'allarme del FMI, il ministro Tremonti ostenta sicurezza affermando che nel 2010 siamo assolutamente tranquilli e che gli obiettivi di finanza pubblica saranno centrati;
per spezzare il legame perverso tra debito pubblico e debolezza dei sistemi bancari, il Fondo monetario internazionale, suggerisce un'azione decisa di risanamento dei bilanci statali, tenendo conto delle circostanze diverse dei singoli paesi, con programmi di medio termine, unitamente alla creazione in alcune banche europee di «cuscinetti» di capitale che ne riducano la vulnerabilità;
anche i nostri conti pubblici sono a rischio: il FMI ha, infatti, evidenziato i casi della Grecia e dell'Italia che per il loro livello del debito presentano rischi di bilancio più elevati e tendono ad essere più colpiti da un eventuale «shock della crescita», una frenata improvvisa. C'è il rischio di un «contagio» tra il debito sovrano dei paesi e quello degli istituti di credito legati da «una interazione negativa»;
le rassicurazioni del ministro dell'economia il quale ha sostenuto che anche con le nuove e più stringenti regole del Patto di stabilità europeo il nostro Paese sarebbe in una condizione «straordinariamente confortevole», non tranquillizzano affatto;
la Corte dei conti ha sostenuto nella audizione di fronte alle Commissioni bilancio di Camera e Senato che:
«Il riequilibrio prospettato nella DFP, affidato ad un forte contenimento della spesa, è allo stesso tempo di non agevole realizzabilità e non sufficientemente selettivo.
Il taglio massiccio delle spese di investimento è un indice significativo dei limiti e delle difficoltà attuali, Al termine del periodo di previsione, la pressione fiscale resta comunque molto elevata [...]. Vi è inoltre da valutare in che misura la revisione delle regole europee del Patto di stabilità e crescita, accelerando il percorso di rientro del debito, richiederà interventi sul livello di spesa. La sostenibilità di uno sforzo di contenimento ulteriore è strettamente legata alla capacità del Paese di ottenere tassi di crescita del prodotto superiori a quelli registrati negli ultimi anni. È indispensabile, a questo fine, che anche la politica di bilancio possa accompagnare tale processo»;
secondo le recentissime stime del Centro studi di Confindustria (settembre 2010), il reddito pro capite in Italia continua ad essere «in retromarcia» e con la crisi ha fatto passi indietro tornando ai livelli del 1998;
è infatti una «Italia più povera, in assoluto e ancor più in rapporto agli altri paesi avanzati» quella descritta dal rapporto di autunno del Centro studi di Confindustria, che, rinnovando l'allarme per il ritardo nelle riforme, sottolinea alcune questioni cruciali sul fronte dei «ritardi per la modernizzazione»:
semplicità e chiarezza delle regole per le imprese (a partire dalla riforma della pubblica amministrazione);
il carico fiscale sulle imprese e sui lavoratori;
l'istruzione; la ricerca e l'innovazione, terreno su cui siamo «in forte svantaggio»;
infrastrutture, settore in cui «il Paese ha dissipato la leadership che aveva quaranta anni fa tagliando le risorse e rafforzando il potere di veto dei sempre più numerosi soggetti interessati»;
la concorrenza: «le liberalizzazioni da sole aumenterebbero la produttività del 14,1 per cento»;
questi punti sono stati analizzati da Confindustria con un confronto rispetto ai dati degli altri paesi, da cui emergono «carenze strutturali e ritardi competitivi sempre più ampi che hanno compromesso risultati e potenzialità». Quadro che si focalizza in particolare sul fronte del fisco: «La battaglia dell'evasione spalancherebbe la strada al successo nella guerra per la modernizzazione del Paese oltre a liberare gigantesche risorse per lo sviluppo»;
il Centro studi di Confindustria «stima che il 2010 si chiuderà con 480 mila persone occupate in meno rispetto al 2008». Con un ricorso alla cassa integrazione «che rimarrà alto per il resto del 2010». Sono 450 mila i posti di lavoro già persi a fine giugno, altri 30 mila sono «a rischio» nella seconda metà dell'anno. Per il CsC «l'occupazione non ripartirà prima dell'anno prossimo», con una stima del +0,4 per cento delle unità di lavoro, ed un tasso di disoccupazione che «salirà, terminando il 2011 al 9,3 per cento»;
sul fronte della ripresa «la performance dell'Italia è tra le peggiori, così come lo era stata nella recessione». Il Centro studi di Confindustria, nel rapporto di autunno, ha così rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2011 (al +1,3 per cento, dal +1,6 per cento stimato a giugno) e confermato le previsioni per il 2010. Anche in Italia la ripresa «perde slancio». Serve «uno scatto di reni nelle riforme», ci sono «nodi strutturali non sciolti»;
il Centro studi di Confindustria ribadisce il nodo «dei gravi problemi di competitività che il Paese patisce»: lo scenario economico «si presenta più confuso e incerto» anche perché «letto attraverso le lenti dei nodi strutturali non sciolti». «In epoche normali - si legge nel rapporto di autunno - i dati recenti sarebbero stati colti come segnali di un fisiologico rallentamento» ma pesa «il timore che la frenata sia determinata dal prevalere dei venti contrari che impediscono il consolidamento e l'autosostenibilità della fase espansiva». Anche «la sostenibilità dei conti pubblici passa per la cruna delle riforme strutturali»;
la crescita del nostro Paese viene frenata comunque anche dal sommerso che, secondo il rapporto, «è bruscamente accelerato nel 2009» superando il 20 per cento del PIL (oltre 27 per cento se non si considera la pubblica amministrazione. Al Sud è il doppio). Dato che porta l'importo dell'evasione fiscale «su valori molto superiori ai 125 miliardi» stimati dal CsC lo scorso giugno. Anche la stima della pressione fiscale effettiva è «rivista all'insù», ad un livello «ben sopra il 54 per cento nel 2009», più del 51,4 per cento stimato dal CsC lo scorso giugno e del 43,2 per cento della «pressione apparente contenuta nei documenti ufficiali»;
oltre alla Confindustria, anche i sindacati hanno rilevato che la disoccupazione è in forte crescita:
dall'inizio della crisi al secondo trimestre 2010 nel nostro Paese sono stati persi oltre un milione di posti di lavoro;
il tasso di disoccupazione 2010 nel II trimestre è arrivato all'8,5 per cento, pari a circa 2 milioni e 136 mila persone. Le persone senza lavoro in Italia sono arrivate quasi a 15 milioni;
nella fase di picco della crisi, il III trimestre 2009, dei 508 mila posti di lavoro persi, circa 220 mila erano a tempo determinato e, per la prima volta dal 1999, 110 mila a tempo indeterminato;
le lavoratrici e i lavoratori coinvolti dalla cassa integrazione sono oltre un milione e 200 mila, pari a 650 mila inattivi con una perdita di salario uguale a 4.900 euro all'anno. Le imprese coinvolte nella crisi sono oggi oltre 5.000 con oltre 180 tavoli di trattativa aperti per oltre 400 mila lavoratori;
se consideriamo tra gli inoccupati anche gli scoraggiati (circa 300 mila nuovi inattivi, soprattutto al Sud) il tasso di disoccupazione reale arriva all'11 per cento e al 12 per cento con i lavoratori in CIG;
il tasso di disoccupazione reale si prevede tornerà ai livelli precedenti la crisi solo nel 2017;
la disoccupazione giovanile ha raggiunto il picco del 28,2 per cento a febbraio 2010 e nel II trimestre si è attestata al 27,9 per cento. La media europea nell'anno 2009 è del 19,8 per cento. Nel Mezzogiorno l'indice arriva al 39,3 per cento. In Italia, secondo il CNEL, nel 2009 sono stati oltre 450 mila i posti di lavoro persi da parte dei giovani compresi tra i 16 e i 24 anni;
secondo l'Istat nel 2009, poco più di due milioni di giovani non lavora e non frequenta nessun corso di studi. Rappresentano il 21,2 per cento della popolazione tra i 15 e i 29 anni. Sono i cosiddetti Neet (Not in education, employment or training);
per quanto riguarda coloro che sono fortunatamente impiegati, il 30 per cento della popolazione 18-29enne svolge un lavoro atipico ed è in questo segmento che si è concentrato il calo maggiore dell'occupazione: se, per ogni 100 giovani occupati nel primo trimestre 2008, a distanza di un anno, 15 sono transitati nella condizione di non occupato (erano 10 un anno prima), tra i giovani collaboratori questa percentuale sale a 27;
inoltre, cresce la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza:
secondo l'ultima indagine di Banca d'Italia sui redditi delle famiglie italiane, il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede quasi il 45 per cento dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane. La qualcosa sta a significare che 2.380.000 famiglie possiedono ognuna mediamente 1.547.750 euro. Così come il 50 per cento della popolazione - la metà più povera - possiede solo il 9,8 per cento della ricchezza netta complessiva: ovvero 11.908.000 famiglie posseggono mediamente 68.171 euro. La distanza tra la ricchezza netta media (137.956 euro) e la ricchezza netta mediana (di quel 50 per cento più povere, cioè 68.171 euro) evidenzia l'iniquità della distribuzione;
nel 2008, i redditi maggiormente dichiarati al fisco sono quelli da lavoro dipendente e da pensione, sia in termini di frequenza (86 per cento) che di ammontare (78 per cento). Seguono i redditi da partecipazione (5,47 per cento), i redditi d'impresa (5,03 per cento) e i redditi da lavoro autonomo (4,20 per cento). Il 27 per cento dei contribuenti (11 milioni) paga zero IRPEF al fisco (quota esente). Il 50,86 per cento dei contribuenti dichiara meno di 15.000 euro l'anno e il 40,04 per cento dichiara redditi tra 15.000 e 35.000 euro. E solo lo 0,9 per cento dei contribuenti dichiara redditi superiori ai 100.000 euro annui. In totale il 90,90 per cento (oltre 37 milioni di contribuenti) dichiara meno di 35.000 euro;
il reddito medio dei lavoratori dipendenti è pari a 19.280 euro e quello dei pensionati è di 13.440 euro. Oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000, di cui oltre il 60 per cento sono donne;
fra il 2000 e il 2010 i lavoratori italiani hanno perso 5.453 euro in potere d'acquisto. Per una parte dovuta all'inflazione che è stata più alta di quanto previsto e conteggiato nel rinnovo dei contratti di lavoro (3.384 euro), e per la parte rimanente a causa della mancata restituzione del «fiscal drag». Duemila euro a lavoratore versati in più per effetto del progressivo aumento delle aliquote sui redditi per effetto dell'aumento del costo della vita. In totale, nei dieci anni presi a riferimento, la perdita del potere di acquisto della somma di tutte le retribuzioni ha raggiunto la quota di 44 miliardi. Soldi che sono stati sottratti alle famiglie, hanno diminuito la domanda interna, ridotto i consumi e alimentato la crisi;
negli ultimi otto anni operai e impiegati hanno mediamente accumulato una perdita di reddito reale di 3.118 euro, imprenditori e liberi professionisti hanno visto aumentare considerevolmente le loro disponibilità e i profitti delle grandi imprese industriali negli ultimi anni sono cresciuti del 75,4 per cento;
di fronte a questa incontestabile situazione, emerge come priorità, l'urgente necessità di ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro, sulle pensioni e sugli investimenti delle piccole e medie imprese,
premesso che:
comunque, anche prendendo per buoni i dati contenuti nella DFP, rispetto alle previsioni diffuse dopo il varo della manovra estiva, emerge un deterioramento dell'avanzo primario di 0,2 punti di PIL (circa 3 miliardi di euro) per il 2011 e 2012. Ciò è dovuto «a parità di ipotesi di crescita» a «una riduzione del gettito atteso»;
le entrate vanno peggio di quanto si poteva prevedere a giugno. Un peggioramento che si è rimangiato un quarto della correzione effettuata con la manovra, che, ricordiamo, valeva 0,8 punti di PIL l'anno. In effetti, nei primi sei mesi dell'anno le entrate tributarie sono calate del 3,5 per cento: si tratta di circa 3 miliardi di entrate in meno che fanno comunque riflettere soprattutto tenendo conto che la manovra varata in primavera contava sulla possibilità di recuperare più di 8 miliardi all'evasione fiscale da qui al 2012,
sottolineato che:
secondo la graduatoria del World Economic Forum, l'Italia si posiziona nel 2010 al 73o posto su 133 paesi per la qualità del sistema infrastrutturale di trasporto. L'infrastrutturazione, oltre che, dalle minori risorse investite, è stata penalizzata anche dalle procedure che ritardano la realizzazione delle opere pubbliche. Il recupero del divario infrastrutturale italiano passa necessariamente per l'aumento della spesa pubblica destinata agli investimenti, e questa, negli ultimi quindici anni, è stata inferiore alla media dei paesi europei;
il recente rapporto ANCE sulle infrastrutture, sottolinea come «la situazione dei programmi regionali del Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS) del Mezzogiorno risulta molto più allarmante. Da più di un anno, fatta eccezione del caso della Sicilia, l'approvazione di questi programmi è continuamente rinviata dal Governo con la conseguenza che non può essere data certezza alla programmazione finanziaria e temporale di interventi fondamentali per lo sviluppo del Mezzogiorno e progettati per essere complementari a quelli finanziati con i fondi strutturali. A tre anni di distanza dall'avvio del periodo di programmazione (2007-2013), il persistente rinvio dell'approvazione dei programmi FAS rimette in discussione il principio di base della programmazione unitaria delle risorse europee e nazionali, basato sull'articolazione tra programmi finanziati con fondi europei e programmi finanziati con fondi nazionali»;
in tre anni gli investimenti sono calati circa del 20 per cento, e di oltre il 30 per cento nell'edilizia abitativa. Dei circa 12 miliardi deliberati dal CIPE nel 2009, in cui c'era un impegno del Governo per le grandi e piccole opere (tra cui 1 miliardo per le scuole), poco o nulla è stato trasformato in cantiere;
il Presidente del Consiglio in Aula alla Camera, in occasione del recente voto di fiducia al Governo, ha parlato di miglioramento al Mezzogiorno «dei servizi del trasporto regionale ferroviario, e ciò grazie alle risorse assegnate lo scorso anno e a quelle dell'acquisto di nuovi treni, tutti da immettere nel Sud Italia»;
la realtà è che con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» (approvato dal Parlamento prima della pausa estiva), si è disposto un taglio di circa 3,5 miliardi di euro per il trasporto pubblico locale in Italia. Inoltre, la delibera CIPE 121/2009, prevede una riduzione drastica di ben 218 milioni di euro delle risorse che erano previste per il capitolo di spesa: «Adeguamento rete ferroviaria meridionale, partecipazione FS a interventi a terra, Ponte sullo Stretto»;
proprio in questi giorni, le Commissioni parlamentari competenti, hanno dovuto esaminare 3 delibere del CIPE, che hanno ridotto sensibilmente l'ammontare di risorse destinate alla realizzazione di opere pubbliche indispensabili per lo sviluppo del Mezzogiorno e per il superamento del gap infrastrutturale sempre più profondo fra questa e le altre aree del Paese. Si prevedono riduzioni per un ammontare complessivo di 145 milioni per il completamento dell'asse autostradale Salerno-Reggio Calabria; di 263 milioni per la strada statale 106 «Ionica»; di 35 milioni per la metropolitana di Napoli; di 60 milioni per gli schemi idrici del Mezzogiorno; di 363 milioni per opere minori e interventi finalizzati al supporto dei servizi di trasporto. Si sono inoltre quasi dimezzate le risorse destinate alla voce «Opere medio piccole nel Mezzogiorno» portandole da 801 a 438 milioni di euro;
l'Allegato infrastrutture, presentato in ritardo all'esame delle Commissioni parlamentari, risulta sostanzialmente confuso a causa di un'elaborazione approssimativa con cifre che vengono riportate in modo inesatto, e totali che non corrispondono alla effettiva somma di più cifre. A questo si aggiunga che le tabelle presenti nell'Allegato sono diverse e quindi non raffrontabili con le analoghe tabelle dell'Allegato dello scorso anno;
il valore complessivo del Programma infrastrutture strategiche, per come si è evoluto in questi 10 anni, viene indicato in circa 231 miliardi di euro, dei quali circa il 36 per cento, per infrastrutture nel Mezzogiorno. Le opere prioritarie individuate per gli anni 2010-2013 riguardano circa 61 macro-interventi, pari a poco meno di 110 miliardi, di cui circa 39 disponibili e 70 ancora da reperire. Le opere e gli interventi completati o in fase di realizzazione che il Governo mira a concludere entro il 2020, sono invece 39, dei quali più della metà sono localizzati al Nord e al Centro;
nell'Allegato, il Governo conferma e ammette di fatto la totale carenza di risorse, chiarendo infatti come «Le risorse pubbliche necessarie globalmente per dare avvio e continuità alle scelte strategiche definite nel prossimo triennio ammontano a circa 64 miliardi di euro. Le risorse potenzialmente recuperabili sono pari a circa 19 miliardi. Sarà quindi necessario coinvolgere ulteriori capitali privati.»,
valutato che:
la crisi finanziaria ha messo a nudo l'inadeguatezza dei meccanismi di sorveglianza europei nel prevenire con efficacia «l'indisciplina» di bilancio, l'esplosione dei debiti sovrani, gli squilibri commerciali e i divari di competitività tra i paesi membri;
la Commissione europea ha adottato il 29 settembre scorso un pacchetto legislativo che prevede il più ampio rafforzamento della governance economica dell'Unione europea e dell'area dell'euro dal lancio dell'Unione economica e monetaria. Alla luce delle carenze della vigente normativa l'obiettivo è conseguire una sorveglianza più ampia e migliore delle politiche di bilancio, delle politiche macroeconomiche e delle riforme strutturali. Sono previsti nuovi meccanismi di controllo dell'osservanza delle norme per gli Stati membri inadempienti. Le disposizioni mirano a rafforzare le procedure di sorveglianza sulle politiche fiscali (la riforma del Patto di stabilità e crescita), e prevedono un'estensione della sorveglianza agli squilibri macroeconomici e «strutturali»;
tutti i paesi dovranno concordare obiettivi di bilancio di medio termine e, fino al loro raggiungimento, contenere la crescita della spesa pubblica al di sotto della crescita di medio termine del PIL;
la principale novità concerne la parte correttiva degli squilibri. Accanto alla soglia del deficit (3 per cento del PIL) è ora introdotto esplicitamente il criterio del debito pubblico, che deve convergere velocemente al 60 per cento del PIL. La violazione di uno dei due requisiti comporta l'apertura di una procedura d'infrazione. La proposta impone ai paesi che oltrepassano il limite del debito (attualmente tutti i paesi dell'euro, tranne Lussemburgo, Slovenia, Slovacchia e Finlandia) di ridurlo ogni anno di un ventesimo dalla distanza che li separa all'obiettivo del 60 per cento. La sanzione per i paesi che non ottemperano ai requisiti, un deposito infruttifero dello 0,2 per cento del PIL, eventualmente convertito in multa e ridistribuito agli altri paesi dell'euro, è resa più veloce e più certa: per respingere la proposta di sanzione della Commissione, è ora richiesta la maggioranza qualificata del Consiglio europeo;
la Commissione prevede un sistema di monitoraggio di indicatori che possano segnalare il formarsi di squilibri pericolosi all'interno dell'Europa, quali il debito privato, oltreché pubblico, la competitività, il saldo delle partite correnti, l'espansione del credito, la crescita dei prezzi degli immobili. Anche in questo caso la Commissione può aprire una procedura di infrazione per «squilibri eccessivi» che può sfociare in una multa (lo 0,1 per cento del PIL) nel caso in cui il paese non ottemperi alle indicazioni comunitarie;
l'introduzione del criterio del debito comporta almeno tre difficoltà:
1) aggrava il problema della pro-ciclicità delle misure di aggiustamento di bilancio: i tagli richiesti, ora anche per avvicinarsi all'obiettivo del debito, sono maggiori proprio quando il paese è in recessione (perché il PIL cala);
2) il sistema continua a essere basato sull'idea dirigistica che comportamenti virtuosi si ottengono con le «punizioni», la cui credibilità diventa quindi cruciale. Non è previsto alcun incentivo «in positivo» per indurre i paesi a ridurre deficit/debito durante le fasi di ripresa del ciclo economico. Sarebbe stato preferibile introdurre un sistema maggiormente flessibile, a punti. Inoltre, poiché il debito oltrepassa abbondantemente la soglia del 60 per cento quasi ovunque, tutti i paesi dovranno simultaneamente ridurre i disavanzi, a prescindere dalle loro condizioni economiche, ai ritmi previsti. Questo impartirà un forte trend recessivo all'insieme dell'Europa;
3) poiché i proventi delle privatizzazioni riducono il debito, ma non il deficit, le nuove norme rischiano di riaprire le porte alla corsa a privatizzazioni e cartolarizzazioni a prezzi di saldo;
l'idea che la Commissione possa aprire una procedura di infrazione su queste basi appare irrealistica e velleitaria:
irrealistica, perché alcuni indicatori (l'espansione del credito, il saldo delle partite correnti) sono in larga misura al di fuori del controllo nazionale; e perché altri aspetti (la competitività, la crescita della produttività) richiedono riforme strutturali con effetti solo nel medio termine; infine, perché altri indicatori (la qualità del credito immobiliare) segnalano problemi che andrebbero affrontati dal punto di vista della regolamentazione e supervisione europea, ad esempio, in sede di European System of Financial Supervision e non essere oggetto di sanzioni;
velleitaria, perché dà per scontato che i paesi membri possano essere obbligati ad adottare specifiche riforme strutturali (liberalizzazioni dei mercati dei beni, del mercato del lavoro), o a introdurre specifiche misure di tassazione (disincentivi agli investimenti immobiliari), che verosimilmente rientrano nelle competenze degli Stati nazionali;
la dimensione dei sacrifici richiesti a un paese ad elevato debito come l'Italia rischia di essere molto elevata e ciò potrebbe minare la credibilità stessa dell'aggiustamento. Il sentiero di convergenza del debito richiesto dalla Commissione richiederebbe un consistente avanzo primario necessario a spingere il debito lungo la traiettoria desiderata: se il tasso di interesse reale sul debito supera quello di crescita di circa 1 punto e mezzo (come avviene oggi in Italia), l'aggiustamento richiede surplus primari dell'ordine del 3-5 per cento del PIL per i prossimi dieci anni: manovre da 50-70 miliardi di euro l'anno: uno scenario economicamente dannoso e politicamente irrealizzabile;
se il risanamento dei conti pubblici avviene ora, senza ripresa economica, ciò significa condannare la maggioranza dell'Europa a un lungo periodo di stagnazione, di disoccupazione: la costruzione dell'Europa stessa potrebbe entrare in sofferenza;
si dovrebbe dunque spostare l'attenzione su di una eventuale fase ascendente, volta a dare indicazioni utili a livello comunitario, al fine di correggere le proposte di riforma del Patto di stabilità dell'Unione europea che nei confronti dell'Italia si presenta - sulla base delle proposte presentate il 29 settembre a Bruxelles - come un vero e proprio salasso;
non si può, tacere all'opinione pubblica del nostro Paese i rischi che stiamo correndo se davvero saranno approvate le nuove norme sul debito pubblico così come fortemente volute da alcuni paesi dell'Unione;
il Governo italiano deve con forza aprire un negoziato per imporre in sede dell'Unione europea una revisione del Patto di stabilità e crescita che non sia un nuovo pesante ostacolo, appunto, alla crescita;
l'unica alternativa possibile è quella di una politica di sviluppo che, in particolare in Italia, deve impegnare maggiori risorse per investire e sostenere la ripresa economica e l'occupazione;
le nuove regole imposte a livello europeo sono destinate al fallimento, perché derivano da una analisi sbagliata delle cause della crisi: è sorprendente come nell'eurozona si sia ormai diffusa la convinzione che la causa fondamentale della crisi di debito sia da ricercare nell'alto numero di paesi che non hanno saputo mettere in ordine il proprio bilancio prima dello scoppio della crisi finanziaria nel 2007-2008;
in realtà, il tasso di debito pubblico aggregato nell'eurozona è sceso dal 72 per cento nel 1999 al 67 per cento nel 2007. Nello stesso periodo è invece aumentato in modo massiccio il debito delle famiglie e del settore finanziario;
l'aumento del debito pubblico si è verificato dopo il 2007, quando i governi europei sono stati costretti a fare due cose: salvare il sistema bancario, che aveva accumulato livelli di debito insostenibili attraverso una leva eccessiva; e sostenere l'attività economica mantenendo livelli di spesa pre-crisi mentre le entrate diminuivano drasticamente proprio a causa della crisi;
la ragione principale della crisi di debito va dunque ricercata nell'esplosione di un debito privato insostenibile che ha indotto i governi a incrementare il loro debito per salvare importanti comparti del settore privato a partire dagli istituti di credito. L'eccezione è naturalmente la Grecia, i cui governi hanno manipolato i dati e permesso così l'accumularsi di livelli insostenibili di deficit e debito. Ma non si può dire lo stesso per altri paesi dell'eurozona, come l'Irlanda e la Spagna, che hanno ridotto in modo consistente il loro debito pubblico, eppure si trovano oggi nel mezzo di crisi del debito sovrano,
ricordato che:
la manovra estiva ha avuto effetti depressivi sull'economia e l'occupazione. Lo aveva ammesso lo stesso Governo con la Nota di aggiornamento alla Relazione unificata sull'economia e finanza: con il decreto-legge n. 78 del 2010 di Tremonti era previsto un impatto negativo sulla crescita economica pari allo 0,5 per cento del PIL nel triennio 2010-2012;
l'Istat ha confermato che il tasso di disoccupazione nel primo trimestre del 2010 è salito al 9,1 per cento (senza calcolare i lavoratori in CIG). Dopo i 528 mila posti di lavoro distrutti negli ultimi due anni, sono a rischio altri 246 mila posti di lavoro;
Confindustria ha calcolato in 124 miliardi di euro l'ammontare dell'evasione fiscale, una cifra che risulta 5 volte superiore alla manovra correttiva impostata da Tremonti;
il cuore della manovra approvata a luglio è tutto nel blocco delle retribuzioni del pubblico impiego, nel taglio dei fondi ai comuni e alle regioni (complessivamente quasi 13 miliardi di euro) e nel rinvio del pensionamento, per la chiusura delle finestre, che frutterà altri 6,5 miliardi;
il citato decreto-legge n. 78 del 2010 ha fortemente ridotto la spesa del personale delle Forze armate e di polizia ed ha modificato i criteri di contabilizzazione delle forniture militari pluriennali, iscritte nel conto economico delle pubbliche amministrazioni tra i consumi intermedi anziché tra gli investimenti fissi lordi;
per le spese in conto capitale nella manovra, è prevista una riduzione nel periodo considerato dell'1,3 per cento (dal 4,3 per cento nel 2009 al 3 per cento nel 2013), mentre l'aumento delle entrate non fiscali è dovuto principalmente all'applicazione del pedaggio per le autostrade affidate in gestione diretta all'ANAS, all'incremento dei canoni dei concessionari, nonché alla concessione di costruzione e di gestione dell'autostrada del Brennero nel 2011 (568 milioni);
manca qualsiasi indicazione, nello schema di Decisione di finanza pubblica in esame, sulla detrazione del 55 per cento per il risparmio energetico. Tale detrazione ha rappresentato un'efficace misura anticiclica, e dunque la previsione della proroga di tale misura, magari estesa anche agli interventi di prevenzione da rischio sismico, dovrebbe ritenersi necessaria nel momento in cui viene riconosciuta la criticità del settore edilizio,

impegna il Governo

a riformulare il testo presentato secondo le priorità e le linee programmatiche appresso elencate:
sul piano nazionale:
a fornire tutte le informazioni mancanti ed i documenti allegati previsti dalla nuova legge di contabilità n. 196 del 2009 già elencati in premessa nonché ad indicare gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, ciascuno dei quali volto a concorrere al raggiungimento degli obiettivi programmatici come indicati di seguito;
impostare una manovra anticiclica, pari a quasi 4 punti di PIL per il biennio 2011-2012, che riduca la pressione fiscale, trasferendola almeno in parte dal lavoro, dalle famiglie, dalle imprese alla rendita speculativa;
ripristinare i fondi per la scuola, l'università e la ricerca;
sostenere l'innovazione recuperando il divario di produttività innanzitutto rispetto agli altri paesi europei, anche attraverso la cooperazione strategica tra le università e le PMI;
adottare misure immediate per l'implementazione della banda larga, infrastruttura di fondamentale importanza per l'ammodernamento delle imprese e per lo sviluppo dei servizi della pubblica amministrazione;
promuovere, tramite adeguate politiche industriali, lo sviluppo dei settori produttivi a più alta intensità tecnologica e la riconversione ecologica del nostro sistema produttivo a partire dal sostegno alle fonti energetiche rinnovabili, alla mobilità sostenibile, all'agricoltura biologica ed alla filiera corta dei prodotti agricoli;
prevedere il riavvio degli interventi di liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese e diminuire i costi posti a carico del cittadino-consumatore;
ripristinare la piena operatività agli strumenti automatici di incentivazione, quale il credito d'imposta sugli investimenti nel Mezzogiorno, la cui efficacia risulta vanificata dal ripristino dei tetti finanziari e dagli appesantimenti amministrativi connessi al meccanismo della prenotazione;
adottare efficaci politiche pubbliche volte al recupero del divario infrastrutturale nel nostro Paese;
fermare la politica dei continui tagli alle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, cui sono state sottratte sino ad oggi 27 miliardi di euro, mantenendo fermo per le risorse residuate il principio della ripartizione territoriale del Fondo per le aree sottoutilizzate, che prevede che almeno l'85 per cento delle risorse sia destinato alle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno;
confermare l'obiettivo programmatico di destinare almeno il 45 per cento della spesa complessiva nazionale in conto capitale al Mezzogiorno, quota necessaria per avviare un processo di riequilibrio della dotazione di infrastrutture dell'area;
ripristinare - così come si era impegnato a fare il Governo - le risorse drasticamente ridotte dalle Delibere CIPE 83/2009; 103/2009; 121/2009 per la realizzazione delle opere infrastrutturali del Mezzogiorno;
stanziare adeguati finanziamenti per il potenziamento ed il rilancio del trasporto ferroviario regionale, interregionale e locale su tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno;
sopprimere i finanziamenti previsti per il ponte sullo Stretto di Messina;
prevedere un'addizionale del 7,5 per cento sui capitali regolarizzati tramite lo scudo fiscale;
ripristinare le norme di contrasto all'evasione fiscale introdotte dal Governo Prodi;
recuperare con scadenza immediata le somme dovute dai contribuenti che hanno aderito al condono fiscale 2003-2004 e che non hanno pagato buona parte delle rate, secondo quanto già da tempo denunciato dalla Corte dei conti;
tassare con l'aliquota del 20 per cento le plusvalenze finanziarie speculative, con l'esclusione dei rendimenti dei titoli di Stato;
ripristinare la detrazione dell'ICI per l'abitazione principale;
mettere all'asta le frequenze liberate dal passaggio al digitale terrestre, come hanno fatto altri paesi (quali gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania, la Francia);
ridurre la quota di deducibilità per le sofferenze creditizie dallo 0,30 allo 0,20 per cento;
tagliare effettivamente i costi impropri della politica, tramite misure quali la soppressione parziale delle province, in attesa della eliminazione nella nostra Costituzione dell'istituzione provincia, l'eliminazione del vitalizio per i parlamentari nazionali e per i consiglieri regionali, includendo in tale misura anche gli ex parlamentari e gli ex consiglieri regionali, nuove regole per gli appalti e per l'intervento della Protezione civile, nonché per combattere la corruzione;
ridurre effettivamente la spesa pubblica, tramite misure quali una riduzione dei consumi intermedi delle pubbliche amministrazioni, attraverso un taglio modulabile, soprattutto a carico delle amministrazioni centrali, e il rafforzamento del ruolo della CONSIP, la riduzione delle spese militari, la soppressione di tutti gli enti inutili;
aumentare le detrazioni per carichi familiari;
alleggerire il carico IRPEF sui redditi bassi e medi da lavoro e da pensione, diminuendo l'imposta sulle tredicesime e attraverso il meccanismo delle detrazioni;
estendere gli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori atipici;
ridurre il costo del lavoro nell'imponibile IRAP per le piccole e medie imprese;
prevedere il pagamento dell'IVA al momento in cui si incassa e non in anticipo;
prevedere misure concrete volte a garantire nei tempi previsti il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese, attuando nel nostro ordinamento tutte le indicazioni comunitarie sancite in materia;
sul piano europeo:
aprire con forza un negoziato per imporre in sede dell'Unione europea una revisione del Patto di stabilità e crescita che non sia un nuovo pesante ostacolo allo sviluppo ridiscutendo i criteri di cui al Trattato di Maastricht, mettendo tra le priorità la questione occupazionale, nonché la funzione della BCE che deve essere più orientata allo sviluppo anziché al solo controllo dell'inflazione;
introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie (compravendita di titoli, azioni, obbligazioni, valute, e di ogni altro prodotto finanziario, ...) valida per tutti paesi dell'eurogruppo (da proporre anche al G20) tra lo 0,1 e lo 0,5 per cento del valore scambiato e destinare il gettito di tale imposta (circa 100 miliardi di euro l'anno) a progetti europei di grandi infrastrutture, della ricerca, di progetti di conversione ecologica del sistema produttivo ad iniziare dal settore energetico e da quello della mobilità (attuandone un'anticipazione nella nostra legislazione nazionale con un aliquota «zero»);
proporre il divieto delle vendite dei titoli di Stato e di altri prodotti finanziari allo scoperto e «nude» (naked short selling) per limitare le possibilità speculative;
promuovere la costituzione di un agenzia di rating europea;
sostenere l'armonizzazione fiscale europea ad iniziare dall'IVA;
proporre l'emissione di eurobond con la garanzia delle riserve auree delle diverse banche centrali per finanziare (unitamente alla Tobin tax) progetti europei di grandi infrastrutture, della ricerca, di progetti di conversione ecologica del sistema produttivo ad iniziare dal settore energetico e da quello della mobilità;
proporre la creazione di un Fondo monetario europeo;
sostenere la costituzione di un esercito europeo di pronto intervento con la riduzione delle spese militari nazionali.
(6-00048) «Donadi, Borghesi, Evangelisti, Di Pietro, Cambursano, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
la nuova legge di contabilità impone all'esecutivo l'obbligo di presentazione dello schema di decisione di finanza pubblica entro il 15 settembre di ogni anno, al fine di consentire alle Camere di esaminarne in tempi congrui i contenuti e procedere all'approvazione di risoluzioni con cui si stabiliscono l'entità della successiva manovra finanziaria nonché le cifre e le modalità attraverso cui questa entità si raffigura nei saldi di finanza pubblica;
tale procedura non rappresenta un atto formale a carattere meramente programmatico, ma costituisce l'atto vincolante per le decisioni che verranno assunte nella successiva fase di bilancio;
pertanto, rispetto alla norma e alla prassi consegnatici dalla strumentazione di esame del bilancio pubblico, il DFP presentato perde, proprio in occasione del primo anno di entrata in vigore, la natura di documento di impostazione programmatica pluriennale che, accanto alla descrizione degli andamenti tendenziali dei grandi aggregati macroeconomici dovrebbe illustrare le scelte politiche e di intervento nei diversi compatti della vita economica e sociale del Paese e le relative ricadute in termini di quadro programmatico;
nell'ambito dell'Unione europea, con il nuovo pacchetto di proposte normative approvato dalla Commissione lo scorso 29 settembre, si stanno rafforzando le procedure di controllo della qualità dei dati di finanza pubblica;
in tal senso, la riforma ancora in via di completa definizione della governance europea segna un passaggio importante per definire un meccanismo efficace per la gestione delle crisi, anche predisponendo procedure chiare e credibili per la concessione tempestiva di assistenza agli Stati membri in serie difficoltà finanziarie;
in particolare, gli indirizzi assunti dalla Commissione dell'Unione europea sembrano proporre una correzione del Patto di stabilità e crescita che prevede, assieme a un più stretto coordinamento ex ante delle politiche di bilancio, un rafforzamento dei meccanismi sanzionatori ed una maggiore enfasi sugli obiettivi di debito e sulla sostenibilità dei conti pubblici. Nell'ambito del progetto di riforma presentato alla fine di settembre, la Commissione propone di rendere operativa la regola della procedura per i disavanzi eccessivi relativa al debito, in base alla quale l'incidenza sul PIL del debito delle amministrazioni pubbliche non deve essere superiore al 60 per cento o, se superiore, deve diminuire a un ritmo adeguato;
lo schema di Decisione di finanza pubblica è stato invece presentato alle Camere ben oltre il termine stabilito dalla nuova legge di contabilità pubblica, precludendo alle stesse la possibilità di un approfondito esame del quadro programmatico e dell'efficacia degli obiettivi, peraltro non chiaramente rinvenibili, e con palese violazione delle loro prerogative;
pur preso atto del fatto che rispetto al suo contenuto proprio il documento presenta diversi nuovi elementi conoscitivi quali, ad esempio, il conto consolidato di cassa del settore pubblico articolato per i tre sottosettori della pubblica amministrazione e l'indicazione delle risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate con evidenziazione della quota nazionale addizionale, va rilevato negativamente come esso non risulti, tuttavia, corredato dalle seguenti informazioni previste dalla nuova legge di contabilità n. 196 del 2009: - l'indicazione di massima delle risorse finanziarie necessarie a confermare normativamente, per il periodo di riferimento, gli impegni e gli interventi di politica economica e di bilancio adottati negli anni precedenti per i principali settori di spesa (articolo 10, comma 2, lettera d)); - l'obiettivo di massima della pressione fiscale complessiva; la pressione fiscale è riportata nella DFP come dato previsionale (articolo 10, comma 2, lettera e)); - il contenuto del Patto di stabilità interno, le sanzioni per gli enti territoriali nel caso di mancato rispetto di quanto previsto da quest'ultimo, nonché il contenuto del Patto di convergenza di cui all'articolo 18 della legge n. 42 del 2009, in relazione al quale debbono essere attivate le procedure e le sedi proprie nell'ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale (articolo 10, comma 2, lettera f)); alla DFP non risultano, infine, allegati i seguenti documenti: - le relazioni programmatiche per ciascuna missione di spesa del bilancio dello Stato e le relazioni sullo stato di attuazione delle leggi pluriennali di spesa (articolo 10, comma 6); - il quadro riassuntivo delle leggi di spesa a carattere pluriennale (articolo 10, comma 7), con la ricognizione dei contributi pluriennali iscritti a bilancio (articolo 10, comma 8);
i dati relativi all'andamento della finanza pubblica per il 2010 confermano le gravi difficoltà esistenti, con la cancellazione, nel breve volgere di due anni, dei risultati ottenuti, in termini di risanamento finanziario, nella scorsa legislatura;
spiccano, al riguardo, i preoccupanti dati programmatici relativi all'andamento del debito pubblico, a quello del saldo primario e del deficit;
la situazione economica del nostro Paese è particolarmente preoccupante, come indicano i principali indici macroeconomici. Le stime della DFP sulla crescita economica, evidenziano per l'anno 2010 una crescita del PIL del 1,2 per cento, superiore alle più recenti stime dell'OCSE e dell'Unione europea, ed una crescita del 1,3 per cento nel 2011, ben al di sotto delle previsioni di crescita del resto dei paesi dell'Unione europea e di quelli maggiormente sviluppati. Una crescita così bassa è fonte di forte scetticismo circa l'efficienza delle politiche programmatiche per lo sviluppo e tale da far sembrare irrealizzabili gli obiettivi di finanza pubblica;
in sintesi, la DFP, in relazione alla descrizione dei dati sull'andamento economico e finanziario, presenta nei complesso un quadro della situazione da cui emerge, chiaramente, una perdita strutturale di capacità competitiva del Paese, non interpretabile soltanto in base all'andamento del ciclo economico ma, al contrario, come un deterioramento progressivo del capitale fisico delle imprese, del capitale sociale e del fattore lavoro. Difficoltà che impediscono al Paese di agganciare il treno della ripresa così come stanno facendo il resto dei paesi maggiormente sviluppati;
la previsione di una crescita del PIL dell'1,2 per cento per il 2010, contenuta nella Decisione di finanza pubblica, come rilevato nel corso dell'audizione dal direttore generale della Banca d'Italia, appare «leggermente ottimistica» e che, al tempo stesso, occorre una certa cautela anche sulla stima relativa alla crescita del 2012 (2 per cento), per cui, nel complesso, il quadro macroeconomico resta per il Paese «difficile», mostrando la ripresa «segni di debolezza» per la presenza di tensioni sui mercati finanziari;
analogamente, i dati sull'andamento della finanza pubblica per il 2010 confermano la perdita del controllo della spesa pubblica, con conseguente cancellazione, nel breve volgere di due anni, dei risultati ottenuti in termini di risanamento finanziario compiuti nella scorsa legislatura, per cui preoccupano i dati programmatici relativi all'andamento del debito pubblico, previsto nel 2010 al 118,5 per cento rispetto e oltre il 119,2 per cento nel 2011, e all'andamento dell'indebitamento netto, previsto al 5 per cento nel 2010 e al 3,9 per cento nel 2011, con ciò confermando l'inefficacia delle misure di stabilizzazione automatica delle spese e l'assenza di credibili riforme strutturali per il Governo della spesa;
l'avanzo primario, principale indicatore del buon andamento della finanza pubblica, è stato completamente eroso nel corso degli ultimi due anni, registrando un disavanzo dello 0,3 per cento nell'anno in corso. Nel documento al nostro esame, l'esecutivo prefigura un percorso di risanamento finanziario che produrrà una correzione dell'andamento con un avanzo per il 2011 dello 0,8 per cento;
a fronte di tali dati, il giudizio sul DFP 2011-2013, è ampiamente negativo in quanto non sono indicate politiche per lo sviluppo economico tali da incidere positivamente sull'andamento del prodotto interno lordo,
rilevato che:
ad aggravare il quadro di finanza pubblica, la DFP stima per il 2010 un forte calo del gettito delle entrate tributarie da imposte dirette, pari a circa 7,156 miliardi di euro rispetto alle previsioni della RUEF 2010, e per 8,186 miliardi di euro nel 2011. Le entrate totali, come riferisce il DPF registrano un contenimento della loro incidenza rispetto al PIL che passa dal 47,2 per cento nel 2009 al 46,4 per cento nel 2013;
a fronte del forte calo delle entrate tributarie da imposte dirette, la DFP registra comunque un andamento della pressione fiscale, che raggiunge nel 2010 il 42,8 per cento in rapporto al PIL, rimanendo per tutto il periodo del quadro programmatico di previsione significativamente al di sopra del 42,4 per cento;
il Fondo Monetario Internazionale, pur confermando il giudizio sommariamente positivo sull'Italia sia per la crescita, sia per il deficit, sia per la politica fiscale - rilevando che non c'è nessun allarme debito - non ha mancato però di sottolineare come molto potrebbe essere ancora fatto sul sentiero delle riforme per rafforzare la competitività del Paese, rilevando la delicatezza dell'esigenza di rifinanziamento sul mercato che sottoporrà l'Italia, al pari della Francia e degli USA, al severo vaglio dei mercati finanziari, dovendo essa collocare titoli pubblici pari al 20 per cento del PIL;
la gravità della situazione in cui si trova il Paese non può essere attribuita per intero e soltanto agli effetti della crisi economica e finanziaria internazionale. E che in proposito molto dipende, ed è dipeso, dall'immobilismo del Governo e dalla reiterata sottovalutazione dei problemi del Paese;
se nella prima parte del 2010 l'occupazione è aumentata, pur se marginalmente, dopo essere scesa per sei trimestri consecutivi, l'incremento congiunturale è stato invece del solo 0,1 per cento sia nel primo sia nel secondo trimestre (rispettivamente +13 mila e +27 mila persone) e il moderato recupero in corso d'anno ha coinvolto esclusivamente il Centro-Nord, rimanendo peraltro la dinamica occupazionale comunque incerta anche in tali aree;
a partire dall'inizio dell'anno, il tasso di occupazione delle persone in età da lavoro è rimasto sostanzialmente stabile e, al netto della stagionalità, è risultato pari in agosto al 56,9 per cento: un livello decisamente basso nel confronto internazionale. Nei dati non destagionalizzati, il tasso di occupazione è invece diminuito ulteriormente, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, di 0,8 e di 0,7 decimi di punto rispettivamente nel primo e nel secondo trimestre del 2010;
il tasso di disoccupazione giovanile totale appare aggravarsi, per cui una seria politica per l'occupazione giovanile e femminile diventa una assoluta priorità di politica economica, anche in coerenza con le politiche formative da porre in essere nell'ambito della nuova società della conoscenza, previste dalla strategia di agenda 2020 dall'Unione europea,
considerato che:
la perdita strutturale di capacità competitiva del Paese è da attribuirsi non solo agli effetti della crisi economico-finanziaria internazionale ma anche e soprattutto all'immobilismo dell'Esecutivo ed alla reiterata sottovalutazione, da parte dello stesso, dei problemi reali della nazione;
si registra anche una consistente diminuzione del contributi sociali e dei redditi da lavoro dipendente, indicati dalla DFP come i principali fattori della generale flessione delle entrate e che, in tale contesto, appare assolutamente velleitario l'obiettivo di recuperare gettito aggiuntivo per otto miliardi di euro dal potenziamento dell'evasione fiscale;
proprio sul fronte tributario, lo schema di DFP risulta particolarmente insoddisfacente, non recando al suo interno alcun riferimento alla riforma del sistema fiscale e all'introduzione del quoziente familiare, che pure sono stati indicati come punti qualificanti del programma politico sul quale il Governo ha recentemente ottenuto il voto di fiducia delle Camere;
rimane poi insolito anche il problema dei pagamenti della pubblica amministrazione per la fornitura di beni e servizi, così come risulta del tutto velleitario anche il contributo del ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, che costituisce l'Allegato III allo schema di DFP e che non contiene alcun concreto riferimento agli strumenti con i quali migliorare l'efficacia dell'azione amministrativa;
l'irrilevanza politica del citato Documento discende dalla duplice circostanza che la manovra di finanza pubblica è stata anticipata a luglio e che appare imminente l'approvazione del nuovo Patto di stabilità e di crescita a livello europeo e che sarebbe comunque preferibile procedere a una disamina politica, anziché meramente tecnica, del contenuto della Decisione di finanza pubblica;
invece l'andamento della finanza pubblica impone un'immediata analisi dei principali capitoli di politica economica, come l'aumento della disoccupazione, la contrazione della domanda interna delle famiglie e degli investimenti nel settore edilizio e che permane inoltre un grave squilibrio dei conti pubblici, a testimonianza del fallimento delle politiche economiche del Governo;
sussistono infatti al momento due gravi fattori di incertezza sulla ripresa economica: si tratta in particolare dell'andamento dei tassi di interesse e del costo del denaro e le politiche valutarie a livello internazionale. Sul primo fronte, rilevando criticamente come la massiccia immissione di risorse all'interno del sistema bancario non sia comunque riuscita a rafforzarne la solidità, come dimostra in particolare il maggiore ricorso alle cartolarizzazioni; inoltre le banche italiane non risultano maggiormente solide rispetto a quelle degli altri paesi e la stessa riduzione degli oneri per alcune prestazioni è destinata a essere compensata dall'aumento del costi per altri servizi bancari;
lo schema di DFP in esame non corrisponde nemmeno allo spirito della legge di delega per l'attuazione del federalismo fiscale, non contenendo alcun riferimento al Patto di convergenza e alla concertazione con le autonomie locali di un percorso di rientro del deficit e di maggiore efficienza dei servizi. Ma, al contrario, il Governo nel procedere alla riforma federale, sembrerebbe aver optato per il sistema delle «scatole cinesi», rinviando di fatto ad altre fonti la più puntuale definizione dei contenuti dei provvedimenti legislativi delegati;
appare pertanto oltremodo pericoloso proseguire lungo la strada dello svuotamento del dibattito sulla politica economica e di finanza pubblica: l'entrata in vigore nel 2016 del nuovo Patto europeo di stabilità e crescita imporrà all'Italia un percorso di rientro dal proprio debito particolarmente gravoso, nel presupposto di una crescita economica particolarmente modesta. Reputa pertanto ingiustificate le accuse di catastrofismo rivolte a quanti sollevano tali questioni. Il Governo ha quindi il compito di delineare immediatamente una strategia di riallineamento della propria programmazione economico-finanziaria per non farsi trovare impreparato rispetto all'introduzione dei nuovi vincoli europei, per dovere di onestà politica e intellettuale;
perseverando in un atteggiamento che sceglie di non scegliere, l'effetto della manovra predisposta con il decreto-legge n. 78 del 2010 sulla crescita del PIL, deve ritenersi di segno ampiamente negativo, con conseguenze che si prospettano rilevanti anche in termini di perdita di competitività complessiva del Paese,
tutto ciò considerato, si rileva che:
l'assenza di interventi significativi in ambito di politica economica è riflessa anche dalle previsioni sull'andamento della produttività e del PIL, nell'arco dei prossimi anni: per il 2011, secondo le previsioni dello schema di decisione di finanza pubblica, l'andamento atteso della crescita economica è sostanzialmente pari a quella conseguita nel 2010, con ciò prefigurando un allargamento significativo del differenziale di crescita del nostro Paese rispetto a quello dei paesi dell'area-euro;
nel DFP non viene affrontata alcuna priorità: la caduta della competitività del Paese, la crescita della disoccupazione, le difficoltà del tessuto imprenditoriale e la perdita di potere d'acquisto dei redditi da lavoro e pensione;
non vi è alcuna attenzione al ruolo delle piccole e medie imprese del settore, che sono indispensabili per la fornitura dei beni e dei servizi necessari alla difesa e che oggi incontrano numerose difficoltà nelle procedure di appalto come nel pagamento da parte della pubblica amministrazione del beni e servizi resi;
in coerenza con il Trattato dell'Unione europea, in cui è stabilito il potenziamento delle iniziative volte ad affrontare le urgenze dettate dal cambiamento climatico, assegnandosi una priorità all'obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile in un contesto di economia di mercato, in cui una dedicata attenzione sia riservata al settore dell'energia (come mercato, approvvigionamento, efficienza energetica, economie energetiche) nonché allo sviluppo di fonti di energia nuove e rinnovabili,

impegna il Governo:

ad affrontare la prossima discussione in sede Ue sulla proposta legislativa di riforma del Patto di stabilità e crescita e della governance economica con la massima attenzione e consapevolezza, trattandosi di un passaggio cruciale che condizionerà le prospettive, economiche e politiche, della stessa Unione ed inciderà sulle opzioni di politica economica di lungo periodo degli Stati membri;
a definire ed adottare efficaci misure di sostegno all'economia, volte a rilanciare i consumi e gli investimenti necessari ai fini di una reale crescita del Paese;
ad operare una radicale correzione degli indirizzi di politica economica, finalizzandola al rinnovamento del Paese, nel senso del rafforzamento della sua posizione competitiva, e di liberalizzazione di settori e comparti sinora caratterizzati da protezioni e limiti all'accesso di nuovi operatori, prescindendo da interventi microsettoriali di stampo punitivo e concentrando l'azione sui grandi servizi a rete nonché intervenendo sui conglomerati industriali di proprietà statale che spesso operano in regime di monopolio e che quasi sempre determinano maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
posto che esiste una relazione inversa tra la pressione fiscale e la crescita economica, ad attuare ogni efficace azione mirata alla riduzione della pressione fiscale e al contenimento della spesa pubblica corrente mediante una efficace e costante azione di riduzione di quella improduttiva e degli sprechi, responsabilizzando i centri di spesa ma evitando di operare tagli indiscriminati;
ad adottare efficaci azioni volte ad incrementare la produttività attraverso misure tali da accrescere la produttività dei servizi pubblici aprendoli al mercato, abbattere le rendite improduttive, rafforzare la concorrenza a livello nazionale e locale, investire nell'università e nella scuola, adeguare le infrastrutture, moderare la tassazione e semplificare il quadro legislativo;
a prevedere la possibilità di applicare, per periodi transitori, forme di fiscalità di vantaggio per il Sud valutando altresì la possibilità di ridurre le aliquote di imposta al Sud rispetto al Nord e la rideterminazione degli studi di settore per le imprese meridionali, nel senso di escludere tassativamente qualsiasi generico ed acritico aggiornamento ISTAT, provvedendo altresì ad una interpretazione autentica in tema di crediti d'imposta tesa ad escludere qualsiasi decadenza dovuta a semplici irregolarità formali;
a rivedere il percorso di attuazione della legge n. 42 del 2009 in tema di federalismo fiscale al fine di verificarne la sua compatibilità con l'unità della nazione, la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni e il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione;
considerare, in un'ottica di politica industriale e di sviluppo internazionale, il Mezzogiorno d'Italia come un ideale ponte economico con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo, vista l'importanza crescente di tali realtà nello scenario economico mondiale;
a privilegiare una politica sociale di sostegno alla famiglia proseguendo un percorso nel quale, sulla base del principio di sussidiarietà, sia affermato il primato sociale della famiglia, come nucleo fondamentale della società e a ciò siano finalizzate le politiche sociali e fiscali, anche attraverso lo strumento del quoziente familiare, ovvero l'indicazione come soggetto imponibile, non più dell'individuo, ma del nucleo familiare in quanto tale;
predisporre, nell'ottica delle riforme sociali, un «Patto generazionale», con necessaria predisposizione di misure volte a riformare il sistema previdenziale e pensionistico, innalzando l'età pensionabile in modo tale da equipararla agli altri paesi europei e ad utilizzare le maggiori risorse così ottenute per le misure a favore dell'occupazione giovanile;
a introdurre criteri di federalismo negli investimenti per opere infrastrutturali in accordo con la Conferenza Stato-regioni, affinché vi sia una equa distribuzione sul territorio nazionale di risorse per opere strategiche indicate nella «legge obiettivo», riconsiderando altresì le norme del patto di stabilità interno, in particolare per quanto riguarda i residui passivi, al fine di evitare gli effetti di blocco degli investimenti infrastrutturali da parte degli enti territoriali;
prevedere misure che privilegino la concessione di maggiore liquidità alle piccole e medie imprese attraverso il sistema bancario;
nel quadro delle misure a favore dell'energia e dell'ambiente, prevedere una unificazione dei processi autorizzativi per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, privilegiando, inoltre, la snellezza burocratica;
a considerare come provvedimenti collegati, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, lettera h), della legge n. 196 del 2009, un disegno di legge in tema di requisiti di accesso al trattamento di quiescenza, di fiscalità per la famiglia e di occupazione giovanile.
(6-00049) «Casini, Galletti, Ciccanti, Buttiglione, Compagnon, Naro, Volontè, Occhiuto, Libè, Rao, Adornato, Bosi, Capitanio Santolini, Nunzio Francesco Testa, Mereu, Anna Teresa Formisano, Pezzotta, Zinzi, Poli, Delfino, Tassone».

La Camera,
esaminato lo schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013,
premesso che:
ai sensi della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Governo avrebbe dovuto presentare entro il 15 luglio, al Parlamento e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per il preventivo parere, le linee guida per la ripartizione degli obiettivi programmatici di finanza pubblica tra Stato ed enti territoriali. Un percorso di coinvolgimento delle autonomie locali coerente con il federalismo fiscale. Tuttavia, le linee guida non sono mai state trasmesse;
in base alla medesima legge n. 196, il Governo avrebbe dovuto presentare lo schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 entro il 15 settembre, mentre il documento all'esame è stato trasmesso il 30 settembre, un ritardo che pone le Camere nell'impossibilità di svolgere regolarmente le proprie funzioni;
il rispetto del termine è fondamentale perché la DFP è tale solo dopo l'approvazione della risoluzione parlamentare in cui sono fissati gli indirizzi cui il Governo dovrà attenersi nel disegno di legge di stabilità, il quale deve essere presentato alle Camere il 15 ottobre: quanto più in ritardo viene presentato lo schema di DFP, tanto più improbabile che il disegno di legge di stabilità possa recepire le indicazioni parlamentari;
lo schema di DFP non reca alcuni dei contenuti necessari previsti dalla legge n. 196 del 2009, ossia: gli andamenti di finanza pubblica cosiddetti a «politiche invariate»; l'obiettivo di massima della pressione fiscale complessiva; il contenuto del Patto di stabilità interno e del Patto di convergenza di cui alle legge n. 42 del 2009, essenziali nel processo di attuazione del federalismo fiscale; le relazioni programmatiche per ciascuna missione di spesa del bilancio dello Stato e le relazioni sullo stato di attuazione delle relative leggi pluriennali di spesa;
il programma delle infrastrutture e insediamenti produttivi strategici è stato trasmesso solo il 5 ottobre;
nella premessa alla DFP si afferma testualmente che questa sarà non solo la prima, ma anche l'ultima, perché si tratta di un documento «sostanzialmente e politicamente superato», poiché «quanto doveva essere deciso è già stato deciso in luglio», ma soprattutto perché destinato ad essere sostituito da un diverso e più articolato apparato di documentazione di matrice europea (Stability Program; National Reform Program), documenti che dovranno essere scritti e presentati da ciascun paese prima della fine dell'anno e all'interno dei quali si concentrerà la discussione sulla politica economica;
l'annuncio di una legge di stabilità: «sostanzialmente tabellare e di contenuto assai ristretto, dato che l'anticipazione della manovra ha già assorbito la gamma di variazioni marginali della spesa e delle entrate pubbliche» costituisce la riproposizione di uno schema consolidato dal Governo: una manovra per decreto-legge, l'abbandono di qualunque logica programmatoria, lo svuotamento della sessione di bilancio e delle sue regole e, per questa via, l'impossibilità per il Parlamento di discutere e di esercitare il suo ruolo di indirizzo sulla politica economica,
considerato che:
le nuove procedure europee, nel quadro della Strategia Europa 2020, prevedono un coordinamento dei diversi momenti di definizione programmatica per i paesi membri attraverso l'introduzione del «Semestre europeo» a decorrere dall'anno 2011;
secondo il nuovo modello, la pianificazione strategica nazionale inizierà a metà aprile, con la presentazione contestuale dei National Reform Program (Piani nazionali di riforma, PNR), e degli Stability Program (Programmi di stabilità, PS), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo nei mesi precedenti;
nella fase transitoria, gli Stati membri dovranno presentare entro il 12 novembre alla Commissione la bozza dei PNR, mentre la versione definitiva dei PNR dovrà essere presentata entro aprile 2011;
il PNR assumerà, quindi, un ruolo strategico relativamente allo scenario macro-economico;
quello del Semestre europeo è il più immediato ma non l'unico ambito verso cui si stanno indirizzando le istituzioni europee in materia di governance. Gli altri riguardano l'applicazione più rigorosa del Patto di stabilità e crescita (PSC) e la creazione di una più forte sorveglianza macroeconomica su squilibri di competitività e crescita;
in particolare, per rafforzare la disciplina del PSC, la Commissione ha proposto l'obbligo per gli Stati di convergere verso l'obiettivo del pareggio di bilancio con un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5 per cento, l'obbligo per gli Stati con un debito superiore al 60 per cento del PIL di ridurlo di almeno 1/20 della differenza rispetto alla soglia del 60 per cento, nuove sanzioni finanziarie a carico degli Stati che non rispettino la parte preventiva o correttiva del PSC;
l'introduzione del criterio del debito comporta alcune criticità: 1) aggrava il problema della prociclicità delle misure di aggiustamento di bilancio perché i tagli richiesti sono maggiori proprio quando il paese è in recessione. Questo problema è acuito dal fatto che la maggior parte dei paesi supera abbondantemente la soglia del 60 per cento; 2) continua a fondarsi su un sistema sanzionatorio senza alcun incentivo «in positivo» per indurre i paesi a ridurre deficit/debito durante le fasi di ripresa del ciclo economico;
il nuovo PSC, inoltre, non considera alcuni elementi essenziali quali la competenza nazionale in materia di spesa e tassazione, le responsabilità delle autorità monetarie europee, le condizioni oggettive degli Stati membri;
appare, pertanto, necessaria una ampia e approfondita discussione in Parlamento in merito alle proposte di modifica del PSC che l'Italia dovrà sostenere in sede europea a fronte di una proposta della Commissione che dovrà essere valutata dai Governi e dal Consiglio;
lo schema di DFP presentato dal Governo, quindi, più che essere «il primo e l'ultimo» sembra piuttosto configurarsi come l'ennesima occasione mancata da parte del Governo per rendere espliciti gli scenari a medio termine della politica economica nazionale, in relazione al quadro europeo, e chiamare su questi scenari ad una discussione pubblica trasparente e responsabile,
osservato che:
per quanto riguarda la crescita, il Documento rivede leggermente al rialzo il PIL del 2010, che passa all'1,2 per cento, ma contestualmente stima un peggioramento di due decimali per il PIL del 2011, ora all'1,3 per cento. Si tratta di previsioni ottimistiche (gli ultimi dati del FMI stimano un PIL pari all'1 per cento per entrambi gli anni), anche considerato che dal primo trimestre 2009 a oggi il PIL è aumentato, in termini cumulati, del 4 per cento in Germania, del 2 per cento nella media europea e solo dell'1 per cento in Italia, e fondate su una crescita prevalentemente trainata dalla domanda estera mentre la domanda interna rimane debole quando, come ricorda la Banca d'Italia, le prospettive di crescita sono migliori per i paesi in cui la domanda interna è robusta;
nel prossimo biennio sull'attività economica dovrebbe continuare a gravare una dinamica debole dei consumi, frenati dalla stazionarietà del reddito disponibile, circostanza che fa sembrare altrettanto ottimistica la previsione di un tasso di crescita del 2 per cento nel biennio 2012-2013, anche tenuto conto che esso è pressoché doppio di quello stimabile per il prodotto potenziale dell'Italia alla vigilia della crisi;
le misure di riequilibrio dei conti pubblici disposte dal decreto-legge n. 78 del 2010 sono di segno recessivo, determinando, per stessa ammissione del Governo, una riduzione del tasso di crescita del PIL pari a 0,5 punti percentuali nel periodo di riferimento 2010-2012;
occorrerebbe rafforzare il potenziale di crescita dell'economia anche perché una ripresa dell'economia meno intensa di quella prospettata nella Decisione renderebbe impossibile conseguire gli obiettivi di finanza pubblica;
lo schema di DFP stima un indebitamento netto pari al 3,9 per cento del PIL nel 2011, al 2,7 nel 2012 e al 2,2 per cento nel 2013, mentre l'avanzo primario è previsto arrivare allo 0,8 per cento nel 2011 e al 2,2 per cento nel 2012, con un deterioramento di 0,2 punti percentuali di PIL per ciascuno degli anni 2011 e 2012 rispetto alla RUEF, dovuto anche «alla composizione delle entrate fiscali 2010, connessa all'attività di monitoraggio che, pur confermando sostanzialmente il livello previsto per l'anno in corso, determina, a parità di ipotesi di crescita, una riduzione del gettito atteso»;
nei primi nove mesi dell'anno, le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono diminuite dell'1,8 per cento (-5 miliardi) rispetto al corrispondente periodo del 2009, un dato che desta preoccupazione soprattutto tenendo conto che la correzione effettuata prima dell'estate contava sulla possibilità di recuperare quasi 26 miliardi di euro dalle maggiori entrate, di cui quasi 20 miliardi dall'evasione fiscale da qui al 2013, una stima estremamente ottimistica anche considerato che alcune delle misure - si pensi alla comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA - rinviavano a provvedimenti attuativi non ancora emanati;
a tal proposito va criticata la linea, adottata negli ultimi due anni dal Governo, di non considerare più il maggiore gettito atteso dalle misure di contrasto all'evasione come semplicemente eventuale ed aggiuntivo, ma di contabilizzarlo a pieno titolo come fonte di finanziamento delle manovre di finanza pubblica;
l'evasione fiscale in Italia rappresenta un freno alla crescita (secondo l'ISTAT, nel 2008 il valore del sommerso economico è compreso tra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del PIL, tra 255 e 275 miliardi di euro) e ostacola gli interventi di riforma fiscale, mentre la sua riduzione potrebbe rappresentare una rilevante leva di sviluppo se il recupero di gettito verrà utilizzato per redistribuire in maniera più equa il carico delle imposte tra le diverse categorie di contribuenti;
è necessario ridurre le diseguaglianze distributive e a riequilibrare il carico fiscale tra soggetti: nel 2008, secondo la Banca d'Italia, il 10 per cento delle famiglie con il reddito più basso percepiva solo il 2,5 per cento del totale dei redditi prodotti; mentre il 10 per cento delle famiglie con redditi più elevati percepiva una quota del reddito pari al 26,3 per cento. Sempre nel 2008, il 10 per cento delle famiglie più ricche possedeva quasi il 45 per cento dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane;
nel suo intervento alla Camera del 29 settembre il Presidente del Consiglio ha per l'ennesima volta promesso di ridurre la pressione fiscale, sulla base della lotta all'evasione e del dividendo della crescita, ma la DFP prevede che la pressione tributaria tra il 2011 e il 2013 aumenterà di 0,3 punti percentuali, nonostante il venir meno di 0,8 punti di gettito da interventi straordinari (primo fra tutti lo scudo fiscale). Ciò sembrerebbe implicare che il prospettato recupero dell'evasione e il presunto dividendo della crescita si tradurranno in aumento delle imposte;
peraltro, nessuno dei cinque punti programmatici proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri in occasione del recente dibattito sulla fiducia al Governo viene quanto meno citato o ricordato nello schema di DFP;
per la spesa corrente gli obiettivi sono particolarmente ambiziosi, soprattutto considerato che la sua dinamica nell'ultimo decennio è stata ampiamente superiore a quella del prodotto e che gran parte della prevista riduzione della spesa corrente al netto degli interessi deriva dalle misure del decreto-legge n. 78 del 2010, ossia da tagli lineari e blocchi temporanei, la cui efficacia è spesso deludente, come ha ricordato la Corte dei conti, risolvendosi per lo più o in meri slittamenti nel tempo di pagamenti (ciò che ha creato difficoltà alle aziende fornitrici dell'amministrazione) o nell'adozione di atti di riconoscimento di debito, che possono essere espressione di debiti sommersi e, comunque, elementi di turbativa del bilancio. Debiti destinati ad essere regolarizzati in anni successivi, con aggravi rilevanti per la gestione contabile dell'esercizio nel quale avviene l'«emersione»;
nelle stime della DFP, nel 2010 le spese primarie correnti aumenterebbero del 2,2 per cento (ennesima previsione ottimistica considerato che è all'incirca la metà del tasso medio annuo registrato nell'ultimo decennio), dello 0,5 per cento nel 2011 e di poco meno del 2 per cento in media nel biennio 2012-2013;
invece, la spesa in conto capitale continuerebbe a ridursi in termini nominali nel triennio 2011-2013. In particolare gli investimenti, dopo la flessione del 9,7 per cento per l'anno in corso, scenderebbero del 14,6 per cento nel biennio 2011-2012, e il rapporto fra investimenti e prodotto, pari nel 2009 al 2,4 per cento, scenderebbe nel 2012 all'1,7 per cento, una diminuzione di 8,5 miliardi di euro;
il profilo decrescente delle spese in conto capitale non chiarisce se la proiezione ricomprenda o meno le spese che richiedono un apposito rifinanziamento, come tali non registrate dalla previsione a legislazione vigente (come per i contributi alle Ferrovie e all'Anas). Come ricordato dalla Corte dei conti, nella prima ipotesi ci troveremmo di fronte ad una decisione programmatica molto severa, per il collasso di una componente di spesa da sostenere e qualificare, nella seconda ipotesi, invece, dovrebbe essere segnalata una significativa sottostima della spesa futura che richiederebbe un apposito finanziamento;
per quanto riguarda gli enti territoriali, va ricordato la insostenibilità dei tagli di spesa richiesti dal decreto-legge n. 78 del 2010 e dei possibili effetti distorsivi di una applicazione indifferenziata degli stessi: si tratta di oltre un terzo della manovra complessiva e del 60 per cento dei tagli previsti per la spesa. Inoltre, nel primo anno (il 2011) la correzione richiesta è ancora maggiore, rappresentando poco meno del 40 per cento della manovra lorda e quasi due terzi dei tagli di spesa. La riduzione dei trasferimenti, se non compensata da altra fonte di finanziamento, potrebbe comportare, già nel 2011, un taglio delle spese non sanitarie di circa dell'11 per cento, con una forte concentrazione sulle spese in conto capitale, che potrebbero, pertanto, risultare ulteriormente sacrificate. In alternativa, un ricorso a maggiore indebitamento, renderebbe inefficace la misura, ripercuotendosi negativamente sull'andamento del debito pubblico;
sulla realizzabilità dei risparmi attesi e sulla sostenibilità delle misure per le amministrazioni locali si riflette, poi, l'inadeguatezza di un meccanismo, come quello del Patto di stabilità interno, che non è in grado, nell'impianto vigente, di tener conto delle differenti caratteristiche di un universo di riferimento molto ampio (oltre 2.200 enti) e con caratteristiche gestionali e strutturali molto differenziate. Un'impianto indifferenziato e non selettivo che potrebbe tradursi in un rallentamento della spesa in conto capitale, nella riduzione dei servizi ai cittadini, in rilevanti aumenti tariffari che rischiano di incidere sul potere d'acquisto delle famiglie, e soprattutto di quelle che hanno maggiori oneri di cura per i figli e per gli anziani non autosufficienti;
i vincoli alla spesa, inoltre, rischiano di tradursi in un ulteriore aumento dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche verso il settore privato;
un dato estremamente preoccupante riguardo il debito pubblico che ora viene stimato per il 2010 al 118,5 per cento del PIL (contro il precedente 118,4 per cento), e di cui nel 2011 è previsto un ulteriore aumento al 119,5 per cento (rispetto al 118,7 per cento stimato in aprile). La diminuzione nei due anni successivi lo riporterà nel 2013 a un livello analogo a quello del 2009, nonostante una previsione di crescita reale del prodotto al 2 per cento l'anno nel 2012-2013, che oggi appare ottimistica. Né sembra consolante, alla luce degli ultimi avvenimenti, il tentativo del Documento di spiegare che l'Italia, considerato il debito aggregato (inclusivo del debito della pubblica amministrazione e di quello del settore privato) pari a 240,8 per cento del PIL, si colloca al di sotto della media e registra un livello contenuto del debito privato, visto che la migliore performance sull'indicatore congiunto è quella della Grecia;
le revisioni del Patto di stabilità e crescita rendono, peraltro, gli scenari di finanza pubblica prospettati in questa Decisione del tutto inadeguati. Si prospetta infatti un aggiustamento più ampio del previsto. La dimensione dei sacrifici richiesti a un paese ad elevato debito come l'Italia rischia di essere molto elevata e ciò potrebbe minare la credibilità stessa dell'aggiustamento. Uno scenario economicamente dannoso e politicamente irrealizzabile e, soprattutto, una questione estremamente complessa che richiede discussioni ampie e svincolate dalla logica del brevissimo periodo,
valutato che:
il riequilibrio duraturo dei conti pubblici passa anche per il rafforzamento del potenziale di crescita dell'economia. L'uscita dalla crisi deve essere un'opportunità per porre le basi per attuare riforme strutturali che accrescano la produttività e la competitività del nostro Paese;
una decisiva azione di liberalizzazione può rappresentare un'importante leva di sviluppo in un paese in cui permangono ostacoli normativi, forme di autoregolamentazione anti-concorrenziali, insufficiente ruolo delle autorità di regolazione indipendenti. Dalle segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dalle analisi dell'OCSE e della Banca d'Italia sull'intensità della regolazione anti-concorrenziale emerge una posizione dell'Italia più arretrata rispetto ai principali paesi dell'OCSE nei comparti del trasporto aereo, della distribuzione del gas, dei servizi postali, dei trasporti ferroviari, dei servizi professionali. A fronte di questo, i processi di liberalizzazione avviati in Italia nella scorsa legislatura in molti comparti si sono arrestati, e soltanto nel comparto dei servizi pubblici locali è stata varata una nuova normativa, peraltro confusa, contraddittoria e di dubbia efficacia, che rischia di avere come esito un processo fortemente criticabile di «privatizzazione senza liberalizzazione»;
le infrastrutture sono un elemento chiave della capacità di crescita di un paese. L'evidenza dell'impatto positivo del capitale pubblico sulla performance del sistema economico è abbondante. Per l'Italia, le stime indicano che per ogni punto percentuale di aumento dello stock di capitale pubblico il prodotto può crescere fino allo 0,6 per cento nel lungo periodo. Le misure disponibili concordano nel segnalare un ritardo dell'Italia rispetto ai principali paesi europei in termini di dotazione infrastrutturale (basti pensare al gran numero di opere incompiute). Alla luce di queste considerazioni, appare problematica la drastica riduzione delle spese per investimenti prevista nel prossimo biennio;
in tal senso, estremamente problematici appaiono i dati riportati nell'Allegato riguardante il programma delle infrastrutture strategiche, il cui quadro previsionale delle disponibilità, pari a 18,9 miliardi di euro, appare evidentemente sovrastimato, fondandosi largamente sulle risorse derivanti dal pedaggiamento della rete ANAS di cui all'articolo 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, stimate in 4,5 miliardi a fronte di una relazione tecnica al medesimo decreto-legge n. 78 che attribuiva alla misura un maggior gettito pari a 200 milioni per il 2011 e 315 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012, e nei fondi FAS e pubblica amministrazione, valutati in oltre 5,5 miliardi di euro e sui quali è legittimo avanzare più di un dubbio sulle effettive disponibilità;
nell'Allegato si afferma chiaramente che le risorse pubbliche necessarie per dare avvio e continuità alle scelte strategiche definite nel prossimo triennio ammontano a circa 64 miliardi, mentre le risorse potenzialmente recuperabili sono pari a circa 19 miliardi sbloccati da vecchi progetti ritenuti non più prioritari; nel prossimo triennio, servirebbero, in ogni caso, altri 50 miliardi di euro da reperire, secondo le intenzioni del Governo, mediante l'intervento di soggetti privati;
il sapere e la ricerca scientifica costituiscono il motore dell'innovazione e rappresentano il volano della crescita sociale ed economica, infatti la strategia di Lisbona dell'Unione europea ha posto al centro del proprio piano programmatico questo stesso assunto. Raggiungere o, meglio, avvicinarsi agli obiettivi di Lisbona entro il termine fissato del 2011 non rappresenta la rivendicazione di un settore sociale o l'atteggiamento corporativistico di una lobby, bensì costituisce un interesse collettivo, in quanto mezzo per migliorare il futuro di tutti. Nonostante, da anni, i dati confermino il gap nazionale per investimenti in ricerca e sviluppo, le scelte portate avanti dal Governo, sin dai primi atti, hanno visto un drastico ridimensionamento delle risorse per il sistema formativo e culturale, compromettendone la stessa funzionalità. Emblematico al riguardo è il caso del sistema universitario per il quale si ipotizza una riforma senza le necessarie risorse che pongano rimedio ai tagli subiti;
l'attuazione del federalismo fiscale è un'occasione importante per razionalizzare la spesa pubblica e migliorare la qualità dei servizi forniti ai cittadini. Affinché questi obiettivi siano conseguiti sono necessari meccanismi di perequazione trasparenti, margini di autonomia nella fissazione delle aliquote, rilevazioni sistematiche della quantità e qualità dei servizi forniti. La definizione degli aspetti cruciali della riforma, nonostante la propaganda, è in alcuni casi ancora in una fase iniziale (in particolare, la determinazione dei costi e fabbisogni standard e le entrate tributarie delle regioni e degli enti locali), in altri ancora da avviare (la ricognizione dei LEP/LEA nei settori costituzionalmente garantiti e nel trasporto pubblico locale, la perequazione infrastrutturale, il funzionamento dei fondi perequativi, le modalità di funzionamento del Patto di convergenza, i premi e le sanzioni per gli amministratori locali, ecc.),

impegna il Governo:

a riformulare lo schema di DFP alla luce delle linee che saranno contenute nel National Reform Program;
a presentare al Parlamento e a recepirne gli indirizzi in merito il National Reform Program prima di presentarlo alle istituzioni europee il 12 novembre prossimo;
a presentare un disegno di legge di stabilità che sappia coniugare i necessari obiettivi di crescita con uno sforzo straordinario di valorizzazione del patrimonio pubblico al fine di ridurre il debito;
a discutere in Parlamento la riforma del Patto di stabilità e crescita impegnandosi in tale sede ad assumere in sede europea una posizione che, in luogo di una visione di esclusiva ortodossia finanziaria, accompagni la giusta sorveglianza sui conti pubblici nazionali con una comune politica economica europea di investimento e di sviluppo, puntando sulla domanda «interna» europea, dotandosi degli strumenti, come gli eurobonds, per finanziare decisivi investimenti nelle infrastrutture, per sostenere la domanda aggregata e innalzare la crescita potenziale dell'area;
a portare altresì in sede europea proposte tese all'obiettivo che al risanamento delle finanze pubbliche dell'area euro non concorrano solo le politiche fiscali, ma anche le politiche in materia finanziaria e monetaria, come ad esempio l'introduzione di una imposta sulle transazioni finanziarie i cui proventi siano destinati a migliorare la sostenibilità dei debiti sovrani, imposta che potrebbe consentire anche una migliore tracciabilità dei patrimoni illeciti;
a procedere ad una riforma fiscale ad invarianza di gettito che riallochi il prelievo da chi paga a chi non paga, dai redditi da lavoro alla rendita, da chi ha di meno, in particolare le famiglie con figli e monoreddito, a chi ha di più, dalle attività «verdi» alle attività inquinanti;
a rilanciare il programma Industria 2015 in coerenza con «Europa 2020», strategia per la crescita intelligente, verde ed inclusiva, riqualificando il sistema produttivo. I cardini della politica industriale per l'Italia devono poggiare su filiere produttive che integrano manifattura, servizi avanzati e nuove tecnologie, integrando diverse leve dell'intervento pubblico (domanda pubblica, incentivi alla domanda privata, realizzazione di infrastrutture, incentivi alle imprese);
a presentare annualmente al Parlamento una relazione dettagliata sull'efficacia, sul grado di realizzazione, sugli effettivi risultati in termini di gettito, evidenziando gli scostamenti rispetto a quanto originariamente stimato, delle misure antievasione contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010;
a potenziare lo strumento della spending review dando concreta attuazione alle disposizioni in materia di analisi e valutazione della spesa previste dalla legge n. 196 del 2009;
a dare concreta attuazione alla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, in modo efficiente ed equo, prevedendo che i risparmi attesi dal passaggio dalla spesa storica ai costi e ai fabbisogni standard siano, nel quadro delle compatibilità della finanza pubblica, utilizzati per raggiungere gli standard di servizio nei settori e nei territori al di sotto dei livelli essenziali delle prestazioni stabiliti dalla Costituzione e dalle leggi statali.
(6-00050) «Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Baretta, Calvisi, Capodicasa, De Micheli, Duilio, Genovese, Marchi, Cesare Marini, Misiani, Nannicini, Rubinato, Sereni, Vannucci».

La Camera,
esaminato lo schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013,
considerato che:
il medesimo schema viene quest'anno presentato per la prima volta in sostituzione del Documento di programmazione economico e finanziaria ai sensi dell'articolo 10 della nuova legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009);
tale documento è anche l'ultimo nel suo genere perché la revisione del Patto di stabilità europeo imporrà una diversa articolazione del processo di programmazione economica e finanziaria;
con l'avvio, a partire da gennaio 2011, del cosiddetto «Semestre europeo», i nuovi documenti politico-contabili previsti in tale ambito (Stability Program, National Reform Program), che dovranno essere presentati da ciascun paese prima della fine dell'anno, assumeranno, una centralità politica assoluta. Sarà conseguentemente all'interno di questo nuovo schema europeo che si concentrerà la discussione sulla politica economica;
il mutare del quadro di riferimento europeo dovrà, inoltre, comportare in tempi rapidi una riforma della recente legge n. 196 del 2009, per coordinare la nuova «sessione di bilancio europea» con l'articolato processo di definizione degli obiettivi programmatici di finanza pubblica e di ripartizione degli stessi tra i livelli territoriali e i settori della pubblica amministrazione (amministrazione centrale, locale e enti di previdenza), nonché di individuazione delle misure necessarie al raggiungimento degli obiettivi;
l'attuazione del «Semestre europeo» dovrà prevedere un tempestivo coinvolgimento del Parlamento nelle diverse fasi di formazione dei documenti da presentare in sede europea, in linea con gli orientamenti emersi in ambito europeo dove è stata evidenziata l'esigenza di «associare strettamente e in una fase precoce i Parlamenti nazionali al processo del Semestre europeo» e di «rafforzare il dialogo con il Parlamento europeo»;
in questo nuovo sistema legislativo, nel contesto di una crisi drammatica come quella di primavera, innescata dal caso della Grecia, nell'interesse del Paese il Governo ha ritenuto di dover anticipare all'inizio dell'estate, la manovra triennale di finanza pubblica per gli anni 2011-2013; in questi termini, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, ha consentito di mettere in sicurezza i conti pubblici e di tracciare una linea di rientro per deficit e debito accettata in sede europea; questa azione di Governo è risultata ed è in linea con gli impegni politici indicati per il 2010 nella Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica (RUEF), presentata in Parlamento il 6 maggio scorso, e con la stessa «Raccomandazione» definita per l'Italia nell'ambito della procedura europea di disavanzo eccessivo;
l'azione di Governo, nel corso della crisi, ha inteso garantire condizioni di stabilità per la finanza pubblica. In particolare, il Governo ha agito al fine di salvaguardare il sistema creditizio e il risparmio delle famiglie, sostenere i redditi e i consumi, estendere e rifinanziare gli ammortizzatori sociali, potenziare ed accelerare gli investimenti pubblici e incentivare gli investimenti privati;
in conseguenza dell'aggravarsi della crisi finanziaria, il Governo, di concerto con i paesi dell'Unione europea, ha fronteggiato la recessione sia con misure a supporto del settore finanziario, al fine di promuovere l'erogazione del credito a famiglie e imprese, sia di stimolo fiscale, in un quadro di compatibilità finanziaria collegato ai vincoli europei;
lo schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 recepisce tutti gli effetti del richiamato decreto-legge n. 78 del 2010, che conferma gli obiettivi indicati della RUEF;
lo schema della Decisione di finanza pubblica si propone, pertanto, in coerenza con gli impegni assunti in sede europea, di mantenere il controllo sul disavanzo pubblico attraverso una rigorosa azione di contenimento della spesa pubblica, con particolare riferimento a quella corrente primaria;
l'approvazione dei decreti attuativi della legge sul federalismo fiscale comporterà un nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati;
il processo federale garantirà la stabilità finanziaria, in coerenza con i nuovi meccanismi dell'area-euro e le nuove regole del Patto rafforzato di stabilità e crescita europeo, e sarà l'unico strumento legislativo idoneo a superare le anomalie di funzionamento e le inefficienze di spesa prodotte dall'attuale sistema di fiscalità dalle autonomie territoriali,

impegna il Governo:

quanto agli obiettivi della manovra di finanza pubblica relativa agli anni 2011-2013: a portare avanti con determinazione gli obiettivi e le linee di azione indicati nella DFP per gli anni 2011-2013,
ed in particolare:
a proseguire nell'azione di contrasto della crisi economica e di stimolo all'economia reale;
a contenere il rapporto tra il debito pubblico e il PIL, in ossequio alle nuove norme del Patto di stabilità europeo, al 119,2 per cento per il 2011, al 117,5 per cento per il 2012 e al 115,2 per cento nel 2013;
a contenere l'indebitamento netto rispetto al PIL al livello del 5 per cento nel 2010, del 3,9 per cento nel 2011, in modo da raggiungere valori del 2,7 per cento nel 2012 e del 2,2 per cento nel 2013, al di sotto quindi della soglia del 3 per cento fissata in sede europea;
a migliorare progressivamente l'indebitamento netto al netto degli interessi, portandolo quindi ad un valore positivo pari allo 0,8 per cento nel 2011, al 2,2 per cento nel 2012 e al 2,6 per cento nel 2013;
a far sì che il saldo netto da finanziare del Bilancio dello Stato, al netto delle regolazioni contabili e debitorie, non sia superiore a 41,9 miliardi di euro per il 2011, a 22,8 miliardi di euro per il 2012 e a 15 miliardi di euro per il 2013;
a ridurre gradualmente il saldo di cassa del settore pubblico portandolo al -4 per cento nel 2011, al -2,6 per cento nel 2012 e al -1,9 per cento nel 2013;
a ridurre gradualmente il fabbisogno di cassa del settore statale portandolo a -63,1 miliardi nel 2011, -41,4 miliardi nel 2012 e -32,1 miliardi nel 2013;
a proseguire il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale al fine di migliorare le entrate al Bilancio dello Stato;
a completare l'attuazione del federalismo fiscale, come chiave per ristabilire e rilanciare il Patto su cui si fonda l'unità nazionale, mediante l'approvazione dei decreti delegati previsti dalla legge n. 42 del 2009, secondo le procedure di collegamento tra Parlamento, Governo e autonomie previste dalla legge medesima;
ad avviare una graduale riduzione della pressione fiscale;
a riformare il sistema fiscale italiano al fine di renderlo più efficiente e trasparente, tenendo conto delle esigenze e delle compatibilità di bilancio pubblico;
ad approvare un piano di rilancio per il Mezzogiorno d'Italia per avviare il completamento della necessaria azione di equilibrio infrastrutturale tra le diverse parti del Paese, premessa indispensabile per l'attuazione del federalismo individuando seri strumenti di contrasto alla disoccupazione;
a valutare anche, in un quadro di compatibilità con i limiti di bilancio e di equilibrio tra le varie esigenze territoriali del Paese, le indicazioni fornite nel parere formulato dalla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, individuando anche zone franche urbane per nuove imprese, come strumento di contrasto alla disoccupazione;
a continuare la lotta contro il lavoro irregolare per favorire l'occupazione dei giovani;
a continuare ad impegnarsi nella tutela del Made in Italy in tutte le sue declinazioni, dal tessile all'agroalimentare, e reclamare una maggiore tutela da parte dell'Unione europea per la via europea al «fare impresa» nel rispetto dei lavoratori, dell'ambiente, della sicurezza, della salute adottando adeguate misure di contrasto della concorrenza sleale di coloro i quali, nella produzione, nel commercio, nella finanza, non rispettano gli stessi valori.
(6-00051) «Cicchitto, Reguzzoni, Bocchino, Sardelli, Mannino, Lo Monte».