XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di mercoledì 3 agosto 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il passaggio dall'analogico al digitale terrestre ha previsto cinque multiplex, ossia i pacchetti di frequenze utilizzabili per la trasmissione televisiva. I multiplex sono suddivisi in tre gruppi e, attraverso un bando in modalità beauty contest, sei frequenze verranno assegnate - a costo zero - a Rai e Mediaset (con la Rai in posizione subalterna e frequenze meno appetibili);
per potenziare i servizi wireless italiani come il Wimax e la telefonia mobile (LTE), è stata prevista una nuova gara per le frequenze dello spettro elettromagnetico da destinare ai servizi della banda larga mobile. Le frequenze per le telecomunicazioni saranno recuperate attraverso riduzione delle frequenze alle tv locali ossia: delle 56 esistenti, 9 frequenze sono state sottratte all'emittenza locale;
i canali 61-69 della banda 800 dovranno essere liberati entro il 31 dicembre 2012, in cambio di un indennizzo pari a 240 milioni di euro come risarcimento del danno subìto e saranno assegnati agli operatori;
le associazioni di categoria delle tv locali lamentano che la somma loro destinata, pari ad un decimo dell'incasso previsto per la gara della telefonia 4G, risulta insufficiente per coprire i costi sostenuti dalle emittenti per il digitale;
tuttavia, il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, all'articolo 25, comma 2, ha previsto, altresì, che: «alla scadenza del predetto termine in caso di mancata liberazione delle frequenze, l'amministrazione competente procede senza ulteriore preavviso alla disattivazione coattiva degli impianti avvalendosi degli organi di polizia delle comunicazioni»;
le tv locali rimaste senza canali potranno affittare uno spazio nei multiplex delle emittenti che hanno mantenuto la possibilità di essere operatori di rete; ciò nonostante, per far transitare il segnale occorrerà chiedere un passaggio,


impegna il Governo


ad assumere iniziative di carattere normativo volte a modificare la regolamentazione in materia - ferme restando le indicazioni comunitarie - per salvaguardare le tv locali e per ripartire la riduzione delle frequenze per 1/3 a carico delle tv locali e per 2/3 a carico di quelle nazionali, come suggerito da diverse associazioni di categoria.
(1-00703)
«Giorgio Merlo, Brandolini, Farinone, Mario Pepe (PD), Bucchino, Ginefra, Cambursano, Laratta, Mattesini, Nicco, Murer».

La Camera,
premesso che:
la Commissione europea, il 28 marzo 2011, ha adottato il nuovo libro bianco dei trasporti Roadmap to a Single European Transport Area - Towards a competitive and resource efficient transport system contenente una complessa strategia di ampio respiro sino al 2050 con la quale perseguire l'obiettivo di creare uno spazio europeo unico dei trasporti che sia caratterizzato da una maggiore concorrenza che si basi su di una rete di trasporti pienamente integrata che colleghi i diversi modi e permetta un profondo cambiamento nei modi di trasporto per passeggeri e merci;
tra i dieci obiettivi la Commissione prevede che la maggior parte del trasporto di medie distanze dei passeggeri debba avvenire mediante ferrovia, di cui va completata la rete ad alta velocità a livello

europeo, e che venga creato il necessario collegamento tra reti ferroviarie, aeroportuali, marittime e fluviali;
il regolamento (CE) n. 1370 del 2007, del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, nei «Considerando» n. 4 e n. 5 individua l'obiettivo per gli Stati membri di «garantire servizi di trasporto passeggeri sicuri, efficaci e di qualità grazie a una concorrenza regolamentata, che assicuri anche la trasparenza e l'efficienza dei servizi di trasporto pubblico di passeggeri, tenendo conto, in particolare, dei fattori sociali, ambientali e di sviluppo regionale, o nell'offrire condizioni tariffarie specifiche a talune categorie di viaggiatori», evidenziando che «molti servizi di trasporto terrestre di passeggeri che rappresentano una necessità sul piano dell'interesse economico generale non possono essere gestiti secondo una logica meramente commerciale. Occorre che le autorità competenti degli Stati membri abbiano la possibilità di intervenire per garantire la prestazione di tali servizi»;
ancora, il regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario, nel «Considerando» n. 1 prevede che «Nel quadro della politica comune dei trasporti, è importante tutelare i diritti dei passeggeri in quanto utenti del trasporto ferroviario, nonché migliorare la qualità e l'efficienza dei servizi di trasporto ferroviario di passeggeri per aiutare il trasporto su rotaia ad aumentare la sua quota di mercato rispetto ad altri modi di trasporto»;
il raggiungimento dei sopra menzionati obiettivi, sanciti a livello europeo, in Italia appare assai remoto considerando che, al contrario, si assiste all'interno del Paese ad un aumento del divario in termini di infrastrutture e di servizi tra il Nord ed il Sud, con notevole aggravio delle problematiche della mobilità, in particolare, nella regione Sicilia;
l'inasprimento delle suddette problematiche in Sicilia ed, in special modo, nell'area dello stretto di Messina, che ledono gravemente il diritto alla mobilità, quale strumento di coesione sociale, dei cittadini di fronte allo svantaggio dell'insularità, nonché lo sviluppo economico e sociale di un territorio per il quale dovrebbe essere garantita la continuità territoriale per un principio di equità, deriva principalmente dal perpetuarsi di politiche di dismissione messe in atto dal gruppo Ferrovie dello Stato, che di recente, nonostante, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo dirigano la propria azione solo verso una parte del Paese, hanno assunto la nuova denominazione di «Ferrovie dello Stato italiane»;
negli anni si è registrata, infatti, per la Sicilia la costante e graduale riduzione del servizio di trasporto viaggiatori soprattutto a lunga percorrenza nonché del trasporto merci, la scarsità di ammodernamento dei servizi e della flotta navale, l'insufficienza di investimenti nella rete, la dismissione di attività ferroviarie ancora produttive, con ricadute negative sui flussi di traffico passeggeri e merci, sulla competitività delle aree, sull'occupazione e sui flussi turistici, in nome di un progetto di complessiva razionalizzazione dei servizi e della rete finalizzato unicamente alla contrazione dei costi;
il descritto quadro trova conferma nel nuovo piano industriale di Ferrovie dello Stato per gli anni 2011-2015, presentato il 22 giugno 2011 dall'amministratore delegato Mauro Moretti, che prevede investimenti dall'ammontare complessivo pari a 27 miliardi di euro di cui solo il 2 per cento destinato al trasporto ferroviario regionale siciliano a fronte di ben 24,5 miliardi finalizzati, nell'arco di 4 anni, al potenziamento dell'alta velocità;
in una delle tabelle illustrative del piano contenente le «principali opere in corso» sono indicati, unicamente, il raddoppio della tratta Palermo-Messina (Fiumetorto-Castelbuono) - in particolare, tra le attivazioni tra il 2011 e il 2015, il

raddoppio Fiumetorto-Ogliastrillo ed il raddoppio Messina-Catania (nodo Catania);
le citate opere, insieme all'asse ferroviario Palermo-Punta Raisi-Trapani, il nodo di Palermo, l'asse ferroviario Catania-Siracusa, fanno parte di una serie di interventi progettati, nessuno dei quali, in un arco temporale che va dal 1981, anno in cui vennero trasferiti alle Ferrovie dello Stato 12.000 miliardi di lire per il rilancio dell'intera rete ferroviaria italiana, ad oggi è stato ultimato;
sono, infatti, rimasti incompiuti in trent'anni i 250 chilometri della rete ferroviaria della regione Sicilia a fronte di 1050 chilometri di nuova rete ad alta velocità all'interno dei quali ci sono, ad esempio, addirittura 90 chilometri di galleria nella relazione Firenze-Bologna, portati a compimento in 14 anni;
a dimostrazione di questo perdurante ed iniquo ordine di priorità del Gruppo, vengono destinate nel piano cifre ingenti per la realizzazione delle nuove stazioni dell'alta velocità come Torino Porta Susa, Firenze, Reggio Emilia, Napoli Afragola e Vesuvio Est, Roma Tiburtina mentre nulla è previsto per la nuova stazione di Messina, che dovrebbe essere prevista nell'ambito del progetto delle opere ferroviarie connesse alla costruzione del ponte sullo Stretto, nonostante il gruppo Ferrovie dello Stato un anno fa avesse esplicitato la necessità del collegamento delle più importanti città siciliane con linee dotate delle stesse caratteristiche delle principali linee nazionali;
occorre, altresì, rilevare l'assenza nel piano industriale di linee programmatiche riferite all'area dello stretto di Messina riguardanti il segmento della navigazione, quale ad esempio, l'implementazione dei volumi di traffico Metromare, ed il segmento gommato-pendolare;
in linea con la ben nota logica aziendale di Ferrovie dello Stato tesa al perseguimento di obiettivi economico-finanziari che premia solo i servizi ferroviari maggiormente remunerativi, non si riscontra nel piano alcun riferimento al servizio ferroviario di lunga percorrenza da e verso la Sicilia, in quanto servizio in perdita, nonostante svolga un ruolo fondamentale date le peculiarità geografiche e morfologiche del territorio, per garantire ai cittadini la mobilità tra i diversi territori per fini di lavoro, di studio e turistici, servendo diverse regioni e centri urbani medio-grandi, non interessati dall'alta velocità;
la suddetta logica della redditività, applicata indiscriminatamente, contrasta in maniera vistosa con il ruolo di concessionario di un servizio pubblico universale rivestito da Ferrovie dello Stato, la cui strategia aziendale dovrebbe essere coerente con un rapporto domanda-offerta legato al contratto di servizio con lo Stato finalizzato a garantire quei servizi di trasporto ferroviario che, indipendentemente dal loro equilibrio finanziario, sono ritenuti di utilità sociale e i cui obblighi non possono essere puntualmente disattesi a causa di incapacità gestionale;
occorre, inoltre, sottolineare l'assenza di ogni programmazione finalizzata non solo all'incremento ma anche alla competitività e produttività del servizio attualmente offerto attraverso investimenti finalizzati alla modernizzazione delle rete nonché alla messa in circolo di carrozze nuove, stante il fatto che in Sicilia molte linee ferroviarie sono vetuste e prive di doppi binari e su queste viaggiano treni lenti e con carrozze vecchie e malridotte;
le descritte assenze nella programmazione industriale recentemente illustrata da Ferrovie dello Stato costituiscono, dunque, l'ultimo segnale di un'opera che, lungi dall'essere un progetto chiaro di complessiva razionalizzazione ed efficientamento delle peculiari attività ferroviarie nell'area dello Stretto, a partire dal traghettamento alle realtà manutentive esistenti, si sta traducendo da anni in una serie di disorganiche operazioni di smantellamento;
in particolare, ciò viene mostrato dall'annunciata chiusura dell'Officina

grandi riparazioni di Gazzi, la più grande realtà manutentiva di vetture ferroviarie della Sicilia, sempre in linea con gli obiettivi aziendali, che dovrebbe avvenire entro i prossimi 30 mesi, in conseguenza del ridisegnamento del reticolo manutentivo nazionale dal quale verrebbe esclusa proprio la realtà messinese con l'utilizzo esclusivo delle infrastrutture industriali del Nord, ufficialmente motivata dalla necessità di liberare le aree indispensabili per la costruzione del ponte sullo Stretto, sebbene non vi sia chiarezza su quali siano le superfici realmente interessate dai futuri lavori e su quale sia la specifica destinazione d'uso delle aree in questione;
ulteriore segnale della suddetta opera di dismissione delle attività esistenti è la chiusura, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo immotivata, prevista entro il 2011, della sede di Messina della Itaferr s.p.a., società che espleta da anni con successo compiti di progettazione ed esecuzione delle linee ad alta velocità/capacità e degli itinerari e nodi ferroviari, che comporterà notevoli disagi nonché danni economici ai qualificati soggetti che vi operano e alle loro famiglie costretti al trasferimento;
nel piano, inoltre, non si riscontra alcun riferimento all'alta velocità/alta capacità per la Sicilia nonostante il Gruppo Ferrovie dello Stato abbia preso precisi impegni per il completamento del corridoio 1 Berlino - Palermo e per il miglioramento della rete ferroviaria siciliana, secondo quanto esplicitamente dichiarato dall'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato in occasione della presentazione del progetto per il ponte sullo Stretto;
con riferimento al citato «corridoio 1», tra l'altro, la Commissione europea si è espressa per la modifica dell'asse di scorrimento del traffico merci e passeggeri non più secondo la direttrice nord-sud ma sul nuovo «corridoio 5» Helsinki-La Valletta che a Napoli devierebbe verso Bari per congiungersi al porto di La Valetta mediante un sistema di trasporto integrato, non solo ferroviario ma anche marittimo;
in particolare, infatti, il 29 giugno 2011 la Commissione europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio un pacchetto di proposte legislative e relativi allegati [COM (2011) 500 definitivo] che rappresenta un quadro politico di riferimento di medio termine e che esprime in termini finanziari le priorità politiche dell'Unione europea;
nella parte II della Comunicazione COM (2011) alla voce «Tratti da finanziare fino al 2020», per quanto riguarda l'Italia Meridionale, compaiono solo quelli relativi al suddetto Corridoio 5;
nel contesto del suddetto quadro finanziario pluriennale della Commissione si inserisce la nuova proposta di regolamento elaborata dal Commissario europeo per tasporti Siim Kallas relativa alla rete trans-europea dei trasporti, che prevede, accanto ad una rete globale di base, costituita da tutte le infrastrutture per i trasporti di rilevanza europea, una rete principale costituita dalle parti più importanti della rete trans-europea dei trasporti, cosiddetto core network;
nella definizione della suddetta proposta di regolamento, che sostituirà la decisione n. 661/2010/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, si sta valutando l'opportunità politica relativa alla realizzazione dei singoli progetti ed è proprio in quest'ambito che urge riaffermare la priorità del «Corridoio 1» Berlino-Palermo;
se così non fosse, si concretizzerebbe il rischio concreto di vanificare gli investimenti già sostenuti dal Governo e di minare l'intero progetto infrastrutturale per il rilancio del Sud che comprende l'ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, l'alta velocità ferroviaria nella medesima tratta, il ponte sullo stretto di Messina, l'alta velocità Messina-Catania-Palermo ed il rilancio dei porti di Gioia Tauro e di Palermo,


impegna il Governo:


ad intervenire, in qualità di azionista unico del gruppo Ferrovie dello Stato e di decisore strategico, in modo risolutivo e tempestivo per assicurare servizi di mobilità uniformi in tutto il territorio nazionale e per ripristinare il servizio universale del trasporto ferroviario in Sicilia;
a rafforzare il ruolo di indirizzo e di programmazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella politica industriale nel settore dei trasporti ferroviari passeggeri e merci, al fine di impedire lo smantellamento indiscriminato delle attività ferroviarie gestite da Ferrovie dello Stato e dalle società del gruppo in Sicilia ed, in particolare, nell'aerea dello stretto di Messina;
ad attivare strumenti di interlocuzione col Parlamento in merito alla suddetta politica industriale per il trasporto ferroviario passeggeri e merci, attraverso i quali rendere noti e trasparenti i parametri essenziali in base ai quali si compongono costi e remunerazioni del servizio ferroviario universale nonché i criteri utilizzati per l'individuazione delle priorità e delle conseguenti dismissioni di servizi;
a definire una precisa e chiara strategia di sostegno e di sviluppo del sistema dei trasporti ferroviari di persone e merci che contemperi le esigenze di risanamento e di razionalizzazione con la necessità di rilancio dell'offerta ferroviaria in Sicilia, con particolare riguardo all'area dello stretto di Messina, con la salvaguardia delle attività produttive esistenti, in modo da garantire l'efficienza, in termini quantitativi e qualitativi, dei servizi ai cittadini;
ad adottare strumenti di pianificazione per la gestione degli investimenti programmatici tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Gestore dell'infrastruttura ferroviaria dotati di obbligatorietà, anche sotto il profilo dell'impegno di spesa, in modo da consentire che le opere ferroviarie di cui sia avviata la fase della programmazione possano giungere in tempi certi alla progettazione esecutiva ed alla relativa realizzazione;
ad intervenire tempestivamente in sede europea, in particolare in seno al Consiglio, per quanto riguarda l'adozione del quadro finanziario generale, e già nella fase precedente all'adozione della proposta legislativa finale del regolamento relativo alla rete trans-europea dei trasporti, al fine di ripristinare la priorità del «Corridoio 1» Berlino-Palermo nell'ambito della rete TEN-T, al fine di scongiurare il pericolo del definitivo isolamento della Sicilia dal resto d'Europa e di riconsiderare le regioni del Meridione il futuro baricentro della zona di libero scambio euromediterraneo.
(1-00704)
«Garofalo, Antonio Martino, La Loggia, Valducci, Laffranco, Santelli, Bernardo, Catanoso, Cristaldi, Dima, D'ippolito Vitale, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Galati, Germanà, Giammanco, Gibiino, Golfo, Marinello, Minardo, Misuraca, Pagano, Palumbo, Scapagnini, Torrisi, Traversa, Versace».

Risoluzione in Commissione:

La IX Commissione,
premesso che:
si fa riferimento alle complesse vicende che hanno caratterizzato l'infrastruttura cosiddetta ClVIS di Bologna, investita da una inchiesta della magistratura che ha fatto riferimento a gravissime disfunzioni nelle procedure seguite per la gara d'appalto, nelle modalità tecniche di esecuzione del progetto risultanti difformi dall'impostazione originaria concordata dagli enti locali, nonché in presenza di dati confermati da segnalazioni dell'ATC di Bologna circa l'inadeguatezza del progetto per la sicurezza del conducente, dei passeggeri, oltre che per la salvaguardia del centro storico medioevale di Bologna, che secondo autorevoli esponenti del settore, rischierebbe seriamente gravi danni,

non ultima la riflessione preoccupata del presidente dell'istituto italiano di sismologia,


impegna il Governo:


ad intervenire sollecitamente per verificare se esistano le condizioni per il blocco dei finanziamenti e se gli accordi stipulati a suo tempo tra Ministero, regione e comune di Bologna sono stati regolarmente rispettati, il tutto alla luce delle gravi disfunzioni, evidenziate da più di un anno, da autorevoli dirigenti del comune di Bologna che misconoscono questo o quel punto importante del progetto CIVIS, delle prese di distanza di sindacati, dirigenti, operatori dell'ATC nonché di associazioni di cittadini per il degrado totale che la suddetta struttura ha arrecato e potrà arrecare alla città di Bologna;
ad assumere una rapida iniziativa volta ad accertare gli elementi in suo possesso, coinvolgendo in questo anche dirigenti del Ministero e adottando le iniziative conseguenti proprio perché l'indagine della magistratura fa emergere particolari finora sconosciuti di questa intricata vicenda, che manifesta in ogni momento un «palleggio» di responsabilità tra competenze politiche e tecniche, senza esplicite assunzioni di responsabilità.
(7-00682)«Biasotti, Garagnani».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere - premesso che:
Eusebio Haliti, 19 anni, è campione italiano di atletica nella categoria «juniores» sui 400 metri indoor e su pista, con il primato personale di 47 secondi netti. Vive a Bisceglie, in provincia di Barletta, Andria, Trani (BAT), ed è una delle promesse dell'atletica italiana che sogna le Olimpiadi;
Haliti, arrivato in Italia con la sua famiglia nell'aprile del 2002, con un visto turistico, ha vissuto a Zavaterello, in provincia di Pavia, per due anni, frequentando regolarmente la scuola, per trasferirsi in seguito, a Bisceglie, dove ha frequentato regolarmente fino al diploma: attualmente studia ingegneria ambientale a Matera;
nel 2003 ha cominciato a praticare l'atletica e s'è scoperto velocista, conseguendo una vittoria ed ottenendo un record dietro l'altro: ha al suo attivo, infatti, cinque titoli italiani, tre nei 400 metri piani (2010 all'aperto, 2008 e 2010 indoor) e due nei 400 metri ostacoli (2007 e 2008), un personale di 51"60 negli ostacoli, stabilito nel 2009 a Pavia, di 47"00 nei 400 metri piani (Ginevra, 2010) e 47"73 indoor (Ancona, 2011);
nonostante Haliti possa essere a tutti gli effetti considerato una giovane promessa dello sport italiano, egli non potrà indossare la maglia azzurra, perché, essendo nato a Scutari (Albania) la legge sulla cittadinanza (la legge n. 91 del 1992) è chiara: per chiederla, i ragazzi stranieri cresciuti in Italia devono dimostrare di risiedere legalmente nel nostro Paese da almeno 10 anni;
Haliti, sebbene sia in Italia con la sua famiglia dal 2000, può dimostrare la sua presenza legale nel nostro Paese solo a partire dal 2002, dunque la data nella quale potrà acquisire la cittadinanza sarà posteriore a quella utile per la partecipazione ai Giochi olimpici di Londra 2012, per i quali sarebbe decisamente qualificato;
per il Coni, inoltre, i ragazzi di seconda generazione sono stranieri a tutti gli

effetti, e la loro presenza deve essere limitata «per tutelare i vivai nostrani»;
accade dunque che ragazzi, in questo caso campioni sportivi, cresciuti e formatisi in Italia, e che si sentono italiani a tutti gli effetti, vengano costretti ad un vero e proprio slalom in una babele di regolamenti federali, norme intemazionali e direttive del Coni, strettoie che di fatto impediscono loro di integrarsi veramente e, nel caso particolare, di portare il loro contributo alla «gloria» di un Paese che sentono come il loro;
la normativa italiana vigente in materia di cittadinanza, inoltre, sembra riconoscere al minore straniero solo diritti derivati, in quanto lega la sua presenza all'autorizzazione del permesso di soggiorno concesso al genitore, mentre, per quanto riguarda le norme sull'acquisto della cittadinanza, l'ordinamento italiano si è storicamente ispirato al criterio dello jus sanguinis;
da tempo giacciono in Parlamento proposte di legge presentate da parlamentari del gruppo PD che propongono regole più semplici e più rispettose dei diritti dei minori stranieri, anche in materia di cittadinanza -:
se non ritengano di dover adottare le necessarie iniziative affinché non si verifichino discriminazioni «di fatto» nei confronti di giovani, che, pur essendo magari nati oppure cresciuti in Italia e che si sentono italiani a tutti gli effetti, vengono sempre e comunque considerati stranieri.
(2-01182)«Boccia, Ventura».

Interpellanza:

La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
con la manovra finanziaria (decreto-legge n. 98 del 2011 - disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) il Governo è intervenuto sulla regolamentazione del contenzioso previdenziale;
l'articolo 38, comma 1, apporta sostanziali modifiche al codice di procedura civile, nel titolo IV (norme per le controversie in materia di lavoro, articoli 409/447-bis) del libro II (processo di cognizione) introducendo, fra l'altro, un nuovo articolo il 445-bis (disposizioni in materia di contenzioso previdenziale e assistenziale). Il contenzioso previdenziale e assistenziale è specificamente trattato, nell'ambito del processo del lavoro, nel capo II, negli articoli 442 e seguenti;
in questo caso sono difficilmente ravvisabili gli indispensabili requisiti di necessità ed urgenza che giustificano il ricorso al decreto-legge. La disposizione inizia con una premessa, in cui si sostiene che la sua finalità è di realizzare una maggiore economicità dell'azione amministrativa; di favorire la piena operatività e trasparenza dei pagamenti; di deflazionare il contenzioso in materia previdenziale; di contenere la durata dei processi in materia previdenziale, nei termini di durata ragionevole dei processi;
dopo un riferimento alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (ratificata in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848), una prima disposizione (punto A) stabilisce che i processi in materia previdenziale nei quali sia parte l'INPS, pendenti nel primo grado di giudizio alla data del 31 dicembre 2010, il cui valore non superi complessivamente euro 500,00, si estinguono di diritto, con riconoscimento della pretesa economica a favore del ricorrente. Le spese del processo restano a carico di chi le ha anticipate. Dato che difficilmente saranno inferiori all'importo del contendere, il ricorrente andrà probabilmente a pagare più di quanto ricavato dalla causa;
il nuovo articolo 445-bis prevede che, nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità

e di assegno di invalidità, chi intenda proporre un giudizio debba obbligatoriamente presentare, con ricorso al giudice competente, una istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. La nuova regolamentazione si applica dal 1o gennaio 2012. Nel sistema previgente, la presentazione del ricorso al giudice, con la relativa documentazione sanitaria, le perizie di parte, avviava la causa e il consulente tecnico di ufficio era nominato dal giudice all'interno del giudizio. I risultati della consulenza erano quindi valutati dal giudice insieme al resto della documentazione;
con la riforma, la consulenza tecnica preventiva rappresenta quindi una condizione di procedibilità, nel senso che il giudizio non si può avviare senza averla svolta preventivamente. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, in questo caso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell'istanza di accertamento tecnico o di completamento dello stesso. Acquisita la consulenza, il giudice fissa, con decreto, un termine perentorio non superiore a trenta giorni entro il quale le parti devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio. A questo punto si aprono due possibilità: il ricorrente e l'ente previdenziale accettano il risultato della perizia; il ricorrente e/o l'ente previdenziale contestano il risultato della perizia;
nel primo caso, il giudice, entro trenta giorni, omologa con decreto l'accertamento del requisito sanitario presentato nella relazione del consulente: il decreto è inappellabile e quindi l'INPS (o altro ente previdenziale chiamato in causa) è tenuto entro il termine di 120 giorni al pagamento delle prestazioni, se previsto dal decreto del giudice. L'accettazione di entrambe le parti del risultato della consulenza ha il valore di un accordo, pur non essendo una conciliazione in senso proprio. Le parti, anziché trovare un accordo con la mediazione del giudice, si rimettono al parere del consulente. Il decreto non è impugnabile né modificabile. In alternativa alla omologazione, il giudice potrebbe (articolo 196 codice di procedura civile) disporre una nuova consulenza e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente. Rientra, infatti, nei suoi poteri discrezionali la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive od integrative, di chiedere chiarimenti al consulente, o di disporre la sua sostituzione e l'esercizio di tale potere, cosi come il mancato esercizio, non è censurabile in Cassazione;
nel secondo caso, la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio deve depositare, presso lo stesso giudice, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione. In questo caso, quindi, andato fallito il tentativo di accordo, la controversia prosegue nelle forme usuali, pur subendo il pesante condizionamento della consulenza tecnica d'ufficio. Va detto, infatti, che il ruolo dei consulenti tecnici d'ufficio diviene, in entrambi i casi, troppo pesante, anche tenendo conto della composizione assai variegata della categoria, che non comprende solo medici legali o specialisti e del fatto che non hanno il ruolo di terzietà ricoperto dal giudice;
la sostanziale novità è data dal fatto che la successiva sentenza non è soggetta ad appello: se ha un senso (nei limiti sopra detti) che una volta accettati i risultati della consulenza tecnica di ufficio, non sia possibile presentare ricorso, è difficilmente condivisibile che sia inappellabile l'eventuale sentenza di primo grado, resa, in definitiva e pur nell'ambito della valutazione del giudice, sulla base della stessa consulenza. In questo caso si priva il cittadino di un diritto di appello previsto per gli altri tipi di contenzioso. Alla luce dell'articolo 3 della Costituzione che riconosce

a tutti i cittadini pari dignità sociale e uguaglianza di fronte alla legge e dell'articolo 24 che stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritto e interessi legittimi, e che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento -:
se non ritengano opportuno, al fine di ridurre il contenzioso giudiziario e quindi la durata delle cause, anziché attribuire ad un organo come il consulente tecnico d'ufficio un tale potere, assumere le necessarie iniziative normative volte a reintrodurre forme, anche obbligatorie, di ricorso amministrativo.
(2-01179)«Schirru».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

GHIZZONI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 17 luglio 2011 si sono verificate una scossa di magnitudo 3.1 alle 20.22 nel distretto sismico della Pianura padana lombarda e un'altra di magnitudo 4.7, otto minuti più tardi, nel distretto della Pianura padana veneta: due eventi sismici registrati dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia avvertiti anche a Monza, in Brianza e in gran parte del Nord Italia;
l'epicentro è stato calcolato a 1,4 chilometri di profondità nei dintorni di Mirandola, in provincia di Modena, nel primo caso e a 8,1 chilometri di profondità verso Legnago (Vr), nel secondo;
più tardi rispetto ai primi aggiornamenti, l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha segnalato una terza scossa, di magnitudo 2.8 a una decina di chilometri di profondità, sempre nella zona della provincia di Modena. E poi, alle 21.22, una quarta di magnitudo 2.3;
tale evento ha causato danni, ad oggi in corso di precisa valutazione, ad edifici sia pubblici che privati nonché a luoghi di culto;
ad oggi sono giunte segnalazioni per la richiesta di verifica delle condizioni statiche per 6 edifici privati e per il fabbricato della chiesa parrocchiale di San Martino Spino;
per quanto attiene gli edifici di proprietà comunale, sono stati effettuati alcuni sopralluoghi nelle frazioni di San Martino Spino e Quarantoli, le più vicine agli epicentri dei sismi sopra ricordati. In particolare è stato verificato lo stato delle seguenti strutture: Barchessone vecchio, la scuola elementare e media di San Martino Spino e la scuola elementare di Quarantoli. Per quanto riguarda il primo edificio, realizzato nel 1800 e restaurato a fine anni novanta, risulta essere l'unico che ha risentito più pesantemente del sisma, sopratutto al piano primo: le lesioni riguardano principalmente le travi di sostegno della copertura centrale sovrastante il locale al piano primo. Tali lesioni, pur non rappresentando un pericolo immediato per la staticità della struttura, potrebbero, nel caso di ulteriori sollecitazioni sismiche, aumentare e di conseguenza ridurre in maniera pericolosa la sezione portante vera e propria dei vari elementi, con possibili cedimenti della copertura. Pertanto si ritiene opportuno procedere a un intervento di consolidamento delle travi con elementi metallici, mimetizzandoli come peraltro già fatto in sede di restauro dell'edificio, per ripristinare il più possibile la continuità della sezione. Rispetto allo stato della scuola elementare e media di San Martino Spino, nell'edificio si registrano distacchi di strato pittorico e piccole fessurazioni, mentre all'esterno sono presenti alcune fessurazioni che necessitano di uno specifico intervento. Infine, per quanto riguarda la scuola elementare di Quarantoli, si ritiene necessaria la sostituzione del camino della centrale termica -:
se e come il Governo intenda intervenire per quanto di competenza affinché

possa essere ripristinata la piena sicurezza statica degli edifici pubblici e privati, nonché di culto, compromessa dal terremoto verificatosi del mese di luglio 2011.
(5-05245)

ROSATO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la società Servola spa è proprietaria di uno stabilimento per la produzione di ghise, coke metallurgico ed altri prodotti da altoforno in provincia di Trieste, noto anche con la denominazione di «Ferriera di Servola», a ragione del fatto che gli impianti sono ubicati all'interno dell'antico e popoloso rione di Servola, che conta di oltre 50.000 abitanti;
la ferriera di Servola è negli ultimi anni assurta più volte alle cronache a causa del degrado ambientale che ha provocato nell'area costiera durante la sua lunga attività e dei danni da inquinamento che arreca al suolo, alle risorse idriche ed all'aria soprattutto per il cattivo o obsoleto funzionamento degli impianti di produzione;
pur se il complesso industriale triestino è stato, quindi, più volte interessato da contestazioni e segni di malcontento a causa della sua scarsa sicurezza ambientale, è però dagli ultimi mesi del 2007 che la ferriera è oggetto di accese proteste e di dimostrazioni di contrarietà soprattutto da parte della popolazione locale e ciò non solo per il suo accertato e perdurante pericolo per l'ambiente, quanto anche per il sospetto di una presunta nocività per la salute pubblica a causa della vetustà degli impianti di produzione e abbattimento di fumi e polveri, di conseguenza l'inevitabile sempre più difficoltosa e non regolare conduzione degli stessi;
nell'ottobre del 2007, infatti, da uno studio commissionato dalla magistratura al Centro interdipartimentale di gestione e recupero ambientale - CIGRA dell'università degli studi di Trieste, si sarebbe evinto che i livelli di polveri sottili emessi dagli impianti sono di molto superiori ai limiti di legge, soprattutto riguardo alla presenza del benzoapyrene che avrebbe raggiunto picchi di 90 nano grammi per metro cubo, mentre il limite è di 1 nano grammo per metro cubo;
è evidente come sia ormai improcrastinabile un intervento mirato, promosso principalmente dal Governo e dalla regione Friuli-Venezia Giulia e condiviso dalle associazioni per la difesa dei cittadini e del territorio che operano nel quartiere, che porti alla urgente chiusura e contestuale conversione della ferriera di Servola, ponendo alla base di ogni possibile azione che vada in tal senso, la necessità di ridare sicurezza e vivibilità alla popolazione del quartiere e di garantire la piena occupazione ai lavoratori che vi sono impiegati;
in data 24 settembre 2008, la Commissione ambiente della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione (8/00009), in cui si impegnava il Governo «a favorire, nel rispetto delle proprie competenze e fatte salve le prerogative della regione Friuli-Venezia Giulia in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati di cui al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, la messa in atto di ogni più utile misura che si renda necessaria per conseguire, con il consenso della popolazione del rione di Servola, il rapido avvio della procedura di riconversione, cui seguirà l'eventuale chiusura della ferriera di Servola, allo scopo anche valutando l'opportunità di procedere ai sensi dell'articolo 252-bis del predetto decreto legislativo n. 152 del 2006, all'attuazione di un programma di riconversione, da adottare entro sessanta giorni, contenente interventi mirati allo sviluppo economico produttivo nel quale vengano previste anche soluzioni intermedie e di lungo periodo per i lavoratori che nella riconversione dovranno trovare adeguata ricollocazione»;

sono passati già quasi tre anni dall'approvazione della suddetta risoluzione ma, degli impegni assunti dal Governo, a quanto consta all'interrogante, nessuno è stato rispettato;
in data 14 giugno 2011 alla riunione Lucchini/Severstal presso il Ministero dello sviluppo economico il sottosegretario Saglia si è impegnato, una volta risolta la questione finanziaria dell'azienda e il suo piano industriale, a partecipare alla costituzione di un tavolo specifico dedicato al sistema produttivo triestino, che, oltre ad affrontare la questione della chiusura dello stabilimento della ferriera di Servola, prevista per il 2013 ovvero il 2015, avvii una politica industriale complessiva, che tenga conto anche delle criticità del territorio legate alle infrastrutture, alla piattaforma logistica e alle bonifiche del sito inquinato;
in data 11 luglio 2011 il consiglio comunale del comune di Trieste ha approvato una mozione nelle cui premesse si legge che «da oggi parte il conto alla rovescia per quanto riguarda progetti e finanziamenti relativi alla auspicabile riconversione dell'area della Ferriera, con atti concreti mirati esclusivamente all'interesse dei lavoratori che da anni vivono in una situazione di estrema precarietà ed all'ambiente; da questo punto di vista Trieste si aspetta che la Regione FVG ed il Governo nazionale si facciano carico finalmente di problemi da tempo trascurati perché ne va dello sviluppo della città e delle nuove generazioni» e in cui si chiede al sindaco di sollecitare con la massima urgenza e senza più dilazioni di nessun genere la elaborazione di un accordo di programma che abbia come protagonisti principali il Governo nazionale, regione, provincia e comune di Trieste -:
se siano a conoscenza della gravissima situazione esposta in premessa considerato che, negli ultimi anni, nessuno degli impegni assunti dal Governo tre anni fa è stato rispettato e, in particolare, quello relativo al «rapido» avvio della procedura di riconversione e all'attuazione di un programma di riconversione, «da adottare entro sessanta giorni», contenente interventi mirati allo sviluppo economico produttivo, nel quale vengano previste anche soluzioni intermedie e di lungo periodo per i lavoratori che nella riconversione dovranno trovare adeguata ricollocazione;
se e quali azioni urgenti e concrete intendano intraprendere che possano affrontare, in modo serio ed efficace e senza più dilazioni e omissioni, tutte le problematiche sia occupazionali che ambientali legate alla riconversione e alla bonifica del sito industriale Ferriera di Servola.
(5-05258)

Interrogazioni a risposta scritta:

SBROLLINI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la scorsa settimana le Nazioni Unite hanno ufficialmente dichiarato la Somalia in uno stato di «carestia» a causa del persistente periodo di siccità che ha ormai compromesso il raccolto agricolo e causato la morte di migliaia di capi di bestiame;
secondo l'Onu si può parlare di stato di carestia quando su base giornaliera muoiono per fame due adulti, o quattro bambini, ogni 10.000 e quando il 30 per cento della popolazione è affetta da malnutrizione acuta;
la comunità internazionale e tutte le principali organizzazioni umanitarie si sono mobilitate per portare soccorso alla popolazione già provata da vent'anni di guerra civile; sussiste la difficoltà di portare gli aiuti nelle zone interne della Somalia, per la maggior parte sotto il controllo delle milizie di Al-Shabab, un gruppo islamista affiliato ad Al Qaeda che impedisce alle istituzioni internazionali e ai gruppi di volontariato di intervenire e sta spingendo la popolazione somala a cercare rifugio oltre confine;

la crisi si sta cosi allargando delle regioni dei Grandi Laghi e del Corno d'Africa con l'Etiopia, il Kenya, il Sudan, Burundi, Gibuti, e Uganda; una crisi che riguarda 11 milioni di persone e che Oxfam Italia ha definito la peggiore crisi umanitaria del ventunesimo secolo, lanciando un appello affinché si trovi una soluzione a lungo termine;
secondo il Cesvi, una delle organizzazioni non governative da tempo operanti nel Corno d'Africa, la crisi potrebbe ulteriormente aggravarsi nel medio periodo; il prezzo del grano è salito tra il 100 e il 200 per cento, riducendo la disponibilità di alimenti per le famiglie e per il bestiame, che rappresenta una delle principali fonti di sussistenza nell'area;
in Somalia la siccità va a sommarsi ad una situazione politica e militare già drammatica, che si trascina da un ventennio e che vede migliaia di persone sistematicamente in fuga dalle violenze;
come sempre succede in crisi cosi terribili, a pagare il prezzo più alto sono i bambini, soggetti deboli, già sottoposti a un durissimo percorso di crescita tra malnutrizione e problemi igienico-sanitari;
l'Unicef ha stimato, soprattutto in Somalia, che oltre mezzo milione di bambini soffrono di mal nutrizione acuta e necessitano di urgenti aiuti umanitari; stesso appello è arrivato da Save the Children, che sta sfamando e curando migliaia di bambini;
secondo gli esperti che seguono l'emergenza in Somalia, 800 mila bambini sono a rischio della vita nel Corno d'Africa. Solo pochi di loro sono arrivati negli affollatissimi campi profughi del Kenya (soprattutto in quello di Dadaab);
nuovo rapporto, Amnesty International ha denunciato i crimini di guerra di cui sono vittime le bambine e i bambini in Somalia, tra cui il sistematico arruolamento di soldati di età inferiore a 15 anni da parte dei gruppi armati islamisti; il rapporto di Amnesty International denuncia, oltre agli arruolamenti forzati, anche il diniego dell'accesso all'istruzione e le uccisioni e i ferimenti nel corso degli attacchi indiscriminati contro aree densamente popolate;
«È una crisi dei diritti umani e una crisi delle bambine e dei bambini» - ha dichiarato alla stampa Michelle Kagari, vicedirettore per l'Africa di Amnesty International «Se sei un bambino in Somalia rischi la vita in ogni momento: puoi essere ucciso, reclutato e spedito al fronte, punito da al-Shabab perché ti hanno trovato mentre ascoltavi musica o indossavi "vestiti sbagliati", costretto ad arrangiarti da solo perché hai perso i genitori o puoi morire perché non hai accesso a cure mediche adeguate»;
il Governo federale di transizione della Somalia è a sua volta accusato dalle Nazioni Unite di aver reclutato, impiegato, ucciso e ferito i bambini nel conflitto armato; sebbene esso si sia impegnato a rispettare i diritti dei minori, non ha ancora preso alcuna misura concreta per porre fine all'uso dei bambini nei ranghi delle forze che combattono dalla sua parte; l'istruzione è stata compromessa a causa degli attacchi indiscriminati che hanno distrutto o danneggiato gli edifici scolastici; nella capitale, Mogadiscio, molte scuole sono state chiuse perché gli alunni e gli insegnanti hanno paura di essere uccisi o feriti lungo il percorso per raggiungerle;
a causa delle violazioni subite o cui hanno assistito, la dimensione del trauma tra i rifugiati somali, inclusi i bambini, è elevata. La comunità internazionale deve aumentare le misure di protezione riguardanti il crescente numero di bambini somali separati dalle loro famiglie e accrescere il sostegno psicosociale e i programmi d'istruzione -:
come il Governo intenda intervenire a sostegno e a protezione delle popolazioni colpite da tale tragedia; se intenda intervenire a sostegno delle organizzazioni non governative e delle organizzazioni internazionali che operano per fronteggiare una crisi umanitaria di proporzioni insostenibili

o in quale altro modo; se il Governo intenda avviare, in particolare, un piano di aiuto per i bambini colpiti e segnati in modo drammatico da una crisi umanitaria devastante alla quale non si può rimanere indifferenti.
(4-12948)

ALESSANDRI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la recente crisi Libica, unita ai processi bellici e sociali presenti nei Paesi dell'Africa sub-sahariana ed in quelli già coinvolti in eventi bellici o caratterizzati da criticità in relazione alle condizioni delle fasce più svantaggiate della popolazione, ha aggravato il fenomeno dei minori non accompagnati che giungono nel nostro Stato;
la problematica in questione ha assunto aspetti di vera emergenza soprattutto a seguito del peggioramento delle crisi belliche in Libia ed in Iraq, anche esse oggetto d'interesse del decreto-legge n. 107 del 2011 nel testo approvato dal Parlamento, tanto che oggi di essa si parla come «emergenza Nordafrica». A coordinare l'iter di gestione dei minori non accompagnati riferiti all'emergenza Nordafrica è preposto il dipartimento della protezione civile e l'ultimo dei provvedimenti che ha adottato in materia è la «procedura operativa per minori stranieri non accompagnati richiedenti protezione internazionale del 15 luglio 2011»;
ai sensi dell'articolo 33 del «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, è operativo in Italia il comitato per i minori stranieri, che ha lo scopo di vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di coordinare le attività delle amministrazioni interessate;
il predetto comitato è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed è composto da rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri, dell'interno e della giustizia, del dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché da due rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da un rappresentante dell'Unione province d'Italia (UPI) e da due rappresentanti di organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore;
i minori stranieri non accompagnati sono di fatto dei fanciulli in stato di abbandono che arrivano principalmente tramite gli sbarchi. Di regola il minore straniero giunto in Italia viene segnalato alle autorità locali, al tribunale dei minorenni, al comitato minori e viene affidato a strutture che operano sul territorio e che lo accolgono. Se il minore è identificabile si attivano anche le indagini familiari, ma la maggioranza dei minori stranieri non accompagnati non sono identificabili in quanto non possiedono documenti. I minori di cui trattasi restano ad ogni modo a carico degli enti locali dove sono identificati;
il comitato per i minori stranieri, ove si giunga ad individuare la famiglia di appartenenza, valuta le condizioni della stessa, verificando se è in grado di riprenderlo e se vuole riprenderlo;
è fondamentale che questi ragazzi siano ascoltati, anche per far capire loro che l'identificazione è un vantaggio prima di tutto per loro stessi;
l'ANCI dichiara che annualmente spende 200 milioni di euro per l'accoglienza di questi ragazzi e per ottimizzare e rendere più efficace il sistema di protezionedegli stessi; il comitato e l'ANCI, tramite il fondo per l'inclusione, hanno realizzato una convenzione per costruire un piano nazionale per i minori stranieri, volto a creare una rete per migliorare la gestione di tale fenomeno, organizzando indagini familiari, contribuendo all'identificazione,

intervenendo in modo specifico al Sud, nelle zone degli sbarchi, quali Lampedusa, Ragusa, Agrigento;
su 7.400 minori censiti, ovvero segnalati al comitato dalle questure, dai comuni e dai tribunali, soltanto il 30 per cento è identificato. Da ciò si può ben comprendere che questo dato impedisce qualsiasi reale processo di integrazione, perché non conoscendo la provenienza, l'età ed l'identità del minore, occuparsene diventa complicato. L'identificazione è, quindi, un problema centrale nella gestione dei minori stranieri;
negli ultimi due/tre anni sono cresciuti a dismisura i dati relativi ai minori egiziani, afghani e da ultimo tunisini, libici e di altri Paesi sub-sahariani. In particolare sono cresciuti egiziani, afghani, palestinesi - o sedicenti palestinesi - e ragazzi provenienti dal Corno d'Africa, ovvero da Paesi disastrati come la Somalia e l'Eritrea;
nelle procedure ordinarie, il comitato effettua il censimento e svolge le indagini familiari sui minori su richiesta degli enti locali. Questi ragazzi, però, temendo di essere ricondotti nei Paesi di provenienza, non collaborano ai fini della loro corretta identificazione, ma resta fermo che pur non identificati, essi non si possono espellere perché la legge non lo consente;
solo dopo aver svolto le indagini familiari è possibile procedere con il rimpatrio assistito, che deve essere richiesto al comitato, a patto però che sussistano determinate condizioni, ad esempio l'esistenza di una famiglia o comunque di un ambiente adatto in cui ricollocare il minore, ovviamente valutando il contesto di reinserimento con un'equiparazione ponderata e non adottando i parametri che si possono utilizzare per il contesto sociale italiano;
con l'acuirsi della crisi bellica in Libia, cui l'Italia partecipa sulla base della risoluzione 1973 dell'Onu sulla Libia, per cui il Governo è autorizzato a mettere in campo le misure necessarie a proteggere i civili e a concedere l'uso delle basi militari in territorio italiano, con il precipuo intento di consentire il passaggio della Libia verso istituzioni democratiche, anche il problema dei minori stranieri si è notevolmente aggravato;
quasi tutti i comuni in cui tali minori sono dislocati, lanciano appelli per essere aiutati a gestire il fenomeno. Ma in questo caso si procede al di fuori del contesto che vede la partecipazione del comitato minori stranieri e delle procedure di accoglienza ed identificazione sopra richiamate;
nella gestione dei fanciulli provenienti dai Paesi in crisi belliche, oggi si procede, come detto, tramite provvedimenti del dipartimento della protezione civile, che indica i procedimenti amministrativi da seguire per prendere in carico il minore, coinvolgendo, in caso il minore dichiari subito la volontà di chiedere protezione internazionale, la questura, il servizio centrale e per conoscenza il soggetto attuatore e l'ente attuatore;
sono altresì coinvolti la procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, il tribunale per i minorenni ed il medesimo servizio nazionale di protezione civile;
in caso di insufficienza di posti presso il servizio di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (SPAR) e di conseguente risposta negativa da parte del servizio centrale, il soggetto attuatore indica strutture idonee alternative, interessando preventivamente il comune, e comunicando contestualmente l'avvenuta sistemazione a tutti gli enti citati. L'accoglienza è dunque pagata alle strutture tramite il comune, attraverso i fondi straordinari gestiti dall'ente attuatore regionale;
nel caso di minori già collocati dal soggetto attuatore in comunità, ove gli stessi dichiarino in un secondo momento la volontà di chiedere protezione internazionale, il comune segnala al servizio centrale e al soggetto attuatore - Ministero del lavoro e delle politiche sociali - la

diversa situazione giuridica del minore e contestualmente, agli altri organi competenti. In caso di richiesta di trasferimento, il servizio centrale individua un posto in accoglienza e ne dà comunicazione/lettera di inserimento al progetto individuato e agli altri enti competenti. In caso di insufficienza di posti SPRAR e di conseguente risposta negativa da parte del servizio centrale, il comune può disporre che il minore resti in quella o altra struttura idonea, dandone comunicazione all'ente attuatore regionale;
anche in questo caso l'accoglienza sarà pagata alle strutture tramite il comune, attraverso i fondi straordinari gestiti dall'ente attuatore regionale;
alla luce anche di queste procedure, appare evidente che resta del tutto non prevista e non disciplinata la successiva fase di gestione di questi minori, ai sensi delle disposizioni di legge che prevedono l'intervento del comitato per i minori stranieri;
alla luce dei profili problematici già presenti nella normale gestione dei minori stranieri giunti in Italia e delle maggiori complicazioni che seguiranno le fasi di emergenza con cui oggi si accolgono i minori rientrati nell'«emergenza Nordafrica», ossia provenienti da Paesi dell'Africa sub-sahariana e da quelli asiatici ed europei con conflitti bellici in relazione ai quali l'Italia partecipa a operazioni internazionali, si rendono necessarie azioni di coordinamento e di potenziamento anche finanziario tra gli organismi e le istituzioni competenti, segnatamente il comitato per i minori stranieri, al fine di dare maggiore efficacia alle procedure per l'ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato dei minori stranieri ed alle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenti nel territorio dello Stato, nell'ambito delle attività dei servizi sociali degli enti locali, nonché al fine di agevolare i compiti di impulso e di raccordo del comitato con le amministrazioni interessate ai fini dell'accoglienza, del rimpatrio assistito e del ricongiungimento del minore con la sua famiglia nel Paese d'origine o in un Paese terzo -:
se, per le parti di competenza, non intendano valutare l'opportunità di intraprendere, anche nell'ambito dell'attuazione delle misure correlate alle risoluzioni n. 1970 (2011) e n. 1973 (2011) adottate dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed agli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, le opportune iniziative, affinché insieme al comitato per i minori stranieri, siano attivate anche azioni volte a definire, dopo l'attuale coinvolgimento del dipartimento della protezione civile, le successive modalità di gestione dei minori stranieri entrati in Italia in seguito all'acuirsi dei fatti bellici in Libia, nei Paesi sub-sahariani ed in quelli con conflitti in atto in relazione ai quali l'Italia svolge interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione ed, in tale ambito, se non si intenda valutare la possibilità di assicurare, senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato, adeguate risorse in favore del comitato per i minori stranieri, per consentirgli l'efficace svolgimento dei propri compiti concernenti la tutela dei diritti dei minori stranieri in conformità alle previsioni della convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.
(4-12957)

POLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il decreto ministeriale 14 settembre 1994, n. 666, ha individuato e disciplinato la figura del podologo quale professione sanitaria afferente all'area tecnico-riabilitativa, in attuazione dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, che ha operato il riordino della disciplina in materia sanitaria, in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 471;

la legge 26 febbraio 1999, n. 42, ha successivamente disciplinato le professioni sanitarie, prevedendo, all'articolo 4, comma 2, la possibilità di individuare i criteri e le modalità necessari al riconoscimento dell'equivalenza ai diplomi universitari di area sanitaria per i soggetti in possesso di «ulteriori titoli conseguiti conformemente all'ordinamento in vigore anteriormente all'emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali», tenendo presente sia la qualità e la durata dei corsi effettuati, che il possesso di una pluriennale esperienza professionale;
in merito all'individuazione dei criteri per il riconoscimento dell'equivalenza, già il 16 dicembre 2004 la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano aveva adottato un accordo, cui avrebbe dovuto seguire il decreto del Ministero della salute con cui si recepiva l'accordo stesso, così come previsto dall'articolo 4, comma 2, della legge n. 42 del 1999. Detto decreto non è mai stato emanato dal Ministro della salute;
un secondo accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, abrogativo del precedente, è stato siglato il 10 febbraio 2011, per il cui recepimento è stata prevista l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, come disposto dall'articolo 10 dell'accordo stesso, su proposta del Ministro della salute, d'intesa con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di cui si è ancora in attesa;
al momento non sono note le cause della mancata emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, né sono intervenute nel frattempo nuove normative in materia, tali da giustificare un diverso orientamento dell'amministrazione rispetto a quello assunto in sede di accordo Stato-regioni;
i podologi, già fortemente penalizzati dal ritardo con cui si è pervenuti all'accordo citato, poiché esposti a contenzioso e discriminati sul lavoro a seguito della mancata legittimazione del loro status operativo come equivalente, non possono attendere ulteriormente il riconoscimento della loro legittimità ad operare -:
quali iniziative si intendano intraprendere per evitare che si reiterino situazioni penalizzanti per un gran numero di operatori qualificati, tuttora in attesa dell'emanazione del provvedimento, anche al fine di tutelare la salute e la sicurezza di tanti cittadini che, allo stato attuale, non sono in grado di avere adeguata informazione circa la sussistenza dei requisiti professionali da parte dell'operatore cui si affidano.
(4-12981)

SANGA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
sul territorio di Tavernola, in provincia di Bergamo, sulle rive del lago di Iseo, insiste da oltre un secolo un cementificio oggi di proprietà del gruppo Sacci;
lo stesso gruppo Sacci ha inoltrato richiesta di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale ai fini di poter utilizzare combustibile da rifiuti (Cdr) e pneumatici triturati nel processo di combustione che alimenta i forni;
la competente conferenza di servizi, insediata presso la provincia di Bergamo, ha aggiornato i suoi lavori al mese di settembre;
nella precedente autorizzazione integrata ambientale (aia) il gruppo Sacci aveva ottenuto la possibilità di avviare una sperimentazione mai attivata;
la comunità di Tavernola si è espressa anche con una consultazione popolare e l'82 per cento dei cittadini ha dichiarato la sua contrarietà;
il territorio del lago di Iseo sta attuando importanti progetti di valorizzazione naturalistico-ambientale e di rilancio turistico -:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto sopra rappresentato

e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere al fine di tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini di fronte ad attività di incenerimento dei rifiuti ad opera di cementifici, come nel caso di cui in premessa, anche promuovendo un piano di monitoraggio degli effetti conseguenti a tali attività.
(4-12985)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 2 agosto 2011 l'Avvocatura di Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato istanza in Corte costituzionale con richiesta di rinvio dell'udienza del 20 settembre 2011 relativa alla verifica di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa di cui all'articolo 4, comma 3, della legge n. 40 del 2004;
nell'istanza è stata preannunciata l'adesione delle controparti, ovvero degli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini (nel caso di specie difensori della coppia di coniugi per cui è stato sollevato il dubbio di legittimità costituzionale sul divieto di eterologa con ordinanza del tribunale di Firenze - Registro ordinario corte costituzionale n. 19 del 2011, alla richiesta di rinvio in cui si chiede di attendere una pronuncia nei confronti dell'Austria, già condannata per l'applicazione del divieto di fecondazione eterologa in violazione della Carta europea dei diritti dell'uomo (sentenza del 1o aprile 2010 della corte europea dei diritti dell'uomo condanna l'Austria per il divieto di fecondazione eterologa che viola gli articoli 8 e 14 della CEDU);
a giudizio della prima firmataria del presente atto è gravissimo che l'Avvocatura di Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri preannunci al Presidente della Corte costituzionale una adesione di parti attrici all'istanza quando gli avvocati Filomena Gallo, Gianni Baldini e Gian Domenico Caiazza non sono stati consultati né preventivamente né successivamente al suo deposito;
come risulta da un comunicato stampa diramato il 2 agosto 2011, gli avvocati Gallo e Baldini non sono affatto d'accordo con il rinvio, in quanto ciò comporta l'impossibilità da parte di molte coppie sterili di poter ricorrere alla donazione di gameti per poter avere una gravidanza;
è altresì gravissimo anche che il Governo si costituisca dinanzi alla Corte costituzionale e alla Corte europea dei diritti dell'uomo, in palese violazione degli obblighi assunti in sede di piano d'azione di Interlaken, che impegna il Governo: non costituirsi in giudizi a seguito di sentenze della Corte europea dei dritti dell'uomo che mirano a fornire la corretta interpretazione della Carta europea dei diritti dell'uomo all'interno dell'Unione europea;
l'udienza del 20 settembre 2011 sulla verifica di costituzionalità del divieto di eterologa (articolo 4, comma 3, legge n. 40 del 2004) è stata rinviata a nuovo ruolo -:
sulla base di quali elementi l'Avvocatura dello Stato ha preannunciato al Presidente della Corte costituzionale l'adesione delle parti attrici all'istanza di rinvio dell'udienza depositata lo scorso 2 agosto;
se il Governo intenda revocare la propria costituzione nel procedimento innanzi alla Corte costituzionale in merito alla verifica di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa di cui all'articolo 4 comma 3 della legge n. 40 del 2004, con ciò adempiendo agli obblighi assunti in sede di piano d'azione di Interlaken.
(4-12996)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
tra le mani dei «signori della guerra» afgani passano i miliardi di dollari che l'Occidente

riversa da 10 anni a questa parte del Paese per la cosiddetta ricostruzione. In realtà, secondo l'organizzazione Rawa (Associazione delle donne afgane rivoluzionarie), si tratta di vere e proprie mafie, quella gestita dalle organizzazioni non governative afgane e internazionali, paragonabile alla mafia del traffico di droga, con cui si arricchiscono anche i contingenti stranieri, e quella dei latifondi, che vede capi clan afferenti a uno dei gruppi di potere impadronirsi di ettari e ettari di terra per poi sfruttarli con speculazioni di edilizia privata;
tra il 40 e il 60 per cento dei fondi torna in tasca ai Paesi donatori, tra stipendi e profitto d'impresa. Un'altra percentuale è intascata dal Ministro a cui viene affidato il progetto di ricostruzione. Il tessuto istituzionale afgano, dalle sue più alte cariche giù fino all'ultimo dei dipendenti, è corrotto: l'Afghanistan è diventato dopo l'occupazione occidentale il secondo Paese corrotto al mondo dopo la Somalia;
in un contesto di insicurezza, ingiustizia, in assenza di democrazia, le donne continuano ad essere vittime. La questione della donna è una tematica politica che si inquadra all'interno del contesto generale afgano. Le donne sono state vittime dei crimini perpetrati in questi anni di guerra e continuano ad esserlo. Bambine di 12 anni, e anche più giovani, subiscono stupri, alcune volte anche di gruppo, da parte di uomini legati ai «signori della guerra» o a governatori di province e distretti, che per questo non incorreranno nella macchina giudiziaria, anch'essa corrotta e controllata. D'altra parte, negli ultimi anni il Governo Karzai ha varato leggi volte a colpire i diritti delle donne -:
quali siano le informazioni in possesso del Governo relative alla gestione delle risorse destinate alla ricostruzione in Afghanistan e sul monitoraggio dei livelli di corruzione a partire dalle più alte cariche istituzionali afgane.
(4-12945)

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
secondo l'Unicef solo il 48 per cento della popolazione afgana ha accesso all'acqua potabile e solo il 37 per cento usa servizi igienici adeguati, con implicazioni gravi per la salute, soprattutto per i bambini. Mentre alcune aree del Paese sono fisicamente prive di acqua, la maggior parte delle persone non ha accesso all'acqua potabile a causa di infrastrutture inadeguate e cattiva gestione, piuttosto che risorse insufficienti, afferma un rapporto pubblicato dal Centro per la politica e lo sviluppo umano dell'università di Kabul;
il rapporto dal titolo «Afghanistan Rapporto sullo sviluppo umano 2011» dice che «Nel corso di tre decenni di disordini in Afghanistan, le infrastrutture di fornitura dell'acqua sono state trascurate o distrutte, mentre le istituzioni responsabili per la gestione e l'erogazione dei servizi sono crollate»;
circa il 73 per cento della popolazione si affida a strutture improvvisate e inadeguate per la fornitura di acqua, mentre le fonti stanno diventando sempre più inquinate e sovrautilizzate in città come Kabul. Circa il 70 per cento della popolazione urbana vive in insediamenti illegali, mentre il 95 per cento non ha accesso a servizi igienici;
a Kabul l'80 per cento della popolazione vive in insediamenti non pianificati in cui la scarsa igiene e la mancanza di accesso all'acqua potabile sono comuni. E ancora, l'85 per cento della popolazione vive a 3-4 ore di distanza dalle strutture sanitarie e il 35 per cento vive troppo lontano da qualsiasi centro medico o non ne ha accesso;
di recente è stato firmato il primo accordo quadro di cooperazione economica a Kabul tra il Governo italiano e Governo afgano -:
se, nell'ambito di accordo quadro, vi siano investimenti mirati a risolvere le gravi problematiche citate in premessa.
(4-12951)

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'Afghanistan è il Paese in cui la mortalità legata alla maternità e le aspettative di vita sono le peggiori del mondo. La relazione del 2011 sulla condizione delle madri nel mondo, pubblicata il 24 giugno dalla organizzazione non governativa Save the Children, afferma che ogni giorno in Afghanistan circa 50 donne muoiono di parto. Una donna su tre subisce violenze fisiche o sessuali e l'aspettativa media della vita femminile è di 44 anni. Inoltre, più dell'85 per cento delle donne afgane è analfabeta, mentre il 70 per cento delle ragazze in età scolare di fatto non frequenta la scuola per vari motivi: genitori con mentalità conservatrice, mancanza di sicurezza o paura per la propria vita. «Se consideriamo tutti questi fattori, l'Afghanistan è il luogo peggiore in cui essere madre» conclude questa relazione, che ha esaminato 164 Paesi;
anche i bambini afgani, insieme a quelli dell'Africa sub-sahariana, sono sottoposti al rischio di morte più elevato del mondo. Un bambino su cinque muore prima di raggiungere i cinque anni. Esiste anche una diffusa mancanza di consapevolezza all'interno delle comunità in merito alle cure e all'assistenza alla maternità, in particolare nelle zone rurali. Inoltre, nelle aree più remote del Paese mancano le strutture mediche e i mezzi di trasporto e di comunicazione;
l'Afghanistan è una terra montuosa e in alcuni luoghi ci vuole un giorno di viaggio a piedi, o in sella d'asino, per spostarsi da un luogo all'altro. Secondo Save the Children, solo il 14 per cento delle nascite riceve un'adeguata assistenza medica. Molte donne partoriscono a casa senza nessun aiuto oppure muoiono lungo la strada prima di raggiungere un centro medico -:
quali interventi il Governo abbia messo in atto e quali intenda adottare per tutelare la salute di donne e bambini in Afghanistan costretti ancora a vivere in condizioni pessime e a rischio della vita a dieci anni dalla presenza Isaf.
(4-12952)

MANCUSO, CICCIOLI, DE LUCA, GIRLANDA e BARANI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
ogni anno, in Pakistan, vengono rapite e violentate e convertite forzatamente all'islam e poi sposate a uomini musulmani circa 700 ragazze e donne cristiane;
includendo anche le donne indù e di altri gruppi religiosi minoritari, le donne rapite e poi fatte convertire forzatamente all'islam ogni anno sono più di 1.000;
le forze dell'ordine pakistane non sono in grado o non intendono contrastare il fenomeno;
i rapitori presentano spesso alle forze dell'ordine o ai giudici dichiarazioni scritte dalle ragazze che attestano una conversione regolare e tali dichiarazioni vengono considerate valide e le indagini chiuse;
il 2 marzo 2011 il Ministro, cattolico, per le minoranze del Pakistan, Shahbaz Bhatti è stato assassinato;
il dicastero retto da Bhatti è stato abolito e le sue competenze assorbite dai Ministeri provinciali, con conseguente abbandono delle misure di tutela delle minoranze a livello nazionale -:
quali azioni intenda mettere in atto il Governo, sul territorio nazionale e presso gli organismi internazionali, per interrompere l'indegna tratta delle donne pakistane cristiane e appartenenti ad altre minoranze religiose.
(4-12968)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

LARATTA, CESARE MARINI, OLIVERIO e LO MORO. - Al Ministro dell'ambiente

e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per le politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel maggio del 2009, la regione Calabria ha sottoscritto l'accordo quadro per la tutela delle acque e la gestione integrata delle risorse idriche, con i Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole, alimentari e forestali;
l'accordo quadro per la tutela delle acque prevedeva una dotazione finanziaria di 60 milioni di euro destinata a preservare il mare calabrese dall'inquinamento e a sostenere gli interventi per il funzionamento del sistema di depurazione e per la rete fognaria, erano inoltre previste risorse per 3 milioni di euro per l'A.t.o. di Cosenza, per oltre 3 milioni per l'A.t.o. di Catanzaro, per 1 milione e 100 per l'A.t.o. di Crotone, per circa 6 milioni per Vibo e per 1 milione e 700 mila euro per Reggio Calabria;
il mare calabrese, in alcune zone, appare chiaramente inquinato -:
se le risorse previste dall'Accordo quadro per la tutela delle acque siano state utilizzate per gli scopi previsti;
quante risorse siano ancora disponibili;
quali siano le condizioni del mare calabrese, ovvero se, come denunciano gli organi di stampa calabresi, esso sia in più punti inquinato e in condizioni tali da rappresentare un rischio per la salute dei cittadini.
(4-12966)

BRATTI, MARIANI, REALACCI e MARGIOTTA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
fin dal 2000 le strutture di Governo e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno tentato di avviare un sistema di tracciabilità dei rifiuti nella regione Campania;
con ordinanza n. 281 del 30 novembre 2000 del Commissario per l'emergenza rifiuti in Campania, veniva approvato lo schema di bando per l'indizione della gara da aggiudicare mediante appalto-concorso ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 358 del 1992 del progetto «sistema informativo, emergenza rifiuti network e tecnologia ambientale», Sirenetta, che si proponeva di monitorare il flusso dei rifiuti prodotti, raccolti, recuperati e smaltiti nella regione Campania attraverso l'installazione sugli automezzi di dispositivi satellitari per il rilevamento della loro posizione;
il progetto Sirenetta è stato aggiudicato ed affidato dal Commissario per l'emergenza in Campania con ordinanza n. 449 del 21 settembre 2001 al R.T.I. costituito da enterprice ericsson SpA (mandataria) - Daelit srl e Cid Software studio srl (mandanti), con contratto sottoscritto in data 11 febbraio 2002, rep. n. 102 del 2002, modificato con atto aggiuntivo sottoscritto in data 13 settembre 2002, rep. n. 147 del 2002 (approvato con ordinanza n. 290 del 2002);
il progetto ha beneficiato di un investimento iniziale di oltre 8 milioni di euro;
salutato come la nuova frontiera della lotta ai traffici illegali di rifiuti, il progetto, in base alle previsioni del Ministero e della regione, doveva essere la prima applicazione in Italia del Sistri, coinvolgendo 1060 automezzi e 60 siti di stoccaggio;
a distanza di quattro anni, tuttavia, la commissione di collaudo ha certificato, in data 10 novembre 2005, i lavori di fornitura ed installazione di apparecchiature su soli 510 automezzi e 8 siti fissi. Anche la commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti denunciava, nella relazione finale dell'anno

2006: «La riduzione da 90 a 60 dei siti da controllare, pur se tale riduzione non è stata accompagnata una corrispondente revisione degli emolumenti al soggetto aggiudicatario». Visti i ritardi nella gestione del sistema, con ordinanza commissariale del 2002, tra l'altro, è stata abolita ogni penale per la ritardata consegna;
con sentenza del tribunale di Roma - sezione fallimentare, in data 22 ottobre 2007 è stato dichiarato il fallimento della società Enterprise Digital Architects in liquidazione;
di conseguenza il contratto rep. n. 102 del 11 febbraio 2002 tra l'allora struttura commissariale e l'RTI è stato dichiarato risolto con sentenza del 16 maggio 2008 del Tribunale di Napoli. Eppure il progetto Sirenetta) è tornato nuovamente sibila scena;
con DGR n. 660 del 3 aprile 2009 la regione Campania è subentrata nella gestione amministrativa del progetto «Sistema Informativo Emergenza Rifiuti Network e tecnologia Ambientale» Sirenetta ai sensi dell'articolo 5 OPCM 3710 del 2008 rispondendo unicamente delle obbligazioni derivanti dalle attività poste in essere a decorrere dal 1o gennaio 2009;
la legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)»,all'articolo 1, comma 1116, ha previsto la realizzazione di un sistema integrato per il controllo e la tracciabilità dei rifiuti, in funzione della sicurezza nazionale ed in rapporto all'esigenza di prevenzione e repressione dei gravi fenomeni di criminalità organizzata nell'ambito dello smaltimento illecito dei rifiuti;
l'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, nella legge 30 dicembre 2008, n. 210, concernente «Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale» ha previsto che: «Il Sottosegretario di Stato di cui al decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, in collaborazione con l'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, avvia un progetto pilota per garantire la piena tracciabilità dei rifiuti, al fine di ottimizzare la gestione integrata dei rifiuti stessi»;
al fine di dare compiuta attuazione a tale disposizione, l'articolo 1 dell'OPCM n. 3746 del 12 marzo 2009 ha autorizzato il capo della missione tecnico-operativa del sottosegretario di Stato per l'emergenza rifiuti in Campania ad istituire un apposito tavolo tecnico per avviare e gestire, fino alla cessazione dello stato di emergenza, il progetto pilota atto a garantire la piena tracciabilità dei rifiuti, cosiddetti «Progetto Sitra»;
al fine, pertanto, di poter realizzare una piena tracciabilità dei rifiuti è stata sottoscritta in data 3 settembre 2009 dall'assessore regionale all'ambiente ed il soggetto vicario del Sottosegretario di Stato Mario Morelli una convenzione per l'attuazione del «Progetto Pilota sulla Tracciabilità dei rifiuti ex-articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 6 novembre 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n, 210»;
in data 5 ottobre 2009 il tavolo tecnico tra la regione Campania e il commissariato di Governo ha individuato le due fasi del nuovo corso: la prima prevedeva il recupero e l'aggiornamento del progetto Sirenetta con l'installazione dei rilevatori su 40 automezzi e in 7 impianti, la seconda fase disponeva l'interfaccia con il sistema nazionale Sistri;
in via provvisoria, con una semplice procedura negoziata e senza la pubblicazione di alcuna gara d'appalto, il progetto (prima fase) è stato affidato, con un ribasso dello 0,2 per cento a un prezzo di un milione e 400 mila euro, alla VITROCISET Spa, società che ha assorbito le

stesse aziende dichiarate fallite con la sentenza del 2007 (Enterprise, Cid Software e Dielleti srl, subentrata alla Daelit). La VITROCISET Spa (controllata da Edoarda Crociani, vedova dell'ex presidente di Finmeccanica Camillo Crociani, coinvolto nello scandalo Lockheed) è controllata all'1,6 per cento da Finmeccanica, attraverso la Selex sistemi integrati. Si tratta quindi dello stesso gruppo che, attraverso la Selex service management, controlla la gestione del Sistri e che attualmente è sotto inchiesta della Procura di Napoli per false fatturazioni e truffa ai danni dello stato proprio in relazione all'aggiudicazione dell'appalto Sistri;
il decreto ministeriale 17 dicembre 2009, istitutivo del Sistri, ha previsto che:
al fine di attuare il disposto del citato articolo 2 comma 2-bis, decreto-legge 6 novembre 2008 n. 172 convertito dalla legge 30 dicembre 2008 n. 210, sono sottoposti agli obblighi relativi al sistema di tracciabilità dei rifiuti i comuni e gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti urbani nel territorio della regione Campania e che il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) debba essere interconnesso telematicamente con il sistema Sitra (articolo 2);
i soggetti di cui al citato articolo 2, aderiscono al Sistri iscrivendosi allo stesso entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (articolo 3);
alla luce del decreto ministeriale 17 dicembre 2009 e del decreto-legge n. 195 del 2009 (convertito dalla legge n. 26 del 2010 che decreta la fine dello stato di emergenza nella regione Campania) con delibera n. 95 del 9 febbraio 2010 la giunta regionale ha disposto tra l'altro;
di prendere atto della Convenzione sottoscritta in data 3 settembre 2009 dall'assessore regionale all'Ambiente ed il soggetto vicario del Sottosegretario di stato Mario Morelli per l'attuazione del «Progetto Pilota sulla Tracciabilità dei rifiuti ex-articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 6 novembre 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210»;
di provvedere al trasferimento alla regione Campania del «sistema informativo Sitra di tracciabilità dei rifiuti»;
di ricostituire, a seguito della chiusura del periodo emergenziale in materia rifiuti in Campania, il tavolo tecnico già previsto dall'articolo 1 dell'O.P.C.M n. 3746 del 2009;
di stabilire che il settore 02 «Gestione» provveda all'esecuzione della prima fase del progetto Sitra per una spesa pari a pari ad 1.800.569,33 euro avvalendosi dei fondi sul capitolo di spesa 1640 «Realizzazione del progetto tracciabilità dei rifiuti Sitra (articolo 189, comma 3-bis, decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 2, comma 2-bis, decreto-legge 6 novembre 2008 n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210 e articolo 1 dell'OPCM 3746 del 12 marzo 2009) e per l'interconnessione col Sistri (decreto Ministero dell'Ambiente del 17 dicembre 2009)» esercizio finanziario 2010 - UPB 1.1.1. che presenta disponibilità in termini di competenza e di cassa;
sulla base di quanto sopra, con decreto dirigenziale n. 03 del 16 marzo 2010 il dirigente del settore 02 dell'AGC 21 ha provveduto:
ad approvare il «Progetto Pilota sulla Tracciabilità dei rifiuti ex-articolo 2, comma 2-bis, del decreto legge 6 novembre 2008 n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210» Sitra di prima fase per l'importo di 1.800.569,33 euro, comprensivo di IVA e spese generali, a gravare sul capitolo di spesa 1640 dell'esercizio finanziario 2010 - UPB 1.1.1 con il relativo quadro economico;
ad individuare per l'affidamento del «Progetto Pilota sulla Tracciabilità dei rifiuti ex-articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 6 novembre 2008 n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30

dicembre 2008, n. 210» Sitra di prima fase, la procedura prevista al comma 2, lettera b) e al comma 3, lettera b) dall'articolo 57 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni e integrazioni, recepito dall'articolo 38 della legge regionale della Campania n. 3 del 27 febbraio 2007, mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, ricorrendo le ragioni di natura tecnica e di tutela di diritti esclusivi, con le ditte costituenti la RTI del progetto Sirenetta o ad esse subentrate nel tempo: Vitrociset S.p.A., Cid Software studio srl e Di.Elle.Ti. s.r.l.;
ad approvare il capitolato d'appalto, redatto ai fini della regolamentazione delle condizioni e delle modalità di esecuzione dell'appalto e da far sottoscrivere per accettazione al RTI, antecedentemente alla consegna dei lavori;
di approvare il disciplinare di gara, redatto ai fini della regolamentazione delle condizioni e delle modalità di esecuzione dell'appalto e da far sottoscrivere per accettazione alla società appaltatrice, antecedentemente alla consegna dei lavori;
in altri termini, sembra agli interroganti che generici motivi «di natura tecnica e di urgenza» abbiano spinto a rispolverare dagli archivi il precedente progetto Sirenetta, prevedendo un suo «adeguamento tecnologico e funzionale». Per l'ingente cifra di 1 milione e 800 mila euro, è stato affidato ad aziende già dichiarate fallite - nello stesso settore e in relazione alla stessa commessa - il compito della «reingegnerizzazione» del sistema Sirenetta, attraverso «la migrazione su piattaforma software open source (dunque, della sola riprogrammazione delle scatole nere);
nessuno dei citati sistemi risulta tuttavia entrato in funzione a regime: l'avvio dell'operatività del Sistri, come purtroppo ben noto, è stato oggetto di continue proroghe, a causa di forti difficoltà organizzative e gestionali;
il decreto ministeriale 18 febbraio 2011 n. 52 (pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale del 26 aprile 2011, Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ha raggruppato in un unico testo coordinato i diversi provvedimenti succedutisi in tema di avvio del sistema della tracciabilità dei rifiuti;
l'articolo 5 del suddetto regolamento ha stabilito, tra l'altro, che i comuni della regione Campania, gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti urbani nella regione sono obbligati all'iscrizione al Sistri;
vista l'esigenza di garantire l'interconnessione tra il sistema Sistri ed il sistema Sitra per la tracciabilità dei rifiuti urbani nella regione Campania nelle forme tecnologicamente attuali, in data 20 aprile 2011 il presidente della giunta regionale e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno sottoscritto un protocollo d'Intesa per l'attuazione del Sistri;
tale protocollo d'intesa, ratificato con delibera della giunta regionale n. 227 del 24 maggio 2011, si fonda, però, sul decreto ministeriale 22 dicembre 2010, che fissava la data di avvio operativo del Sistri al 1o giugno 2011;
solo due giorni dopo la ratifica del protocollo d'intesa per l'interconnessione tra Sistri e Sitra, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dovuto disporre un'ulteriore proroga all'avvio del sistema di tracciabilità dei rifiuti: con il decreto ministeriale 26 maggio 2011, infatti, si è previsto che il Sistri entrerà in vigore:
il 1o settembre 2011 per produttori di rifiuti che abbiano più di 500 dipendenti, per gli impianti di smaltimento, incenerimento e oltre (circa 5.000) e per i trasportatori che sono autorizzati per trasporti annui superiori alle 3.000 tonnellate (circa 10.000);
il 1o ottobre 2011 produttori di rifiuti che abbiano da 250 a 500 dipendenti e «Comuni, enti ed Imprese che gestiscono i rifiuti urbani della regione Campania»;

il 1o novembre 2011 per produttori di rifiuti che abbiano da 50 a 249 dipendenti;
il 1o dicembre 2011 per produttori di rifiuti che abbiano da 10 a 49 dipendenti e i trasportatori che sono autorizzati per trasporti annui fino a 3.000 tonnellate (circa 10.000);
il decreto-legge n. 70 del 13 maggio 2011 (cosiddetto decreto sviluppo) convertito, con modificazioni dalla legge n. 106 del 12 luglio 2011, prevede che l'entrata in vigore del Sistri per i produttori che non abbiano più di 10 dipendenti, non potrà essere antecedente al 1o giugno 2012;
da ultimo gli imprenditori soggetti all'applicazione del Sistri lamentano un'assenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e un malfunzionamento dei kit informatici indispensabili per l'attivazione del sistema di tracciabilità -:
quali motivi abbiano impedito l'entrata in vigore e la messa a regime del sistema di tracciabilità dei rifiuti nella regione Campania individuati dal Governo e dal Ministero dell'ambiente nel corso degli ultimi dieci anni (Sirenetta e Sitra);
come si giustifichino le ingenti somme di denaro stanziate dalla gestione commissariale prima e dalla regione Campania poi, per dei progetti rimasti solo sulla carta;
quali indicazioni si possano fornire sul futuro del sistema di tracciabilità dei rifiuti urbani nella regione Campania a seguito dell'ulteriore proroga dell'avvio del Sistri con il decreto ministeriale 26 maggio 2011;
in che modo si intenda operare per superare con urgenza le criticità di attuazione dei sistemi telematici di tracciabilità dei rifiuti, garantendone l'operatività quale efficace strumento nel contrasto al traffico illecito e, in particolare, quali azioni urgenti si intendono adottare per garantire un effettivo coordinamento tra il Sitra e il Sistri, in nome del rispetto della legalità della trasparenza dovuta in tutto il Paese per il settore del trattamento e trasporto dei rifiuti.
(4-12974)

REALACCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
dalla stampa nazionale e locale, dalle forze di polizia, da ripetuti allarmi delle associazioni delle maggiori categorie produttive, da libere associazioni di cittadinanza attiva, da Libera e da quelle a tutele dell'ecosistema come, Legambiente nazionale e Legambiente Latina si apprende che, nella provincia di Latina crescono in modo preoccupante l'illegalità ambientale, le speculazioni, il radicamento della criminalità organizzata;
tra tutti il settore dell'edilizia è tra quelli maggiormente colpiti di tutta Italia con una pressione sempre crescente della criminalità organizzata mafiosa, soprattutto di origine campana;
infatti dalla cittadina di Sperlonga, passando per Fondi, Terracina, San Felice Circeo, Sabaudia, Latina sino a Cisterna è un continuo l'allarme legalità lanciato dalle forze dell'ordine, dalle associazioni, dai politici e dai cittadini, che si unisce, drammaticamente, ai continui attentati subiti da uomini dello Stato e cittadini. I parchi, i laghi e le coste, ma anche i centri delle antiche cittadine sono esposti alle continue speculazioni edilizie. Un assalto rapace e selvaggio che scaccia le attività oneste e blocca il rilancio economico, imprenditoriale e occupazionale della zona;
l'esposizione dei comuni pontini al radicamento delle mafie nel tessuto economico locale e, in alcuni casi, anche politico, denunciato più volte dalle associazioni Legambiente e Libera, richiede un'azione forte che faccia diventare la provincia di Latina un caso e un'emergenza nazionale. Il dato più preoccupante, insieme alle intimidazioni subite da uomini dello Stato come ad esempio il questore

di Latina, Nicolò D'Angelo, e del capo della squadra mobile, Cristiano Tatarelli, ai quali è stata recapitata una busta anonima contenente proiettili, è quello che si evince analizzando il dato territoriale del rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente, dove la provincia di Latina si posiziona al 4o posto nazionale per infrazioni accertate nel ciclo del cemento illegale, davanti a quella di Roma al 5o. A livello regionale, l'area pontina con le sue 264 infrazioni accertate, pesa per il 36 per cento la provincia capitolina per il 34 per cento, il reatino per il 12 per cento, la provincia di Frosinone e il viterbese per l'8 per cento;
appare evidente che parliamo di un'intera area dove si è costituito e ramificato un vero «sistema criminale» che Libera, l'associazione antimafia presieduta da don Ciotti, non ha esitato a chiamare la «Quinta mafia». Che ha soprattutto nel ciclo del cemento la sua manifestazione più eclatante. Basti pensare che stando ai dati delle Forze dell'ordine nel parco nazionale del Circeo sono un milione e 200.000 i metri cubi fuori legge, 2 abusi edili per ogni ettaro, una richiesta di condono edilizio in media, considerando anche bambini ed anziani, per abitante per la città di San Felice Circeo ed una ogni 3-4 residenti per la città di Sabaudia; secondo gli investigatori, una parte è imputabile, direttamente o indirettamente, a esponenti della malavita organizzata e a quel sottobosco politico/economico che sta suscitando grande attenzione negli inquirenti;
anche per quanto riguarda l'illegalità nel ciclo dei rifiuti nella provincia di Latina sono state registrate nel 2010 64 infrazioni accertate. L'inchiesta più importante ha riguardato la gestione dei rifiuti urbani a Minturno, provincia di Latina, quando lo scorso 25 ottobre la Guardia di finanza di Formia ha eseguito 7 arresti per truffa e frode in appalto pubblico (due imprenditori di Cassino, due di Minturno e tre pubblici funzionari del comune). L'indagine era iniziata nell'agosto del 2008 con il sequestro di due aree di circa 30.000 metri quadrati usate illegalmente per lo stoccaggio e lo smaltimento di circa 84 tonnellate di rifiuti industriali: tra cui oli e altri liquidi tossici sversati dentro una cisterna profonda cento metri e situata a breve distanza dal fiume Garigliano;
negli ultimi mesi, inoltre, si sono verificati odiosi atti di intimidazione di stampo mafioso ai danni degli inquirenti. In particolare nel mese di ottobre 2010, il questore di Latina dottor Nicolò Marcello D'Angelo, il capo della squadra mobile dottor Cristiano Tatarelli e due ispettori di Formia hanno ricevuto rispettivamente per corrispondenza un plico contenente proiettili calibro nove. Nel mese di aprile 2011, l'ispettore di polizia Pasquale Natissi, organico al nucleo di polizia, giudiziaria del commissariato di Fondi, è stato fatto oggetto di intimidazioni mafiose tramite l'esplosione, nel comune di Lenola, di quattro colpi di pistola indirizzati all'automobile di proprietà della moglie. Diverse aggressioni sono state subite da amministrazioni e dirigenti dei comuni di San Felice Circeo e Sabaudia. A San Felice Circeo l'ex dirigente del settore urbanistico è stato aggredito fisicamente con un martello, al dirigente del settore ambiente del comune di Sabaudia è stata inviata nell'abitazione una busta contenente un proiettile, ad alcuni ex amministratori del comune di San Felice Circeo è stato dato fuoco alle autovetture e imbarcazioni mentre nella sola città di Sabaudia, nel corso degli ultimi 24 mesi si contano circa 18 attentati ad attività commerciali ed autovetture;
già nella relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 10 luglio 2009-30 giugno 2010, presentata nel dicembre 2010 si denuncia che «anche nel circondario, in particolare Latina e Frosinone, si registra un elevato grado di penetrazione della criminalità mafiosa nel tessuto economico. In tali zone l'inserimento della mafia nelle attività imprenditoriali è stato agevolato

dai progressivi trasferimenti, nel tempo, di personaggi di non secondario spessore - quali Bardellino, De Angelis, i fratelli Tripodo, Salvatore Giuliano, Michele Senese - che si sono spostati nel contesto laziale per sfuggire alle guerre per bande in atto nei territori di origine o al contrario per riorganizzarsi e continuare lo scontro con i clan antagonisti. Tali fenomeni hanno fatto sì che oggi, sul territorio laziale persistano, oltre al ceppo originario dei "trasferiti", i loro familiari, che vantano ampio margine di movimento e consolidati contatti con la criminalità locale»;
la pericolosità delle infiltrazioni criminali è confermata anche nella relazione al Parlamento per l'anno 2009 presentata dal Ministro dell'interno sull'attività delle forze di polizia, sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata, dove si legge che «l'esame della realtà economica e dei risultati ottenuti dalle locali Forze di Polizia portano a ritenere "a rischio" di infiltrazione mafiosa lo smaltimento dei rifiuti e le costruzioni edili in generale - con specifico riguardo alla movimentazione terra, asfalti, bitumi e cemento. La provincia pontina, inoltre, è interessata dall'operatività di sodalizi criminali capaci di condizionare le procedure amministrative per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni nel settore commerciale ed edilizio nonché le gare per l'assegnazione di appalti pubblici»;
in questo contesto è fondamentale ricordare quello che accadde il 29 marzo 1995 in provincia di Latina quando venne ucciso il parroco di Borgo Montello, dove ha sede la grande discarica di rifiuti della provincia di Latina e di alcuni comuni del sud di Roma, Don Cesare Boschin. Il parroco, ottantunenne, fu ucciso in modo barbaro, soffocato con la propria dentiera conficcata nella gola dopo essere stato aggredito selvaggiamente, legato mani e piedi e imbavagliato con il nastro adesivo, con ai suoi piedi un asciugamano sporco del suo sangue. Anomalo risulta ancora il fatto che in seguito all'aggressione violenta nei riguardi di don Cesare Boschin non furono portati via denari pure presenti nella stanza dell'aggressione ma due agende non più ritrovate. Un omicidio condotto con una modalità chiaramente mafiosa, denso di segnali inquietanti e rimasto a tutt'oggi senza movente, autori e mandanti, per il quale anche Don Ciotti, presidente di Libera, ha chiesto la riapertura delle indagini. Non certo un omicidio per rapina, considerando che il portafogli del parroco era ancora intatto vicino al suo corpo con all'interno ben 800 mila lire. È con ogni probabilità infatti che la morte dell'anziano parroco sia avvenuta in seguito alle sue denunce relativamente al traffico notturno internazionale di rifiuti tossici che coinvolgevano la discarica, condotto per mezzo delle tristemente note «navi dei veleni». Si ricorda che questi sospetti furono confermati dalle dichiarazioni rese dal pentito Carmine Schiavone -:
se non ritengano opportuno destinare maggiori risorse per l'organico delle forze dell'ordine e degli strumenti tecnologici e mezzi loro necessari per contrastare il fenomeno del radicamento delle mafie e dei loro interessi nel tessuto economico, sociale e politico della provincia di Latina, anche alla luce del caso ancora irrisolto dell'efferato omicidio di don Cesare Boschin anche con l'obiettivo della creazione in loco di una sede distaccata della divisione investigativa antimafia e della Dda; se non ritengano necessario attivare un controllo serrato da parte degli organi di vigilanza e controllo sia sul sistema degli appalti, delle concessioni e delle consulenze in tutti i comuni della provincia pontina e sulla stessa amministrazione provinciale, sia sull'azione imprenditoriale condotta dalle numerose cooperative agricole dell'agro pontino, in particolare quelle presenti nei comuni di Formia, Fondi, Sperlonga, Terracina, San Felice Circeo, Sabaudia e Latina e sui titolari delle medesime.
(4-12995)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

MANCUSO, CICCIOLI, DE LUCA, GIRLANDA e BARANI. Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la cittadella di Alessandria, costruita nel 1728 per volontà di Vittorio Amedeo II di Savoia, fu il punto di partenza della fallita insurrezione carbonara. In seguito divenne la base principale dell'esercito piemontese, per poi essere occupata dai tedeschi, dal 1943 al 1945, che vi rinchiusero e fucilarono diversi partigiani;
la cittadella di Alessandria è un capolavoro di arte militare, circondata da mura e fossati a forma di una stella a sei punte che nella cerchia esterna diventano dodici, inserito dal 2006 nella lista dei luoghi candidati a entrare nell'elenco dei siti tutelati dall'Unesco come patrimonio mondiale dell'umanità;
oggi, la cittadella è in completo stato di abbandono, con sterpaglie e arbusti che crescono indisturbati ovunque -:
quali iniziative il Governo intenda assumere per il recupero architettonico e storico della cittadella di Alessandria.
(5-05247)

Interrogazione a risposta scritta:

TIDEI, MADIA e CARELLA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
per sopperire alla chiusura della discarica di Malagrotta per la quale è stata disposta una proroga di esercizio sino al 31 dicembre 2011, la regione Lazio ha in progetto la costruzione di una discarica la cui estensione dovrebbe essere di circa 30 ettari e la realizzazione di un impianto di termovalorizzazione;
l'area in cui si vuole realizzare tale progetto (denominata «Castel Campanile») è collocata nel comune di Fiumicino dove la giunta comunale ha espresso parere favorevole;
su questa ipotesi di progetto della regione Lazio per la gestione dei rifiuti solidi-urbani, la deputata Madia insieme ad altri colleghi deputati (Tidei, Carella, Rugghia, Meta, Touadi, Coscia) ha presentato un'interrogazione parlamentare (del 15 luglio 2011) manifestando serie preoccupazioni al riguardo e valide motivazioni che dovrebbero indurre a rivedere simile strategia di seguito riportate in sintesi:
la discarica e il termovalorizzatore produrrebbero un'alta concentrazione di diossine e percolato dannose per l'aria e per le falde acquifere
la costruzione degli impianti è stata fortemente contrastata dalla popolazione di Fiumicino e dalle sue frazioni nonché dai paesi limitrofi attraverso manifestazioni in modo particolare Cerveteri e Ladispoli;
l'area di Castel Campanile come le frazioni ad essa connesse è storicamente un'area a vocazione agricola che ha visto un incremento in ambito turistico grazie all'insediamento di agriturismi e fattorie didattiche;
l'area a nord di Fiumicino è già penalizzata da un forte inquinamento prodotto dal vicino aeroporto «Leonardo da Vinci»;
a pochi chilometri dall'area in questione è presente la discarica di Cupinoro a tutt'oggi in funzione
il sottosuolo è ricco di falde acquifere utilizzate per irrigare i centri abitati di Maccarese e Torreimpietra;
non molto distante dall'area interessata troviamo l'ospedale pediatrico Bambino Gesù e scuole di ogni grado;
la provincia di Roma ha erogato contributi per la raccolta differenziata e a

quanto pare, il comune di Fiumicino non avendo completato l'iter burocratico è rimasto fuori dal bando provinciale
oltre alle motivazioni esposte in premessa va altresì precisato che il piano regolatore del comune di Fiumicino individua in quell'aerea una destinazione d'uso alberghiero;
ciò stante la costruzione della discarica e dell'impianto di termovalorizzazione annienterebbe la benché minima possibilità di sviluppo turistico ed economico per le aree coinvolte;
precisamente nell'area di «Castel Campanile» negli ultimi anni, si sono insediate numerose aziende agricole, (molte a carattere biologico) e zootecniche di eccellenza riconosciute dalla Comunità europea che ha erogato alle stesse finanziamenti destinati allo sviluppo rurale (come ad esempio l'azienda agricola «Casale del Castellaccio»);
nella suddetta aerea, proprio come ha riconosciuto la soprintendenza dell'Etruria Meridionale esistono vincoli paesaggistici e archeologici poiché esistono cospicue e tangibili presenze archeologiche conservate nel sottosuolo;
lo stesso Sottosegretario per i beni e le attività culturali Francesco Giro nella sua recente visita ha confermato (anche mezzo stampa) l'impraticabilità a procedere per il grande valore archeologico e l'importanza del sito prescelto dalla regione per lo smaltimento dei rifiuti -:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto riportato in premessa;
se non sia altresì opportuno individuare un'altra area per la costruzione di una discarica e di un termovalorizzatore luce della recente visita dell'onorevole Francesco Giro, Sottosegretario per i beni e le attività culturali, il quale ha riconosciuto personalmente l'importanza archeologica del sito in questione.
(4-12973)

...

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Samia Walid, donna afgana militante dell'organizzazione Rawa (Associazione delle donne afgane rivoluzionarie) ha recentemente dichiarato che la situazione dal 2001 ad oggi è decisamente peggiorata. Le aspettative di democrazia, pace, sicurezza, diritti delle donne, rispetto dei diritti umani con cui si è giustificata l'occupazione, sono state tutte ampiamente disattese con risvolti drammatici per le donne e gli uomini afgani, sotto tutti i punti di vista;
l'intervento militare, si era detto, avrebbe dovuto riportare la sicurezza nel Paese, sconfiggendo i talebani e i qaedisti legati a Bih Laden, in realtà si è ottenuto ben altro: più dell'80 per cento dell'Afghanistan è controllato dalle fazioni talebane, che, per misurarsi con un nemico fornito delle armi più sofisticate, sono ricorse alle azioni kamikaze, estranee alla tradizione guerriera afgana. Gli Stati Uniti utilizzano sempre più i bombardamenti aerei, cercando di limitare le proprie perdite sul campo di battaglia, ma mietendo vittime tra i civili inermi;
la denuncia delle organizzazioni afgane è che si stanno sostenendo personaggi macchiati dei peggiori reati ed è evidente che non si può pensare di portare democrazia e stabilità in un Paese in cui chi detiene il potere non riconosce i diritti dei proprio popolo;
oggi in Afghanistan si muore, ogni giorno e in quasi tutte le sue 34 province. Muoiono i militari delle forze Nato, ma muoiono soprattutto i civili e di loro non si fa la conta che, invece, si tiene per i caduti delle forze di occupazione, come preferisce definirle il popolo afgano. Vengono uccisi dai bombardamenti indiscriminati degli aerei militari occidentali, che colpiscono matrimoni, bambini che si trovano

in mezzo ai boschi, interi villaggi. Le vittime sono soprattutto loro: donne, anziani, bambini -:
se il Governo sia a conoscenza delle informazioni citate in premessa, quale sia la sua percezione di cosa sta accadendo e di cosa si è ottenuto in questo lungo periodo, e se gli obiettivi annunciati all'inizio della campagna militare da parte delle forze occidentali siano di fatto stati raggiunti.
(4-12954)

MIGLIOLI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 15 febbraio 2011 rispondendo ad una interrogazione del firmatario del presente atto n. 4-07511 del 9 giugno 2010 il Ministro così affermava: «con riferimento agli interventi di manutenzione da eseguire ai prospetti dell'ex Palazzo Ducale di Modena, sede dell'Accademia militare, si rappresenta che l'esigenza in parola è inserita nel programma triennale scorrevole di ammodernamento e rinnovamento delle infrastrutture relativo agli esercizi finanziari 2010-2012. In particolare, è previsto che i lavori di «ristrutturazione edilizia delle coperture, intonaci di facciata ed elementi lapidei» vengano finanziati e quindi appaltati, presumibilmente nei primi mesi del 2011. Il competente organo tecnico militare di Bologna ha già provveduto ad acquisire relativa progettazione esecutiva propedeutica all'inserimento della gara d'appalto delle opere in questione. L'inizio dei lavori, compatibilmente con il regolare sviluppo dell'iter tecnico-amministrativo, potrà verosimilmente avvenire entro il primo semestre del prossimo anno»;
il Resto del Carlino, edizione di Modena del 29 luglio 2011, riporta che «dal tetto dell'Accademia sul lato del palazzo, si staccano dei coppi: non cadono, devono intervenire i Vigili del Fuoco per mettere in sicurezza l'area». Non è la prima volta che succede, anzi le transenne che corrono lungo l'edificio sono lì a ricordarlo;
i primi mesi dell'anno sono trascorsi, così come il primo semestre, e non risulta all'interrogante che gli impegni assunti dal Ministro abbiano ricevuto attuazione e così l'ex Palazzo Ducale di Modena, sede dell'Accademia militare, una delle scuole militare di eccellenza del nostro Paese continua a non ricevere interventi di manutenzione indispensabile -:
quali siano i motivi del mancato rispetto delle scadenze previste per l'indizione degli appalti e dunque quali iniziative il Ministro intenda intraprendere al fine di rispettare gli impegni assunti e finalmente affrontare l'emergenza dei lavori di manutenzione e sistemazione del Palazzo Ducale di Modena-Accademia militare.
(4-12955)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
è stato pubblicato lo Small arms survey 2011, il rapporto che, con cadenza annuale, offre informazioni indipendenti e specializzate su ogni dimensione relativa alla questione della diffusione e dell'uso di armi di piccolo calibro nel mondo;
il commercio annuale in armi leggere è stimato a 1,1 miliardi di dollari americani. Emerge che i conflitti in Iraq e Afghanistan hanno contribuito significativamente all'aumento dell'approvvigionamento di armi anti-carro teleguidate;
tra i Paesi maggiori esportatori di armi leggere e di piccolo calibro, nel 2011, i più trasparenti sono la Svizzera, il Regno Unito, la Germania, la Serbia e la Romania. I Paesi con punteggio pari a zero sono Iran e Nord Corea;
secondo stime relative al 2008, l'Italia è al secondo posto nella lista dei maggiori esportatori di armi leggere e di piccolo calibro dopo gli Stati Uniti e prima di Germania, Brasile, Svizzera, Israele, Austria, Sud Corea, Belgio, Federazione Russa, Spagna, Turchia, Norvegia e Canada.

I maggiori importatori sono invece: Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Australia, Francia e Pakistan;
quasi tutti gli Stati oggetto dell'analisi proibiscono o restringono l'accesso dei civili alle armi che non considerano adatte ad un uso civile. Tuttavia, molti Stati non hanno fissato criteri specifici per il rilascio delle licenze, ma basano tale sistema su un'ampia discrezione;
ogni giorno nel mondo muoiono mille persone a causa dell'utilizzo di armi leggere e di piccolo calibro: 560 sono vittime di omicidi criminali, 250 vengono uccise in guerra, 140 è il numero di suicidi in cui sono utilizzate, e 50 sono le morti a causa di incidenti provocati da una manipolazione impropria di fucili e pistole. Inoltre, per ogni persona che viene uccisa, tre rimangono ferite. 1.200 fabbriche in 92 Paesi (dati 2004) hanno la capacità di fabbricare ogni anno circa 8 milioni di tali armi e le relative munizioni. Quando esse non sono la causa prima della violenza, l'aggravano sensibilmente;
uno studio realizzato negli Usa ha evidenziato che le aggressioni domestiche in cui vengono utilizzate hanno una probabilità dodici volte maggiore di sfociare in un omicidio rispetto ad aggressioni simili ma condotte con altri tipi di oggetti;
come la stessa Onu ha messo in luce, spesso attraverso le vendite legali si passa a successive forniture a soggetti che di questi strumenti fanno un uso non consentito, finendo per armare anche la delinquenza organizzata, formazioni terroristiche, e altro;
l'Italia ha esportato armi comuni da sparo, munizioni ed esplosivi per oltre 460 milioni di euro nel 2007 e per oltre 465 milioni nel 2008 (seconda solo agli Usa), con un incremento del 12 per cento rispetto al biennio precedente, raggiungendo cosi il valore più alto dal 1996;
considerando l'ammontare complessivo dei trasferimenti di armi, comprese quelle ad uso militare sottoposte alla disciplina della legge n. 185 del 1990, quelle piccole e leggere ad uso civile, sottoposte invece alla legge n. 110 del 1975, rappresentano il 31 per cento del totale di armi esportate dall'Italia nel biennio 2007-2008;
l'assenza di norme internazionali vincolanti, le lacune che presentano le stesse legislazioni nazionali o la loro applicazione superficiale minano nel concreto la possibilità di esercitare un controllo sul commercio e la proliferazione delle armi piccole e leggere. Nel 2012 si terrà una conferenza delle Nazioni Unite per l'adozione del primo trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali;
il 18 luglio 2011 è stata adottata la decisione 2011/428/PESC a sostegno dell'ufficio per gli affari del disarmo delle Nazioni Unite per l'attuazione del programma di azione delle Nazioni Unite per prevenire, combattere e sradicare il commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro in tutti i suoi aspetti;
gli obiettivi generali della decisione consistono: nella promozione dell'attuazione del programma di azione delle Nazioni Unite per prevenire, combattere e sradicare il commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro in tutti i suoi aspetti («programma di azione delle Nazioni Unite sulle SALW»), in vista della conferenza di riesame che si terrà nel 2012; nella promozione dell'attuazione dello strumento internazionale per il rintracciamento; nello sviluppo e nell'attuazione di orientamenti tecnici delle Nazioni Unite sulla gestione delle scorte di munizioni. Essa assicura, altresì, la massima sinergia con gli altri pertinenti strumenti finanziari dell'Unione -:
se, e come, l'Italia si stia adoperando per prevenire, combattere e sradicare il commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro in tutti i suoi aspetti e quale contributo intenda dare alla conferenza delle Nazioni Unite del 2012;
se il Governo non ritenga di assumere iniziative al fine di considerare giuridicamente, come avviene già a livello europeo, le armi comuni da sparo alla

stregua di armi leggere ad uso militare, alla luce della accertata pericolosità della loro presenza soprattutto nei numerosi scenari di conflitto attualmente in atto nel mondo.
(4-12958)

SCHIRRU. - Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'Italia ha ratificato la Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche nel 1995 con la legge n. 496, poi modificata ed integrata con legge 4 aprile 1997, n. 93. Le due leggi di ratifica hanno identificato nel Ministero degli affari esteri l'autorità nazionale, tenuta a sovrintendere e coordinare le complesse misure per l'applicazione della Convenzione e del Trattato sul territorio nazionale;
i gas lacrimogeni sono usati dalle forze di polizia di tutto il mondo per controllare manifestazioni di violenza collettiva (o per reprimere e disperdere manifestazioni di protesta non autorizzate): per questo scopo si usano sotto forma di candelotti lacrimogeni;
fra le molte sostanze lacrimogene impiegate, le più usate sono tre: orto-cloro-benzal malonitrile (gas CS), Dibenzen(b,f)-1,4-ossiazepina (gas CR), Cloroacetofenone (gas CN);
dal nome dei chimici Carson e Stoughton che lo sintetizzarono, il gas CS bandito dal protocollo di Ginevra del 1925 come «arma chimica» paradossalmente fa parte degli strumenti per il controllo delle masse in base alla Convenzione del 1993;
dal 1928, anno in cui fu sintetizzato dai due ricercatori, questo composto chimico è stato adottato come ingrediente dei candelotti lacrimogeni da diverse forze di polizia: negli Stati Uniti, in Palestina, in Perù, in Malaysia e in Italia, massicciamente, lo si ricorda, nel 2001 al G8 di Genova, dove furono sparati oltre seimila candelotti nella due giorni di guerriglia che infuriò nel capoluogo ligure;
il libro La sindrome di Genova (Fratelli Frilli Editori, 141 pagine) ricorda come, da quella vicenda, nacque una vera e propria campagna, approdata in Parlamento e nelle aule di giustizia, per evitare che il gas CS continui ad essere un'arma di ordine di pubblico. Secondo quanto sostenne anche il senatore Martone ormai 10 anni fa, il CS è esplicitamente un'arma da guerra come dimostra il fatto che le voci di export della ditta produttrice, la Simad Spa, rientrano nell'obbligo di denuncia al Parlamento, regolato dalla legge n. 185 del 1990, (da La Nuova Sardegna del 9 novembre 2002, «A Genova guerra chimica» di Emanuele Giordana);
nel rapporto di Amnesty International «Durante e dopo il summit G8, Genova, luglio 2001 (aggiornamento del documento EUR 01/002/2002)» si legge: «Nel giugno 2002 circa 10 dimostranti hanno sporto formale denuncia, accompagnata da referti medici, affermando di soffrire effetti a lungo termine (danni a polmoni, gola ed epidermide) a causa dell'esposizione al gas CS. Amnesty International ritiene che una revisione indipendente dell'impiego di agenti chimici da parte delle forze dell'ordine deve consentire l'introduzione, laddove appropriato, di rigorose linee guida regolanti l'uso di tali metodi, nonché di idonei strumenti di controllo per mantenerle aggiornate e garantirne l'osservanza»;
il gas CS fa parte dell'equipaggiamento delle forze di polizia italiane dal 1991, con il ottobre 1991, con il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 1991, n. 359, (Regolamento che stabilisce i criteri per la determinazione dell'armamento in dotazione all'amministrazione della pubblica sicurezza e al personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia), il quale all'articolo 12, comma 2, recita: «gli artifici sfollagente si distinguono in artifici per lancio a mano e artifici per lancio con idoneo dispositivo o con arma lunga. Entrambi sono costituiti da un involucro contenente una miscela di CS o agenti similari, ad effetto neutralizzante reversibile»;

in base alla legge 18 aprile 1975, n. 110 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), articolo 1, si stabilisce che «Agli effetti delle leggi penali, di quelle di pubblica sicurezza e delle altre disposizioni legislative o regolamentari in materia sono armi da guerra le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l'impiego bellico, nonché le bombe di qualsiasi tipo o parti di esse, gli aggressivi chimici, i congegni bellici micidiali di qualunque natura, le bottiglie o gli involucri esplosivi o incendiari». Ciò classifica i gas CS come armi da guerra di terza categoria, ossia «armi chimiche»; infatti, la vigente regolamentazione in materia include in questa categoria tutti i gas, i liquidi e i solidi, che, diffusi nell'area, in acqua o sul terreno, producono negli esseri viventi lesioni di varia natura, tali da inficiare, permanentemente, la salute dell'organismo umano. Tali sostanze si suddividono in asfissianti (cloro, bromo, perossido di azoto), tossiche (acido cianidrico), vescicatorie (iprite), nervine, irritanti (cloroacetofenone), come i gas usati per i lacrimogeni;
il segretario generale della Silp CGIL, Claudio Giardullo, in una intervista a Rai News 24 del 22 luglio 2011 ha ribadito, ricordando gli episodi del G8 del 2001, i disordini durante le manifestazioni studentesche a Roma, i recenti scontri in Val di Susa con i manifestanti No Tav, la pericolosità dell'impiego dei gas CS anche per la salute degli stessi agenti di polizia. Rimarcando il concetto insito nel principio di prevenzione, ha auspicato l'adozione di una politica di condotta cautelativa per quanto riguarda la gestione di una questione così controversa, nonché l'adozione, anche in virtù dei progressi scientifici e della ricerca, di altri sistemi alternativi all'uso del gas CS;
diversi studi scientifici e universitari, nazionali e internazionali, inchieste e testimonianze dirette denunciano da decenni l'impatto devastante di questo composto per la salute pubblica -:
se i Ministri interrogati non ritengano necessario e doveroso adottare tutte le misure necessarie a garantire che, per il mantenimento dell'ordine pubblico, non siano impiegate sostanze tossiche e nocive per la salute, sia degli agenti, che dei cittadini, a partire dalla messa al bando immediata del gas CS;
se non ritengano necessario che gli agenti di polizia siano adeguatamente equipaggiati ed addestrati all'utilizzo di tecniche non letali per il controllo della folla e che siano soggetti a rigide norme sull'uso di tali tecniche e ad un rigoroso sistema di individuazione delle responsabilità;
se non ritengano indispensabile intraprendere la revisione e, dove necessario, la modifica di tutti i regolamenti e delle modalità di addestramento sull'uso dei gas lacrimogeni per le forze dell'ordine, in modo da garantire chiarezza e conformità con gli standard internazionali minimi e al fine di tutelare, nella misura più ampia possibile, la vita, l'integrità fisica e la sicurezza delle persone.
(4-12970)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (ratificata anche dall'Italia, ai sensi della legge 2 dicembre 1994, n. 689), all'articolo 100, richiede a tutti gli Stati di collaborare per la repressione delle attività piratesche, e, al successivo articolo 101, limita la fattispecie ai soli atti commessi in acque internazionali o in luoghi non sottoposti alla giurisdizione di qualunque Stato, con la precisazione che le azioni di pirateria sono tali quando commesse da singoli o da gruppi, a fini privati;

l'articolo 105 consente agli Stati di sequestrare una nave pirata o una nave catturata e tenuta sotto il controllo dei pirati e di procedere all'arresto dell'equipaggio pirata;
la moderna pirateria marittima è un fenomeno caratterizzato dall'elevata instabilità politica ed economica di regioni in cui le capacità degli Stati rivieraschi di imporre il rispetto delle leggi sono ridotte o addirittura assenti;
la pirateria si manifesta oggi soprattutto nei mari dell'Asia sud-orientale e meridionale e dell'America meridionale ed ha il proprio epicentro nel golfo di Aden e nel tratto di mare antistante le coste della Somalia;
attraverso canale di Suez, dove operano i pirati somali, transitano ogni anno tra 22.000 e 25.000 imbarcazioni, ovvero il 75 per cento del flusso globale dei container mercantili marittimi e 3,3 milioni di barili di greggio al giorno, equivalenti al 30 per cento del fabbisogno energetico mondiale;
si tratta di un contesto in cui il 60 per cento del commercio estero italiano viaggia per mare e oltre 2.000 unità navali sono controllate da interessi italiani, 900 delle quali flottano ogni anno in acque ad alto rischio di pirateria;
secondo l'osservatorio sulla pirateria istituito dall'International maritime bureau, nel 2010 sono stati registrati 445 assalti che hanno causato la cattura di 53 navi e il sequestro di 1.181 operatori marittimi (con un incremento del 12,5 per cento sul 2009 e più del 60 per cento rispetto al 2008), mentre, per quanto riguarda il 2011, nei primi sei mesi sono stati annoverati 243 attacchi nel mondo e sono state contate 439 persone prese in ostaggio dai pirati somali;
l'aumento del rischio connesso agli attacchi pirateschi e la situazione di diffusa insicurezza per i traffici marittimi - in relazione ai quali si stima per la comunità mondiale una perdita economica complessiva oscillante tra i 13 e i 16 miliardi di dollari - ha portato inevitabilmente ad un innalzamento dei costi di trasporto delle merci dovuto principalmente all'incremento dei premi assicurativi - quadruplicati negli ultimi due anni - e delle indennità dei marittimi operanti nelle acque ad alto rischio pirateria, marittimi ai quali, anche in Italia, è stata riconosciuta una speciale indennità di guerra;
il recente «report of the special advisor (Jack Lang) to the secretary-general on legal issues related to piracy off the coast of Somalia» presentato il 25 gennaio 2011 (nel periodo di studio 2008-2010) individua: circa 1.890 sequestri di persona, 105 sequestri di natanti; un incremento sensibile del tasso di violenza durante gli attacchi alle imbarcazioni; un innalzamento da 1 a 5 milioni di dollari delle richieste di riscatto medio per la liberazione della nave ed un prolungamento del periodo di detenzione che oggi si attesta a circa 120 giorni;
le soluzioni da individuare e realizzare per il contrasto del fenomeno piratesco, secondo il consigliere speciale delle Nazioni Unite sulla pirateria devono essere inquadrate immediatamente in un piano globale, capace di «combattere, prevenire e sopprimere la pirateria» prima che «l'escalation di professionalizzazione ed operatività dei pirati raggiunga un punto di non ritorno» oltre il quale l'azione internazionale risulterebbe verosimilmente inefficace;
l'Italia partecipa alle operazioni della NATO e dell'Unione europea e alla missione European union training mission in Somalia, il cui obiettivo politico-militare punta a rafforzare il Governo federale di transizione attraverso l'addestramento di forze di sicurezza; essa opera all'interno del Contact group on piracy off the coast of Somalia, l'organo delle Nazioni Unite incaricato di sviluppare la cooperazione e il coordinamento tra i Paesi e le organizzazioni internazionali e risolvere radicalmente le cause del fenomeno della pirateria;

il 15 giugno 2011 la professoressa Del Vecchio, ordinario di diritto internazionale, in sede di audizione presso la Commissione difesa del Senato nell'ambito dell'«indagine conoscitiva sul possibile contributo delle Forze armate per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della pirateria in acque internazionali», interpellata in merito ad una valutazione sulle peculiarità dell'utilizzo a bordo del naviglio civile di squadre armate composte da militari o da contractor privati, ha rilevato che, a livello internazionale, il quadro giuridico non appare ostativo all'impiego della difesa armata, purché esercitato nel rispetto del principio di proporzionalità dell'uso della forza;
altresì, è da tenere comunque in considerazioni le eventuali responsabilità dello Stato di bandiera nel caso di uso illegittimo della forza esercitato da parte del personale privato -:
come il Governo intenda adoperarsi per ripristinare il pieno utilizzo delle vie del mare, in particolare nell'area del Corno d'Africa, per le persone, il traffico commerciale e per le missioni di assistenza umanitaria;
se intenda proseguire e rafforzare la propria azione al fianco dei partner internazionali a sostegno della pacificazione e stabilizzazione economico-sociale e politica della Somalia, quale condizione determinante per sradicare e debellare il fenomeno della pirateria;
in sede ONU, all'interno del «gruppo internazionale di contatto sulla pirateria al largo delle coste somale» e del «gruppo di contatto sulla Somalia», se intenda attivarsi per realizzare un programma di coordinamento normativo interordinamentale volto a perseguire i responsabili di atti pirateschi - intesi come minaccia globale contro la comunità internazionale - mediante l'istituzione di un apposito tribunale penale internazionale e l'istituzione di un foro internazionale ad hoc per assicurare l'applicazione del diritto internazionale in materia di pirateria.
(4-12972)

PES, CALVISI, FADDA, MARROCU, MELIS e SCHIRRU. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il Governo, nella persona del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, in data 27 luglio, rispondendo all'interrogazione n. 3-01777 (Pes ed altri) che reclamava urgenti chiarimenti relativi alla realizzazione di una rete di sensori radar lungo alcune coste italiane, con particolare riferimento alla Sardegna e, tra le altre cose, chiedeva se l'installazione di tali strutture creasse delle servitù militari permanenti e aggiuntive per l'Isola, ha affermato che la realizzazione della rete radar costiera è destinata ad integrare il sistema di comando e controllo C4I del Corpo, dichiarato segreto, e che la rete radar costiera della Guardia di finanza non è da considerare opera destinata alla difesa militare, ma civile e finalizzata al supporto delle attività di contrasto dei traffici illeciti perpetrati via mare e di prevenzione degli eventi di immigrazione clandestina;
l'acronimo C4I indica comando, controllo, comunicazione e computer e informazioni: un sistema, quindi, la cui architettura include centri di rilevamento fissi e mobili che comunicano attraverso reti satellitari, strategiche e tattiche, e attraverso computer;
il brigadiere generale Angelo Pacifici - come ricorda un articolo di stampa (La Nuova Sardegna 29 luglio 2011) - in un'intervista su Rivista Militare (edita dallo Stato maggiore dell'Esercito) nel giugno 2000, riferendosi al C4I dice «è un sistema informatico di comando, controllo e comunicazioni, informatico gestionale e/o informatico dedicato esclusivamente all'attività informativa e che nella funzione C4 è il naturale supporto per la funzione C2 (Comando e controllo)»;
Antonio Camuso, dell'Osservatorio sui Balcani, ritiene che «grazie alle alte tecnologie impiegate nel sistema C4I, l'utilizzo di reti che viaggiano su satelliti e su reti dedicate (internet e/o intranet della forza armata in questione), permette la presenza virtuale in ogni punto operativo

del C4I del Comando (che si chiami Pentagono, o comando Nato, ecc.) e nel contempo di »processare« un'infinità di informazioni provenienti dal campo operativo (di battaglia) o dall'acquisizione da opera di spionaggio di qualsiasi genere, politico, economico o personale»;
in Italia tale sistema è nato nel 2004. Il comando è stato affidato all'ammiraglio Bizzarri e al generale Viarengo, con l'interazione dei servizi segreti Aise e Aisi. Il cuore tecnologico del network è costituito dalla brigata Rista-Ew, che raggruppa le unità di guerra elettronica delle forze armate;
la Sardegna è una delle regioni più militarizzate d'Italia: 24 mila ettari di territorio «militarizzati» sui 40 mila complessivi in Italia;
il Ministero della difesa e la regione Sardegna, su richiesta di quest'ultima, hanno stipulato in data 10 novembre 2006 e 28 marzo 2007 due intese, al fine di riequilibrare le servitù militari e le attività militari in Sardegna, individuando sia le infrastrutture militari immediatamente e direttamente dismissibili sia le infrastrutture da dismettere;
a tali intese è seguito l'accordo di programma del 7 marzo 2008 tra il Ministero della difesa, la regione autonoma della Sardegna e l'Agenzia del demanio con il quale le parti concordavano di svolgere un'azione coordinata e unitaria, al fine di favorire la delocalizzazione in altre strutture idonee delle funzioni svolte dal Ministero;
tale accordo non ha ancora avuto piena attuazione;
in occasione delle elezioni regionali della Sardegna nel febbraio del 2009, il Ministro interrogato aveva reso pubblica la sua intenzione di alleggerire le servitù militari;
in data 21 ottobre 2010, il Governo risponde in maniera ad avviso degli interroganti insufficiente ad un'interpellanza (2-00701) nella quale si chiedeva se in Sardegna intendeva far rispettare l'articolo 14 dello statuto, una norma che dice che se lo Stato non utilizza più beni che ha utilizzato in passato deve cederli in automatico alla regione, e dare corso all'accordo di programma del 7 marzo 2008 che individuava circa 300 beni, parte dei quali della difesa, parte di altre amministrazioni dello Stato, che dovevano transitare in proprietà alla regione Sardegna -:
per quali motivi l'accordo tra il Ministero della difesa e la regione autonoma della Sardegna ricordato in premessa non abbia ancora trovato piena attuazione e se quanto esposto non sia in contraddizione con il contenuto dell'accordo stesso.
(4-12979)

DI VIZIA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
secondo indiscrezioni veicolate dalle loro famiglie, i militari italiani in servizio in Afghanistan ovvierebbero di propria iniziativa, con le loro risorse, ad alcune insufficienze del proprio equipaggiamento;
in particolare, sarebbero costretti a modificare in proprio i supporti della Browning installata sulla «ralla» dei VTML LINCE, onde evitare l'entrata dell'arma in risonanza con il mezzo ed il suo conseguente inceppamento;
numerosi membri del contingente italiano, inoltre, opererebbero la manutenzione e la riparazione di armi, macchinari ed edifici servendosi di strumentazione acquistata in proprio, a causa dell'insufficienza delle dotazioni individuali e di reparto;
pur ricevendo con un anticipo medio di 15-20 giorni i bauli destinati a contenere i propri equipaggiamenti individuali, i soldati italiani otterrebbero il corrispondente contenuto dopo oltre un mese dal loro arrivo sul teatro d'operazioni, almeno nel caso del personale assegnato nelle basi situate nella Provincia di Farah;
i militari comunicherebbero con le famiglie ed in generale con la madrepatria

grazie a collegamenti e strutture Wi-Fi allestite solo grazie alle loro esclusive capacità organizzative, raccogliendo le adesioni ed i fondi necessari prima di stipulare appositi contratti con i provider prescelti;
ai militari verrebbero inviati generi alimentari incongrui rispetto alla missione, inclusi spumanti di marca ed altre vettovaglie (come le aragoste descritte nel volume di Bob Woodward The Obama's War, pubblicato negli Stati Uniti lo scorso anno) -:
se le circostanze di cui in premessa rispondano al vero e quali misure il Governo intenda assumere per garantire ai militari del contingente impegnato in Afghanistan i migliori equipaggiamenti, vettovagliamenti congrui alla loro missione ed i servizi necessari a garantire la capacità di comunicare periodicamente con le rispettive famiglie.
(4-12997)

...

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:

DELFINO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nella seduta del 28 aprile 2011, il Sottosegretario Giachino, in risposta all'interpellanza urgente n. 2-01055 sulla mancata formalizzazione della concessione ventennale alla società di gestione dell'aeroporto di Levaldigi-Cuneo, ha affermato che, avendo la società di gestione subito perdite di esercizio per gli anni 2007-2009, è stato predisposto un piano di risanamento per il raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario;
nella medesima circostanza, il Sottosegretario ha sottolineato che il risultato economico relativo all'annualità 2009 presenta una maggiore perdita rispetto al dato indicato nel piano con uno scostamento di circa il 30 per centro;
in merito a ciò, è necessario ricordare che tale scostamento è da attribuire all'onere a carico della società di gestione relativo al servizio «torre di controllo», il quale attualmente è a carico solo di due aeroporti in Italia, diversamente da quanto accade per altri scali - anche caratterizzati da un volume di traffico passeggeri inferiore a quello di Cuneo - dove tale servizio viene assicurato a titolo non oneroso;
la società di gestione tiene a precisare che, stante gli andamenti del valore della produzione, dei costi (a parità di tipologia), degli ammortamenti e degli oneri/proventi finanziari, la perdita ante imposta si è attestata nell'esercizio 2009 a 1.077.176 euro contro il corrispondente valore di piano di 1.047.246 con uno scostamento del 2,8 per cento mentre, per quanto riguarda i volumi di traffico, nel 2009, i passeggeri si sono attestati a 127.946 a fronte di una previsione di piano ventennale di 108.147, con un incremento del 16,4 per cento;
se si fosse assunto a piano il trend di crescita consuntivato nel 2009, la società di gestione avrebbe potuto elaborare un piano per la gestione totale trentennale sulla base di una dinamica di sviluppo dei costi e dei ricavi completamente diversa;
come affermato dal Sottosegretario, al fine di sostenere il citato piano di risanamento, sarebbe previsto un aumento di capitale riservato ai soci pubblici (provincia, regione e camera di commercio);
in relazione alla grave situazione e ai limitati volumi di traffico, dunque, sarebbe necessario far ricorso a risorse pubbliche per sostenere il piano economico e finanziario, ma dalla già citata risposta si apprende che tale erogazione sarebbe, però, preclusa dall'articolo 6, comma 19, del decreto-legge n. 78 del 2010;
nel citare tale riferimento normativo, a parere della società di gestione, è stata

però omessa la parte in cui viene prevista la possibilità di consentire trasferimenti alle società di gestione a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse o alla razionalizzazione degli investimenti;
alla luce di quanto appena citato, risulta palese collocare le attività svolte da un aeroporto nell'ambito di un servizio di pubblico interesse;
risulta, dunque, doveroso sottolineare la necessità di definire chiaramente il perimetro operativo entro il quale è possibile avvalersi della deroga al divieto di far ricorso a risorse pubbliche previsto dal sopracitato decreto-legge;
inoltre, la direttiva n. 135 del 12 settembre 2007, sulla quale è stato elaborato il piano ventennale allegato alla domanda di concessione della società di gestione dell'aeroporto di Levaldigi, impone ai soci di farsi carico degli investimenti previsti nel piano degli interventi (impegno deliberato dai soci nell'assemblea del 8 settembre 2008) e obbliga le società a prevedere tale impegno addirittura nello statuto; inoltre prevede la facoltà dell'ENAC di monitorare, dopo il primo quadriennio di affidamento della concessione pluriennale, l'effettivo avanzamento del crono-programma degli investimenti e il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento della gestione;
ad oggi la maggior parte delle società di gestione aeroportuale è strutturalmente in perdita, ci sono alcune che chiudono il bilancio in pareggio nonostante i contributi pubblici e altre che chiudono con perdite intorno a un milione di euro senza contributi, nonché società che capitalizzano i contributi dati alle compagnie aeree e altre che non lo fanno;
quanto premesso evidenzia la necessità di definire con assoluta chiarezza le regole alle quali debbano attenersi tutte le società di gestione;
le attuali difficoltà economiche e la costante riduzione delle risorse pubbliche disponibili rendono probabilmente improrogabile la privatizzazione di molti scali, ma di fatto il blocco delle concessioni rende inapplicabile anche questa ipotesi, in quanto nessun privato è incentivato ad investire in un clima di totale incertezza normativa -:
quali urgenti iniziative intenda assumere per superare le attuali difficoltà economiche riscontrate e procedere alla formalizzazione della concessione ventennale alla società di gestione dell'aeroporto di Levaldigi, alla luce di quanto premesso;
se non intendano promuovere con urgenza la definizione di un quadro normativo chiaro e omogeneo al quale tutte le società di gestione debbano attenersi, favorendo così anche il possibile coinvolgimento di privati nella gestione degli aeroporti.
(3-01794)

Interrogazioni a risposta scritta:

MOSCA e VACCARO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la legge 30 dicembre 2010, n. 238, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 9 del 13 gennaio 2011 ed entrata in vigore il 28 gennaio 2011, prevede la concessione di incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia, al fine di contribuire allo sviluppo del Paese e valorizzare le esperienze professionali maturate dai cittadini all'estero;
in relazione all'ambito soggettivo di applicazione degli incentivi di cui sopra, l'articolo 2 della citata legge stabilisce che hanno diritto ai benefici fiscali i cittadini dell'Unione europea che abbiano maturato una serie di requisiti, tra cui l'aver svolto continuativamente attività lavorative o di studio fuori dall'Italia e dal loro Paese negli ultimi 24 mesi o più;
l'articolo 2 stabilisce altresì che tali benefici si applicano a tali soggetti «sebbene residenti nel loro paese d'origine», con riferimento quindi anche a quanti pur

essendo domiciliati all'estero, abbiano mantenuto la residenza in Italia o in un altro Paese dell'Unione europea;
il comma 2 dell'articolo 2 rinvia quindi a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze per l'individuazione specifica delle categorie dei soggetti beneficiari;
l'ordine del giorno n. G/2212/1/6 al DDL n. 2212, presentato nella seduta del 23 novembre 2010 della VI Commissione - Finanze e Tesoro - del Senato e accolto come raccomandazione dal Governo, individuava le categorie dei soggetti beneficiari tra coloro che «hanno risieduto all'estero per almeno 24 mesi, così come risultante per i cittadini italiani dalla registrazione negli appositi registri dell'A.I.R.E. (Anagrafe Italiani Residenti all'Estero) e, per i cittadini degli altri Paesi dell'Unione europea, dalla registrazione in eventuali simili registri nazionali dei residenti»;
il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato in data 3 giugno 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 133 del 10 giugno 2011, ha quindi stabilito, in linea con le indicazioni contenute nel citato ordine del giorno, che possano beneficiare degli incentivi coloro che, tra gli altri requisiti, «negli ultimi due anni o più, hanno risieduto fuori dal proprio Paese d'origine e dall'Italia» svolgendovi attività di lavoro o conseguendovi un titolo di studio;
l'ordine del giorno n. G/2212/1/6 sembra introdurre un criterio non solo restrittivo ma addirittura opposto a quello stabilito dall'articolo 2 della legge n. 238 del 2010, che consente di beneficiare degli incentivi fiscali anche ai cittadini che hanno mantenuto la residenza nel loro Paese d'origine non iscrivendosi all'A.I.R.E. o in registri equivalenti;
si può prevedere che dall'applicazione del decreto attuativo derivi l'esclusione dal godimento dei benefici fiscali di coloro che, sebbene domiciliati all'estero da più di due anni, hanno mantenuto la residenza in Italia o nel loro Paese d'origine;
dal decreto non si evince se, nel caso di permanenza all'estero per attività di studio, possano accedere ai benefici anche coloro i quali, pur avendo trascorso all'estero due anni o più, abbiano svolto attività di studio di durata inferiore ai 24 mesi, come nel caso di corsi di specializzazione post-lauream (master), che si svolgono tipicamente in due anni accademici ossia nell'arco di 18 mesi solari -:
se il Ministro interrogato intenda confermare, come previsto dalla legge n. 238 del 2010, la non rilevanza dell'iscrizione all'A.I.R.E. o nei registri equivalenti ai fini del godimento degli incentivi fiscali;
se ai fini dell'ammissione ai benefici in questione, fatto salvo il requisito della permanenza all'estero per almeno 24 mesi, siano validi periodi di studio di durata inferiore purché rientranti nelle categorie individuate dalla legge e confermate dal decreto attuativo.
(4-12946)

ZACCHERA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
già in passato il firmatario del presente atto ha interrogato i Ministri dell'economia e delle finanze e il Ministro degli affari esteri sul problema delle doppie tassazioni fiscali in essere per le imprese operanti in Italia e a Taiwan, ricevendo assicurazioni che il problema sarebbe stato risolto in tempi rapidi;
in particolare tale risposta è stata ribadita a firma della Sottosegretario Craxi all'inizio di quest'anno, ma ad oggi non si hanno notizie di provvedimenti normativi conseguenti o atti formali in questo senso -:
quali siano i passi che il Governo intende effettuare per giungere ad una sollecita definizione dei rapporti fiscali con Taiwan, sia per quanto riguarda le aziende italiane operanti in quel Paese che

per gli investimenti taiwanesi in Italia, sottolineando l'importanza dell'interscambio commerciale tra i due Paesi e le positive conseguenze che l'eliminazione della doppia imposizione fiscale porterebbe allo sviluppo delle imprese italiane per le quali Taiwan rappresenta un ottimo partner commerciale.
(4-12949)

GNECCHI, MATTESINI, GATTI e MAZZARELLA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
in risposta all'atto di sindacato ispettivo 2-01041 il Governo alla richiesta di chiarimenti in merito all'attribuzione degli incarichi dirigenziali da parte dell'Agenzia delle entrate, rispondeva in modo articolato, ma non chiariva le ragioni per le quali l'Agenzia delle entrate abbia continuato in tutti questi anni a conferire incarichi dirigenziali provvisori, senza procedere allo scorrimento delle graduatorie e operando nello stesso tempo in deroga a quanto previsto dall'articolo 19, comma 1-bis, del DLGD n. 165 del 2001;
con successivo atto di sindacato ispettivo - 4-12345 - ad oggi senza risposta, si richiedeva ai Ministri interrogati come intendessero procedere, per quanto di propria competenza, nei confronti dell'Agenzia delle entrate per ripristinare comportamenti conformi con la legislazione vigente e confermati da una consolidata giurisprudenza;
con sentenza del TAR del Lazio, depositata il 1o agosto 2011, i giudici del tribunale amministrativo hanno accolto il ricorso presentato dalla Dirpubblica (federazione funzionari professionisti e dirigenti delle pubbliche amministrazioni e delle Agenzie) annullando la delibera del comitato di gestione n. 55 del 2 dicembre 2009, con cui è stato sostituito l'articolo 24 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle entrate e di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, conseguente e connesso, ordinando che la sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa, di fatto quindi ha annullato gli incarichi di cui si chiedeva con gli atti ispettivi citati di render conto -:
se non ritengano i Ministri interrogati di intervenire nei confronti dell'Agenzia delle entrate, per ripristinare comportamenti conformi alla legislazione vigente e confermati dalla recente sentenza del TAR del Lazio, citata in premessa e quindi dar corso agli incarichi come da concorsi regolarmente espletati.
(4-12959)

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
Enasarco è l'ente di previdenza e assistenza degli agenti e rappresentanti di commercio la cui vigilanza è esercitata dai Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali (articolo 3, comma 1, decreto legislativo n. 509 del 1994);
Enasarco sta procedendo alla dismissione del proprio patrimonio immobiliare del valore di circa 3,5 miliardi di euro;
il 20 luglio 2011 è stato rinnovato il consiglio di amministrazione ed è stato rieletto presidente il dottor Brunetto Boco. La procedura di rinnovo è regolamentata dall'articolo 8 dello statuto Enasarco che recita testualmente: «Il Consiglio di Amministrazione è composto da: otto rappresentanti degli agenti e rappresentanti di commercio, siano essi attivi o pensionati, nominati con le procedure che il Consiglio di amministrazione della Fondazione regolamenta in attuazione degli indirizzi di cui all'articolo 1), secondo comma; quattro rappresentanti dei preponenti, designati dalle confederazioni datoriali firmatarie degli accordi economici collettivi e maggiormente rappresentative a carattere nazionale; un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da questi designato;

sei mesi prima della scadenza dell'organo, il presidente chiese al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'individuazione delle associazioni maggiormente, rappresentative su base nazionale di cui al comma 1, del citato articolo 8, lettera a) e lettera b);
a seguito della risposta da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il presidente ha invitato le associazioni maggiormente rappresentative a designare i propri rappresentanti nel termine di sessanta giorni dal ricevimento di tale richiesta. Analogo invito è stato rivolto per la nomina del rappresentante ministeriale;
il presidente, in applicazione dell'articolo 25, comma 1, del codice civile, ove il termine di cui al comma 2 trascorra inutilmente, può chiedere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di provvedere direttamente alla indicazione dei rappresentanti dell'associazione che non abbia provveduto alla designazione;
l'articolo 16 dello statuto afferma che i rappresentanti degli agenti e rappresentanti di commercio debbano provenire solo dalla categoria prevedendo tra le cause di accesso e di decadenza la cancellazione dal ruolo agenti;
in virtù di quanto premesso, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha incluso tra le 8 organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative la Cisal Federagenti trasmettendo la relativa comunicazione al presidente Enasarco in data 14 giugno 2011, come previsto dall'appena citato articolo 8;
in data 15 giugno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha inviato una nuova comunicazione per precisare che l'elenco delle otto associazioni era in ordine decrescente e «che ai fini della ricostituzione del citato Consiglio di Amministrazione si dovrà tenere conto delle rappresentanze di categoria già presenti nel collegio sindacale, nonché del grado di rappresentatività delle singole Organizzazioni»;
nel premettere che lo statuto della Fondazione Enasarco può essere modificato, nel rispetto delle procedure di legge, ma non liberamente interpretato, parrebbe che - stando alle osservazioni del Ministro - le otto associazioni individuate per il rinnovo del consiglio di amministrazione debbano tutte esservi presenti (a meno di loro espressa rinuncia) e che in caso di rinnovo del collegio sindacale (che avverrà tra due anni) debbano essere inserite le due associazioni individuate come le più rappresentative tra le otto maggiormente rappresentative, con un proprio rappresentante come titolare ed uno come supplente, prevedendo lo statuto, all'articolo 21, comma 3, che soltanto alle organizzazioni delle ditte mandanti è consentita la nomina di un componente supplente da parte di una organizzazione diversa da quella che ha designato il membro titolare;
nonostante la chiara indicazione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il presidente dell'Enasarco, Brunetto Boco, ha ritenuto di escludere dalla composizione del nuovo consiglio di amministrazione la Cisal Federagenti;
da svariati anni la Federagenti Cisal denuncia errori di gestione e scarsa trasparenza in merito alla suddetta dismissione caratterizzata, stando a quanto affermato nella relazione dell'ex commissario straordinario Giovanni Pollastrini, più per l'interesse alla gestione degli immobili, che per l'attenzione ai problemi previdenziali della categoria ed alla soddisfazione degli iscritti;
è opinione dell'interrogante che il rischio denunciato da diversi sindacati inquilini è quello dell'inadeguatezza di un ente, lontano dai parametri di bilancio voluti dal legislatore per gli enti previdenziali privati e che, dopo avere fatto ricorso a rischiosissimi investimenti finanziari di svariate centinaia di milioni in fondi di obbligazioni strutturate con sede alle isole Cayman, garantiti dalla Lehman Brothers (i cui esiti disastrosi sono stati denunciati dalla Commissione parlamentare di controllo

degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie), propone ora - avversata dalla Federagenti e da altre associazioni sindacali - la dismissione dell'intero patrimonio immobiliare;
la succitata dismissione a giudizio degli interroganti potrebbe avere la sciagurata conseguenza di gettare nel panico migliaia di famiglie e di porre ancora più a rischio il futuro previdenziale della categoria che, vista l'estrema volatilità del mercato finanziario, nulla ha da guadagnare dalla trasformazione del mattone in moneta perseguita dall'ex presidente Porreca, prima, e proseguita da Brunetto Boco con l'operazione Mercurio, dismissione immobiliare secondo la quale gli inquilini potranno acquistare l'appartamento oggi di proprietà dell'ente con uno sconto del 40 per cento rispetto ai prezzi di mercato -:
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno verificare l'effettivo rispetto della legalità nella governance dell'Enasarco, rimuovendo, se necessario, le componenti di questa governance non in possesso dei titoli richiesti dallo statuto;
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire, per quanto di competenza, per garantire alla Federagenti Cisal il posto che le compete per legge all'interno del consiglio di amministrazione di Enasarco al fine di consentirle l'esercizio di un diritto riconosciuto dalla legge a tutela e garanzia dei 400.000 agenti in attività e pensionati che sono allarmati e indignati dal rischio di perdere la casa.
(4-12991)

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

COSTA, CONTENTO e DE ANGELIS. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere: in presenza di segnalazioni di rilevanza penale datate o non corroborate da atti giudiziari che emergono da eventuali controlli effettuati dagli organi di polizia quali strumenti abbia il cittadino per ottenere la cancellazione e se vi siano delle scadenze per la permanenza di tali dati nei database.
(5-05248)

ROSSOMANDO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Ministero della giustizia ha posto sotto la tutela e il coordinamento del Ministero della giustizia l'associazione ANPPE, i cui associati sono ex appartenenti alla polizia penitenziaria in quiescenza;
attualmente l'associazione ANPPE è diretta dal presidente nazionale, che ricopre anche la carica di segretario generale del SAPPE, sindacato maggiormente rappresentativo della polizia penitenziaria; è presidente vicario dell'associazione uno dei segretari generali aggiunti del SAPPE, e il vice presidente dell'associazione è, contemporaneamente, anche vice presidente del SAPPE;
con decreto del Ministero della giustizia, il medesimo che prevede la tutela, si è così assunto il coordinamento di un'associazione i cui collegamenti con la sigla sindacale SAPPE sono evidenti;
a seguito di tale decisioni, numerose organizzazioni sindacali rappresentative della maggioranza degli appartenenti al Corpo della polizia penitenziaria hanno evidenziato al Ministro della giustizia come il Ministero, naturale controparte istituzionale rispetto ai sindacati, avrebbe dovuto astenersi dall'adottare un simile provvedimento per le evidenti interconnessioni sussistenti tra associazione e il SAPPE che, per il tramite della medesima persona, accentra la direzione di entrambi;
a tutt'oggi però i sindacati non hanno ricevuto né da parte del Ministero della giustizia né dall'amministrazione penitenziaria

chiarimenti sulle incongruenze evidenziate -:
se, nell'ambito del Ministero della giustizia, siano presenti casi analoghi a quello sopra descritto e, in caso positivo, quali siano;
se, nel periodo che va dall'emanazione del decreto del Ministero della giustizia ad oggi l'associazione ANPPE abbia avuto benefici economici o altro da parte dell'amministrazione penitenziaria, da intendersi anche in termini di concessione d'uso di mezzi e strumenti dell'amministrazione penitenziaria;
se, alla luce di quanto sopra esposto, non ritenga opportuna una revisione del decreto in questione, nella fattispecie senza il coinvolgimento della pubblica amministrazione interessata, per favorire la stesura di un nuovo decreto che consenta al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di far propria l'esigenza di rappresentare, alla stregua delle altre forze di polizia ad ordinamento civile e militare, il proprio personale posto in quiescenza per raggiunti limiti d'età.
(5-05261)

COSTA, CONTENTO e DE ANGELIS. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la riabilitazione è una causa di annullamento della pena. Attraverso la procedura di riabilitazione, chi ha subito una condanna e abbia già scontato la sanzione principale, può essere reintegrato nella situazione giuridica antecedente la condanna stessa. Si annullano le pene accessorie e gli effetti penali della condanna;
ai fini amministrativi (ai sensi e per gli effetti del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445) nonché nel modulo di richiesta del passaporto il cittadino è tenuto ad autocertificare di non avere riportato in passato qualsivoglia condanna penale -:
nel caso in cui un cittadino che abbia avuto la suddetta riabilitazione dichiari secondo verità di aver ricevuto condanne, se non venga vanificato il senso della riabilitazione stessa e in tal caso quali iniziative intenda assumere.
(5-05263)

Interrogazioni a risposta scritta:

GIRLANDA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
come riportato da una recente inchiesta pubblicata in data 25 luglio 2011 da parte de Il Giornale le intercettazioni telefoniche effettuate nel 2010 da parte della magistratura inquirente sono costate 270 milioni, con un debito di 90 milioni che va a sommarsi ai 75 milioni dell'anno precedente, per un totale di 165 milioni, pari quasi alla metà del disavanzo del Ministero;
tra le procure beneficiate dai crediti utili per l'utilizzo di questo genere di strumento vi sono la procura della Repubblica di Palermo, di Milano, di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere, per un totale di quasi 60 milioni di euro;
i finanziamenti destinati al Ministero della giustizia nell'anno 2010 sono pari a circa 7,2 miliardi di euro, dei quali 2,4 miliardi vengono impiegati per le retribuzioni dei magistrati e del personale amministrativo;
da un calcolo aggiornato al dicembre 2010 i debiti della giustizia italiana ammontano a 340 milioni -:
quale sia, ove disponibile, la quantificazione degli effetti, in termini economici e di pene comminate, derivati dall'uso intensivo delle intercettazioni telefoniche;
se il Ministro ritenga opportuno ridurre le risorse riservate a questo strumento al fine di ridurre l'indebitamento del Ministero della giustizia o destinare parte delle risorse attualmente impiegate per fare fronte ad altri capitoli di spesa del Ministero quali, ad esempio, gli investimenti sull'edilizia carceraria o le assunzioni da parte del Corpo di polizia penitenziaria.
(4-12969)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'istituto penitenziario di Spinazzola con capienza massima di 68 posti, fu attivato il 1° dicembre 2004 per volontà del provveditore dottor Rosario Cardillo;
nel maggio 2005, con decreto del Ministro, il carcere assunse la denominazione di «Istituto penitenziario per adulti sezione staccata di Trani»;
per gli effetti del provvedimento di indulto nel 2006 l'istituto penitenziario fu svuotato e il personale distaccato fu fatto rientrare in Basilicata;
in seguito, il provveditore dell'amministrazione penitenziaria, dottor Angelo Zaccagnino, ridefinì l'istituto, dirottandovi tutti i detenuti sex offenders, ovvero persone macchiatesi di reati a sfondo sessuale;
in tal modo la struttura fu resa di nuovo operativa, ma all'aumento del numero dei detenuti, non corrispose l'integrazione del personale di polizia penitenziaria;
peraltro i detenuti sex offenders richiedono una particolare competenza da parte del personale penitenziario;
nel settembre 2008, con decreto ministeriale, il carcere perse i connotati di appendice di Trani, diventando istituto autonomo e con un proprio direttore, rimanendo tuttavia irrisolto il problema della carenza di personale, nonostante i solleciti della direzione e del provveditore regionale dottor Gaspare Sparacia;
per mesi il personale penitenziario dell'istituto ha auspicato, invano, la trasformazione della condizione lavorativa da temporanea ad effettiva, anche al fine di garantire piena operatività nella ricezione dei detenuti;
il Governo, anziché varare un decreto per garantire il potenziamento della struttura, ha disposto con decreto ministeriale del 15 giugno 2011, la soppressione dell'istituto di Spinazzola, sezione staccata degli istituti penali di Trani; decisione che è stata comunicata dal provveditore regionale, dottor Giuseppe Matone, in data 26 luglio 2011;
la chiusura del carcere di Spinazzola consentirebbe, a detta del Ministro della giustizia «una economicità di risorse complessive coerente con l'attuale contrazione delle complessive disponibilità finanziarie e di personale»;
a seguito del citato provvedimento ministeriale, il personale di polizia penitenziaria è stato trasferito ad altre sedi, rimanendo tuttora distaccati presso il carcere in questione solo cinque agenti e la direttrice, anch'essi in attesa del trasferimento;
a giudizio della prima firmataria del presente atto la chiusura dell'istituto di pena pugliese appare una scelta vieppiù paradossale visto e considerato: a) che il denaro pubblico speso per la sua costruzione ammonta a circa otto miliardi delle vecchie lire e che il flusso di soldi investiti per attrezzarlo e, soprattutto, per «formare» il personale di polizia penitenziaria assegnato nelle funzioni di custodia dei cosiddetti «sex offenders» è stato sempre molto elevato; b) che nel richiamato istituto di pena le condizioni di vita della popolazione reclusa risultavano essere più che accettabili, ciò è dimostrato anche dal fatto che al suo interno non si erano mai registrati atti di autolesionismo o tentativi di suicido da parte dei detenuti; c) che in tutti questi anni, nonostante il ridotto numero degli agenti e del personale di assistenza, la struttura è sempre stata gestita ottimamente ed in piena efficienza; d) che alla chiusura del carcere conseguirà anche la soppressione di un percorso sperimentale contro la recidiva dei detenuti per reati legati alla sfera sessuale finanziato con oltre 100mila euro dal direttore sanitario della ASL/BT, dottor Francesco Polemio;
su La Gazzetta del Mezzogiorno, in data 27 e 28 luglio 2011, sono apparsi due

articoli scritti da Cosimo Forina proprio in relazione alla soppressione dell'istituto di pena di Spinazzola; il primo intitolato: «Beffa a Spinazzola, chiude il carcere»; il secondo: «Detenuti contro la chiusura»;
la decisione del Ministro della giustizia ha indotto i detenuti del carcere di Spinazzola ad intraprendere uno sciopero della fame ad oltranza ed è stata fortemente osteggiata da tutte le sigle sindacali della Polizia penitenziaria (eccetto l'OSAPP). In particolare Giampiero Pantaleo, Luigi Pelle e Vincenzo La Monaca, rispettivamente vice segretario nazionale e segretari regionali dell'UGL Polizia Penitenziaria, hanno dichiarato quanto segue: «Una vicenda che ha il sapore della commedia dell'assurdo! Infatti con un provvedimento "balneare" il Ministero della giustizia ha disposto la chiusura della struttura, evitando di affrontare la questione della sua destinazione d'uso, che l'UGL Polizia Penitenziaria teme possa diventare l'ennesima cattedrale nel deserto, al pari di altre strutture aperte e poi chiuse, ovvero mai aperte. La tempistica del provvedimento appare strana, forse funzionale ad evitare che sulla "questione Spinazzola" potessero attivarsi i canali mediatici e politici per riflettere adeguatamente sull'opportunità della chiusura dell'Istituto, vera eccellenza trattamentale nel panorama non solo regionale, ma anche nazionale, determinata anche dalla proficuità di un'attività formativa specifica a vantaggio del personale sulla gestione dei sex offenders, costata non poco alle casse dello Stato e agli stessi che l'hanno affrontata, rimettendo in gioco la propria professionalità. Alla luce della sospetta antisindacalità dell'attività svolta dal Provveditorato, che ha fatto "piovere addosso" la chiusura del carcere ai colleghi senza socializzare preventivamente alcunché alle organizzazioni sindacali, che hanno appreso la notizia dai mezzi di informazione! Il Provveditorato Giuseppe Martano avrebbe dovuto convocare una conferenza di servizi, ai sensi della legge n. 241 del 1990, allargata a tutti gli enti del territorio coinvolti, avendo invece provveduto alla chiusura solo discutendo nel "chiuso delle proprie stanza": correttezza avrebbe voluto che su di una questione talmente importante fosse avviato un pubblico confronto con ASL, comune, provincia e regione, evitando di "bussare" alla loro porta solo per presentare problemi irrisolvibili. Ovviamente, tra le righe del provvedimento ministeriale e delle determinazioni regionali si coglie la volontà di risolvere un problema inesistente, quello di Spinazzola, nell'illusione di porre rimedio a quello atavico della gestione degli Istituti Penali di Trani»;
nelle prossime settimane l'amministrazione penitenziaria bandirà le prime gare per la costruzione di nuovi padiglioni, il che, a giudizio della prima firmataria del presente atto, rende oltremodo incomprensibile, tragicomica ed illogica la chiusura del carcere di Spinazzola, struttura che rispondeva a tutti i parametri imposti dall'Europa e che era in grado di ospitare in condizioni ottimali circa una ottantina di detenuti -:
per quale motivo prima di disporre la chiusura del carcere pugliese, non sia stata convocata una conferenza di servizi, ai sensi della legge n. 241 del 1990 allargata a tutti gli enti del territorio coinvolti;
a quanto ammontino i costi relativi alla costruzione e successiva «attivazione» del carcere di Spinazzola;
quanto sia costata alle casse dello Stato l'attività formativa specifica svolta a vantaggio del personale di polizia penitenziaria assegnato presso l'istituto di pena pugliese in merito alla gestione dei detenuti cosiddetti sex offenders;
quale sarà la prossima destinazione d'uso dell'immobile all'interno del quale era ubicato il carcere di Spinazzola;
se il Ministro attraverso un apposito decreto, intenda rivedere la decisione che ha portato alla soppressione dell'istituto di pena pugliese in modo da garantire il rilancio della struttura carceraria di Spinazzola integrando il personale di polizia penitenziaria in essa operante e dando

così valore al denaro pubblico fino ad oggi investito.
(4-12988)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi è stato siglato l'accordo conclusivo per la privatizzazione della compagnia di navigazione marittima Tirrenia Spa, che ha sancito il passaggio definitivo del ramo d'azienda alla compagnia italiana di navigazione (CIN), cordata che si era aggiudicata nel maggio scorso la gara per la privatizzazione della società statale di navigazione;
il contratto, per cui si stima il costo complessivo di circa 380 milioni di euro, prevede l'acquisto del marchio Tirrenia, di 18 navi e delle linee di navigazione attraverso una convenzione che verrà stipulata successivamente con il Ministero dei trasporti, mentre vengono escluse la vendita della Siremar, i fast ferries e le opere d'arte;
per il closing definitivo però si attende il parere dell'autorità garante della concorrenza europea che si dovrà esprimere entro pochi mesi sulla legittimità dell'operazione in riferimento all'accertamento di eventuali profili di distorsione del libero mercato e della concorrenza nell'accordo siglato;
si registrano moltissime reazioni critiche sulle modalità con cui si è giunti al completamento dell'operazione, a partire dalla stessa regione Sardegna che aveva proposto l'ingresso in società con una quota parte e un ruolo di riferimento come organo garante nell'organizzazione e nella gestione delle linee di navigazione e del rispetto degli oneri di servizio pubblico per garantite il servizio di continuità territoriale, che invece è rimasta fuori dall'operazione di acquisizione ed ora minaccia di appellarsi a tutti gli organi giudiziari competenti per far decadere gli atti sottoscritti rappresentando secondo quanto espresso pubblicamente dal presidente della giunta, Cappellacci «un vero schiaffo al diritto alla mobilità per i cittadini sardi»;
sin dai primi momenti della fase d'esecuzione della procedura di privatizzazione, infatti, si sono riscontrate numerose inadempienze nel rispetto dei principi e delle indicazioni contenute nel decreto-legge n. 135 del 2009 che ha dato l'avvio al processo di vendita, che hanno portato di fatto alla cancellazione e in parte alla diminuzione di alcune rotte operate dal vettore del servizio di trasporto marittimo pubblico, provocando di fatto l'interruzione del servizio di continuità territoriale e l'inserimento nel mercato delle compagnie private operanti in regime di concorrenza, che ha dato luogo alla formazione di una sorta di cartello economico (lo stesso che oggi acquisisce la proprietà di Tirrenia) con conseguente repentino aumento delle tariffe;
questa situazione, generando gravissime difficoltà ai cittadini sardi e in generale ai viaggiatori diretti verso la regione Sardegna, ha rappresentato un gravissimo atto di scarsa considerazione e rispetto nei confronti della Sardegna, interessata da circa l'80 per cento delle rotte effettuate dalla società Tirrenia e un duro colpo alle attività turistico-ricreative collegate al trasporto passeggeri marittimo, che si stima vedranno nel 2011 un decremento delle prenotazioni di più del 30 per cento rispetto agli anni precedenti;
alla luce delle ultime vicende risultano oggi concretamente manifestarsi quelle che erano le preoccupazioni paventate da più fronti durante la fase del processo di privatizzazione della compagnia di navigazione, con la considerazione principale che la vendita da parte del Governo si sia resa necessaria più per liberarsi di un carrozzone mal gestito, per

fare cassa e dare seguito ad una manovra vantaggiosa soltanto alla compagnia acquirente (che sborserebbe soltanto 380 milioni di euro a fronte dei 580 in agevolazioni come oneri di servizio pubblico che riceverà per i prossimi 8 anni) piuttosto che per andare incontro alle legittime aspettative della Sardegna e dei suoi cittadini che dalla vendita si aspettavano certamente un miglioramento dei servizi e l'introduzione di un regime tariffario più conveniente;
le modalità dell'avvenuto passaggio di proprietà, inoltre, pur garantendo al momento la salvaguardia dei posti di lavoro per i lavoratori occupati, non garantirà gli stessi da future minacce alla loro attività, in mancanza di un progetto di rilancio qualitativo degli standard del servizio di navigazione che ad oggi appare non ancora ben chiaro e definito -:
quali siano le reali ragioni alla base dell'accelerazione del processo di vendita di Tirrenia spa a favore del consorzio italiano di navigazione (Cin) e se la procedura abbia rispettato tutti i requisiti necessari richiesti dalla normativa comunitaria, statale, e regionale, in considerazione anche del mancato al momento pronunciamento dell'Antitrust europea sulla vicenda;
se non intenda all'atto della stipula della nuova convenzione di servizio farsi garante affinché i soggetti aggiudicatari rispettino gli oneri di servizio pubblico e adottino un sistema di tariffazione il quanto più calmierato possibile e in linea con gli standard di mercato.
(2-01178)«Mereu».

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARIANI, MARGIOTTA, BENAMATI, BRAGA, BRATTI, MORASSUT, REALACCI, BOCCI, ESPOSITO, GINOBLE, IANNUZZI, MARANTELLI, MOTTA e VIOLA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 443 del 2001 (cosiddetta legge obiettivo) prevede che il programma delle infrastrutture strategiche (PIS) da inserire nel documento di economia e finanza (DEF) contenga le seguenti indicazioni:
a) l'elenco delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da realizzare;
b) i costi stimati per ciascuno degli interventi;
c) le risorse disponibili e relative fonti di finanziamento;
d) lo stato di realizzazione degli interventi previsti nei programmi precedentemente approvati;
e) il quadro delle risorse finanziarie già destinate e degli ulteriori finanziamenti necessari per il completamento degli interventi;
a partire dal 2003, il DPEF (ora DEF) reca quindi un allegato specifico interamente dedicato allo stato di attuazione sul programma delle infrastrutture strategiche (cosiddetto allegato Infrastrutture);
le funzioni di monitoraggio del PIS sono affidate, ai sensi del decreto legislativo 20 agosto 2002,n. 190 (che è stato integralmente trasfuso nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, (cosiddetto codice dei contratti pubblici) ad una struttura tecnica di missione, istituita con decreto ministeriale del 10 febbraio 2003,in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) che ha, fra le sue funzioni, quella di provvedere alla «costituzione e gestione della banca dati dei progetti inseriti nel Programma di cui alla legge n. 443 del 2001», nonché «al monitoraggio delle attività di realizzazione delle opere»;
per consentire al Cipe di conoscere in tempo reale l'avanzamento del programma,

sia nel suo complesso sia per ogni singola opera approvata, la delibera Cipe 25 luglio 2003, n. 63, ha stabilito che esso acceda alla banca dati creata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che il soggetto aggiudicatore deve tenere costantemente aggiornata;
l'articolo 15, comma 5, del decreto legislativo n. 190 del 2002 ha poi previsto, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'individuazione di procedure per il monitoraggio delle infrastrutture ed insediamenti industriali per la prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa;
il decreto interministeriale 14 marzo 2003 ha quindi istituito il comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, con l'obiettivo, esplicitato nelle premesse del decreto, di individuare procedure di monitoraggio idonee ad assicurare il governo dei dati e delle informazioni in possesso dei diversi soggetti, pubblici e privati, interessati alla realizzazione delle opere della legge obiettivo, in modo da garantirne una visione unitaria e strategica;
il predetto monitoraggio del programma delle infrastrutture strategiche è inserito in un più ampio sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici (e quindi non solo dei progetti rientranti nella legge obiettivo) istituito dall'articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144, con il compito di fornire tempestivamente informazioni sull'attuazione delle politiche di sviluppo, con particolare riferimento ai programmi cofinanziati con i fondi strutturali europei, sulla base dell'attività di monitoraggio svolta dai nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici;
il sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici - MIP è funzionale all'alimentazione di una banca dati tenuta nell'ambito dello stesso Cipe, anche con l'utilizzazione del sistema informativo integrato del Ministero dell'economia e delle finanze;
ai sensi dell'articolo 11 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, ai fini di una migliore funzionalità della rete di monitoraggio degli investimenti pubblici (e per il raggiungimento delle finalità indicate dal citato articolo 1 della legge n. 144 del 1999), ogni nuovo progetto di investimento pubblico (e, per quanto qui interessa, ogni progetto di legge obiettivo) deve essere dotato di un codice unico di progetto (CUP), che le competenti Amministrazioni o i soggetti aggiudicatori richiedono in via telematica secondo la procedura definita dal Cipe. Successive delibere Cipe hanno articolato la disciplina del CUP (in particolare, la n. 144 del 2000 e la n. 143 del 2002) e dettato le regole per lo sviluppo del CUP ed il funzionamento del MIP (delibera n. 25/2004);
il regolamento attuativo del codice appalti (decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207) prevede che il responsabile unico del procedimento (RUP) si assicuri che sia richiesto il CUP e che lo stesso sia riportato su tutti i documenti amministrativi e contabili concernenti il progetto nonché che l'elenco annuale del programma triennale riporti per ciascun lavoro l'indicazione del CUP;
l'articolo 28 della legge n. 289 del 2002, al fine di garantire la rispondenza dei conti pubblici alle condizioni del trattato istitutivo della Comunità europea, prevede che tutti gli incassi e i pagamenti, nonché i dati di competenza economica rilevati dalle amministrazioni pubbliche, siano codificati con criteri uniformi su tutto il territorio nazionale. Da tale disposizione trae origine il progetto SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici): mediante un archivio informatico gestito da Banca d'Italia, tramite i codici - tra i quali il CUP - presenti sul mandato informatico, è possibile disporre tempestivamente delle informazioni su incassi e pagamenti delle amministrazioni pubbliche, nonché dei dati sull'avanzamento della spesa per progetto;
viene redatto annualmente, su deliberazione dell'ufficio di Presidenza della

Commissione VIII della Camera dei deputati un rapporto sullo stato di avanzamento della legge obiettivo, che consente al Parlamento, ma anche a tutti i cittadini, dato che esso è pubblicato sul sito della Camera, di verificare quanto è avvenuto in termini di infrastrutturazione del Paese, fornendo dati puntuali e sottolineando una chiave di lettura generale delle tendenze in atto;
da ultimo, l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, attraverso l'Osservatorio dei contratti pubblici, provvede alla raccolta e alla elaborazione dei dati informativi concernenti i contratti pubblici e, in particolare, i bandi e gli avvisi di gara, le aggiudicazioni e gli affidamenti, le imprese partecipanti, l'impiego della mano d'opera e le relative norme di sicurezza, i costi e gli scostamenti rispetto a quelli preventivati, i tempi di esecuzione e le modalità di attuazione degli interventi, i ritardi e le disfunzioni; a tal fine l'Osservatorio ha costituito il sistema SIMOG, che consente alle stazioni appaltanti di richiedere il codice identificativo gara (CIG) necessario alle stazioni appaltanti per adempiere agli obblighi di comunicazione su gare e stati di avanzamento lavori, agli operatori economici per partecipare alle gare di appalti pubblici e, a seguito dell'approvazione della legge n. 136 del 2010 (piano straordinario contro le mafie), per garantire la tracciabilità dei flussi finanziari nelle procedure relative a lavori, servizi e forniture pubbliche;
in tale articolato quadro, l'articolo 32 del decreto-legge n. 98 del 2011 prevede lo stanziamento di oltre 16 milioni di euro per l'anno 2011 per il potenziamento e il funzionamento del sistema informativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
la creazione di banche dati e sistemi informativi nella pubblica amministrazione, in particolare se, come quelle in discorso, hanno lo scopo di migliorare l'attività di monitoraggio, anche a beneficio della tracciabilità e pubblicità dei flussi finanziari e delle procedure, oltre a semplificare e ridurre gli oneri amministrativi per le imprese nel settore dei contratti pubblici, è una scelta condivisibile, a condizione che tali iniziative non si concretizzino nella duplicazione di sistemi che, in tal caso, costituirebbe un ingiustificato spreco di risorse pubbliche, particolarmente inspiegabile in un contesto come quello attuale, caratterizzato da tagli ai limiti della sostenibilità per le finanze locali e, quindi, dalla necessità inderogabile di ridurre la spesa anche delle amministrazioni centrali -:
quali iniziative intenda intraprendere il Ministro per garantire che tale nuovo ulteriore impiego di denaro pubblico non si traduca nell'ennesima banca dati che insiste sullo stesso set di informazioni già disponibili presso numerose pubbliche amministrazioni;
quali iniziative intenda promuovere il Ministro per rendere le citate banche dati interoperabili come previsto dal codice dell'amministrazione digitale e per garantire che l'elaborazione dei dati in esse contenuti sia messa a disposizione in modo trasparente e imparziale dei cittadini che da tempo chiedono di conoscere come sono utilizzati i finanziamenti per le infrastrutture.
(5-05254)

Interrogazioni a risposta scritta:

CESARE MARINI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il Quotidiano della Calabria del giorno 24 luglio 2011 dà notizie della decisione dell'ANAS di rinviare i lavori di raddoppio della strada statale 106 nel tratto tra la Calabria e la Basilicata, in particolare tra Roseto Capo Spulico e Firmo, per mancanza di fondi;
nello stesso articolo viene annunciato un vertice tra il Ministro Tremonti e i Governatori del Sud, probabilmente per fare il punto della situazione;

il completamento del tratto in questione della strada statale 106 consentirebbe un notevole miglioramento nei collegamenti tra la Puglia, la Basilicata e la Calabria e consentirebbe l'allacciamento ad una bretella che conduce alla A3 (Reggio Calabria-Salerno);
il tracciato che sarebbe stato scelto dall'ANAS, per il tratto della strada statale 106 di cui sopra, prevede viadotti e gallerie per ingenti costi, quando basterebbe raddoppiare l'attuale 106 con costi di gran lunga inferiori e maggiore rispetto dell'ambiente e del paesaggio, peraltro protetti da vincoli che rallenterebbero l'esecuzione -:
se non ritenga necessario assumere ogni iniziativa di competenza affinché, con una rapida revisione del tracciato, siano realizzati i lavori di cui sopra, completando, in tal modo, un'arteria di importanza fondamentale per il Sud.
(4-12950)

FALLICA, GRIMALDI, STAGNO D'ALCONTRES e TERRANOVA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il tratto di Resuttano all'interno dell'autostrada A19 Palermo-Catania, in particolare dal chilometro 84/2 al chilometro 88/8, chiuso dal 2003 per interventi di ristrutturazione risulta tuttora in condizioni precarie ed insufficienti a garantirne la riapertura;
i numerosi restringimenti esistenti, il manto stradale che versa in condizioni pericolose, interi tratti all'altezza dello svincolo di Resuttano, malridotti a causa di cedimenti dei giunti, mai riparati, evidenziano, a giudizio degli interroganti, una situazione non più tollerabile lungo l'arteria che collega le due principali città siciliane, i cui cantieri mai terminati e le esistenti deviazioni oramai da molti anni, rendono la percorrenza una difficile corsa a ostacoli;
il suesposto tratto che interessa gli snodi viari del territorio siciliano, rappresentando tra l'altro per l'autostrada A19 Palermo-Catania, un punto strategico della sua estensione, risulta tra l'altro di notevole importanza, in considerazione del transito giornaliero automobilistico e veicolare rilevante, utilizzato da molti pendolari, studenti e lavoratori nonché dai trasportatori del settore artigianale, industriale e commerciale della zona -:
quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, al fine di verificare l'effettivo livello delle condizioni in cui si trova il tratto autostradale esposto in premessa, i cui lavori di ristrutturazione a distanza di quasi otto anni non sono ancora ultimati;
se non ritenga conseguentemente urgente ed opportuno intervenire al fine di velocizzare il completamento della messa in sicurezza del tratto autostradale di Resuttano, la cui chiusura determina evidenti danni anche economici per l'area siciliana interessata.
(4-12963)

CATANOSO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la Ferrovia Circumetnea, azienda statale controllata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha bandito la prima gara di affidamento del servizio di pulizia dei mezzi (rotabili ed autobus) con scadenza del capitolato fissata al 29 aprile 2010, con criterio, di aggiudicazione all'offerta economicamente più vantaggiosa (articolo 83 decreto legislativo 163 del 2006 e successive modificazioni);
la scadenza è stata prorogati al 18 giugno 2010 per modifiche al bando dovute all'ampliamento dei requisiti tecnici inizialmente richiesti, ritenuti eccessivamente restrittivi, con limitazione della massima concorrenza tra le aziende che, in gran numero, non avrebbero potuto partecipare;
l'aggiudicazione provvisoria al consorzio stabile IAS è stata detereminata il 3 ottobre 2010 con applicazione, ai progetti presentati, di criteri non pre-definiti

ed oggettivi. Infatti, ai progetti è stato attribuito il giudizio «ottimo» a tutti i partecipanti, livellando e penalizzando quindi le scelte imprenditoriali che meglio conoscevano la realtà lavorativa;
similmente ai macchinari ed ai prodotti venivano attribuiti punteggi minimi e massimi senza definire se l'assegnazione aveva seguito criteri quantitativi (numero superiore di macchine per numero o tipologie o qualitativi ed eventualmente su che base la qualità fosse valutata: innovazione, risparmio energetico, basso impatto ambientale, rese e rendimenti, ecolabel, eccetera);
una delle ditte partecipanti, la Punto pulizia srl, dopo aver preso atto dei documenti di gara ed averli visionati presso la sede della FCE senza averne copia, reclama verbalmente per la palese ingiustizia subita;
la FCE, impassibile alle segnalazioni verbali, aggiudica in via definitiva l'appalto con delibera del 14 gennaio 2011 al consorzio IAS;
la Punto pulizia decide di presentare contestazione scritta ai sensi dell'articolo 243-bis del Codice degli appalti il 18 febbraio 2011 con la quale sostiene l'illegittimità dell'assegnazione dell'appalto sia per il mancato possesso dei requisiti da parte del Consorzio, sia per la discrezionalità del giudizio espresso dalla Commissione in sede di gara;
il Responsabile unico del procedimento della FCE risponde con lettera datata 22 febbraio 2011, rigettando le contestazioni ed asserendo il principio della libera discrezionalità della Commissione aggiudicatrice;
la Punto pulizia, quindi, ricorre al Tar e, una volta che si vede respinta l'istanza cautelare, ricorre al Consiglio di giustizia amministrativa lo scorso 18 maggio 2011. Il ricorso viene pienamente accolto;
nonostante la decisione del giudice amministrativo di secondo grado dia ragione alla Punto pulizia srl, la FCE comunica alla stessa che a far data dal 1o giugno 2010 sarebbero stati sospesi tutti gli ordinativi affidati alla Punto pulizia per la pulizia dei rotabili ed autobus e, a dispetto di quanto deciso dal CGA affida gli ordinativi mensili, secondo le modalità ed il prezzo di gara, al consorzio IAS, come stabilito in apposita riunione tra FCE e IAS svoltasi il 16 maggio 2010;
la Punto pulizia ricorre nuovamente al CGA per «l'esecuzione dell'ordinanza del 19 maggio 2011;
su richiesta dei legali e dei sindacati degli operatori addetti al servizio, cui è stato proposto un contratto a tempo determinato di un mese, da controfirmare da un giorno all'altro senza conoscerne i contenuti e senza rilascio di una copia ai lavoratori una volta sottoscritti gli stessi e, comunque, per un tempo d'impiego decurtato del 50 per cento delle ore di servizio prestato, è stata convocata una riunione dalla prefettura di Catania il 15 luglio 2011;
la cattiva gestione dei procedimenti di gara nel suo complesso, sfocata con l'improvviso affidamento diretto, ha comportato una serie di serie di gravi problematiche che vanno dalla lesione dei diritti dei lavoratori in forza alla pessima gestione del denaro pubblico, d'interesse di ogni cittadino;
tale comportamento assunto dalla FCE che ha (sia in sede di gara che in sede di affidamento diretto) assegnato al Consorzio IAS l'offerta proposta in gara, è quindi ad avviso degli interroganti lesivo sia dei diritti dei lavoratori, per il mancato mantenimento dei livelli occupazionali, che del pubblico interesse che vede pagare al doppio un servizio con metà delle prestazioni prima erogate;
la FCE, a parte non sta dando esecuzione ad una sentenza di un tribunale, sta danneggiando sia gli operatori economici del settore che si sono vista negare la possibilità di una partecipazione regolare alla gara di affidamento del servizio di

pulizia sia i lavoratori del settore che ha ingiustamente precarizzato e ridotto di numero;
la FCE sta malamente usando denaro pubblico in quanto compra un servizio con metà delle prestazioni ad un costo doppio ed anche più rispetto alla precedente erogazione -:
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-12982)

CATANOSO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la Ferrovia Circumetnea, azienda statale controllata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, fino al 2005 è stata interessata da una intesa attività finalizzata al proprio rilancio in materia di trasporto pubblico locale. In particolare, nel dicembre 2005, è stato presentato un ambizioso piano industriale finalizzato a far diventare la Ferrovia Circumetnea, non solo il principale gestore del trasporto pubblico nell'intero comprensorio ionico-etneo, ma anche un polo di eccellenza tecnologico capace di dare sviluppo economico ed occupazionale al nostro territorio anche al fine di realizzare l'ambizioso progetto della metropolitana catanese;
prima della gestione degli ultimi due commissari (l'ultimo dei quali è l'avvocato Tafuri) erano già stati avviati tre cantieri di metropolitana nell'ambito urbano di Catania (Giovanni XXIII-Stesicoro, Galatea-Giovanni XXIII, Borgo-Nesima), era stato approvato dal CIPE il progetto della tratta che collega il centro urbano con l'aeroporto (Stesicoro-Aeroporto) ottenendo un finanziamento di 90 milioni di euro per il primo lotto funzionale (Stesicoro-Vittorio Emanuele). In ambito extra-urbano era stata definita la problematica connessa al completamento dei lavori di ammodernamento della tratta Adrano-Patemò e quella della tratta Randazzo-Rovittello. Nei fatti, grazie all'intenso lavoro svolto dalle gestioni precedenti si era riusciti non solo a risolvere le complesse problematiche sui lavori esistenti da anni (perizia di variante della tratta Calate a-Giovanni XXIII, ripresa dei lavori di scavo della galleria di Biancavilla nella tratta Patemò-Adrano, ripresa dei lavori della tratta Randazzo-Rovittello e altro), e ad avviare lavori del programma di sviluppo finanziati nel 1995 (tratte Borgo-Nesima e Giovanni XXIII-Stesicoro) ma anche a far approvare e finanziare dal CIPE nel marzo del 2006 una tratta significativa del programma di sviluppo aziendale ossia la tratta Stesicoro-Aeroporto. Anche sull'infrastruttura ferroviaria esistente sono stati avviati importanti lavori di rinnovo, quali la realizzazione di più di trenta nuovi PP.LL, il rinnovo di significative tratte di binario della linea di superficie (Borgo-Cas. 19, RovittelloLinguaglossa, e altri) ed altri interventi minori sull'infrastruttura (deposito Riposto, deposito Randazzo, e altri);
con la nomina degli ultimi due commissari governativi, il primo nominato dal Ministro Bianchi, in carica dal novembre 2006 fino a settembre 2008 e l'attuale commissario nominato dal Ministro in carica, si è registrata invece, a quanto risulta all'interrogante una politica aziendale caratterizzata da un totale immobilismo; negli ultimi cinque anni non è stata avviata nessuna nuova iniziativa, anche di minima rilevanza, per il programma di sviluppo aziendale; i progetti messi in campo (progettati e finanziati per un ammontare complessivo di circa 400 milioni di euro) erano numerosi ed essenziali allo sviluppo del territorio; oggi la struttura è paralizzata, non si è pubblicato un solo bando per l'affidamento di nuovi lavori;
con riferimento all'attuale gestione della ferrovia Circumetnea occorre tenere presente ad esempio la situazione della tratta di metropolitana attualmente in fase di realizzazione nel centro di Catania, ossia la tratta Galatea-Giovanni XXIII;
per poter completare questa tratta occorre superare la problematica relativa

all'interferenza con un fabbricato che non consente di realizzare gli ultimi 50 metri di galleria. Dopo tre anni di gestione commissariale dell'avvocato Tafuri, malgrado tutti i comunicati stampa fatti sull'argomento, non solo non sono iniziati i lavori, ma non si è nemmeno pubblicato il bando di gara. Inoltre per la messa in esercizio della tratta devono ancora essere appaltate le opere di completamento (binario ed impianti), delle quali ancora non è stato fatto nemmeno il progetto. Il mancato completamento di questa tratta non consentirà di mettere in esercizio la tratta successiva, che collegherebbe il centro di Catania (piazza Stesicoro) con la restante rete ferroviaria, i cui lavori saranno ultimati entro febbraio 2012. In buona sostanza l'unica opera che ha visto continuare i lavori durante la gestione Tafuri, non potrà essere utilizzata a causa, secondo l'interrogante, dell'inerzia della gestione commissariale;
anche per i lavori di rinnovo delle infrastrutture esistenti (con particolare riferimento alla tratta di superficie a scartamento ridotto caratterizzata da un significativo stato di degrado funzionale) si rileva una totale assenza di nuovi interventi. Malgrado la Ferrovia Circumetnea disponga di fondi per oltre 10 milioni di euro, non è stato prodotto nessun nuovo progetto per l'ammodernamento degli impianti di sicurezza e segnalamento (passaggi a livello ed impianti ACEI), nonché per il rinnovo del binario esistente. Pertanto anche per il programma di rinnovo delle infrastrutture esistenti l'operato dell'avvocato Tafuri è stato caratterizzato da una totale stasi. Il perdurare dell'attuale situazione potrebbe determinare delle significative ripercussioni sulla sicurezza e sulla regolarità dell'esercizio ferroviario della linea di superficie a scartamento ridotto, mettendo così a rischio anche la pubblica incolumità (recentemente sono avvenuti più di un deragliamento di treno, che non hanno avuto particolare eco sulla stampa locale);
l'attuale commissario ha spesso dato nella stampa locale grande evidenza alle attività aziendali senza però che queste possano essere ricondotte alla sua gestione anche grazie al lavoro della propria portavoce, Michela Petrina, assunta come co.co.co. nonostante la pianta organica non ne prevedesse la presenza;
sono stati banditi a mezzo pubblicazione internet circa una ventina di selezioni pubbliche a base curriculare che hanno interessato tutti i settori dell'azienda (direzione, manutenzione, autoservizio, officine) per provvedere al fabbisogno urgente di personale ed in attesa dello svolgimento di concorsi pubblici (sottoscritto dal Commissario in un verbale con le organizzazioni sindacali) senza che il bando sia stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale;
le commissioni esaminatrici (dalla segretaria d'azienda al fabbro, dal motorista all'avvocato, dall'ingegnere al carrozziere, dall'autista al geologo, dall'autista al geologo, dal manutentore del binario al commercialista e altre) sono state costituite senza il rispetto dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001 che obbliga le amministrazioni a costituire le commissioni con esperti di provata competenza nelle materie di concorso e con funzionari e docenti che non ricoprano cariche politiche o sindacali in quanto le commissioni consta che fossero presiedute e composte dai medesimi soggetti, nonostante la evidente eterogeneità delle qualifiche oggetto di selezione;
sono risultati vincitori sindaci e amministratori locali del Movimento per l'autonomia o loro parenti e amici, vere e proprie «assunzioni clientelari» come ha denunciato nella trasmissione televisiva Report l'ex commissario governativo Mario Spampinato: tra questi Edvige Cuffari, figlia della segretaria storica di Lombardo, Chiara Bonanno, già segretaria di Lombardo a Bruxelles, Vincenzo Santonocito (sindaco di San Pietro Clarenza), figli e parenti di dirigenti sindacali;
il commissario Tafuri si è impegnato a stabilizzare i lavoratori vincitori delle selezioni a tempo determinato. Al riguardo

Tafuri ha sottoscritto nel mese di gennaio 2010 un protocollo d'intesa per la stabilizzazione;
da notare, cosa che sarebbe gravissima, che i lavoratori a termine (e non) hanno subito pressioni per indebolire di volta in volta il sindacato aziendale indicato da Tafuri (come risulta da note della Cgil del mese di giugno e luglio 2010);
consta che i contratti di lavoro dei vincitori delle selezioni pubbliche sarebbero stati rinnovati per un periodo superiore rispetto al termine massimo fissato dal bando di concorso e che le retribuzioni delle collaboratrici sono state aumentate oltre il limite fissato dal bando di concorso e senza motivazioni reali;
con delibera del commissario n. 488 del 6 maggio 2011 e con l'ordine di servizio attuativo, che ha introdotto la nuova pianta organica, sono stati moltiplicati, ad avviso dell'interrogante senza ragione, i posti apicali dell'organigramma. Per fare un esempio i posti di capo unità (figura di vertice nell'organigramma aziendale) a seguito delle decisioni del commissario Tafuri da 3 sono diventati 11 mentre sono stati estromessi dalla nuova pianta organica le figure base (operai e operatori generici) e decine di dipendenti dell'amministrazione, che al momento non hanno una collocazione nell'organico aziendale;
è stato inoltre predisposto un regolamento per gli sviluppi del personale limitato al solo personale dipendente. Sono stati riservati al personale interno gli sviluppi verticali (posti di funzionario amministrativo e di posizioni apicali delle strutture tecniche), con esclusione di concorsi pubblici;
in attesa di svolgere i suddetti concorsi interni, i posti disponibili di funzionari amministrativi previsti dal nuovo organico e di capi dei settori tecnici sono stati assegnati a dirigenti sindacali a mezzo di funzionamenti al grado superiore (Lorena, Vasta e altri). Sono stati anche assegnati funzionamenti al grado superiore senza previsione di scadenza (come nel caso di Giuseppe Pappalardo, sindacalista che parrebbe vicino all'Mpa);
la graduatoria di autista è stata fatta scorrere, ad avviso dell'interrogante, oltre il necessario. L'organico aziendale prevede 80 autisti ma ne sono in servizio allo stato un centinaio, con il pretesto di avere creato squadre di verifica. Malgrado l'incremento di organico (20 unità) il servizio è rimasto inalterato nella quantità e nella qualità;
l'autista del commissario Tafuri è stato gratificato di una indennità di diaria giornaliera in relazione a un'attività che, ad avviso dell'interrogante, è sostanzialmente estranea a quella per la quale l'indennità era stata prevista (si fa riferimento infatti nell'ordine di servizio che attribuisce il beneficio economico alla disposizione relativa alla diaria convenzionale attribuita al personale che cura la manutenzione degli impianti tecnologici lungo la linea);
il direttore di esercizio è stato nominato senza concorso e senza sottoscrizione di regolare contratto e non è certo, essendo stato richiesto dall'Avvocatura dello Stato un approfondimento istruttorio sul punto, che possieda i requisiti che la legge imponeva all'atto dell'assunzione;
il nuovo direttore generale, l'ingegner Orlando, nominato a seguito dell'estromissione con modalità che lasciano assai perplessi dal precedente direttore generale Garozzo, è stato nominato senza la necessaria e preventiva verifica nei ruoli dell'Amministrazione di personale avente la competenza, come richiesto dall'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo 165 del 2001;
maggiori e più gravi responsabilità ricadono sull'attuale commissario che ha ad avviso dell'interrogante oggettivamente tradito la fiducia riposta dal Ministro Matteoli all'atto della propria nomina. Il Ministro ha per due volte attivato la procedura di revoca del commissario Tafori, evidentemente anche in relazione a quanto su esposto, ma in entrambi i casi il Tar

Sicilia, sezione di Catania, ha sospeso in via cautelare con giudizio monocratico l'efficacia del decreto ministeriale di revoca;
va sottolineato che recentemente con la soppressione della carica di commissario governativo commissariale presso la Ferrovia Circumetnea è stata riportata in capo alla direzione generale del trasporto pubblico locale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le competenze sulla Ferrovia Circumetnea -:
quali iniziative intende adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-12999)

TESTO AGGIORNATO AL 6 SETTEMBRE 2011

...

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:

BURTONE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il comando dei Vigili del fuoco di Catania è in grave carenza di organico;
i tagli di bilancio stanno determinando gravi ripercussioni nella organizzazione del lavoro dei vigili del fuoco operativi nella città e in provincia;
siamo in presenza di turni massacranti e di impossibilità di garantire riposi e ferie al personale;
si è passati al dimezzamento delle unità operative a bordo mezzi;
le emergenze sono tante, dalla presenza degli immigrati a Mineo alla nuova eruzione dell'Etna -:
se e quali iniziative il Governo intenda attivare per il rafforzamento delle unità in servizio su ciascun turno dei vigili del fuoco del comando di Catania.
(3-01790)

LIBÈ. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
dall'inizio della stagione estiva sono segnalati con frequenza ripetuta episodi di razzia di pesci e furti di numerosi motori di imbarcazioni lungo le sponde del fiume Po, che rappresentano un incredibile e increscioso aumento delle attività criminali nelle aree interessate;
l'ultimo avvenimento criminoso è stato denunciato nel comune di Rovere, nel mantovano, ma il fenomeno si riscontra essere presente ormai diffusamente in tutto il territorio in cui scorre il letto del fiume, interessando varie province rivierasche e in particolare quelle di Piacenza, Parma, Cremona, Reggio Emilia, Mantova, per spingersi addirittura fino alla zona del delta;
dalle prime attività investigative messe in atto per accertare le cause del diffondersi dei fenomeni denunciati, sembrerebbe che alcune bande di criminali provenienti dall'Est-Europa abbiano messo gli occhi sulle risorse presenti lungo il letto del fiume mettendo in atto attività illecite, favorite anche dalla scarsa presenza di mezzi e di risorse dedicati al mantenimento della sicurezza;
ultimamente, infatti, sono state operate delle scelte di carattere organizzativo riguardanti le strutture adibite al controllo e alla tutela del fiume che hanno portato ad un sostanzioso ridimensionamento delle risorse e dei mezzi in dotazione alle forze di Polizia responsabili del controllo dell'ordine pubblico del bacino idrico, compresa l'abolizione dell'intero corpo di Polizia navale;
il Po costituisce un grande patrimonio ambientale, culturale e sociale del Paese e necessità di essere rigorosamente protetto onde evitare che eventi criminali come quelli ultimamente verificatisi possano lederne l'immagine compromettendone, inoltre, anche la grande valenza turistica e naturalistica che da sempre ha

rappresentato sviluppo ed economia per i territori lungo cui scorrono le sue acque -:
se sia a conoscenza della vicenda sovraesposta e quali urgenti iniziative intenda adottare per assicurare un efficiente controllo dell'ordine pubblico lungo le sponde del fiume Po;
quali siano i motivi che hanno indotto a smantellare la flotta navale di polizia deputata al controllo e alla repressione dei fenomeni criminali nei territori interessati dalle acque del fiume.
(3-01792)

PICCOLO, BOSSA, CUOMO, CIRIELLO, FADDA, NICOLAIS, SARUBBI e GARAVINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 2 dicembre 2010, l'interrogante ha presentato una interrogazione n. 4-09869 al Ministro dell'interno sulle vicende del comune di Cercola (in provincia di Napoli), ad oggi priva di riscontro da parte dal Ministro;
con tale interrogazione si indicavano e documentavano alcuni fatti e taluni provvedimenti che apparivano sicuramente lesivi della legittimità e della doverosa trasparenza dei procedimenti amministrativi e delle attività istituzionali;
nel medesimo atto di sindacato ispettivo si evidenziavano, tra l'altro, alcuni episodi inquietanti che avevano toccato l'amministrazione comunale di Cercola che, qui, è opportuno ricordare: l'arresto, nel corso di un blitz contro un clan camorristico, di un ex assessore; il provvedimento di restrizione della libertà (divieto di dimora a Napoli e provincia), per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta, per un componente del collegio dei revisori dei conti; l'arresto, nel corso di un'operazione antidroga, di un consigliere di maggioranza;
intanto, dal comune di Cercola pervengono altre notizie allarmanti, meritevoli di un rigoroso approfondimento e di una puntuale ed urgente verifica, in merito alla situazione amministrativa ed alla possibilità di eventuali tentativi di condizionamento da parte della criminalità organizzata;
tra queste, risulta particolarmente significativa quella concernente l'anomala e censurabile procedura adottata dall'amministrazione comunale (delibera di giunta municipale n. 138 del 30 dicembre 2009 e determinazioni dirigenziali del settore amministrativo n. 402 del 15 aprile 2010 e n. 558 del 24 maggio 2010) per due progressioni verticali di carriera, attuate in palese difformità con la normativa vigente, dal momento che le stesse sono state realizzate senza che sia stata avviata l'assunzione esterna di dipendenti di categoria D, nel rispetto della previsione di legge che sancisce l'obbligo della riserva al personale esterno del cinquanta per cento dei posti messi a concorso;
inoltre, va segnalato, con il doveroso rilievo, quanto riportato dal quotidiano Il Mattino, con un articolo a firma Mary Liguori, dal titolo: «Vigile in cella: riscuoteva per conto del clan» in cui si riferisce la gravissima notizia dell'arresto di un vigile urbano del comune di Cercola, accusato di riscuotere il pizzo per conto della camorra sui cantieri di opere pubbliche; lo stesso agente della polizia municipale è accusato di aver rubato, nel 2002, dal comando dei vigili urbani, cinque pistole per rivenderle al clan Fusco. Una di queste armi sarebbe stata utilizzata nel 2005 per uccidere un affiliato al clan rivale;
la procura della Repubblica di Nola ha avviato una inchiesta per appalti irregolari nei rifiuti che vede coinvolta la «Saba Ecologia», impresa colpita due volte da interdittiva antimafia della prefettura di Napoli che ha ravvisato condizionamenti della criminalità organizzata nella gestione della società;
tra i cinque comuni sui quali sta indagando la magistratura penale risulta anche quello di Cercola; allo stato, il pubblico ministero Maria Antonietta Troncone ha già firmato l'avviso di conclusione

delle indagini sugli affidamenti per il servizio della raccolta differenziata alla Saba Ecologia per amministratori e dirigenti del comune di Volla, contestando i reati di turbativa d'asta, abuso d'ufficio e peculato;
tutti i fatti sopra riportati, unitamente a quelli già segnalati nella succitata interrogazione del 2 dicembre 2010 (n. 4-09869), appaiono di straordinaria gravità e confermano l'idea che il contesto ambientale e territoriale sia fortemente inquinato dall'aggressiva presenza dei clan camorristici che, oltre a determinare forti condizionamenti nella vita sociale ed economica delle comunità locali, tentano di espandere la loro influenza nei circuiti politico-istituzionali, cercando di infiltrarsi anche nella pubblica amministrazione;
tale pericolosissima penetrazione può essere, direttamente o indirettamente, favorita da prassi, procedure e metodi amministrativi non perfettamente conformi alle norme che disciplinano il corretto funzionamento degli enti locali e, ancor più, dalla presenza nelle istituzioni di esponenti politici o di membri di importanti organismi comunali di controllo o anche di dipendenti comunali accusati di gravi reati e colpiti da provvedimenti cautelari della magistratura -:
se il Ministro, alla luce di quanto sopra riportato e ribadendo quanto già richiesto nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-09869 del 2 dicembre 2010, non ritenga opportuno disporre, nell'ambito delle proprie competenze e con le modalità previste dalle vigenti disposizioni di legge in materia, l'accesso presso il comune di Cercola per riscontrare il regolare funzionamento dei servizi comunali e l'assenza di forme di condizionamento, diretto o indiretto, da parte della criminalità organizzata che possano compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento dell'amministrazione comunale;
se non reputi, altresì, che sussistano i presupposti per lo scioglimento del comune di Cercola, ai sensi degli articoli 141 e 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
(3-01793)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

BELLANOVA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
dagli organi di stampa si apprende che sabato 30 luglio presso il campo della Masseria Boncuri, a Nardò in provincia di Lecce, i lavoratori immigrati impiegati nella raccolta delle angurie e dei pomodori nei campi salentini hanno dato luogo ad una protesta per denunciare le disumane condizioni di vita e lavorative alle quali sono da tempo sottoposti. In particolare questi lavoratori hanno incrociato le braccia e riunitosi in un'assemblea autogestita hanno chiesto di poter avere paghe adeguate al lavoro svolto, contratti regolari, assistenza sanitaria e condizioni di vita e di soggiorno dignitose;
dalle notizie riportate si viene a conoscenza che nella Masseria Boncuri attualmente sono presenti circa 350 immigrati. Dalle testimonianze e ricostruzioni fornite dagli organi di stampa, infatti, si apprende che sul piazzale antistante la stessa masseria sono collocate 23 tende che accolgono circa otto immigrati per ciascuna, all'interno delle quali molti lavoratori immigrati sono costretti a dormire sui cartoni poiché le brandine non bastano per tutti. A questa già disastrosa situazione si aggiunge quella di coloro che, non trovando ospitalità nelle tende per mancanza di posto, si sono attrezzati all'interno della struttura dando vita ad uno scenario, come riportato dal reportage fotografico di un quotidiano locale e reperibile sul sito www.20centesimi.it, degno di essere paragonato a quello delle «favelas brasiliane». Sono state costruite, infatti, delle baraccopoli con materiali di fortuna nelle quali stazionano per alloggiare la notte alcuni lavoratori di rientro dai campi. Le condizioni igienico-sanitarie sembrerebbero essere inesistenti. Si parla di una decina di docce che servono tutti gli

accampati, di acqua fredda con la quale lavarsi giorno e notte, di fornelli da campo posizionati in ogni angolo, tra la terra, per cucinare con l'oggettivo pericolo che si possano verificare anche degli incidenti seri;
a questo scenario, di per sé stesso già disastroso, si aggiunge un dato gravissimo che rinvia al deprecabile fenomeno del caporalato e dello sfruttamento della manodopera straniera. Durante le proteste i lavoratori hanno parlato di «padroni» denunciando di fatto una situazione pesantissima. Dalle testimonianze emerse si apprende che i cosiddetti caporali prelevano i lavoratori nelle prime ore del mattino dinanzi alla masseria e dopo numerose ore di durissimo lavoro li riportano nella struttura. La retribuzione di cui parlano queste persone è di 3,50 euro circa a cassone, che vuol dire raccogliere cento chili di pomodori, senza contare, inoltre, che gli stessi immigrati dicono di dover pagare ai caporali circa 5 euro a testa per essere portati sui campi;
da una missiva della Cgil indirizzata al prefetto di Lecce si apprende, inoltre, che alla fine di una delle tante assemblee tenutesi presso la masseria in questi giorni, un lavoratore, portavoce dei tanti lavoratori che protestano, ha denunciato di essere stato minacciato di morte;
nel campo della sopra citata masseria è anche morto, in questi giorni, un lavoratore nordafricano mentre dormiva per terra, su un cartone in una delle tante tende. I medici hanno acclarato che si tratta di morte naturale. Le testimonianze raccolte dalla stampa dei colleghi ed amici del campo raccontano di una persona che aveva lavorato, sotto il solleone estivo, dalle cinque del mattino fino alle sei del pomeriggio di sabato 30 luglio, una volta rientrato accalorato ha fatto una doccia, con acqua fredda. l'unica a disposizione e si è disteso per riposare per non alzarsi mai più;
l'interrogante vorrebbe ricordare ai Ministri interrogati che nel maggio 2010 è stato approvato all'unanimità dalla Commissione lavoro della Camera dei deputati, il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sui fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera). In questo documento particolare importanza ha assunto l'approccio a tale fenomeno, poiché si riconosce la rilevanza strategica assunta dalla manodopera straniera regolarizzata nell'attuale sistema economico e produttivo italiano. Si è inoltre convenuto ed evidenziato che allo scopo di contrastare il fenomeno dell'irregolare e del sommerso non si può prescindere dalla necessità di aumentare la protezione sociale di coloro che risultano soggetti a sfruttamento, anche, ad esempio attraverso il riconoscimento del permesso di soggiorno in caso di denuncia dei loro persecutori mediante l'applicazione dell'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione;
i fatti accaduti a Rosarno nel gennaio 2010 sono ancora impressi nella nostra memoria, allo stesso modo di quelli, gravissimi, del 5 luglio 2011 che hanno interessato la Puglia ed in particolare Castellaneta e Ginosa circa il fenomeno del caporalato e lo sfruttamento umano. Quanto riportato dagli organi di stampa fa emergere che il deplorevole fenomeno del caporalato è ancora, purtroppo, molto attivo sul territorio italiano e nel Mezzogiorno in particolare -:
se i Ministri, alla luce di quanto riportato, non ritengano urgente intervenire con urgenza per verificare la condizione nella quale versano i lavoratori immigrati presso la Masseria Boncuri, attivando di concerto con gli organi territoriali preposti un controllo sia in merito alle condizioni lavorative, sia in merito alle condizioni di vita ed igienico-sanitarie, affinché, il Salento che vanta una lunga storia di accoglienza ed integrazione delle persone immigrate in difficoltà, non si trasformi in uno scenario fatto di sfruttamento umano e di diritti umani e lavorativi calpestati.
(5-05243)

ZAMPA, CARDINALE, MATTESINI, SBROLLINI, SCHIRRU, DE TORRE, GARAVINI, LO MORO, NARDUCCI, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, RECCHIA, LIVIA TURCO, VELO, VIOLA, ZACCARIA e ZUCCHI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la situazione che riguarda i minori migranti che arrivano presso i porti italiani, in particolare in quelli di Venezia, Brindisi, Bari e Ancona, è gravissima;
si tratta di bambini e ragazzini che hanno subito innumerevoli sofferenze, per la maggior parte afgani, iracheni e curdi, che arrivano sulle nostre coste prevalentemente dalla Grecia: scappano dalla fame e dalle persecuzioni, non sono solo il frutto di una mera emigrazione economica;
avrebbero dunque tutti i requisiti per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato, oltre che il diritto di accedere alle procedure per i richiedenti asilo e a tutta la protezione loro dovuta in quanto minori presso le autorità italiane;
la Grecia ormai non è più un Paese sicuro per i profughi e per i rifugiati, così come la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha più volte statuito in occasione anche di respingimenti per cui ha condannato l'Italia;
la normativa nazionale e internazionale non consente nessun tipo di respingimento o di riammissione dei minori in Grecia e dunque ogni accordo di riammissione o prassi portuale in questo senso deve considerarsi illegittimo;
purtroppo, invece, dobbiamo constare come questa sia invece, oramai, una prassi costante;
le forze dell'ordine ben conoscono la situazione, come viene confermato anche da autorevoli fonti di operatori del diritto e di forze dell'ordine che operano in loco e da recenti denunce, anche provenienti dall'UNHCR, che nel 2009 ha richiamato l'Italia ad una maggiore sorveglianza, nonché da parte di tutte le agenzie private che si occupano di migranti;
le forze dell'ordine portuali non sono fornite di adeguati strumenti, efficaci per il sostegno all'accoglienza di questi ragazzini, che dovrebbero essere immediatamente presi in carico dai servizi sociali e dagli operatori di giustizia con un intervento rapido, piuttosto che essere assistiti per molte ore o per giorni dagli stessi operatori portuali che hanno, naturalmente, altre funzioni;
ai capitani delle navi greche appare più rapido dichiarare di non avere clandestini a bordo, evitando così redazioni di verbali, ritardi nelle partenze e nel disbrigo di tutte le pratiche: capita dunque, spesso, che (da entrambe le parti) le forze dell'ordine e portuali «facciano finta di non vedere» la presenza dei minori sulle navi, anche perché l'unico ambito di accoglienza nei porti è rappresentato dalle celle, e gli ispettori di polizia portuale non sempre si prendono la responsabilità di tenere in cella un minore finché non intervengono i servizi sociali, che tra l'altro non sempre intervengono, soprattutto nei porti del sud;
i minori, dunque, rimangono sulle navi, perché di fatto non viene consentito loro di scendere: per legge dovrebbero essere affidati ai servizi sociali, alle autorità o ai centri, e questo significa 12, 24 o 36 ore di attesa, in cui questi bambini devono essere tenuti nelle guardiole o in posti simili;
questo, però, significa alla prova dei fatti che questi minori non vengono assistiti, non vengono curati, non vengono alimentati: nessuno dà loro da mangiare e da bere, nessuno provvede alla loro pulizia, e rimangono, a volte molto a lungo, abbandonati nelle stive delle navi -:
se il Ministro sia a conoscenza di tale gravissima situazione e se non ritenga di dovere intervenire sollecitamente al fine di prevedere soluzioni adeguate al problema dei minori migranti, che passino, anche,

per un'adeguata formazione delle forze dell'ordine e per la loro dotazione dei necessari strumenti e di risorse economiche, per non lasciare interventi di tale delicatezza solo alla buona volontà dei singoli e affinché venga raggiunta una vera consapevolezza di quelle che sono buone prassi conformi al diritto nazionale e internazionale.
(5-05246)

MARCO CARRA e LARATTA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - IV serie speciale concorsi ed esami - n. 72 dell'11 settembre 2007, ha avviato una procedura selettiva, per titoli ed accertamento dell'idoneità motoria, per la copertura di posti, nei limiti stabiliti dall'articolo 1, comma 519, della legge n. 298 del 2008, nella qualifica di vigile del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
con il decreto ministeriale n. 1101 del 6 marzo 2008, in fase istruttoria, i signori Benvenuto Attilio, Beraldi Mario, Magno Giuseppe e Smurra Salvatore Luigi e i signori Bracigliano Gennaro, Carpentieri Luca, De Nigris Vincenzo, De Rosa Luca, Gioia Antonio, Lo Polito Antonio, Piccirillo Dante, Pierri Luca, Santomauro Enrico e Senatore Enrico sono stati esclusi dalla procedura selettiva in questione per mancanza del requisito dell'effettuazione dei richiesti 120 giorni di servizio in qualità di volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nel quinquennio 2 gennaio 2002-1o gennaio 2007;
con le ordinanze n. 1341/2009 del 18 marzo 2008, n. 2856/09 del 5 giugno 2009 e n. 6130/2009 del 14 dicembre 2009, il Consiglio di Stato ha accolto le istanze cautelari proposte dai sopracitati avverso il decreto di esclusione, ammettendo i ricorrenti alla procedura selettiva;
con i decreti ministeriali n. 170 del 6 agosto 2009 e n. 21 del 28 febbraio 2010, sono stati riammessi alla procedura selettiva i signori sopra citati;
il 15 marzo 2010, con nota del Ministero dell'interno, si è dato avvio alla procedura selettiva, per titoli ed accertamento dell'idoneità motoria tenutasi il 12 aprile 2010, per la stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
il 20 aprile 2010, con nota del Ministero dell'interno, si è dato avvio alla procedura selettiva, per titoli ed accertamento dell'idoneità psicofisica ed attitudinale, tenutasi il 5 maggio 2010, per la stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
l'11 maggio 2010, con nota del Ministero dell'interno, si comunicava ai signori sopra citati l'assunzione nel profilo di vigile del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco con l'obbligo di frequenza del corso di formazione professionale della durata complessiva di 6 mesi, iniziato il 7 giugno 2010 e terminato alla conclusione del medesimo anno;
il 13 maggio 2010 i signori sopra citati hanno presentato la dichiarazione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 217 del 2005 nella quale hanno sottoscritto l'impegno, tra gli altri, a non avere alla data di assunzione in servizio altro rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato con altra amministrazione pubblica o datore di lavoro privato. Ognuna di queste persone ha corrisposto gli impegni sottoscritti, interrompendo i rapporti di lavoro in essere;
nel frattempo i 14 vigili del fuoco hanno preso servizio presso il comando di Mantova ed altri comandi del nord-Italia;
il Ministero dell'interno, con nota dell'11 luglio 2011 ha dato esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 9 del 24 aprile 2011 di annullamento del provvedimento di riammissione nella graduatoria nella procedura selettiva per la copertura di posti nella qualifica di vigile del fuoco nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco interrompendo in questo modo il rapporto di lavoro con i signori sopra citati;

i 14 vigili del fuoco, insieme alle loro famiglie, stanno vivendo una situazione drammatica in ragione del «licenziamento» subito dal Ministero dell'interno dopo che gli stessi si sono licenziati dal precedente posto di lavoro -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto è accaduto e quali iniziative intenda assumere per la riassunzione dei 14 vigili del fuoco sopra menzionati, considerata l'interruzione del precedente rapporto di lavoro quale condizione necessaria per entrare nel Corpo medesimo.
(5-05262)

PES, TOUADI, CALVISI, FADDA, MARROCU, MELIS, VILLECCO CALIPARI e SCHIRRU. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la correttezza e l'imparzialità degli operatori delle forze dell'ordine costituisce un patrimonio ineludibile di un Paese democratico e per questo deve essere salvaguardato a tutti i costi l'onore e il prestigio della polizia Stato;
in data 29 luglio 2011 al CIE di Elmas (Cagliari) due algerini hanno tentato di togliersi la vita lanciandosi nella tromba delle scale del centro di accoglienza;
uno di loro si trova ora nel reparto di rianimazione dell'ospedale Brotzu, in stato di coma e con fratture in tutte le parti del corpo;
l'altro giovane, salvato da uno degli operatori del centro che gli ha impedito il salto nel vuoto, è stato portato nel reparto di psichiatria del nosocomio «Santissima Trinità»;
da quanto si legge da un articolo di stampa («Sardegna 24» del 2 agosto 2011), gli agenti della questura di Cagliari che hanno preso in consegna il giovane rimasto incolume, così come ha riferito al personale del 118 giunto per i soccorsi, hanno fatto denudare il ragazzo, rimasto solo con gli indumenti intimi;
la motivazione con cui gli agenti hanno spiegato la scelta di tenere il ragazzo senza indumenti è stata quella che, solo così facendo, gli si poteva impedire di fuggire e di usare i lacci delle scarpe o la cinta per togliersi la vita;
l'algerino, in stato di choc e di evidente impotenza, non ha opposto resistenza;
gli abiti, di prassi, vengono fatti togliere solo a chi ha traumi fisici e solo perché i medici devono poter intervenire sulle parti del corpo ferite, così come si è proceduto con l'algerino ora in rianimazione;
nel caso in cui tali casi fossero confermati, si tratterebbe di un episodio grave e lesivo della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali -:
di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali direttive operative siano state impartite ai prefetti e agli uffici preposti alla custodia degli stranieri, in relazione a casi di tentata fuga.
(5-05264)

Interrogazioni a risposta scritta:

SAMPERI, BURTONE e BERRETTA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel comprensorio del calatino che ricomprende circa la metà del territorio della provincia di Catania, la presenza dei vigili del fuoco è assicurata da un'unica squadra che opera nel distaccamento di Caltagirone;
il Ministero dell'interno, con il progetto «Italia in 20 minuti», ha previsto ormai da molti anni l'istituzione di un distaccamento dei vigili del fuoco a Palagonia, progetto a tutt'oggi irrealizzato;
negli ultimi mesi, il problema si è ulteriormente aggravato, perché nel cuore di questo comprensorio - presso il Villaggio

degli Aranci nel comune di Mineo - è stato istituito un centro che ospita migliaia di immigrati;
per far fronte alla nuova emergenza sono state potenziate immediatamente le forze di polizia per la gestione dell'ordine pubblico, mentre solo recentemente, a seguito del ripetuti episodi di incendi dolosi, che hanno richiesto l'intervento dell'unica squadra di soccorso dei vigili del fuoco, è stata autorizzata l'apertura di un presidio fisso presso il centro di accoglienza;
il servizio è stato predisposto tramite lavoro straordinario nelle ore diurne, mentre nelle ore notturne è stato destinato personale del distaccamento dei vigili del fuoco di Caltagirone con conseguenze negative per l'inevitabile depotenziamento del dispositivo di soccorso tecnico urgente su tutto il territorio del calatino -:
quali iniziative intenda adottare per fronteggiare la grave emergenza e se ritenga necessario stanziare delle somme per consentire al commissario delegato all'emergenza di provvedere senza penalizzare il territorio in un momento di gravoso impegno per il distaccamento di Caltagirone;
se non ritenga ormai improcrastinabile l'istituzione di un distaccamento dei vigili del fuoco a Palagonia.
(4-12953)

ZINZI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in sede di conversione del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010, avvenuta con legge n. 122 del 2010, è stata soppressa l'Agenzia autonoma per la gestione dell'Albo dei segretari comunali e provinciali, e prevista la successione alla stessa, a titolo universale, del Ministero dell'interno;
sono, pertanto, decaduti gli organi di gestione (consiglio di amministrazione nazionale, consigli di amministrazione delle sezioni regionali, presidente, vice presidente) e cessati dagli incarichi il direttore generale ed il vice direttore generale;
il Ministro dell'interno, nell'ottica di dare continuità ai servizi, con propri decreti ha istituito un'unità di missione presieduta dal prefetto Umberto Cimmino, al quale è stato anche affidato l'incarico di svolgere le attività dei soppressi organi, fino al perfezionamento del processo di riorganizzazione previsto dalla citata legge;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 25 marzo 2011, con il quale, al fine di evitare dannose soluzioni di continuità nella gestione amministrativa dei segretari comunali e provinciali nella fase transitoria gestita dall'unità di missione e, comunque, fino all'emanazione del decreto interministeriale che dovrà stabilire le date di effettivo esercizio da parte del Ministero dell'interno delle funzioni trasferite, è stato prorogato al 31 dicembre 2011 il termine di cui all'articolo 7, comma 31-sexies, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, originariamente indicato al 1o gennaio 2011 e, con decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, prorogato al 31 marzo 2011;
a tutto luglio 2011 tuttavia non risultano ancora approvati né il rendiconto della gestione per l'anno 2010, né, cosa ancor più grave, il bilancio di previsione per l'anno 2011, con la conseguenza che, a tutt'oggi, l'ex Ages si trova in esercizio provvisorio di bilancio;
allo stato attuale, le attività dell'ex Ages sono completamente paralizzate, provocando ciò, di fatto, la sospensione di tutte le attività formative della Sspal, che dovrebbero essere espletate sia a livello nazionale che regionale;
questo stato di assoluto impasse sta poi bloccando anche l'inizio del corso di formazione destinato ai vincitori del 4o corso - concorso per l'accesso alla carriera di segretario comunale e provinciale (COA 4), il cui espletamento è infatti indispensabile per procedere all'iscrizione dei neosegretari nell'Albo dei segretari comunali e provinciali e colmare, quindi,

la cronica carenza di segretari sul territorio nazionale, soprattutto in alcune regioni del Nord Italia;
per limitare tale situazione di paralisi e non «subire dannose interruzioni», ed a seguito della ritenuta decadenza del precedente Collegio dei revisori contabili con decreto del Ministero dell'interno in data 7 luglio 2011, è stato istituito e nominato, ai fini dell'acquisizione dei necessari pareri sui principali documenti contabili (bilancio di previsione e rendiconto di gestione), il «comitato di sorveglianza» sulle attività facenti capo alla soppressa Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali;
sembrerebbe però che il detto Comitato, istituito e nominato «per non far subire dannose interruzioni all'attività di gestione della soppressa Agenzia dei Segretari», si sia già dichiarato, nonostante l'emanazione di un decreto ministeriale ad hoc, organo incompetente ad emettere i relativi ed indispensabili pareri sui documenti contabili sopra citati, vanificando, di fatto, la ratio del decreto stesso -:
se quanto rappresentato in premessa corrisponda a realtà e, in caso affermativo, quali iniziative urgenti intenda adottare ai fini dell'immediato e corretto esercizio delle competenze degli organi amministrativi (unità di missione, comitato di sorveglianza ed ogn'altro organo ministeriale a qualsiasi titolo competente) preposti a garantire la funzionalità dell'ex agenzia e l'approvazione del bilancio 2011 e di ogni altro documento contabile necessario;
quali azioni e/o proposte intenda adottare al fine di porre rimedio al più generale stato di crisi del sistema di gestione dei segretari comunali e provinciali, determinato dall'entrata in vigore dell'articolo 7, commi 31-ter, quater e septies del decreto 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha previsto, come noto, non la semplificazione ma la mera soppressione dell'agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali;
se non ritenga necessario un ripensamento della scelta operata col predetto decreto-legge, anche in sede di nuova definizione dell'ordinamento dei segretari comunali e provinciali, tenuto conto del ruolo centrale e determinante che il segretario assume nell'ambito delle autonomie locali.
(4-12961)

BOSSA e GARAVINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i collaboratori di giustizia hanno dato un contributo fondamentale alla conoscenza del fenomeno mafioso, allo scardinamento dell'omertà, al recupero di informazioni indispensabili per la lotta alla criminalità organizzata, grazie al lavoro fatto innanzitutto da Giovanni Falcone e da altri inquirenti; per questa loro funzione sono osteggiati dalle mafie, perseguitati, aggrediti nei loro affetti e nei loro legami familiari, ripudiati da mogli e perfino dalle madri, considerati il vero pericolo per gli affari e gli interessi della criminalità organizzata;
nei giorni scorsi alcuni episodi drammatici, rilanciati dalla stampa, hanno riguardato la situazione dei collaboratori di giustizia in Italia, facendo scattare un allarme sulle loro condizioni;
Giuseppe Di Maio, un esattore del «pizzo» della famiglia palermitana della Guadagna, si è tolto la vita; qualche giorno prima un altro collaboratore di giustizia siciliano, Manuel Pasta, mafioso della famiglia di Resuttana Colli, Palermo, in udienza, a Roma, ha chiesto la parola e ha detto; «Se voi lasciate soli i collaboratori non date un buon esempio perché la mafia non lascia mai soli i mafiosi. Cosa Nostra assicura uno stipendio ai carcerati e ai loro familiari, paga anche gli onorari agli avvocati. Io vengo qua perché sono pentito dentro, altrimenti dovrei solo scappare da questo Stato»;
anche uno dei mafiosi più temuti di Cosa nostra e uno dei collaboratori più importanti della lotta alla mafia, ha tentato di togliersi la vita; si tratta di Francesco

Marino Mannoia che alcuni giorni fa ha tentato di suicidarsi ingerendo un cocktail di farmaci; salvato da sua moglie, Mannoia era al secondo tentativo di suicidio. Qualche giorno dopo il primo tentativo, Mannoia aveva affidato il suo sfogo al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che era andato a interrogarlo per una vecchia inchiesta: «Sono deluso, amareggiato, dopo tutto quello che ho fatto per la lotta alla mafia, dal 1989»; Mannoia, che oggi ha 60 anni, ha vissuto a lungo sotto protezione negli Stati Uniti. Poi, ad aprile, ha deciso di tornare in Italia, ma si è ritrovato senza una casa e senza denaro, e pare che sia angosciato per il futuro dei suoi due figli; Mannoia ha già pagato un grosso prezzo personale: Cosa nostra gli ha ucciso la madre, la sorella e la zia; ha scontato una condanna a 17 anni, oggi è un uomo libero, ma denuncia di essere stato abbandonato dallo Stato;
pare che questo sia un momento difficile anche per molti altri collaboratori di giustizia: secondo notizie di stampa, qualcuno è stato anche sfrattato di casa perché lo Stato non avrebbe i fondi per pagare l'affitto; uno dei collaboratori di giustizia meno conosciuti, Roberto Spampinato di Catania, sarebbe stato sfrattato dall'abitazione dove era agli arresti domiciliari;
anche uno dei principali collaboratori di giustizia più recenti, Gaspare Spatuzza, che sta aiutando la magistratura nella ricerca della verità sulle stragi del 1992 e del 1993, è stato costretto a rivolgersi al Tar per avere riconosciuti i suoi diritti, negati da una decisione presa a maggioranza dalla commissione centrale di protezione;
sarebbero in tutto 90 i collaboratori sfrattati nell'ultimo anno; alcuni sarebbero stati dirottati in comunità religiose - conventi di suore - che li hanno accolti, altri hanno perso l'assistenza sanitaria. I loro avvocati, da un anno lavorano gratis: non ricevono più gli onorari;
secondo le dichiarazioni rilasciate alla stampa da Monica Genovese, avvocata palermitana che difende Santino Di Matteo - uno dei collaboratori di giustizia della strage di Capaci - e una dozzina di collaboratori di ultima generazione, i «pentiti sono uomini che vivono con 1.200 euro al mese insieme a moglie e due figli ma che ricevono lo stipendio con settimane di ritardo. O che si ritrovano con la luce tagliata a casa perché chi deve pagare non paga. O che sono costretti, per una testimonianza, a fare su e giù per l'Italia per 48 ore perché lo Stato non può permettersi un pernottamento in un albergo»;
i fondi per i collaboratori erano 70 milioni di euro nel 2006, 52 milioni nel 2008, 49 milioni nel 2010 e 34 in questo 2011. Un taglio del cinquanta per cento in cinque anni che di fatto sta mettendo in pericolo molti processi di mafia, 'ndrangheta e camorra perché lo Stato appare non più in grado di rispettare il patto che aveva fatto con quei mafiosi che avevano deciso di stare con la giustizia;
abbandonare i collaboratori di giustizia al loro destino, non mantenere il patto sottoscritto, privarli di protezione, tutela, aiuto economico, produce non solo un pericolo per i collaboratori stessi ma un chiaro disincentivo affinché altri appartenenti alla criminalità organizzata possano compiere la scelta della collaborazione, privando la lotta alle mafie di un tassello fondamentale -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali siano i suoi intendimenti al riguardo; quale sia la situazione dei collaboratori di giustizia oggi in Italia, se lo Stato stia tenendo fede, e come, ai suoi doveri di protezione e tutela verso chi ha esposto se stesso a rischi altissimi per offrire una collaborazione decisiva alle inchieste; cosa si intenda fare per ripristinare una situazione di adeguata tutela e protezione dei collaboratori di giustizia, al fine di adempiere al proprio dovere, e anche per non disincentivare nuove collaborazioni con lo Stato di appartenenti alle organizzazioni criminali.
(4-12971)

DIMA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi, il sindaco del comune di Cariati (CS) è stato oggetto di un atto intimidatorio molto grave, consistito nel ritrovamento di una testa di capretto macellato al portone d'ingresso della casa municipale;
la vicenda, dal significato inequivocabile, ha suscitato la ferma condanna del mondo istituzionale locale e regionale nonché dei cittadini che vedono in questo grave atto intimidatorio un possibile tentativo di condizionamento dell'attività amministrativa;
la questione, attraverso una circostanziata denuncia presentata dal sindaco, è stata posta all'attenzione ed al vaglio delle forze dell'ordine che hanno avviato le necessarie indagini per giungere agli autori di questo inqualificabile gesto;
dal rapporto di LegAutonomie Calabria per l'anno 2010, si evince come l'andamento relativo alle minacce nei confronti degli amministratori locali sia stato particolarmente drammatico, tanto che dal 2000 ad oggi quasi un sindaco su tre ha dovuto subire un atto intimidatorio e che quindi quasi tutti i comuni calabresi, a prescindere dalla loro dimensione, sono esposti sul fronte della pressione criminale;
nonostante nel 2009 fossero già state registrate 78 intimidazioni a danno di amministratori locali, nel 2010 il trend, è stato in costante aumento con più di 110 episodi denunciati e, pertanto, nel 2011, si prevede che questo stesso dato sia destinato ad aumentare -:
quali iniziative di competenza il Ministro intenda porre in essere per garantire, alla luce di quanto evidenziato, sicurezza agli amministratori locali e, nel caso specifico, nei confronti del sindaco di Cariati.
(4-12977)

SBROLLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
verso le 21.00 di domenica 31 luglio 2011 a Vicenza, per l'esattezza a Borgo Casale a due passi dal centro, ha avuto luogo una pesante sparatoria;
si sono esplosi molti colpi di pistola, fortunatamente l'area non era in quel momento frequentata da passanti, ma il bilancio è comunque di 3 feriti componenti delle 2 «fazioni» rivali;
l'episodio, giudicato gravissimo anche dal questore di Vicenza, rappresenta una nuova occasione per tornare sul tema sicurezza nelle città;
rispetto alle esigenze del territorio, che negli ultimi anni si è evoluto e trasformato, permane uno stato di sofferenza cronica della questura Vicentina, che presenta un numero sottodimensionato di personale, come più volte evidenziato da tutte le sigle sindacali e dall'amministrazione comunale;
negli ultimi quattro anni la questura di Vicenza non ha beneficiato di alcuna aliquota aggiuntiva e non vengono neppure accolte le domande di trasferimento a Vicenza di personale che opera presso altre questure e reparti;
ad oggi la questura di Vicenza conta 287 unità compresi i ruoli tecnici e il commissariato di Bassano del Grappa conta appena 47 unità compresi i ruoli tecnici, mentre la polizia stradale, nelle tre sezioni (Vicenza, Schio e Bassano del Grappa), conta 84 unità; numeri limitati rispetto ad un territorio con una superficie di oltre 2700 chilometri quadrati e con una popolazione di quasi 900 mila abitanti;
in più occasioni, le istituzioni locali e i rappresentanti istituzionali di questo territorio hanno sollecitato l'Esecutivo ad intraprendere percorsi tesi a rafforzare la presenza delle forze dell'ordine nel territorio vicentino;
l'amministrazione comunale, con l'assessore alla sicurezza, è impegnata da tempo in azioni e campagne concrete per arginare il fenomeno;

da operatori, istituzioni, sindacati e cittadini si chiede che Vicenza possa trovare spazi per ricevere un aumento considerevole d'organico da impiegare nelle azioni di controllo e prevenzione -:
se il Ministrointerrogato stia valutando una riclassificazione della questura di Vicenza, alla luce dei notevoli carichi di lavoro e dei tristi fatti di cronaca che la città subisce e non merita;
se l'attuale pianta organica di operatori della sicurezza impiegata a Vicenza sia adeguata;
quali siano i criteri adottati per le assegnazioni e la movimentazione di personale di polizia;
quali siano i criteri di accoglimento delle domande di trasferimento e quante siano le richieste verso la questura di Vicenza.
(4-12983)

BITONCI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 1o agosto 2011, un gruppo di disobbedienti del centro sociale Pedro di Padova, capeggiati dal noto esponente Max Gallob, hanno occupato una serie di appartamenti tra via Piave e via delle Melette in quartiere Pilastro;
gli appartamenti sono di proprietà dell'ATER di Padova, azienda territoriale per l'edilizia residenziale, e ospitano alcuni esponenti di punta del movimento, che per anni hanno versato cifre irrisorie al posto del canone concordato, sottraendoli agli assegnatari di fatto e a famiglie bisognose:
gli attivisti della «galassia» dei centri sociali hanno atteso l'arrivo dell'ufficiale giudiziario che avrebbe dovuto eseguire alcuni sfratti e impedito l'esecuzione degli stessi che sono stati rinviati a data da destinarsi;
queste azioni vengono messe in atto, a Padova, dai medesimi soggetti da molti anni -:
se e come si intenda procedere per evitare che questi fatti si ripetano ancora in futuro.
(4-12990)

CASTIELLO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il comune di Casoria (Napoli) ha una dotazione organica, complessivamente, di 672 unità tra cui n. 8 dirigenti di settore;
sulla base delle recenti pronunce della Corte costituzionale e dei pareri (n. 11, 13 e 14) resi dalle sezioni riunite della Corte dei conti nell'anno 2011, il comune di Casoria, secondo il parametro fissato all'8 per cento rispetto alla consistenza di n. 8 dirigenti inseriti in D.O., avrebbe potuto nominare un solo nuovo dirigente;
in data 30 giugno 2011, il sindaco del comune di Casoria ha decretato (decreti n. 123, 124, 125, 126, 127, 128 e 129) la nomina di ben 7 nuovi dirigenti;
tali nomine risultano palesemente conferite in contrasto con l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, così come successivamente modificato dal decreto legislativo n. 150 del 2009;
nell'atto deliberativo n. 81 del 2011 relativo al «fabbisogno del personale» per l'anno solare in corso non sono previsti né la spesa occorrente né la previsione di stipula di contratti privati per la nomina di nuovi dirigenti presso l'ente;
lo stesso collegio dei revisori dei conti del comune di Casoria, richiamando il parere n. 52 espresso dalla Corte dei conti del Piemonte, aveva sollecitato l'amministrazione

al rispetto delle norme previste in materia dal decreto legislativo n. 150 del 2009 -:
quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano attivare con riferimento al rispetto delle chiarissime norme vigenti in materia di dotazione organica degli enti locali, di contenimento della spesa pubblica e di procedura di nomina di organi dirigenziali presso la pubblica amministrazione.
(4-12998)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanze:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
si fa riferimento al protocollo d'intesa fra l'istituto «Alcide Cervi» e l'ufficio scolastico regionale dell'Emilia Romagna, stipulato in data 22 luglio 2011;
stante l'estrema politicizzazione che, secondo l'interpellante, ha caratterizzato l'istituto medesimo in questi anni, distintosi per una aprioristica e faziosa difesa della Resistenza finalizzata spesso agli obiettivi politici della sinistra, oltre che per una generalizzata azione politica in tutti i campi della vita sociale;
a parte considerazioni sulla necessità di tenere distinta l'autonomia della scuola da organismi territoriali o culturali condizionati da matrici ideologiche o comunque politiche, il sottoscritto sente il dovere di protestare contro un'intesa che di fatto dimentica quanto avvenuto in Emilia Romagna fra il 1945 e il 1948 ove secondo l'interpellante, in nome della Resistenza, ed in realtà per instaurare una sorta di socialismo reale come esperimento per l'Italia, migliaia di persone non legate alla sinistra, fra cui molti sacerdoti e laici, furono uccisi in nome di un odio ideologico che caratterizzava l'allora Partito comunista e la sinistra in genere;
è bene ricordare infatti che l'istituto Alcide Cervi si è sempre rifiutato di considerare criticamente «le vicende resistenziali» e ha difeso con molta forza una concezione delle medesime che ad avviso dell'interpellante è superata dalla moderna ricerca storica e soprattutto improntata a concezioni ideologiche;
risulta all'interpellante difficile comprendere quali compiti formativi, didattici ed educativi o quali proposte possa assolvere il suddetto istituto nelle scuole -:
quali iniziative intenda assumere in questa vicenda, garantendo l'assoluta autonomia della scuola rispetto a logiche politiche che dovrebbero esserle estranee e che purtroppo sono da sempre presenti in Emilia-Romagna.
(2-01180)«Garagnani».

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
si fa riferimento all'interpellanza urgente del 14 luglio 2011, concernente la mancata applicazione del diritto alla studio in Emilia Romagna e la richiesta di referendum abrogativo dei finanziamenti erogati dal comune di Bologna alle scuole materne paritarie;
in sede di risposta alla citata interpellanza urgente il Governo ha affermato che: «(...) Per effetto di detta legge (n. 62 del 2000), la scuola paritaria appartiene al sistema nazionale di istruzione e, come tale, deve ricevere trattamento che non risulti discriminante nei confronti degli studenti (...). Abbiamo aperto un tavolo con le regioni medesime per addivenire ad un accordo che, nel rispetto delle competenze di tutti soggetti istituzionali interessati (Stato, regioni, provincie autonome e enti locali), assicuri l'unitarietà del sistema

nazionale come risultante dell'esercizio delle funzioni attribuite a ciascun soggetto pubblico coinvolto (...)» -:
quali siano le modalità applicative ed i tempi necessari per definire il citato accordo ed in particolare per stabilire in materia di diritto allo studio e di libertà di educazione un'omogeneità di trattamento su tutto il territorio nazionale per il rispetto dei principi contenuti nella legge n. 62 del 2000.
(2-01181)«Garagnani».

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
si fa riferimento a precedenti atti ispettivi, alle notizie stampa e al comunicato del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (pienamente condivisibile), che riportano la notizia di concorsi per ricercatore a tempo determinato, banditi dalle università di Cagliari e Bologna senza la necessaria pubblicità prevista dalla legislazione in vigore, in ciò contravvenendo esplicitamente alle modalità che debbono essere conosciute su tutto il territorio nazionale per la selezione dei ricercatori medesimi e nel nuovo contesto delle discipline come previsto dalla legge;
si fa riferimento in particolare alle notizie stampa dei quotidiani La Stampa del agosto 2011, Avvenire e Resto del Carlino, cronaca di Bologna, del 3 agosto 2011, che riportano in modo chiaro la lettera inviata dal Ministro ai rettori di tutte le università italiane, nella quale viene ribadito il carattere vincolante nello svolgimento dei nuovi concorsi che, a parere dell'interrogante, serve ad impedire una pratica nepotistica e clientelare purtroppo diffusa negli atenei italiani, fra cui quello di Bologna, denunciata a suo tempo in numerose interpellanze ed interrogazioni dal sottoscritto, nell'indifferenza spesso, se non ostilità, dei massimi organi dirigenziali ministeriali a ciò preposti;
il sottoscritto interpellante, nel ribadire quanto esposto in precedenza e la validità del suo operato nella denuncia non qualunquistica di violazioni della legge, ma di autentici, anche se limitati, soprusi verso docenti che pur titolati sono stati ingiustamente esclusi e la convinzione che occorre evitare generalizzazioni diffuse, in contrasto con punte di eccellenza pure presenti in vari atenei fra cui quello di Bologna, il cui prestigio intende difendere, ritiene d'altra parte che l'università non possa più essere autoreferenziale, come nel passato, e, riprendendo quanto affermato nella precedente interpellanza concernente la facoltà di medicina e chirurgia di Bologna, ribadisce che certi comportamenti, duri a morire, non possono più essere tollerati ed occorre una riconsiderazione completa delle metodologie e dei criteri, fino qui seguiti, nella selezione nei vari livelli del corpo docente, come previsto ottimamente dall'attuale legge di riforma delle università di cui va dato atto al Ministro Gelmini selezione condizionata a volte, come - ad avviso dell'interpellante - nel caso di Bologna, da vincoli che dovrebbero essere estranei -:
quali iniziative intenda assumere con riferimento alle questioni rappresentate in premessa.
(2-01184) «Garagnani».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

GHIZZONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 240 del 2010 prevede, all'articolo 24, comma 2, lettera b), che alle procedure di selezione per i contratti da ricercatore a tempo determinato possano partecipare i «...possessori del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente, ovvero, per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica...» -:
se non ritenga opportuno, anche al fine di evitare possibili controversie, precisare quali siano i «titoli equivalenti» in

questione e se fra questi siano compresi i diplomi rilasciati da scuole di specializzazione post-lauream di area non medica istituite presso università italiane.
(5-05249)

FIORIO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
con la Circolare Ministeriale n. 21 del 14 marzo 2011, avente per oggetto «Dotazioni organiche del personale docente per l'anno scolastico 2011/2012», è stato trasmesso lo schema di decreto interministeriale «Disposizioni sulla determinazione degli organici del personale docente per l'anno scolastico 2011/2012»;
con la Circolare Ministeriale n. 63 del 13 luglio 2011, relativa all'adeguamento degli organici di diritto alle situazioni di fatto, sono state impartite «... le istruzioni ed indicazioni in materia di adeguamento delle consistenze degli organici di diritto alle situazioni di fatto»; con la stessa si dispone l'assegnazione agli uffici scolastici provinciali dei posti in organico di diritto per l'anno scolastico 2011/2012, per la scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo e secondo grado;
sono avvenuti contatti e confronti con la regione Piemonte, per acquisire gli orientamenti e le valutazioni, nell'ottica di una programmazione dell'offerta formativa il più possibile condivisa e rispondente alle effettive esigenze della scuola, con l'obiettivo di migliorare la qualità dei servizi scolastici e realizzare un più razionale e proficuo utilizzo delle risorse assegnate dalla citata normativa;
con il provvedimento protocollo n. 7052 del 26 luglio 2011 è stata distribuita la dotazione dei posti di organico di fatto per l'anno scolastico 2011/2012 ad ogni singolo ufficio scolastico territoriale -:
quali siano i criteri d'attribuzione nelle province piemontesi, in quanto esse risultano fortemente penalizzate dalla sperequazione di dotazione rispetto a Torino, in particolare la provincia di Asti.
(5-05253)

Interrogazioni a risposta scritta:

PALAGIANO e ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il massofisioterapista è una figura professionale, che opera in ambito sanitario, in grado di svolgere terapie di massaggio e di fisioterapia in ausilio all'opera dei medici, sia nel libero esercizio della professione sia nell'impiego in enti pubblici e privati;
i massofisioterapisti applicano le tecniche del massaggio e della fisioterapia sul paziente secondo le istruzioni del sanitario, a livello di personale ausiliario e di terapista della riabilitazione;
la massofisioterapia è una professione, non riordinata, appartenente all'area riabilitativa ed è regolata dalla legge n. 403 del 1971. Le mansioni del massofisioterapista sono contenute nel decreto ministeriale 7 settembre 1976, confermato dalla sentenza del consiglio di Stato 5225 del 2007;
in particolare, il decreto ministeriale del 1976 disciplina gli orari ed i programmi d'insegnamento relativi alle sezioni di qualifica per «massofisioterapista» funzionanti presso gli istituti professionali per l'industria e l'artigianato di Stato per ciechi «Nicolodi» di Firenze e «Colosimo» di Napoli;
la professione del massofisioterapista è, infatti, molto spesso, praticata dai non vedenti, soprattutto perché, avendo sviluppato in maniera particolare il senso del tatto, dimostrano una speciale sensibilità verso le tecniche di massaggio e di terapia manuale;
quella di divenire massofisioterapisti attraverso un corso di formazione triennale è, quindi, un'importante opportunità

lavorativa per i non vedenti o gli ipovedenti, che spesso, nel nostro Paese, sono costretti a svolgere mansioni di basso livello e che invece, attraverso la massofisioterapia, possono esercitare una professione importante e qualificata, che dovrebbe essere incentivata e tutelata dallo Stato italiano;
nel giugno 2011, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nell'ambito della riorganizzazione della formazione professionale, ha previsto - vietando, nei fatti, le iscrizioni all'anno 2011-2012 - la chiusura del corso triennale per massofisioterapisti dell'istituto «Nicolodi» di Firenze. Una decisione importante, considerando che questo è uno dei pochissimi istituti statali in Italia dedicati alla formazione di massofisioterapia per non vedenti ed ipovedenti;
secondo quanto previsto dal Ministero suddetto, questo corso sarà accorpato a quello di operatore del benessere (estetista) - «un corso troppo generico dove la specificità del massofisioterapista va perduta e dove le ore dedicate al'anatomia e al massaggio terapeutico diventano pochissime», modificando la natura stessa della formazione del massofisioterapista, compromettendone la professionalità e facendone decadere le specificità -:
se non si intenda rivedere la decisione di chiudere il corso per massofisioterapisti dell'Istituto «Nicolodi» di Firenze, al fine di tutelare una categoria professionale importante e preziosa come quella dei massofisioterapisti e allo stesso tempo, in maniera particolare, continuare a garantire ai non vedenti, che rappresentano la maggior parte dei massofisioterapisti in Italia, un percorso professionale qualificato come quello offerto da questo storico istituto statale.
(4-12947)

BITONCI e GOISIS. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il dirigente scolastico provinciale di Padova e Treviso, professoressa Maria Giuliana Bigardi, ha recentemente precisato con una sua nota come la situazione del sistema scuola in Veneto sia in grande sofferenza. Non si tratterebbe di una situazione limitata alle sole province di Padova e Treviso, ma si estenderebbe a tutta la regione Veneto;
in particolare, per la scuola secondaria di I grado, le risorse non sarebbero sufficienti, con conseguente riduzione di insegnanti a fronte di un aumento di studenti (per la provincia di Padova 250 in più);
per la scuola dell'infanzia, sempre per la provincia di Padova, ci sono 5882 bambini e sono state chieste 8 sezioni in aggiunta pari a 16 insegnanti, ne sono state concesse solo 3. La situazione della scuola dell'infanzia è particolarmente delicata visti i tagli ai contributi statali alle scuole paritarie e la conseguente crisi del sistema;
la scuola primaria ha ormai ridotto di molto le proprie risorse ed è spesso incapace di garantire i servizi di tempo scuola richiesti dai genitori; infatti il tempo normale di 27 ore settimanali per le 1a, 2a e 3a classi non soddisfa l'esigenza espressa nella quasi totalità delle classi di avere un tempo normale di 30 ore settimanali con rientri in 2 o 3 pomeriggi con servizio di mensa;
dal punto di vista economico, si registra un sensibile recupero dei posti di lavoro con un nuovo afflusso di extra comunitari. Ciò comporta in alcune aree del territorio veneto un affollamento delle classi, con conseguenti problemi di organico e strutture -:
come si intenda far fronte a un simile fenomeno, considerando anche le specifiche esigenze formative dei bambini migranti;
dove siano state concentrate le maggiori risorse e se si intenda effettuare una verifica in tal senso per un'equa distribuzione degli organici che rispetti le diverse realtà territoriali e risponda adeguatamente alle richieste dell'utenza.
(4-12956)

SANGA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la situazione degli istituti scolastici della Val Seriana, e della Val di Scalve, in provincia di Bergamo, presenta un quadro assai preoccupante;
i dirigenti scolastici hanno inviato ai sindaci del territorio una lettera alla luce delle assegnazioni del personale scolastico per l'anno 2011-2012;
saranno costituite classi prime di scuola primaria con 28 alunni per sezione o comunque con più di 25 alunni, anche in presenza di soggetti disabili;
saranno istituite pluriclassi di scuola primaria con 18 alunni, pure in presenza di soggetti disabili;
il tempo mensa nella scuola primaria sarà ridotto a 1 ora quotidiana per ogni gruppo di alunni, con conseguente revisione del servizio di refezione scolastica e del trasporto alunni;
si prevedono difficoltà rilevanti nel garantire apertura, chiusura, vigilanza, riordino e pulizia dei plessi da parte del personale ausiliario;
ulteriori difficoltà nel gestire il carico di lavoro degli uffici di segreteria, a fronte di sempre nuove incombenze nella gestione amministrativa delle scuole-:
se non ritenga di convocare un incontro con i dirigenti scolastici e i sindaci del territorio per approfondire le questioni segnalate;
quali iniziative intenda mettere in atto con urgenza al fine di superare le grandi difficoltà sopra evidenziate.
(4-12960)

TIDEI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
sulla scorta dei dati comunicati dalle direzioni didattiche per l'anno 2011/2012, relativi alla consistenza degli alunni iscritti e frequentanti la scuola primaria, nonché della tipologia di orario a seguito delle assegnazioni comunicate dall'ufficio scolastico competente, risulta, rispetto agli anni precedenti, una considerevole diminuzione di classi prime a tempo pieno, non corrispondenti alla effettiva esigenza delle famiglie che hanno richiesto l'iscrizione dei propri figli presso le scuole cittadine primo circolo didattico «G. Cena» e istituto comprensivo «Don Milani»;
l'organico comunicato per gli alunni che necessitano del sostegno è stato ridotto rispetto alle concrete esigenze certificate dagli organi competenti come dimostrano i 7 docenti di sostegno su 26 alunni con disabilità psicofisica certificata assegnati presso il primo circolo didattico «G. Cena» rispetto agli otto in organico dello scorso anno scolastico, introducendo un preoccupante e sottodimensionato rapporto di un insegnante di sostegno ogni 3,7 alunni disabili;
alla riduzione dei docenti di sostegno ha corrisposto contestualmente la decurtazione complessiva di 4 docenti dalla pianta organica rispetto allo scorso anno presso il prrimo circolo «G. Cena» (66 a fronte di 70) e di 2 docenti presso l'istituto comprensivo «Don Milani» (24 a fronte di 26);
dal prossimo anno scolastico le 4 ore residuali per le classi a tempo pieno non sono state lasciate a disposizione della scuola per attività di compresenza, recupero, supplenze brevi, gite e visite didattiche poiché a tali ore le segreterie didattiche dovranno ricorrere per fare fronte al monte orario dei docenti non assegnati;
per l'anno scolastico 2011/2012 non sono previsti interventi di docenti su materie specialistiche, con conseguente aggravi della trattazione delle suddette materie unitamente ad altre discipline nei diversi ambiti di competenza e di docenza;
la riforma Gelmini e i provvedimenti collegati, pur riducendo l'orario nelle classi di tempo normale, ha salvaguardato il numero delle classi a tempo pieno;

il decreto interministeriale allegato alla circolare ministeriale 21/2011, sugli organici del personale docente, nonché la nota 7 febbraio 2011 dell'ufficio scolastico regionale del Lazio hanno confermato l'impianto della suddetta riforma;
il Consiglio di Stato, con propria decisione n. 03512 del 9 giugno 2011, nel rigettare il ricorso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze, contro la sentenza 552 TAR Lazio, sta comportando la necessità di ridefinire il rapporto alunni/docenti nell'ambito del piano di riqualificazione degli edifici scolastici di competenza ministeriale riconducendo i limiti alla precedente normativa (decreto ministeriale n. 331 del 1998);
gli organici assegnati dall'ufficio competente alle scuole cittadine non rispettano i parametri vigenti, nonché gli effetti conseguenti dalle decisioni assunte dal Consiglio di Stato, in attesa delle necessarie determinazioni che dovrà assumere il competente Ministero -:
se il Ministro non ritenga opportuno provvedere ad un reintegro dell'organico nei due istituti cittadini di Cerveteri in premessa richiamati per garantire il livello quali/quantitativo precedentemente assegnato alle scuole cittadine onde garantire la continuità didattica e l'attuazione dei piani dell'offerta formativa scolastica.
(4-12962)

FLUVI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
al fine del contenimento della spesa per il pubblico impiego, l'articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, individua una serie di misure volte alla riorganizzazione del servizio scolastico, che prevedono, tra le altre, alcune modifiche all'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico da effettuarsi con un piano programmatico, predisposto dal Governo d'intesa con la Conferenza unificata e previo parere parlamentare, nonché di successivi regolamenti di delegificazione;
in particolare la citata disposizione, al fine di contenere la spesa pubblica, fissa come obiettivo a regime entro l'anno scolastico 2011/2012 l'aumento di un punto (da 8,9 a 9,9) del rapporto alunni/docente e determina la riduzione del 17 per cento del personale non docente della scuola;
tra i criteri per i citati regolamenti è prevista, tra l'altro, la revisione dei norme vigenti in materia di formazione delle classi;
conseguentemente la disciplina della formazione delle classi è stabilita dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, il quale prevede, in particolare all'articolo 11, che le classi prime delle scuole secondarie di I grado e delle relative sezioni staccate siano costituite, di norma, con non meno di 18 e non più di 27 alunni, elevabili fino a 28 qualora residuino eventuali resti e che si procede alla formazione di un'unica prima classe quando il numero degli alunni iscritti non supera le 30 unità;
l'organico di diritto della scuola secondaria di 1° grado di Montaione (Firenze) presso l'Istituto statale «G. Gonnelli», prevede per il prossimo anno scolastico 2011/2012 la costituzione di un sola classe prima con ben 34 alunni iscritti;
il comune di Montaione ha più volte segnalato (con nota n. 5269 in data 20 giugno 2011 e con nota n. 5943 in data 12 luglio 2011) all'ufficio scolastico provinciale, unendosi alla richiesta già inoltrata dal dirigente scolastico (con nota n. 1227 in data 9 maggio 2011) e alle sollecitazioni da parte delle famiglie degli alunni iscritti, la grave situazione di disagio in cui verrebbero a trovarsi gli alunni e i docenti se venisse formata per il prossimo anno scolastico una unica classe prima ed ha chiesto al competente ufficio organici dell'ufficio scolastico provinciale una revisione dell'organico assegnato con la conseguente

formazione di due classi prime nel rispetto dei parametri previsti dalla normativa vigente;
l'edificio scolastico in riferimento non ha, secondo quanto riferito dal comune di Montaione, aule che possono contenere un numero così alto di alunni e la costituzione di una classe cosi numerosa costringerebbe gli alunni a seguire lezioni in condizioni disagiate con pregiudizio anche per la qualità dell'apprendimento;
si prevede che il numero degli alunni sia destinato ad aumentare nel corso dell'anno scolastico come spesso accade -:
come il Ministro intenda intervenire, anche in termini di ampliamento di organico, affinché sia ripristinata la giusta proporzione di alunni per classe.
(4-12964)

GOISIS. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nell'anno scolastico 2010-2011 è stato istituito presso il liceo Einstein di Piove di Sacco l'indirizzo del liceo classico, con una classe articolata classico/linguistico;
alla fine dell'anno scolastico la suddetta classe è stata giudicata positiva dagli studenti e dalle famiglie sia per la qualità dell'insegnamento che per l'evidente risparmio di risorse in termini di tempo e di costi rispetto ad una scelta di pendolarismo verso il capoluogo;
per l'anno 2011-12 le iscrizioni al classico di Piove di Sacco sono 18, con la possibilità di aumentare nell'immediato in considerazione del fatto che a Chioggia, tradizionale bacino di utenza per alcuni indirizzi scolastici del Piovese, le iscrizioni al Classico, già presente da anni, sarebbero insufficienti per creare una nuova prima;
pur con lo stesso numero di iscritti, gli uffici competenti avrebbero rifiutato per l'anno scolastico 2011/12 l'attivazione della «classe articolata» in parola, rischiando di creare i seguenti disagi agli studenti che hanno optato per questa particolare esperienza didattica: in primis, i neo iscritti dovranno trovare altra collocazione presso istituti fuori del loro territorio; in secundis, la classe seconda già esistente costituirebbe una esperienza isolata e andrebbe quindi inevitabilmente ad estinguersi, implicando un problematico inserimento nei licei classici di Padova;
il polo scolastico del Piovese, dopo aver faticosamente conquistato l'indirizzo del liceo classico, si troverebbe ancora una volta immeritatamente penalizzato rispetto agli altri poli scolastici della provincia di Padova che possono vantarne l'esistenza;
non si può ignorare d'altra parte che come ogni nuovo indirizzo anche il liceo classico piovese ha bisogno di almeno un paio di anni di «rodaggio» per radicarsi definitivamente nel territorio (ciò è avvenuto a suo tempo per l'indirizzo linguistico e per il liceo delle scienze umane, oggi ambedue stabilizzati con ben due sezioni di 24/25 alunni ciascuna) -:
quali iniziative intenda intraprendere per confermare l'istituzione della classe articolata in continuità con l'esperienza dello scorso anno scolastico, tenuto conto che la predetta articolazione (cioè lo sdoppiamento della classe) comporterebbe solo nove ore di docenza diversificata (latino e greco) e quindi il costo aggiuntivo sarebbe notevolmente basso e comunque irrisorio rispetto ai benefici che possono essere conseguiti.
(4-12965)

RUGGHIA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
per decisione dell'ufficio scolastico regionale per il Lazio, per l'anno scolastico 2011-2012, non è stata costituita la prima classe ad indirizzo designer, presso la sede distaccata di Ciampino del liceo artistico Paolo Mercuri di Marino;
la notizia ha creato allarme nell'opinione pubblica in quanto appare come

l'avvio del declino del liceo artistico, con gravi ripercussioni sull'offerta formativa del polo di istruzione superiore del territorio;
la decisione, assunta per effetto della riduzione dell'organico del personale docente, pone in estrema difficoltà le famiglie degli allievi iscritti a febbraio, di quelli con riserva già in possesso del nulla osta e pertanto non iscritti in altri istituti scolastici e dei diversamente abili, che non troveranno posto nella sede centrale di Marino stante l'inadeguatezza degli ambienti scolastici ivi disponibili;
l'amministrazione comunale di Ciampino, e il consiglio comunale attraverso un ordine del giorno approvato all'unanimità, hanno espresso contrarietà e preoccupazione per tale decisione -:
quali iniziative intenda assumere per l'immediata ricostituzione dell'organico e per garantire la regolare apertura della prima classe della sede distaccata di Ciampino del liceo artistico Paolo Mercuri.
(4-12989)

REALACCI e GRANATA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
molteplici interventi normativi adottati in questi ultimi anni hanno messo in difficoltà un sistema di istruzione di qualità per i cittadini delle aree montane ed isolane del nostro Paese;
è del tutto evidente che intorno alla riorganizzazione della rete scolastica territoriale occorra intervenire con una metodologia che tenga conto non solo degli aspetti finanziari, ma soprattutto di una strategia di tutela e valorizzazione della permanenza delle popolazioni su territori magari definiti geograficamente marginali, ma di grande importanza in merito alla gestione delle risorse naturali, alla qualità territoriale e alla coesione sociale come le isole, i piccoli comuni e i territori di montagna;
è utile considerare che la maggior parte dei comuni italiani è classificata in aree geograficamente isolate, ad esempio: il 52 per cento degli 8.101 comuni; tra questi, 655 sono parzialmente montani e i rimanenti 3.546 totalmente montani. Se poi si considera la conformazione geografica risulta che l'Italia è costituita da montagna e collina per il 74 per cento del territorio nazionale (fonte: Censimento ISTAT 2001). La montagna italiana e le isole minori, oltre ad offrire scenari e paesaggi di meravigliosa bellezza, costituiscono una preziosa riserva di energia e risorse insostituibili, nonché un patrimonio unico di storia, cultura e tradizioni ed uno dei contesti geografici più fragili e a rischio spopolamento del Paese;
con il decreto-legge n. 98 del 2011 ovvero con l'ultima manovra finanziaria approvata, si sono apportati ulteriori pesanti tagli per l'istruzione e le risorse degli enti locali che colpiscono proprio le scuole situate nelle piccole isole e nei comuni montani, anche non considerando le specifiche competenze regionali.Queste norme mettono a repentaglio il funzionamento reale della scuola in particolare la promozione e conservazione di presidi scolastici di qualità anche nelle aree più isolate d'Italia;
le piccole isole vivono infatti una condizione di marginalità che dipende in larga misura dall'isolamento geografico cui vanno incontro durante i mesi invernali. La fragilità di questi territori, che la legge n. 111 del 15 luglio 2011 insieme ai rapidissimi cambiamenti culturali e sociali rischia di travolgere, porta in primo piano il ruolo dell'istruzione. Le scuole delle piccole isole si connotano in modo specifico rispetto ad altre realtà scolastiche della terraferma, perché la distanza dal territorio di riferimento e da altre isole dello stesso arcipelago, in alcuni periodi dell'anno costituisce un problema reale;
il pendolarismo e il turnover delle insegnanti, ad esempio nel caso delle Isole Egadi

superiore al 98 per cento hanno forti ripercussioni sulla continuità didattica. Pertanto l'estrema precarietà del gruppo docente determina un vistoso calo nelle iscrizioni. Molte famiglie inoltre abbandonano le isole alla ricerca di situazioni scolastiche che offrano maggiori garanzie di continuità e qualità. Ciò determina un complessivo impoverimento del tessuto sociale della collettività e una perdita della fascia più giovane della popolazione isolana, perché a rimanere sono i più anziani, i meno scolarizzati, quindi, la parte meno dinamica della popolazione;
si evidenzia poi che spesso questi territori sono aree marine protette o parchi. Questo rappresenta un fatto non secondario per le prospettive di crescita locali perché può diventare strumento economico, culturale e sociale per la valorizzazione del territorio, la tutela della biodiversità, l'incentivazione ad un turismo eco-sostenibile ed opportunità di lavoro per nuove figure professionali a diversi livelli;
a questo proposito si ricorda il caso dell'istituto comprensivo «A. Rallo» di Favignana (Trapani), che nonostante sia stato pluripremiato per l'innovazione tecnologica anche attraverso la partecipazione al progetto «Scuola 2.0», che si proponeva di modificare gli ambienti di apprendimento attraverso un utilizzo costante e diffuso delle tecnologie a supporto della didattica quotidiana, nel quale alunni e docenti hanno potuto usufruire di dispositivi tecnologici e device multimediali e le cui aule vengono progressivamente dotate di apparati per la connessione ad internet, ad oggi per effetto dei tagli lineari, si troverà senza dirigente scolastico e segreteria -:
quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo per istituire un tavolo nazionale che comprenda la Conferenza Stato-regioni, gli enti regionali e locali insieme a tutti gli altri soggetti interessati, e istituzionalizzare un gruppo di lavoro interistituzionale per elaborare concretamente una strategia che tenga conto e valorizzi le scuole dei piccoli comuni e, in particolare quelli geograficamente più svantaggiati, come quelli delle piccole isole e quelli di montagna;
se il Governo non intenda valutare l'opportunità di assumere un'iniziativa normativa, per gli ambiti di competenza, volta a favorire, nell'autonomia regionale, un preciso stanziamento a favore dei presidi scolastici più svantaggiati, specie nelle isole minori.
(4-12994)

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

MONAI, MURA e PALAGIANO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'INPS, da circa un mese, ha diramato ai titolari di pensione minima, tra questi oltre 50.000 nella sola regione Friuli Venezia Giulia, una formale richiesta con cui pretende la restituzione della quattordicesima mensilità erogata nel 2008: l'importo asseritamente indebito varia dai 336 ai 504 euro e il recupero inizierà dal prossimo mese di settembre 2011;
nella maggior parte dei casi quelle somme erano dovute e se vi è stato errore, esso è comunque imputabile all'Inps: il problema è sorto nel 2008, quando l'Istituto nazionale di previdenza sociale non ha richiesto ai pensionati il modello Red (il modulo attraverso il quale viene comunicato il reddito all'Inps, all'Inpdap o all'Enpals, così da consentire ai diversi enti di verificare il diritto del pensionato a ricevere l'integrazione della prestazione previdenziale);
il Red, di norma, viene richiesto ogni anno e il pensionato se lo fa confezionare da un Caaf o da un altro ente abilitato che poi provvede a inviare i dati in via telematica all'istituto di previdenza. Questo non è accaduto nel 2008 per omissione dell'INPS che, con l'attuale iniziativa, pretende

rimborsi per somme percepite spesso a buon diritto e comunque in buona fede: di certo, peraltro, tale erogazione è stata consumata da questi pensionati che già stentano a sopravvivere con la pensione minima e che oggi rischiano di veder ridotto il loro minimo assegno di sussistenza per rimborsare quanto l'INPS ha pagato per errore;
la disciplina relativa alla ripetizione di indebito pensionistico ha trovato diversa regolamentazione in passato: da un'iniziale normativa che considerava irripetibili le somme percepite in buona fede dal pensionato, salvo i casi in cui fosse dimostrato il dolo del percettore, con i correttivi introdotti dalla legislazione sopravvenuta da intendersi innovativa senza efficacia retroattiva (Corte costituzionale, sentenza n. 39 del 1993), i commi 260 e 261 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica), hanno previsto che nei confronti di chi avesse percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, nonché rendite, anche se liquidate in capitale, a carico degli enti pubblici di previdenza obbligatoria, per periodi anteriori al 1° gennaio 1996, non si facesse luogo al recupero dell'indebito qualora il suo reddito personale imponibile ai fini dell'IRPEF per l'anno 1995 fosse stato pari o inferiore a 16 milioni di lire e che, in caso di reddito superiore l'indebito fosse irripetibile nei limiti di un quarto dell'importo riscosso;
poi, i commi 7 e 8 dell'articolo 38 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge finanziaria 2002), hanno previsto che nei confronti di chi avesse percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell'INPS, per il periodo anteriore al 1° gennaio 2001, non si facesse luogo al recupero dell'indebito qualora il suo reddito personale imponibile ai fini dell'IRPEF per l'anno 2000 fosse stato pari o inferiore a 8.263,31 euro e che, in caso di reddito superiore, l'indebito fosse irripetibile nei limiti di un quarto dell'importo riscosso;
queste norme sono state impugnate sotto il profilo di un'irrazionale e ingiustificabile disparità di trattamento (lesiva dell'articolo 3 Costituzione) e hanno determinato impegnativi interventi della Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 2333 del 1997 e sentenza n. 4809 del 2005) e della Consulta (sentenza n. 431 del 1993, secondo cui l'articolo 38 della Costituzione esclude la ripetizione se l'erogazione non dovuta, destinata a soddisfare essenziali essenze di vita del pensionato, non sia a lui addebitabile; si veda anche sentenza 13 gennaio 2006, n. 1);
resta il problema che nella asfissiante crisi economica che il Paese sta attraversando, che colpisce soprattutto la fasce più deboli tra cui i titolari di pensioni minime, questa pretesa dell'INPS pare, agli interroganti, inopportuna, inesigibile e di dubbia legittimità -:
quali iniziative amministrative e, se del caso, normative il Ministro intenda assumere per ovviare al segnalato grave problema di rilevanza sociale.
(5-05251)

CODURELLI e SCHIRRU. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 21 luglio 2011 la Camera ha approvato 5 mozioni di cui una presentata dal Partito Democratico che chiedeva al Governo di porre rimedio alle norme che rendono particolarmente complicati e assurdi gli accertamenti per la concessione delle pensioni di disabilità. Numerose sono state le iniziative del PD in Commissione affari sociali e in Assemblea, finalizzate a individuare strumenti utili per attenuare gli effetti perversi delle norme sull'accertamento della invalidità; in particolare, è necessario semplificare le periodiche verifiche sullo stato di invalidità, visto che anche portatori di invalidità grave ed irreversibile vi si devono sottoporre. I criteri

restrittivi previsti per le commissioni di accertamento registrano in gran parte dei casi ricorsi contro la sospensione momentanea della pensione che vengono accolti;
inoltre, la mozione impegna il Governo: fornire dati sulle verifiche fin qui fatte e ad adottare nuovi strumenti per attenuare gli effetti perversi delle norme sull'accertamento della invalidità;
si è, infatti, assistito, nei mesi scorsi ad una vera e propria «caccia alle streghe» nonché a battaglie puramente ideologiche che hanno costretto i veri invalidi a pesanti iter burocratici senza fine, per vedere riconosciuto un loro diritto. Tutto ciò rende opportuno e necessario procedere ad una semplificazione delle periodiche verifiche sullo stato di invalidità che obbligano a estenuanti perdite di tempo persone con pesanti disabilità fisiche;
ad oltre un anno dall'entrata in vigore dell'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», che attribuisce all'Inps nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, con l'intento di ottenere tempi più rapidi e modalità più chiare per il riconoscimento dei relativi benefici, la nuova procedura, invece di portare chiarezza e celerità, ha registrato gravissime inefficienze, che hanno provocato e stanno provocando tuttora disagi a persone già drammaticamente colpite, costrette ad aspettare mesi e mesi prima di vedere riconosciuto il loro diritto;
il Governo, nella persona del Sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali Bellotti, ha prima chiesto di soprassedere all'intensificazione dei controlli almeno fino al termine del piano di verifica, rassicurando che il disegno di legge delega di riforma fiscale e assistenziale prevede il riordino dei criteri per la concessione delle prestazioni assistenziali, compresa l'indennità di accompagnamento. Ha poi sottolineato che maggiori competenze all'INPS sono già state delineate nella manovra finanziaria appena approvata che, all'articolo 18, comma 22, prevede la possibilità per le regioni di stipulare convenzioni con l'INPS anche per il primo accertamento. Infine, ha fornito rassicurazioni verbali circa la cautela con cui si effettuano i controlli, in particolare nei confronti delle persone affette da patologie ingravescenti o stabilizzate;
in relazione a quest'ultimo punto, è stata inviata all'interrogante una lettera di denuncia, indirizzata al presidente dell'INPS e apparsa anche sulla stampa locale, del signor Angelo Gandolfi, 60enne della provincia di Lecco su una sedia a rotelle, che vive la condizione di disabilità da quando ne aveva due. Gandolfi, rinunciando al suo diritto alla privacy, ha deciso di denunciare le continue e reiterate richieste di documentazione da parte dell'INPS per attestare la sua condizione di disabilità;
appare evidente che ai soggetti portatori di menomazioni irreversibili o di patologie escluse da visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante, così come previsto dalla legge, continuano ad essere ugualmente richiesti ulteriori controlli con tutti i disagi che ne conseguono;
il signor Gandolfi, dopo aver scritto alla direzione provinciale dell'INPS e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali Sacconi, facendo presente detta situazione, ha dichiarato che non presenterà la documentazione richiesta per l'ennesima volta e attenderà la convocazione alla visita di controllo, qualora la sua comunicazione non venisse intesa come autocertificazione;
le condizioni di salute di Angelo Gandolfi sono purtroppo irreversibili, nonostante i progressi della ricerca scientifica. Nell'immediato dopoguerra, all'età di due anni è stato infatti colpito dalla poliomelite, che gli ha danneggiato il midollo spinale. La conseguente paraplegia lo ha definitivamente privato dell'uso delle gambe;

nonostante sia un portatore di invalidità irreversibile, da oltre 40 anni, il signor Gandolfi viene periodicamente chiamato a rendere conto degli esiti di questa patologia che gli dà diritto di percepire un'indennità mensile di 487,39 euro;
pur riconoscendo legittimo il diritto alla verifica, appare grave l'atteggiamento dell'INPS nei confronti del caso citato in premessa -:
se non ritenga urgente intervenire per evitare che altre persone, con grave disabilità, siano costrette a subire il medesimo trattamento.
(5-05252)

FEDRIGA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
è notizia riportata oggi 3 agosto sul quotidiano Il Piccolo di Trieste quella per cui i pensionati che, per dimenticanza, negligenza o semplicemente mancata dimestichezza nella compilazione di moduli, non hanno inviato la documentazione con la propria situazione reddituale dovranno restituire la quattordicesima incassata ai primi di luglio 2011;
secondo quanto denunciato da Fnp-Cisl, in questi giorni molte persone stanno chiedendo chiarimenti ai sindacati in merito alle lettere che l'Inps sta recapitando, nelle quali c'è scritto che «i soldi ricevuti in più nell'assegno non spettano, quindi vanno resi»;
trattasi di somme che variano dai 350 ai 500 euro, erogate dall'Istituto sotto forma di quattordicesima e percepite da soggetti sopra i 65 anni che vivono con 645 euro al mese, cioè con la minima;
secondo la ricostruzione della Cisl, la questione scaturisce dal controllo incrociato avviato dall'Inps e dall'Agenzia delle entrate su chi non ha inviato il modello Red relativo all'anno 2008, per cui l'Istituto ora procede ad una trattenuta rateizzata sui prossimi assegni, che dovrebbe interessare, da un sommario calcolo, almeno 30 mila persone;
si ricorda che il legislatore, con l'articolo 5, commi da 1 a 4, del decreto-legge n. 81/2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 127/2007, ha inteso prevedere la corresponsione di una somma aggiuntiva (cosiddetta 14.ma), in presenza di determinate condizioni reddituali, in favore dei pensionati ultrasessantaquattrenni titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, gestite da enti pubblici di previdenza obbligatoria proprio per garantire loro il recupero del potere d'acquisto delle pensioni ferme al 1992;
peraltro l'Inps con messaggio n. 11226 del 20 maggio 2011, nel fornire chiarimenti in merito al riconoscimento del diritto alla somma aggiuntiva cosiddetta quattordicesima, confermando integralmente quanto previsto nella circolare n. 119 dell'8 ottobre 2007, senza novità alcuna rispetto agli anni precedenti, ha precisato che ai fini della fruizione del beneficio il limite reddituale del pensionato è pari ad euro 8.504,73;
è palese, ad avviso dell'interrogante, il comportamento contraddittorio dell'istituto previdenziale che, da un lato, individua in soggetti anziani e bisognosi i percettori di diritto della cosiddetta quattordicesima, e dall'altro, pur di far cassa e subito, ignora questo diritto prima ancora di accertare se i presunti sbagli nella documentazione siano effettivamente imputabili ai pensionati -:
se e quali iniziative di propria competenza intenda urgentemente adottare per far luce sulla vicenda esposta in premessa e se corrisponda al vero che l'Inps non abbia accolto l'invito dei sindacati di spostare l'eventuale recupero delle somme dovute nel mese di ottobre, dopo opportuni accertamenti e dovute verifiche sul caso.
(5-05256)

GATTI, MIGLIOLI, MADIA, BELLANOVA e CODURELLI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 22 giugno 2011, nel corso dell'«indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo», svoltasi presso la Commissione lavoro della Camera dei deputati, sono stati auditi i rappresentanti del consorzio universitario Alma Laurea; tra questi, il professor Francesco Ferrante, nominato nel comitato scientifico di Almalaurea, dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha posto l'accento sull'importanza della formazione del lavoratore e sulla questione della mancanza di diplomati nel settore tecnico-professionale, ritenuta molto importante «anche perché il dibattito in questi ultimi due anni si è basato su dei calcoli di questo gap che io ritengo abbastanza discutibili»;
il professor Ferrante ha affermato che il «grafico normalmente mostrato, che dovrebbe indicare la presenza di un deficit di diplomati tecnici-professionali, si basa sul confronto tra la domanda di diplomati tecnici-professionali delle indagini Excelsior e il numero di diplomati »sfornati« dalle scuole superiori in quell'anno. Ora, questo dato dimentica che esistono 900 mila disoccupati con diploma nel mercato del lavoro. Allora, o le imprese ritengono che, di questi 900 mila, i disoccupati con diploma almeno 500 mila saranno con diploma tecnico-professionale, o che questi diplomati non possono essere assolutamente riassorbiti e rioccupati, la qual cosa mi preoccupa assai perché questo significa, evidentemente, immaginare che queste persone non abbiano le competenze adatte e si tratterebbe di 500 mila persone. Può trattarsi di un problema ancora diverso: come è stato in parte prima evidenziato, vi è un differenziale di costo tra il neodiplomato e il diplomato con esperienza che rende non conveniente all'impresa assumere un diplomato che abbia anche l'esperienza già pregressa, che quindi forse potrebbe anche essere valorizzato»;
secondo il rappresentante di Almalaurea, bisogna domandarsi perché «le imprese, legittimamente, affermano di avere difficoltà a trovare dei diplomati quando, contemporaneamente, abbiamo un tasso di disoccupazione di diplomati dell'ordine dell'8,5 per cento. Ancora una volta, probabilmente, la soluzione è trovare degli strumenti che consentano alle imprese di formare i lavoratori in età più adulta»;
il professor Ferrante concludeva il suo intervento ricordando che «il fabbisogno di formazione cresce con il livello di istruzione - questo è un dato valido in tutto il mondo - e la produttività della formazione con il livello di istruzione. Questo significa che il nostro gap in termini di investimenti di formazione in qualche maniera si correla a quello in termini di livelli di istruzione della forza lavoro, e quindi le due questioni vanno affrontate assieme»;
le riflessioni sopra riportate vanno messe a confronto con le dichiarazioni rese dal Sottosegretario Bellotti, nel corso della risposta all'interrogazione n. 5-04948, presentata dalla prima firmataria del presente atto, il quale dichiarava che «il sistema Excelsior fornisce indicazioni di previsione sull'andamento del mercato del lavoro e sui fabbisogni professionali e formativi delle imprese indispensabili supporti nella programmazione della formazione, dell'orientamento e delle politiche del lavoro. Tale indagine, effettuata proponendo ad un campione di imprese una specifica intervista, si riferisce, perciò, alle previsioni occupazionali per il futuro delle imprese, non riguarda, quindi, le competenze ricercate ma non trovate.»;
il Sottosegretario Bellotti, nella stessa occasione, elencava le iniziative assunte dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per cercare di mettere in contatto le imprese e i lavoratori: l'istituzione del portale on line clic lavoro «che rappresenta, tra l'altro, un luogo di incontro virtuale tra chi cerca e chi offre lavoro, su

tale portale, infatti, i cittadini possono inserire i loro curricula vitae e le aziende i propri profili»; la «sperimentazione di un progetto che consente di incrociare i dati previsionali forniti dal sistema Excelsior con i dati anagrafici di coloro che cercano occupazione in possesso dei centri provinciali per l'impiego sparsi su tutto il territorio nazionale»; la messa a punto, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di «una serie di strumenti, raccolti sistematicamente nel documento «Italia 2020» - Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro. Il Piano individua linee di azione comuni al Ministero del lavoro e a quello dell'Istruzione da perseguire per costruire un rapporto nuovo e più integrato tra sistema formativo e mondo del lavoro al fine di realizzare la piena occupabilità dei giovani»;
gli interroganti ritengono che le misure enunciate dal rappresentante del Governo siano assolutamente insufficienti per raggiungere gli obiettivi prefissati; essi, inoltre, sono convinti che per rendere davvero efficace il sistema Excelsior ci si dovrebbe avvalere delle riflessioni effettuate dai rappresentanti del consorzio Almalaurea, al fine di riorganizzare gli strumenti di rilevamento dei fabbisogni formativi e professionali e renderli davvero correlati alle esigenze delle imprese e alla disponibilità di qualifiche tecnico-professionali offerte dai lavoratori -:
se non si ritenga di promuovere un potenziamento delle misure di intervento avviate al fine di sopperire ai fabbisogni professionali e formativi espressi dalle imprese;
se non ritenga che il sistema informativo Excelsior, così come attualmente strutturato, e cioè incentrato sulle previsioni occupazionali per il futuro delle imprese e non riguardante le competenze professionali ricercate ma non trovate, sia inadeguato a rappresentare il reale fabbisogno professionale e formativo espresso dalle imprese;
se, a tal fine, non ritenga opportuno tener conto delle valutazioni espresse in premessa dai rappresentanti del consorzio universitario Almalaurea.
(5-05257)

Interrogazioni a risposta scritta:

GIANNI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la vicenda dei lavoratori interinali dell'INPS è stato oggetto di più atti di sindacato ispettivo, tra cui la risoluzione unitaria in Commissione lavoro in cui si impegnava il Governo «ad assumere le iniziative di competenza per rimuovere, in tempi compatibili con quanto esposto in premessa, il vincolo normativo attualmente vigente, tenendo fede agli impegni assunti più volte in Assemblea, permettendo la prosecuzione dell'impiego di lavoratori con contratti di somministrazione di lavoro operanti presso gli enti previdenziali, con l'obiettivo di assicurare i medesimi livelli di servizio attraverso l'impiego di personale in grado di far fronte agli effetti conseguenti dall'applicazione delle disposizioni in materia di riduzione delle risorse umane, senza peraltro determinare forme di stabilizzazione del rapporto di lavoro suscettibili di alterare il quadro normativo vigente per tutta la pubblica amministrazione e fermo restando il diritto dei vincitori di concorso»;
lo scopo evidente era quello di «guadagnare» tempo al fine di rimuovere l'attuale vincolo normativo e consentire in tal modo il mantenimento dell'impiego di questi lavoratori con il contratto di somministrazione;
ciò veniva richiesto, non solo per l'obiettivo sacrosanto di non far perdere il posto di lavoro ai 1800 dipendenti ma anche per consentire all'INPS di continuare ad erogare i servizi che facevano capo agli stessi e che erano essenziali per il buon funzionamento dell'ente in questione;

in tal modo non si sarebbe determinata nessuna forma stabile di lavoro, né si sarebbe messo in discussione il diritto per i vincitori del concorso in atto di essere assunti;
il Ministro per l'attuazione del programma, Rotondi, rispondendo al question time n. 3-01737 di cui era primo firmatario l'odierno interrogante, affermò che «il 27 giugno, nell'ambito di una manifestazione sindacale, una delegazione composta dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori somministrati è stata ricevuta dai dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze. Nel corso di tale incontro, i rappresentanti del Ministero, accogliendo un'espressa proposta in tal senso, hanno manifestato la disponibilità dell'amministrazione a partecipare ai lavori di un apposito tavolo tecnico, con il coinvolgimento dei Ministeri competenti, per verificare l'esistenza di possibili soluzioni alla problematica in esame»;
tale impegno, pur non trattando direttamente la questione riguardante l'immediata riassunzione dei 1800 lavorati INPS, era il segnale, in ogni caso, di una attenzione forte da parte del Governo sulla vicenda in esame;
adesso l'INPS starebbe cominciando ad assumere i vincitori del concorso bandito dall'ente medesimo, ma il numero dei nuovi assunti non sarebbe sufficiente a riempire i vuoti di personale determinatisi con il pensionamento di oltre 7000 lavoratori negli ultimi anni -:
a quante unità ammontino i nuovi lavoratori che saranno assunti dall'INPS in quanto vincitori di concorso e in che tempi sia prevista la loro immissione nei posti di lavoro;
se tali assunzioni riusciranno a riempire i vuoti nella pianta organica che si sono creati all'interno dell'INPS in seguito ai pensionamenti e se cosi non fosse, cosa di cui l'interrogante è certo, se non si ritenga di consentire allo stesso ente di assumere altri lavoratori con contratto di somministrazione al fine di consentire l'erogazione di quei servizi essenziali che si sono interrotti in seguito all'avvenuto licenziamento dei 1800 lavoratori interinali;
se il tavolo tecnico di cui in premessa sia stato avviato con la dovuta urgenza stante la delicatezza della questione e se non si ritenga che possa avere al centro della discussione la proposta ricordata che, non toccando ovviamente il diritto dei vincitori di concorso ad essere assunti, consentirebbe una maggiore efficienza dell'ente e la possibilità per molti giovani di trovare un lavoro, anche se non stabile.
(4-12975)

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 509 del 1994 ha trasformato in persone giuridiche private gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza, quali Onaosi, Inpgi, Inpdai, Enpaia, Enpav, Enpaf, Enpam, Enpacl, Enasarco, Cassa naz. di previdenza e assistenza avvocati e procuratori legali, Cassa di previdenza tra dottori commercialisti, Cassa naz. prev. e assistenza rag. e periti commerciali, Cassa naz. di prev. e assistenza geometri, Cassa naz. prev. e assistenza ingegneri ed architetti e liberi professionisti, Cassa naz. del notariato, Fondi di prev. per gli impiegati delle imprese di spedizione e agenzie marittime;
tali enti, a decorrere dal 1o gennaio 1995, sono stati trasformati in associazioni o in fondazioni, con deliberazione dei competenti organi di ciascuno di essi e adottata a maggioranza qualificata dei due terzi dei propri componenti, a condizione che non usufruissero più di finanziamenti o altri ausili pubblici di carattere finanziario (articolo 1 decreto legislativo n. 509 del 1994);
detti enti privatizzati, così come disposto dal succitato decreto, «...continuano a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumono la personalità giuridica

di diritto privato, ai sensi dell'articolo 12 (...) rimanendo titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni...», e «...hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta...»;
per la natura pubblica dell'attività svolta inoltre, tali enti sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, del Ministero del tesoro, oltre che a quella dei Ministeri specifici, competenti per ciascun ente contestuale al controllo esercitato dalla Corte dei conti, che riferisce annualmente al Parlamento, sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie;
la Corte costituzionale ha sancito che l'organizzazione giuridica della previdenza sociale, pur presentando una sensibile varietà di sistemi, comunque conserva la prevista contribuzione obbligatoria che, concretandosi in un'erogazione di denaro necessitata ex lege, realizza lo schema del finanziamento pubblico dell'ente, ancorché non nell'esclusivo interesse di questo, ma comunque finalizzato a soddisfare esigenze solidaristiche, quali sono quelle sottese ai tipi di trattamenti e di prestazioni erogabili agli iscritti;
in data 3 febbraio 2011 con la segnalazione, al Governo ed al Parlamento, dell'autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, approvata dal Consiglio nella seduta del 26 gennaio 2011, si ravvisa una forma di contribuzione obbligatoria di tipo solidaristico, posta a carico degli iscritti degli enti privatizzati, la quale realizza una forma indiretta di concorso finanziario dello Stato;
tale contribuzione obbligatoria rappresenta comunque un'erogazione di denaro riconosciuta all'ente ex lege, sebbene non integri un'obbligazione formalmente tributaria, è idonea ad integrare lo schema del finanziamento pubblico a favore degli enti privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994;
l'allegato III della direttiva 2004/18/CE (modificabile solo seguendo la procedura all'uopo stabilita), nell'elencare, in via non limitativa, gli organismi e le categorie di organismi di diritto pubblico, include espressamente in tale novero tutti gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza;
la stessa autorità di vigilanza ha rilevato necessario un intervento normativo sugli enti privatizzati che renda chiare le norme da applicare, evitando un ulteriore aggravio di spese e il sorgere di contenziosi, invitando con urgenza Governo e Parlamento a legiferare in tal senso;
da tale segnalazione dell'autorità per la vigilanza emergerebbe l'indicazione di applicare la legge sugli enti pubblici alle dismissioni e/o ai contratti di affitto degli enti privatizzati, circostanza che porterebbe ad applicare condizioni diverse ai contratti e di conseguenza ai canoni da quelle applicate dagli enti privatizzati;
le condotte poste in essere dagli enti privatizzati in merito alle dismissioni e/o ai contratti di affitto, alle quali non è stata applicata la legge sugli enti pubblici risulterebbero, a parere dell'interrogante in contrasto con quanto disposto dalla normativa sovranazionale e con quanto stabilito dalla Corte di giustizia, che si è espressa, più volte, affermando che di un organismo, ai fini della sua qualificazione come ente pubblico, occorre sempre verificare la situazione giuridica e pertanto, se lo stesso soddisfi i tre requisiti fondamentali recepiti anche dal legislatore nazionale all'articolo 3, comma 26, del codice dei contratti pubblici, ovvero il requisito teleologico, il possesso di personalità giuridica ed il requisito dell'influenza pubblica dominante;
il contrasto normativo del diritto nazionale con la normativa comunitaria, con profili di illegittimità costituzionale, in

contrasto con il principio sancito nell'articolo 3 che prevede e garantisce l'eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini dinnanzi alla legge, assegnando, proprio allo Stato, il compito di rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che, di fatto, la limitano, impedendone il pieno sviluppo e l'effettiva partecipazione all'organizzazione del Paese;
i contrasti normativi tra la legislazione nazionale e quella comunitaria, fatta salva la prevalenza del diritto comunitario su quello interno in ragione dell'applicazione uniforme del diritto comunitario in tutti gli Stati membri e della conseguente limitazione della potestà legislativa nazionale, obbliga ciascuno Stato membro a uniformarsi alla normativa comunitaria, adeguando la propria legislazione;
comitati inquilini degli enti privatizzati, hanno depositato presso la Corte dei conti due esposti - denuncia per contestare tali problematiche: il primo esposto è stato depositato alla procura della Corte dei conti per accertare i reali benefici di cui hanno goduto tali enti attraverso finanziamenti e/o agevolazioni pubbliche nell'acquisizione del patrimonio immobiliare di cui gli stessi sono proprietari. Il secondo esposto è stato inoltrato al presidente della sezione controllo degli enti: nello stesso è stato chiesto di voler sollevare l'incostituzionalità della legge che ha privatizzato gli enti, poiché l'attuale legislazione è in contrasto sia con la normativa europea, cioè la direttiva CEE 2004/18, sia con la normativa nazionale, comportando l'illegittimità costituzionale delle norme applicate;
la mancata applicazione agli enti privatizzati della legge sugli enti pubblici realizzerebbe, infatti, un'evidente disparità di trattamento tra inquilini, a seconda che questi, abbiano, ab origine, stipulato il contratto locatizio con un ente pubblico o con un ente pubblico poi privatizzato, ma che conserva la sua natura di organismo di diritto pubblico, relativamente alla sua causa e funzione;
secondo una agenzia stampa diffusa il 2 agosto 2011 da Adnkronos domani olle ore 9.30, presso la Sezione 3 Bis del TAR del Lazio, si discuterà il ricorso presentato dagli inquilini Enasarco, in merito alla illegittimità dei prezzi di vendita degli immobili stabiliti dall'Ente nella lettera di diritto di prelazione sul patrimonio immobiliare;
il Tar dovrà decidere, si apprende dalla stessa fonte, in merito alle richieste presentate nell'interesse degli inquilini dall'avvocato Vincenzo Perticaro, e quindi se per le vendite degli immobili dell'ente debba essere applicata la legge sugli enti pubblici, oppure sollevare l'illegittimità costituzionale della legge di privatizzazione degli enti, che determina disparità di trattamento con i conduttori di enti pubblici;
secondo quanto affermato in una nota stampa del sindacato Asia-Usb «se il Tar dovesse decretare di applicare alle dismissioni dell'Enasarco la legge sugli Enti pubblici, moltissimi cittadini potrebbero acquistare la casa agli stessi prezzi e con gli stessi benefici degli inquilini degli enti pubblici» -:
cosa intenda fare il Ministro interrogato in merito a quanto esposto e se non ritenga opportuno un intervento urgente per colmare il vuoto normativo, anche in virtù di quanto previsto dalla normativa comunitaria e da quanto rilevato dall'autorità di vigilanza;
se e quando il Governo, garantendo principi di equità e trasparenza, intenda chiarire quale norma debba essere applicata agli enti privatizzati, in particolare per quanto concerne la dismissione già in atto degli immobili degli enti previdenziali, riconoscendo a migliaia di inquilini e famiglie la giusta tutela.
(4-12984)

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PARI OPPORTUNITÀ

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARIANI, AMICI, LENZI, VILLECCO CALIPARI, ALBINI, BELLANOVA, BRAGA, BOSSA, CAPANO, CENNI, CODURELLI, CONCIA, COSCIA, DE BIASI, DE PASQUALE, FERRANTI, FRONER, GARAVINI, GATTI, GNECCHI, LO MORO, MADIA, MOTTA, MURER, PEDOTO, ROSSOMANDO, SERVODIO, SIRAGUSA e SCHIRRU. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
nel nostro Paese il fenomeno della violenza contro le donne continua oggi a manifestarsi in tutta la sua tragicità con dati che non accennano a diminuire, come testimoniano gli ultimi rilevamenti Istat disponibili;
i centri di accoglienza per le donne vittime di violenza rappresentano un punto di riferimento sul territorio e un aiuto, spesso offerto a titolo gratuito da personale volontario, di fondamentale importanza per chi si trovi in difficoltà;
le principali reti di associazionismo femminile, impegnate sui temi della tutela della donna e dei servizi territoriali contro la violenza, si trovano a dovere lanciare un grido di allarme per la chiusura forzata di numerosi centri antiviolenza e case rifugio;

tra i centri attivi sul territorio si segnala ad esempio la richiesta di aiuto dell'associazione Luna Onlus, facente parte della più ampia rete nazionale D.i.Re. e operante nella provincia di Lucca, la quale lamenta gravi difficoltà derivanti dalla cronica mancanza di fondi per far fronte alle attività quotidiane;
le difficoltà dei centri, interamente finanziati dagli enti locali, appaiono essere diretta conseguenza della drastica riduzione dei trasferimenti a regioni, province e comuni a seguito delle rigide misure di controllo del debito pubblico prese dal Governo;
nell'ottobre 2010 è stato approvato il Piano nazionale antiviolenza con le seguenti finalità: assicurare un livello di informazione adeguato; garantire ed implementare una rete tra i centri antiviolenza e le altre strutture pubbliche e private di territori, in modo da assicurare private di territori, in modo da assicurare un'adeguata assistenza alle vittime su tutto il territorio nazionale; assicurare lo sviluppo di tutte le professionalità che entrano in contatto con le tematiche della violenza di genere; prevedere una raccolta strutturata di dati e di informazioni del fenomeno per comprenderlo meglio e seguirne l'evoluzione; potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli. Tra gli obiettivi del Piano figura inoltre la formazione degli operatori e delle operatrici che svolgono attività di prima accoglienza alle vittime di violenza: operatori sanitari dei dipartimenti di emergenza-accettazione, psichiatri, medici, ginecologi, psicologi, sociologi, operatori di accoglienza, operatori del 118, operatori di servizi sociali;
per il suddetto Piano nazionale antiviolenza era stato annunciato un finanziamento pari a 18 milioni di euro, oltre ad ulteriori risorse pari a cinque milioni di euro prelevate dal Fondo per le pari opportunità a valere sul capitolo 493 del bilancio di previsione per l'anno 2011 della Presidenza del Consiglio dei ministri;
il 25 gennaio 2011 è stata approvata la mozione a prima firma Amici che impegna il Governo: davviare, prevedendo un'adeguata copertura economica, un piano d'intervento nazionale, curato dal dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in accordo con la Conferenza unificata, mirato al sostegno di case rifugio, centri antiviolenza, alla predisposizione di campagne informative e formative nonché di un sistema di misure a tutela delle vittime della violenza, alla costruzione di azioni concrete di prevenzione, nonché ad assumere ogni iniziativa diretta a incrementare i fondi stanziati a favore del dipartimento per le pari opportunità per il finanziamento della rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio al fine di scongiurarne la chiusura e il ridimensionamento, dando, finalmente a questi fondamentali

servizi una stabilità e il senso di appartenere ad un sistema strutturato e integrato -:
quali siano le motivazioni per cui gli stanziamenti annunciati dal Ministero a sostegno dei centri antiviolenza non sono ancora stati erogati e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di dare seguito all'attuazione del Piano nazionale antiviolenza.
(5-05250)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:

LIBÈ e DELFINO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
i settori della pesca e dell'acquacoltura sono nel tempo diventati dei campi nei quali la figura professionale del biologo trova un'importante espressione dettata dalle specifiche competenze acquisite, rivolte all'approfondimento di ricerche e stime destinate ad una maggiore conoscenza dell'ambiente marino e delle popolazioni ittiche esistenti;
la tendenza sopracitata sembra non trovare riscontro alcuno nelle amministrazioni addette alla selezione di personale specializzato, giungendo a menzionare, nei bandi di gara emessi, frequenti riferimenti alle attività di assistenza tecnica, dimenticando spesso di includere in tali offerte lavorative, profili professionali affini a quelli previsti per esperti in materie biologiche;
ultimo esempio di un simile andamento è proprio il bando di gara pubblicato recentemente, e scaduto lo scorso 26 maggio 2011 il quale, rivolgendosi alle operazioni necessarie per lo svolgimento di attività di promozione nelle zone di pesca costiere che vivono una situazione di crisi, fa esplicita richiesta di undici figure professionali in possesso del diploma di laurea in materie giuridiche, economiche e politiche;
nella gestione delle politiche della pesca e dell'acquacoltura, la ricerca scientifica ha tutto l'interesse allo svolgimento di attività tese all'ampliamento delle basi conoscitive, di analisi, di supporto, finalizzate al raggiungimento delle misure più idonee alla valorizzazione delle risorse disponibili, per le quali la figura di biologo risulta essere la più adatta ed essenziale ad un simile obiettivo -:
quali iniziative di competenza ritenga opportuno intraprendere al fine di potenziare un settore primario per il patrimonio del Paese, necessariamente bisognoso di figure professionali dotate di coerenti e spiccate doti di natura scientifica, prima ancora che tecnica.
(3-01791)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

OLIVERIO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in una recente inchiesta giornalistica pubblicata sul quotidiano la Repubblica in data 29 luglio 2011 «Boom di pesci taroccati cosi l'import senza controlli stravolge la nostra tavola» si denuncia una vera e propria invasione di pescato di importazione venduto in Italia come prodotto nostrano ad un prezzo otto volte superiore a quello originale;
i dati forniti dalla Coldiretti sono, a giudizio dell'interrogante, molto preoccupanti: «due terzi del pesce servito sulle tavole italiane è finto, taroccato» e, secondo dati forniti dall'Istituto di ricerche economiche per la pesca e l'acquacoltura, in Italia sono state commercializzate circa 900 mila tonnellate di pesce per un ricavo di circa 1.167 milioni di euro, di cui solo 231.109 tonnellate sono state pescate nel mare italiano;
il problema, si legge sempre nell'articolo, è che molto spesso, anzi quasi

sempre, il pesce che arriva dall'estero non è di qualità. Spesso è pericoloso perché non è tracciato e non tracciabile e soprattutto viene venduto per quello che non è. Tra i pesci maggiormente taroccati, ovvero venduti come made in Italy e per quello che non sono, figurano: i gamberetti del Mozambico, il pangasio, un pesce pescato nel Mekong, venduto abitualmente come filetto di cernia, il polpo proveniente dal Vietnam, il pollack stagionato venduto come merluzzo fresco, il trancio di squalo meriglio venduto come pesce spada, il filetto di brosme venduto come baccalà, il pesce serra venduto come spigola, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, la verdesca al posto del pescespada, l'halibut atlantico al posto delle sogliole;
il settore italiano della pesca è ormai da diversi anni in crisi. Secondo i dati del centro studi Lega Pesca sono rimasti, in Italia, solo 28.542 pescatori, il 61,4 per cento concentrato al sud e nelle isole con un'età media tra i 41 e 43 anni solo grazie all'ingresso di giovani immigrati. Anche la denuncia del presidente dell'Associazione acquacoltori della Coldiretti desta forte preoccupazione: «Nel giro di due anni il settore ha perso il 12 per cento della produzione e l'11 per cento dei ricavi e, nei primi mesi dell'anno, la quota di importazione continua a salire: da oggi fino alle fine dell'anno non si venderà più pesce italiano»;
gli affari del pesce taroccato - continua l'inchiesta - sono nelle mani degli importatori, spesso vecchi armatori, con legami anche con la criminalità organizzata. Inoltre, un ruolo importante in questo business sarebbe svolto anche dal settore della ristorazione che attesta al 75 per cento circa il consumo extradomestico di prodotti ittici;
l'import «selvaggio» di pescato dall'estero comporta anche danni all'ecosistema. Infatti, le importazioni e l'allevamento di specie non autoctone stanno mettendo a rischio alcune nostre specialità, come alcuni tipi di crostacei -:
se sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa e quali azioni intenda pianificare e predisporre per allontanare il rischio di frodi, garantire la qualità dei prodotti in termini di tracciabilità e sicurezza alimentare, nonché tutelare i pescatori italiani;
se intenda, in particolare, adottare tutte le opportune iniziative per garantire che venga introdotta l'indicazione della provenienza nei menu della ristorazione al fine di tutelare i consumatori e difendere le produzioni made in Italy dalle falsificazioni;
se intenda intervenire con la massima urgenza per intensificare i controlli soprattutto a garanzia degli ignari consumatori, sulla provenienza e sulle garanzie igienico-sanitarie del pesce proveniente dall'estero al fine di poter permettere allo stesso di conoscere e premiare con il prezzo la qualità ben identificata;
se e quali provvedimenti intenda adottare a sostegno dell'intero settore della pesca, un'attività di grande rilevanza socio-economica, già gravato da numerosi problemi legati ai bassi rendimenti e alla scarsa quantità di pesce presente nei nostri mari.
(5-05244)

DELFINO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi periodi si sta assistendo ad atteggiamenti assolutamente discriminatori da parte della Russia, nei confronti di alcuni prodotti italiani;
a seguito dell'epidemia causata dal batterio escherichia coli la Russia ha deciso di bloccare le importazioni di ortaggi e legumi freschi, nonostante le autorità sanitarie europee abbiano escluso che l'epidemia si sia scatenata a causa dei cetrioli;
le associazioni di settore considerano il blocco imposto del tutto inopportuno ed estremamente dannoso per il nostro Paese, considerata la continua crescita delle nostre

esportazioni ortofrutticole nel mercato russo, con una perdita di oltre 4 milioni di euro;
altro atteggiamento discriminatorio è stato, inoltre, riscontrato nella decisione del Governo russo di applicare ai vini italiani un aumento della tassazione, con un incremento di circa il 30 per cento del prezzo finale, assolutamente maggiore rispetto al 12 per cento applicato da Francia e Spagna;
tali regole, oltre a rappresentare un aggravio significativo per le nostre imprese, hanno conseguenze di mercato inimmaginabili -:
quali urgenti iniziative intenda assumere, anche in sede europea, al fine di sollecitare una revoca del divieto imposto dalla Russia alle importazioni di prodotti ortofrutticoli italiani, considerando le gravi ripercussioni economiche che tale misura sta causando al settore, già fortemente in crisi;
quali iniziative intenda intraprendere al fine di garantire il ripristino di pari condizioni alle esportazioni dei vini italiani in Russia rispetto a quelli di altri Paesi.
(5-05259)

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SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
a seguito della adozione della pillola Ru486 da parte degli ospedali italiani a partire dal 1o aprile 2010 il Ministero della salute ha emanato alcune linee guida;
un approfondimento sull'utilizzo della pillola Ru486 e sulle applicazione delle linee guida predisposte dal Ministero è stato avviato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali della Camera dei deputati;
già nel corso della preistruttoria sono stati evidenziati alcuni casi di uso della pillola abortiva che, correlati ad un utilizzo domiciliare e non in regime di ricovero, avevano avuto preoccupanti ripercussioni sulla salute delle pazienti;
da una notizia pubblicata sul quotidiano Avvenire il 29 luglio 2011 emerge che si sta valutando l'opportunità di effettuare un ricorso contro le linee guida adottate dalla giunta regionale umbra per l'interruzione volontaria della gravidanza con la pillola Ru486 in regime di day hospital;
la decisione della giunta umbra di consentire l'uso della pillola abortiva in regime di day hospital rinforza una condotta potenzialmente pericolosa, in contrasto con i pareri del Consiglio superiore di sanità e dell'Aifa, e che non tiene alcun conto delle direttive del Ministero della salute;
nel mese di dicembre 2009 il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, preso atto che «quanto ai farmaci abortivi, l'articolo 4 paragrafo 4 della direttiva 2001/83/CE del Parlamento Europeo prevede che essa (direttiva) non osta all'applicazione delle legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l'uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi», ha inviato una comunicazione alla Commissione europea, in cui, in ossequio alla legislazione materia di aborto, ha specificato che la vendita, la fornitura e l'uso della pillola Ru486, per uso abortivo, deve essere subordinata alle seguenti condizioni:
a) l'intera procedura abortiva, e fino all'accertamento dell'avvenuta espulsione dell'embrione, deve essere effettuata in regime di ricovero ordinario nelle strutture sanitarie indicate dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978, in presenza di una

specifica sorveglianza da parte del personale sanitario cui è demandata la corretta informazione sul trattamento, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative disponibili e sui possibili rischi del metodo, in particolare relativi alla eventuale richiesta di dimissioni anticipate del paziente;
b) l'intera procedura deve essere sottoposta ad un attento monitoraggio in tutte le fasi del percorso abortivo, con particolare riferimento al momento dell'espulsione del prodotto del concepimento;
il principio di precauzione e di tutela della salute della donna, già previsto nella legge 22 maggio 1978 n. 194 su «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», con un attento monitoraggio in tutto il percorso abortivo e con particolare riferimento al momento dell'espulsione dell'embrione, è chiaramente compromesso se si consente l'applicazione di linee guida che prevedono un ricovero ospedaliero praticamente ridotto a poche ore -:
se non ritenga opportuno assumere informazioni circa il rispetto della procedura di somministrazione e utilizzo della pillola abortiva Ru486 nelle strutture ospedaliere italiane, al fine di verificare se ci sia conformità con le linee guida di precauzione indicate a livello nazionale.
(2-01183)
«Polledri, Negro, Fugatti, Mazzuca, Taddei, Franzoso, Biava, Misuraca, Barani, De Luca, Marinello, Laura Molteni, Rivolta, Alessandri, Palmieri, Renato Farina, Garagnani, Bragantini, Follegot, Crosio, Bertolini, Lainati, Fedriga, Bernardo, Tommaso Foti, Castiello, Maggioni, Vella, Cosentino, Garofalo, Leo, Chiappori, Isidori, Pisacane, Centemero, Capitanio Santolini, Paolini, Pastore, Pugliese».

Interrogazioni a risposta scritta:

FUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
è noto dalla letteratura scientifica che aborto farmacologico e aborto chirurgico presentano diversi tipi di rischio. In particolare, la mortalità da aborto chimico, come riportato dal New England Journal of Medicine del dicembre 2005, è dieci volte superiore a quella dell'aborto chirurgico;
dall'indagine parlamentare condotta dalla Commissione Sanità del Senato nel novembre 2009 si è poi avuta notizia di trenta morti a seguito dell'assunzione della Ru486, la cosiddetta pillola abortiva, principale farmaco utilizzato nella procedura di aborto chimico;
successivamente, a mezzo stampa, si sono avute più volte altre notizie di decessi a seguito di assunzione della Ru486. Da ultimo si ricorda un aggiornamento da parte della U.S. food and drugs administration che riferisce di 14 decessi e di migliaia di eventi avversi;
è urgente e necessario - in particolare oggi dopo che l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha autorizzato la commercializzazione della Ru486 nel nostro Paese - che le informazioni sulle morti e sugli eventi avversi, e in generale su questa particolare procedura abortiva, siano chiare e univoche sia per l'opinione pubblica, sia per la classe medica che è tenuta all'applicazione corretta della legge n. 194 del 1978 -:
in base ai dati in possesso al Ministero della salute, quale sia l'effettiva situazione riguardo agli eventi avversi e ai decessi segnalati alle autorità internazionali, europee e americane riguardo alla somministrazione, abortiva e non, di Ru486;
quali eventuali misure, alla luce delle considerazioni di cui in premessa, il Governo intenda attuare a ulteriore tutela della salute delle donne.
(4-12967)

PALAGIANO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la terapia domiciliare è, molto spesso, la principale forma di assistenza sanitaria per i pazienti affetti da gravi patologie neurodegenerative quali la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), specie per coloro che si trovano in uno stadio avanzato della malattia;
in Italia, gli affetti da SLA, sono circa 5.000, con 1.000 nuove diagnosi all'anno. Il numero, tuttavia, è approssimativo poiché non è stato mai istituito nel nostro Paese un registro dei malati di SLA. Da anni, ormai, queste persone chiedono la revisione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e del nomenclatore tariffario, fermo al 1999, così da poter ricevere un'assistenza sanitaria degna di questo nome;
il servizio di assistenza per i malati affetti da gravi patologie del sistema neuromuscolare, come appunto la SLA, sono molto diverse da regione a regione, e solo in alcune esistono centri e forme di assistenza efficienti;
in Campania, ad esempio, l'assistenza agli affetti da SLA è tuttora «a macchia di leopardo» e, soltanto pochi mesi fa, è stato istituito un tavolo tecnico regionale sulla SLA che ha l'obiettivo di attivare le procedure utili di accompagnamento, verifica e monitoraggio dell'attuazione del percorso di assistenza ai cittadini affetti da questa tremenda patologia. Nonostante ciò, l'assistenza sanitaria per questi pazienti, è ogni giorno più a rischio;
nel maggio del 2011, a Caserta, secondo quanto riportato da alcune testate giornalistiche, un ragazzo di 14 anni affetto da SLA giovanile ha rischiato di perdere l'assistenza sanitaria, indispensabile per la sua sopravvivenza, poiché l'Asl ha dichiarato di non avere più fondi per pagare la struttura che erogava i servizi e di non possedere le attrezzature e le risorse umane per poter curare il giovane paziente;
stessa sorte rischiano i pazienti affetti da SLA che usufruiscono dei servizi e dell'assistenza della Asl Napoli-3 Sud. Dal 1o gennaio 2011, infatti, gli operatori del progetto, medici, infermieri e operatori socio-sanitari che si occupano dell'assistenza per i malati di SLA, non ricevono le spettanze dall'azienda competente;
questa situazione, secondo quanto appreso sia da fonti pubbliche sia attraverso segnalazioni pervenute all'interrogante dai familiari di alcuni dei pazienti «a rischio», potrebbe sfociare, dal corrente mese di agosto, nella sospensione del servizio di assistenza domiciliare a seguito di una forma di protesta che, seppur legittima, potrebbe avere gravi ripercussioni sui circa trenta pazienti che necessitano delle terapie presso la propria abitazione. Questi si trovano in uno stadio molto avanzato della malattia e la mancata prestazione degli operatori sanitari potrebbe provocare un aggravamento delle condizioni di vita e la compromissione irreversibile dei parametri vitali -:
se, nell'ambito delle proprie competenze, intenda avviare con urgenza, così come stabilito da un ordine del giorno a prima firma dell'interrogante accolto dal Governo in data 12 luglio 2011, una efficace attività di censimento e monitoraggio al fine di conoscere l'esatto numero di pazienti affetti da SLA e acquisire elementi sulle reali condizioni di assistenza, anche domiciliare, presenti nella regione Campania, così come nelle altre regioni italiane, stabilendo anche dei servizi di assistenza obbligatoria;
quale sia l'entità dei fondi per l'assistenza ai malati di sclerosi laterale amiotrofica nella regione Campania e come la regione utilizzi tali importanti risorse, atte a tutelare umicamente la salute di cittadini affetti da un male altamente invalidante considerando che la sanità campana è sottoposta a commissariamento;
se, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro intenda procedere all'immediato aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e di conseguenza del nomenclatore tariffario, al fine di assicurare - tra le altre cose - un'adeguata

assistenza agli affetti da sclerosi laterale amiotrofica, alleviando le loro sofferenze e assicurandogli le adeguate tecnologie per comunicare con l'esterno, garantendo loro una qualità della vita più dignitosa.
(4-12976)

NUNZIO FRANCESCO TESTA. - Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
è in atto un'importazione sospetta di cani da canili spagnoli, operata da privati e da associazioni italiane;
nei giorni scorsi le autorità spagnole hanno sequestrato un furgone in partenza per l'Italia, sprovvisto dei requisiti indispensabili per il trasporto in sicurezza di animali da compagnia e contenente cani con dubbie certificazioni sanitarie e documenti non in regola;
l'importazione di cani non sterilizzati, spagnoli ma non solo, privi dei controlli sanitari, in molti casi affetti da malattie mediterranee e sprovvisti della possibilità concreta di trovare una sistemazione, ha determinato una situazione ormai sfuggita a ogni controllo, che ha comportato un aumento nel nostro Paese del numero di cani soprattutto spagnoli randagi o rinchiusi nei nostri canili;
in molte regioni, in particolare nel Mezzogiorno, i canili si trovano già in situazioni di sovraffollamento, destinate nei prossimi mesi a un sicuro peggioramento;
la presenza di malattie mediterranee facilmente trasmissibili e di altre infezioni può rappresentare un concreto pericolo per la salute della popolazione canina italiana e, di conseguenza, anche per l'uomo;
l'eccessiva presenza di cani spagnoli non sterilizzati risulterebbe anche dal sensibile aumento di chiamate e segnalazioni all'associazione GACI di esemplari di Galgo privi di documentazione sanitaria;
questa vera e propria «tratta di cani» è aggravata dal comportamento di privati ed associazioni senza scrupoli che non mancano di richiedere a vario titolo e con diverse modalità contributi economici a terzi in buona fede, sfruttando la loro sensibilità per le tematiche animaliste -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione, se intendano farvi fronte e con quali iniziative.
(4-12986)

MIOTTO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la fendimetrazina è una sostanza anoressizzante, preparata dal farmacista come prodotto galenico magistrale ed è usata per trattare l'obesità, ma è da tempo sottoposta a limitazioni rilevantissime perché considerata pericolosa per la salute pubblica;
con decreto del Ministro della sanità del 18 settembre 1997 è stato fatto divieto ai farmacisti di eseguire preparazioni magistrali contenenti fendimetrazina e contestualmente sono stati inibite ai medici le prescrizioni di tali farmaci;
con successivo decreto in data 24 gennaio 2000 il Ministro della sanità imponeva limitazioni più stringenti nell'utilizzo della fendimetrazina, in quanto ne era stata ravvisata la pericolosità per la salute pubblica;
anche l'Enea aveva dichiarato «fuorilegge» alcune sostanze anerossizzanti come la fendimetrazina;
è invece continuata la prescrizione, da parte di medici specialisti, della sostanza anoressizzante fendimetrazina, già segnalata per gli effetti pericolosi che provoca e che in qualche circostanza ha condotto alla morte di alcuni pazienti;
fra le numerose persone trattate con fendimetrazina viene segnalato il caso del signor M., deceduto all'età di 38 anni, per il quale è stata accertata la correlazione fra l'assunzione del farmaco ed il decesso: nonostante l'attivo interessamento dei familiari

allo scopo di evitare la reiterazione di comportamenti prescrittivi pericolosi per altri giovani pazienti, nulla è stato fatto per rispettare il divieto dell'utilizzo della sostanza killer;
il medico responsabile delle ripetute prescrizioni, pur indagato e rinviato a giudizio dal Gup del tribunale penale di Roma per «omicidio colposo», non sarebbe stato raggiunto da alcun provvedimento dell'ordine dei medici di Roma;
in varie circostanze i carabinieri del Nas hanno effettuato sequestri di ingenti quantitativi di compresse, facendo emergere una rete di complicità che coprono comportamenti illeciti che meriterebbero adeguate sanzioni -:
quali iniziative abbia posto in essere per impedire che si continui a prescrivere la fendimetrazina;
quali iniziative abbia posto in essere per sapere quanti medici in Italia abbiano continuato a prescrivere la fendimetrazina dal 1997 ad oggi, e quali quantità di farmaco siano state prescritte;
se sia noto quali iniziative o provvedimenti in via precauzionale siano stati posti in essere a carico dei farmacisti e dei medici indagati a seguito dei controlli dei Nas.
(4-12987)

GIANNI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il direttore generale della ASP di Siracusa ha inviato una lettera alla LILT con la quale comunica che entro il 2 agosto 2011 l'associazione deve lasciare i locali in uso presso l'ospedale Rizza di Siracusa;
la Lilt è un ente pubblico su base associativa che, sotto la vigilanza del Ministero della salute, si occupa, tra l'altro, del trasposto di pazienti oncologici verso i centri di radioterapia a Catania, di formazione di volontari, di informazione ed educazione alla prevenzione e alla salute nelle scuole, di assistenza psico-oncologica ai malati di cancro e ai loro famigliari, di ricerca per le malattie rare;
il presidente dell'associazione Lilt, preso atto della lettera del direttore generale dell'Asp di Siracusa, ha dichiarato pubblicamente la sospensione delle attività di prevenzione oncologica -:
se risultino le motivazioni alla base della decisione del direttore generale dell'Asp di Siracusa di sfrattare dai locali dell'ospedale Rizza l'associazione Lilt;
appare grave all'interrogante impedire alla associazione Lilt di proseguire nelle attività meritorie sostenute dalla stessa -:
se non ritenga necessario assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia sospeso il provvedimento di sfratto, fino a quando non sarà disponibile un'altra sede, e sia impedita, così, l'interruzione di un servizio indispensabile per i cittadini gravemente ammalati.
(4-12993)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

CAVALLARO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
come reso noto in data 2 agosto 2011 dall'agenzia ANSA di Ancona le offerte di acquisto del gruppo Antonio Merloni in amministrazione straordinaria si sono rivelate inconsistenti, tanto che i commissari hanno reso noto che la cordata di imprese cinesi dopo oltre un anno e mezzo di dichiarato interesse e innumerevoli sollecitazioni non ha fatto pervenire il versamento di 2 milioni di euro, richiesto a dimostrazione della serietà degli intenti negoziali, mentre il gruppo iraniano della Mmd, invece, ha chiesto la restituzione della cauzione già versata;

già con la precedente interrogazione 5-02524 il firmatario del presente atto aveva evidenziato come fosse necessario intervenire a sostenere le trattative di acquisizione del Gruppo nella sua integrità sostanziale con progetti e programmi di rilancio e di innovazione, in considerazione dell'importantissimo valore sociale ed economico che il gruppo ha rivestito per vaste aree interne delle Marche e dell'Umbria;
si profila sempre più prossima l'irreversibilità della crisi e appaiono necessari piani industriali adeguati come condizione preliminare per collocare utilmente sul mercato unitariamente gli asset del gruppo -:
quali urgenti ed immediate iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, per garantire il sostegno all'occupazione e prospettive economiche certe per il gruppo industriale Antonio Merloni spa.
(5-05260)

Interrogazioni a risposta scritta:

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - AI Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del turismo. - Per sapere - premesso che:
fonti di stampa hanno riportato la notizia in base alla quale il tribunale di Torino avrebbe nominato il curatore fallimentare per l'azienda Arenaways, il primo operatore ferroviario privato;
l'azienda, che da lavoro a più di settanta dipendenti, vide iniziare le problematicità che la affliggono da quando, nel novembre 2010, aveva tra mille difficoltà inaugurato la tratta tra Milano e Torino. Tratta penalizzata però dall'assenza di fermate intermedie;
dopo aver subito questa forma di latente ostilità, è giunto il momento dei cosiddetti «treni del mare»;
è questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso di Arenaways. Partiti a metà giugno, quei convogli collegano due volte al giorno Torino e Livorno con fermate a Genova, in tutti i comuni delle Cinque Terre, a La Spezia e Pisa. E stanno andando bene, meglio di quanto previsto, nonostante siano stati confinati alle prime ore del mattino da Rfi, la Rete ferroviaria di proprietà delle Ferrovie dello Stato, con la partenza da Torino alle 5 e 20 del mattino, posticipata in un'ora un po' meno disumana, alle 6 e 30 solo il sabato e la domenica;
il prezzo, chiaramente, è concorrenziale, 35 euro andata e ritorno e il servizio apprezzato dai pendolari delle spiagge che salgono volentieri su quelle carrozze, in particolare nei weekend, con una media tra 160 e 200 passeggeri;, con punte di 220 per il rientro a Torino la domenica sera;
numeri piccoli, piccolissimi, rispetto ai giganti delle ferrovie, ma importanti per un'azienda come Arenaways, la società che per prima ha osato sfidare il monopolio di Fs anche nel settore del trasporto passeggeri;
per Arenaways quei convogli erano come i viaggi della speranza, non solo perché portavano un po' di fondi nelle casse esangui della società, ma stavano diventando la prova che un po' di spazio nel mercato ferroviario in fondo era possibile trovarlo, nonostante tutte le difficoltà e la concorrenza impari scatenata dalle Fs;
oltretutto il buon andamento dei trenini del mare era affiancato dal discreto successo dei trasporti Autozug e Autoslaap, altro business minuscolo, 300 corse all'anno, un milione di euro di valore, già avviato dalla primavera all'autunno 2010 ad Alessandria, Livorno e Trieste e che consiste nell'agganciare a un locomotore Arenaways i treni di turisti olandesi e tedeschi diretti verso le spiagge italiane con auto e moto al seguito;

la svolta c'è stata quando il sistema ferroviario ha deciso di scatenare, perfino contro i trenini del mare, quella che appare agli interroganti un'altra guerra totale simile a quella avviata in autunno per i convogli interregionali Torino-Milano. Allora il progetto Arenaways fu fermato dall'Ursf (ufficio di regolazione del trasporto ferroviario), alle 19 e 15 del 9 novembre, la sera precedente la partenza della prima corsa inaugurale. Al concorrente di Fs fu vietato di effettuare le fermate previste a Torino Lingotto, Porta Susa, Santhià, Vercelli, Novara, Rho Fiera, Rogoredo, Pavia, Voghera, Alessandria ed Asti;
con i trenini del mare lo stop al servizio programmato stava arrivando, invece, nel pieno della stagione turistica. A quel punto, giovedì 28 luglio 2011, i soci della piccola azienda ferroviaria privata sentendosi perseguitati hanno gettato la spugna, impauriti dagli ostacoli a ripetizione e piegati da un passivo di 3 milioni di euro, tantissimi per Arenaways, società con appena 5 milioni e mezzo di capitale sociale, 2 milioni di fatturato stimato per il 2011 e solo 70 dipendenti;
i soci di Giuseppe Arena, il titolare dell'azienda, hanno deciso quindi di ritirarsi dall'avventura, lasciando Arena sola a combattere, mettendola in minoranza nel corso del consiglio di amministrazione e imponendogli di portare i libri in tribunale;
contro i trenini del mare di Arenaways, le Fs stavano giocando la stessa partita disputata per il collegamento tra Torino e Milano, utilizzando la carta del contratto di servizio regionale;
il ragionamento di Fs sembrerebbe questo: i contratti per la fornitura di servizi ferroviari nelle singole regioni si basano su una serie di presupposti, primo fra tutti che le Fs non debbano misurarsi con alcun concorrente. Se questo avviene, secondo le Ferrovie statali, decadono ipso facto i termini economici del contratto stesso, che quindi va ridiscusso di sana pianta;
così come accadde in Piemonte per il Torino-Milano, l'Ursf stava chiedendo alla regione Liguria se i trenini del mare stessero alterando i presupposti economici del contratto di programma. Non volendo sottostare a quella che agli interroganti appare una imposizione ferroviaria, a differenza del Piemonte, la Liguria ha risposto che quei treni sono solo un servizio aggiuntivo che non interferisce con il contratto regionale;
le FS hanno deciso di tentare di sopprimere la «carta treno», la facilitazione che consente ai pendolari liguri di prendere treni di categoria superiore allo stesso prezzo dei regionali;
ai tre soci del signor Arena in Arenaways è sembrato troppo. Temendo di fare la fine di vasi di coccio tra i vasi di ferro, hanno alzato «bandiera bianca». Dopo investimenti privati pari a circa 10 milioni di euro; l'ultima ricapitalizzazione è stata pari a tre milioni e risale al mese di luglio 2011, è stata decisa l'inutilità di ogni ulteriore ricapitalizzazione;
il proprietario ha quindi chiesto l'esercizio provvisorio per poter riacquistare la proprietà poiché vanta credi pari ad 1,5 milioni di euro e vorrebbe trovare altri soci -:
quali iniziative urgenti intenda assumere per verificare la correttezza dei comportamenti delle FS affinché molti lavoratori non rischino il posto di lavoro, perdita non imputabile alla cattiva capacità gestionale della proprietà, e perché sia, nella sostanza, rispettata nei fatti la libertà di impresa.
(4-12978)

RAO e BINETTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la necessità di destinare nuove frequenze agli operatori delle telecomunicazioni portato il Governo a sottrarre alle televisioni locali le frequenze da 61 a 69, mentre, per mezzo del cosiddetto beauty contest, nuovi multiplex verranno assegnati

a operatori nazionali, peraltro consentendo la partecipazione alla gara pure a quanti sono già presenti sul mercato anche con posizioni dominanti;
dall'asta delle frequenze destinate alle telecomunicazioni il Governo prevede di incassare 2,4 miliardi di euro, nonostante il valore di tali frequenze sia decisamente superiore;
sarebbero molte le emittenti comunitarie e territoriali a rischio chiusura, con gravi pregiudizi per i telespettatori;
le reti locali negli anni hanno sempre garantito un'informazione e una programmazione libere e plurali, vicine al territorio e ai problemi degli utenti, e hanno anche contributo a mantenere i livelli occupazionali e a formare validi professionisti;
se non si interverrà prontamente, il passaggio al digitale terrestre, da una grande opportunità per il pluralismo, rischia di trasformarsi in un'occasione persa per una moltitudine di soggetti che pure ne avrebbero diritto e in un vantaggio per pochi già garantiti;
il mondo delle televisioni locali è molto vasto ed estremamente variegato e, dunque, non si possono mettere sullo stesso piano realtà imprenditoriali e culturali del tutto eterogenee;
tuttavia, dopo i tagli lineari operati in questi anni, ancora una volta il Governo e la maggioranza scelgono di agire senza tenere in nessun conto la qualità dei prodotti realizzati, il numero di ore di programmazione prodotta, i livelli occupazionali e le tipologie di contratti utilizzati -:
in base a quali valutazioni si sia scelto si sottrarre esclusivamente alle reti locali le frequenze necessarie a garantire la funzionalità del settore delle telecomunicazioni;
in base a quali valutazioni si sia deciso di consentire agli operatori nazionali già presenti sul mercato di partecipare al cosiddetto beauty contest per i nuovi multiplex;
come mai il Governo non cerchi di realizzare dall'asta delle frequenze destinate alle telecomunicazioni il maggior profitto possibile;
quale sia esattamente il numero di emittenti comunitarie e locali a rischio chiusura;
quali iniziative intenda mettere in campo per andare incontro alle esigenze dei lavoratori del settore oggi impiegati presso emittenti a rischio chiusura;
in base a quali valutazioni si sia scelto di destinare alle telecomunicazioni le frequenze da 61 a 69 e perché non si sia proceduto valutando le singole realtà imprenditoriali, per evitare di costringere alla chiusura chi realizza prodotti di qualità e garantisce alti livelli occupazionali.
(4-12980)

EVANGELISTI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, ha annunciato dalle colonne de Il Sole24 Ore l'ipotesi di vendita dell'industria di Pistoia;
appare inaccettabile che lo Stato rinunci a una fetta importante della propria industria, una fetta produttiva che, anche in questo periodo di crisi, sta lavorando e rappresenta un valore aggiunto imprescindibile per l'economia della provincia di Pistoia e dell'intera Toscana;
la commessa vinta un anno fa per costruire cinquanta nuovi treni veloci, ha infatti, ridato ossigeno al polo produttivo di Pistoia. È inconcepibile che lo Stato, per bocca di un suo dirigente, con una semplice intervista su il Sole 24 Ore e a giudizio dell'interrogante senza il minimo senso di responsabilità sociale nei confronti d'istituzioni, sindacati e territorio,

decida di privarsi di un settore così importante dell'industria italiana, specie in un periodo così delicato per la nostra economia, solo perché non fa parte del proprio core business. La vendita della Breda, peraltro, è contro ogni logica e contro il buon senso;
in Toscana è già stato possibile verificare quella che all'interrogante appare l'inconsistenza di una seria politica industriale e delle risposte alla crisi di questo Governo. I casi della Lucchini e della Eaton, solo per citare i più macroscopici, lo mostrano ogni giorno. Ma è davvero difficile riuscire a immaginare che si arrivi persino a destrutturare settori produttivi che non sono in difficoltà;
la Breda è una risorsa fondamentale per tutto il tessuto industriale della Toscana, un fiore all'occhiello del manifatturiero di qualità italiano e, soprattutto, una garanzia di lavoro per oltre millecinquecento famiglie -:
quali iniziative intendano adottare, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, per scongiurare un ulteriore impoverimento produttivo e sociale e la vendita di un settore strategico dell'economia nazionale e locale, anche impegnando Finmeccanica a illustrare le reali intenzioni sugli assetti produttivi in Toscana e sul futuro dell'Ansaldo Breda.
(4-12992)

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TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:

BOCCI. - Al Ministro del turismo. - Per sapere - premesso che:
il 28 luglio 2011 è stato presentato dal Ministro Brambilla, nel corso di una conferenza stampa, il nuovo marchio «Patrimonio d'Italia», dedicato alle manifestazioni culturali che «contribuiscono a valorizzare l'immagine dell'Italia e a generare nuovi flussi turistici», da cui il Ministro ha escluso gli eventi che prevedono la partecipazione di animali. Lo stanziamento previsto per tali manifestazioni ammonta ad un milione e mezzo di euro;
nella stessa occasione è stato consegnato il riconoscimento «Patrimonio d'Italia per la tradizione» alle prime 34 manifestazioni che «si sono distinte a livello nazionale per la capacità di mantenere vivo il folklore del proprio territorio, adeguando le rappresentazioni tradizionali al mutamento dei tempi, nel rispetto degli animali e dell'ambiente, e incentivando la partecipazione di turisti e visitatori»;
tra le 34 manifestazioni premiate vengono escluse importanti manifestazioni umbre come la Giostra della Quintana di Foligno, il mercato delle Gaite di Bevagna, il Calendimaggio di Assisi, i Giochi de le Porte di Gualdo Tadino, la Corsa dell'Anello di Narni, il Palio di Montefalco e anche l'Infiorata di Spello;
tali esclusioni hanno sollevato le proteste dei sindaci e delle comunità locali interessate, che considerano la selezione operata riduttiva, perché non tiene conto del complesso di rievocazioni storiche e culturali che caratterizzano la tradizione umbra, contribuendo a mantenere vivi e solidi i legami con le radici ma anche a generare ricchezza, richiamando turisti e visitatori da tutto il mondo;
in particolare, per quanto riguarda la Giostra della Quintana di Foligno, i rappresentanti delle istituzioni locali e perfino il Sottosegretario alla salute Martini, tengono a sottolineare che gli animali impiegati sono protagonisti amati e rispettati e che il loro benessere è assicurato durante tutto l'anno. La Quintana rappresenta un patrimonio della città di Foligno; valorizza le tradizioni, promuove l'immagine del territorio e, oltre al valore storico e culturale,

ha il carattere di una grande festa di popolo -:
se non ritenga di rivedere i criteri per l'assegnazione del marchio «Patrimonio d'Italia» e di valutare il futuro inserimento nell'elenco degli eventi assegnatari del marchio di altre manifestazioni che si svolgono nel territorio umbro.
(5-05255)

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Apposizione di una firma ad una interrogazione.

L'interrogazione a risposta in commissione Polledri e Fedriga n. 5-05238, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 agosto 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTARISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

AGOSTINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in provincia di Ascoli Piceno, il territorio denominato frazione di Villa Sant'Antonio di Ascoli Piceno (di circa 950 abitanti), amministrato dal comune medesimo (di circa 51.300 abitanti), distante chilometri 14 circa dal capoluogo, rappresenta e costituisce di fatto con l'omonimo e contermine centro abitato amministrato dal comune di Castel di Lama (8.511 abitanti) un unico agglomerato urbano;
le due parti del popoloso centro abitato, denominato Villa Sant'Antonio, separate in senso longitudinale dall'ex strada statale Salaria, sono amministrate dai due comuni suddetti;
la separazione amministrativa dell'agglomerato urbano di Villa Sant'Antonio, seppur originata da tempi remoti quando Castel di Lama (Ascoli Piceno) rappresentava un piccolo borgo, è divenuta, con la crescita demografica ed economica del comune di Castel di Lama, anacronistica ed innaturale procurando ai residenti disagi e disparità nella fruizione dei servizi pubblici con evidenti negative conseguenze nei rapporti sociali, culturali, economici, amministrativi, di tempo libero e di tradizioni tra la stessa popolazione amministrata dai due comuni;
tale anacronistica situazione amministrativa si ripercuote non solo nella fruizione dei servizi pubblici locali, quanto nel diversificato sviluppo edilizio e commerciale dei territori le cui pianificazioni nel medesimo comparto abitativo risentono delle scelte programmatorie riconducibili alle rispettive amministrazioni comunali;
da molti anni l'amministrazione comunale di Castel di Lama (Ascoli Piceno), avvertendo maggiormente il disagio amministrativo della popolazione ricadente nel territorio amministrato dal comune di Ascoli Piceno e facendosi carico di molteplici servizi erogati promiscuamente alla popolazione stanziale di Villa Sant'Antonio, ha reclamato la ridefinizione dei confini territoriali e, conseguentemente, quelli amministrativi con il Comune di Ascoli Piceno sulla base della configurazione naturale del territorio;
con l'accentuato sviluppo dei servizi pubblici, giustamente reclamati dai cittadini, la richiesta dell'amministrazione comunale di Castel di Lama verso quella di Ascoli Piceno si è fatta più pressante, tanto da richiedere ufficialmente alla regione Marche la promozione di proposta di legge, prevista dalla legge regionale 16 gennaio 1995, n. 10, recante «Norme sul riordinamento territoriale dei Comuni e delle Province nella Regione Marche», concernente il distacco della frazione di Villa Sant'Antonio dal comune di Ascoli Piceno ed incorporazione nel comune di Castel di Lama;
stante la complessa procedura per addivenire a tale definitiva determinazione,

nell'anno 2003 la giunta regionale Marche, in concerto con l'amministrazione provinciale di Ascoli Piceno, e il prefetto della provincia di Ascoli Piceno, si sono adoperati, attraverso diverse conferenze di servizio, a ricercare tra le due amministrazioni comunali possibili soluzioni concordatarie che, accantonando temporaneamente la richiesta di ridefinizione dei confini territoriali, definiscano - in medio tempore - l'assetto organizzativo e coordinato di funzioni e servizi che interessano tutta la popolazione del centro urbano di Villa Sant'Antonio;
la fattiva collaborazione sopra indicata non ha tuttavia portato i frutti sperati ed ad oggi, stante l'inerzia del comune di Ascoli Piceno, le trattative sono interrotte;
si sono svolti diversi incontri presso la prefettura di Ascoli Piceno per definire le citate problematiche -:
quali iniziative si intendano intraprendere, anche attraverso il coinvolgimento degli uffici periferici e nella spesa del tavolo istituzionale già costituito, al fine di affrontare la problematica in questione.
(4-10920)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha chiesto di conoscere quali iniziative si intendono intraprendere affinché possa essere rivisto l'assetto organizzativo e coordinato di funzioni e servizi che interessano la popolazione di Villa Sant'Antonio di Ascoli Piceno in attesa dell'eventuale accorpamento al comune di Castel di Lama.
Al riguardo va premesso che la variazione territoriale relativa al mutamento delle circoscrizioni comunali è disciplinata dall'articolo 133, secondo comma della Costituzione, che attribuisce alla regione - sentite le popolazioni interessate - la potestà di istituire con legge, nel proprio territorio, nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni.
Per definire tale aspetto normativo, la prefettura di Ascoli Piceno, allo scopo di raggiungere un'intesa condivisa tra le parti, ha tempestivamente favorito l'istituzione di tavoli di confronto, in un primo momento presso la provincia, e successivamente presso la stessa prefettura. Nel corso dell'incontro del 23 novembre 2010 è stato previsto il coinvolgimento degli esperti dei due comuni e della provincia, nonché del coordinamento dell'assessore regionale competente.
Per quanto riguarda invece i profili organizzativi, nel corso di un incontro, svoltosi il 18 febbraio 2011, il sindaco di Ascoli Piceno e quello di Castel di Lama hanno affrontato la questione dell'esercizio coordinato delle funzioni e dei servizi interessanti la frazione di Villa Sant'Antonio di Ascoli Piceno. Il sindaco di Castel di Lama ha sostenuto che la frazione di Villa Sant'Antonio conta ormai 1.000 abitanti e forma un unico agglomerato urbano con Castel di Lama, utilizzandone stabilmente i servizi individuali e collettivi. Ha, pertanto, segnalato l'impossibilità di continuare a sostenere il costo dei servizi resi alla frazione ascolana senza un contributo da parte del comune di Ascoli Piceno. Ad esempio, ha sollevato la questione della rete del gas metano realizzata dalla propria amministrazione (2,2 chilometri di rete) sul territorio ascolano e utilizzata dagli abitanti della frazione di Sant'Antonio.
Il sindaco di Ascoli Piceno - pur non condividendo il principio della partecipazione diretta al costo dei servizi in quanto, a suo dire, lesivo di alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento - ha riconosciuto l'atipicità della situazione territoriale e ha convenuto sul fatto che al fine di dirimere la questione, occorra ampia disponibilità al dialogo tra gli amministratori delle due città. Ha inoltre segnalato che gli utenti ascolani già pagano gli oneri di «vettoriamento» dovuti al comune di Castel di Lama, esprimendo la propria disponibilità a valutare, previa perizia sul valore, l'acquisto della parte di metanodotto esistente sul territorio ascolano della frazione interessata.
Al termine della riunione le parti hanno convenuto di incontrarsi nuovamente entro breve tempo per consentire un ulteriore approfondimento della questione.

In ogni caso, la soluzione alla problematica non può prescindere dall'avvio del procedimento di variazione della circoscrizione comunale che richiede l'indizione del referendum e dalla successiva, eventuale, predisposizione del progetto di legge regionale. Gli effetti giuridici che conseguono alla nuova configurazione territoriale si produrranno, pertanto, solo successivamente all'adozione da parte della regione della legge di variazione territoriale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

BARBIERI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il 12 novembre 1998, venivano sottratti dal Tribunale dei minori ai coniugi Lorena e Delfino Covezzi di Massa Finalese di Modena i quattro figli minorenni con l'accusa di non aver adeguatamente vigilato circa il loro presunto coinvolgimento in un giro di pedofilia e messe sataniche che sarebbero avvenute nella Bassa modenese;
dopo alcuni mesi, il giorno prima che il Ministro della giustizia rispondesse in Parlamento ad una interrogazione sulla materia improvvisamente i coniugi Covezzi venivano accusati di essere loro stessi violentatori dei loro figli;
sei anni fa il Tribunale di Modena ha condannato i coniugi Covezzi;
nel frattempo i quattro figli minorenni sono stati separati gli uni dagli altri ed affidati in varie località d'Italia;
dal momento dell'allontanamento genitori e figli non si sono più rivisti;
nel frattempo la signora Lorena ha partorito un quinto figlio che oggi ha sei anni e vive con la mamma in Francia dove si è rifugiata in Francia per evitare che anche questo bimbo le venisse tolto;
il Tribunale di Reggio-Emilia in un procedimento penale connesso ha assolto gli imputati ritenendo non credibili le dichiarazioni fatte dalla minorenne V. Covezzi, sulla base delle quali i coniugi Covezzi vennero accusati;
la Corte d'appello di Bologna non ha preso ancora in esame il ricorso dei coniugi Covezzi;
sono in corso procedimenti esecutivi immobiliari sulla casa dei Covezzi condannati a pagare una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 60.000 per ciascuno dei figli minori;
tutta questa vicenda ha avuto origine da colloqui dei minori Covezzi con assistenti sociali che hanno riferito loro dichiarazioni che non sono mai state registrate;
ci si chiede come sia possibile in un paese democratico che una vicenda giudiziaria si trascini per più di un decennio con l'unica certezza che comunque la famiglia Covezzi ne uscirà distrutta -:
quali iniziative, ispettive e normative, intenda assumere in merito a questa vicenda.
(4-12059)

Risposta. - Il 12 novembre 1998, Lorena Morselli, insegnate e Delfino Covezzi, lavoratore ceramico, incensurati e stimati coniugi di Massa Finalese Modena, vengono privati dall'Autorità giudiziaria dei loro quattro figli minorenni.
La data segna l'inizio di un'interminabile catena di provvedimenti che, assunti nell'esercizio di pubblici poteri previsti per la protezione e la tutela dei diritti dell'infanzia, si abbattono su un intero nucleo familiare, destrutturandolo, perché ritenuto l'epicentro delle più efferate nefandezze.
Per oltre 13 anni, la cronaca giudiziaria diffusa dall'informazione locale e nazionale narra tutte le tappe del lungo accertamento della verità. Descrive dettagliatamente la sequela d'orrori che compongono il quadro accusatorio e di cui la magistratura inquirente ritiene i coniugi Covezzi prima ignari favoreggiatori e poi coartefici. Narra come la famiglia sia stata interamente smembrata, ognuno dei quattro figli istituzionalizzato in un contesta familiare diverso da

quello di riferimento e sradicato dal suo ambiente scolastico e sociale.
I resoconti giornalistici non mancano, però, di dare anche conto dei dubbi che colgono una larga parte dell'opinione pubblica circa la credibilità delle notizie diffuse sulle accuse, sulle risultanze investigative e sulla congruità dei gravi provvedimenti cautelari assunti dalla magistratura. Pur sgomenta dalla qualità delle vittime e dell'enormità delle brutalità ipotizzate a loro carico, prodromiche a istintive tendenze colpevoliste, la maggior parte della gente, in questo caso, si mostra innocentista. Si è, infatti, diffusa una sorta d'immedesimazione collettiva con gli accusati a causa della personalità degli stessi, dell'assurdo e confuso quadro accusatorio, delle evidenti lacune e contraddizioni investigative e per l'impressione prodotta dai danni collaterali cagionati dall'inchiesta.
In particolare, la comunità dove vivono gli indagati non ha mai smesso di rimanere unanimemente incredula. Ritiene inverosimile che possano essere avvenuti e ancor meno sfuggiti fatti tanto gravi che apprendono dalla stampa e dalla televisione, ma di cui, nel loro piccolo centro, non hanno mai sentito parlare. Deplora lo stravolgimento dei connotati umani e sociali di Delfino Covezzi e Lorena Morselli, che conosce come persone miti, unanimemente considerate e stimate.
Ritiene, infine, che l'accertamento di fatti, anche se così gravi, non possa comportare senza le debite e riscontrate giustificazioni lo strazio inflitto alla sfera affettiva di ragazzini che hanno visto nascere e crescere senza problemi e nell'amore della loro famiglia. Ogni componente della piccola collettività non si sente più sicuro. Teme che un domani i modi usati per i Covezzi possano sconvolgere anche la loro vita.

Dagli atti resi pubblici del procedimento, il ruolo svolto dai servizi sociali sembra aver tracimato dalle ordinarie competenze e appare eccessivo il peso determinante avuto dagli esiti peritali. Le pratiche e gli atti tecnici di entrambi gli apparati professionali sembrano aver eccessivamente influenzato e indirizzato il procedimento: nell'assunzione e valutazione della notizia, nella selezione dei credibili indizi, nell'effettuazione dei riscontri di natura psico e anatomopatologica, nell'assegnazione e gestione dei bambini, nella genesi del libero convincimento del giudice e nella determinazione delle relative decisioni.
Gli organi d'informazione danno anche risalto all'allarme lanciato in sede scientifica, politica, parlamentare e di governo circa le insidie e l'elevato margine di errore che in generale si riscontra sui casi di pedofilia di gruppo, rituale e seriale, e sui fattori di rischio altamente distorsivi della realtà fattuale. Viene anche denunciato che nel caso specifico sono rimaste inapplicate le procedure e i protocolli approvati, sulla base dell'esperienza mondiale, dagli organismi internazionali e recepiti dall'Italia, determinando criticità e alterazioni della fase procedimentale e pregiudicando il corretto accertamento dei fatti.
I coniugi Covezzi-Morselli non hanno mai smosso di gridare la loro innocenza rispetto a tutte le accuse che gli sono state mosse. Inizialmente la procura di Modena li ha ritenuti responsabili e non in possesso delle capacità parentali, in quanto, ancorché ignari di ciò che accadeva, non avrebbero svolto una vigilanza sufficiente a sottrarre i loro bambini agli abusi di altre persone ritenute coinvolte in un giro di pedofilia e messe sataniche nella bassa modenese. Dopo qualche mese di totale gestione dei loro figli da parte dei servizi sociali, gli inquirenti accusano i coniugi Covezzi-Morselli di essere coinvolti nello stesso giro e di abusare, con altri, dei loro bimbi.
Poiché rimasta sempre inascoltata, Lorena Morselli, per evitare che le venisse tolto anche il quinto figlio, di cui era già in attesa, lo ha fatto nascere in Francia. In questo Paese il bambino ha potuto crescere con la sua madre naturale, senza che le autorità francesi, malgrado quanto stava avvenendo in Italia, l'abbiano mai ritenta incapace d'assolvere le funzioni genitoriali toltele dalla magistratura italiana.

Con sentenza del 24 settembre 2002 il Tribunale di Modena condanna Delfino Covezzi e Lorena Morselli alla pena di anni 12 di reclusione ciascuno, con l'interdizione

perpetua dal pubblici uffici e da quelli attinenti alla tutela e alla curatela, con la perdita della potestà genitoriale, al diritto agli alimenti e l'esclusione dalla successione delle persone offese: «per avere, agendo in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, compiuto atti sessuali con i minorenni, V. Covezzi, P. Covezzi, E. Covezzi, A. Covezzi, loro figli, che al momento del fatto non avevano compiuto gli anni dieci (quanto a P., E., A.) o gli anni quattordici (quanto a V.); atti consistiti in ripetute penetrazioni genitali e anali materialmente inflitte da Covezzi Delfino alle quattro persone offese all'interno dell'abitazione domestica; apporto casuale di Morselli Lorena consistito nel rafforzare la determinazione criminosa dell'autore mediante la presenza agli atti ed il tacito assenso che ne derivava e, comunque, nel non attivarsi per impedire il fatto e l'evento come suo dovere ai sensi dell'articolo 40, comma secondo del codice penale, essendo Morselli Maria Lorena, al tempo dei fatti, madre dei minori esercente la potestà sugli stessi. In Massa Finalese, in date non precisabili, e sino al 12 novembre 1998».
Dopo otto anni, il 10 giugno 2010; un trafiletto d'agenzia ha diffuso la notizia che la corte d'appello di Bologna ha assolto Covezzi Delfino e Morselli Lorena per non aver commesso il fatto stabilendo l'inesistenza delle infamanti accuse di aver violentato i propri figli. Nonostante il procuratore generale incaricato di rappresentare l'accusa nel dibattimento non abbia ritenuto d'annunciare ricorso, né d'impugnare la sentenza d'assoluzione, non si è, però, conclusa la loro odissee. Poco prima della scadenza dei termini, infatti, il procuratore generale presso la corte d'appello di Bologna in persona ha adito la Corte di cassazione, lasciando, così, immutata una situazione che, per le sue importanti e delicate implicazioni di carattere sociale e soggettivo, da 13 anni attende una risposta certa e definitiva.
Nonostante la mancanza di un giudicato conclusivo, al presente atto di sindacato ispettivo viene data risposta sulla base di un ampio ed esauriente campo informativo che ha permesso una fedele ricostruzione di tutta la vicenda. Vengono qui analizzati i suoi molteplici aspetti e le connesse tematiche, utilizzando anche le argomentazioni e le motivazioni con cui la sentenza di seconda istanza, depositata nel 2011, ha completamente demolito l'impianto accusatorio che ha ridotto in frantumi ed esposto al pubblico ludibrio la famiglia Covezzi-Morselli.
La loro triste avventura s'intreccia ed è una delle dirette conseguenze della storia e delle attività di don Giorgio Govoni, parroco di Staggia modenese, morto di crepacuore nello studio del suo avvocato, il giorno prima che fosse pronunciato il verdetto nel processo di primo grado con 15 imputati. Per lui il pubblico ministero aveva richiesto la condanna a 14 anni di carcere. I tre giovani giudici, che componevano il collegio, hanno emesso quattordici condanne per 157 anni di reclusione e pronunciato nei confronti di don Giorgio il non luogo a procedere per morte del reo, lasciando la sua memoria con l'ignobile marchio della pedofilia.
Pur tuttavia, don Govoni rimane, come lo è sempre stato, un prete amatissimo nella sua comunità. Dalla celebrazione della sua prima Messa in Duomo a Finale Emilia il 4 settembre 1966, fino alla sua morte, avvenuta il 19 maggio 2000 nella predetta tragica circostanza, ora ne coltiva un ricordo riconoscente per l'edificante esempio che ha tratto dalla sua esistenza. Il suo impegno pastorale e la sua intensa e benefica attività, che hanno messo al centro il bene della famiglia e l'amore e la protezione dei più deboli e dei più bisognosi, gli hanno meritato sempre la stima della sua gente e la sua vicinanza per tutto il tragico periodo delle accuse. Ne invoca ora la beatificazione come testimone del suo dolore, della dignità e della cristiana sopportazione con cui ha affrontato le calunniose torture procedimentali, smentite dal suo proscioglimento avvenuto post mortem. La giustizia ha accertato solo dopo la sua morte che gli sconvolgenti fatti addebitatigli non sono mai avvenuti. Tanto affetto gli proviene da quindicimila persone che vivono in una realtà opulenta dove all'epoca, dei fatti vi era una raccolta bancaria di

1400 miliardi di vecchie lire, era sovraccarica di lavoro nei distretti produttivi d'eccellenza (biomedicale, ceramica, maglieria, componentistica, frutticoltura). Nei 34 anni di attività svolta nella bassa modenese, Don Govoni ha cambiato radicalmente quella comunità, troppo spesso definita sazia e disperata, mettendo al centro del suo apostolato la famiglia e le fasce più deboli della società. Prete e lavoratore, strappa i giovani alla noia e ai pericoli della strada, ricrea centri per la loro aggregazione, li coinvolge e li mobilita in una serie incessante d'iniziative e li sensibilizza alle attività a sfondo umanitario. Dalla raccolta di fondi per i malati di lebbra di tutto il mondo, all'organizzazione di giornate di lavoro per realizzare risorse con cui poter dare un aiuto economico a tutte le famiglie indigenti e disagiate. Rimane indimenticato lo spirito con cui affronta tanto le attività ricreative quanto quelle, più numerose, rivolte al volontariato. Collabora con tutti Don Govoni, con amministratori e istituzioni, soprattutto con i locali servizi sociali. Ma se è vero, come è vero, che la sua gente non lo ha mai abbandonato continuando, anche in piena bufera giudiziaria, a far partecipare i propri figli a tutte le sue attività e a mandarli alle gite e a i campeggi che organizza, è anche vero che tutti i suoi guai sono generati dai rapporti con servizi sociali dei quali non sempre condivide princìpi e metodi d'assistenza. In proposito assumono particolare significato le dichiarazioni fatte alla stampa il 9 giugno 2000, a pochi giorni dalla richiesta di condanna e della sua morte dall'allora sindaco di Finale Emilia, Alfredo Sgarbi: «Parliamoci chiaro, se il tribunale avesse assolto, qui andavamo a casa tutti, io, il dirigente della Asl, gli assistenti sociali, come coloro che avevano condannato definitivamente i bambini». Riconosce anche che «Don Govoni è stato un benemerito, nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione, questo è sicuro, anche se ci siamo divisi sulla teoria che i bambini vanno sempre e comunque lasciati alla loro mamma».
Ma è proprio l'affollamento familiare il punto dolente che preoccupa Don Govoni e mette in crisi il rapporto con i servizi sociali. Negli ultimi dieci anni nella provincia di Modena sono raddoppiati. Ora se ne registrarlo ogni anno il 30 per cento del totale regionale. Sempre più frequentemente, le giovani psicologhe e assistenti sociali della locale Asl asseriscono che la causa del disagio riscontrato tra le famiglie oggetto degli allontanamenti è da attribuire alla piaga della pedofilia.
Già nel 1994 Don Giorgio si scontra spesso con questi servizi a causa di una famiglia di cui s'interessa con i suoi ragazzi, perché gli rimproverano di aiutarla nella gestione della vita quotidiana, mentre loro ritengono che debba gestirsi da sola. Quando i servizi sociali allontanano da una famiglia il loro bambino, messo in istituto a Reggio Emilia, i volontari di Don Giorgio procurano ai genitori un'autovettura per consentirgli d'andare a trovare il figlio e continuano a pensare alle loro necessità, al cibo e all'alloggio.
Nell'aprile 1997, un minore, affidato al trattamento dell'ASL locale dopo decine di colloqui inizia a parlare di abusi subiti in famiglia l'anno prima. Dopo due mesi sui giornali appare l'indiscrezione che nei racconti è coinvolto Don Giorgio, che si mette subito a disposizione del magistrato, spiegandogli di aver solo aiutato una famiglia in difficoltà, di essersi, per questo, scontrato in più occasioni con l'ASL, perché aveva cercato d'impedirgli di continuare a farlo.
La Procura di Modena non considera le sue opere come carità cristiana, ma le ritiene il compenso alla famiglia per pratiche di pedofilia e satanismo. Reati ipotizzati ed affermati in un impianto accusatorio formatosi attraverso la teoria del disvelamento progressivo applicata dagli psicologi dell'infanzia utilizzati dai pubblici ministeri e dal Tribunale di Modena. Teoria che ha portato a formulare capi d'accusa secondo i quali don Govoni è a capo di una squadra di pedofili che agiscono in pieno pomeriggio nei cimiteri. Violentano ripetutamente bambini maschi e femmine, con abusi devastanti. In pieno giorno i bambini Covezzi vengono accompagnati al cimitero dalla loro madre che attende fuori la fine dei riti orgiastici, Don Govoni li accompagna nel chiostro dove alla luce del sole

vengono abusati da un gruppo di adulti. Al cimitero ci andavano anche di notte in un camion nero carico di bambini guidato di volta in volta da parroci diversi (sei). Legati alle croci gli tiravano addosso dei lunghi coltelli. Un ragazzo racconta che il suo papà li tirava piano per farli cadere a terra. Sempre lo stesso asserisce che alcune sere nel teatro della parrocchia lui stesso marchia a fuoco e uccide bambini. La notte avvengono i riti in cui il religioso dice di essere il demonio e molti bambini (cinque per tre sere alla settimana) vengono sacrificati al diavolo e decapitati. I loro corpi sono appesi a ganci e poi don Giorgio, alla fine del rito, li carica sul suo fiorino e li butta giù dal ponte del paese. I rituali vengono ripresi da un fotografo per produrre materiale da rivendere sul mercato della pedopornografia.
Assieme a don Giorgio sono chiamati in causa, oltre ai genitori, molti preti, un vescovo lombardo ed una maestra di Mantova.
Sulle confessioni fatte agli psicologi e agli assistenti sociali vengono incardinati quattro processi: nel paiano sono coinvolto due famiglie e 6 persone; nel secondo, un anno dopo, agli abusi si aggiungono messe nere, cimiteri e sacrifici umani e vengono coinvolte un totale di 17 persone e allontanati da esse i relativi figli; nel terzo vengono chiamati in causa i coniugi Lorena e Delfino Covezzi per non aver protetto i quattro figli dagli altrui abusi, perdendone l'affidamento. Dopo i colloqui con la psicologa, questi denunciano di essere stati abusati dal padre, presente e consenziente la madre e coinvolgono gli zii materni ed il nonno materno; nel quarto le accuse dei quattro fratellini si allargano ad altre persone, anche di Mantova.
Questa lunga inchiesta ha fatto registrare un'incidenza elevatissima di danni collaterali che, oltre alle immense sofferenze ingiustamente addossate alle persone risultate innocenti, comprendono il suicidio di una madre a cui hanno tolto la figlia che, dopo aver inutilmente urlato la sua innocenza, si è gettata dalla finestra; la morte d'infarto di Don Govoni e del fotografo ingiustamente accusato di fare le riprese dei misfatti pedofili per la produzione del materiale da immettere nel mercato pedopornografico; l'allontanamento di un impressionante numero di bambini che non rivedranno mai più i loro genitori naturali; il coinvolgimento di innocenti che solo dopo processi in cassazione vedranno riconosciuta la loro estraneità ai fatti e ripristinata parte della loro credibilità sociale.
A cavallo del 1997 e dei primi mesi del 1998 accade che un bambino allontanato dai genitori e sotto sostegno psicologico asserisce di essere stato vittima di abusi sessuali. Coinvolge due famiglie e sei persone, mentre altri bambini vengono allontanati dai genitori. Come detto, una madre si suicida, mentre Don Govoni finisce tra gli indagati. Anche se il bambino alla base delle accuse, è risultato all'esame medico del consulente tecnico d'ufficio non abusato, il tribunale infligge complessivamente 55 anni di condanne. Le rivelazioni dello stesso bambino originano un altro procedimento dove vengono coinvolte 17 persone e compare il satanismo.
I processi si sono svolti essenzialmente sulla base di referti medici ed opinioni peritali, mentre scarsa e improduttiva è stata l'attività investigativa classica finalizzata a trovare riscontri materiali. Sia gli inquirenti che i requirenti che hanno emesso le condanne hanno dato il massimo credito ai racconti dei bambini descritti e interpretati da periti psicologi d'ufficio. Come riscontro sono stati assunti i referti stilati dai periti medici d'ufficio.
Nessun rilievo è stato dato al fatto che l'attività investigativa di polizia giudiziaria abbia dimostrato che il cimitero di Massa Finale e di quelli limitrofi non corrispondono alle descrizioni dei verbali, che nessun bambino, tra i tanti uccisi, sia risultato mancante all'appello e che nessuno dei corpi che, al termine dei suoi sabba infernali, Don Govoni era solito gettare nel fiume Panaro, vi sia stato rinvenuto dopo il dragaggio disposto dal pubblico ministero. Nell'era dell'alta tecnologia e dell'enorme progresso fatto dalla scienza criminologica, di capacità probatoria del DNA, sono stati incardinati processi senza

analizzare scientificamente il fiorino, il camion e i luoghi dei misfatti come il cimitero e il teatro della parrocchia. Nessun riscontro materiale quindi è stato ricercato e/o trovato per dare certezza ai racconti dei bambini e dei loro interpreti. C'è voluta una sentenza della Cassazione per stabilire che questi fatti erano il frutto della fantasia dei bambini che li avevano testimoniati con procedure fortemente criticate.
Dipanando tutta la vicenda, risulta evidente che i 13 anni di calvario dei Coniugi Covezzi-Morselli si sono determinati in conseguenza d'indagini e processi che si sono essenzialmente avvalsi delle immateriali induzioni e deduzioni dei periti d'ufficio e costruiti con il ricorso continuo a procedure d'urgenza che in questa specifica materia giuridica riducono enormemente lo spazio della difesa.
La corte d'appello di Bologna ha ripercorso analiticamente il processo d'appello sottoponendo a vaglio critico sia tutte le argomentazioni del giudice di primo grado, come ciascuno dei diciannove motivi di gravame opposti dalla difesa. Oltre a rimettere ordine cronologico e logico nei fatti e negli avvenimenti, inquadra con precisione scientifica tutte le problematiche che attengono non soltanto allo specifico processo, ma che sono comuni e si ripetono con troppa frequenza quando la giustizia si occupa di una piaga come la pedofilia.
Nella vicenda sono state coinvolte le famiglie dei coniugi Covozzi-Morselli, che hanno quattro figli e quella dei cognati Giuliano Morselli (fratello di Lorena) e Monica Roda, che hanno due figli. I cugini naturali P. Covezzi e Morselli sono coetanei e compagni di classe presso la scuola elementare di Massa Finalese. Già dal primo anno della scuola elementare, le maestre, per problemi di asserita difficoltà scolare, avviano al servizio di neuropsichiatria infantile della AUSL di Mirandola. Viene presa in carico dalla dottoressa Emma Avanzi, neuropsichiatra infantile priva, per sua stessa ammissione, di esperienza circa casi di abusi sessuali minorili. M. segna un aggravamento in coincidenza della nascita prematura del fratello Riccardo.
Nel mese di luglio del 1998, in forza di un provvedimento assunto dalla ASL di Mirandola, convalidato dal Tribunale per i minorenni di Bologna, i minori M. e R. Morselli sono allontanati dalla famiglia naturale e viene sospeso ogni rapporto con la stessa.
Maria Lorena Covezzi-Morselli cerca di capire le ragioni dell'allontanamento della nipote e di garantirle il ricordo della sua famiglia d'origine, consegnando ai suoi addetti documentazione fotografica raffigurante i componenti della sua famiglia e anche i cugini Covezzi. L'insistenza di Lorena si protrae fino al mese di novembre provocando un dissidio e scontri verbali con gli operatori della AUSL di Mirandola.
Dopo l'allontanamento, M. Morselli, sottoposta a visita ginecologica da parte della dottoressa Cristina Maggioni, inizia a confidare alla neuropsichiatra di riferimento, dottoressa Emma Avanzi, di essere stata vittima di abusi sessuali da parte di alcuni componenti della propria famiglia d'origine, ma non coinvolge gli zii. Con successive rivelazioni M. inizia i racconti su abusi sessuali in ambiente cimiteriale, coinvolgendo una pluralità di persone adulte e Don Giorgio Govoni.
Nell'ottobre del 1998, indica tra i partecipanti ai riti satanici anche i quattro cuginetti Covezzi, asserendo che gli zii Lorena e Delfino, fidandosi dei cognati, consentivano ai figli di uscire in loro compagnia. Secondo la dottoressa Maggioni M. era stata vittima di numerosi rapporti sessuali completi.
Pur avendo escluso che i genitori dei quattro fratelli fossero al corrente dei fatti, il tribunale dei minori, con provvedimento provvisorio ed urgente, senza considerare minimamente la personalità e l'irreprensibilità dei loro genitori, dispone l'allontanamento immediato dalla famiglia naturale e sospende ai Covezzi la potestà genitoriale per mancata vigilanza sui figli.
Dalle 05,45 del 12 novembre 1998, data della perquisizione, in cui non è stato rinvenuto alcun reperto attinente al reato di pedofilia e/o pornografia e del loro prelevamento, questi non avranno più nessuna possibilità di aver alcun contatto

anche indiretto con i loro bambini. I servizi sociali li collocano in quattro distinte famiglie e dispongono il più alto livello di protezione che non permette contatti neanche tra di loro.
I numerosi reclami presentati dai genitori vengono puntualmente rigettati perché ritenuti inammissibili a causa dell'inoppugnabilità dei provvedimenti provvisori e urgenti del tribunale dei minori. Per mesi e per anni la difesa non può esercitare nessuna delle sue prerogative costituzionalmente garantite, perché, dal momento dell'allontanamento dei figli, sono stati sempre reiterati decreti provvisori e urgenti.
I coniugi Covezzi si sottopongono a tutti i colloqui richiesti dai servizi sociali riferendo ogni aspetto della loro vita. Da tali rapporti, traggono la convinzione che i loro referenti, più che conoscere la realtà familiare, stiano ricercando la loro confessione. D'altronde questo risponde alla filosofia espressa dal responsabile che in un intervista del 1999 afferma che «dove i genitori ammettono gli errori si può anche pensare ad un reinserimento dei figli altrimenti no». Il ruolo dello psicologo viene così stravolto da quello di supporto a quello di investigatore, pregiudicando l'oggettività, la terzietà e la scientificità che deve avere la perizia tecnica d'ufficio. Una strana coincidenza preoccupa, invece, per il modo e le circostanze in cui i Covezzi passano da imprudenti, ma ignari genitori ad aguzzini dei loro figli, venendo incriminati per pedofilia.
L'11 marzo 1999, il Ministero della giustizia, sostenendo l'incompletezza del materiale a sua disposizione, chiede sette giorni di tempo per rispondere ad un'interrogazione parlamentare sul loro caso. Nella settimana seguente gli operatori sociali ascoltano ed esaminano tutti i giorni una bimba di dieci anni. L'affidatario della ragazza più grande riferisce al pubblico ministero che la minore, uscita dal «colloquio» con la psicologa appariva una maschera di pianto e di tensione e che da lui sollecitata, su incarico della psicologa, le aveva detto di avere subito abusi sessuali ad opera del padre, mentre la madre, presento, era rimasta indifferente. Il 17 marzo 1999, entrambi i genitori vengono incriminati e il 18 marzo 1999 il Ministero comunica che i bambini sono stati allontanati perché i genitori sono indagati.
Questi percorrono tutte le vie legali per dimostrare non solo la loro innocenze, ma per riavere l'affidamento dei figli. Espongono al presidente del Tribunale dei minori tutte le loro perplessità sulle risultanze peritali e circa l'infondatezza dei fatti satanici e pedofili. Il Tribunale dei minori risponde facendoli sottoporne a perizia della loro capacità genitoriale. Lo psichiatra incaricato conclude che hanno personalità abusante perché «l'uno non riesce ad essere autosufficiente senza l'altro». Giudizio completamente smentito sia dagli eventi che sul piano scientifico per tanti anni, infatti, il marito ha dovuto fare a meno della moglie, fuggita in Francia per partorire e farvi crescere il quinto figlio. Costretto dagli avvenimenti, egli ha dimostrato tutta la sua autosufficienza mentre è solo nella sua casa. Sul piano strettamente tecnico, un docente universitario nota, invece, che «La scarsa autonomia, la tendenza simbiotica e la carente indipendenza sono elementi presenti in molte coppie genitoriali e sono tratti che non sono distintivi ed esclusivi di quelle abusanti. Questi aspetti - continua il perito - in misura maggiore o minore, sono presenti in molte coppie, senza per questo integrare una condizione di patologia ne essere intrinsecamente patogeni; anche nel caso in cui questi aspetti raggiungano una dimensione di problematicità, comunque, nessuno penserebbe mai di qualificare tali genitori come aprioristicamente inadeguati e con personalità abusante».
Anche i quattro fratelli Covezzi, dopo l'allontanamento familiare, sono sottoposti a visita medico-legale dei dottori Maggioni e Bruni e a colloqui settimanali da parte delle psicologhe Donati e Gemelli, in cui rilasciano un numero esorbitante di dichiarazioni. Sottoposti a perizia psicodiagnostica (Farci, Roccia, Guasto) tutti i fratelli Covezzi sono ritenuti attendibili ed è attestato che le loro narrazioni erano uguali, mostrano la consapevolezza degli abusi subiti e li ambientano in uno stesso scenario, mostrano la stessa considerazione nei riguardi dei genitori (madre terribile, padre

mostro) e, inoltre raccontano anche lo stesse minacce subite.
Resi noti, i periti di parte evidenziano le situazioni paradossali che contraddistinguono i racconti dei bambini. I fratellini descrivono situazioni, luoghi, comportamenti del tutto diversi e coinvolgono minori, come vittime, e adulti, come abusanti e maltrattanti, diversi l'uno dall'altro. Non c'è alcuna corrispondenza significativa nelle diverse versioni della stessa realtà. Le diversità delle narrazioni dimostra che i fratellini non si rendono minimamente conto di raccontare il falso, per questo non sono attendibili e sono caduti in suggestioni che li fanno passare con estrema naturalezza da stragi dei rituali satanici che grondano sangue, alla vita di ogni giorno, alla scuola, alle abitudini di famiglia. Parlano di omicidi come se fossero favole raccontate o cartoni animati visti in TV. Pur tuttavia la validazione psicologica svolta dagli psicologi incaricati dai Giudici li classifica attendibili e fa testo coma strumento processuale.
Considerati i danni anatomici che si sarebbero dovuti verificare, i genitori dei minori chiedono al Giudice delle indagini preliminari di far esaminare, da un medico di sua fiducia, i risultati fotografici dell'ispezione corporale effettuata a suo tempo dai consulenti del pubblico ministero. Questi, dopo due settimane dall'allontanamento, avevano visitato i bambini, scattato foto dei loro genitali e concluso che erano stati tutti abusati avanti e retro. La più grandicella «anche centinaia di volte».
Il medico incaricato dal giudice delle indagini preliminari demolisce tali perizie e conferma senza ombra di dubbio che la bimba dichiarata vittima di orge sataniche, deflorata centinaia di volte, in realtà è vergine. Riguardo a tutti e quattro i fratelli il Ctu del Gip scrive che senza ombra tutti i bambini sono illibati. Di conseguenza viene a cadere l'unico appiglio che avrebbe dovuto dimostrare «centinaia di violenze».
Ciò non toglie al tribunale di ritenere le considerazioni del collegio peritale corrette e valide, non suscettibili di critica, che abbiano la forza probatoria necessaria a motivare la sentenza di condanna emessa a carico dei coniugi Covezzi.
La Corte d'Appello apprezza il copioso materiale probatorio acquisito nel corso del processo di primo grado non idoneo ad addivenire alla pronuncia di responsabilità penale. Ritiene che la genesi del procedimento abbia influito sulle modalità d'acquisizione e sulla conseguente intrinseca validità della prova, considerata inidonea per una serie di motivi. La mancata documentazione audio e video dei colloqui con i minori per il tempo che la trascrizione dei colloqui avrebbe richiesto. Mette in dubbio che sia la testimonianza della Donati che l'ispezione dei luoghi e delle cose dei medici Maggioni e Bruni perché l'ambiente, il clima e le modalità del loro agire possono avere influenzato la genuina formazione dei ricordi. I soggetti che hanno avuto in «custodia» i minori e che li hanno accompagnati nel difficile percorso delle rivelazioni, abbiano in qualche misura orientato e guidato queste ultime verso una meta che doveva coincidere con l'ipotesi già seguita e validata in occasione degli altri procedimenti. Il quadro relativo alla affidabilità dell'operato delle operatrici dell'azienda USL di Mirandola è complicato ed aggravato dalla già stigmatizzata assenza di seria documentazione dei colloqui svolti. Varrà anche in relazione ad altri punti della sentenza impugnata, ma è sintomatico come la Donati abbia ritenuto reali gli episodi cimiteriali, peraltro sconfessati nella loro sussistenza da un giudicato. La scelta della Roccia, come presidente del collegio peritale è stata di grande inopportunità o di scarsissima «ortodossia».
Il narrato di P. Covezzi è palesemente non credibile, non solo per quanto attiene agli episodi cimiteriali, smentiti da un giudicato, ma anche rispetto a quanto riferito a carico dei genitori. Lo stesso vale per E. Covezzi che aveva accusato una persona assolta in altro giudicato penale. Anche le rivelazioni di V. e A. vengono ugualmente ritenute inattendibili. Anche le notizie relative a presunte minacce ricevute dai genitori mentre erano in affido ad altri soggetti sono state dimostrate del tutto false e

sono stati rivalutati in proposito gli alibi svalutati dai giudici di Modena.
In sintesi, il narrato dei minori ha coinvolto i genitori soltanto qualche tempo dopo l'allontanamento dagli stessi ed è privo di quella coerenza intenta che dovrebbe assistere un elemento probatorio fondamentale e per altri viene spesso smentito o comunque revocato in dubbio ogni qual volta fa riferimento a riscontri esterni. Le dichiarazioni dei fratelli Covezzi, verosimilmente, sono state teso all'interno di una comunità gravida di potenzialità suggestive e manipolatorie, dalla quale i minori possono avere assimilato, interiorizzato e poi riferito racconti di altri.
Malgrado le pesanti critiche contenute nel dispositivo della predetta sentenza, la prefettura di Modena, interessata in merito, ha fatto sapere che: tre dei quattro ragazzi hanno raggiunto la maggiore età, mentre il quarto sta per raggiungerla; per ragioni di riservatezza non è possibile conoscere, senza il consenso degli interessati maggiorenni o del tutore riguardo al minore, (ubicazione dei luoghi e l'identità delle famiglie presso cui i ragazzi sono stati collocati; incaricati della tutela, di sostenerne i costi di mantenimento, di educazione e di supporto professionale sono stati incaricati fin dal 1998 i Servizi sociali dell'Unione comuni modenesi area nord; il coordinamento tecnico sugli interventi di sostegno psico-sociali è stato assegnato alla dottoressa Benati. In proposito è stata stipulata regolare convenzione con un centro specializzato che da diversi anni se i progetti sui ragazzi Covezzi con continuità terapeutica; il Centro aiuto al bambino cenacolo francescano di Reggio Emilia, eroga direttamente le prestazioni richieste dall'ente tutelare sui singoli progetti e viene finanziato con regolari risorse pubbliche erogate nella misura del 75 per cento dall'ASL di Modena, per la parte sanitaria-terapeutica e per il 25 per cento dal bilancio sociale dell'Unione comuni modenesi area nord, per la parte sociale e di sostegno all'affido familiare. Interventi attivati all'inizio della presa in carico e ancora in corso; attualmente i ragazzi hanno rapporti professionali e di sostegno con la dottoressa Donati Valeria e con la dottoressa Gemelli Anna Maria che in qualità di psicologhe incaricate dall'ente tutore hanno seguito i percorsi di sostegno psicologico di sostegno degli allora minori Covezzi P., Covezzi V., Covezzi F., Covezzi A.
La circostanza offerta dall'analisi della vicenda può essere utile a tutti per valutare una storia straordinariamente scioccante e l'occasione per una riflessione generale sulla pedofilia e per accendere un focus su tutti i fenomeni ad essa collegati.
La pedofilia, infatti, è una materia che, con ragione, suscita rabbia, disgusto e ripugnanza tanto forti quanto radicate sono le stesse convinzioni che gli ruotano intorno e la condanna di un'opinione pubblica sempre più ampia. Si perde nella notte dei tempi, ma, fino a poco tempo fa, era vissuta nel silenzio e nella vergogna non solo dalle vittime e dalle famiglie coinvolte, costituiva un tabù largamente esteso e veniva molto trascurata anche dall'analisi scientifica.
In tempi relativamente recenti, l'informazione ne ha fatto oggetto di una cronaca diffusa in occasione delle molte vittime scoperte, sensibilizzando l'opinione pubblica e spingendo molti settori della società ad occuparsene in modo molto più approfondito.
Da fenomeno raro, la pedofilia è passata ad essere ora considerata una grave emergenza. Dettate dalla necessità di protezione dei propri figli, fratelli, nipoti si sono così prodotte reazioni sociali che hanno innescato un dibattito pubblico tanto accanito quanto, sovente inappropriato, poco attinente, quando non privo di qualsiasi fondamento. Questo grazie anche al fatto che la comunità scientifica stessa non è ancora giunta a comprendere e spiegare la pedofilia in senso globale.
Gli orrori richiamati dal termine pedofilia mostrano come, in proposito, anche il linguaggio corrente sia del tutto inadeguato alla sua corretta identificazione del fenomeno. Come si rileva dal vocabolario della lingua italiana, infatti, la derivazione etimologica e culturale dalla Grecia antica di detto lemma indica le parole bambino, amicizia, affetto. Un accostamento, però,

che fornisce un significato distante dal senso comune ormai invalso e che oltraggia e profana lo strazio della carne e dell'anima dei bambini e dei fanciulli che la subiscono e che, per soddisfarne le pratiche, arrivano anche ad essere sequestrati, venduti e uccisi.
Il repentino passaggio dall'occultamento all'emersione della fenomenologia ha creato un'ampia mobilitazione che indubbiamente contribuisce a contrastarla molto più efficacemente di prima.
Persuasioni troppo di frequente indotte da suggestioni lontane dalla reale conoscenza dei fatti, per lo più derivanti dalla mediazione dei mass media e formatesi sulla base di superficiali e insufficienti letture inerenti l'abuso sessuale sui minori.
La diffusione incontrollata di ogni genere d'informazione-notizia a riguardo ha, però, prodotto anche molta approssimazione e confusione. Controindicazioni che, in non rari casi, hanno favorito l'esasperazione dello stato d'animo collettivo e fatto nascere un senso della giustizia malinteso e fuorviante, prodromico a una sua imperfetta, quando non sommaria, applicazione. Gli effetti che in questi casi si sono prodotti si sono rivelati pericolosi e mostruosi quanto quelli propri della pedofilia, a cui si sono sommati, facendo aumentare il numero e la qualità delle vittime.
Proprio il caso dei coniugi Covezzi-Morselli fa risaltare che l'attuale stato di questa problematica è connotato da due aspetti che richiedono una vera e propria mobilitazione della politica, perché entrambi incidono in modo assai rilevante sulla vita della società italiana.
Il primo riguarda la necessita di trovare strumenti ancor più efficaci per frenare il fenomeno, implementandone la prevenzione, approntando norme e metodologie di contrasto ancor più efficienti, studiando sistemi di riduzione del danno e di recupero delle vittime sempre più avanzati. Questo perché, malgrado gli sforzi fatti per prevenire il disagio collettivo derivante dall'abuso sessuale, i radicali interventi legislativi effettuati nella specifica materia, insieme alle norme varate per valorizzare e per assicurare la prioritaria tutela dell'infanzia, bisogna prendere atto che la pedofilia rimane una piaga sociale di primaria grandezza. Insieme a tante altre, la causa più rilevante è la sua ancora scarsa comprensione. Necessita, allora, incentivare la comunità scientifica e investirla del compito di ampliare e approfondire il campo della conoscenza della patologia e di tutte le tematiche connesse. È necessario che la pedofilia venga organicamente studiata alla stregua di tutti i mali ritenuti incurabili, rappresentando indubbiamente il più grave di essi. Infatti, dai rimedi che tutte le componenti della società sapranno trovare per permettere la compiuta affermazione dei diritti dell'infanzia, la protezione dell'innocenza del fanciullo, la costruzione della sua identità umana e il rispetto della sua dignità, non dipendono solo il presente e il futuro di alcuni cittadini, ma quello dell'intero Paese, il suo ordine sociale e il suo progresso morale.
L'altro aspetto fondamentale strettamente connesso alla pedofilia è quello relativo ai cosiddetti danni collaterali prodotti da tutte quelle suggestioni, contaminazioni, psicosi, imperfezioni d'apparato, di procedura e di sistema che producono i falsi abusi. Ne è piena la cronaca giudiziaria degli ultimi decenni, ma alcuni è bene sempre ricordarli perché rappresentano un esempio indimenticabile, un monito per tutti gli addetti ai lavori, uno stimolo per la classe politica chiamata a individuarne le cause e a dare risposte credibili ed efficaci affinché non si debba ripetere.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Carlo Giovanardi.

BELLANOVA. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il magistrato onorario, figura istituita ai sensi del regio decreto del 20 luglio 1934 n. 140, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, recante istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale

del 5 settembre 1934 n. 208, è un membro dell'ordine giudiziario che svolge le funzioni del giudice o del pubblico ministero. Il magistrato onorario esercita la funzione giurisdizionale per un lasso di tempo determinato e non riceve una retribuzione, ma solo un'indennità per l'attività svolta;
la circolare del Consiglio superiore della magistratura circa la nomina e lo status dei giudici onorari minorili, emessa con delibera del 13 maggio 2010 ed attinente ai criteri per la nomina e conferma dei giudici onorari per il triennio 2011-2013, all'articolo 7, comma 4, reca testualmente: «non sussistono per i giudici onorari minorili le incompatibilità derivanti da un pubblico impiego, sempre che le esigenze del medesimo siano compatibili con le disponibilità di tempo e di impegno richieste dall'incarico onorifico, e sempre che lo specifico impiego non contrasti con la necessaria terzietà del giudice. Nei casi di incertezza quanto alla disponibilità di tempo deve essere acquisita una dichiarazione di disponibilità dell'aspirante e della Amministrazione di appartenenza»;
in data 22 giugno 2010 il professor Luigi Martano dirigente scolastico dell'istituto comprensivo di Corigliano d'Otranto (Lecce), già giudice onorario presso la corte d'appello del tribunale per i minori di Taranto, ha inoltrato presso l'ufficio scolastico regionale per la Puglia - direzione generale ufficio IV - dirigenti scolastici e personale della scuola la richiesta di nulla osta per la partecipazione alla selezione per la nomina di giudice onorario;
in data 23 giugno 2010 dallo stesso ufficio sopra citato con protocollo n. AOODRPU 6332 veniva recapitata, a mezzo fax, al professore Luigi Martano una comunicazione, da parte del direttore generale, dottoressa Lucrezia Stellacci, di rigetto del nulla osta sopra richiesto. Dalla missiva in oggetto si legge che «lo scrivente ritiene che non ricorrano i presupposti per la concessione. La molteplicità e la complessità delle funzioni in cui si articola l'incarico di direzione dell'istituto comprensivo, come quello affidato alla S.V., sono tanto assorbenti per la qualità e la quantità dell'impegno professionale, da non consentire l'espletamento della funzione di giudice onorario, senza detrimento per l'incarico principale»;
lo stesso diniego del nulla-osta è stato espresso anche per altri dirigenti scolastici della regione Puglia;
andrebbe ricordato che la figura del dirigente scolastico ha diritto come previsto dal CCNL-AREA V articolo 15 ad «organizzare autonomamente i tempi e i modi della propria attività», le proprie ferie ed in particolare può organizzare l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative. A differenza di tutti i dipendenti pubblici, il dirigente scolastico non ha un orario prestabilito di servizio e risponde solo degli obiettivi assegnati e dei risultati ottenuti -:
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire con urgenza per verificare se anche in altre regioni d'Italia, i direttori generali degli uffici scolastici stiano procedendo nello stesso senso, vale a dire negando ai dirigenti scolastici il nulla osta propedeutico allo svolgimento delle funzioni di giudice onorario;
se non ritengano di dover appurare se anche dopo il riconoscimento costituzionale dell'autonomia delle scuole, come da decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 8 marzo 1999, per partecipare alla sopraccitata selezione un dirigente debba avere necessariamente parere positivo per il nulla osta da parte del direttore generale dell'ufficio scolastico, al fine di evitare una seria discriminazione che porterebbe a privare il Consiglio superiore della magistratura di elevate professionalità che potrebbero fornire un contributo fattivo in ambito della giustizia minorile.
(4-07826)

Risposta. - Per incarico della Presidenza del Consiglio dei ministri si risponde

all'interrogazione in esame, rivolta al Ministero della giustizia e a questo Dicastero, concernente il diniego del nulla osta per lo svolgimento delle funzioni di giudice onorario del Tribunale dei minori opposto dalla Direzione generale dell'ufficio scolastico regionale per la Puglia al dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo di Corigliano d'Otranto (Lecce).
Al riguardo, il Ministero della giustizia ha comunicato che le questioni prospettate nell'interrogazione non investono profili rientranti nella sfera di attribuzioni di quel Ministero. Ha inoltre precisato che il Dipartimento per la giustizia minorile interviene nel procedimento per la nomina e la conferma dei giudici onorari minorili unicamente per la predisposizione del decreto da sottoporre alla firma del Ministro della giustizia, una volta che sia intervenuta la relativa delibera di competenza del Consiglio superiore della magistratura. Peraltro, anche l'istruttoria e la valutazione delle domande degli aspiranti rientrano nelle specifiche attribuzioni delle Commissioni appositamente costituite presso Uffici giudiziari minorili.
Quanto ai profili di specifico interesse di questa Amministrazione, va preliminarmente fatto presente che la competenza in materia di gestione del personale scolastico, ivi compresi i dirigenti scolastici, spetta agli uffici scolastici regionali.
Ciò premesso, in merito a quanto rappresentato nell'atto di sindacato ispettivo, la competente Direzione generale dell'ufficio scolastico regionale per la Puglia ha comunicato quanto segue.
Il diniego del nulla osta propedeutico allo svolgimento delle funzioni di giudice onorario del Tribunale dei minori è stato opposto al dirigente dell'Istituto comprensivo di Corigliano d'Otranto, come ad altri dirigenti scolastici che ne avevano fatto richiesta secondo la delibera del 13 maggio 2010 del Consiglio superiore della magistratura attinente ai criteri per la nomina e conferma dei giudici onorari per il triennio 2011-2013.
Riguardo alla presunta illegittimità del diniego, la Direzione scolastica regionale ha osservato che il Consiglio superiore della magistratura nella precitata delibera richiede espressamente, da parte dell'Amministrazione da cui dipende l'aspirante all'incarico onorario, una valutazione sulla compatibilità delle esigenze del rapporto di pubblico impiego «con le disponibilità di tempo e di impegno richieste dall'incarico onorifico».
Quanto, poi, all'ulteriore dubbio espresso nell'interrogazione - se la valutazione di compatibilità sia applicabile ai dirigenti scolastici «dopo il riconoscimento costituzionale dell'autonomia delle scuole come da decreto del Presidente della Repubblica 275 del 08 marzo 1999» - la medesima Direzione scolastica regionale ha rilevato che, nonostante l'autonomia di cui il dirigente scolastico, come qualsiasi dirigente, goda nell'organizzare i modi ed i tempi della propria attività lavorativa, la funzione di giudice onorario implica l'inserimento del magistrato non togato in una diversa organizzazione lavorativa, la cui gestione compete esclusivamente al presidente dell'Ufficio giudiziario con la redazione dei «ruoli delle cause e affari». Da ciò consegue che sia il tempo per lo studio dei casi che quello da destinare alla trattazione degli stessi in camera di consiglio o in udienza pubblica non sono autonomamente gestiti dal singolo dirigente, anzi possono coincidere - come di fatto avviene - con attività scolastiche altrettanto indifferibili se non addirittura imprevedibili, che richiedono la presenza a scuola dello stesso dirigente. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al periodo di avvio dell'anno scolastico nei mesi di settembre ed ottobre, con la convocazione degli organi collegiali, con l'arrivo di nuovo personale docente ed amministrativo, tecnico ed ausiliario (Ata) con contratto a tempo indeterminato e l'assunzione di altro personale con contratto a tempo determinato; oppure agli scrutini del primo quadrimestre o di quelli finali oltre che agli esami; per tacere delle numerose conferenze di servizio indette sul territorio dall'Ufficio scolastico regionale.
La qualifica dirigenziale, acquisita ormai dall'anno 2000 dai capi d'istituto, implica una maggiore responsabilità e coinvolgimento

degli stessi per assicurare l'ottimale funzionamento delle istituzioni scolastiche, e solo marginalmente tale personale coinvolgimento può essere attenuato dall'istituto della delega o attribuzione delle funzioni vicarie.
L'esperienza insegna che spesso, proprio nelle istituzioni che non funzionano bene e che presentano situazioni di criticità di vario tipo, si riscontra un uso eccessivo della delega di funzioni da parte del dirigente, che semmai non risulta in sede essendo impegnato ad assolvere altri incarichi, a volte più remunerativi.
Pertanto, la Direzione scolastica regionale ritiene che il diniego opposto a tutti i dirigenti scolastici, che aspiravano a ricoprire l'incarico di magistrato onorario presso il tribunale dei minori, sia stato adeguatamente motivato in sintonia con le finalità della vigente normativa che regola la materia in argomento.
Da parte di questo Ministero non si hanno osservazioni circa le considerazioni svolte dalla competente Direzione generale dell'ufficio scolastico regionale per la Puglia a sostegno della denegata autorizzazione.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Ansa del 6 dicembre 2010, il dottor M.M., 52enne, ex direttore sanitario del centro di riabilitazione e attualmente responsabile del dipartimento di medicina riabilitativa e unità spinale del carcere di Bologna, sarebbe stato messo agli arresti domiciliari in quanto accusato di aver redatto un falso certificato medico di invalidità totale, consentendo così ad un detenuto di uscire fuori dal carcere;
il detenuto per il quale era stata stilata una diagnosi di invalidità totale è un 42enne condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, con un fine pena prevista nel 2023, il quale, a seguito del falso certificato medico, è riuscito ad uscire dal carcere e ad ottenere i domiciliari;
successivamente la polizia di Stato ha scoperto che il detenuto, poi suicidatosi nel 2010, non era affatto invalido, ma partecipava a balli di gruppo e guidava l'auto senza ausili, tanto che fu fermato più volte anche dai vigili -:
di quali elementi disponga sulla vicenda e se risulti se e quali iniziative o provvedimenti disciplinari siano stati adottati o si intendano adottare nei confronti del professionista.
(4-10065)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame e si espongono le informazioni acquisite tramite la prefettura - ufficio territoriale del governo di Bologna.
Il centro di riabilitazione di Montecatone (Imola) è una società per azioni a capitale interamente pubblico i cui soci sono l'azienda USL ed il comune di Imola. Attualmente le funzioni di Presidente del Consiglio di amministrazione della s.p.a. sono svolte dal direttore generale della predetta azienda USL.
Il dottor M.M. - dirigente medico dipendente, già titolare dell'incarico di responsabile del dipartimento di medicina riabilitativa e unità spinale dell'ospedale di Montecatone (e non del carcere di Bologna, come indicato nel testo dell'interrogazione parlamentare) è stato sospeso dal servizio e dal predetto incarico dirigenziale a seguito dell'esecuzione, il 6 dicembre scorso, dell'ordinanza di applicazione della misura coercitiva degli arresti domiciliari. Il provvedimento è stato adottato dal Presidente del Consiglio di amministrazione e ratificato dall'assemblea dei soci il 13 dicembre 2010. L'incarico precedentemente ricoperto dal dottor M.M. è stato affidato al direttore sanitario dell'ospedale di Imola.
Al fine di garantire ai pazienti ricoverati la massima tutela, è stato inoltre conferito a due dottoresse l'incarico di responsabili clinico-assistenziali delle unità operative

pertinenti al citato dipartimento di medicina riabilitativa.
A seguito della revoca della misura degli arresti domiciliari, sostituiti con l'obbligo di dimora e divieto di allontanarsi dall'abitazione, il presidente della società Monte Catone Rehabilitation Institute s.p.a., in data 22 dicembre 2010, nel prendere atto del provvedimento disposto dal GIP, ribadiva con propria disposizione l'impossibilità per il dott. M.M. di svolgere la prestazione lavorativa e confermava la precedente disposizione. Da ultimo, il 28 gennaio scorso, in relazione alle più recenti decisioni assunte dall'autorità giudiziaria in merito al caso in questione, il consiglio d'amministrazione della predetta società ha deliberato la sospensione cautelare dal servizio del dottor M.M., per un periodo di sei mesi a decorrere dalla data della delibera.
Si soggiunge che il predetto Consiglio di amministrazione, su mandato dei soci, ha nominato un collegio legale a cui ha affidato l'incarico di individuare gli strumenti più idonei a tutela della società, in qualità di parte offesa, al fine di salvaguardare l'alta qualità - di rilevanza nazionale - dell'attività clinica svolta dall'ospedale, peraltro confermata dall'ottima performance gestionale. In tale ambito la Società, unitamente al collegio legale, sta valutando gli eventuali ulteriori provvedimenti da assumere nei confronti del dottor M.M.
Da ultimo, in ordine alla problematica sollevata, si informa che la competente direzione generale del Ministero della salute ha acquisito le opportune notizie dall'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Bologna relativamente alla vicenda in questione.
L'ordine ha comunicato la decisione del proprio Consiglio direttivo, presa in data 16 dicembre 2010, con la quale ha sospeso dall'esercizio della professione medica il dottor M.M., ai sensi dell'articolo 43 de decreto del Presidente della repubblica n. 221/50, prendendo atto della restrizione della libertà personale disposta dall'autorità giudiziaria.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
il signor Friscina Cristian, è un ragazzo residente in Puglia, titolare di patente di guida emessa dalla Motorizzazione civile di Brindisi il 28 aprile 1999;
il 04 giugno 2009, il signor Friscina ha proceduto al rinnovo decennale della patente di guida, presso l'USL di Brindisi (distretto di Mesagne). Le procedure di rinnovo prevedono che ci si sottoponga ad una visita medica per valutare la permanenza dell'idoneità alla guida;
il signor Friscina è risultato perfettamente idoneo e la validità della patente gli è stata rinnovata. Come per prassi, gli è stato anche rilasciato un certificato medico che consente di continuare a guidare in attesa di ricevere a mezzo posta il tagliando adesivo attestante il rinnovo che si applica sulla patente, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
il 21 dicembre 2010, tuttavia, si è dovuto recare presso gli uffici della Motorizzazione civile di Brindisi per sollecitare rinvio del predetto tagliando che a distanza di un anno e mezzo dal rinnovo non gli era ancora pervenuto;
in quella sede, però, apprendeva dell'esistenza di un provvedimento con il quale gli era imposta «la revisione della patente di guida mediante nuovo esame di idoneità psicofisica», sulla base di una «comunicazione del 14/01/2000 dell'Ospedale Militare Bonomo di Bari»; ciò nonostante la validità della patente gli fosse stata rinnovata il 04 giugno 2009 a seguito di visita medica;
il provvedimento si limitava a disporre la revisione della patente di guida del signor Friscina «vista la comunicazione n. 17 Osp. Mil. Bonomo Bari in data 14/01/2000 dalla quale risulta che la S.V., il 13/01/2000 presentava delle patologie

che potrebbero risultare di pregiudizio per la sicurezza della guida, considerato che le risultanze di tale comunicazione fanno sorgere dubbi sulla persistenza nella S.V. dei requisiti di idoneità psicofisica prescritti per il possesso della patente di guida»;
il riscontro di fatti determinanti è presupposto perché sorgano dubbi sulla persistenza dei requisiti fisici e/o psichici prescritti o dell'idoneità tecnica alla titolarità della patente di guida e il provvedimento mancava del tutto della loro indicazione, in contrasto con quanto previsto dall'articolo 3 della legge sul procedimento amministrativo e dall'articolo 128 del codice della strada;
il provvedimento mancava, quindi, delle motivazioni che hanno portato alla sua adozione e mancava anche, in allegato, della comunicazione dell'Ospedale Militare di Bari di cui si ignora il contenuto, ma dal quale si evincerebbe che il signor Friscina nel 2000 «presentava delle patologie che potrebbero risultare di pregiudizio per la sicurezza della guida»;
si dà il caso che nell'anno 2000 il signor Friscina sia stato esonerato dal servizio di leva obbligatorio, proprio dall'Ospedale Militare di Bari, conseguendo un foglio di congedo assoluto. La ragione di tale congedo risulterebbe legata esclusivamente al fatto che, essendo il signor Friscina persona omosessuale, in caserma sarebbe stato esposto al rischio di discriminazione e intolleranza in ragione del proprio orientamento omosessuale;
egli non presentava alcun tipo di patologia, né tale può essere considerata l'omosessualità come l'eterosessualità di una persona. In nessun caso l'orientamento sessuale di una persona può essere considerata causa di inidoneità psichica o fisica alla titolarità della patente di guida;
nella comunicazione dell'Ospedale Militare sembrerebbe addirittura che l'omosessualità venga definita «patologia», fatto di per sé assurdo;
qualora l'orientamento omosessuale del ricorrente fosse stato il motivo della sospensione della patente di guida, l'atto amministrativo sarebbe intrinsecamente e sostanzialmente nullo in quanto adottato in mancanza assoluta di presupposti e ledendo diritti costituzionali fondamentalissimi dell'individuo, a partire dalla dignità personale. La nullità di tale atto si estenderebbe a qualsiasi atto consequenziale che lo abbia preso o lo prendesse come suo presupposto;
a tal proposito si richiamano anche le sentenze del TAR Sicilia n. 2353 del 2005 e quella del tribunale di Catania del 29 gennaio 2008, che hanno dichiarato la nullità del provvedimento che disponeva la revisione della patente di guida in un caso identico a quello per il quale si ricorre. Il tribunale di Catania, come di recente confermato dalla corte di appello, ha anche condannato i Ministeri al risarcimento del danno subito dal ricorrente/attore;
il 20 gennaio 2011, il signor Friscina si è nuovamente recato presso l'ufficio della Motorizzazione civile di Brindisi per depositare un ricorso contro il provvedimento che gli era stato consegnato il 21 dicembre 2010, protocollato con il numero 237 III/15 del 20 gennaio 2011;
a distanza di ben tre mesi, il 15 aprile 2011, il signor Friscina si è recato nuovamente presso l'ufficio della Motorizzazione per avere informazioni sull'esito del proprio ricorso, ma paradossalmente non vi era nessun funzionario in grado di dirgli alcunché, neppure se l'esame del ricorso era stato avviato. Solo tre giorni dopo la Motorizzazione faceva pervenire a mezzo posta una comunicazione nella quale confermava che il ricorso era stato inoltrato alla direzione generale territorialmente competente;
nel frattempo il signor Friscina continua ad avere la patente sospesa ed in conseguenza di ciò a subire notevoli danni -:
se i Ministri interrogati siano in possesso di informazioni sul caso descritto;

se non ritengano di intervenire per risolvere con urgenza paradossale situazione descritta;
se e come intendano risarcire il signor Friscina a nome della pubblica amministrazione;
se non intendano adottare un provvedimento generale che vieti l'adozione di simili provvedimenti nei confronti della persone con orientamento omosessuale.
(4-11901)

Risposta. - In riferimento allo spiacevole circostanza che ha coinvolto il signor Cristian Friscina si fa presente che con nota del 14 gennaio 2000, l'ospedale militare Bonomo di Bari comunicava all'ufficio provinciale della motorizzazione di Brindisi che il Friscina presentava delle patologie che «potrebbero risultare di pregiudizio per la sicurezza della guida».
A fronte di tale segnalazione, che non individuava in modo specifico una particolare patologia ma segnalava la sola esistenza di possibili pregiudizi per la sicurezza della guida, l'Ufficio della motorizzazione disponeva doverosamente, con provvedimento del 14 gennaio 2000 ai sensi dell'articolo 128 del Codice della strada, la revisione della patente del signor Friscina mediante sottoposizione a visita medica presso la Commissione medica locale.
Di tale provvedimento di revisione il signor Friscina, tuttavia, veniva a conoscenza solo in data 21 dicembre 2010, in occasione della richiesta di rinnovo della patente nel frattempo scaduta.
In data 20 gennaio 2011, il signor Friscina presentava ricorso gerarchico alla Direzione generale sud e Sicilia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avverso il detto provvedimento di revisione; con decreto n. 237 del 2011 del 20 aprile 2011, tale ricorso veniva accolto con conseguente annullamento dello stesso provvedimento di revisione.
La situazione è dunque, ad oggi, completamente risolta in quanto la patente del signor Friscina è stata rinnovata fino al 4 giugno 2019. Si specifica, inoltre, che l'interessato non ha subito alcun provvedimento di sospensione della patente.
Ciò premesso, in relazione al provvedimento di revisione del 2000, è opportuno far osservare l'assoluta estraneità dell'Ufficio della motorizzazione e la correttezza dell'operato dello stesso. Infatti l'Ufficio non ha disposto la detta revisione in ragione dell'orientamento sessuale del signor Friscina, che ignorava e di cui è venuto a conoscenza solo ultimamente, bensì esclusivamente e doverosamente a seguito della comunicazione dell'ospedale militare Bonomo di Bari.
L'articolo 128 del Codice della strada prevede, infatti, che gli uffici della motorizzazione «possono disporre che siano sottoposti a visita medica presso la commissione medica, locale di cui all'articolo 119, comma 4,... i titolari di patente di guida qualora sorgano dubbi sulla persistenza nei medesimi dei requisiti fisici e psichici prescritti .....».
In tali casi la revisione è disposta a seguito di segnalazioni ritenute opportune da parte delle autorità sanitarie in relazione a stati patologici dei conducenti che potrebbero risultare pregiudizievoli per la guida. Si tratta prevalentemente di segnalazioni agli Uffici della motorizzazione che scaturiscono da visite mediche effettuate per l'accertamento della invalidità, visite medico-legali, visite di controllo presso ospedali pubblici, eccetera.
Trattasi, all'evidenza, di comunicazione tra soggetti pubblici effettuata nell'esercizio di una attività istituzionale e alla luce di un rilevante fine pubblico quale quello della tutela della sicurezza stradale.
Nel caso in esame la motorizzazione di Brindisi non poteva esimersi dall'esercitare il suo potere-dovere di disporre la revisione, ai sensi del citato articolo 128, in presenza di specifica e finalizzata comunicazione di una struttura sanitaria, in questo caso un ospedale militare. D'altronde, l'Ufficio della motorizzazione è privo di specifiche professionalità in materia e quindi non è in grado di effettuare alcuna valutazione in merito alla segnalazione dell'ospedale.
Del resto l'Ufficio della motorizzazione - destinatario della comunicazione dell'ospedale

militare senza alcuna indicazione relativa a eventuali patologie né tantomeno relativa all'orientamento sessuale dello stesso - non avrebbe potuto in alcun modo assumere direttamente alcuna decisione in ordine al possesso o meno dei requisiti psico-fisici senza una verifica, così come è stata disposta, da parte degli organi (le Commissioni mediche locali) a ciò preposti per legge.
Infatti il legislatore, con il combinato disposto dagli articoli 119 e 128 del decreto legislativo n. 285 del 1992, al fine di tutelare la sicurezza della circolazione stradale, ha provveduto ad istituire speciali Commissioni mediche il cui il unico compito è quello di accertare l'idoneità psico-fisica dei conducenti attraverso visite specialistiche particolari e più approfondite di quelle previste per il normale rinnovo della patente.
In conclusione, appare opportuno ribadire che il provvedimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non aveva alcun carattere discriminatorio in quanto non basato sulla valutazione dell'orientamento sessuale del Friscina, che non era evincibile né dalla comunicazione dell'ospedale militare né conosciuto dall'Ufficio, bensì era diretto unicamente a tutelare la sicurezza della circolazione stradale a fronte di segnalazioni di patologie valutate da strutture sanitarie pubbliche, quale l'ospedale militare.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

BERTOLINI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la Grecia, dopo la registrazione dell'aceto balsamico di Modena come IGP avvenuta nel 2009, ha provveduto a varare una propria legge interna, che consente l'uso della denominazione «aceto balsamico greco»;
successivamente ha notificato a livello europeo tale variazione, attraverso una procedura anomala ed un iter improprio, che nulla ha a che fare con i marchi alimentari protetti;
tale iniziativa da parte della Grecia sembrerebbe avere come obiettivo quello di appropriarsi con modalità censurabili del marchio dell'aceto balsamico di Modena;
se la Commissione europea non interverrà tempestivamente, l'iniziativa greca renderà, a giudizio dell'interrogante, di fatto vano l'intero sistema delle denominazioni protette, perché qualunque Paese potrebbe variare le proprie norme alimentari per servirsi di una denominazione imitativa di prodotti che hanno ottenuto l'indicazione geografica protetta o la denominazione di origine protetta;
il Consorzio dell'aceto balsamico di Modena ha già espresso le proprie preoccupazioni in merito, sottolineando il danno che tale iniziativa può causare all'intero settore;
l'aceto balsamico di Modena è un prodotto simbolo dell'italian food all'estero, con il 75 per cento dei 90 milioni di litri prodotti esportati, ma è purtroppo anche uno dei prodotti a maggior rischio di contraffazione;
il comparto dell'aceto balsamico di Modena fattura ogni anno circa 8 miliardi di euro e dà lavoro a più di 300 mila persone -:
se sia a conoscenza di tale situazione e quali siano i suoi intendimenti al riguardo;
quali iniziative urgenti intenda adottare per evitare che la procedura avviata dalla Grecia, ad avviso dell'interrogante per aggirare le regole europee riguardanti le l'indicazione geografica protetta e la denominazione di origine protetta, vada a buon fine, danneggiando in modo significativo un prodotto pregiato come l'aceto balsamico di Modena;
se intenda adoperarsi per difendere tutte le denominazioni IGP e DOP italiane, che sono molto importanti per l'economia nazionale, ma messe a rischio da iniziative come quella della Grecia;

non ritenga necessario assumere ogni utile iniziativa in sede di Unione Europea affinché la Commissione europea si attivi per evitare di vanificare l'intero sistema delle denominazioni protette e dell'indicazione geografica protetta.
(4-11485)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, evidenzio di essere perfettamente a conoscenza della procedura avviata dalla Grecia (ai sensi della direttiva 98/34/CE) per ottenere il diritto di produrre e immettere sul mercato un prodotto denominato «aceto balsamico», secondo modalità differenti da quelle prescritte nel disciplinare di produzione dell'Aceto Balsamico di Modena IGP.
Al riguardo sottolineo come il nostro Paese, consapevole delle negative ripercussioni che l'approvazione di una simile norma potrebbe determinare, sia intervenuto tempestivamente, tramite l'Unità centrale di notifica del Ministero dello sviluppo economico, per rappresentare l'incompatibilità di tale disposizione con i principi di diritto comunitario, stante la registrazione delle due DOP Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia e della IGP Aceto Balsamico di Modena.
Peraltro vorrei far presente che la mia Amministrazione, al fine di definire il quadro giuridico che assicura piena tutela alle indicazioni geografiche italiane (Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia e Aceto Balsamico di Modena) ha emanato, nel dicembre 2010, un'apposita circolare esplicativa che riporta i princìpi giuridici in base ai quali l'uso del termine «aceto balsamico» è incompatibile con il diritto nazionale e comunitario.
Da ultimo, rassicuro l'interrogante circa l'adozione di tutte le misure previste dalla normativa a tutela delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche protette, sia in sede nazionale che comunitaria e internazionale.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Francesco Saverio Romano.

BITONCI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nei giorni appena trascorsi, organi di stampa locale del trevigiano, riportavano la notizia secondo cui un professore di religione dell'istituto superiore «Berto» di Mogliano Veneto (TV), avrebbe portato in classe, durante una lezione di religione, la bandiera veneta, allo scopo di illustrare agli studenti la storia dell'evangelista Marco e della scritta riportata sulla bandiera stessa;
lo stesso organo di stampa riferisce anche come la dirigente scolastica dell'istituto, saputa della lezione del professore e del fatto che gli studenti avevano appeso la bandiera all'interno dell'aula, abbia richiamato il docente sull'inopportunità di esporre la bandiera all'interno dell'aula, richiamando altresì l'articolo 118, del regio decreto 30 aprile 1924, n. 965: «Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti d'istruzione media», laddove si precisa che «Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l'immagine del Crocifisso e il ritratto del Re», ed ordinando in seguito di togliere dai muri dell'aula la bandiera stessa;
lo statuto della Regione Veneto, Legge 22 maggio 1971, n. 340, all'articolo 2, afferma che «L'autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia. La Regione concorre alla valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico delle singole comunità», e leggi regionali 8/2007, «Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto», e 10 del 1998, «Disposizioni per l'uso e l'esposizione della bandiera della Regione del Veneto», si pongono come obbiettivo quello la valorizzazione e la promozione della lingua e della cultura veneta, in tutte le sue forme, al fine di tutelare le peculiarità storiche e culturali appartenenti alla cultura veneta e, tra le quali, rientra indiscutibilmente, la bandiera veneta;
l'abrogazione del regio decreto 30 aprile 1924, n. 965, già prevista ai sensi

del combinato disposto dell'articolo 24 e del n. 224 dell'allegato A, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come modificati dalla relativa legge di conversione, a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, non è stata successivamente disposta, a seguito della soppressione del citato n. 224 ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 3, decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, aggiunto dalla legge di conversione 18 febbraio 2009, n. 9 -:
se non ritenga necessario, anche in ragione dell'epoca cui il regio decreto si riferisce, valutare la possibilità di adottare iniziative volte a tutelare le peculiarità delle culture locali.
(4-11745)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante, prendendo spunto da una notizia, riportata dai mezzi d'informazione, secondo cui un docente di religione dell'istituto d'istruzione superiore «Berlo» di Mogliano Veneto (Treviso) avrebbe esposto durante una lezione la bandiera veneta e la dirigente scolastica avrebbe successivamente fatto notare l'inopportunità di tale iniziativa, chiede che vengano adottate iniziative volte a tutelare la peculiarità delle culture locali.
Al riguardo, si ritiene utile, prima di affrontare la tematica di carattere generale sottoposta dall'interrogante, dare alcune puntualizzazioni sull'episodio segnalato nell'atto parlamentare.
L'ufficio scolastico regionale per il Veneto, sentito in merito, ha comunicato di aver disposto, appena avuta notizia della situazione creatasi in seguito agli articoli comparsi sulla stampa locale il 21 aprile 2011, un apposito accertamento ispettivo.
La relazione finale degli ispettori, definita sulla base dalle testimonianze dei protagonisti che sono fra loro in perfetto accordo, benché su posizioni e con responsabilità diverse, è stata presentata il 18 maggio 2011 e ha prodotto, fra l'altro, le conclusioni che di seguito si espongono.
Il docente protagonista dell'episodio dichiara di non aver esposto di sua mano la bandiera di San Marco; l'ha peraltro portata in classe come strumento didattico per la sua lezione. La dirigente scolastica non ha proceduto nei suoi confronti ad alcuna contestazione di addebito, né ha irrogato sanzioni disciplinari, ma ha solo chiesto di avere chiarimenti e spiegazioni per iscritto da parte del docente.
Il contesto relazionale e il clima dell'ambiente, anche in considerazione della imminente consultazione elettorale provinciale, si sono rivelati particolarmente sensibili e proclivi a dinamiche di una certa conflittualità. Talché, da un lato le smarginature comportamentali del professore rispetto alle specificità disciplinari sono state percepite come forma di inopportuna manifestazione ideologica, dall'altro l'intervento della dirigente scolastica, contenuto peraltro entro le forme della dovuta correttezza, è parso a taluno come comportamento meritevole di censura sul piano culturale.
Le reazioni della stampa locale e nazionale sono apparse sproporzionate rispetto all'autentica dimensione del fatto.
Il docente, nel corso del colloquio con l'ispettore e il suo coadiutore, ha preso le distanze da ogni strumentalizzazione di natura partitica, politica e ideologica e ha assicurato che avrebbe inviato una lettera alla dirigente scolastica del liceo «Berto» nella quale avrebbe confermato questa sua posizione. E infatti il professore, in data 3 maggio 2011, faceva pervenire alla dirigente scolastica del Liceo Berto una lettera, datata 30 aprile 2011, nella quale, fra l'altro si legge:
«Esprimo la mia solidarietà umana alla Dirigente Scolastica. Condanno le frasi ingiuriose, le accuse, le offese e i pesanti commenti comparsi nei vari siti internet nei quali è stato rilanciato il filmato girato dall'emittente televisiva di cui sopra [ovvero "Rete Veneta" citata nella prima parte della lettera], gravemente lesivi della dignità umana e competenza professionale della Dirigente scolastica. Dissento e mi dissocio da tutte le interpretazioni di tipo politico e dalle varie letture strumentali e faziose delle mie dichiarazioni, siano esse apparse in web forum, social network, blog, siti vari o a mezzo organi di stampa».

Nei giorni successivi (non reca data, ma la diffusione è da collocarsi intorno al 10 maggio 2011) è stato diffuso un comunicato-stampa firmato dalla dirigente scolastica del liceo «Berto» e dal direttore dell'Ufficio scuola IRC della Curia diocesana di Treviso nel quale, fra l'altro, si afferma:
«I rapporti tra le due autorità scolastiche, dirigente scolastica del liceo e direttore dell'ufficio scuola IRC della Curia di Treviso, sono stati da sempre impostati al massimo rispetto e ad una proficua collaborazione. Le bandiere dell'Italia, del Veneto e dell'Europa sono esposte sugli edifici scolastici del liceo, compresa la sede staccata di Mazzocco, nelle forme previste dalla normativa vigente. Istituzione scolastica e ufficio scolastico diocesano stigmatizzano gravemente le azioni di vari soggetti tese a offendere e delegittimare il liceo e il personale che vi opera.

Nessun divieto è stato posto al professore nello svolgimento della sua attività di docente di religione cattolica, né tanto meno è stato oggetto di censure o rimproveri o qualsiasi avvio di provvedimento disciplinare. Nel nostro Liceo, la dimensione locale costituisce uno degli ambiti di riferimento dell'insegnamento disciplinare in relazione ai contesti (nazionale, europeo e mondiale) nel quale va necessariamente collocata. I segni del passato e i beni culturali del territorio costituiscono punto di partenza di ogni percorso didattico che miri alla formazione umana, culturale e critica degli studenti».
Venendo alla questione generale relativa alla tutela delle peculiarità delle culture locali, si rappresenta che gli ordinamenti degli studi costituiscono norme generali, ai sensi dell'articolo 117, lettera n), della Costituzione. La Corte costituzionale, con sentenza n. 200 de 24 giugno 2009, identifica il vigente assetto ordinamentale nella legge delega n. 53 del 2003, come modificata dalla legge n. 40 del 2007 e dall'articolo 64 del decreto legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008.
I piani di studio personalizzati di cui all'articolo 2, comma 1, lettera l), della suddetta legge n. 53, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, devono contenere un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l'identità nazionale, e prevedere una quota riservata alle regioni relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegate con la realtà locali. Tale quota è stata definita in via transitoria dai decreti ministeriali 28 dicembre 2005 e 13 giugno 2006 nella misura del 20 per cento ed è riservata alle singole istituzioni scolastiche e da esse determinata nell'ambito degli indirizzi definiti dalle regioni.
I provvedimenti di riforma scolastica adottati in attuazione dell'articolo 64 della legge n. 133 del 2008, in particolare per quanto riguarda gli istituti d'istruzione secondaria di II grado, hanno ampliato i margini di autonomia dei singoli istituti, che hanno ora la possibilità di migliorare e rafforzare l'offerta formativa attraverso la quota di autonomia, la quota di potenziamento e gli insegnamenti facoltativi.
Nell'ambito della quota di autonomia, che nel secondo biennio e/o nell'ultimo anno di corso aumenta in differente misura a seconda dei diversi tipi di istituto, può trovare collocazione lo studio dei dialetti e delle lingue locali, che in effetti costituisce una positiva occasione di approfondimento e arricchimento degli obiettivi formativi definiti a livello nazionale, in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale di ogni indirizzo di studi.
Riguardo agli ordinamenti didattici dei diversi gradi di istruzione, per la scuola dell'infanzia e per quella del primo ciclo una cabina di regia nazionale sta provvedendo all'armonizzazione delle indicazioni per i piani di studio personalizzati, di cui al decreto legislativo n. 59 del 2004, con le indicazioni per il curricolo ai sensi del decreto ministeriale 31 luglio 2007.
Le indicazioni nazionali relative ai percorsi liceali, emanate con decreto ministeriale n. 211 del 7 ottobre 2010, fanno riferimento, per l'insegnamento della lingua italiana, alla realizzazione di «una complessiva

coscienza della storicità della lingua italiana, maturata attraverso la lettura fin dal biennio di alcuni testi letterari distanti nel tempo, e approfondita poi da elementi di storia della lingua, delle sue caratteristiche sociolinguistiche e della presenza dei dialetti, nel quadro complessivo dell'Italia odierna, caratterizzato dalle varietà d'uso dell'italiano stesso».
Il regolamento per il riordino degli istituti tecnici, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010, già prevede approfondimenti specifici dei contesti culturali, geografici, storici e linguistici delle comunità territoriali. Anche le linee guida per gli istituti tecnici e professionali danno particolare rilievo alla conoscenza dell'ambiente e del territorio e alla consapevolezza delle connessioni tra aspetti geografici e strutture economiche, sociali e culturali. Il collegamento con le tradizioni culturali locali, con la conoscenza dell'organizzazione del territorio, dello sviluppo locale e del patrimonio territoriale è poi espressamente richiamato nella descrizione dei risultati di apprendimento della geografia negli istituti tecnici.
Passando, più nello specifico, all'ambito territoriale della regione Veneto, il direttore scolastico regionale ha ricordato le seguenti attività promosse negli ultimi anni, alcune delle quali in stretta e proficua relazione con l'amministrazione regionale o con l'assemblea parlamentare regionale.
In particolare l'ufficio scolastico, in linea con quanto la stessa normativa vigente prescrive in tema di promozione della coscienza storica e del senso di appartenenza alla comunità locale e nazionale nonché alla civiltà europea, ha inserito tra gli interventi educativi da proporre e realizzare, in piena sinergia con la regione Veneto, la valorizzazione delle radici culturali del territorio finalizzate al rafforzamento della coscienza civica e del senso sociale, per concorrere alla costruzione di un'identità personale sicura di sé e contemporaneamente aperta al confronto culturale.
Le attività si sono concretizzate anche attraverso specifici protocolli d'intesa con la regione Veneto, principalmente su 2 punti:
1) realizzazione di corsi/seminari di formazione rivolti al personale scolastico interessato alla tematica;
2) attuazione di concorsi e gare, inerenti al tema, rivolti agli studenti e indetti nell'ambito di un progetto didattico articolato, comprendente a sua volta attività formativa per i docenti coinvolti.

Le principali azioni promosse e realizzate negli ultimi anni sono le seguenti:
1 - Attività formative (personale della scuola):
anni scolastici 2003/2004 e 2004/2005 attività seminariale dal titolo: «L'educazione storica attraverso la didattica museale» centrata sui reperti delle risorse museali venete, in particolare quelle presenti nei musei meno conosciuti;
anni scolastici 2004/2005 e 2006/2007 laboratori territoriali di ricerca - azione per la salvaguardia della lingua e cultura timbra e ladina;
anni scolastici 2005/2006 e 2006/2007 attività seminariale dal titolo «Veneto medievale: castelli e città murate;
anni scolastici 2008/2009 e 2009/2010 (Regione Veneto - Usrv - università di Padova) corsi attivati in ogni singola provincia sulla lingua e la cultura veneta.

2 - Attività didattica e bandi (per studenti) indetti nell'ambito di progetti articolati, sull'intero territorio regionale e comprendenti più azioni sostenute dall'Usr Veneto:
anno scolastico 2001/2002 concorso (bando regione veneto) per i migliori progetti didattici di ricerca e approfondimento su tematiche relative alla cultura ed identità veneta (40 scuole premiate);
anno scolastico 2002/2003 concorso (bando regione Veneto) per i migliori progetti didattici di ricerca e approfondimento su tematiche relative alla cultura ed identità veneta (50 scuole premiate);

anno scolastico 2003/2004 concorso (bando regione Veneto) per i migliori progetti didattici di ricerca e approfondimento su tematiche relative alla cultura ed identità veneta (70 scuole premiate);
anno scolastico 2004/2005 concorso (bando regione Veneto) per i migliori progetti didattici di ricerca e approfondimento su tematiche relative alla cultura ed identità veneta (70 scuole premiate);
anno scolastico 2005/2006 concorso (bando Regione Veneto) «Veneto in Onda» per l'ideazione e la redazione di sceneggiature per la produzione di servizi televisivi sul rapporto tra i giovani, il mare e la pesca nel Veneto;
anno scolastico 2008/2009 protocollo d'intesa con la legione Veneto per la realizzazione e diffusione di iniziative in tema di educazione ambientale comprendente la valorizzazione delle risorse naturalistiche del territorio veneto. Conseguente progettualità;
anno scolastico 2009/2010 protocollo d'intesa con la regione veneto per la realizzazione del progetto «A scuola nei parchi» comprendente, con bando, il premio parchi del Veneto 2010;
anno scolastico 2009/2010 concorso dedicato agli allievi delle scuole primarie: «Disegna el Leone Veneto»;
anno scolastico 2010/2011 Bando regione Veneto su «I Grandi Veneti della letteratura italiana»;
anno scolastico 2010/2011 protocollo d'intesa con la regione Veneto per la prosecuzione del progetto «a scuola nei parchi»;
anno scolastico 2010/2011 Concorso «Veneto e 150o anniversario dell'Unità d'Italia» promosso dal Presidente del Consiglio regionale del Veneto in collaborazione con l'Usr del Veneto e Ansas Veneto.

Particolare rilevanza va attribuita poi, sopra ogni altra iniziativa, al protocollo di collaborazione sottoscritto il 20 maggio 2009 tra il presidente del consiglio regionale del Veneto e il direttore dell'ufficio scolastico regionale per il Veneto durante la premiazione dei progetti delle scuole partecipanti al primo bando di concorso di civil life. In tal modo e con questo strumento giuridico si è inteso rafforzare la collaborazione sul tema «Cittadinanza e Costituzione». Civil life è un progetto promosso dal Consiglio regionale del Veneto le cui caratteristiche sono illustrate alla seguente pagina internet:
http;//civillifelab.ning.com/page/civil-life-un-progetto e qui direttamente riportate:
«La cronaca dal mondo della scuola veneta ondeggia periodicamente tra la segnalazione di episodi in cui emergono disagio, insofferenze ed insufficienze - da un lato - e l'informazione su ragioni e mobilitazioni di quanti manifestano dubbi e contrarietà ai più recenti provvedimenti di cambiamento e riforma.
Eppure la realtà complessiva del sistema scolastico regionale è caratterizzata da un'onda positiva di impegno didattico, progettualità e sperimentazione, vivacità del dialogo e delle relazioni con il territorio attraverso una molteplicità di iniziative e collaborazioni.
Tale osservazione trova precisi riscontri nei più recenti rapporti elaborati dall'ufficio scolastico regionale per il Veneto: «Infatti, se è vero che compito della Direzione è anzitutto quello di portare a realizzazione le linee di indirizzo ministeriali, è altrettanto importante sostenere quelle attività che vedono protagoniste le istanze locali, dando conto della creatività e della volontà di partecipazione della società civile ai temi dell'educazione e dell'istruzione» (Carmela Palumbo, Direttore Generale - Scuola Veneta 2007 - L'impegno, i processi, i traguardi).».
È in questo «flusso» che si inserisce il progetto Civil Life (www.civillife.it), promosso dal consiglio regionale del Veneto: un contributo, rivolto agli studenti ed agli insegnanti degli istituti scolastici veneti, per la divulgazione e l'implementazione delle pratiche di innovazione e ricerca didattica finalizzate a due obiettivi convergenti: il

miglioramento dei processi di apprendimento e l'esercizio di una cittadinanza attiva, precondizioni non solo per il conseguimento del successo scolastico, ma anche per rinnovare ed alimentare la virtù civica.
In tal senso, l'insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione» assume una posizione di rilevanza nell'agenda scolastica, con una reimpostazione programmatica e didattica che ha trovato una definizione puntuale nel documento di indirizzo del Ministero per la sperimentazione, come illustrato nella circolare ministeriale prot. n. 2079 del 4 marzo 2009.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

BOBBA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la direttiva 2003/37/CE del 26 maggio 2003 (recepita con decreto ministeriale del 19 novembre 2004), all'allegato II, capitolo A, definisce le categorie e i tipi di veicoli e, in particolare, al punto 1 della lettera A, relativamente alla categoria trattori a ruote specifica: «categoria T5: trattori a ruote la cui velocità massima per costruzione è superiore a 40 chilometri orari»;
il codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, all'articolo 57, comma 3, stabilisce: «3. Ai fini della circolazione su strada, le macchine agricole semoventi a ruote pneumatiche o a sistema equivalente non devono essere atte a superare, su strada orizzontale, la velocità di 40 chilometri orari; le macchine agricole a ruote metalliche, semi pneumatiche o ad angoli metallici, purché muniti di sovrapattini, nonché le macchine agricole operatrici ad un asse con carrello per il conducente non devono essere atte a superare, su strada orizzontale, la velocità di 15 chilometri orari»;
i veicoli in questione, pur essendo stati omologati per velocità superiori ai 40 chilometri orari vengono modificati in Italia al fine di circolare ad una velocità inferiore, così come previsto dal citato articolo del codice della strada;
la limitazione di velocità di questi veicoli produce numerosi pregiudizi alla circolazione, ai consumi e all'operatività di campo, con conseguente riduzione della redditività del settore agricolo;
in altri Paesi europei, come la Germania e l'Inghilterra, vengono rispettati i criteri di omologazione e costruzione in sede di certificazione -:
se non si ritenga opportuno promuovere una modifica della normativa vigente, al fine di evitare modifiche successive ai trattori ed evitare le problematiche di cui in premessa.
(4-11580)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame si evidenzia come, allo stato attuale, la direttiva comunitaria 2003/37/CE del 26 maggio 2003, concernente l'omologazione dei trattori agricoli o forestali, non sia ancora applicabile per l'omologazione comunitaria di trattori agricoli o forestali a ruote appartenenti alla categoria T5, la cui velocità per costruzione è superiore a 404 chilometri orari.
In alcuni Stati membri dell'Unione europea come, ad esempio, la Germania ed il Regno unito, sono stati omologati trattori agricoli a ruote con velocità superiore a 40 chilometri in conformità a norme nazionali che ammettono tale caratteristica tecnica. Detti veicoli, ove importati in Italia, per essere ammessi alla circolazione stradale, devono essere sottoposti a modifiche tecniche. Di norma, si opera un intervento sulla centralina elettronica per impedire l'inserimento della marcia più veloce al fine di ridurre la velocità del veicolo nei limiti dei 40 consentiti dal codice della strada.
Tanto premesso, nella prospettiva che il quadro normativo dell'omologazione comunitaria venga completato in un prossimo futuro, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ritiene condivisibile la proposta di modifica della normativa nazionale vigente in materia di velocità massima dei

trattori agricoli o forestali per allinearla a quella degli altri Stati sopra citati.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

BOBBA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il 18 febbraio 2011 ha preso il via il progetto «Energia sul Territorio», il primo dei progetti promossi dall'amministrazione comunale di Saluggia che saranno attuati in collaborazione con le scuole del comune piemontese per valorizzare la conoscenza di aspetti tematici riguardante un mix tra ambiente e cultura;
questo primo progetto ha visto coinvolti i ragazzi delle classi terze medie della scuola «L.C.Farini» che sono stati ospiti del sito Eurex-Sogin di Saluggia. La visita si è sviluppata in due momenti: dapprima gli alunni saluggesi sono stati accompagnati nella visita guidata del Centro Eurex, e successivamente è stata loro proposta dalla dottoressa De Simoni, esperta in fisica nucleare, una presentazione multimediale con l'illustrazione del funzionamento di una centrale nucleare;
inoltre erano presenti anche la dottoressa Pastorelli, della area comunicazione di Sogin, che ha seguito in prima persona il progetto, e l'ingegnere Michele Gili, responsabile del centro di Saluggia. L'assessore alla pubblica istruzione del comune ha così commentato: «Con questo progetto si vuole fare una fotografia reale della situazione del nostro territorio, relativamente alla presenza del sito nucleare gestito dalla Sogin»;
sono in programma altri due appuntamenti con gli esperti di Sogin con relativa visita alla ex-centrale nucleare di Trino Vercellese. Inoltre sembra l'ufficio scolastico provinciale di Vercelli risulterebbe non coinvolto nell'iniziativa;
è importante evidenziare che il suddetto progetto, presentato e descritto da Sogin come neutrale e oggettivo, di fatto dà voce al punto di vista di un soggetto, Sogin appunto, con evidenti interessi nel nucleare, e il cui scopo - naturalmente legittimo ma non certamente neutrale - è sostenere attivamente il ritorno al nucleare in Italia;
pertanto tale scelta ha, ad avviso dell'interrogante, per effetto di generare un'informazione non solo di parte ma anche ingannevole vista l'assenza di un punto di vista contrario all'utilità del nucleare per l'Italia, tanto più grave poiché fruitori della comunicazione sono dei ragazzi -:
se sia a conoscenza, e nel caso se non ritenga di intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, affinché situazioni analoghe a quella descritta non si ripetano;
se non ritenga utile avviare iniziative scolastiche sul tema dell'energia nucleare dove siano rappresentate e invitate tutte le parti interessate in modo da fornire agli studenti conoscenze il più possibile plurali e rappresentative di tutte le opinioni.
(4-11583)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame con la quale a seguito di una visita didattica di una scuola media di I grado presso il centro Eurex-Sogin ubicato nella regione Piemonte, ritiene utile avviare iniziative scolastiche sul terna dell'energia nucleare dove siano invitate tutte le parti interessate in modo da fornire agli studenti elementi di valutazione rappresentativi delle diverse opinioni.
Al riguardo l'ufficio scolastico regionale per il Piemonte, dopo aver appurato i fatti attraverso le relazioni predisposte dal dirigente scolastico, ha comunicato che le visite didattiche al sito in questione si sono svolte nel periodo febbraio-aprile del 2010 nell'ambito «del percorso formativo sull'educazione ambientale, tanto è vero che è stato inserito nel POF unitamente all'intervento del rappresentante regionale di Legambiente per il piemonte e la Valle d'Aosta».
Il progetto rientra nel più ampio «Piano Ambiente» del POF 2009-2010 dal quale si

evince l'ampiezza degli interventi sul tema con l'intento di avviare molteplici attività di carattere ambientale. Sotto la rubrica «Reti sul territorio» si prevedono, infatti, le seguenti iniziative: «Impostazione di una rete di collegamento via internet fra vari istituti comprensivi con appoggio di Regione e Provincia; Centro di Educazione ambientale di Vercelli; Parco fluviale del Po e dell'Orba; Collaborazione con il museo «Galileo Ferraris» di Livorno Ferraris; La scuola è aperta alle iniziative proposte dal territorio inerenti la tematica «ambiente»; Partecipazione all'iniziativa «Puliamo il mondo» proposta dal Comune di Saluggia».
L'intento di rappresentare il pluralismo delle opinioni emerge d'altra parte dalla lettura della «Definizione delle tematiche» dove alla voce «Ambiente» si prevedono molteplici iniziative tra cui: «1. La convivenza civile; 2. Il nucleare in provincia (...), passato, presente e futuro; 3. Le energie alternative (fotovoltaico, eolico, biogas); 4. Ciclo dei rifiuti; 5. Ambiente e agricoltura; 6. Ambiente e industria».
Le visite di cui trattasi si inseriscono nell'ambito del tema «Il nucleare in provincia-Passato, presente e futuro» dalla cui descrizione analitica è possibile cogliere la tutela del pluralismo dell'informazione in materia. Si afferma infatti che «la questione energetica e le indicazioni del governo nazionale per i siti per le centrali termonucleari assumono particolare rilevanza ed attualità. Le centrali nucleari costituiscono la fonte di energia per molti paesi industrializzati dell'occidente, tuttavia sono notevoli i rischi derivanti dalle radiazioni da esse emesse, dalle scorie radioattive, dai problemi di manutenzione e dal possibile utilizzo del nucleare in ambito bellico. (...). Il tema del nucleare, le sue problematiche, l'informazione corretta alla popolazione sono esigenze imprescindibili per un'Amministrazione attenta; ecco quindi la necessità di organizzare, in collaborazione con i principali attori presenti sul territorio (ENEA, SOGIN, ARPA, ESPERTI DI FISICA MEDICA) un sistema comunicativo di grande respiro, nel quale l'amministrazione comunale ed in particolare l'assessorato all'ambiente e cultura, funga da coordinatore super partes. (...). È bene precisare che non si tratta di discutere la possibilità che il Comune (...) ospiti qualunque tipo di attività nucleare, ormai è una posizione ben chiara, ma di accrescere nella popolazione ed in particolare nei giovani l'informazione corretta di ciò che è stato, è e sarà lo stato dell'arte dell'attività nucleare «nel Comune interessato (...).
Contestualmente si individuano molteplici attività per le scuole, quali lo «sviluppo dei principali temi ambientali per mezzo di laboratori didattici, realizzazione di schede tematiche, visite tematiche guidate», nonché l'indicazione dello scopo di ampio raggio di «aiutare i giovani a formare una coscienza ambientale.»
Su questi presupposti il collegio dei docenti, formato da 104 insegnanti, nella fase della valutazione intermedia del POF 2009-10 ha formulato un giudizio globalmente positivo. Nel giudizio rientra anche la voce «Ambiente» che comprende, tra l'altro, il progetto «L'energia e il nostro futuro» e gli interventi svolti nella scuola interessata sul tema del nucleare sia dagli esperti della società di gestione degli impianti nucleari sia da quelli di Lega Ambiente. Nello specifico la valutazione è stata ritenuta «(.) altamente positiva per le numerose occasioni di stare in rete con il territorio e l'ambiente circostante».
In proposito l'ufficio scolastico regionale per il Piemonte ritiene che da quanto sopra esposto emerge l'ampiezza degli interventi sul tema ambientale, nel cui ambito il progetto «Energia sul territorio» è limitato ad 8 ore, la pluralità dell'informazione e la positiva valutazione del progetto da parte dell'intero collegio dei docenti.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

BOBBA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
R.D. ad agosto del 2008 ha avuto in collocamento provvisorio, poi diventato affido

preadottivo, una bambina che ora ha 6 anni e nello stesso periodo ha vinto un concorso pubblico per dirigente, per il quale è stata assunta nel 2010 presso l'Agenzia delle dogane;
la signora R. è attualmente in congedo parentale e al termine di questo periodo, cioè fra circa un mese, sarà costretta a dare le dimissioni, in quanto l'Agenzia ha deciso il suo trasferimento a Messina, nonostante l'ampia disponibilità di posti in Toscana, regione dove risiede;
la signora R. dovrà scegliere tra il lavoro e la sua famiglia, in quanto il trasferimento a Messina, comporterebbe la disgregazione familiare, qualora andasse da sola, oppure la disoccupazione del marito, che lavora in una società informatica privata e che non avrebbe buone probabilità di collocamento in Sicilia;
essendo la bambina in affidamento preadottivo sono ancora in corso i controlli e i colloqui con i servizi sociali;
a seguito della notizia del trasferimento la signora R. ha presentato ricorso al giudice del lavoro senza vittoria, in quanto la legge (articolo 42-bis del decreto legislativo 151 del 2001) tutela i bambini fino a tre anni di età, non prevedendo che, in caso di adozione, si debba considerare la data di ingresso in famiglia, a prescindere dall'età anagrafica;
la signora R. ha cercato altre soluzioni, come la mobilità in un'altra pubblica amministrazione ma non ha ricevuto nessuna risposta, nonostante il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, favorisca lo stesso strumento della mobilità;
in occasione dello scorso otto marzo, tante sono state le affermazioni sul disagio lavorativo delle donne, purtroppo però, a parere dell'interrogante, in questo caso è proprio la pubblica amministrazione a non tutelare le donne mamme lavoratrici;
di recente è stato firmato un accordo tra Governo e parti sociali e nel testo dell'avviso comune si legge che le parti «condividono il valore di una flessibilità family friendly come elemento organizzativo positivo e l'importanza di una modulazione flessibile degli orari di lavoro» e ancora «si impegnano, fermi restando gli assetti della contrattazione collettiva, a valorizzare le buone pratiche di flessibilità family friendly e di conciliazione esistenti» -:
se non si ritenga urgente e doveroso intervenire affinché la signora R.D. veda garantito il proprio diritto al lavoro e alla famiglia;
se non si intenda promuovere un rafforzamento della normativa relativa alla conciliazione e alla mobilità, al fine di garantire alle madri lavoratrici reali pari opportunità;
se non si intenda assumere iniziative normative per una modifica dell'articolo 42-bis del decreto legislativo 151 del 2001, - attualmente esposto al rischio di censura di illegittimità costituzionale prevedendo che, in caso affido/adozione, i tre anni decorrano dall'ingresso in famiglia.
(4-12532)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame, si chiedono chiarimenti in merito alla vicenda di una dirigente dell'Agenzia delle dogane e si sollecitano iniziative volte a garantire tutela e pari opportunità alle lavoratrici madri.
In riferimento alla vicenda specifica della dirigente dell'Agenzia delle dogane, sono stati acquisiti elementi di competenza da detta amministrazione, datore di lavoro della dirigente in questione. In particolare, l'Agenzia delle dogane ha precisato che la dottoressa R. D. è stata assunta il 26 aprile 2010 come dirigente dall'Agenzia delle Dogane a seguito di concorso pubblico per 70 posti di dirigente bandito dalla medesima Amministrazione nel 2006 e, al termine del ciclo normativo svolto anteriormente all'attribuzione del primo incarico dirigenziale, è stata temporaneamente destinata presso la

Direzione regionale delle dogane per la Toscana ai fini dello svolgimento di un periodo di applicazione pratica.
Durante detto periodo formativo la dirigente in questione ha presentato un'istanza di definitiva assegnazione all'Ufficio delle dogane di Prato o, in subordine, alla Direzione regionale per la Toscana, finalizzata all'ottenimento di un incarico dirigenziale nella regione residenza, avendo nel frattempo ottenuto l'affido preadottivo di un minore nato nel 2004.
La predetta istanza è stata formulata sulla base dell'articolo 42-
bis del decreto legislativo n. 151 del 2001 il quale stabilisce che «il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione».
L'amministrazione interessata ha negato l'assenso all'assegnazione della dipendente alla sede richiesta, sostenendo che la tutela accordata dal legislatore ai sensi del citato articolo 42-
bis spetta esclusivamente ai genitori con figli minori di tre anni, mentre il bambino per il quale la dipendente ha ottenuto l'affidamento ha un'età superiore. La decisione dell'Agenzia delle dogane è stata confermata dal Tribunale di Roma con ordinanza del 10 gennaio 2011 a seguito di ricorso proposto dalla dipendente interessata.
Nel frattempo l'Agenzia delle dogane con D.D. n. 31291 R.I. dell'8 novembre 2010. ha assegnato la dirigente all'ufficio delle dogane di Messina.
Stante l'attuale formulazione dell'articolo articolo 12-
bis del decreto legislativo n. 151 del 2001, il Dipartimento della funzione pubblica ha sottolineato che non appaiono sussistere margini di discrezionalità ai fini di un'applicazione estensiva della norma nella parte relativa all'individuazione del periodo utile ai fini della fruizione del beneficio, visto che la stessa disposizione stabilisce espressamente che il minore non deve avere superato i tre anni. Si tenga conto, peraltro, che, ove anche tale età non fosse superata, la stessa disposizione normativa prevede, comunque, che ai fini dell'accoglimento si tenga conto delle esigenze organizzative dell'amministrazione.
D'altro canto, l'applicazione in via analogica della disposizione di cui all'articolo 42 anche ai genitori affidatari o adottivi con riferimento alla data d'ingresso del minore nella famiglia, come previsto per i casi di fruizione del congedo parentale di cui all'articolo 36, comma 2. del medesimo decreto legislativo n. 15, non appare perseguibile.
Trattandosi di ipotesi disciplinate nel medesimo testo normativo con termini di durata diversi, il Dipartimento della funzione pubblica è dell'avviso che il legislatore del 2001 abbia inteso limitare la portata del beneficio di cui all'articolo 42-
bis all'ambito di applicazione ivi disciplinato.
Pertanto, si ritiene che per l'estensione dell'applicabilità dell'articolo 42-
bis ai casi di adozioni o affidamenti di minori con riferimento ai tre anni successivi alla data di ingresso del minore nella famiglia sia necessario un apposito intervento del legislatore.
Tale modificazione potrà costituire oggetto di valutazione nell'ambito degli interventi previsti dalla Direttiva 2010/18/ UE dell'8 marzo 2010, finalizzata al miglioramento degli strumenti per la conciliazione tra vita professionale, vita privata e vita familiare dei genitori lavoratori, alla quale gli stati membri devono conformarsi entro due anni dall'emanazione.
Restano comunque utilizzabili da parte degli interessati gli istituti già previsti dal nostro ordinamento a tutela delle situazioni di adozioni e affidamento.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

BOSSA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi, nel centro storico di Napoli, un crollo ha interessato una chiesa monumentale di grande prestigio, quella di Sant'Agostino alla Zecca, incastonata in un vicolo tra corso Umberto I e Forcella;
un grosso blocco di piperno si è staccato dal campanile del «tempio» del centro storico e si è frantumato in più pezzi al contatto del suolo. Il piperno è caduto dal terzo ordine superiore della chiesa, in prossimità delle campane; solo per un caso non si sono registrati danni a persone visto che a quell'ora la zona, di solito molto affollata, non si era ancora popolata;
dopo il crollo, i vigili del fuoco hanno chiuso la strada con transenne perché è stata accertata la pericolosità delle condizioni della chiesa; la strada dovrebbe restare inaccessibile finché non vi sarà un'adeguata messa in sicurezza del campanile;
la chiesa di Sant'Agostino alla Zecca o Sant'Agostino Maggiore è tra le più grandi di Napoli; la sua edificazione fu iniziata da Carlo I d'Angiò, ma venne completata grazie a Roberto d'Angiò nel 1287, per volere dell'ordine degli Eremitani su di un precedente convento di monache basiliane. Venne riedificata in stile rinascimentale dopo il terremoto del 1456 e rifatta tra il XVII secolo e il XVIII secolo da Bartolomeo Picchiatti, Francesco Antonio Picchiatti, Giuseppe de Vita e Giuseppe Astarita;
il campanile, oggi oggetto del crollo, fu realizzato in quattro ordini di laterizi, pietra di piperno e marmo con sculture e stemmi incastonati. Nell'interno della chiesa, a tre navate con ipogeo (dov'è la tomba del musicista settecentesco Nicola Jommelli) ci sono opere di Giacinto Diano e di Giuseppe Sammartino, l'autore del «Cristo velato» che eseguì una statua di Sant'Agostino. L'immagine della chiesa è riprodotta in famose stampe antiche per il suo scalone e la sua facciata di grande effetto scenografico;
la chiesa è stata chiusa a causa dei danni subiti durante il terremoto del 1980 e non è stata mai più riaperta, versando in un grave stato di abbandono e degrado;
la chiesa fa parte del Fondo edifici, istituito presso il Ministero dell'interno. Nel 2008 l'ex Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, si era impegnato con il Presidente del Consiglio Berlusconi, a garantire il restauro della chiesa; dopo uno stanziamento di 1 milione e 600 mila euro necessari alla messa in sicurezza del tetto e della facciata, non seguirono altri fondi e i lavori sono stati sospesi; in precedenza era stato il Ministro Giuliano Urbani ad annunciare finanziamenti necessari alla riapertura del sito religioso, senza che questi, però, siano mai arrivati;
il crollo alla chiesa di Sant'Agostino alla Zecca segue di poche settimane quello avvenuto a Portici, a Villa Lancillotti, e di pochi mesi i vari, drammatici, crolli nell'area archeologica di Pompei, che sono complessivamente il segno di un disfacimento del patrimonio artistico della Campania, dove i casi di degrado e abbandono, dai Campi flegrei alla città di Napoli al Miglio d'oro vesuviano, non si contano più, e sono stati già oggetto di ripetute interrogazioni della firmataria del presente atto, senza che sia mai arrivata dal Governo una risposta positiva -:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e della drammatica costante perdita del patrimonio artistico della Campania; se e cosa il Governo intenda fare per mettere in sicurezza la chiesa di Sant'Agostino alla Zecca e, in generale, tutto il patrimonio artistico, culturale, architettonico della Campania; come siano stati spesi i fondi (1 milione e seicentomila euro) che, nel novembre 2008, l'allora Ministro Bondi e il Presidente del Consiglio Berlusconi si impegnarono a destinare alla chiesa di Sant'Agostino alla Zecca di Napoli e per quale ragione il promesso

restauro dell'edificio non sia mai stato fatto.
(4-11514)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, concernente la chiesa di Sant'Agostino alla Zecca di Napoli, si rappresenta quanto segue.
Con decreto ministeriale 11 novembre 2008 è stato approvato i programma di riparto integrativo, per l'anno finanziario 2008, ai sensi dell'articolo 1, comma 1142, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), nel cui ambito è stato finanziato un intervento avente ad oggetto la chiesa di Sant'Agostino alla Zecca di Napoli, appartenente, come noto all'interrogante, al fondo edifici di culto del Ministero dell'interno.
Il suddetto finanziamento, per un importo complessivo di 1.600.000,00, si configurava
ab origine quale lotto funzionale finalizzato esclusivamente alla risoluzione delle problematiche conservative più urgenti, in ragione delle gravi condizioni di degrado dell'intero complesso di S. Agostino alla Zecca, interdetto alla pubblica fruizione dal sisma del 1980. È stato, in particolare, previsto un intervento di restauro della facciata principale, del sagrato e del campanile. nonché altre opere accessorie (pavimentazioni interne ed adeguamenti impiantistici imposti dalla vigente normativa in materia).
Peraltro, nelle more del perfezionamento dell'iter procedurale di assegnazione ed accreditamento dei relativi fondi, la competente soprintendenza ha proceduto al monitoraggio di ciascuna componente del bene in questione, al fine di approfondire nel dettaglio il quadro delle conoscenze e di definire un insieme esaustivo e organico di opere necessarie al consolidamento ed al restauro dell'intero monumento, sì da consentirne la riapertura, individuando sequenza e scansione temporale delle varie fasi, metodologie e tecniche d'intervento specifiche, speciali misure organizzative delle attività di cantiere avuto riguardo alle difficoltà logistiche determinate dalla fitta stratificazione del tessuto urbano circostante, stima degli ulteriori fabbisogni economici.
Nel corso di tale fase, propedeutica all'inizio dei lavori finanziati, sono emerse gravi criticità, non rilevabili con le sole ispezioni a vista e necessitanti di ulteriori indagini anche strumentali e di apporti specialistici, in relazione allo stato di conservazione ed alla stabilità delle facciate laterali e dell'ipogeo. Tale circostanza ha reso necessaria una completa revisione del progetto già redatto - anche per l'impossibilità di ancorare gli anditi di cantiere e gli organi provvisionali indispensabili per assicurare in corso d'opera la sicurezza delle singole componenti del bene e delle maestranze su parti dell'immobile che non forniscano sufficienti garanzie di resistenza - e l'acquisizione di ulteriori fondi per fronteggiare la sopravvenuta emergenza.
Alla luce delle criticità illustrate, che hanno di fatto rallentato la materiale esecuzione dei lavori, con decreto ministeriale 20 ottobre 2010 di riprogrammazione delle risorse per l'anno finanziario 2010 ai sensi dell'articolo 2, comma 386, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) è stata riconfermata la disponibilità delle risorse finanziarie già destinate agli interventi relativi alla chiesa di Sant'Agostino alla Zecca di Napoli.
A seguito dell'emanazione di detto decreto, è stato pertanto riavviato l'iter attuativo dell'intervento in argomento. Tuttavia, nella consapevolezza che, in assenza di fondi sufficienti alla risoluzione delle problematiche strutturali che affliggono le facciate laterali (con particolare riguardo al setto perimetrale sinistro) e l'ipogeo, le risorse disponibili non avrebbero consentito un completo e risolutivo recupero del monumento, si è elaborato e fornito al fondo edifici di culto del Ministero dell'interno, in qualità di soggetto proprietario, il progetto stralcio relativo al restauro di tali componenti.
Il progetto
de quo, dell'importo complessivo di circa euro 500.000,00, ha ottenuto un finanziamento parziale pari ad euro 408.982,78 a valere sulle risorse programmate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 dicembre 2010, derivanti dalla destinazione dell'otto per mille dell'IRPEF per l'anno finanziario

2010. Peraltro, il ministero dell'interno si è impegnato ad integrare tali risorse con un proprio stanziamento pari ad ulteriori euro 70.990,28.
Allo stato attuale, a valere sullo stanziamento di euro 1.600.000,00 sono in corso i lavori di messa in sicurezza del campanile interessato dai parziali distacchi di materiali lapidei verificatisi il 5 aprile 2011, cui si è data la priorità del caso, per poi procedere al completamento degli interventi di restauro degli interni, del sagrato e della facciata principale, in conformità con le finalità del finanziamento assegnato.
In conclusione, grazie alla prosecuzione dei lavori già avviati e alla realizzazione, una volta perfezionato il relativo iter procedurale col Ministero dell'interno - fondo edifici di culto, del lotto funzionale inerente l'intervento sulle facciate laterali e l'ipogeo, la chiesa potrà essere restituita alla pubblica fruizione.

Il Ministro per i beni e le attività culturali: Giancarlo Galan.

BOSSA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
dai bilanci pubblici 2011 dei Paesi OCSE emerge che Svezia, Regno Unito e Lettonia hanno aumentato gli stanziamenti per l'aiuto pubblico allo sviluppo; Danimarca, Olanda, Belgio e Germania hanno mantenuto le attuali disponibilità anche a fronte di riduzioni delle spese a bilancio; Portogallo e Irlanda, sotto la stretta sorveglianza delle istituzioni internazionali, manterranno costanti le loro quote di aiuto rispetto alla loro ricchezza;
solo Austria, Italia, Ungheria, Spagna e Romania hanno penalizzato la cooperazione allo sviluppo in misura maggiore rispetto alla riduzione media approvata nella spesa ai loro bilanci;
nel 2010, l'Europa ha mancato l'obiettivo di destinare lo 0,51 per cento del Prodotto interno lordo all'aiuto pubblico allo sviluppo, con l'Italia che è il maggior responsabile di questo mancato rispetto;
la cooperazione italiana nel triennio 2011-2013 ha deciso di ridurre i Paesi prioritari da 35 a 24 principalmente a causa delle scarse risorse finanziarie e umane. Per quanto riguarda il multilaterale, si indica una preferenza per le organizzazioni internazionali che hanno una sede in Italia e che lavorano in alcuni ambiti specifici: emergenza, sicurezza alimentare, salute, istruzione e energia. Nel 2010 sono state 27 le organizzazioni internazionali che sono state finanziate dall'Italia, in calo dalle 60 del 2008;
la cooperazione allo sviluppo della Gran Bretagna ha approvato la nuova strategia bilaterale e multilaterale per i prossimi anni. Nonostante si preveda la crescita degli stanziamenti complessivi di cooperazione fino ad arrivare a 8,4 miliardi di sterline, la cooperazione bilaterale ridurrà i Paesi prioritari da 49 a 27. Il riorientamento inglese riguarda anche le organizzazioni internazionali che sono state valutate per la loro efficacia e rilevanza nel contribuire a raggiungere gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo inglese. La Gran Bretagna interromperà i finanziamenti verso l'UNESCO, l'ILO, UNIDO e l'agenzia delle Nazioni unite Habitat. Inoltre, tra le organizzazioni internazionali più inefficaci sono annoverate anche la FAO, UNICEF e UNIDO. All'estremo opposto, Fondo globale e Programma alimentare mondiale registreranno un incremento dell'investimento;
molti Paesi stanno rivedendo le loro scelte strategiche. Alcuni limiteranno il numero di Paesi e organizzazioni internazionali da finanziare, come sta facendo l'Italia. Tuttavia a differenza delle scelte inglesi, la cooperazione italiana non ha approvato una chiara strategia verso le organizzazioni internazionali che si basasse anche su una valutazione della loro efficacia;
l'Italia complessivamente finanzia molte di quelle organizzazioni che sono state giudicate inefficaci dalla valutazione della cooperazione inglese. UNESCO,

UNIDO, ILO, FAO e UN Habitat sono state complessivamente sostenute per oltre 40 milioni di euro nel 2010, e sono tra le 10 organizzazioni internazionali più finanziate dall'Italia;

il piano programmatico per l'efficacia dell'aiuto della cooperazione italiana approvato a luglio 2009 prevedeva elaborazione di approcci strategici specifici per gli organismi internazionali di maggior investimento per la cooperazione italiana entro dicembre 2009, ma, a quanto consta all'interrogante, non c'è stato alcun progresso in un anno -:

quali siano i motivi del ritardo nell'elaborazione delle strategie verso le organizzazioni internazionali e quali siano i criteri per la valutazione dell'efficacia delle singole organizzazioni internazionali;

quali siano le ragioni per cui le poche risorse previste dal cosiddetto decreto-legge «missioni internazionali» del primo semestre 2011 per finanziare interventi di lotta alla povertà, non siano state ancora trasferite alla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo dal Ministero dell'economia e delle finanze.
(4-11998)

Risposta. - Il primo piano programmatico per l'efficacia degli aiuti, approvato dal Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri nel luglio 2009, prevedeva una specifica azione in ambito multilaterale riguardante «l'elaborazione di approcci strategici specifici per gli organismi internazionali di maggior investimento per la cooperazione italiana». Il perseguimento di tale azione si fondava, del resto, su alcuni indirizzi specifici relativi alla programmazione multilaterale, già approvati dal Comitato direzionale nella precedente seduta del 10 marzo 2009. Tali indirizzi ribadivano l'obiettivo di concentrare l'investimento multilaterale italiano sulla base dell'efficacia, incisività e complementarietà operativa con l'azione della cooperazione bilaterale.
Le stesse linee guida triennali della cooperazione italiana hanno identificato, nel corso degli anni, alcuni criteri-guida per l'individuazione degli organismi internazionali beneficiari di contributi da parte del Ministero degli affari esteri. In base a tali criteri, le risorse finanziarie multilaterali vengono gestite secondo priorità settoriali chiare che, per il triennio 2011-2013, sono relative ai settori della sicurezza alimentare, della salute, istruzione e accesso all'energia. Esse sono adottate dalla cooperazione italiana allo sviluppo in coerenza con l'impegno italiano al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio, nonché con le priorità G8/G20, e tengono altresì conto delle linee generali di politica estera nazionale, privilegiando le organizzazioni internazionali - in via principale quelle con sede in Italia - che presentino un vantaggio comparato nei settori menzionati. Proprio al fine di specificare ulteriormente, in un'ottica di sempre maggiore trasparenza e prevedibilità degli aiuti, i criteri che sono alla base dell'allocazione delle risorse sul canale multilaterale, la cooperazione italiana ha previsto, in tale contesto, una specifica azione anche nell'ambito del secondo piano efficacia, adottato nel marzo 2011. Tale azione prevede che le linee-guida siano volte alla cooperazione multilaterale, su cui attualmente si sta operando. La realizzazione delle suddette linee guida è ritenuta fondamentale anche per progredire ulteriormente sulla strada dell'efficacia degli aiuti, e per presentare risultati concreti e tangibili al prossimo Foro di alto livello che si terrà a Busan a fine anno.
Per quanto concerne lo specifico profilo della valutazione dell'efficacia dell'operato degli organismi multilaterali, occorre innanzitutto premettere che le scelte strategiche dei singoli paesi donatori non coincidono necessariamente tra loro perché sono motivate da differenti priorità ed interessi nazionali.
L'Italia attribuisce grande importanza al monitoraggio e alla valutazione delle iniziative. Tale linea di azione è confermata dall'attivazione, nell'ambito del processo di riforma del Ministero degli affari esteri, di

un Ufficio specificamente dedicato alle valutazioni, denominato «Ufficio visibilità e valutazione delle iniziative», che assume le funzioni di valutazione sulla base delle nuove linee guida in materia e del primo piano di attuazione delle valutazioni, approvati dal comitato direzionale nel giugno 2010. Per svolgere tali attività di monitoraggio e valutazione, l'Ufficio è stato dotato, a partire da gennaio 2011, di un budget pari a 800 mila euro, per ciascuno degli anni di programmazione per il triennio 2011-2013. Si permetterà quindi di attuare specifiche attività di monitoraggio e valutazione che potranno essere eventualmente indirizzate sia sul canale bilaterale che multilaterale.
Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze dell'11 maggio 2011, attuativo della legge di stabilità, recante, tra l'altro la proroga degli interventi di cooperazione e di sostegno ai processi di pace e di stabilizzazione, è ancora in corso di registrazione alla Corte dei conti.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

BOTTA e FRASSINETTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in occasione della giornata in difesa della Costituzione e della scuola pubblica, il preside del liceo D'Azeglio di Torino ha voluto leggere e pubblicare anche sul sito dell'istituto una parte del discorso di Piero Calamandrei al III congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale perché, a detta del preside stesso, rispecchierebbe la situazione attuale e il «potere di una certa politica»;
il preside del liceo non si è limitato a porre uno spunto di riflessione ai suoi studenti, riflessione che peraltro lo stesso Calamandrei offre per mettere sì in guardia dal pericolo del finanziamento pubblico alle scuole private, ma solo laddove le scuole private siano «di partito o di chiesa», intese quindi come ideologizzate (alla luce del panorama e delle divisioni politiche dell'epoca) e non pubbliche paritarie, come si configurano nella realtà odierna;
un giorno di festa e di alto senso civico non può essere utilizzato per nessuna, anche solo velata, propaganda politica tanto più se promossa da chi, avendo un incarico pubblico, dovrebbe invece garantire e difendere l'imparzialità dei nostri istituti;
la stessa legge n. 62 del 2000 ha istituito il sistema d'istruzione formato dalle scuole statali e non statali paritarie e chi riveste un ruolo istituzionale dovrebbe conseguentemente e coerentemente tenerne conto -:
che tipo di iniziative il Governo intenda adottare per garantire il diritto di tutti a frequentare scuole nelle quali non sussistano tensioni ideologiche e partigiane;
quali iniziative intenda adottare per verificare se l'operato del dirigente dell'istituto D'Azeglio di Torino sia conforme ai doveri che un dipendente pubblico è tenuto ad assumere, tanto più in un luogo, quale la scuola, in cui è in gioco la formazione e il futuro delle nuove generazioni.
(4-11303)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame con il quale l'interrogante a seguito di un episodio avvenuto in un istituto della regione Piemonte, ritiene opportuna l'adozione di iniziative che garantiscano il diritto di ognuno a frequentare scuole nelle quali non sussistano tensioni ideologiche e di parte.
Al riguardo la direzione generale dell'ufficio scolastico regionale per il Piemonte ha comunicato, con motivazione condivisa dal dipartimento per l'istruzione di questo Ministero, che il Dirigente scolastico aveva preannunciato ai docenti in data 10 marzo 2011 l'intenzione di leggere il giorno successivo agli studenti un brano di un discorso pronunciato da Pietro Calamandrei l'11 febbraio 1950. I docenti ne hanno condiviso il contenuto e l'obiettivo educativo

e ne hanno richiesto formalmente la pubblicazione sul sito dell'istituto.
Il dirigente scolastico fa presente che il giorno successivo la lettura del brano è stata preceduta dalle seguenti espressioni, riportate anche sul sito della scuola: «Per domani sono previste, in molte città, delle manifestazioni in difesa della scuola pubblica e della Costituzione. Però, non essendoci domani numerose classi, ho ritenuto opportuno intervenire oggi con un breve messaggio rivolto a tutto il Personale ma, soprattutto, agli Studenti. E ho pensato di leggervi un breve intervento di un grande uomo di cultura (è stato un giurista, giornalista, uomo politico, e docente universitario) sulla situazione in cui oggi ci ritroviamo a proposito di temi cruciali come la scuola pubblica, la sua funzione formativa, la Costituzione, il potere di certa politica. Sono parole sicuramente conosciute da molti insegnanti e magari da qualcuno di voi. Ma è importante rileggerle oggi per un invito a una riflessione personale.». Il Dirigente conclude dicendo: ... questo l'intervento, che devo però completare con una precisazione finale fondamentale: questo discorso è stato pronunciato da Pietro Calamandrei al III congresso dell'Associazione a Difesa della Scuola Nazionale, a Roma, l'11 febbraio 1950. Ribadisco: nel 1950.
Ora: se ritenete che sia ancora oggi attuale... allora diventa un imperativo morale - con la libertà di pensiero e di scelta di ciascuno - impegnarsi in difesa della Costituzione, in difesa della scuola pubblica, di quella scuola che educa ad essere cittadini consapevoli e soprattutto liberi.
Si riportano, di seguito gli eventi verificatisi successivamente.
In data 14 marzo 2011 è pervenuta al dirigente scolastico una lettera a firma di 13 genitori in cui si esprimeva «amarezza e delusione (per) il messaggio di attacco alla scuola paritaria».
Negli stessi giorni la «polemica» veniva ripresa e amplificata da alcuni articoli dei quotidiani nazionali, nella pagina di cronaca locale, che comunicavano di una iniziativa di alcuni politici locali relativa a una interrogazione in Consiglio regionale e in Parlamento con la richiesta di indagare sulla legittimità del comportamento del dirigente scolastico e del collegio dei docenti.
Nei giorni successivi sono pervenute delle critiche da parte dell'«Associazione genitori scuole cattoliche» e da parte di tre persone esterne alla scuola. Contemporaneamente sono pervenuti centinaia di messaggi, e-mail, documenti (con migliaia di firme) di condivisione dell'iniziativa e, nel contempo, di solidarietà per quello che è stato interpretato come un tentativo di intimidazione e di strumentalizzazione da parte di esponenti politici e di minacce all'espressione del libero pensiero cui ha diritto l'istituzione scolastica, nella sua autonomia, costituzionalmente riconosciuta.
Con il consenso dei genitori contrari all'iniziativa, previa consultazione dei genitori membri del consiglio d'istituto e previa liberatoria degli interessati, il dirigente scolastico ha pubblicato tutti i documenti a lui pervenuti su un apposito spazio sul sito della scuola (www.liceomassimodazeglio.it) con il titolo «Opinioni a confronto».
Ciò premesso il dirigente scolastico ha chiarito che «la lettura del brano voleva essere esclusivamente un invito alla riflessione personale e non un indottrinamento forzato degli studenti», invitandoli, al contrario, a riflettere sulla distanza temporale tra l'Italia del 1950 e quella di oggi nella certezza «della capacità dei nostri studenti liceali di contestualizzare storicamente i documenti». Ha chiarito, inoltre, di non aver mai inteso fare «propaganda politica» e che nell'istituto non «sussistono assolutamente tensioni ideologiche e partigiane, bensì esiste una comunità educante al pluralismo e al libero pensiero».
Da quanto sopra esposto, il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per il Piemonte ritiene che la proposta del dirigente scolastico e del collegio dei docenti rientra nell'ambito dell'autonomia dell'insegnamento e, così come presentata agli studenti, chiarisce la contingenza storica del discorso di Calamandrei. Esprime, inoltre, l'avviso che i
mass-media hanno attribuito all'iniziativa valenze che non le erano proprie; al contrario, si è aperto un dibattito che il dirigente ha gestito in modo ottimale

evitando ogni possibile - strumentalizzazione con lo spazio «Opinioni a confronto» all'interno del sito web dell'istituto.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

MARCO CARRA. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
si apprende, dalla stampa locale, che il sindaco di Mantova si è autonominato presidente del «Centro Internazionale di Palazzo Te»;
il «Centro internazionale di Palazzo Te» è l'ente che si occupa della gestione operativa di Palazzo Te, palazzo di proprietà comunale, il quale vive di contributi dell'amministrazione comunale di Mantova;
si è in presenza di una sovrapposizione inquietante del ruolo dell'amministrazione comunale che si trova ad essere, contemporaneamente, controllore e controllato;
per questa ragione vi sono inoltre dubbi sul fatto che il conferimento di tale incarico possa essere considerato pienamente conforme alla normativa vigente;
l'ispettorato per la funzione pubblica svolge, tra l'altro, attività di verifica sul «corretto conferimento degli incarichi» da parte delle pubbliche amministrazioni -:
se il Ministro intenda dar corso ad un'ispezione specifica dell'ispettorato della funzione pubblica per valutare la correttezza del conferimento dell'incarico di presidente del «Centro internazionale di Palazzo Te» da parte del sindaco di Mantova.
(4-12388)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione di avviare opportune attività ispettive, tramite il competente Ispettorato per la funzione pubblica, in merito al conferimento dell'incarico di Presidente del «centro internazionale di Palazzo Te», si rappresenta quanto segue.
Il citato Ispettorato ha richiesto i necessari chiarimenti al Segretario generale dell'ente civico, manifestando perplessità sulla legittimità e regolarità della nomina del Sindaco di Mantova quale Presidente del «centro internazionale di Palazzo Te». vista la disciplina vigente in tema di incompatibilità recata dall'articolo 63 del testo unico sugli enti locali. In riscontro alla nota dell'Ispettorato, il Segretario generale del comune di Mantova, prendendo atto delle osservazioni formulate dall'Ispettorato per la funzione pubblica, ha comunicato che con provvedimento del Sindaco si è proceduto alla nomina di un diverso soggetto quale Presidente del predetto centro di arte e cultura.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

CATANOSO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'ultima Legge Finanziaria del Governo Prodi, all'articolo 79 comma 1, 2 e 3, ha operato consistenti tagli all'Opera Nazionale di Assistenza del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
a fronte di ciò a decorrere dal 2008 sono cessate le riassegnazioni spettanti all'Opera Nazionale guadagnate dai vigili del fuoco attraverso i servizi di vigilanza;
tali somme ammontavano nel 2007 a circa 12 milioni di euro ed attraverso tali tagli tali somme si sono ridotte a 4,5 milioni di euro;
una tale riduzione da 12 a 4,5 milioni di euro rende chiaramente impossibile la sopravvivenza dell'Ente stesso;
la denuncia ci giunge dalla Confsal-Vigili del Fuoco che denuncia come intende, il ministro interrogato, far fronte ai 1.100 contributi assistenziali, ordinari e straordinari, erogati nel 2007 per una spesa di 2 milioni di euro, oppure ai 400 contributi per spese funerarie, costati

circa 500.000 euro. A ciò si aggiunga la spesa prevista per la polizza assicurativa usata dai vigili del fuoco e per le 4.000 famiglie di vigili del fuoco che usufruiscono dell'ospitalità dei centri dell'Opera;
tali decurtazioni, a giudizio dell'interrogante e della Confsal-Vigili del Fuoco, rappresentano un attacco diretto alle condizioni di vita dei vigili del fuoco e delle loro famiglie;
con tali tagli non sarà possibile adottare quelle forme di sostentamento e di assistenza nei confronti di quei colleghi, o delle famiglie, feriti gravemente o deceduti per servizio;
questo ulteriore colpo al Corpo Nazionale di Vigili del Fuoco si aggiunge agli oltre 83 milioni di euro di debiti certificati nel 2008, in seguito ai tagli effettuati in maniera indiscriminata dal precedente Governo dove è avvenuto che i capitoli di spesa, nonostante la necessità di fondi aggiuntivi, hanno ottenuto meno risorse rispetto agli anni passati con il rischio di pignoramento delle sedi e dei mezzi necessari per il soccorso;
il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco è moroso per le spese relative alla manutenzione dei mezzi e per il carburante, per le pulizie delle caserme, per le utenze dell'energia elettrica, per le bollette telefoniche, per le tasse dei rifiuti solidi urbani, per i riscaldamenti, per l'acqua e gli affitti delle caserme e a breve, se non vi sarà un'urgente inversione di tendenza, in molti Comandi non sarà assicurato il carburante per i mezzi di soccorso;
tale stato di cose sta mettendo in discussione la credibilità del Corpo e la loro professionalità nei confronti della società civile dalla quale i Vigili del Fuoco sono stati da sempre considerati affidabili, professionisti e il vero fiore all'occhiello della sicurezza del Paese;
a ciò si aggiunga che al personale di tutti i Comandi d'Italia non vengono erogate le competenze accessorie, poiché i vari capitoli di spesa sono privi dei finanziamenti necessari al pagamento delle spettanze già maturate dal personale come ad esempio, gli straordinari, i proventi del Fondo Unico di Amministrazione 2007 e quelli del Patto per il Soccorso -:
quali provvedimenti intenda adottare il ministro interrogato affinché si prevedano specifici stanziamenti di risorse supplementari in favore del Corpo.
(4-01646)

Risposta. - Le difficoltà economiche dell'opera nazionale di assistenza per il personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco derivano dall'attuazione della legge finanziaria 2008 (articolo 2, commi 615, 616 e 617 della legge n. 244 del 2007) che ha previsto riduzioni agli stanziamenti e nuove modalità di rideterminazione dei fondi da ripartire, al fine di conseguire gli obiettivi di risparmio indicati nella medesima legge finanziaria.
Prima dell'entrata in vigore della normativa, infatti, le risorse economiche necessarie alla realizzazione dei compiti istituzionali dell'opera provenivano dal versamento di una specifica quota, pari al 20 per cento degli introiti connessi con i servizi a pagamento espletati dal corpo.
Nell'esercizio finanziario 2009 sono stati destinati ai consumi intermedi (utenze di servizi, canoni di fitto delle caserme e fornitura di carburante) finanziamenti ad hoc che hanno contribuito ad azzerare, alla data del 31 dicembre 2009, la totalità delle situazioni debitorie dei relativi capitoli di spesa.
Analoghe problematiche sono, peraltro, emerse nell'esercizio finanziario 2010, a causa dell'insufficienza delle risorse stanziate in bilancio, come indicato nel rapporto sulla spesa redatto ai sensi della circolare della ragioneria generale dello Stato n. 38 del 15 dicembre 2010, attuativa dell'articolo 9 del decreto legislativo 185 del 2008 e dell'articolo 9 del decreto legge 78 del 2009.
Per far fronte alle spese di vestiario ed equipaggiamento, nonché a quelle destinate alla gestione e noleggio di automezzi e materiale tecnico, il 21 aprile scorso, è stata inoltrata una richiesta di prelevamento di euro 5.000.000 dal «fondo da ripartire per

le esigenze correnti di funzionamento dei servizi dell'amministrazione», a disposizione del Ministero dell'interno, e di euro 15.000.000 dal fondo unico di giustizia, destinate a sostenere le spese relative all'assistenza sanitaria del personale dei vigili del fuoco, ai consumi per gas da riscaldamento, per i servizi di pulizia, il fitto di locali nonché per l'acquisto, il noleggio e la gestione degli aeromobili.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

COMMERCIO, LO MONTE, LATTERI e LOMBARDO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il 13 dicembre del 2010 è stato firmato a Bruxelles un accordo commerciale bilaterale fra l'Unione europea ed il Marocco per i prodotti del settore agroalimentare e della pesca che prevede una serie di liberalizzazioni reciproche per i prodotti agricoli, prodotti agricoli trasformati, pesce e prodotti della pesca;
molte sfide sono comuni a tutte le regioni europee che si affacciano sulla sponda sud del Mediterraneo, ad esempio nei settori dell'ambiente, della gestione dei rischi legati alla desertificazione e dell'accesso alle risorse idriche;
l'agricoltura è un settore strategico nel Mediterraneo ed è interesse di tutti pervenire a un'integrazione valida ed equilibrata dell'area euro Mediterranea;
lo stesso libro verde della Commissione europea relativo al cambiamento climatico sottolinea la vulnerabilità di tutto il bacino mediterraneo alle variazioni climatiche;
il Marocco è un Paese amico che negli ultimi anni si è sempre più avvicinato all'Europa ed è legittimo che ricerchi aperture nell'esportazione dei propri prodotti verso i Paesi europei. Tutto questo però non deve consentire concessioni squilibrate che arrecano pregiudizio alle produzioni del Sud Europa e del Sud Italia, segnatamente nel comparto ortofrutticolo, il più colpito da detto accordo bilaterale;
bisogna puntare a favorire il nostro export, rimuovendo gli ostacoli tariffari e non tariffari a carico delle merci del Sud Italia reintroducendo il principio di reciprocità delle condizioni produttive, osteggiato in sede Gatt, ma che diventa a maggior ragione necessario soprattutto nella improba concorrenza con la produzione asiatica che non rispetta i medesimi controlli ambientali, fitosanitari e di sicurezza alimentare e che non riconosce i medesimi diritti sindacali;
nel settore agricolo, l'articolo n. 12.1 del Regolamento (CEE) 2081/92 sulle indicazioni geografiche protette, la cui abrogazione è stata richiesta dal GATT (General agreement on tariffs and Trade), prevedeva una serie di condizioni di equivalenza e reciprocità applicabili ai Paesi terzi, che se non soddisfatte, rendevano nulla la domanda di registrazione di una indicazione geografica;
essenziale, per l'Unione europea che gli accordi tengano conto di tutti i fattori di competitività, dei sopraccitati costi sociali e di quelli relativi alla manodopera, dell'alto livello di protezione della sicurezza alimentare dei consumatori europei e delle esigenze ambientali;
i controlli fitosanitari devono costituire un'importante preoccupazione legata al commercio euro mediterraneo effettuando controlli «partenza paese di origine» per non importare malattie le cui conseguenze sarebbero disastrose per i produttori europei;
vanno ridefiniti i rapporti con i Paesi mediterranei in un approccio che non si basi solo sulle dette concessioni commerciali ai competitori dei Paesi terzi mediterranei ma che proponga anche effettivi strumenti per la maggiore liberalizzazione degli scambi tra i Paesi della sponda sud del Mediterraneo;

alla base ci deve essere l'obiettivo di favorire l'export delle regioni mediterranee, rimuovendo gli ostacoli tariffari e non tariffari a carico delle merci, reintroducendo con determinazione chiari princìpi di reciprocità delle condizioni produttive;
le regioni euro/mediterranee devono insistere perché l'Unione europea dia la priorità ai negoziati commerciali multilaterali piuttosto che ai negoziati bilaterali, quali quello con il Marocco;
è necessario che l'Unione europea riconosca le difficoltà generate in numerosi settori produttivi dai detti accordi bilaterali e preveda misure di mitigazione degli impatti negativi degli stessi a beneficio dei settori e delle regioni dell'Unione europea che subiscono le conseguenze di tali accordi, al fine di migliorare la loro competitività di fronte all'apertura dei mercati;
per uno sviluppo corretto dei Paesi mediterranei, si dovrebbero condizionare gli accordi per l'applicazione di misure affinché i principali beneficiari nei Paesi del bacino siano i piccoli produttori e non le grandi aziende e imprese di esportazione di capitale esterno;
occorre mantenere gli strumenti di protezione, necessari (clausola di salvaguardia, e altro) in caso di crisi di un'offerta eccedentaria mantenendo così la preferenza comunitaria;
occorre mantenere il sistema dei prezzi di entrata per i prodotti ortofrutticoli, in quanto strumento efficace e trasparente di gestione dei mercati e garanzia di stabilità prezzi, nell'interesse dei produttori dell'Unione europea così come di quelli dei Paesi terzi mediterranei;
la stagionalità delle produzioni deve continuare a essere presa in considerazione per non perturbare le produzioni dell'Unione europea e la loro natura di «primizie» evitando le concessioni sui prodotti che abbiano la stessa stagionalità dei prodotti europei, al fine di puntare sulla complementarità e individuando strategie di integrazione che valorizzino i punti di complementarietà nelle produzioni euro-mediterranee destinate all'export al fine di ridurre i punti di coincidenza, e quindi di concorrenza, tra le due provenienze -:
se il Governo ritenga necessario intervenire affinché siano promosse e garantite le procedure di partecipazione delle regioni al processo normativo dell'Unione europea previsto dall'articolo 117, commi 5 e 9, della Costituzione sull'attività internazionale delle regioni, dalla legge 4 febbraio del 2005, n. 11 e all'articolo 6 della legge 5 giugno del 2003, n. 131, anche facendo valere in tutte le competenti sedi ivi compreso il partenariato euromediterraneo nonché investendo il comitato economico sociale e il comitato delle regioni, le osservazioni elencate in premessa riguardo al suddetto accordo bilaterale al fine di meglio tutelare gli interessi dei citati settori produttivi e delle regioni interessate dall'accordo;
se il Governo intenda assumere un'iniziativa politica diretta a rappresentare al Parlamento europeo le difficoltà che si determinerebbero a seguito della ratifica del suddetto accordo.
(4-11030)

Risposta. - L'interrogazione cui mi accingo a rispondere riguarda l'accordo commerciale bilaterale firmato il 13 dicembre 2010 tra l'Unione europea e il Marocco che sancisce una serie di liberalizzazioni reciproche per i prodotti agricoli, anche trasformati, i pesci e i prodotti della pesca.
In particolare l'intesa prevede, per il Marocco, la liberalizzazione immediata del 45 per cento (in valore) delle esportazioni provenienti dall'Unione europea, con la previsione di liberalizzazione fino al 70 per cento in 10 anni. Anche il settore della pesca sarà liberalizzato per i prodotti dell'Unione europea, in misura del 91 per cento in 5 anni e, nella sua totalità, in 10 anni.
Il Marocco ha anche ottenuto dalla commissione la riduzione del 30 per cento (dazio specifico) dei prezzi d'entrata, nonché l'eliminazione dei dazi
ad valorem per i periodi di maggiore commercializzazione di

alcuni prodotti ortofrutticoli che, a suo parere, risulterebbero non sensibili.
L'Unione europea, di contro, permetterà l'immediata liberalizzazione del 55 per cento delle importazioni provenienti dal Marocco, oltre ad un aumento delle concessioni nel settore degli ortofrutticoli, ove i prodotti marocchini costituiscono l'80 per cento delle importazioni nell'Unione europea.
Devo tuttavia sottolineare che, a fronte del raggiungimento della liberalizzazione dei rispettivi mercati, l'Unione europea soggiace da subito a una riduzione media del 55 per cento delle linee tariffarie, mentre per il Marocco viene stabilito il 45 per cento di abbattimento medio ed una gradualità del periodo di implementazione che arriva, per alcuni prodotti, sino a 10 anni.
Ciò premesso, mi preme anzitutto evidenziare che l'accordo in parola riguarda materie di competenza esclusiva dell'Unione europea e, pertanto, non sarà sottoposto alla ratifica degli Stati membri.
Peraltro, la conclusione dell'intesa è ora subordinata al parere del Parlamento europeo, ove il testo è attualmente in discussione.
Tuttavia, pur ravvisando un certo squilibrio per quanto concerne le riduzioni tariffarie concordate tra le parti, e condividendo le perplessità espresse in merito all'accordo dal settore ortofrutticolo, mi sento in dovere di rappresentare che, a suo tempo, non è stato ritenuto opportuno opporsi alla sua approvazione.
Infatti, non essendo richiesta per la sua approvazione l'unanimità (ma solo la maggioranza qualificata) il nostro voto contrario, oltre a non avere peso sulla votazione, avrebbe solo potuto pregiudicare le relazioni con un partner di importanza primaria.
Al riguardo faccio presente che anche altri Paesi membri (come la Francia e la Spagna), pur condividevano le nostre preoccupazioni e considerazioni, hanno ritenuto di adottare un analogo comportamento.
L'accordo assume ora una rilevanza ancora maggiore nel contesto di crisi che caratterizza la sponda sud del Mediterraneo e a fronte degli sforzi che l'Unione europea si appresta a compiere per potenziare gli scambi commerciali con i «vicini meridionali», si da promuovere lo sviluppo economico e, con esso, la stabilità politica.
Il Consiglio europeo del 24-25 marzo scorsi ha, infatti, inviato la commissione a presentare ulteriori proposte per rafforzare gli scambi con la regione e accrescere gli investimenti
in loco nel breve, medio e lungo termine.
Da parte italiana, peraltro, pur prendendo atto di tale orientamento, si sta chiedendo con insistenza che le misure che verranno introdotte tengano conto dei sacrifici già imposti ai Paesi mediterranei e prevedano un'equa ripartizione degli oneri.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Francesco Saverio Romano.

DI BIAGIO, PICCHI, BERARDI e ANGELI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
alla luce delle attuali disposizioni definite dall'Amministrazione, il consolato generale d'Italia a Losanna rientra tra le strutture diplomatico-consolari per le quali è prevista la chiusura a partire dal 2011;
l'utenza della suindicata struttura, costituita prevalentemente da cittadini italiani, subisce i disagi dovuti dall'orario di apertura al pubblico, stabilito unilateralmente dal capo missione che al riguardo ha addotto tali scelte alle esigenze rappresentate dalle associazioni locali;
attualmente la sede è aperta al pubblico tre mattine a settimana, di cui una coincide con il sabato, e solamente due pomeriggi;
al capo missione è stata avanzata la proposta - da parte del personale dello stesso consolato - di garantire l'apertura della sede per più turni pomeridiani settimanali, a fronte della chiusura del sabato mattina in analogia a quanto avviene

al consolato di Ginevra - in considerazione anche del fatto che nella giornata di sabato gli uffici del Ministero sono chiusi, rendendo di fatto impossibile ogni tipo di consultazione tra il consolato, il Ministero ma anche tutti gli enti locali al fine di far fronte al prosieguo di una specifica attività consolare;
malgrado le evidenti e citate criticità non vi è stata disponibilità da parte del console a valutare l'alternativa proposta;
il sussistere di tale organizzazione della sede diplomatica ha sollevato notevoli e continui disagi per l'utenza esterna, che ha rappresentato più volte il proprio malcontento ed il proprio disagio -:
se sia a conoscenza di quanto indicato in premessa e quali siano le ragioni per cui il console continui ad operare in un contesto sociale le cui esigenze non possono essere soddisfatte a fronte di quanto suesposto con i conseguenti citati disservizi per la continuità italiana residente nel circondario di Losanna, che è pari a circa 60.000 cittadini;
se i suindicati aspetti organizzativi rientrino in un programma, condiviso con l'amministrazione, orientato alla ridefinizione del ruolo della struttura consolare alla luce del piano di razionalizzazione annunciato dal Ministro degli affari esteri.
(4-06330)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Il Consiglio di amministrazione di questo Ministero, nella seduta dello scorso 9 febbraio 2011, ha deliberato la soppressione del Consolato generale di Losanna e l'attribuzione delle relative competenze al consolato generale di Ginevra, con decorrenza dal 1o novembre 2011.
Per effetto della citata delibera, viene altresì disposto il passaggio della dipendenza delle agenzie consolari di Sion e Neuchatel dalla sede di Losanna a quella di Ginevra.
Al riguardo preme ricordare come la determinazione di riconsiderare la consistenza della presenza istituzionale italiana in Svizzera rientri nel più generale piano di razionalizzazione della rete estera che è stato presentato, a partire dal secondo semestre 2009, alle Commissioni esteri della Camera e del Senato, alle organizzazioni sindacali, ed al Consiglio generale degli italiani all'estero in altrettante occasioni aperte al contraddittorio.
L'impegno della Farnesina nella ristrutturazione della rete degli uffici all'estero procede parallelamente alla realizzazione di innovative piattaforme informatiche, con l'obiettivo di garantire sia la promozione degli interessi nazionali, sia l'assistenza alle collettività italiane residenti all'estero.
Infine, il Governo si è impegnato al rafforzamento delle sedi consolari che riceveranno le competenze dagli uffici in chiusura, permettendo il mantenimento di alti livelli qualitativi nell'erogazione dei servizi ai cittadini e riducendo al minimo qualsiasi disagio.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

DI BIAGIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il declassamento a sportello consolare della struttura di Saarbruken in Germania ha condotto ad un percorso di adeguamento strutturale ed operativo delle stesse strutture coinvolgendo le realtà consolari più vicine sotto il profilo territoriale;
fino al mese di agosto 2010 la struttura di Saarbruken disponeva di uno storico archivio cartaceo riferimento operativo per i quattro impiegati a contratto, chiamati a svolgere le principali funzioni di supporto amministrativo ed organizzativo ai cittadini residenti nella circoscrizione di riferimento;
verso la fine di agosto 2010 l'amministrazione - ottemperando ai vincoli regolamentari - ha disposto il trasferimento del citato archivio presso la struttura consolare di Francoforte;

il progetto della digitalizzazione degli archivi e di tutta la documentazione gestibile dalle strutture consolari appare ancora lontano dal potersi realizzare malgrado gli auspici positivi e le prospettive tratteggiate dall'amministrazione e dai referenti istituzionali;
stando ai dati a disposizione dell'interrogante, un'eventuale digitalizzazione della mole consistente del materiale cartaceo non potrebbe essere avviata poiché la rete informatica utilizzata dall'amministrazione - la rete RIPA - in quanto particolarmente vetusta, necessiterebbe di essere completamente sostituita da strutture più moderne e all'avanguardia;
attualmente la trasmissione attraverso la rete RIPA (vecchia di oltre 15 anni), di un documento scannerizzato da Francoforte a Saarabruken ha una durata di circa 10 minuti rendendo quasi impossibile qualsivoglia scambio rapido di documenti e materiale vario;
la mancanza di materiale di riferimento andrebbe a limitare pesantemente l'attività delle sedi declassate che non riusciranno a garantire i servizi in loco, costringendo l'utenza a rivolgersi alle sedi consolari depositarie degli archivi;
le criticità in questione potrebbero essere facilmente superate attraverso un percorso di digitalizzazione di tutto il materiale consolare, tale da garantire l'operatività in tutte le strutture consolari;
attualmente alcuni sportelli consolari europei, - pur non essendo dotati per regolamento di un archivio - sono autorizzati ad accedere al database del consolato di riferimento sul territorio, garantendo in questo modo la piena rispondenza alle richiesta dell'utenza e l'adeguata rapidità di servizio -:
se si intenda avviare un progetto mirante ad intervenire sulle reti informatiche attualmente utilizzate dal Ministero degli affari esteri per la trasmissione informatica, affidando la gestione ad un sistema informatico più veloce, eventualmente affidabile a società locali, rendendo il meccanismo maggiormente rispondente alle esigenze della nostra comunità in loco;
se lo spostamento degli archivi dalle agenzie consolari ed il conseguente ridimensionamento delle attività delle stesse debba interpretarsi come la premessa per un eventuale ed ulteriore declassamento delle stesse una volta appurata la voluta condizione di inoperatività delle strutture;
se si ritenga di definire un ventaglio di disposizioni omogenee atte a garantire che presso le strutture consolari di pari categoria sussistano i medesimi ordini di servizio e le medesime deleghe sul tipo di mansione che gli impiegati delle medesime strutture sono chiamati ad esercitare localmente.
(4-08525)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Per venire incontro alle istanze dei connazionali residenti nella circoscrizione consolare di Saarbruecken, questa amministrazione, piuttosto che procedere al mero accorpamento, originariamente previsto, di quel consolato con il consolato generale di Francoforte, in data 1o settembre 2010 ha dato luogo all'attivazione di uno sportello consolare nella capitale del Saarland. La sede di Saarbrucken costituisce parte integrante del citato consolato generale, grazie al collegamento telematico che consente agli operatori presenti nello sportello di accedere in «modalità remota» alla piattaforma del «sistema integrato di funzioni consolari» (SIFC), installata appunto sul server di Francoforte, ove sono confluiti i dati della sede di Saarbrucken.
Il collegamento è in grado di fornire ai nostri connazionali un valido supporto, talché non si rilevano ricadute negative in termini di operatività dello sportello e di funzionalità nei confronti dell'utenza.
Sotto il profilo funzionale, infatti, l'operatività dello sportello consolare di Saarbruecken è pienamente garantita nella sua attuale configurazione di struttura dedicata all'accoglienza dei connazionali ed alla ricezione di gran parte delle loro istanze,

destinate ad essere istruite in prima battuta presso lo sportello stesso in vista dell'inoltro al consolato generale di Francoforte, il cui personale reperisce i documenti richiesti e ne provvede alla trasmissione telematica. I dieci minuti indicati dall'interrogante per la trattazione delle pratiche sono infatti comprensivi di tutti questi passaggi, il che dimostra come in realtà si tratti di tempi tecnici solo marginalmente comprimibili.
Con particolare riferimento alla collocazione dell'archivio consolare, lo stesso interrogante rileva correttamente come la normativa vigente ne preveda l'ubicazione presso la sede consolare di prima categoria cui lo sportello stesso appartiene, così da permanere sotto la responsabilità e la direzione del capo di quell'ufficio consolare. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, appare evidente come lo sportello consolare si configuri essenzialmente quale struttura di prossimità rispettò alla collettività residente
in loco, evitando ai connazionali - per tutta una serie di possibili istanze - il disagio di doversi recare personalmente presso l'Ufficio consolare di appartenenza, fornendo inoltre alla comunità un primo, prezioso livello di assistenza immediata in caso di necessità.
Preme, inoltre, sottolineare che al fine di migliorare la qualità dei servizi per i nostri connazionali è attualmente in fase di sperimentazione la piattaforma «servizi consolari
on-line»: essa prevede che, una volta registratosi sul portale, l'utente possa accedere a una serie di importanti servizi, suscettibili di graduale incremento. Il sistema consentirà, infatti, fin da subito di reperire una vasta gamma di informazioni, riguardanti sia la sede consolare di competenza, sia i dati anagrafici dell'interessato. Infine, grazie a una serie di applicativi già ampiamente utilizzati, il cittadino potrà dialogare con la sede e prenotare eventualmente un appuntamento per la risoluzione delle pratiche.
Si conferma dunque l'impegno del Ministero degli esteri a proseguire nel percorso di rinnovamento e adeguamento tecnologico, destinato a fornire ai connazionali all'estero un adeguato supporto durante la fase di riorganizzazione della rete diplomatico-consolare.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

DI BIAGIO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in data 29 settembre 2010 l'interrogante sottopose all'attenzione della Commissione affari esteri della Camera una risoluzione che impegnava il Governo a disporre gli adeguamenti retributivi per il personale a contratto a legge locale, in servizio in tutte le sedi a far data dall'ultimo adeguamento effettuato, e comunque a valere per il 2010, previa disposizione alle ambasciate a trasmettere i dati di competenza, nonché ad assumere iniziative normative al fine di escludere l'applicazione dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al personale del Ministero degli affari esteri con contratto sottoposto a legge locale, anche al fine di scongiurare evitabili quanto onerosi contenziosi locali;
in data 27 ottobre 2010 il Sottosegretario Scotti, intervenendo in sede di discussione della suindicata risoluzione in Commissione affari esteri, evidenziava il parere favorevole del Governo alla stessa e annunciava che per dirimere il nodo giuridico, (relativo all'applicazione dell'articolo 9 alla categoria) «la Farnesina ha provveduto a richiedere le valutazioni dell'IGOP (Ispettorato Generale per gli Ordinamenti del Personale e l'Analisi dei costi del lavoro pubblico) della Ragioneria Generale dello Stato, nell'auspicio che si possa ottenere un via libera agli adeguamenti previsti»;
ad oggi, l'impegno assunto dal Governo attraverso la risoluzione 8-00094 non ha trovato ancora applicazione né sono stati predisposti gli strumenti adatti per far fronte alle responsabilità in essa evidenziate;

immediatamente dopo l'approvazione del citato atto, il Ministero degli affari esteri aveva annunciato alla organizzazione sindacale più rappresentativa del personale direttamente coinvolto, di aver avviato delle trattative con il Ministero dell'economia e delle finanze nonché con l'ufficio centrale di bilancio affinché venisse resa una corretta interpretazione dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 al fine di legittimare l'esclusione della categoria del personale a contratto a legge locale dalla sua applicazione;
stando alle informazioni in possesso dell'interrogante, sarebbe stata predisposta una circolare del Ministero dell'economia e delle finanze recante una interpretazione favorevole nei confronti degli impiegati a contratto a legge locale della citata norma, che attendeva soltanto di essere registrata dalla Corte dei conti, che da indiscrezioni sembrava condividere l'ipotesi di esclusione della stessa categoria di lavoratori dall'applicazione della legge, ipotesi peraltro condivisa, dal dipartimento della funzione pubblica;
in data 30 maggio 2011 il Ministero degli affari esteri avrebbe annunciato la volontà di interpretare il mancato riscontro da parte dei funzionari dell'ufficio centrale di bilancio come un dissenso verso l'ipotesi di escludere dall'applicazione dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 la suindicata categoria di lavoratori;
immediatamente dopo l'accoglimento della risoluzione da parte del Governo, il sindacato più rappresentativo del personale coinvolto ha provveduto a raccogliere tutti i dati nonché i parametri di riferimento sulle retribuzioni erogate dagli altri Paesi nei confronti del proprio personale operante presso le rappresentanze diplomatiche, al fine di predisporre tutte le opportune procedure volte all'adeguamento retributivo - atteso in taluni casi anche da oltre 10 anni - del personale a contratto disciplinato dalla legge locale -:
quali siano le ragioni che impediscono al Ministero degli affari esteri di far fronte all'impegno assunto in Commissione affari esteri alla Camera in data 27 ottobre 2010;
quali iniziative i Ministri interrogati intendano predisporre al fine di chiarire sotto il profilo amministrativo e normativo la questione di cui in premessa.
(4-12154)

Risposta. - Nel settembre 2010 l'Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero degli affari esteri, relativamente alle misure di adeguamento retributivo a favore del personale a contratto in servizio in alcune sedi estere, previste entrare in vigore dal 1o luglio 2011, ha richiamato la possibile applicazione del blocco delle retribuzioni stabilito, per i dipendenti pubblici, dall'articolo 9, comma 1 della Legge n. 122 del 2010 per il triennio 2011/2013.
A seguito di tale indicazione, il Ministero degli affari esteri ha formalmente interpellato l'Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico (Igop), della Ragioneria generale dello Stato.
Nelle more della pronuncia dell'Igop, il Governo reitera l'impegno ad ultimare le procedure previste dalla normativa vigente per poter procedere agli adeguamenti retributivi per il personale a contratto con legge locale e ad assumere iniziative normative al fine di escludere l'applicazione del blocco delle retribuzioni.
Per definire il percorso attraverso cui gli aumenti andranno attribuiti, è peraltro necessario attendere il parere dell'Igop. Se, infatti, quest'ultimo escluderà tale personale dal blocco delle retribuzioni, i necessari adeguamenti retributivi potranno essere predisposti in via amministrativa senza ricorrere alla formulazione di una nuova proposta di legge. Se, per contro, il personale a contratto verrà incluso nel blocco, si imporrà il ricorso all'iniziativa legislativa, per garantire il rispetto della risoluzione parlamentare.
Una volta accertata la possibilità di adeguare tali retribuzioni, i necessari provvedimenti verranno adottati nel rispetto dei criteri fissati dalle pertinenti disposizioni di legge (articolo 157 del decreto del Presidente

della Repubblica n. 18 del 1967) e sulla base dei dati forniti dalle fedi di volta in volta interessate.
Non risulta per contro l'adozione di alcuna circolare del Ministero dell'economia e delle finanze «recante un'interpretazione favorevole nei confronti degli impiegati a contratto» del citato articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010. Al riguardo si ricorda l'avvenuta pubblicazione della circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 12 del 15 aprile 2011 relativa alla norma predetta, che tuttavia non contiene alcuno specifico riferimento al trattamento di detto personale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

DI STANISLAO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi (UNRWA), sta lanciando un sito multimediale che illustra la piaga di circa cinque milioni di rifugiati palestinesi. La campagna, chiamata «La Pace Comincia Qui», viene lanciata contemporaneamente a Gerusalemme e a Bruxelles, e segna la giornata delle Nazioni Unite e la giornata della collaborazione tra ONU e Unione europea. In questa campagna vengono trasmessi dei cortometraggi che descrivono la vita nei campi per i rifugiati, mettendo le persone al primo posto e concentrandosi sulle storie vere che stanno dietro ai titoli di prima pagina;
il commissario generale spiega come questa campagna sia innovativa, umana, creativa, e mostra le opportunità che esistono in un mondo che a volte sembra privo di speranza;
la campagna consiste in una serie di video sulle cinque aree in cui UNRWA opera: Gaza, West Bank, Giordania, Siria e Libano. Un film della durata di un minuto che raccoglie scene di vita quotidiana nei campi. La musica originale del film è stata composta e realizzata da Tareq Al Nasser e Nadera Omran;
il sito della campagna, www.peacestartshere.org, apre con quattro storie: la demolizione di una casa a Gerusalemme, un ragazzo orfano a Baqa'a in Giordania, un artista a Shatila in Libano, e un giovane volontario a Gaza. Quindici storie in totale si alterneranno in un periodo di tre mesi, accompagnate da informazioni e fotografie sui luoghi e sui temi trattati;
uno degli obiettivi di questa campagna è suscitare un legame emotivo vero, e incoraggiare la discussione su forum online e social network sulla questione dei rifugiati palestinesi;
l'obiettivo finale della campagna è di introdurre l'idea di «La Pace Comincia Qui» e di presentare i rifugiati palestinesi da una prospettiva personale, evidenziando storie di coraggio e creatività a dispetto delle circostanze più difficili -:
se e quali iniziative il Governo intenda adottare per promuovere e sostenere la campagna «La Pace Comincia Qui» al fine di avvicinare i cittadini ad problematica molto spesso dimenticata.
(4-09210)

Risposta. - Il Governo italiano condivide con l'UNRWA le finalità relative al perseguimento della pace e dello sviluppo in Medio Oriente contribuendo finanziariamente, attraverso la cooperazione italiana allo sviluppo, alle attività dell'agenzia in diversi Paesi dell'area. Nonostante i tagli apportati al bilancio della cooperazione italiana, che a causa delle pressanti esigenze di risanamento della finanza pubblica, si è concesso all'UNRWA, per il 2010, contributi per 7,5 milioni di euro. Di questi, 1,5 milioni di euro per iniziative di emergenza nella Striscia di Gaza, 1 milione di euro per interventi a sostegno della riforma del settore sanitario in Libano ed il restante ammontare per le attività principali, cosiddette «core activities» dell'agenzia.
Nella Striscia di Gaza, anche a causa dell'oggettiva difficoltà ad interloquire ufficialmente

con l'amministrazione locale, governata come noto dal movimento «Hamas», l'UNRWA ha inoltre in corso attività finanziate dalla cooperazione italiana per 3,5 milioni di euro, volte ad assicurare l'assistenza nei campi profughi di Jabalia, Rafah e Khan Younis. In Libano, in risposta all'appello lanciato dal Governo libanese, l'Italia ha contribuito alla riabilitazione dell'area del campo profughi di Nahr el Bared, a seguito del conflitto esploso nel maggio 2007 tra l'esercito regolare e la milizia del gruppo islamista Fatah Al Islam.
Alla luce di quanto esposto, è evidente l'importanza dell'apertura del sito «La pace comincia qui» da parte dell'agenzia onusiana, soprattutto al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica nazionale ed internazionale sulle attività svolte dall'UNRWA. La stessa apertura del sito potrebbe altresì costituire un'importante opportunità per diffondere l'impegno del Governo italiano attraverso la cooperazione allo sviluppo in materia di soccorso e assistenza ai rifugiati. Al riguardo, si sta valutando la possibilità di pubblicizzare la lodevole iniziativa di comunicazione dell'agenzia sul portale della cooperazione italiana allo sviluppo.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con le ultime rivelazioni di Wikileaks si è avuta notizia dell'esercito privato comparso nel Puntland, un piccolo stato semiautonomo nella parte settentrionale della Somalia, la cui presenza rischia di avere implicazioni gravi sul ripristino della stabilità dei Paese somalo e sugli equilibri della regione;
un esercito senza bandiera finanziato da uno stato islamico con forti interessi nell'area attraverso uno zakat, un fondo islamico che in genere raccoglie donazioni per beneficenza. Il committente ha poi coinvolto nella partita due nomi di grosso calibro della diplomazia americana: Pierre Richard Prosper, ambasciatore incaricato dall'ex presidente George Bush jr di seguire le questioni legate ai crimini di guerra, e Michael Shanklin, un tempo capocentro della Cia a Mogadiscio;
gente esperta che ha portato alla nascita di una forza militare che può già contare su 1050 uomini. Secondo quanto riferito dall'agenzia Associated Press, si è «diplomata» la prima classe di reclute: 150 soldati. La milizia potrà contare su 120 pick up, sei elicotteri da ricognizione e armi molto sofisticate, per un totale di circa 10 milioni di dollari tra equipaggiamento, stipendi e spese di formazione;
attualmente nessuna altra forza nell'area può contare su simili mezzi, né Al Shabaab, la milizia filo-qaedista più agguerrita e meglio organizzata, né le truppe del debole governo di transizione somalo;
la compagnia privata cui rispondono i soldati si chiama Saracen international, è registrata in Uganda ed è guidata da Bill Pelser, un sudafricano proveniente dalle forze speciali, poi impiegatosi presso la Executive Outcomes, una importante società nel settore della sicurezza;
i legami tra i vertici politici dell'Uganda e l'intelligence Usa risalgono al 2003 quando oltre diecimila ex soldati dell'esercito di Kampala furono arruolati in Iraq e Afghanistan da società di contractor statunitensi per fare la guardia a campi militari, obiettivi sensibili e zone strategiche;
sulla carta, la nuova milizia sarebbe stata messa in piedi in funzione di contrasto alla pirateria dilagante, L'analista di International Crisis Group, E.J. Hogendoorn ha affermato che non è dato ancora sapere se questa entità sconosciuta stia operando nell'interesse della Somalia o proprio. Se è una Società privata, ci sarà un do ut des in termini di petrolio e gas. Se dovesse essere uno Stato, cercherà di spostare l'equilibrio di poteri (della Somalia) a suo vantaggio;
gli Stati Uniti hanno negato qualsiasi coinvolgimento. Il portavoce del Dipartimento

di Stato, P-J. Crowley, ha detto che non è Washington a finanziare la nuova armata, che gli Usa non sono stati consultati e che ritengono preoccupante la poca trasparenza riguardo alla sua origine e al suoi obiettivi;
con una lettera del marzo 2010, la Saracen International veniva messa sotto contratto dal capo di gabinetto dell'ex presidente somalo, Abdulkareem Jama, per l'addestramento della guardia presidenziale. Ma il 18 novembre 2010, il Governo del Puntland ne annunciava l'ingaggio per il contrasto alla pirateria. Il sospetto è che in ballo ci sia il controllo dei giacimenti di idrocarburi, gas e petrolio di cui il Puntland sembra essere ricco. Perché le esplorazioni petrolifere lo accertino, bisogna stabilizzare la regione e liberarla dalla formazione islamista attiva nel distretto dei monti Galgala. Il suo leader, Mahamed Said Atom, ha imbracciato le armi accusando il Puntland di averlo tagliato fuori dagli accordi energetici;
altresì la Executive Operations, da cui arriva Pelser, ha incassato concessioni minerarie in cambio del proprio servizio in Sierra Leone;
stanno indagando anche le Nazioni Unite, che di questa misteriosa milizia vogliono saperne di più.
tra le iniziative assunte dalla comunità internazionale per la stabilizzazione del Corno d'Africa, con particolare riguardo alla situazione della Somalia e alle relative implicazioni a livello regionale, nel gennaio 2010 il Consiglio Europeo ha approvato l'invio di una missione militare per contribuire all'addestramento delle Forze di sicurezza somale, denominata European Union Training Mission to contribute to the training of Somali security forces (EUTM SOMALIA);
l'Italia contribuisce a tale operazione con la missione di provvedere all'addestramento di oltre 2.000 soldati delle forze armate somale -:
se il Governo sia a conoscenza del nuovo esercito privato comparso in territorio somalo e delle conseguenze che ne potranno scaturire considerati anche i forti interessi economici e commerciali nel territorio;
se lo scenario illustrato in premessa possa in qualche modo interferire o addirittura mutare la nostra partecipazione alla missione EUTM SOMALIA finalizzata all'addestramento delle forze armate somale.
(4-10352)

Risposta. - L'interrogante si riferisce al contratto fra il governo del Puntland e la società di sicurezza privata «Saracen International», compagnia posseduta al 75 per cento dai sudafricani Nick Vanderberg e Bili Pelser ed al 25 per cento dal fratello del Presidente ugandese Museveni, Generale Caleb Akandwanaho (noto come Generale Salim Saleh).
Tale società, erede della nota compagnia americana «Blackwater», ha concluso mesi addietro due separati contratti con il presidente somalo Sheikh Sharif per la formazione di una guardia presidenziale di almeno 300 unità e con il presidente del Puntland, Abdirahman Farole, per la formazione di un nuovo corpo denominato «Puntland Marine Force» di 1.050 unità.
Entrambi i contratti, di entità apparentemente consistente (pare oltre dieci milioni di dollari), sarebbero stati finanziati da un Paese di cui non è nota ufficialmente l'identità. L'operazione complessiva in Puntland prevede, difatti, non solo la formazione di 1.050 unità di «
marines» ma anche la fornitura di 120 veicoli e sei velivoli di supporto.
Il riferimento al «
do ut des» fra Saracen e Puntland in materia di idrocarburi non è da escludere, dal momento che la principale base che la Saracen ha creato nel Puntland si trova alle falde delle montagne di Galgala, nei pressi di Bosaso, ove da anni è in corso un conflitto di relativamente bassa intensità avviato nel 2005 dagli interessi della società australiana «Range Resources» per l'esplorazione mineraria. La rivolta trae origine dalla ferma contrarietà

dei clan locali contro qualsiasi esplorazione mineraria con loro non concordata e sembra essere condotta da esponenti Shabaab.
Al diffondersi della notizia della conclusione del contratto alla fine del novembre 2010, sia il Pentagono sia il dipartimento di Stato fecero pressioni sul Puntland e sull'ex Ambasciatore americano Prosper. A seguito di tali pressioni quest'ultimo lasciò l'incarico. Nel marzo scorso il Puntland ha quindi deciso di sospendere l'accordo.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato di voler sostenere la costituzione d'una forza anti-pirateria anche con unità navali. A fine maggio, il presidente del Puntland ha chiesto alla Francia di intercedere presso il consiglio di sicurezza onde poter conseguire un'esenzione dall'embargo sulle armi relativamente al finanziamento posto a disposizione dagli Emirati Arabi Uniti per la forza anti-pirateria.
Non si rileva un nesso tra il contratto fra Puntland e Saracen e la missione europea EUTM Somalia, cui l'Italia contribuisce con 13 unità di personale militare. Il governo federale transitorio di Mogadiscio non ha dato seguito alla proposta di stipulare un analogo contratto con Saracen. Il contratto della società «Saracen», mentre quello con il Puntland è sospeso «
sine die».
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nel settore della Difesa a preoccupare è soprattutto il calo continuo delle risorse destinate al settore esercizio, fattore cruciale per la disponibilità di personale preparato fisicamente, professionalmente e mentalmente allo svolgimento delle proprie funzioni. Ma servono anche mezzi, materiali ed equipaggiamenti idonei, efficienti e sicuri per lo svolgimento delle attività operative;
lo squilibrio interno tra le varie voci di spesa aumenta ulteriormente e sempre a discapito dell'esercizio e del personale militare e tra le molteplici conseguenze emerge che i fondi attualmente disponibili non sono sufficienti ad assicurare l'addestramento di tutto il personale, né ad eseguire la manutenzione dei mezzi se non a livello basilare e ciò rischia di mettere a repentaglio l'efficienza delle Forze armate;
eppure, il programma pluriennale di acquisizione armamenti, legato al crescente impegno bellico dell'Italia sul fronte di guerra afgano e alle esigenze strategiche della Nato, prevede una spesa complessiva di 933,8 milioni di euro nell'arco dei prossimi quattro/nove anni;
per le sole missioni Isaf e Eupol, il Governo ha stanziato dal 2002 a oggi, oltre 3 miliardi di euro, dei quali oltre il 90 per cento destinato ad armamenti ed equipaggiamento e solo il restante per interventi di carattere civile, per interventi di ricostruzione e aiuto alla popolazione;
le ultime rivelazioni di Wikileaks, a quanto consta l'interrogante, non ancora ufficialmente smentite dal Ministro interrogato, rivelano che l'Italia è pronta ad inviare in Afghanistan più uomini, più mezzi blindati, aerei ed elicotteri da combattimento e ad eliminare i caveat che limitano le operazioni dei soldati italiani;
è evidente pertanto che l'Italia si allontana sempre di più dall'obiettivo principale che vede interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione e caratterizza la propria mission esclusivamente in ambito militare -:
come il Governo intenda giustificare l'impegno, ad avviso dell'interrogante irrisorio, profuso finora in Afghanistan per interventi di carattere civile e per interventi di ricostruzione e aiuto alla popolazione e quali siano le imminenti iniziative in tale ambito a seguito anche delle ultime dichiarazioni che prevedono più armi e mezzi e la possibilità del contingente italiano di combattere in prima linea senza alcun impedimento.
(4-11045)

Risposta. - L'Italia continua a portare avanti in Afghanistan un'intensa attività volta ad incrementare il profilo civile dell'assistenza internazionale al Paese, consapevole della centralità della dimensione civile e politica a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione.
L'azione civile e di cooperazione allo sviluppo, unitamente alla necessità di un processo politico che integri e completi il percorso di transizione e le necessarie operazioni militari, risulta, infatti, strategicamente rilevante per la crescita sostenibile e autonoma del Paese e per far uscire la popolazione afgana dalle condizioni di estrema povertà in cui versa.
Per tali motivi, l'Italia è impegnata in prima linea in Afghanistan a favorire lo sviluppo socio-economico e la costruzione e il rafforzamento delle istituzioni di governo del Paese, con un impegno finanziario, in media, di 50 milioni di euro all'anno. Nel periodo 2001-20 li, sono state approvate iniziative per 520 milioni di euro e sono stati erogati finanziamenti pari a 446 milioni di euro, di cui oltre 79 milioni in iniziative umanitarie di emergenza.
I settori prioritari dell'azione civile italiana sono la
governance, a livello nazionale e locale, lo sviluppo rurale e l'agricoltura - con una forte componente di micro finanza - il sostegno alle fasce vulnerabili - in ambito sanitario - e le infrastrutture stradali, con particolare focus sulla regione occidentale.
Tra le iniziative di maggior rilievo recentemente approvate dalla Cooperazione italiana, si ricordano: il contributo di 4 milioni di euro all'Afghanistan
Peace and reintegration programme, gestito da United nations development programme, per la reintegrazione dei combattenti talebani che accettino di rinunciare alla violenza e al terrorismo e di rispettare la Costituzione e le leggi afgane; il contributo di 4 milioni di euro a favore del bilancio afgano attraverso l'Afghanistan Reconstruction trust fund, che porta a 68 milioni di euro il finanziamento complessivamente erogato dall'Italia a favore del fondo dal 2002 ad oggi; il finanziamento di 6,2 milioni di euro per programmi di sviluppo agricolo e rurale nella regione ovest, in conformità con le priorità nazionali; un'iniziativa per la realizzazione di strade rurali nella provincia di Herat per 7 milioni di euro ed infine un progetto bilaterale di sostegno ai programmi sanitari governativi a Kabul ed Herat del valore di 5 milioni di euro.
A partire dal 2008, l'impegno della Cooperazione italiana si è concentrato nella regione ovest del Paese (Herat, Farah, Baghdis, Ghor), ed in particolare ad Herat dove ha sede il
Provincial reconstruction team (Prt) a guida italiana. In tale area, la priorità viene data al miglioramento della governance locale - per consentire un'adeguata erogazione dei servizi alla popolazione e un efficace governo del territorio - all'assistenza sanitaria e ai gruppi vulnerabili e al finanziamento di programmi nazionali afgani in ambito agricolo e rurale.
Nella città di Herat, le iniziative di maggior rilievo sono l'assistenza all'ospedale regionale e all'ospedale pediatrico, realizzate in sinergia con il Prt.
Attualmente nella regione occidentale sono in corso iniziative per un totale di circa 66 milioni di euro, mentre altri significativi interventi sono allo studio nell'ottica complessiva di sostegno italiano alla strategia di transizione.
Per quanto riguarda un altro settore qualificante dell'impegno italiano in Afghanistan, ovvero Giustizia e
rule of law, gli interventi attuati hanno reso possibile la creazione di una scuola di magistratura, la stesura di un codice di procedura penale nonché la realizzazione di moderne strutture detentive. Sono, inoltre, state promosse iniziative nel settore della giustizia minorile e del rafforzamento del patrocinio gratuito; è stata prestata assistenza alle autorità afgane nella redazione dei piano nazionale per la giustizia, il National justice programme - finanziato dalla Cooperazione italiana con un contributo di 10 milioni di euro - e si è assicurato il sostegno all'Ordine forense afgano ed alle donne magistrato.
Particolare rilevanza è stata altresì assicurata all'approccio di genere, sia finanziando interventi diretti alla promozione dei diritti e del ruolo sociale e politico della

donna, sia inserendo questa componente all'interno dei progetti di sviluppo (salute materno-infantile, imprenditorialità femminile, sostegno alle donne parlamentari eccetera). Tale politica gender-oriented ha permesso che circa la metà dei fondi stanziati per Herat avessero la popolazione femminile come beneficiaria diretta o indiretta.
L'azione italiana include anche una forte componente di sostegno alla società civile, al settore privato ed alla tutela del patrimonio culturale afgano, settori ritenuti prioritari in una strategia di sviluppo bilanciata e di lungo periodo. Il nostro Paese continuerà quindi a promuovere occasioni e progetti di dialogo interculturale, tutela dei diritti umani e scambio di esperienze e conoscenze, come nel caso delle collaborazioni sempre più frequenti tra università italiane e atenei afgani. In tale ambito, il 19 aprile 2011 il Ministro Frattini ha inaugurato il corso per funzionari della pubblica amministrazione afgana, finanziato dalla Cooperazione italiana che vede la partecipazione di funzionari provenienti dalle amministrazioni centrali afgane e dalla provincia di Herat, con una significativa presenza femminile.
Allo stesso tempo, sono in programma iniziative di incontro e collaborazione tra aziende italiane, soprattutto nei settori del marmo e dell'agro-industria, e aziende afgane, con il fine ultimo di creare basi autonome per lo sviluppo del Paese. Prosegue, inoltre, l'impegno a sostegno dei
media afgani, anche con occasioni di scambio ed incontro in Italia, nella consapevolezza del ruolo cruciale svolto dagli stessi quali vettori di messaggi di moderazione e agenti di democratizzazione.
È evidente come l'impegno profuso finora in Afghanistan per interventi di carattere civile e per interventi di ricostruzione e aiuto alla popolazione sia lontano dall'essere «irrisorio», come peraltro testimonia la programmazione di nuove iniziative nel Paese ad opera della Cooperazione italiana per un valore di 16,5 milioni di euro e il riconoscimento dei risultati della nostra azione in campo civile da parte delle Nazioni unite, dei principali
partner internazionali e delle stesse istituzioni afgane.
Preme peraltro sottolineare come il processo di transizione, annunciato nella sua prima
tranche il 22 marzo 2011, preveda entro il 2014 il progressivo trasferimento nelle mani delle Autorità afgane delle responsabilità nel settore della sicurezza, accompagnato da condizioni adeguate di governance e sviluppo. Sul piano della sicurezza, ciò comporterà la riduzione e riconfigurazione dell'impegno militare internazionale, con progressiva accentuazione delle funzioni di addestramento delle forze di sicurezza afgane. Le truppe di manovra International security assistance Force (Isaf) verranno gradualmente ridimensionate, in corrispondenza di un'altrettanto graduale acquisizione del controllo del territorio da parte delle forze di sicurezza afgane (Ansf), che dovrebbero ulteriormente aumentare di consistenza. Dopo il 2014, a transizione ultimata, la Nato non abbandonerà il teatro afgano ma, in virtù di una Enduring partnership, manterrà, in forme diverse, il proprio sostegno al Paese.
Ciò premesso, è bene evidenziare che, accanto alla dimensione di sicurezza, per l'irreversibilità della transizione occorre prestare la dovuta attenzione alla
governance ed allo sviluppo: i progressi sul versante dello sviluppo socio economico ed istituzionale devono infatti essere tali da rendere sostenibili i progressi sul piano della sicurezza. Transizione non è infatti sinonimo di ritiro ma va intesa come graduale disimpegno militare, accompagnato da un'accentuazione della collaborazione civile, che proseguirà anche dopo il 2014, e dalla parallela assunzione di responsabilità da parte afgana. Tale percorso deve inoltre essere integrato da un preciso impegno da parte afgana per rimuovere gli ostacoli strutturali allo sviluppo, quali la scarsa capacità di spesa e di assorbimento degli aiuti esterni, nonché da una concreta azione per tradurre in fatti gli impegni assunti con la comunità internazionale soprattutto in terna di buon governo e stato di diritto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
Human rights watch ha dichiarato in questi giorni che le forze governative fedeli al leader libico, Muammar Gheddafi, hanno sparato le munizioni a grappolo in zone residenziali nella città occidentale di Misurata, che presentano un grave rischio per i civili;
Human rights watch ha osservato almeno tre munizioni a grappolo esplodere nel quartiere di el-Shawahda a Misurata la notte del 14 aprile 2011;
i ricercatori hanno esaminato i resti di un sottocarica cluster e hanno scoperto che la cluster munition è un prodotto spagnolo-MAT-120, 120 millimetri proiettile di mortaio, che si apre a mezz'aria e rilascia 21 submunizioni su un'ampia area. Al momento esplodono a contatto con un oggetto, ogni sottocarica si disintegra in frammenti ad alta velocità per attaccare le persone e rilascia una sorta lumaca di metallo fuso formata da un cono rovesciato di rame all'interno del sottocarica, destinato a penetrare le mura di un veicolo blindato;
è sconcertante che la Libia stia usando questa arma, in particolare in una zona residenziale, rappresenta un rischio enorme per la popolazione civile, sia durante gli attacchi a causa del loro effetto indiscriminato e poi a causa delle munizioni sparse che rimangono inesplose e che agiscono come mine anti-uomo;
la maggior parte delle nazioni del mondo hanno ampiamente vietato l'uso di munizioni a grappolo con la convenzione sulle munizioni a grappolo, che è diventato vincolante del diritto internazionale nel mese di agosto 2010;
la Libia ha bisogno di fermare l'uso di queste armi subito, e prendere tutte le misure per garantire che i civili siano protetti dai resti mortali che hanno lasciato alle spalle;
la zona in cui Human rights watch ha visto l'impiego di munizioni a grappolo è di circa 1 chilometro dalla linea del fronte tra ribelli e forze governative. Le submunizioni sembrano aver atterrato a circa 300 metri dall'ospedale Misurata;
Human rights watch ha intervistato due autisti di ambulanze che hanno dichiarato di aver assistito all'esplosione di bombe a grappolo anche precedentemente la data del 14 aprile;
le bombe a grappolo utilizzate a Misurata sono state prodotte da Instalaza SA in Spagna. Le marcature sul resto sottocarica ispezionate da Human rights watch indicano la produzione nel 2007;
alla fine del 2008, la Spagna ha distrutto il suo stock di 1.852 MAT-120 proiettili di mortaio, contenenti un totale di 38.892 submunizioni. La Spagna ha firmato la convenzione sulle munizioni a grappolo il 3 dicembre 2008 e ratificato il 17 giugno 2009;
la Libia non ha firmato la Convenzione sulle munizioni a grappolo. Lo stato attuale e la composizione delle riserve della Libia sono sconosciuti;
la Convenzione sulle munizioni a grappolo vieta l'uso, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento di munizioni a grappolo, impone agli Stati di distruggere le scorte, bonificare il terreno contaminato, e assistere le vittime e le comunità interessate. Dei 108 paesi che hanno firmato la convenzione in quanto aperta alla firma nel dicembre 2008, 56 Paesi hanno già ratificato;
l'Italia è coinvolta nella risoluzione della crisi in Libia messa in atto dalla NATO e sebbene il Parlamento abbia avviato l'iter in Commissione, non si è ancora giunti alla ratifica della Convenzione di Oslo sulle munizioni a grappolo -:
come l'Italia stia affrontando fattivamente la guerra in Libia, con particolare riferimento agli aiuti alla popolazione civile, e se il Governo intenda attivarsi e farsi promotore con i Paesi alleati affinché

la Libia fermi l'uso delle bombe a grappolo e garantire il più possibile che i civili siano protetti;
se il Governo non ritenga di accelerare la ratifica ed esecuzione della convenzione di Oslo sulle munizioni a grappolo al fine di un maggiore sostegno alla messa al bando di queste micidiali armi ed essere più credibili a livello nazionale ed internazionale in materia di disarmo e protezione dei diritti umani e civili.
(4-11694)

Risposta. - Con l'approvazione dal Senato della Repubblica, il 16 marzo scorso, del disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Oslo sulle munizioni a grappolo, si conferma l'impegno chiaro e determinato dell'Italia a favore della messa al bando universale degli strumenti d'arma indiscriminati aventi il maggiore impatto sulle popolazioni civili.
Per quanto riguarda il segnalato utilizzo di munizioni a grappolo in Libia, il Governo è tra i primi a condannarlo in tutti i fori competenti. In sede Unione europea l'Italia ha sostenuto e contribuito alla formulazione di un intervento da parte dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Catherine Ashton, in cui si condanna la violenza perpetrata dal regime di Gheddafi nei confronti della popolazione civile libica, in particolare tramite l'utilizzo di bombe a frammentazione, esortandone l'immediata cessazione.
Il Governo italiano si è inoltre adoperato alla riunione del Gruppo di contatto sulla Libia, co-presieduta dall'Italia e svoltasi a Roma il 5 maggio 2011, per l'inserimento nelle Conclusioni adottate dal Gruppo di una forte condanna degli atti di violenza commessi dal regime di Gheddafi nei confronti della popolazione civile, deplorando l'utilizzo di munizioni a grappolo.
In merito alla previsione dei tempi per il perfezionamento della ratifica alla Convenzione, si ritiene di poter confidare in una rapida adozione del disegno di legge di ratifica della Convenzione alla Camera, anche in ragione del generale sostegno di cui gode la Convenzione tra le forze politiche.
L'Italia, come noto, ha già stanziato le risorse finanziarie necessarie all'adempimento degli obblighi previsti dalla Convenzione, permettendo così la pianificazione dell'attività di distruzione delle scorte in anticipo rispetto alla tempistica prevista dalla Convenzione. A testimonianza della serietà e credibilità dell'impegno italiano contro le munizioni a grappolo, inoltre, è in corso di predisposizione, a titolo volontario, il rapporto nazionale dell'Italia ex articolo 7 della Convenzione, adempimento cui l'Italia sarebbe vincolata formalmente solo dopo l'entrata in vigore della Convenzione.
Per quanto riguarda l'assistenza alla popolazione civile libica, il Ministero degli affari esteri ha prontamente fornito assistenza, operando sia sul canale bilaterale sia attraverso il sostegno alle agenzie internazionali impegnate nella risposta umanitaria alla crisi, quali Unicef, Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati).
Ad oggi sono stati anzitutto realizzati interventi per prestare assistenza sanitaria alle vittime civili del conflitto libico. Ciò è stato fatto tra marzo ed aprile 2011 attraverso la fornitura all'Oms di complessivi 30 kit medici anti-trauma a beneficio della popolazione civile di Misurata e dei principali ospedali e centri sanitari della Libia orientale e finalizzati alla cura di patologie generali per decine di migliaia di persone e per la cura di ferite da arma da fuoco per diverse centinaia di persone.
La Cooperazione italiana ha altresì disposto l'invio di aiuti umanitari a Bengasi, per complessive 91 tonnellate, realizzati con due trasporti effettuati da Nave Libra. A bordo vi erano generi alimentari, tende, coperte, potabilizzatori, generatori elettrici e kit medici in grado di curare patologie generali per 110.000 persone per un periodo di tre mesi.
Le attività della Cooperazione italiana sono inoltre consistite nel rimpatrio di cittadini di paesi terzi in fuga dalla Libia: tra il 5 ed il 10 marzo 2011, sono stati realizzati 6 voli, di cui 4 militari e 2 civili, per il rimpatrio di complessivi 863 cittadini di nazionalità egiziana, maliana e del Bangladesh.


Infine, sempre nel contesto delle attività umanitarie, questo Ministero ha collaborato alla predisposizione dell'evacuazione di feriti libici verso ospedali italiani. L'8 aprile 2011 è stato realizzato l'invio di 2 aerei C-130 su Bengasi, di cui uno partito da Pratica di mare con a bordo 2 team sanitari militari e l'altro partito da Brindisi con a bordo kit medici, per complessive 15 tonnellate, finalizzati alla cura di patologie generali e di ferite da arma da fuoco.
Tali kit sono stati presi in carico dal Consiglio nazionale transitorio ed accentrati presso il Centro medico di Bengasi per la successiva distribuzione ai centri sanitari ed ospedalieri dell'area di Bengasi. Nella stessa giornata sono stati imbarcati, su uno dei due C-130, 25 feriti (in particolare ustionati da esplosione e feriti da arma da fuoco) per esser trasportati a Milano, dove sono stati accolti, per ricevere assistenza medica, in diverse strutture sanitarie della regione Lombardia e, successivamente alla dimissione, in un centro della Croce rossa italiana in attesa di rimpatrio. Per 9 di loro il rimpatrio è avvenuto il 29 aprile 2011.
Sempre il 29 aprile 2011 si è altresì proceduto ad un secondo trasferimento in Italia di ulteriori 25 feriti libici e rispettivi accompagnatori da Bengasi. I feriti sono stati accolti, grazie alla collaborazione della regione Lazio, dalla struttura sanitaria del «San Camillo - Forlanini» di Roma.
Da ultimo, il Ministero affari esteri ha contribuito con 300 mila euro alle attività umanitarie che Unicef sta realizzando in Libia, rispondendo in tal modo all'appello umanitario delle Nazioni unite per la crisi libica. Il contributo mira a fornire approvvigionamento di acqua e servizi igienici nelle città e villaggi libici più colpiti, prestando particolare attenzione alle fasce più vulnerabili della popolazione quali donne e bambini.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 4 giugno 2011 un'agenzia ANSA riporta la notizia che l'ufficiale dei carabinieri - il tenente colonnello Cristiano Congiu, 50 anni, di Roma - è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco in Afghanistan, dove era in servizio presso l'ambasciata italiana a Kabul come esperto antidroga;
le fonti dell'Arma precisano che si è trattato di un fatto di criminalità comune, da non mettere in relazione alla sua attività;
sempre nella stessa giornata si rende noto che da una prima ricostruzione, Congiu - ufficiale della Dcsa, la Direzione centrale dei servizi antidroga, a Kabul dal 2007 - si trovava in una località della valle del Panjshir, nell'Afghanistan nord orientale, insieme a due suoi conoscenti di vecchia data, entrambi civili: un afgano (che aveva anche frequentato l'Accademia militare di Modena, 6 o 7 anni fa) e una donna americana. Durante questo loro viaggio - stando alle informazioni apprese da fonti dell'Arma - hanno incrociato un gruppo di afgani. Uno di questi, un giovane, per motivi ancora imprecisati avrebbe afferrato la donna, sbattendola violentemente contro un muro. Il tenente colonnello Congiu ha interpretato questo atto come un'aggressione nei loro confronti e ha fatto fuoco con la sua pistola, ferendo lievemente al fianco il ragazzo. Gli altri afgani sono scappati e lo stesso militare dell'Arma ha prestato le prime cure al giovane: stava per caricarlo in auto e trasportarlo in ospedale, quando i compagni del ragazzo ferito sono tornati, questa volta insieme ad altri uomini armati. Questi, da lontano, hanno sparato tre colpi di kalashnikov, uno dei quali ha centrato alla testa Congiu, che è morto sul colpo. La donna americana e l'afgano sono riusciti a raggiungere la loro vettura e a scappare. Al primo posto di polizia afgano, a circa un chilometro, hanno denunciato l'episodio. Le forze di sicurezza locali si sono recate sul posto ed hanno recuperato il corpo dell'ufficiale. Durante successive ricerche è stato individuato il ragazzo ferito, che è stato arrestato;
un'ulteriore agenzia afferma che un cittadino americano che si trovava nella

provincia centrale afgana del Panjshir per turismo è stato ucciso a bastonate durante una dura lite con alcuni abitanti del distretto di Khanj. Lo ha riferito l'agenzia di stampa Pajhwok. Atta Mohammad Amiri, responsabile del consiglio provinciale, ha indicato all'agenzia che l'americano stava visitando la Valle di Mokni insieme ad una donna che, in un confuso incidente con un afgano che guidava un carretto tirato da un asino, è caduta e ha rischiato di finire in una scarpata. Mentre il carrettiere cercava di salvare la donna, ha ancora detto Amiri, il cittadino americano ha estratto un'arma e lo ha ferito. A questo punto un gruppo di abitanti della zona che avevano assistito all'incidente, ha sostenuto un testimone oculare, Mohammad Musa, hanno assalito l'uomo uccidendolo a colpi di bastone e di pietre. Il capo della polizia provinciale, generale Qasim Jangalbagh, non ha rivelato l'identità della vittima, limitandosi a segnalare che non si trattava di un militare e che cinque persone sono state arrestate con l'accusa di omicidio;
un articolo pubblicato sul sito internet peacereporter.net riporta la testimonianza resa Mohtaudin, 24 anni, ricoverato e operato d'urgenza venerdì 3 giugno 2011 all'ospedale di Emergency di Anabah, nella valle del Panjshir, per lesioni di arma da fuoco al fegato e a un rene, che gli è stato asportato. È lui il giovane afgano a cui Cristiano Congiu ha sparato. Numerosi altri testimoni hanno raccontato che l'italiano e la cittadina statunitense erano andati a visitare le miniere di smeraldi della zona di Khinch, nel Panjshir;
il ragazzo dichiara: «Io ed un mio amico stavamo salendo dal bazar alla montagna con un asino carico di cibo. Il sentiero era stretto e dalla montagna al bazar stavano scendendo il carabiniere italiano e una donna. Quando ci siamo incrociati l'asino ha urtato la donna e ho tentato di spostare l'asino. Immediatamente l'italiano ha tirato fuori la pistola. Quando ho visto l'arma pensavo stesse scherzando... Invece mi ha sparato, il mio compagno è scappato ed è andato al bazar ad avvisare gli abitanti dell'accaduto. Dopo un po' di tempo sono tornate altre persone che prima hanno picchiato con bastoni e pietre l'italiano, poi gli hanno sparato e se ne sono andati» -:
se il Governo sia a conoscenza della testimonianza del giovane afgano al quale il tenente Congiu ha sparato e se non ritenga di dover spiegare l'incongruenza tra le dichiarazioni ufficiali rese pubbliche dall'Arma e le testimonianze pervenute dal Panjshir;
se il Governo non intenda chiarire cosa ci facesse un carabiniere italiano, armato, in compagnia di una cittadina statunitense in visita alle miniere di smeraldi della zona di Khinch, a oltre cinque ore di macchina da Kabul.
(4-12336)

Risposta. - Il tenente colonnello Cristiano Congiu è deceduto il 3 giugno 2010 in Afghanistan, ove svolgeva servizio quale esperto per conto della direzione centrale dei servizi antidroga - dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell'interno.
Si precisa, come comunicato dal competente ministero dell'interno, che la presenza del militare, presumibilmente libero dal servizio, nella valle del Panjshir, non era riconducibile ad alcuna missione autorizzata dalla direzione centrale dei servizi antidroga del predetto dipartimento di pubblica sicurezza.
Relativamente, invece, alle indagini sulla vicenda, sottolineo che le stesse sono state delegate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma al raggruppamento operativo speciale e sono tuttora in corso e coperte dal segreto.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DIMA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i direttori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nel ruolo SDACE, corrispondente all'ex 9° livello in possesso di laurea magistrale in ingegneria o in architettura e della relativa abilitazione all'esercizio della professione, hanno sostenuto e superato le prove per il concorso

straordinario di cui all'articolo 158, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 217 del 2005, successivamente frequentato, con la qualifica di vice direttore ex 7° livello, il corso di sei mesi presso l'ISA;
al termine del suddetto corso, hanno sostenuto e superato l'esame finale che ha consentito l'accesso alla qualifica di rettore (ex 8° livello);
nel passaggio di qualifica non è stata considerata in alcuna misura l'anzianità pregressa contrariamente a quanto avvenuto in altre occasioni e ciò non appare condivisibile ove si consideri che i direttori nella loro precedente qualifica hanno maturato una solida esperienza avendo ricoperto gli stessi ruoli ed incarichi dei colleghi laureati anche se, a suo tempo, non riconosciuti come laureati dall'Amministrazione -:
se il Ministro ritenga opportuno assumere iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate al riconoscimento anche parziale dell'anzianità pregressa, considerato che il servizio precedentemente prestato è stato interamente svolto nel ruolo dei funzionari tecnici e a far sì che i direttori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco possano godere di un regime contributivo sostanzialmente equiparato alla progressione di carriera ottenuta attraverso regolare concorso.
(4-03623)

DIMA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i direttori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nel ruolo SDACE hanno superato il concorso straordinario di cui ai decreto legislativo n. 217 del 2005 e successivamente hanno frequentato il corso di sei mesi presso l'ISA;
al termine del suddetto corso, hanno sostenuto e superato l'esame finale che ha consentito l'accesso alla qualifica di rettore (ex 8 livello);
nel passaggio di qualifica però non è stata considerata in alcuna misura l'anzianità pregressa, contrariamente a quanto avvenuto in altre occasioni e ciò non appare condivisibile soprattutto se si considera che direttori, nella loro precedente qualifica, hanno maturato una solida esperienza professionale -:
se il Ministro ritenga opportuno assumere iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate al riconoscimento anche parziale dell'anzianità pregressa, considerato che il servizio precedentemente prestato è stato interamente svolto nei ruolo dei funzionari tecnici, facendo sì che i direttori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco possano godere di un regime contributivo sostanzialmente equiparato alla progressione di carriera ottenuta attraverso regolare concorso.
(4-11370)

Risposta. - Con le interrogazioni indicate in oggetto, l'interrogante ha chiesto di conoscere quali iniziative, anche di carattere normativo, si ritenga opportuno assumere al fine del riconoscimento, anche parziale, dell'anzianità pregressa, ai direttori del corpo nazionale dei vigili del fuoco che abbiano superato il concorso straordinario per l'accesso alla qualifica di rettore (ex 8o livello).
A tal proposito si fa presente che l'attuale sistema ordinamentale, introdotto dal decreto legislativo n. 217 del 2005. non prevede il riconoscimento dell'anzianità pregressa nell'ipotesi di passaggio ad un ruolo diverso da quello di appartenenza.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

DONADI, MONAI, PALADINI e PORCINO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 53 del 2000, al suo articolo 7 (anticipazione del trattamento di fine rapporto), come integrato dal decreto legislativo n. 151 del 2001, prevede che:
oltre che nelle ipotesi di cui all'articolo 2120, ottavo comma, del codice

civile, il trattamento di fine rapporto può essere anticipato ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui all'articolo 7, comma 1, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come sostituito dall'articolo 3, comma 2, della presente legge, e di cui agli articoli 5 e 6 della presente legge. L'anticipazione è corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo. Le medesime disposizioni si applicano anche alle domande di anticipazione per indennità equipollenti al trattamento di fine rapporto, comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati;
gli statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni, possono prevedere la possibilità di conseguire, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del citato decreto legislativo n. 124 del 1993, un'anticipazione delle prestazioni per le spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui agli articoli 5 e 6 della presente legge;
con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, del lavoro e della previdenza sociale e per la solidarietà sociale, sono definiti i requisiti, i criteri e le modalità applicative delle disposizioni del comma 1 in riferimento ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni;
non risulta agli interroganti che fino ad oggi, a parte un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 1999 ed una conseguente circolare dell'INPDAP, la n. 29 dell'8 giugno 2000, nulla sia stato predisposto per dare attuazione a tali disposizioni;
di fatto sono stati penalizzati i pubblici dipendenti rispetto ai lavoratori del settore privato in materia di anticipazione del trattamento di fine rapporto -:
quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per porre fine a tale discriminazione.
(4-09768)

Risposta. - In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto indicato, inteso ad accertare quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati al fine di evitare che i pubblici dipendenti subiscano sperequazioni rispetto ai dipendenti privati per quanto attiene l'anticipazione del trattamento di fine rapporto, si rappresenta quanto segue.
In via preliminare è necessario precisare che, in linea di principio, già la legge 8 agosto 1995, n. 335, di riforma del sistema pensionistico, aveva introdotto - all'articolo 2, comma 5 - anche per i dipendenti pubblici assunti in regime di trattamento di fine rapporto, con almeno 8 (otto) anni di servizio, la facoltà di chiedere l'anticipazione del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2120 del codice civile (ovvero nei casi di acquisto di prima casa per sé o per i propri figli, spese sanitarie per terapie ed interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche).
Di fatto, tale facoltà, normativamente prevista, non appare tuttavia esercitabile per effetto della mancata adozione della normativa di attuazione, da emanare attraverso gli accordi negoziali della contrattazione del lavoro (articolo 2, commi 6 e seguenti, legge 335/1995).
Successivamente, l'articolo 7 della legge 8 marzo 2000, n. 53, in materia di misure per il sostegno della maternità e della paternità, ha disposto che «Oltre che nelle ipotesi di cui all'articolo 2120, ottavo comma, del codice civile, il trattamento di fine rapporto può essere anticipato ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di citi all'articolo 7, comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204. (...). L'anticipazione è corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo. Le medesime disposizioni sì applicano anche alle domande di anticipazioni per indennità equipollenti al trattamento di fine rapporto, comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati».
Tuttavia, l'articolo 4, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 185/2008 (cosiddetto «decreto anti-crisi»), come convertito dalla

legge n. 2 del 2009, nei riformulare il testo del citato articolo 7 della legge n. 53 del 2000, ha operato un rinvio ad un decreto interministeriale, da adottarsi su proposta dei Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per definire i requisiti, i criteri e le modalità applicative delle disposizioni in materia di anticipazione del trattamento di fine rapporto in riferimento ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Poiché, com'è ovvio, l'emanazione di tale decreto implica effetti sugli equilibri di finanza pubblica, si è ritenuto opportuno rinviare, per tali aspetti, alla competenza del Ministero dell'economia e delle finanze - dipartimento della ragioneria generale dello Stato.
Quest'ultimo dipartimento, debitamente interessato, ha comunicato quindi a questa amministrazione, che, sotto il profilo degli effetti finanziari, la citata legge n. 53 del 2000 ha stabilito, per le predette anticipazioni, una copertura complessivamente pari a 3,1 milioni di euro annui.
Pertanto, al fine di dare attuazione alla disposizione in oggetto, così come sollecitato anche dal presente atto di sindacato ispettivo, sono state indette due riunioni, rispettivamente in data 26 maggio 2011 e 10 giugno 2011, alle quali hanno partecipato le diverse amministrazioni interessate con propri rappresentanti (dipartimento della funzione pubblica, Ministero dell'economia e delle finanze-IGESPES, Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed INPDAP).
Il dato principale emerso da tale approfondimento, su cui hanno concordato tutte le amministrazioni, è quello della assoluta inadeguatezza dei fondi a disposizione: pur riducendo al massimo i criteri e i presupposti (ad esempio concedendo l'istituto alle sole ipotesi di «congedi parentali» facoltativi, per i mesi non retribuiti) il finanziamento previsto dalla legge coprirebbe solo l'1 per cento dei potenziali richiedenti, ovvero 340 dipendenti su un totale di 44.876 possibili interessati.
In base ai calcoli effettuati, ad avviso della ragioneria generale dello Stato l'importo di 3,1 milioni di euro dovrebbe, pertanto, essere elevato almeno a 100 milioni di euro per poter dare adeguata copertura all'istituto.
Un'applicazione coerente dell'istituto non può, quindi, prescindere da un rifinanziamento del fondo finalizzato all'attuazione della norma; tale rifinanziamento che, peraltro, non rientra nelle competenze di questa amministrazione va in ogni caso valutato alla luce della manovra finanziaria, approvata dal Consiglio dei ministri lo scorso 30 giugno. Com'è noto, il provvedimento, volto a far fronte alle esigenze di riequilibrio finanziario imposte dalla Unione europea, ha previsto una consistente riduzione delle dotazioni di spesa delle amministrazioni pubbliche che rende complesso il reperimento delle risorse necessarie da destinare alle finalità di cui sopra.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro per le pari opportunità, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il sito del Corriere della Sera «Corriere.it» nella sua edizione del 21 dicembre 2009 ha riportato la notizia che si riporta integralmente: «È disabile, affetta da una grave e rara patologia neurodegenerativa e invalidante, l'atassia di Friedreich, ma vorrebbe andare in gita scolastica a Berlino con i ragazzi della sua classe, una scuola media di Roma, a marzo del 2010. Però per Noemi, 14 anni, la gita riserva una "sorpresa": oltre a dovere pagare i 300 euro della quota individuale, la madre della ragazzina dovrebbe pagare anche altri 400 euro come quota aggiuntiva per l'accompagnamento dell'insegnante di sostegno. La vicenda è riportata dai legali della madre di Noemi, Michela Riccio, 35 anni, romana e separata,

con un lavoro saltuario in un call center e tanti problemi da affrontare legati alla situazione di Noemi»;
secondo quanto raccontano i legali, la scuola media frequentata da Noemi ha organizzato, in accordo con il Municipio VIII di Roma, una gita scolastica a Berlino dal 9 al 12 marzo 2010: costo a studente 300 euro. Ma Noemi dovrebbe pagare anche la quota dell'insegnante di sostegno. Inoltre, la giovane madre, vista l'invalidità riconosciuta al 100 per cento della figlia, ha fatto domanda all'Aci per ottenere l'esenzione dalla tassa automobilistica. La regione Lazio, affermano i legali, avrebbe risposto che «la richiesta non poteva essere accolta perché la vettura della donna non è dotata di sedile girevole». La donna si è rivolta ad Anna Orecchioni e Giacinto Canzona per ottenere in sede giudiziaria i diritti spettanti alla figlia. L'atassia di Friedreich insorge solitamente nell'infanzia o nell'adolescenza ed è una malattia caratterizzata da una progressiva perdita della coordinazione motoria: i primi sintomi sono la difficoltà nella corsa e nelle attività sportive in genere. Vengono colpiti generalmente per primi gli arti inferiori, provocando instabilità nel cammino. Successivamente compaiono disturbi nella coordinazione delle mani e nell'articolazione della parola. Anche se i disturbi sono progressivi, il decorso della malattia è variabile. Molti i pazienti costretti all'uso della sedia a rotelle -:
se quanto sopra riportato corrisponda a verità;
quali iniziative di competenza si intendano promuovere, adottare e sollecitare a favore di una studentessa già così crudelmente colpita nel fisico e ora oggetto di quella che, ad avviso degli interroganti, è una odiosa e inaccettabile discriminazione.
(4-05559)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede di sapere quali iniziative siano state intraprese a sostegno della partecipazione ad una gita scolastica di una studentessa disabile di una scuola media di Roma.
In merito alla vicenda si rassicura interrogante che il Dirigente scolastico competente competente si è adoperato presso il Municipio VIII di Roma tanto da risolvere i problemi giuridici ed economici che impedivano all'assistente educativo e culturale (A.e.c.) di partecipare al previsto viaggio di istruzione a Berlino, in accompagnamento alla studentessa disabile.
Pertanto l'alunna Noemi ha potuto partecipare alla tanto desiderata gita scolastica a Berlino, insieme con i suoi compagni di scuola.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano La Repubblica, nella sua edizione del 18 gennaio 2010 ha pubblicato un articolo del giornalista Francesco Viviano;
che in detto articolo si raccoglie l'amaro sfogo-denuncia dei genitori di Andrea Bonanno, un bimbo di 7 anni morto nell'ospedale di Cosenza nel 2005 per una banale ingessatura al braccio, troppo stretta: «Hanno ucciso nostro figlio, ne stavano uccidendo un altro e sempre nello stesso ospedale. Ma quei medici, già condannati in primo grado per omicidio e per falso, sono ancora lì al loro posto, senza che nessuno li rimuova... Nostro figlio si lamentava, noi chiedevamo di intervenire e loro ci rispondevano che il bambino faceva i capricci»;
dopo la morte del loro bambino, i genitori del piccolo Andrea hanno cominciato una dura battaglia: hanno accusato, denunciato, provato quello che dicevano, facendo condannare i medici responsabili della moglie del figlio: Francesco Togo, primario di ortopedia dell'ospedale Annunziata di Cosenza e il suo aiuto, Achille

Maria Scalercio sono stati entrambi condannati a un anno di reclusione per omicidio colposo; nove mesi per falso ad altri due medici;
dopo la condanna, emessa il 29 settembre 2009 dal tribunale di Cosenza i signori Bonanno hanno chiesto che quei medici venissero allontanati da quell'ospedale, rivolgendosi a numerosi enti, alle istituzioni, allo stesso ministero della Sanità -:
se quanto sopra riferito corrisponda a verità;
se non si ritenga opportuno che i sanitari coinvolti in questa vicenda siano cautelativamente sospesi dalle loro funzioni e quali iniziative il consiglio dell'ordine dei medici abbia assunto in proposito;
quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano promuovere, adottare e sollecitare in relazione alla vicenda sopra esposta.
(4-05752)

Risposta. - In merito all'interrogazione in esame, l'azienda ospedaliera di Cosenza, per il tramite della Prefettura - Ufficio territoriale del Governo di Cosenza, ha fatto presente di non aver avviato nei confronti dei dirigenti medici interessati alcun procedimento disciplinare, in quanto risulta che la sentenza di condanna di primo grado, emessa dal Tribunale di Cosenza I Sezione penale, è stata impugnata presso la Corte d'Appello di Catanzaro, pertanto non è ancora passata in giudicato.
L'azienda ha comunicato che solo all'esito definitivo del suddetto procedimento penale potrà avviare ogni determinazione utile nei confronti dei dirigenti medici interessati.
Questo Ministero non ritiene, allo stato, di dover avviare specifiche iniziative al riguardo, tenuto conto degli ulteriori sviluppi del processo giudiziario in atto.

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
da quanto si apprende da un articolo della giornalista Grazia Maria Mottola, pubblicato sul Corriere della Sera del 23 marzo 2010, la giunta di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, avrebbe disposto che alcuni alunni (sette stranieri e due italiani della scuola materna ed elementare), in luogo del normale pasto servito dalla locale mensa, venissero puniti con razioni di pane e acqua;
detto provvedimento sarebbe stato adottato perché i genitori dei nove alunni sarebbero insolventi e non avrebbero pagato rette arretrate;
detto provvedimento sarebbe stato criticato e avrebbe provocato il netto disappunto di maestre e responsabili della scuola e degli stessi compagni degli alunni «puniti» che avrebbero autonomamente provveduto a dividere il loro pranzo con i nove esclusi;
desta disappunto e sconcerto quanto accaduto a Montecchio Maggiore -:
quali siano gli intendimenti del Ministro in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga, nel rispetto delle competenze degli enti locali, di assumere iniziative, anche mediante la destinazione di specifiche risorse, a sostegno dei nuclei familiari in condizioni disagiate, al fine di assicurare in un periodo di crisi economica l'accesso, senza discriminazioni, a tutti i servizi scolastici, inclusa la refezione.
(4-06631)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante fa riferimento ad un episodio verificatosi presso una scuola di Montecchio Maggiore (Vicenza) secondo quanto riportato in un articolo di stampa (Corriere della Sera del 23 marzo 2010), alcuni alunni avrebbero ricevuto soltanto pane ed acqua in sostituzione del normale pasto servito alla locale mensa in quanto

appartenenti a famiglie che non avevano pagato la retta.
Si precisa preliminarmente che ogni attribuzione in materia di assistenza scolastica, compreso il servizio mensa, è dalla vigente normativa demandata agli enti locali. La competenza precipua della scuola è quella di garantire che il momento della fruizione dei pasti, mediante assistenza educativa del personale docente, così come prevista per la scuola elementare dall'articolo 131 comma 7 del decreto legislativo n. 297 del 1997, abbia condizioni di serenità e di regolare svolgimento e, possibilmente, costituisca anche occasione di educazione alimentare e di formazione alla convivenza e alla relazione sociale.
L'Ufficio scolastico regionale per il Veneto, interessato al caso, ha richiesto elementi informativi al comune di Montecchio Maggiore il quale ha riferito che il servizio mensa nel territorio comunale di quella città viene garantito a tutti gli studenti che chiedono di avvalersi del servizio medesimo senza alcun adempimento preliminare rispetto all'effettivo godimento del servizio. Ogni studente, infatti, usufruisce del pasto senza versare preventivamente alcuna somma di denaro, senza consegnare alcun biglietto o buono mensa, senza obliterare alcun abbonamento con tessera o badge.
Successivamente, con cadenza bimestrale per gli alunni frequentanti le scuole materne (cinque pasti alla settimana) e con cadenza trimestrale per le altre scuole (due pasti alla settimana), alla famiglia giunge una distinta comprendente i pranzi effettuati e i soldi da versare. Nell'anno scolastico 2009-2010 gli iscritti alla mensa sono stati 1.032 alunni, dei quali 272 (il 26,4 per cento) non italiani.
Per anno scolastico 2009-2010 il contributo delle famiglie è stato determinato dalla giunta comunale in euro 3,95 a pasto; inoltre, per venire incontro alle famiglie, è stata prevista la riduzione del 50 per cento per il secondo figlio e l'esenzione dal terzo figlio in poi.
Oltre a tali forme agevolate o riduttive, vi sono anche le esenzioni/riduzioni disposte su istruttoria dei servizi sociali comunali per le famiglie in stato di bisogno, che ne facciano richiesta. L'ammontare delle riduzioni/esenzioni riconosciute dal comune è stato di oltre euro 31.000 e riguardava più di 80 famiglie.
Il controllo sui versamenti non è mai stato di tipo vessatorio, ma si sono accumulati nel tempo diversi arretrati nei pagamenti. Essi hanno raggiunto la somma di euro 53.590,20 nel quinquennio 2000/2005; tale somma, posta in ruolo per la riscossione coattiva, ha visto entrate per euro 13.538,05. Dai controlli operati sul successivo quinquennio, la somma arretrata non ancora pagata ha raggiunto la cifra di euro 150.000 circa. Innanzi a tali cifre, la Giunta comunale ha deciso di fare chiarezza e di rivedere tutta l'impostazione del servizio.
Dai controlli effettuati, è emerso che nel mese di febbraio 2010, ben 261 utenti su 1032 fruitori del servizio non avevano ancora presentato l'istanza di adesione al servizio, che risulta adempimento essenziale, in quanto viene definito dalla normativa vigente come «servizio a domanda individuale», al pari del trasporto scolastico (decreto ministeriale 31 dicembre 1983 del ministero dell'interno di concerto con i Ministeri del tesoro e delle finanze), e non può essere erogato obbligatoriamente a tutti, ma solo a quanti, previa specifica e sottoscritta adesione, hanno manifestato la volontà di garantire il servizio al proprio figlio. È chiaro, dunque, come nulla possa essere fatto in proposito, senza la condivisione dei genitori: ben si conoscono le responsabilità a cui si è soggetti, nel caso in cui venga posta in essere un'azione non condivisa da chi esercita la genitoriale potestà.
Si è deciso, pertanto, prima di avviare procedimenti tesi alla riscossione degli arretrati, di acquisire le adesioni al servizio. Queste ultime, infatti, costituiscono il «contratto» tra il cittadino e il comune, per il servizio di refezione scolastica. L'obiettivo di persuadere i genitori a presentare la scheda di adesione ha portato ad acquisire, nel solo mese di febbraio, soltanto 57 nuovi utenti. A fronte dello scarso riscontro, l'Amministrazione comunale ha fissato dei termini

di consegna dell'adesione con scadenza al 15 marzo 2010, informando contestualmente che coloro che non avessero consegnato il modulo entro il termine e che avessero precedenti insolvenze, sarebbero incorsi nella sospensione del servizio a partire dal 22 marzo 2010. All'inizio di marzo è stato inviato un secondo sollecito, accompagnato da telefonate alle famiglie e dall'invio a casa di un nuovo modulo di iscrizione, con lettera di avviso tradotta in cinque lingue per facilitarne la comprensione del contenuto da parte delle famiglie straniere. Inoltre, per tutti coloro che non erano stati raggiunti telefonicamente, il modulo e la lettera sono stati recapitati a mano tramite gli agenti della Polizia locale. Allo stesso tempo, presso le scuole sono stati affissi avvisi multilingue.
Il 12 marzo 2010 quarantuno alunni non avevano ancora consegnato il modulo di adesione al servizio mensa; perciò, in data 17 marzo 2010 l'Amministrazione comunale ha inviato un avviso per posta elettronica alla dirigenza dei due istituti comprensivi, comunicando che, a partire dal lunedì 22 marzo 2010, il servizio mensa sarebbe stato ridotto a un panino per tutti quei bambini, le cui famiglie non avessero comunicato l'adesione in tempo utile.
Il giorno 22 marzo nove bambini si sono trovati nella situazione di dover usufruire di un pranzo ridotto; il giorno 24 marzo 2010 i bambini si erano ridotti a quattro ed entro la serata tutte le adesioni venivano acquisite, facendo cessare la materia del contendere.
Le 80 famiglie non abbienti hanno avuto i propri figli ammessi alla mensa scolastica con onere a carico del comune.
Da quanto esposto, quindi, si è trattato della legittima pretesa del rispetto della normativa vigente e della volontà dei genitori, a cui va riconosciuto l'esercizio della genitoriale potestà e delle responsabilità conseguenti.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per i rapporti con le regioni. - Per sapere:
quanti siano i dipendenti dell'Ente italiano della montagna;
a quanto ammontino nell'anno 2009 le spese e le relative voci, sostenute dall'Ente italiano della montagna.
(4-06984)

Risposta. - In referimento all'interrogazione in esame, si rappresenta, in via preliminare, che l'Ente italiano della montagna (Eim) è stato soppresso con l'articolo 7, comma 19, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Il relativo personale è stato trasferito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 maggio 2011, n. 109.
La dotazione organica dell'Eim, escludendo il direttore generale e comprensiva di assegnisti, risultava di 15 unità, di cui n. 7 ricercatori e tecnologi, n. 5 funzionari dell'area tecnico-amministrativa, n. 2 con rapporto di lavoro a tempo determinato e n. 1 assegnista di ricerca, secondo quanto indicato nel decreto citato.
Il bilancio consuntivo 2009 dell'Ente, approvato con deliberazione del comitato direttivo n. 17 del 6 maggio 2010, è il seguente:
ENTRATE:
Avanzo gestione 2008: 1.123.956,51;
Titolo I Entrate correnti: 3.055.000,00;
Titolo II Entrate in conto capitale: 0,00;
Titolo IV Entrate di partite di giro: 1.005.000,00;
Totale entrate: 5.183.956,51.

USCITE
Titolo I Uscite correnti: 2.975.609,96;


Titolo II Uscite in conto capitale: 79.390,04;
Titolo IV Uscite partite di giro: 1.005.000,00;
Totale uscite: 4.060.000,00;
AVANZO GESTIONE 2009: 1.123,956,51.

Il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale: Raffaele Fitto.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro per le pari opportunità, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
come hanno riferito il notiziario del Telegiornale-Lazio dell'8 giugno 2010 e numerosi quotidiani e siti di informazione on-line, in località Spinaceto-Roma ha avuto luogo un odioso episodio di violenza ai danni di uno studente autistico ad opera di una maestra elementare;
secondo quanto è dato sapere, la maestra in questione avrebbe addirittura scagliato un banco addosso al ragazzo, con l'intenzione di «farlo stare fermo», e lo avrebbe inoltre percosso;
il genitore del bambino, un ragazzo di otto anni affetto da autismo, ha presentato formale denuncia presso la procura di Roma, lamentando e denunciando «gravi violenze psicologiche e fisiche» subite dal piccolo «durante l'ultimo anno scolastico»;
i problemi per il bambino, spiega l'avvocato Maria Carsana, presidente dell'Associazione per la tutela del Minore e legale della famiglia «sono iniziati quando a dicembre è tornata a scuola l'insegnante titolare di lettere sino ad allora assente per infortunio. Dal suo arrivo il bambino ha iniziato a manifestare disagio, diceva di avere paura dell'insegnante, aveva crisi di pianto, si rifiutava di andare a scuola. I genitori hanno interpellato l'insegnante di sostegno e la terapeuta della Asl Rmc, le quali pensando ad una stanchezza del bambino, hanno consigliato di tenerlo a casa per alcuni giorni;
al rientro a scuola, le cose, tuttavia, non sarebbero cambiate: «Solo verso la fine dell'anno scolastico - prosegue l'avvocato - l'insegnante di sostegno ha rotto l'omertà e ha consigliato di ritirare il bambino da scuola in quanto la situazione in classe, a causa dei comportamenti dell'insegnante di lettere era divenuta insostenibile»;
i genitori hanno quindi effettuato una sorta di indagine tra gli altri docenti e genitori, scoprendo che maestra di lettere infliggeva al piccolo delle vere e proprie violenze, costringendolo per esempio a scrivere pagine del quaderno con frasi del tipo «Non devi dare calci»; e durante le lezioni, poi, gli scagliava il banco contro, per farlo stare fermo si sedeva sulle ginocchia del bambino arrivando a schiaffeggiarlo e a sculacciarlo causandogli forti danni, soprattutto sotto il profilo psicologico»;
è grave, non solo il comportamento dell'insegnante in questione, ma anche di quanti, all'interno dell'edificio scolastico, pur essendo a conoscenza di quanto accadeva, hanno taciuto e di fatto si sono resi complici della ripetuta violenza patita dal ragazzo -:
per sapere se quanto sopra esposto corrisponda a verità;
in caso affermativo, se non si ritenga di dover disporre un accertamento amministrativo per accertare se e quali responsabilità amministrative o disciplinari vi siano, oltre a quelle sotto il profilo penale che compete alla magistratura accertare, in relazione a quanto accaduto;
come si giustifichi il preside dell'istituto scolastico in questione per quella che appare una grave complicità - sotto forma di acquiescenza e sostanziale indifferenza - in relazione a quanto accaduto;

che tipo di provvedimenti e di iniziative si intendono adottare, promuovere e sollecitare in relazione a quanto sopra esposto.
(4-07533)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede elementi di informativa circa la veridicità dei fatti, divulgati a mezzo stampa, concernenti il comportamento tenuto da un'insegnante della scuola primaria nel plesso scolastico «Renzini» in località Spinaceto-Roma nei confronti di un alunno affetto da autismo e chiede altresì di conoscere se e quali provvedimenti siano stati adottati in relazione alla vicenda.
Si riferisce al riguardo che l'ufficio scolastico regionale per il Lazio, venuto a conoscenza dei fatti, ha richiesto al competente dirigente scolastico del 143o circolo didattico di Roma una specifica relazione e, contemporaneamente ha disposto una indagine ispettiva finalizzata allo svolgimento di accertamenti su quanto accaduto.
In particolare, dall'attenta analisi e valutazione di tutti gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso degli accertamenti è emerso che la docente è risultata responsabile per alcuni suoi atteggiamenti di intemperanza manifestata nei riguardi dell'alunno, in dipendenza della sua irrequietezza, nel periodo terminale dell'anno scolastico, ma non responsabile dei frequenti episodi riconducibili alle «gravi violenze fisiche e psicologiche» che, secondo la denuncia-querela dei genitori, sarebbero state dalla medesima perpetrate «durante tutto l'ultimo anno scolastico» (2009-2010).
Alla luce delle risultanze emerse dall'indagine ispettiva, in riferimento alle riscontrate responsabilità della docente per avere tenuto, comunque, un comportamento eccessivamente repressivo, ritenuto non adeguato, soprattutto in considerazione della natura della disabilità dell'alunno, alla docente medesima è stata comminata dal competente dirigente scolastico la sanzione disciplinare della censura.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano Il Secolo XIX nella sua edizione del 3 giugno 2010 ha dato notizia di un «piano di salvataggio» della sanità ligure;
il Governo, nella persona del Ministro della salute, ha assicurato all'ospedale pediatrico «Gaslini» di Genova, retto dalla curia genovese, cinquanta milioni di euro, «fondi destinati in via esclusiva»;
tali fondi alleggeriranno per pari importo il «buco» di bilancio complessivo regionale per il 2010 -:
quali siano le ragioni di quella che Il Secolo XIX non senza ragione definisce «partita di giro», e «gioco delle tre tavolette»;
per quali ragioni si siano aumentati i fondi regionali vincolandoli alla struttura pediatrica «Gaslini» anche in considerazione del fatto che detta struttura è retta dalla locale curia.
(4-07587)

Risposta. - In riferimento ai quesiti posti nell'interrogazione parlamentare in oggetto, si precisa che non sono stati aumentati i fondi regionali vincolandoli alla fondazione IRCCS «Giannina Gaslini» di Genova.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano La Repubblica nella sua edizione del 1° giugno 2010 riferisce, a proposito di abusi negli esami diagnostici dalle analisi del sangue alle ecografie, che «se nella maggior parte dei casi inducono solo uno sperpero di denaro pubblico, nel caso di quelle che usano raggi X c'è da aggiungere il rischio del cancro. Nel 2007 negli Stati Uniti si sono eseguite 72 milioni

di TAC. Ogni paziente riceve una dose di raggi X equivalente a quelle di molte decine di radiografie al torace. Si calcola che queste radiazioni produrranno 15 mila morti in più all'anno per tumore» -:
a fronte di quanto sopra esposto, quante siano le TAC che si sono effettuate tra il 2005 e il 2008;
se non si ritenga di dover approntare un'adeguata e capillare campagna di prevenzione e di informazione In relazione a quanto sopra evidenziato;
se si sia in condizione di calcolare quanti decessi In più per tumore le radiazioni abbiano prodotto tra il 2005 e il 2008.
(4-08187)

Risposta. - Per quanto riguarda il numero di Tac effettuate in Italia tra il 2005 ed il 2008, si fa presente che non si è in possesso di un tale dato.
Del pari, non vi sono studi relativi alla popolazione italiana dai quali trarre informazioni in merito ai decessi in più per tumore attribuibili ad esposizioni a radiazioni tra il 2005 ed il 2008.
Peraltro, l'Istituto superiore di sanità (Iss) ha segnalato quanto segue.
Studi condotti nel Regno unito riportano proiezioni di incremento del numero di indagini radiodiagnostiche al 2010 e fino al 2020 che arrivano, per quanto riguarda la Tac, a valori pari a 8 volte per il 2010, e fino a 40 volte per il 2020: questa continua crescita comporta un aumento dell'esposizione del paziente, con conseguente aumento del rischio di cancro a lungo termine.
L'
United nations scientific committee on the effects of atomic radiation (Unscear) riporta (1995) un valore medio pro-capite della dose efficace negli stati più industrializzati di 1 mSv/anno per attività radiodiagnostica, di cui il 20 per cento circa da attribuire alla Tac.
Uno studio italiano condotto nel 2000 riporta una dose efficace
pro-capite annua a seguito di sole indagini Tac di 0,29 mSv (leggermente superiore a quella riportata dall'Unscear), che corrisponde al 30 per cento della dose efficace dovuta a tutte le attività di radiodiagnostica.
Pubblicazioni scientifiche e documenti internazionali riportano la valutazione dei rischi sanitari conseguenti all'esposizione a radiazioni ionizzanti per scopi medici.
Stime riferite a pratiche mediche eseguite negli anni '90 in 15 paesi industrializzati (europei ed extraeuropei), indicano che una percentuale compresa tra 1-3 per cento dei casi di cancro osservati nei primi anni 2000 sono attribuibili ad esami radiodiagnostici.
The
Health risks from exposure to low levels of of radiation (USA 2006) riporta, per la popolazione americana, un eccesso di morti per cancro (tumori solidi e leucemie) radio indotto, a seguito di esposizione a 100 mSv, dell'1 per cento del numero totale di casi di cancro fatali (a fronte di un eccesso di incidenza di casi di cancro del 2 per cento e dell'1 per mille per esposizione a 10 mSv.
L'Iss precisa che l'esposizione associata ad una singola radiografia al torace è pari a 0,02 mSv, quella per una Tac addominale è di 10 mSv (dato tratto dal documento della Commissione europea
radiation protection 118 - referral guidelines for imaging - aggiornato al 2008), mentre per una Tac spirale al corpo intero si possono raggiungere livelli di dose pari a circa 100 mSv (2005, Us department of energy).
Per quanto riguarda l'opportunità di promuovere un'adeguata e capillare campagna di prevenzione e di informazione rispetto a queste problematiche, l'Iss rileva che, nel 1987, l'esposizione media
pro-capite era dovuta per l'82 per cento al fondo naturale, mentre quella dovuta alle attività umane contribuiva per il restante di cui l'esposizione medica rappresentava la fonte principale.
A fronte di una sempre maggiore diffusione di pratiche diagnostiche che prevedono l'impiego di radiazioni ionizzanti, soprattutto di quelle più complesse, quali la Tac/Tac spirale, le indagini fluoroscopiche nella radiologia interventistica, eccetera, l'esposizione della popolazione alle radiazioni per scopi medici è andata aumentando in maniera significativa, arrivando a superare, ormai già da diversi anni, l'esposizione derivante dal fondo naturale.


Il rischio di cancro radioindotto a seguito di esposizioni mediche sta diventando un problema sempre più rilevante e particolarmente critico, soprattutto nel caso di indagini diagnostiche in età pediatrica, in considerazione sia della maggiore radiosensibilità sia dell'aspettativa di vita.
Nell'ottica di ridurre il rischio a fronte delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, appare significativa l'attenzione rivolta alla appropriatezza della prescrizione dell'esame radiodiagnostico da parte del medico, che deve attentamente valutare la possibilità di eseguire indagini alternative in osservanza del principio di giustificazione.
La necessità di predisporre un'adeguata e capillare campagna di prevenzione e di informazione rispetto alle problematiche connesse all'impiego delle radiazioni ionizzanti per indagini diagnostiche è evidente e fortemente sentita, anche in ambito internazionale.
Tali esigenze sono state ribadite nella comunicazione della commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio del 6 agosto 2010, relativa alle applicazioni mediche delle radiazioni ionizzanti e alla sicurezza di approvvigionamento di radioisotopi destinati alla medicina nucleare.
In particolare, tale documento segnala che: «Le procedure mediche costituiscono di gran lunga la principale fonte artificiale di esposizione della popolazione alle radiazioni. Negli ultimi decenni l'esposizione è aumentata ulteriormente in seguito all'introduzione massiccia di nuove tecniche di diagnostica e trattamento basate sulle radiazioni. Allo stesso tempo, parte delle procedure diagnostiche è eseguita senza che vi sia una necessità medica evidente e/o con dosi di radiazioni superiori al necessario. In radioterapia, così come nella medicina interventistica e per la tomografia computerizzata (Tc), incidenti ed errori possono danneggiare i pazienti in modo grave. Questi problemi sono particolarmente rilevanti se si tratta di bambini o di soggetti esposti alle radiazioni a fini di prevenzione.»
Nel nostro Paese, le problematiche legate all'impiego di radiazioni ionizzanti per la diagnostica sono state affrontate nelle linee - guida nazionali di riferimento per la diagnostica per immagini (diffuse in rete tramite il sito
web: http://www.salute.gov.it/imgs/C-17-pubblicazioni-1164-allegato.pdf), elaborate nel 2004 dal gruppo di lavoro istituito presso l'Agenzia per i servizi sanitari regionali - Agenas (costituito da rappresentanti delle società scientifiche interessate, della Federazione italiana delle società medico scientifiche - Fism, dell'Iss e del Ministero della salute).
Questo documento è stato redatto con l'obiettivo di fornire uno strumento utile alla «riduzione del numero di esami radiologici inappropriatamente richiesti ed eseguiti. Questi esami comportano lo spreco di risorse, allungamento dei tempi di attesa e, se eseguiti con radiazioni ionizzanti, una indebita irradiazione del paziente ed un aumento della dose collettiva alla popolazione».

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
a metà luglio 2010 il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Comitato nazionale di bioetica (CNB) hanno siglato un protocollo d'intesa per estendere nelle scuole secondarie i temi di bioetica;
la convenzione, a suo tempo, venne solennemente annunciata dal presidente del Cnb e presidente emerito della Corte Costituzionale, professor Francesco Paolo Casavola, durante la presentazione a Palazzo Chigi dell'attività svolta dal comitato dal 2006 ad oggi, in occasione del suo ventennale;
secondo le intenzioni, si sarebbe estesa nel programmi della scuola secondaria anche la conoscenza della bioetica, «una disciplina», si sostenne, «che crea una visione del sapere interdisciplinare ed entrerà nel nuovo Insegnamento 'Cittadinanza e Costituzione'»;
si annunciava inoltre «un tavolo tecnico tra ministero e Cnb per fornire gli

obiettivi formativi alle varie materie, scientifiche e umanistiche»;
di tutto ciò non risulta esservi alcuna traccia: il documento del Cnb «Bioetica e formazione nel mondo della scuola» del 16 luglio 2010 alla data del 5 settembre 2010 non era stato pubblicato sul sito: http://www.governo.it/bioetica/pareri.html.;
il documento già discusso e votato dal Cnb non risultava neppure disponibile presso la segreteria del Cnb;
dunque di un protocollo che impegna il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a precise iniziative, a pochi giorni dall'apertura delle scuole, non si sapeva praticamente nulla: né quello che il Ministero stava facendo, ma neppure che cosa avrebbe dovuto fare;
quanto sopra riferito, ad avviso degli interroganti, costituisce una grave inadempienza -:
quali siano le ragioni dei ritardi di cui in premessa.
(4-08513)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, concernente la mancata pubblicazione di un documento correlato al Protocollo di intesa siglato tra questo Ministero e il Comitato nazionale di bioetica (Cnb).
Si premette che il testo del citato protocollo di intesa, siglato il 15 luglio 2010, è disponibile sia sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che sul sito del Governo, nello spazio dedicato ai temi della bioetica.
La sottoscrizione di tale protocollo riveste una grande importanza in quanto i soggetti interessati si impegnano a portare avanti iniziative comuni affinché l'educazione alla bioetica sia parte integrante della formazione scolastica all'interno dell'insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione», in modo da garantire alle nuove generazioni pari opportunità di partecipazione al dibattito pubblico sui problemi etici, sociali e giuridici posti dal progresso scientifico e tecnologico.
A norma dell'articolo 3 del protocollo di cui sopra, è stato costituito, con provvedimento del 4 marzo 2011, un Comitato paritetico composto da sei membri, tre in rappresentanza di questo Ministero e tre in rappresentanza del Comitato nazionale di bioetica, con il compito di proporre attività comuni, definirne tempi e modalità di attuazione e di verificarne i risultati.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano «La Gazzetta del Mezzogiorno» nella sua edizione del 22 dicembre 2010 ha riferito l'inquietante notizia che nella provincia di Brindisi si è registrato un consistente aumento di neoplasie;
risultano essere i bambini a soffrire maggiormente a causa della situazione ambientale della provincia di Brindisi, che ha necessità «di una duplice risposta: da un lato una azione di contrasto delle nocività note con il contenimento delle emissioni inquinanti e con una politica dei rifiuti tesa al riutilizzo degli stessi; dall'altro una azione di approfondimento epidemiologico che permetta di conoscere per tempo fonti di rischio per la salute»;
il consiglio dell'ordine dei medici e degli odontoiatri di Brindisi ha elaborato un articolato e inequivocabile documento, che «dopo aver esaminato le recenti vicende di cronaca in materia ambientale e riconsiderate questioni di vecchia data, esprime preoccupazione per l'impatto sulla salute dei cittadini, in particolare dei bambini, della complessiva situazione ambientale del capoluogo e di alcune aree della provincia»;
nel citato documento si rileva come il grave inquinamento chimico della falda di pertinenza dell'area industriale può aver prodotto effetti sanitari nelle aree limitrofe che non risultano essere stati indagati;

nel documento si fa riferimento al caso emblematico di Torchiarolo, dove gli «sforamenti» nei valori di PM10 delle centraline per l'inquinamento atmosferico sono attribuiti dall'Arpa a emissioni di camini ed a combustioni illecite operate da cittadini;
è necessario porre rimedio al fatto, sostengono i medici, che la rete di rilevamento passata in gestione all'Arpa abbia centraline mal collocate e che registrano il PM10 e non il PM5 o il PM 2,5 in assenza del piano di monitoraggio globale previsto come prioritario nel piano di risanamento dell'area ad elevato rischio di crisi ambientale -:
di quali elementi disponga in relazione a quanto riportato in premessa e se non ritenga necessario promuovere, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, un'indagine per accertare le reali dimensioni del fenomeno, con particolare riferimento allo stato di salute dei minori e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-10256)

Risposta. - In via preliminare si fa presente che, in base all'attuale ordinamento del Servizio sanitario nazionale ed alla relativa distribuzione delle competenze, le attività di prevenzione volte a tutelare la salute dei cittadini, nonché l'attuazione di sistemi di monitoraggio costante, l'informazione tempestiva, ed ogni altra forma di sorveglianza e diffusione di informazioni circa la qualità dell'ambiente nel suo complesso, sono di competenza degli enti territoriali afferenti alle regioni.
Il Ministero della salute si è sempre reso disponibile a fornire il supporto tecnico-scientifico necessario, tramite le proprie strutture interne, così come attraverso l'Istituto superiore di sanità ogni qualvolta sia stato richiesto dagli enti territoriali e/o dalle regioni.
Inoltre, poiché le evidenze di associazione tra inquinamento ambientale e malattie sono molteplici, questo Ministero, ritenendo prioritario il miglioramento della qualità e disponibilità delle informazioni epidemiologiche, ha finanziato, attraverso il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), nell'ambito del programma di attività per il 2009 e per il 2010, numerosi progetti in tema di ambiente e salute, tra i quali:
«Sorveglianza epidemiologica attraverso il bio-monitoraggio animale di sostanze contaminanti a rischio ambientale», il cui obiettivo generale consiste nello sviluppo di un modello di bio-monitoraggio animale dei siti inquinati in aree pilota di tre regioni (Lazio, Emilia Romagna e Piemonte) in grado di rilevare precocemente il rischio di un'esposizione umana a sostanze tossiche e di fornire strumenti di intervento per la prevenzione primaria e secondaria;
«Sorveglianza epidemiologica di popolazioni residenti in siti contaminati», eseguito dall'Istituto superiore di sanità, che si concluderà a fine 2012 e che ha l'obiettivo di avviare una permanente attività di sorveglianza epidemiologica, caratterizzata dalla produzione di conoscenze territorializzate in merito allo stato di salute delle popolazioni che risiedono nei siti contaminati di tutte le Regioni italiane.
Per ciò che concerne l'inquinamento atmosferico, è stato finanziato il progetto «Inquinamento atmosferico e salute: sorveglianza epidemiologica e interventi di prevenzione» («EpiAir-1», a cura dell'Asl Roma E), riproposto come «EpiAir-2» all'interno dell'area progettuale del programma di attività del Ccm per l'anno 2009 (Arpa Piemonte).
Tale ultimo progetto si propone di mantenere ed allargare il sistema di sorveglianza degli effetti a breve termine dell'inquinamento atmosferico nelle grandi città italiane, già avviato con il precedente progetto «EpiAir-1», di individuare la popolazione suscettibile, di fornire indicazioni per programmi di prevenzione.
A livello internazionale, questo dicastero partecipa con il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare al processo paneuropeo «ambiente e salute», che costituisce uno strumento intersettoriale con l'obiettivo di eliminare o ridurre i principali effetti sulla salute derivanti da fattori ambientali.

Tale processo viene monitorato con frequenza di cinque anni attraverso conferenze ministeriali che prevedono la partecipazione dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute di tutti gli Stati membri dell'Oms della regione europea.
I dati relativi alla mortalità per cause specifiche nel sito di interesse nazionale (Sin) per le bonifiche costituito dal comune di Brindisi, relativamente agli anni 1995-2002, sono stati compresi nello studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento (Progetto Sentieri).
Emerge da tali dati (cfr. allegata tabella 1) che la mortalità della popolazione di Brindisi mostra un incremento statisticamente significativo rispetto alla mortalità della popolazione della regione Puglia per quanto attiene le malattie infettive, e in particolare, per l'epatite virale, e per le malattie ischemiche del cuore. Incrementi non statisticamente significativi si riscontrano per alcune patologie oncologiche: tumori maligni di fegato, laringe, pleura, mammella, ovaio, prostata, rene, sistema nervoso centrale, malattia di Hodgkin, mieloma multiplo e leucemia mieloide. Fra le malattie che colpiscono in età pediatrica, si osservano incrementi non statisticamente significativi di mortalità per malformazioni congenite e tumori linfoemopoietici.
Questi dati sono calcolati in modo da tenere conto del peso della deprivazione socio-economica sulla mortalità.
Come per tutti i siti di interesse nazionale per le bonifiche, è prevista per Brindisi un'estensione dello studio di mortalità e la valutazione di fattibilità di uno studio sui ricoveri ospedalieri.
I valori limite adottati dai vari paesi e dall'Unione europea (Ue), tengono conto dello stato delle conoscenze scientifiche ed, in particolare, delle indicazioni della Organizzazione mondiale della sanità (Oms-Who 1988, 2000, 2006) e da queste derivano i limiti che vengono inseriti con valore normativo. Tali limiti normativi tengono conto di una serie di fattori (ambientali, orografici, economici, di situazioni pregresse, di fattibilità tecnica, eccetera). In Italia con il decreto ministeriale n. 60 del 2 aprile 2002 sono stati indicati per il materiale particolato (PM10) due valori: 40 μg/m3 come media annuale e 50 μg/m3 come media giornaliera di 24 ore.
Il decreto ministeriale n. 60 del 2002 è stato abrogato dal decreto legislativo n. 155 del 2010 «Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa». La Direttiva 2008/50/CE ha ribadito per il PM 10 (allegato XI) i valori di 40 μg/m3 (media annuale) e 50 μg/m3 (media 24 h). Gli aspetti di maggiore interesse della nuova direttiva sono quelli relativi al PM 2,5 per il quale si introduce per la prima volta un «indicatore di esposizione media» (IEM), calcolato su più stazioni e su più anni, ed inoltre:
un «valore obiettivo» di 25 μg/m3 da raggiungere entro il 1o gennaio 2010;
un «valore limite» Fase 1, di 25 μg/m3 da raggiungere entro il 1o gennaio 2015;
un «valore limite» Fase 2, di 20 μg/m3 da raggiungere entro il 1o gennaio 2020;
un «obbligo di concentrazione dell'esposizione» di 20 μg/m3 da rispettare entro il 2020.

La prefettura - ufficio territoriale del Governo di Brindisi ha comunicato che le rilevazioni svolte dall'Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell'ambiente (Arpa) Puglia sulla qualità dell'aria nel paese di Torchiarolo hanno messo in evidenza, in effetti, una criticità legata al superamento del limite giornaliero di 50 μg/m3 per il PM10: Torchiarolo peraltro costituisce l'unico caso regionale, nell'anno 2010, in cui tali superamenti sono stati in numero maggiore della «soglia» massima annuale di 35, prevista dall'attuale normativa.
Le numerose campagne di rilevazione, svolte da Arpa Puglia e da soggetti universitari e di ricerca nell'area, hanno permesso di accertare:


la presenza di una spiccata stagionalità nell'andamento del PM10, con valori più elevati e superamenti del limite giornaliero di 50 μg/m3 concentrati nei mesi invernali, nei quali è attiva la combustione domestica per riscaldamento delle abitazioni;
la mancanza di una direzionalità di provenienza dell'inquinamento da macroinquinanti (CO, NO2, SO2 e PM10) dalla centrale termoelettrica a carbone ENEL di Cerano, ma piuttosto la presenza di un contributo proveniente dal centro abitato, che può attribuirsi alla presenza nel comune di Torchiarolo di sorgenti locali di tali inquinanti;
un rapporto molto elevato tra la concentrazione di microinquinanti organici (Idrocarburi policiclici aromatici) provenienti dal settore di campionamento che comprende l'area urbana di Torchiarolo, rispetto al settore sottovento alla Centrale Enel, con alte concentrazioni in condizioni di calma di vento, che evidenziano la presenza di sorgenti locali;
l'elevato contenuto nel particolato aerodisperso di
markers della combustione della legna, quali il potassio, il carbonio elementare e il levoglucosano, composto - quest'ultimo - che raggiunge a Torchiarolo concentrazioni superiori rispetto a zone italiane in cui l'uso della legna per il riscaldamento domestico è particolarmente diffuso (Sondrio);
un certa diminuzione della concentrazione del PM10 in concomitanza di una recente ordinanza, emessa dal Sindaco di Torchiarolo, che vietava l'uso di legna nei camini domestici per le abitazioni che avessero un'altra possibilità di riscaldamento, con un nuovo aumento delle concentrazioni di PM10 successivamente alla cessazione di vigenza dell'ordinanza.

Tali risultati indicano univocamente come la combustione della legna costituisca nella zona di Torchiarolo una sorgente emissiva particolarmente significativa, in grado di influenzare negativamente, a livello locale, lo stato della qualità dell'aria e che merita, quindi, una serie di azioni volte a:
una sensibilizzazione della popolazione ad un impiego corretto degli impianti a legna, fornendo l'opportunità di rendere più «puliti» i fumi in uscita dai camini, attraverso un sostegno finanziario per l'acquisto di dispositivi antiparticolato;
la diffusione delle conoscenze in relazione alla problematica connessa alla combustione della biomassa per riscaldamento civile, alla tipologia della biomassa legnosa da bruciare e agli impianti da utilizzare;
la messa in atto di misure e azioni finalizzate alla riduzione delle emissioni di particolato sottile in atmosfera, mediante concessione di contributi ai soggetti privati per l'installazione di dispositivi antiparticolato per camini privati, stufe e caminetti;
una sensibilizzazione degli agricoltori al fine di evitare o ridurre, per quanto possibile, le combustioni incontrollate di scarti di potature, eccetera.

L'Arpa Puglia ritiene, in effetti, che Torchiarolo costituisca un caso emblematico di una problematica più generale, che richiede ulteriori approfondimenti per quanto riguarda i dati di consumo (quali-quantitativi) e le modalità di combustione delle biomasse legnose utilizzate in Puglia per il riscaldamento domestico, oltre che nelle attività di tipo artigianale.
L'Arpa Puglia intende realizzare degli studi specifici sia su tale argomento sia sulle sorgenti di emissioni combustive incontrollate di biomasse (incendi di stoppie).
Al fine di controllare e ridurre tale fenomeno, l'8 febbraio 2011 è stato sottoscritto un protocollo d'Intesa tra comune di Torchiarolo, regione Puglia, provincia di Brindisi e Arpa Puglia, avente ad oggetto gli interventi per il miglioramento e il risanamento della qualità dell'aria nel territorio del comune di Torchiarolo.
Per quanto riguarda la rete di monitoraggio della qualità dell'aria nella provincia

di Brindisi, la collocazione di tali centraline rispetta i criteri dettati dal decreto ministeriale n. 60 del 2002, normativa in vigore all'epoca della definizione della rete. Il monitoraggio continuo della qualità dell'aria in provincia di Brindisi è stato avviato da parte di Arpa Puglia a partire dall'anno 2004. La recentissima normativa in materia, cioè il decreto legislativo n. 155 del 2010, prevede che le regioni elaborino entro otto mesi dall'entrata in vigore (cioè entro la metà del 2011) un progetto di adeguamento della rete esistente di qualità dell'aria, per procedere alla sua successiva realizzazione. In quest'ambito, è previsto un ripensamento della complessiva architettura della rete, con il potenziamento della strumentazione di misura. Per quanto riguarda il PM 2.5, ad oggi monitorato in un solo sito collocato presso la banchina di Costa Morena, Arpa Puglia ha in programma di attivare il monitoraggio di tale parametro anche a Torchiarolo, mentre non ha valore né è normata una frazione granulometrica del particolato denominata «PM5».
Il comune di Torchiarolo è compreso nel Sin di Brindisi. I risultati delle caratterizzazioni e del monitoraggio effettuati da quasi un decennio da Arpa Puglia su campioni di acque di falda nel Sin di Brindisi, compresa la zona industriale del comune capoluogo, hanno evidenziato superamenti di metalli pesanti, di composti organici aromatici, di composti alifatici clorurati e, in alcuni punti, di ammine aromatiche rispetto al limiti accettabili previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, parte IV, All. 5, Tab. 2. In seguito all'accertamento di queste criticità, il 18 dicembre 2007 è stato stipulato un Accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Puglia, Commissario di Governo, provincia di Brindisi, comune di Brindisi e Autorità portuale «per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica nel Sito di interesse nazionale».
In tale ambito, L'Arpa Puglia ha redatto uno «Studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda acquifera nel Sin di Brindisi». Tale studio è, attualmente, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'approvazione e la successiva realizzazione degli interventi sul territorio.
Le aree metropolitane di Taranto e Brindisi sono state definite «ad elevato rischio ambientale» dal Consiglio dei ministri, con delibera del 30 novembre 1990, in base alla legge n. 305 del 1989 che, all'articolo 6, infatti precisa: «gli ambiti territoriali e gli eventuali tratti marittimi prospicienti caratterizzati da gravi alterazioni degli equilibri ambientali nei corpi idrici, nell'atmosfera o nel suolo, e che comportano rischio per l'ambiente e la popolazione».
Tale condizione di rischio per la popolazione è stata accertata e quantificata in prima battuta attraverso indagini epidemiologiche condotte dal Centro europeo ambiente e salute dell'Organizzazione mondiale della sanità, su indicazione del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare ed esitate, prima, nel rapporto «Ambiente e salute in Italia» pubblicato nel 1997 e relativo a dati del periodo compreso tra il 1981-1987 e, quindi, nel 2002, nel numero monografico della rivista epidemiologia e prevenzione «ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale», che riportava i dati di mortalità del quinquennio 1990-1994.
In quest'ultimo, l'area di Brindisi è definita un'area a rischio di tipo «puntiforme», comprendente quattro comuni (Brindisi, Carovigno, San Pietro Vernotico e Torchiarolo), per una popolazione di circa 130 mila abitanti (circa il 32 per cento dei residenti della provincia). Nel capoluogo di provincia risiede circa il 72 per cento della popolazione dell'intera area a rischio.
I maggiori fattori di rischio ambientale dell'area sono connessi alla presenza sul territorio di un polo petrolchimico (1.450 addetti su un'area di circa 270 ettari, più 450 addetti di ditte esterne).
Nell'area sono inoltre presenti industrie chimiche e metalmeccaniche, aziende manifatturiere e due centrali Enel. Grandi quantità di carbone transitano per il porto

in cui si svolgono attività commerciali, turistiche e militari. Lo studio Oms ha evidenziato eccessi di mortalità statisticamente significativi per tutti i tumori (incremento del 14 per cento) e in particolare per il tumore polmonare (incremento del 20 per cento).
In funzione della presenza di imponenti insediamenti industriali all'interno e a ridosso dell'area urbana e della situazione epidemiologica critica, a partire dal 1998 sono stati finanziati dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare i «Piani di disinquinamento delle aree ad elevato rischio di crisi industriale di Brindisi e Taranto» (decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 1998), nell'ambito dei quali sono stati previsti studi epidemiologici riguardanti lo stato di salute dei lavoratori dell'area industriale e della popolazione generale. In particolare, è stato istituito il registro tumori dell'area jonico-salentina.
La presenza di tale registro tumori permette una serie di attività che consentono il dimensionamento del fenomeno neoplastico attraverso la stima dell'incidenza (ovvero la quantificazione dei nuovi casi di tumore a partire da un dato periodo) per sede, per sesso, per età, e per altre caratteristiche della popolazione, anche per tumori non letali che non possono essere evidenziati dai comuni indici di sorveglianza, come la mortalità; la misurazione dell'evoluzione temporale del fenomeno neoplastico; la formulazione di ipotesi circa le cause e la valutazione dei fattori cancerogeni sospetti per mezzo di studi epidemiologici
ad hoc; l'identificazione e il monitoraggio dei gruppi ad alto rischio, nonché attività di valutazione circa l'efficacia e l'efficienza del sistema delle cure attraverso lo studio della sopravvivenza e delle misure di prevenzione primaria e secondaria (screening).
Il registro tumori jonico salentino (RTJS) copre le aree delle province di Brindisi e Taranto e ha raccolto sistematicamente tutti i casi di tumore maligno insorti in residenti nell'area di interesse a partire dall'anno 1999. Nel 2006 sono stati prodotti i risultati relativi all'area di Brindisi per il triennio 1999-2001.
Per quanto riguarda i dati di incidenza prodotti dal Rtjs considerando il triennio 1999-2001, il numero totale di casi di tumore maligno incidenti nell'intera provincia di Brindisi è di 5802, di cui 3306 uomini (1163 nel 1999, 1093 nel 2000 e 1050 nel 2001) e 2496 donne (836 nel 1999, 833 nel 2000 e 827 nel 2001).
Nel sesso maschile, tra i soggetti più giovani (da 0 a 44 anni), viene diagnosticato il 6,2 per cento del totale dei tumori; più di un quarto, il 27,5 per cento è diagnosticato tra gli adulti ed il maggior numero di neoplasie, il 66,5 per cento del totale dei tumori, viene diagnosticato tra i soggetti più anziani (età superiore a 65 anni); nelle femmine rispettivamente il 10,2 per cento il 29,6 per cento e il 60,2 per cento del totale dei tumori.
Il tasso grezzo di incidenza, che riporta il numero medio di casi diagnosticati ogni anno nell'area alla media della popolazione residente in un anno, è riferito a 100.000 soggetti e, nel sesso maschile, è risultato pari a 568, nel sesso femminile pari a 396,8.
I tassi standardizzati con la popolazione italiana (2001) sono risultati pari a 629,7 per 100.000 negli uomini e 444,4 per 100.000 nelle donne; i tassi standardizzati con la popolazione europea, rispettivamente, 484,7 per 100.000 e 300,9 per 100.000.
Il rischio di avere una diagnosi di tumore maligno nell'arco di tempo che va dalla nascita all'età di 74 anni, espresso per 1.000, è pari a 32,6 negli uomini e 21,4 nelle donne.
Sono stati valutati anche indicatori di qualità e di completezza, quali il rapporto mortalità/incidenza e la percentuale di conferma microscopica. Tali indicatori sono stati confrontati con quelli del registro di Ragusa e quelli nel
pool.
Il rapporto mortalità/incidenza risulta pari a 1630/3306 = 0,49 nel sesso maschile e 1061/2496 = 0,42 in quello femminile. La percentuale di conferma istologica è pari a 2446/3306 = 74 per cento per il sesso maschile e 1973/2496 = 79 per cento per quello femminile.
È stato effettuato poi un confronto fra l'incidenza rilevata a Brindisi e l'incidenza annua media del Registro tumori di Ragusa e del «
pool» dei registri tumori italiani,

previa standardizzazione dei tassi con la popolazione italiana al censimento 1981 e costruzione dei rispettivi intervalli di confidenza. I tassi standardizzati nel sesso maschile a Brindisi sono pari a 466,2 per 100.000, a Ragusa 450,5 per 100.000, nel «pool» 552,8 per 100.000; nel sesso femminile rispettivamente a 346,5 per 100.000, 357,8 per 100.000 e 453,1 per 100.000.
Dal database del registro tumori sono stati estratti i dati relativi ai casi di tumore incidenti nel periodo 1999-2001 nei confronti dei residenti nei quattro comuni dell'area a rischio (Brindisi, Torchiarolo, Carovigno e San Pietro Vernotico) e quelli del resto della provincia.
Si è proceduto, inoltre, all'estrazione dei dati relativi ai casi di tumori incidenti tra i residenti nel Comune di Brindisi e quelli tra i residenti nel resto della provincia.
Considerando il periodo di tre anni 1999-2001, il numero totale di casi di tumore maligno incidenti riscontrato nei comuni dell'area a rischio è di 1877 (di cui 1087 uomini e 790 donne) contro i 3925 del resto della Provincia (di cui 2219 uomini e 1706 donne).
Tra i residenti nel comune di Brindisi sono stati diagnosticati 1409 casi di tumore incidenti nel triennio (di cui 836 uomini e 573 donne), mentre nella provincia meno il comune di Brindisi il numero totale di casi incidenti è di 4393 (di cui 2470 uomini e 1923 donne).
Nel sesso maschile, tra i soggetti d'età compresa tra 0 e 44 anni, viene diagnosticato il 6,2 per cento del totale dei tumori nell'area a rischio e il 6,3 per cento nel resto della provincia, il 6,9 per cento nel comune di Brindisi e il 6 per cento nel resto della provincia; nelle femmine rispettivamente 10,5 per cento e 10 per cento, 9,7 per cento e 10,3 per cento. Tra gli adulti, dai 45 ai 64 anni, è diagnosticato nei maschi il 29 per cento del totale dei tumori nell'area a rischio e il 26,6 per cento nel resto della Provincia, il 29,9 per cento nel Comune di Brindisi e il 28,9 per cento nel resto della Provincia, mentre nelle femmine, rispettivamente, il 32,4 per cento e il 28,4 per cento, il 32,4 per cento e il 28,9 per cento. Nei maschi il 64,8 per cento del totale delle neoplasie viene diagnosticato tra i soggetti più anziani (età superiore a 65 anni) nell'area a rischio e il 57,1 per cento nel resto della Provincia; il 63,2 per cento nel Comune di Brindisi e il 67,4 per cento nel resto della Provincia; nelle femmine, invece, rispettivamente il 57,1 per cento e il 61,6 per cento, il 57,9 per cento e il 60,8 per cento del totale dei tumori.
Il numero di soggetti che hanno la probabilità di sviluppare un tumore nell'arco della loro vita che va dalla nascita all'età di 74 anni, espresso per 1.000, per gli uomini, è pari a 35,3 e 31,4 rispettivamente nell'area a rischio e nel resto della Provincia, 38,4 e 31 rispettivamente nel comune di Brindisi e nel resto della provincia; per le donne, invece, rispettivamente 22,2 verso 21,1 e 21,9 verso 21,3.
L'incidenza annua media delle varie neoplasie rilevata nell'area a rischio e nel resto della provincia e quella rilevata nel comune di Brindisi e nel resto della provincia sono state confrontate con l'incidenza del registro tumori di Ragusa e quella del «
pool» del registro tumori italiani, effettuando una standardizzazione dei tassi con la popolazione italiana (1981) e costruendo i relativi intervalli di confidenza al 95 per cento. I tassi standardizzati, espressi per 100.000, nel sesso maschile sono pari, rispettivamente, a 424,4 nel comune di Brindisi, a 382,3 nell'area a rischio e a 638,1 nel resto della provincia.
Questo andamento dei tassi più elevato nel comune capoluogo rispetto sia all'area a rischio che all'intera provincia si ritrova anche tra i maschi per i tumori della cavità orale, dell'apparato respiratorio, di trachea, bronchi e polmone, dell'encefalo, dei tessuti molli, della prostata, della vescica, dei testicoli e per il linfoma non Hodgkin.
Con l'eccezione delle neoplasie di prostata, vescica e del linfoma non Hodgkin, queste patologie mostrano nel comune capoluogo tassi più elevati di quelli nazionali.
Presso l'Asl di Brindisi è stata avviata, nell'ambito dell'istituzione del registro tumori della regione Puglia (deliberazione di Giunta regionale n. 1500 del 2008), l'attività di raccolta e di registrazione dei casi relativa al periodo 2006-2008: per la fine

dell'anno 2011 dovrebbe essere completato il primo anno di incidenza.
Contestualmente, è stata aggiornata l'analisi di mortalità svolta dall'Oms, con dati disponibili fino al 2001, e valutando
trend temporali per quinquennio.
Per quanto riguarda i dati di mortalità, è stato utilizzato un indicatore denominato smr (rapporto standardizzato di mortalità), che restituisce il risultato del rapporto tra casi osservati nel territorio di interesse e casi attesi sulla base dei corrispondenti dati regionali moltiplicato per cento, tale per cui un smr=100 individua l'assenza di aumento di rischio, mentre smr superiori indicano un eccesso rispetto ai dati regionali.
Tale analisi è stata condotta con l'ausilio del cosiddetto «atlante Cislaghi», un
software di elaborazione statistica e grafica che utilizza i dati ufficiali di mortalità rilasciati dall'Istat.
I risultati mostrano nel sesso maschile una sostanziale tendenza alla riduzione degli eccessi per le patologie esaminate: la mortalità per tutte le cause mostra anche nell'ultimo quinquennio un incremento tra il 2 e il 4 per cento rispetto ai valori regionali.
Analoga attività è stata realizzata e pubblicata sulla rivista epidemiologia e prevenzione (2008), allo scopo di fornire, separatamente per due decenni (1981-1990 e 1991-2001), un profilo di mortalità provinciale e comunale dei residenti nella provincia di Brindisi e di valutare eventuali differenze tra tassi nei comuni della provincia raggruppati in quattro aree (area a elevato rischio di crisi ambientale, aree a Nord, a Ovest e a Sud dell'area a rischio).
L'analisi della mortalità è stata condotta per causa, genere e due periodi temporali, utilizzando gli stessi indici standardizzati indiretti (riferimento: popolazione regionale) ed è stata indagata la mortalità totale, non tumorale e tumorale, per un totale di 40 cause di morte.
I risultati mostrano che nella provincia di Brindisi, dal 1981 al 2001, si sono osservati in media circa 3.200 decessi all'anno per tutte le cause, in entrambi i generi.
Tra gli uomini la mortalità totale risulta più elevata dei valori regionali di circa il 4-5 per cento.
Per le donne i livelli, superiori nel primo decennio, si allineano a quelli regionali nel secondo periodo. Tuttavia, anche tra le donne emergono situazioni di rischio se si analizzano i risultati per area geografica e comune di residenza.
In particolare, per quanto riguarda l'area a rischio, tra gli uomini, si confermano i risultati del secondo rapporto Oms: si osservano eccessi di rischio per la mortalità generale, per le malattie ischemiche, per tutti i tumori e per il tumore al polmone.
Acquistano significatività statistica gli eccessi per tumore alla prostata e i traumatismi. Gli eccessi statisticamente significativi sono localizzati essenzialmente nel comune di Brindisi, tranne che per le malattie cerebrovascolari, in eccesso solo nel comune di Carovigno. A Brindisi, rispetto a quanto accade nell'intera area, acquista significatività statistica il tumore alla laringe e, in linea a quanto già evidenziato nel rapporto Oms, acquistano significatività statistica le malattie infettive (smr%=157,8 con 31 decessi). Nel capoluogo, inoltre, si concentrano 15 dei 18 casi di tumore alla pleura osservati nell'intera area (smr%=185,6). Anche in questo studio la mortalità femminile appare meno compromessa rispetto a quella maschile. La mortalità generale risulta in difetto statisticamente significativo (smr%=94,3), ma si confermano eccessi statisticamente significativi per cause non tumorali, quali le malattie ischemiche e neuropsichiatriche. Tra le cause tumorali, raggiunge la significatività statistica l'eccesso di mortalità per tumore al sistema nervoso centrale.
L'analisi di mortalità conferma, per alcune patologie tumorali e non tumorali, i risultati degli studi precedenti e indica nuove patologie in eccesso. Gli autori concludono che dall'analisi del livello comunale emerge la necessità di approfondire, con ulteriori studi, il quadro epidemiologico dei residenti nei comuni confinanti con la provincia di Taranto; in questi comuni si registrano, infatti, valori elevati di mortalità sia negli uomini sia nelle donne.
L'analisi è stata ripetuta da Arpa Puglia e pubblicata sul portale istituzionale nel luglio 2008, a partire dall'esigenza di rispondere

alla condizione di allarme, generatasi nella popolazione di Torchiarolo, in relazione al possibile impatto sulla salute dei valori osservati di inquinamento atmosferico.
È ormai ampiamente noto che l'inquinamento atmosferico è responsabile di diverse patologie, sia respiratorie che cardiovascolari. In particolare, gli effetti sulla salute legati all'inquinamento atmosferico si distinguono in effetti a breve termine ed effetti a lungo termine: per quanto riguarda i primi, numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato che aumenti delle concentrazioni dei principali inquinanti (PM10, NOx, SOx) possono essere responsabili, nel corso della stesso giornata o a uno-due giorni di distanza, di incrementi della mortalità generale, della mortalità per malattie respiratorie e cardiovascolari e di ricoveri ospedalieri per le stesse cause e per patologie respiratorie acute o per loro riacutizzazioni (asma bronchiale). Tra gli effetti a lungo termine, si osservano decrementi della funzionalità respiratoria, aumenti di sintomatologia a carico delle vie aeree (tosse, bronchiti), di patologie croniche dell'apparato respiratorio e di tumori polmonari.
Alla luce di quanto rilevato, l'Arpa Puglia ha condotto uno studio di epidemiologia ambientale, con l'obiettivo di descrivere il profilo di salute della popolazione residente nei comuni di Torchiarolo, Ceglie Messapica e Cisternino ed evidenziare eventuali eccessi negli indicatori di mortalità per alcune patologie - selezionate tra quelle che la letteratura riporta come associate all'inquinamento atmosferico - e di incidenza per neoplasie dell'apparato respiratorio rispetto agli analoghi tassi regionali e provinciali.
L'indagine ha previsto tre fasi: nella prima, è stata condotta un'analisi della mortalità nel periodo 1981-2001, per tutto il periodo globalmente e poi separatamente per quinquenni successivi.
Per lo studio sono state prese in considerazione tutte le cause di morte, tutti i tumori, i tumori del polmone, le malattie dell'apparato respiratorio, le broncopneumopatie cronico-ostruttive (bpco), le malattie dell'apparato cardiovascolare.
La seconda fase è consistita nell'analisi delle mortalità negli anni 1998-2006: a questo scopo è stato utilizzato il registro nominativo delle cause di morte predisposto dalla unità di statistica ed epidemiologia della Asl Br. Sono state prese in esame le medesime patologie precedentemente elencate; si è scelto di utilizzare l'intero periodo disponibile per tentare di limitare il problema dei bassi numeri di casi in studio, che rendono le stime instabili e quindi difficilmente interpretabili.
Sono stati analizzati i due sessi separatamente, considerando classi di età quinquennali, restituendo le stime per l'intero periodo considerato, per 10 mila abitanti.
Per il calcolo dei tassi relativi a ciascuna patologia sono stati utilizzati sia il metodo di standardizzazione diretta che quello di standardizzazione indiretta, i quali permettono di annullare gli effetti della composizione per età o per sesso della popolazione indagata.
Il primo metodo restituisce i tassi standardizzati che si osserverebbero nella popolazione oggetto di studio se questa avesse la stessa struttura per età di una popolazione presa come riferimento (in questo caso la popolazione della regione Puglia del 2003, cioè a metà del periodo considerato). I tassi così ottenuti sono stati confrontati con quelli regionali, per evidenziare eventuali scostamenti.
L'ultimo passo è stato l'analisi dell'incidenza di tutti i tumori e dei tumori dell'apparato respiratorio del triennio 1999-2001. A questo scopo sono stati utilizzati i dati del registro tumori jonico-salentino. Il valore aggiunto offerto dai dati di incidenza è rappresentato, oltre che dall'elevato grado di completezza e di qualità (dal momento che ogni singolo caso subisce un accurato lavoro di approfondimento e di verifica, confrontando molteplici fonti di dati), dal fatto che questi rappresentano l'effettivo carico di patologia che si realizza in una popolazione, a prescindere dalla qualità del sistema delle cure che, viceversa, può influenzare - per alcune patologie pesantemente - il dato di mortalità.
Nel comune di Torchiarolo nessun eccesso raggiunge la significatività statistica e, anzi, nelle epoche più recenti si evidenzia,

nei maschi, una riduzione statisticamente significativa del rischio di morire per patologie dell'apparato respiratorio. L'incidenza di neoplasie non offre nessuna criticità, se non un lieve incremento in tutti i tumori nelle donne.
Anche il Comune di Cisternino non sembra presentare aspetti problematici nel profilo di salute associato ad eventuali effetti dell'inquinamento atmosferico, né in termini di mortalità, né in termini di incidenza. D'altro canto, la campagna di monitoraggio della qualità dell'aria condotta nel 2007 non ha registrato specifiche criticità nei livelli degli inquinanti atmosferici monitorati.
I risultati dell'indagine portano a ritenere che il profilo di salute delle popolazioni residenti nei comuni di Cisternino e Torchiarolo, in termini di mortalità per alcune patologie e di incidenza di alcune neoplasie, non risulta apprezzabilmente influenzato, al momento, dall'esposizione ad inquinamento atmosferico.
Va precisato che la valutazione condotta è uno studio di tipo descrittivo che presenta i limiti propri delle indagini di epidemiologia ambientale, dovuti all'assenza di disponibilità di informazioni a livello individuale e, peraltro, non è disegnato per valutare correlazioni analitiche tra livelli giornalieri di inquinamento atmosferico ed effetti a breve termine sulla salute umana, e quindi non si presta a testare ipotesi circa associazioni causali tra esposizioni ambientali e malattie. Tuttavia, i risultati emersi sono sufficientemente consistenti per escludere che le condizioni di inquinamento atmosferico abbiano determinato un impatto sulla salute nei comuni di Cisternino e Torchiarolo.
Per completare il quadro delle evidenze disponibili circa la valutazione degli impatti sanitari dell'inquinamento ambientale, l'Arpa Puglia ha ritenuto opportuno riportare una sintesi dei risultati di un lavoro scientifico, dal titolo «Effetti acuti dell'inquinamento a Brindisi: analisi
case-crossover, pubblicato nel 2010 sulla rivista epidemiologia e prevenzione.
L'obiettivo dello studio è stato quello di valutare l'associazione tra concentrazioni medie giornaliere di alcuni inquinanti atmosferici e le serie giornaliere di mortalità e di ricovero ospedaliero dei cittadini residenti nella città di Brindisi, nel periodo 2003-2006. Sono stati considerati i dati di mortalità per il totale delle cause di morte non accidentali, per cause cardiovascolari e per cause respiratorie e i dati dei ricoveri ospedalieri non programmati per cause cardiache, cerebrovascolari e respiratorie.
Come variabili di esposizione sono stati considerati gli inquinanti PM10, NO2 e CO.
Sono state considerate le concentrazioni dell'inquinante nel giorno stesso e fino a cinque giorni precedenti il decesso o il ricovero. I risultati mostrano che incrementi della concentrazione di PM10 appaiono assodati a incrementi percentuali del rischio di morte, sia per tutte le cause naturali sia per le patologie cardiovascolari.
Gli effetti sono immediati e vengono nello stesso giorno o nel giorno successivo all'incremento dell'inquinante atmosferico. Per i ricoveri ospedalieri gli effetti sono statisticamente significativi per le malattie cerebrovascolari tra le donne e gli anziani, considerando la concentrazione media dell'inquinante. Risultati significativi si sono osservati anche per NO2 per la mortalità e per i ricoveri in categorie specifiche di popolazione.
Gli autori concludono osservando che lo studio fornisce un'indicazione degli effetti acuti dell'inquinamento nella città di Brindisi e descrive una situazione giornaliera di rischio dovuta all'inquinamento dell'aria.
Dalla rassegna dei dati l'Arpa Puglia conclude che, al momento, «non si apprezzano in termini di mortalità scostamenti significativi negli indicatori di salute associati che supportino motivi di preoccupazione specifica. Tuttavia, se è vero che i dati di mortalità restituiscono un quadro non allarmante è anche vero che l'inquinamento atmosferico si rende responsabile di effetti sanitari a breve termine che meritano attenzione. Importanti indicazioni per la valutazione dell'incidenza delle patologie neoplastiche giungeranno dall'attività del registro tumori della regione Puglia».

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:

l'agenzia di informazioni «Adnkronos Salute», in un suo dispaccio del 15 gennaio 2011 riprendeva quanto pubblicato nell'edizione palermitana del quotidiano La Repubblica, a proposito del caso di una donna, ultrasessantenne rimasta per ben tre giorni e tre notti su una sedia del pronto soccorso;
la paziente, colta da crisi ipertensiva ha potuto sdraiarsi su una lettiga dell'ospedale civico, solo dopo 72 ore; secondo il racconto fornita dall'interessata, la donna è stata «mezza giornata in piedi con la flebo attaccata al braccio. Poi ho trovato una sedia che è diventato il mio giaciglio per tre notti» -:
se quanto sopra riferito corrisponda a verità;
se situazioni di questo genere che pregiudicano in maniera evidente i livelli essenziali di assistenza possano dipendere dal ridimensionamento dei servizi sanitari connesso all'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario.
(4-10526)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame sulla base degli elementi, che peraltro non riportano alcun riferimento diretto all'episodio descritto o ad altri eventi consimili, acquisiti dalla Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Palermo presso l'Assessorato regionale alla salute.
«In data 21 ottobre 2009 è stato conferito l'incarico di Direttore generale dell'Azienda ospedaliera di rilievo nazionale e di alta specializzazione (Arnas) "Civico-Di Cristina-Benfratelli" di Palermo.
Nell'ambito degli obiettivi assegnati al nuovo dirigente era prevista, tra gli altri, la riorganizzazione e la riqualificazione del pronto soccorso dell'ospedale civico, in relazione alle quali l'interessato aveva presentato un piano che era stato positivamente valutato dall'amministrazione regionale.
Le numerose segnalazioni pervenute circa gravi disservizi verificatisi presso il pronto soccorso del citato presidio ospedaliero, hanno fatto sì che, a partire dall'agosto del 2010 e fino al gennaio 2011, fossero effettuati diversi controlli, che hanno evidenziato la mancata attivazione delle azioni finalizzate al conseguimento dei risultati attesi, sia in termini di miglioramento dell'accoglienza dei pazienti sia sotto il profilo della riduzione dei tempi d'attesa, e quindi, del miglioramento della qualità del servizio.
Sulla base delle risultanze degli atti ispettivi, l'Assessore regionale alla salute, in data 21 gennaio 2011, ha diffidato il Direttore generale dell'Arnas "Civico-Di Cristina-Benfratelli" ad adottare le necessarie misure di riorganizzazione e riqualificazione, nel rispetto dei termini assegnati, con riserva di assumere ulteriori atti consequenziali in esito alla valutazione degli interventi effettuati».
Il 3 febbraio 2011 il diffidato ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico di Direttore generale.
Per gli aspetti di rilievo istituzionale di questo Ministero, si ritiene necessario precisare che lo sviluppo dei piani di rientro dal
deficit sanitario non contrasta con l'erogazione dei servizi sanitari garantiti ai cittadini nei livelli essenziali di assistenza.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere che - premesso che:
come risulta da notizie diffuse dall'agenzia «ANSA» il 14 febbraio 2011, è sempre più diffuso il fenomeno della sordità, circa 5-7 milioni di ipoacusi, in particolare tra le persone anziane, ma ultimamente il problema riguarda anche molti bambini e giovani;
le protesi acustiche hanno raggiunto costi ragguardevoli e costano anche il triplo rispetto ad altri Paesi europei, per

cui per molte persone, in un periodo di indubbia crisi economica come quello che il paese sta attraversando, «tornare a sentire» diventa un lusso insostenibile;
l'associazione Luca Coscioni ha già inviato un esposto all'antitrust perché «possa aprire un'istruttoria circa la sensibile differenza di prezzo tra le protesi acustiche vendute in Italia e le stesse vendute nel resto d'Europa»;
l'auspicio è che l'Autorità voglia aprire nel minor tempo possibile una istruttoria per capire il motivo dei prezzi esorbitanti delle protesi acustiche in Italia e la ragione per cui le stesse, a parità di marca e modello, costino un terzo negli altri Paesi europei;
in Germania, infatti, il costo di un determinato modello è pari a 1600 euro, contro i quasi 5000 euro previsti in Italia, cifra spropositata soprattutto alla luce dei rimborso di 1200 euro che viene riconosciuto dall'ASL;
quanto sopra evidenziato viene confermato anche da esperti come, per fare un solo esempio, il direttore della clinica di otorinolaringoiatria del policlinico Gemelli di Roma, professor Gaetano Plaudetti, secondo il quale in Italia le protesi hanno raggiunto costi altissimi e questo perché in vari casi vi è un ricarico eccessivo da parte degli autoprotesisti, che applicano le protesi ai pazienti dopo averle acquistate dalle ditte produttrici, quasi tutte straniere... In questo settore c'è poca trasparenza e sono necessari più controlli;
vengono da parte dell'associazione Luca Coscioni e dagli esperti consultati avanzate due proposte: porre un tetto massimo ai ricarichi sulle protesi; rendere gli ospedali stessi erogatori di questi presidi -:
quale sia l'orientamento del ministro in ordine a quanto sopra esposto;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, si intendano promuovere, o adottare in relazione alla situazione che, riguardando milioni di cittadini italiani, è a tutti gli effetti da considerare un vero e proprio problema sociale.
(4-10881)

Risposta. - In riferimento alle iniziative sollecitate nell'interrogazione in esame, si fa presente che esse non attengono alle competenze del Ministero della salute, dal momento che la vendita delle protesi acustiche, al di fuori dei canali erogativi del Servizio sanitario nazionale, avviene in regime di libero mercato e, fatte salve le eventuali distorsioni che possono esser segnalate all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, l'ordinamento garantisce la piena autonomia degli operatori economici nella determinazione del prezzo.
Peraltro, relativamente all'eventualità di una sensibile differenza di prezzo tra le protesi acustiche vendute in Italia e quelle vendute in Europa, si segnala che con il decreto ministeriale 11 giugno 2010 «Istituzione del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici direttamente acquisiti dal Servizio sanitario nazionale», è stata avviata una rilevazione sistematica di informazioni degli acquisti di dispositivi medici, ai fini del monitoraggio della spesa.
Dopo un adeguato periodo di rodaggio del sistema, potranno essere analizzati i dati relativi alla spesa ed alle condizioni di acquisto anche dei dispositivi medici in questione, onde consentire eventuali interventi.
Per quanto riguarda, invece, le modalità di fornitura delle protesi acustiche ai disabili nell'ambito dell'assistenza protesica garantita dal Servizio sanitario nazionale, si ricorda che la normativa vigente già prevede la fissazione di tariffe determinate in base al costo di produzione della prestazione stessa. Le protesi acustiche risultano, infatti, incluse nell'elenco 1 allegato al decreto ministeriale 27 agosto 1999, n. 332, vale a dire tra le protesi ed ausili «su misura» ovvero «di serie la cui applicazione richiede modifiche eseguite da un tecnico abilitato»; come per le altre protesi ed ausili di tale elenco, il nomenclatore indica una tariffa predeterminata che la Asl è tenuta a corrispondere al fornitore a seguito dell'erogazione.


In proposito, occorre ricordare che sia le descrizioni delle protesi acustiche contenute nel vigente nomenclatore sia le corrispondenti tariffe, entrambe risalenti al 1999, risultano ormai inadeguate rispetto all'evoluzione tecnologica verificatasi in questo settore nel corso degli ultimi 10 anni, e, in conseguenza di ciò, numerosi utenti sono costretti ad acquistare le protesi di cui hanno bisogno a proprie spese, ovvero ad integrare la differenza tra la tariffa indicata nel nomenclatore ed il prezzo di vendita al pubblico, avvalendosi dell'istituto della «riconducibilità funzionale».
Proprio in considerazione di tale inadeguatezza, questo Ministero ha provveduto a formulare un nuovo nomenclatore, confluito all'interno dello schema di revisione complessiva dei livelli essenziali di assistenza, definito e condiviso con le Regioni in sede tecnica, e attualmente al vaglio del Ministero dell'economia e delle finanze per gli aspetti di natura economico-finanziaria.

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per le pari opportunità, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il sito on line del Corriere della Sera il 23 febbraio 2011 ha riferito del caso di un ragazzo affetto da sindrome di Down che frequenta una scuola media di Catanzaro, cui sarebbe stato impedito di poter prendere parte all'annuale gita scolastica; così titola il quotidiano: «i genitori del ragazzo discriminato hanno denunciato la donna alla polizia; Catanzaro, vietano al compagno down di andare in gita: tutta la classe rinuncia la dirigente di una scuola di terza media voleva anche che i ragazzi mentissero al disabile sulle future uscite»;
gli studenti, compagni del ragazzo si sono rifiutati di andare in gita, dopo il provvedimento adottato dai responsabili dell'istituto scolastico;
la vicenda è stata resa nota dalla responsabile del coordinamento regionale per l'integrazione scolastica e consulente legale nazionale dell'Associazione sclerosi tuberosa, signora Ida Mendicino, secondo la quale «i genitori del ragazzo, hanno dovuto ricorrere all'autorità di polizia per far rispettare il diritto allo studio del proprio figlio, in linea con la normativa di riferimento, in particolare con le note ministeriali le quali espressamente asseriscono che le gite rappresentano un'opportunità fondamentale per la promozione dello sviluppo relazionale e formativo di ciascun alunno e per l'attuazione del processo di integrazione scolastica dello studente diversamente abile, nel pieno esercizio del diritto allo studio»;
successivamente a tale episodio, secondo quanto asserito dalla signora Mendicino, la dirigente avrebbe «aggravato la propria posizione allorché ha manifestato ai docenti l'intenzione di non autorizzare in futuro alcuna uscita dello studente affetto da sindrome di Down ed ha chiesto ai compagni di classe di non portare a conoscenza del ragazzo le date delle future gite ed uscite in programmazione, motivando tale richiesta con la scarsa capacità dello stesso ad apprendere a causa della sua infermità genetica»;
l'invito è stato immediatamente declinato dai compagni, ragazzi di terza media, i quali hanno dichiarato che avrebbero preferito rinunciare tutti alle gite pur di non veder discriminato il loro compagno -:
se quanto sopra riferito, e pubblicato dal sito on line del Corriere della Sera corrisponda al vero;
in caso affermativo, quali iniziative e provvedimenti, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intendano promuovere o adottare, perché simili, inaccettabili episodi di discriminazione, fondati sul pregiudizio e sulla letterale ignoranza di cosa sia la sindrome di Down, non abbiano più a ripetersi.
(4-11021)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede quali iniziative si intendono intraprendere perché non si ripetano fatti discriminatori nei confronti di alunni affetti da sindrome di down come quelli verificatisi in una scuola della regione Calabria e riportati su un quotidiano nazionale.
Al riguardo si premette che l'integrazione degli alunni disabili rappresenta un obiettivo prioritario del sistema educativo nazionale e permette a tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, di realizzare esperienze di crescita individuale e sociale.
Per questi motivi le annuali direttive con cui si individuano gli interventi prioritari ed i criteri generali per la ripartizione delle risorse finanziarie, per lo svolgimento del monitoraggio e per la valutazione dei risultati raggiunti, ai sensi della legge n. 440 del 1997, hanno sempre riservato una particolare attenzione all'assunzione delle iniziative volte a dare un reale e produttivo sostegno agli alunni diversamente abili.
Da ultimo, la direttiva dell'8 novembre 2010, n. 87 assegna risorse finanziarie specifiche per le iniziative finalizzate al potenziamento ed alla qualificazione dell'integrazione scolastica, anche attraverso forme di associazione in rete, ed alla formazione del personale docente che opera nelle classi con alunni disabili.
Questo Ministero è consapevole che una più proficua integrazione degli alunni disabili si svolge su diversi piani, in modo da consentire il superamento di alcune criticità ancora presenti nel sistema scolastico, prevalentemente riferibili al coordinamento tra servizi scolastici, sociali e sanitari, e alla rimozione delle barriere culturali e materiali che ostacolano il completo inserimento scolastico e sociale degli alunni disabili.
Sotto quest'ultimo aspetto, come condiviso anche dalle associazioni dei disabili, il perseguimento degli obiettivi prospettati avviene con l'intensificazione della formazione, sia iniziale che in servizio, del personale interessato, e con la diffusione tra tutti i soggetti del sistema scolastico della cultura della massima integrazione dei disabili e svantaggiati, contrastando e superando così comportamenti discriminatori.
In tal senso le Linee guida per l'integrazione degli alunni con disabilità del 4 agosto 2009 individuano la posizione di questa Amministrazione nei confronti dell'inclusione scolastica, stabilendo espressamente che: «L'integrazione scolastica degli alunni con disabilità è un processo irreversibile e, proprio per questo, non può adagiarsi su pratiche disimpegnate che svuotano il senso pedagogico, culturale e sociale dell'integrazione, trasformandola da un processo di crescita per gli alunni con disabilità e per i loro compagni a una procedura solamente attenta alla correttezza formale degli adempimenti burocratici».
La necessità di un fattivo inserimento dell'alunno disabile si fonda sulla consapevolezza che in tal modo si conseguono dimostrabili miglioramenti nelle capacità cognitive degli alunni e negli ambiti relativi all'autonomia ed alla socializzazione.
In tale direzione si collocano le iniziative relative al piano nazionale di formazione per l'integrazione degli alunni disabili ed ai progetti afferenti alle tematiche che attengono all'educazione ed alla cittadinanza quali «Cittadinanza e Costituzione».
L'attenzione riservata agli alunni disabili è confermata dall'opera di stabilizzazione degli interventi didattici nei loro confronti con l'autorizzazione di ben 5.022 assunzioni di personale docente ed educativo nel sostegno, che rappresentano circa il 50 per cento delle assunzioni autorizzate nell'anno scolastico 2010/2011.
Le iniziative indicate costituiscono un effettivo e sostanziale contributo per il miglioramento del processo di integrazione degli alunni con disabilità, fermo restando l'impegno dell'Amministrazione a risolvere eventuali criticità che dovessero emergere nel processo in questione.
In tal senso il Ministero ha impartito indicazioni e disposizioni ai responsabili degli uffici scolastici regionali e territoriali affinché intraprendano tutte le iniziative utili all'attivazione di collaborazioni con le

regioni, gli enti locali, le forze sociali ed i soggetti a vario titolo competenti ed interessati in materia di integrazione e di sostegno ai disabili.
Parimenti ritiene necessaria l'adozione di idonee misure qualora si verifichino fatti discriminatori nei confronti di alunni disabili, quale quello riportato nell'interrogazione di cui trattasi.
In merito l'Ufficio scolastico regionale per la Calabria ha comunicato che il fatto è emerso a seguito di un esposto presentato in data 17 febbraio 2011 dalla responsabile del coordinamento regionale per l'integrazione scolastica, nonché consulente legale nazionale dell'Associazione sclerosi tuberosa, e pervenuto al medesimo Ufficio scolastico in data 24 febbraio 2011.
Di tale esposto ne è stata data notizia in un quotidiano nazionale del 23 febbraio 2011.
In particolare il suddetto esposto riporta che nel mese di gennaio l'alunno disabile aveva partecipato ad una gita didattica della propria classe, finalizzata all'orientamento nell'istituto prescelto dal ragazzo per il prosieguo del corso di studi, solo a seguito delle rimostranze della madre e dell'intervento della forza pubblica.
Successivamente, in data 20 gennaio 2011, la Dirigente scolastica, recatasi nella classe del minore interessato, in quel momento assente, dichiarava in presenza delle docenti che non avrebbe più autorizzato la partecipazione dell'alunno alle uscite della classe, esortando nel contempo i compagni a non metterlo al corrente dell'attività esterna alla scuola programmata, pena l'annullamento della stessa.
Appena avuto conoscenza dell'esposto, il Direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale per la Calabria ha disposto un incarico ispettivo finalizzato all'accertamento dei fatti, a seguito del quale è emerso, sulla base di «dichiarazioni, sottoscrizioni e narrazioni - tutte concordanti» dei docenti e dei compagni di classe, «una condotta non uniformata ai princìpi di correttezza ed anzi un comportamento lesivo della dignità della persona che ha nuociuto pure all'immagine della scuola e dell'amministrazione, anche per via dell'impatto mediatico del caso».
Ciò ha comportato l'attivazione di un procedimento disciplinare nei confronti della Dirigente scolastica, nel corso del quale i fatti contestati hanno trovato conferma. Il comportamento tenuto ha violato gli obblighi previsti dall'articolo 14, comma 4, contratto collettivo nazionale di lavoro Area V - dirigenti scolastici che dispongono che: «In relazione allo specifico contesto della comunità scolastica, e alfine di migliorare costantemente la qualità del servizio, il dirigente deve in particolare:
a) assicurare il rispetto della legge, nonché l'osservanza delle direttive generali e di quelle impartite dall'amministrazione e perseguire direttamente l'interesse pubblico ...; c) nello svolgimento della propria attività, stabilire un rapporto di fiducia e di collaborazione nei rapporti interpersonali con gli utenti, ..., mantenendo una condotta uniformata a princìpi di correttezza e astenendosi da comportamenti lesivi della dignità della persona o che, comunque, possano nuocere all'immagine dell'amministrazione; d) nell'ambito della propria attività, ..., mantenere un comportamento conforme al ruolo di dirigente pubblico, ...».
Il procedimento disciplinare si è concluso con l'irrogazione alla Dirigente scolastica della sanzione della sospensione dal servizio e dal trattamento economico per mesi tre, per aver tenuto un «qualsiasi comportamento dal quale sia derivato grave danno all'amministrazione o a terzi, salvo quanto previsto dal comma 7» e aver compiuto «atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, lesivi della dignità della persona» ai sensi dell'articolo 16, comma 8, lettera
g) e i), del contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento.
Il Dirigente generale ha comunque ritenuto opportuno evidenziare che il grave episodio discriminatorio rimane un fatto isolato nella comunità scolastica di riferimento dove è viva l'attenzione delle istituzioni locali «alla promozione dello sviluppo relazionale e formativo di ciascun alunno ed all'attuazione del processo di integrazione

scolastica dello studente diversamente abile, nel pieno esercizio del diritto allo studio».
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro per i rapporti con il Parlamento. - Per sapere - premesso che:
il settimanale L'Espresso del 10 marzo 2011 ha pubblicato un articolo, siglato G.F., dal titolo: «Caso Ustica, non toccate i generali»;
nel citato articolo, si sostiene che «i familiari delle vittime sono avvertiti: rischierà una sonora querela chiunque sosterrà che il DC-9 dell'Itavia fu abbattuto sui cieli di Ustica il 27 giugno del 1980 durante un combattimento aereo tra velivoli militari o da un missile, tirando in ballo depistaggi della nostra Aeronautica militare. Per il governo, che mette in campo i risultati di tutti i processi e di tutte le commissioni di esperti che hanno lavorato attorno alla tragedia, c'è una sola verità: a far esplodere l'aereo fu una bomba. E 31 anni dopo ha incaricato il ministro per i Rapporti con il Parlamento di vigilare sul rispetto di questa versione, anche tramite l'Avvocatura dello Stato, onde tutelare l'onore dell'Aeronautica e dei suoi generali se qualche scettico dovesse tornare a ipotizzare loro responsabilità»;
quella relativa alla strage di Ustica è, secondo affermazioni del giudice Rosario Priore: «una verità indicibile, quella che non è stato possibile rivelare in occasione dell'inchiesta giudiziaria, come del resto è capitato in molte altre inchieste su episodi oscuri della storia italiana recente, a cominciare dalle stragi e dai legami internazionali del nostro terrorismo... la strage di Ustica è un caso coperto dall'omertà internazionale, che è ancora più impenetrabile di quella di una semplice cosca mafiosa siciliana o di una 'ndrina calabrese... l'ipotesi di un cedimento strutturale dell'aereo fu esclusa quasi subito dai periti. Quella di una bomba esplosa all'interno dell'aeromobile, nel vano della toilette, è stata sostenuta a lungo, e ancora oggi c'è ancora chi ne è convinto. Ma è poco credibile, perché le parti principali di questo vano sono state ripescate e su di esse non c'era alcuna traccia di esplosione. No, questa ipotesi non è sostenibile, anche se i periti non hanno mai raggiunto l'unanimità dei pareri... l'ipotesi dell'aereo colpito da un missile è la più probabile. Anche se ce n'è una quarta che ha un certo grado di attendibilità, quella della «near collision» una quasi collisione con un altro aereo... È evidente che il DC-9 fu abbattuto da uno o più aerei militari sicuramente indirizzati verso l'obiettivo di un'efficiente «guida caccia», un potente sistema radar in grado di «vedere» anche a centinaia di chilometri di distanza...», e per quanto riguarda i depistaggi, «È successo di tutto. Testimonianze false, distruzione di documenti, testimoni scomparsi. Nastri con tracciati radar tagliati nei minuti di maggior interesse o fatti addirittura sparire. Per non parlare dei registri, poiché i tracciati radar si conservano anche sul cartaceo: in alcune basi non abbiamo trovato nemmeno quelli. In altre è successo di peggio: abbiamo trovato i registri, ma con fogli mancanti, ed erano proprio quelli della sera del 27 giugno 1980. Tagli netti, fatti addirittura con la lametta...» (dal libro Intrigo internazionale realizzato con la collaborazione del giornalista Giovanni Fasanella, e pubblicato dalle edizioni Chiarelettere);
tale versione, autorevolmente sostenuta, non può, ad avviso degli interroganti, né essere censurata, né tantomeno, essere oggetto di «sonora querela» -:
se quanto riferito da L'espresso corrisponda a verità;
in particolare se sia vero che sia stato incaricato, e da chi, il Ministro per i

rapporti con il Parlamento di «vigilare» sul rispetto della versione secondo la quale il DC-9 Itavia sia esploso a causa di una bomba collocata a bordo.
(4-11148)

Risposta. - Con riferimento al quesito formulato dall'interrogante in ordine ad un presunto incarico del Ministro per i rapporti con il Parlamento di «vigilare sul rispetto della versione secondo cui il DC9 Itavia sarebbe esploso a causa di una bomba collocata a bordo», riportato in un articolo apparso a pagina 18 de L'Espresso del 10 marzo 2011, si osserva quanto segue.
Premesso che gli estensori dell'atto di sindacato ispettivo prendono spunto da un articolo stampa non firmato e così superficiale nelle conclusioni da non avvedersi neppure del fatto che il senatore Giovanardi ha rivestito l'incarico di Ministro per i rapporti con il Parlamento nella XIV legislatura, si ritiene doveroso sgombrare il campo da qualsiasi gratuita illazione che possa indurre ad errate deduzioni.
Ovviamente, ma la verve sarcastica dell'articolista forse lo lasciava supporre, non esiste alcun incarico in tal senso, né alcun mandato ad elevare «querela» nei riguardi degli «scettici» che vorranno continuare a propalare tesi diverse da quelle emerse dai procedimenti penali sulle cause del disastro di Ustica.
L'occasione è però propizia per ribadire alcuni concetti peraltro già espressi in risposta ad iniziative di sindacato ispettivo su analoghi contenuti, soprattutto in riferimento alla questione del
dépliant illustrativo distribuito presso il museo della Memoria di Bologna, da cui anche l'articolo de L'Espresso prende le mosse.
Ciò che il senatore Giovanardi, in qualità di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sta doverosamente facendo, in relazione a detto caso, solo indirettamente risponde all'esigenza di «tutelare l'onore dell'Aeronautica e dei suoi generali».
Lo scopo fondamentale e prioritario è quello di contrastare le false verità messe in circolo sull'argomento, per dare posto solo a quanto è stato documentalmente «accertato» nei lunghi anni di istruttoria formale e di dibattimenti processuali in Corte di Assise e in Cassazione.
Ancor più precisamente, chi ha parlato di «depistaggio» sulle cause dell'abbattimento del DC9 è stato l'estensore del citato
dépliant. In esso è scritto: «L'ipotesi di una bomba collocata a bordo, per lungo tempo contrapposta all'abbattimento nel corso di una operazione militare, si è rivelata un tentativo di sviare tanto le indagini quanto la consapevolezza dell'opinione pubblica, in una formula: depistaggio». Una tale frase, scritta in un documento distribuito in un luogo pervaso dalla sacralità che meritano le 81 vittime del disastro aereo, non può non essere «censurata», essendo essa condivisa da uno solo dei tanti protagonisti «istituzionali» (il giudice istruttore Rosario Priore) che si sono occupati per lunghi anni della vicenda.
È bene ricordare, in proposito, che il giudice istruttore Priore non emise alcuna sentenza di condanna, ma con la sua sentenza-ordinanza si limitò ad assolvere, rinviare ad altro giudice o rinviare a giudizio. Nessuno dei procedimenti scaturiti dall'inchiesta più lunga ed ampia della storia d'Italia si è concluso con alcuna sentenza di condanna. Bisogna, dunque, sottolineare - ancora una volta - la strumentalità (a chi, in altra situazione, verrebbe in mente di considerare colpevole un imputato prosciolto da una sentenza passata in giudicato sulla base della richiesta di rinvio a giudizio fatta dal pubblico ministero al termine delle sue indagini e prima ancora dello svolgimento del processo vero e proprio?) di quanti utilizzano in termini definitori il solo atto giudiziario «endoprocessuale» (non conclusivo) favorevole alle proprie tesi, smentito dalla successiva sentenza e in tutti gli ulteriori gradi di giudizio.
La ricostruzione di Priore fu, peraltro, contraddetta dagli stessi tre pubblici ministeri impegnati nell'istruttoria formale, da più commissioni peritali (e soprattutto da quella, nota come commissione «Misiti», che era composta da 10 periti internazionali scelti tra i più esperti in materia di incidentistica aerea) e dal Presidente della commissione «stragi», senatore G. Pellegrino.


A ciò occorre aggiungere che, in sede di motivazioni della sentenza d'appello, fu esclusa (con conferma della stessa Cassazione) la presenza di aerei, nel posto e nell'ora del disastro aereo, e la possibilità che fosse stato un missile ad abbattere il velivolo Itavia.
È doveroso ricordare che alle stesse conclusioni, recepite dalle sentenze, era giunto nella XIII legislatura il deputato radicale Marco Taradash, cofirmatario insieme al compianto collega Fragalà e al senatore Manca, della bozza di relazione di minoranza che costituì l'unico documento su caso Ustica elaborato dalla commissione Stragi in quella legislatura.
Stando così le cose (e nessuno può documentalmente sostenere il contrario), appare doverosa e quanto mai opportuna, come si conviene in uno Stato di diritto, un'azione tesa al rispetto della verità processuale.
Ci si domanda infine, e lo si chiede agli esponenti di una parte politica che ha fatto per lungo tempo del garantismo una delle sue bandiere, se sia giusto e condivisibile continuare a mettere alla berlina (come si fa nel
dépliant del museo della Memoria) generali dell'Aeronautica militare, nonostante nel documenti processuali ufficiali vi sia scritto che, in caso di loro condanna, «si sarebbe trattato di una vergogna perché si sarebbero condannate o ritenute responsabili di un reato persone nei cui confronti vi era un difetto assoluto di prove».
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Carlo Giovanardi.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
numerose organizzazioni e associazioni di ragazzi disabili hanno denunciato che ai prossimi giochi della gioventù, edizione 2011 che si terranno a Nove i portatori di handicap saranno esclusi, a seguito di una decisione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
detta esclusione appare in netto contrasto con le politiche sull'integrazione scolastica e costituisce un'odiosa e inaccettabile discriminazione nei confronti di ragazzi di nulla colpevoli e solo più sfortunati dei loro coetanei -:
quali siano le ragioni che hanno portato il ministro ad assumere la decisione di escludere dai giochi della gioventù dei ragazzi portatori di handicap;
se non si ritenga di dover riconsiderare la decisione di cui sopra e modificare questo provvedimento antisociale.
(4-11336)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'interrogazione in esame, si premette che questo Ministero persegue fini diretti all'educazione dei giovani in vista della crescita della persona.
Le attività motorie, fisiche e sportive correlate a tale attività sono quelle che perseguono l'obiettivo di estendere la cultura della pratica sportiva, quale mezzo idoneo a veicolare irrinunciabili valori etici, ad una platea di studenti quanto più possibile vasta. In particolare, gli studenti disabili, attraverso attività motorie condotte «insieme» e non «accanto» ai normodotati, trovano momenti di inclusione estremamente efficaci suscettibili di favorire una crescita umana ed educativa anche agli stessi normodotati.
L'attenzione della scuola è quindi rivolta alla generalità degli studenti nell'intento di perseguire quell'educazione alla cittadinanza ed alla convivenza civile che si compone dell'apporto di tutti sulla base dei talenti di ciascuno.
Non vi è dubbio, infatti, che il successo formativo di ogni alunno, considerato come persona in formazione secondo potenzialità ed attitudini proprie, costituisca la finalità ultima dell'educazione che si realizza attraverso l'istruzione.
Nei momenti in cui, attraverso fasi selettive, la pratica sportiva, di carattere prevalentemente

educativo, assume connotazioni di carattere più decisamente agonistico, si entra in uno spazio certamente più prossimo e congeniale alle finalità dei partners istituzionali del ministero nel settore sportivo, quali il Comitato olimpico nazionale italiano (C.O.N.I.) e il Comitato italiano paralimpico (C.I.P.), il cui obiettivo è quello di individuare e coltivare eccellenze che possano dare lustro al Paese con il loro inserimento nelle rappresentative che partecipano a manifestazioni sportive nazionali ed internazionali.
Così, pur coltivando tutti i soggetti coinvolti i profili preminenti delle proprie finalità istituzionali, non possono essere estranee agli organismi sportivi finalità educative, così come non può essere estraneo a questo Ministero, accanto alla possibilità di partecipazione aperta a tutti ed al sostegno agli studenti più deboli, la valorizzazione delle eccellenze.
Va precisato che la vicenda specifica deve essere collocata nel più ampio contesto della disciplina di raccordo tra il settore delle attività sportive nella scuole e quello dello sport agonistico a cui sono istituzionalmente preposti il Comitato olimpico nazionale italiano e, relativamente all'attività sportiva per i disabili, il Comitato italiano paralimpico.
I giochi sportivi studenteschi sono promossi ed organizzati dal ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in collaborazione con il C.O.N.I. ed il C.I.P., sulla base di appositi protocolli d'intesa a cui le federazioni sportive nazionali e le discipline associate riconosciute dal Coni fanno riferimento.
Intento comune di tutti i soggetti istituzionali coinvolti è la cooperazione, ispirata alle linee guida emanate da questo ministero in data 4 agosto 2009, nella promozione per la generalità degli studenti dell'educazione motoria e sportiva, intesa quale espressione di un corretto stile di vita che consente di prevenire il disagio scolastico e favorire lo sviluppo dell'educazione alla legalità e solidarietà, nelle loro accezioni più ampie.
Per gli alunni portatori di
handicap il processo di integrazione scolastica intende prevenire e superare la dispersione scolastica e la marginalità sociale valorizzando lo sviluppo della pratica motoria e sportiva come mezzo di apprendimento e di coesione sociale e quale contributo nella costruzione di una positiva personalità ed autostima.
I sopra menzionati accordi rinviano la loro precisa attuazione a specifici allegati tecnici predisposti congiuntamente dalle istituzioni interessate ed elaborati all'inizio dell'anno scolastico.
Il progetto tecnico relativo all'anno scolastico 2010/2011 prevedeva che le finali nazionali venissero organizzate dalle federazioni sportive che avevano manifestato il loro interesse e che avevano partecipato alle fasi precedenti dei giochi sportivi studenteschi, in collaborazione con gli uffici preposti di questo ministero, del Coni e del Cip.
Lo stesso progetto tecnico riservava l'affidamento dell'organizzazione delle finali nazionali alle federazioni sportive interessate in quanto, trattandosi di manifestazioni rivolte alle eccellenze emerse nelle scuole dalle attività di avviamento alla pratica sportiva e, quindi, alla loro contiguità con pratiche agonistiche di rilevante interesse per le federazioni medesime, rispondevano alla loro intrinseca natura.
Invece, nelle loro fasi iniziali i giochi sportivi studenteschi rappresentano un percorso di avviamento alla pratica sportiva in diverse discipline e, seppur realizzati in ambito
extracurricolare, si pongono in una logica di prosecuzione e sviluppo del lavoro che i docenti di educazione fisica svolgono nell'insegnamento curricolare.
A questo ministero ed ai suoi uffici territoriali compete la gestione dell'attività sportiva degli studenti nelle fasi di istituto, comunale, provinciale e regionale e, relativamente alla corsa campestre, la selezione è stata effettuata in tutte le regioni per ogni categoria di studenti.
Per quanto riguarda la fase nazionale, si è avuto, a partire dall'anno scolastico 2009/2010, un notevole incremento delle discipline sportive presenti nelle finali nazionali dei giochi sportivi studenteschi, arrivando a coinvolgere circa venti discipline rispetto

alle tradizionali quattro/cinque con le quali si esauriva lo specifico panorama di attività.
È, peraltro, vero che sin dalla diramazione della circolare all'inizio dell'anno scolastico l'allegato tecnico puntualizzava che, per l'atletica leggera campestre, la compartecipazione del Comitato italiano paralimpico con la federazione sportiva competente era eventuale, pur rimanendo ferma la possibilità per gli alunni con disabilità di partecipare alle attività di qualsiasi altra disciplina sportiva.
In proposito il Comitato italiano paralimpico, che, giova ricordano, è il massimo organismo pubblico preposto istituzionalmente alla cura dello sport per i disabili, nell'ambito delle proprie scelte di politica sportiva non ha ritenuto di dover organizzare le finali nazionali di corsa campestre, orientandosi su altre discipline sportive altrettanto rilevanti sul piano dell'educazione e dell'inclusività, quali le fasi finali di atletica leggera svoltesi a Roma dal 23 al 27 maggio 2011.
Si è in tal modo, evidentemente, reputato opportuno aderire in via prioritaria alle finali nazionali in quel momento decise dalla competente federazione sportiva, cogliendo così l'occasione di offrire un momento di attenzione e di gratificazione a quei disabili che praticano la disciplina da ultimo menzionata le cui aspettative erano state in passato disattese.
Tutto ciò premesso, il Ministero dell'istruzione si è prodigato per la realizzazione di formule organizzative che valorizzano la più ampia partecipazione sul piano qualitativo e quantitativo e nessuna disattenzione, tanto meno la volontà di escludere i disabili dalla pratica sportiva, può essergli rivolta.
Si dovrebbe, infatti, parlare di discriminazione anche per quelle discipline per le quali le federazioni sportive non hanno ritenuto opportuno effettuare lo svolgimento delle fasi nazionali, senza con ciò contravvenire allo spirito e agli scopi dei giochi studenteschi.
Si fa presente che, sulla materia oggetto della presente interrogazione, è stata presentata la risoluzione in Commissione cultura della Camera dei deputati n. 7-00525. Nella seduta del 6 aprile 2011 la stessa Commissione, dopo ampio e approfondito dibattito, ha approvato la citata risoluzione con il n. 8-00116, che impegna il Governo «a intervenire sugli accordi con i partner istituzionali per ovviare ad una situazione discriminatoria che contrasta con la piena inclusione di questi alunni prevista dagli obiettivi prioritari della scuola dell'autonomia, anche attraverso progetti di diversità motoria e sportiva».
Inoltre, la Commissione bilancio della Camera dei deputati ha approvato in data 7 aprile 2011 la risoluzione n. 8-00117, che impegna il Governo «a destinare, con apposito decreto, una quota delle risorse di cui all'articolo 1, comma 40, quarto periodo, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, pari a sei milioni di euro, ad un contributo all'attività istituzionale del Comitato italiano paralimpico (C.I.P.)».
Il ministero ha intrapreso alcune iniziative nella direzione indicata dal Parlamento, instaurando al riguardo interlocuzioni specifiche con i partner istituzionali, al fine di incrementare la partecipazione dei disabili, nei limiti connessi alle compatibilità finanziarie.
Infatti, il rapporto sinergico instaurato con il Coni ed il Cip ha consentito, mediante la compartecipazione delle federazioni sportive all'organizzazione delle finali interessate al loro svolgimento, di ampliare il numero delle discipline presenti agli eventi citati. Tali nuove modalità, hanno determinato una più ampia presenza di studenti con disabilità rispetto agli anni precedenti.
Pertanto, non ci si può riferire alla sola corsa campestre, per la quale il Cip ha ritenuto di non organizzare le finali nazionali. Questa disciplina rientra tra le molteplici attività che fanno capo alla federazione italiana dell'atletica leggera, nell'ambito della quale, peraltro, si è verificata un'accresciuta partecipazione degli studenti con disabilità per quelle specialità che hanno visto lo svolgimento della rispettiva finale nazionale.
L'attenzione di questo ministero alla pratica sportiva degli alunni disabili ha

trovato un ulteriore momento di conferma nelle recenti finali nazionali di vela svoltesi a Policoro (MT). In tale circostanza, infatti, la federazione interessata, di intesa con il ministero, ha organizzato, al di fuori delle competizioni connesse alle finali, una manifestazione collaterale con imbarcazioni appositamente predisposte per i disabili. Ciò quale segnale di ulteriore doverosa attenzione nei riguardi di tali allievi.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

FEDI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la comunità italo-australiana ha manifestato, attraverso una petizione che ha raggiunto oltre 15,000 sottoscrittori, la propria ferma opposizione alla prospettata chiusura dei Consolati di Adelaide e Brisbane;
i Comitati degli italiani all'estero d'Australia (Com.It.Es.), i rappresentanti al Consiglio generale degli italiani all'estero (C.G.I.E.), i rappresentanti di Associazioni nazionali e regionali e tutte le istanze rappresentative della comunità italiana, hanno unanimemente protestato contro tale scelta del Governo;
il Governo federale australiano, i Governi statali ed i Parlamenti federale e degli Stati d'Australia, hanno espresso legittime preoccupazioni per le prospettate chiusure di Adelaide e Brisbane chiedendo una modifica della decisione;
i cittadini italiani-utenti i servizi consolari chiedono rapporti forti con le istituzioni italiane e servizi efficienti dalle pubbliche amministrazioni del nostro Paese;
i continui tagli e le riduzioni di bilancio si sommano ai problemi organizzativi di una rete consolare che necessita invece piena dignità poiché rappresenta oggi un essenziale elemento di collegamento con le comunità italiane oltre ad essere al servizio del sistema Italia nel mondo;
i rapporti bilaterali tra l'Italia e i vari Stati d'Australia, i progetti regionali, la partecipazione australiana a importanti manifestazioni fieristiche nazionali e regionali, il livello dell'interscambio tra i due Paesi, si fondano su una reciprocità di impegno che la chiusura dei Consolati di Adelaide e Brisbane pone in dubbio;
il Governo italiano si era impegnato a comunicare al più presto un nuovo piano di riorganizzazione della rete consolare nel mondo -:
se si intenda mantenere operative le sedi consolari di Adelaide e Brisbane assicurando la pubblicità delle stesse alla scadenza del mandato di sede degli attuali consoli.
(4-05816)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Come noto, i provvedimenti riguardanti le sedi consolari di Adelaide e Brisbane rientrano nel più generale piano di razionalizzazione della rete estera che è stato presentato, in più occasioni a partire dal maggio 2009, alle Commissioni esteri della Camera e del Senato, alle organizzazioni sindacali ed al Cgie.
Parallelamente, prosegue l'impegno della Farnesina nella realizzazione di innovative piattaforme informatiche, progetto cui è stato attribuito particolare rilievo sotto il duplice profilo dei tempi di realizzazione e delle risorse dedicate, nel perseguimento dell'obiettivo di garantire sia la promozione degli interessi nazionali, sia l'assistenza alle collettività italiane residenti all'estero.
Inoltre il Governo si è impegnato, nell'ambito del piano di razionalizzazione della rete estera, a rafforzare le sedi consolari che riceveranno le competenze dagli uffici in chiusura, permettendo il mantenimento di alti livelli qualitativi nell'erogazione dei servizi ai cittadini e riducendo al minimo

qualsiasi disagio possa scaturire dalla chiusura delle sedi.
Gli accorpamenti degli uffici consolari di Adelaide e Brisbane con, rispettivamente, i consolati generali di Melbourne e Sydney, rimangono contemplati nell'ambito del piano di razionalizzazione, sebbene tali provvedimenti non siano stati ancora oggetto di formale delibera da parte del Consiglio di amministrazione di questo Ministero.
Proprio per questo motivo, la decisione concernente le sedi citate risulta, attualmente, subordinata al rispetto della moratoria di dodici mesi per l'attuazione del piano di razionalizzazione, approvata dal Senato della Repubblica nella seduta del 25 maggio scorso.
Da ultimo, si segnala che - allo spirare del termine indicato - i provvedimenti di razionalizzazione sinora prospettati saranno oggetto di una rinnovata valutazione, anche alla luce dell'implementazione dei sistemi di erogazione a distanza dei servizi consolari.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

ANIELLO FORMISANO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il comune di Carife (Avellino) è stato incluso nell'elenco dei comuni «gravemente danneggiati» dal sisma del 23 novembre 1980 e per tale motivo, fu ammesso a fruire dei finanziamenti di cui alla legge n. 219 del 1981 e successive modificazioni, dall'anno 2001 all'anno 2006;
gli stanziamenti ottenuti a favore della ricostruzione furono ripartiti dal consiglio comunale con proprie deliberazioni:
delibera CIPE n. 46/2001 di euro 1.042.726,48, riparto operato con deliberazione del consiglio comunale n. 8 del 2002;
delibera CIPE n. 123/2003 di euro 600.000,00 riparto operato con deliberazione del consiglio comunale n. 34 del 2004;
delibera CIPE n. 37/2006 di euro 700.000,00 riparto operato con deliberazione del consiglio comunale n. 2 del 2007;
gli stanziamenti di cui alla legge n. 219 del 1981 e successive modificazioni sono «fondi a destinazione vincolata e a contabilità speciale» e quindi da impiegarsi esclusivamente per le finalità stabilite dalla legge;
il totale degli stanziamenti, ammontante a 2.342.726,48 euro doveva essere impiegato principalmente per l'assegnazione di decreti di ricostruzione a favore dei soggetti terremotati inclusi negli elenchi delle priorità a) e b) dell'articolo 3 della legge n. 39 del 1992, così come prescritto dalla legge e determinato dal consiglio comunale con le deliberazioni sopra citate;
dalla scheda «Movimenti e situazioni relativi al mese di luglio 2009 - contabilità speciale comune di Carife legge n. 219/81» della Banca d'Italia - Tesoreria dello Stato - Sezione di Avellino, risulta che tali stanziamenti siano stati tutti spesi senza che un decreto di ricostruzione o di riparazione sia stato assegnato;
gli ultimi decreti di ricostruzione erogati dal comune di Carife risalgono, infatti, all'anno 2002, ma nessuno di essi risulta liquidato con i fondi assegnati dal CIPE nell'anno 2001 (delibera CIPE n. 46/2001) ma con fondi della delibera CIPE n. 163/1999;
gli stanziamenti assegnati al comune di Carife con le delibere CIPE sopra citate dovevano essere impegnati così come stabilito e ripartito dalle deliberazioni consiliari del comune sopra citate;
il comune di Carife non ha mai adottato provvedimenti modificatori di quanto precedente mente deliberato;

la parte di finanziamenti destinati all'assegnazione di buoni/contributi ai cittadini aventi diritto era di 1.699.044,86 euro, e, per quanto risulta all'interrogante, nessuna erogazione di decreti di ricostruzione o di riparazione è arrivata agli stessi;
dalla Banca d'Italia, tesoreria dello Stato, sezione di Avellino dal 2002 ad oggi, i fondi della legge n. 219 del 1981 sono stati puntualmente prelevati dal comune di Carife con la precisa motivazione di destinazione degli stessi per l'edilizia privata connessa con il sisma;
allo stato attuale la disponibilità di cassa, relativa alla contabilità speciale della legge n. 219 del 1981 del comune di Carife, presso la tesoreria provinciale della Banca d'Italia di Avellino, e pari alla somma di euro 0,00;
dalla documentazione contabile si desume che ai fondi di cui alla legge n. 219 del 1981 e successive modificazioni, il comune di Carife attinge per il pagamento di proprie spese gestionali che dovrebbero, invece far capo ad altri capitoli del bilancio ordinario -:
se i Ministri non ravvisino la necessità di effettuare i rilievi e gli accertamenti necessari a verificare la situazione sopra esposta in considerazione dell'imminente ulteriore accreditamento da parte del CIPE di fondi ex legge n. 219 del 1981 e successive a favore del comune di Carife.
(4-11349)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale nell'evidenziare che il comune di Carife (Avellino), incluso nell'elenco dei comuni gravemente danneggiati dal sisma del 23 novembre 1980, è stato ammesso a fruire dei finanziamenti previsti dalla legge n. 219 del 1981, da impiegarsi esclusivamente per le finalità di ricostruzione a favore dei soggetti terremotati, si chiede se non si ravvisi la necessità di effettuare accertamenti al fine di verificare il corretto utilizzo dei fondi in questione.
Al riguardo, in via preliminare si fa presente che il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - servizi ispettivi di finanza pubblica, in sede di programmazione annuale seleziona gli enti che presentano particolari criticità, al fine di un eventuale inserimento nel programma ispettivo, compatibilmente con gli obiettivi fissati dalla direttiva ministeriale sull'azione amministrativa, alla quale la programmazione annuale si ispira.
Con specifico riferimento al caso segnalato, si assicura, pertanto, che sarà valutato l'inserimento del comune di Carife nelle future programmazioni.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Alberto Giorgetti.

ANIELLO FORMISANO, BARBATO e PALAGIANO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
alla fine degli anni '90 risulta all'interrogante che il pubblico ministero di Napoli faceva espressa richiesta di arresto del senatore Nespoli (a quel tempo deputato) in quanto nella veste di «sindaco occulto» voleva imporre l'assunzione di 250 persone presso il centro commerciale IPERCOOP di Afragola, l'arresto non venne convalidato dal GIP e il senatore Nespoli fu rinviato a giudizio per tentata concussione continuata, il processo in I grado si chiuse con una sentenza di condanna a più di due anni di carcere, in appello il senatore Nespoli fu assolto, ma la Cassazione, accogliendo il reclamo della procura della corte d'Appello di Napoli, ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione e ordinato un nuovo processo a suo carico;
nel 2008 il senatore Vincenzo Nespoli veniva eletto anche sindaco del comune di Afragola;
in data 23 marzo 2010 il programma della RAI Report trasmetteva un'inchiesta in cui emergeva: che la società SEAN Immobiliare, che sta costruendo il «Parco San Marco» in Afragola, consistente nella realizzazione di 40 appartamenti, 13 villette a schiera e 5 ville unifamiliari, è

amministrata dalla moglie del senatore Nespoli; che risultano indagati due amministratori della società stessa tale Camillo Giacco (nipote del senatore Nespoli) ed Enrico Esposito, entrambi consiglieri comunali di Afragola e che i consulenti della Sean Immobiliare sono gli stessi consulenti dell'amministrazione comunale;
il 12 maggio 2010, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli ha emesso un'ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del senatore Nespoli, sindaco di Afragola, nell'ambito del procedimento n. 49058/07 R.G.N.R. - 16698/08 R.G. GIP;
il 14 maggio 2010 il tribunale di Napoli ha presentato al Senato della Repubblica domanda di autorizzazione a procedere alla suddetta misura cautelare, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 140 del 2003;
le motivazioni per cui era stata richiesta la misura cautelare sono le seguenti:
in ordine al delitto previsto e punito dell'articolo 110 del codice penale, decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, perché solo o in concorso con altre persone in corso di identificazione, quale esponente politico di riferimento, più volte candidato, nelle liste del partito politico di appartenenza allora denominato Alleanza nazionale, alla Camera dei deputati e comunque per le elezioni della XIV legislatura tenute nel maggio 2001 e della XV legislatura tenute nell'aprile 2006, dominus occulto del «la Gazzella» e della politica di assunzioni presso la stessa, si faceva prima promettere e poi consegnare da più persone la somma di euro trentamila per ciascuno e la promessa del voto elettorale per le elezioni, in corrispettivo della promessa di assunzione quale guardia giurata presso la società di vigilanza «la Gazzella», assunzione poi effettivamente conseguita dalle persone finora identificate, fatti accertati nel 2009 in Afragola e Napoli;
in ordine al delitto (p. e p. dagli articoli 110 del codice penale, 61 n. 2 del codice penale, 223 comma primo e secondo e n. 2) seconda ipotesi, 61 n. 2 perché, dopo aver commesso i reati di cui al precedente punto ed in particolare aver ricevuto le somme ivi descritte quale corrispettivo delle promesse di assunzione, quale proprietario di fatto, amministratore occulto, beneficiano economico e comunque dominus della società «la Gazzella», dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Napoli in data 23 maggio 2007 con un passivo di 25 milioni di euro, in concorso con i formali amministratori pro tempore della stessa, al fine di dare corso alla promessa di assunzione descritta, in deliberata violazione delle regole sulle assunzioni, poneva in essere più operazioni dolose tra le quali l'assunzione di trenta nuovi dipendenti del tutto inutili e comunque esorbitanti rispetto alle esigenze della società fallita che già versava in stato di decozione e i cui relativi costi ammontanti ad 360.000 euro circa per anno gravanti sul bilancio della società determinavano il dissesto della stessa;
in ordine al delitto p. e p. dagli articoli 110 del codice penale, 216 nn. 1 e 2, 219 primo e secondo comma n. 1, 223 LF perché, quale proprietario di fatto, amministratore occulto, beneficiano economico e comunque dominus della società «la Gazzella» dichiarata fallita, in concorso con gli amministratori pro tempore, ponendo in essere ripetute condotte volte ad appropriarsi del denaro proveniente dagli attivi della società sia mediante prelievi in contanti, sia incassando direttamente i corrispettivi ricevuti dai clienti;
a) si appropriava:
delle somme dovute all'erario per le imposte, all'INPS e all'INAIL per oneri contributivi e assicurativi, ai dipendenti quali TFR;
delle somme da destinare in tutto o in parte al venditore per il pagamento delle quote di proprietà della stessa società;

delle somme destinate ad alimentare il cantiere edilizio della SEAN Immobiliare;
b) nonché sottraeva, distruggeva e falsificava in tutto o in parte, con lo scopo di recare a sé ed altri un ingiusto profitto e comunque di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le altre scritture contabili o li teneva comunque in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari e segnatamente:
falsificava le quietanze bancarie su circa 30 modelli F24 per complessivi 867.637,40 euro;
falsificava l'attestazione di deposito delle domande di dilazione del pagamento del debito per omessi contributi della Gazzella verso l'INPS in particolare utilizzando, per provare l'avvenuto deposito, un timbro INPS non più in uso dal 2001 perché oggetto di furto;
distruggeva e comunque occultava, in ulteriore e separato concorso il presidente del consiglio d'amministrazione e giuridicamente obbligato ai rapporti con la prefettura, il cosiddetto registro degli affari, previsto come obbligatorio dall'articolo 135 regio decreto 18 giugno 1931 per l'annotazione degli affari giornalieri e quindi indispensabile per la precisa e completa ricostruzione del movimento degli affari;
simulava, indicando per importi ridotti nelle fatture emesse, il prezzo di vendita, di alcuni beni mobili di proprietà della fallita società, per i quali il maggior prezzo nella realtà effettivamente pagato dagli acquirenti veniva trattenuto dai venditori;
in ordine al delitto p. e p. dagli articoli 110 del codice penale, 216 nn. 1 e 2, 219 primo e secondo comma n. 1, 223 LF perché quale proprietario ed amministratore di fatto, beneficiario economico e dominus della società la Gazzella, quale amministratore di fatto delle società ISS International Security service e Mondial Security srl facenti capo ad una famiglia il cui nome è in omissis, in concorso tra loro e con l'amministratore unico della Gazzella e del presidente del consiglio di amministrazione, distraevano le attività costituite dall'avviamento e dalle commesse di lavoro relative a numerosi clienti quali Unieuro Porte di Napoli, banca popolare di Ancona, banca popolare di Bari, Condotte Acqua spa ed altri, e per l'ammontare di 960.000 euro, parziale finora accertato, in particolare effettuando la cessione delle stesse in epoca precedente o prossime alla sentenza dichiarativa di fallimento, ad altre società operanti nel ramo quali la ISS International Security Service e la Mondial Security srl facenti capo alla famiglia in omissis, senza alcun corrispettivo per la società fallita;
in ordine al delitto p. e p. dagli articoli 110, 81 cpv, 648-bis, codice penale perché in concorso tra loro e con altre persone, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e fuori dai casi di concorso nei reati presupposto, anche avvalendosi, il senatore Nespoli, quale primo richiedente e beneficiario economico, e l'organizzatore del complesso delle operazioni necessarie allo scopo ed esecutore dei singoli movimenti economici sia in prima persona che attraverso terze persone, sostituivano e trasferivano danaro per l'ammontare complessivo di oltre trecentomila euro, proveniente da delitti in corso di accertamento e in particolare, richiedendo in prima persona o facendo richiedere a più persone alle quali separatamente forniva la provvista di danaro contante, l'emissione di assegni circolari a beneficio di altri nominativi, assegni che venivano poi girati con la sottoscrizione apparente apposta dai rispettivi beneficiari e versati su i conti correnti bancari della SEAN Immobiliare, società facente capo a Nespoli, conti correnti in essere presso le agenzie della Banca Popolare di Ancona, filiale di Casalnuovo e Unicredit filiale del Centro Direzionale di Napoli, compivano rispetto alle predette somme di danaro più operazioni in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa;

in data 30 maggio 2010 alcuni consiglieri comunali e responsabili cittadini di partiti politici di Afragola, hanno inviato una lettera al prefetto di Napoli, nella quale chiedevano se nell'ambito delle prerogative di cui al comma 4 dell'articolo 59 del decreto legislativo n. 267 del 2000, non intendesse verificare la sussistenza dei presupposti per la misura cautelare di sospensione dalla carica di sindaco del senatore Nespoli;
in data 20 luglio 2010 l'aula del Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere all'esecuzione dell'ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del senatore Vincenzo Nespoli;
il 18 giugno 2010 il prefetto di Napoli rispondeva che il Ministero dell'interno, pur tenendo presente «che nei confronti dei titolari di cariche elettive negli enti locali, l'articolo 59 del TUEL, al comma 1, lettera c), prevede la sospensione di diritto solo per coloro nei cui confronti l'autorità giudiziaria ha applicato, con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione» ha pertanto ritenuto che, al momento, potrebbero non ritenersi verificati i presupposti per il concretizzarsi della fattispecie dell'interdizione temporanea dell'interessato dalle funzioni sindacali e dell'adozione del provvedimento di sospensione dalla carica, sottolineando che anche il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione all'esecuzione della misura cautelativa degli arresti domiciliari nei confronti del senatore Nespoli;
risulterebbe all'interrogante che all'indomani dell'elezione del senatore Vincenzo Nespoli a sindaco del comune di Afragola, sia stato rescisso il contratto con la ditta che fino a quel momento aveva svolto il servizio di nettezza urbana, la Ego Eco, e che sia stato affidato l'appalto alla ditta «igiene urbana» che risultava segnalata per reati di natura ambientale, per i delitti di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, per truffa, nonché per il reato di attività di rifiuti non autorizzata;
alcuni consiglieri comunali di Afragola (Napoli) hanno presentato una richiesta di riesame dell'istanza di sospensione dalla carica nei confronti del sindaco, ai sensi dell'articolo 59, comma 1, lettera a) e comma 4 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
in data 2 maggio 2011 la prefettura di Napoli rispondeva «...Al riguardo è stato nuovamente interessato il Ministero dell'interno, il quale ha fatto presente che non è dato rilevare, allo stato, la sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 59 del citato decreto legislativo n. 267 del 2000, confermando quanto già evidenziato in precedenza dallo stesso Dicastero» -:
se il Ministro interrogato ritenga di voler confermare quanto sopra espresso dalla prefettura di Napoli o non intenda assumere iniziative dirette ad evitare di ricreare una situazione simile a quella verificatasi nel comune di Fondi anche per il comune di Afragola in particolare se il Ministro interrogato, alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, non ritenga opportuno inviare al comune di Afragola una commissione d'accesso per acquisire dati, documenti e notizie al fine di verificare eventuali infiltrazioni malavitose e collusioni con la criminalità organizzata, valutando la sussistenza dei presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale o per l'emanazione del provvedimento cautelare di sospensione dall'incarico del sindaco.
(4-11867)

Risposta. - Le vicende relative alla gestione del comune di Afragola (Napoli) sono attentamente seguite dalla locale prefettura che ha svolto un approfondito esame sulle vicende giudiziarie che hanno interessato il sindaco.
La decisione adottata nello scorso mese di marzo 2011 dal tribunale del riesame - che ha respinto la richiesta di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari - non ha avuto conseguenze sulla possibilità di sospensiva della funzione sindacale, in quanto la misura cautelare non ha trovato concreta esecuzione, a seguito del diniego dell'autorizzazione a procedere da parte della competente Giunta del Senato.


Nei confronti dell'amministrazione comunale è comunque in atto una costante attività di monitoraggio.
Allo stato tuttavia a non sono emersi riferimenti specifici ed eventuali illeciti commessi dagli amministratori locali, né i presupposti di cui all'articolo 143 del decreto legislativo 267 del 2000 che riconduce l'esercizio dei poteri di accesso alla verifica della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

FRANCESCHINI, ROSATO, RUGGHIA, VILLECCO CALIPARI, GAROFANI, FIANO, MOGHERINI REBESANI, RECCHIA, LAGANÀ FORTUGNO e BRATTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la NATO sta procedendo ad una riorganizzazione delle proprie basi schierate in Europa in relazione alla mutata situazione geopolitica ed alle esigenze di carattere finanziario che impongono anche all'Alleanza risparmi di gestione;
entrambe le esigenze sono state poste, da ultimo, anche nel vertice di Lisbona, che ha approvato il nuovo concetto strategico dell'Alleanza;
il progetto di riorganizzazione, avviato da tempo, coinvolge sia le rappresentanze militari della NATO che quelle politiche;
in questo quadro si è tenuta agli inizi del mese di giugno 2011 a Bruxelles una importante riunione con la presenza delle massime autorità politiche dell'Alleanza;
i maggiori quotidiani nazionali hanno dato notizia, con un certo risalto della assenza del Ministro La Russa, arrivato in ritardo a Bruxelles, proprio in quella parte della riunione in cui si decideva la riorganizzazione di importanti comandi NATO in Europa;
a seguito delle decisioni prese in questa occasione, l'Italia si è vista privare del comando Nato-Caoc di Ferrara che dovrebbe essere riorganizzato come «Deployable Caoc Nato» probabilmente sulla stessa sede di Poggio Renatico;
senza entrare nel merito della decisione assunta in sede Nato, a parere degli interroganti, risulta inconcepibile l'assenza del rappresentate politico della Difesa italiana in una riunione che aveva all'ordine del giorno decisioni così rilevanti, mentre appare ancor più incomprensibile la mancata informazione al Parlamento, che sarebbe stato doveroso fornire nelle competenti commissioni, sull'insieme delle proposte e degli orientamenti con cui l'Italia partecipa alla discussione e alle scelte del progetto di riorganizzazione dei comandi europei dell'Alleanza -:
se ritenga doveroso illustrare al Parlamento le ragioni della sua assenza alla riunione citata in premessa, nonché le conseguenze, sia finanziarie che operative, che derivano dalle decisioni assunte per le Forze armate italiane e soprattutto il quadro più generale di proposte e richieste con cui l'Italia intende dare il suo contributo alla necessaria riorganizzazione dei comandi dell'Alleanza in Europa.
(4-12556)

Risposta. - A premessa, desidero subito sottolineare come nella recente riunione dei Ministri della difesa della Nato si sia giunti, tra l'altro, all'approvazione della nuova struttura di comando: si è trattato di una decisione fondamentale, frutto di una lunga concertazione, che consentirà all'alleanza di disporre di un'architettura più funzionale alle nuove esigenze e coerente con l'obiettivo di ridurre l'attuale numero dei comandi (da 13 a 9) e il personale assegnato (da 13.200 a 8.800 unità), in un'ottica di contenimento dei costi.
È di tutta evidenza che tutto ciò ha comportato l'accettazione da parte delle nazioni
partner di una bilanciata riduzione della presenza di strutture alleate sui propri territori.
Ciò vale anche per l'Italia che oggi ospita diversi enti e comandi Nato - a differenza di altri Paesi, cito Gran Bretagna,

Turchia e Spagna sul cui territorio insiste un'unica struttura - e che è riuscita a conservare come ci si proponeva - uno dei due comandi operativi regionali, il Joint Force Command di Napoli.
Per quanto riguarda i comandi delle operazioni aeree, è prevista una riduzione da 4 a 2 dei centri combinati per le operazioni aeree, i cosiddetti
Combined Air Operation Centre (Caoc). Nel contempo, la Nato ha deciso di costituire un Centro proiettabile di comando e Controllo Aereo (Daccc), necessario per rispondere all'esigenza derivante dagli attuali e prevedibili scenari operativi e idoneo a gestire operazioni aeree in qualunque area di crisi, colmando una lacuna oggi esistente nella struttura militare dell'alleanza.
L'Italia, accettando il trasferimento del Caoc da Poggio Renatico alla Spagna - che per inciso ha dovuto rinunciare al comando terrestre di Madrid a favore della Turchia - ha acquisito questa innovativa struttura di comando che sarà attivata e ospitata proprio a Poggio Renatico. Si tratta di un centro che, oltre a disporre di tecnologie all'avanguardia, si configura come un assetto di alta valenza operativa, più complesso ed avanzato dell'attuale Caoc, con un organico superiore di circa 100 unità.
Faccio osservare che il trasferimento del Caoc in Spagna non comporta sostanziali ripercussioni per la difesa aerea nazionale e, quindi, per la sicurezza del nostro spazio aereo. A Poggio Renatico, infatti, resterà attivata la struttura di gestione delle operazioni aeree nazionali, che ovviamente continuerà a essere integrata nell'ambito dell'alleanza, come accade in Gran Bretagna e in Francia, che da tempo non ospitano Caoc Nato.
Si tratterà anche per noi di adeguare le procedure al nuovo assetto per continuare a conciliare le funzioni Nato e la salvaguardia delle prerogative nazionali, la cui responsabilità risale per legge al Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica.
Quanto alla mia
«assenza alla riunione citata in premessa», ho già riferito presso l'assemblea della Camera dei deputati il 29 giugno 2011, in risposta al question time presentato dall'onorevole Raisi.
Come ho avuto modo di dire in quella circostanza, essendo la riunione chiave sulla nuova struttura di comando prevista solo in serata, ho deciso di giungere in tempo per la fase decisiva del vertice.
Infatti, al mio arrivo a Bruxelles ho subito partecipato a un incontro ristretto con il Segretario generale Rasmussen e con il Segretario della difesa americano Gates, proprio per trattare e trovare una soluzione al problema della nuova struttura di comando.
L'Italia, attraverso me, ha potuto così giocare un ruolo determinante per contribuire al conseguimento di questo fondamentale obiettivo della Nato, ponendo le giuste condizioni a tutela degli interessi nazionali.
Tra l'altro, ho ottenuto anche l'impegno personale del Segretario della Nato, affinché l'attivazione del Caoc spagnolo avvenga solo dopo l'entrata in funzione del Daccc a Poggio Renatico.
In sintesi, va oggettivamente riconosciuto che l'Italia si è mossa attivamente, con approccio costruttivo - come sempre, direi - per giungere a un accordo per una struttura di comando più funzionale, più coerente con i nuovi scenari e soprattutto meno onerosa sul piano finanziario, contribuendo a superare posizioni e irrigidimenti - voglio dirlo chiaramente - talvolta anche pretestuosi e strumentali di alcuni
partner.
La riduzione dei comandi rispetta criteri di bilanciamento fra le nazioni attraverso una soluzione di compromesso equa ed equilibrata; l'Italia continuerà ad ospitare una consistente aliquota di strutture Nato, tra cui il comando di Napoli, che assicurerà una valenza e una visibilità coerente con il nostro importante contributo all'alleanza.
In questo disegno di ottimizzazione riduttiva l'Italia ha, inoltre, ampiamente compensato il trasferimento del Caoc da Poggio Renatico acquisendo la nuova struttura di comando proiettabile e pretendendo che l'avvicendamento sia attuato senza soluzione di continuità.


In sostanza, abbiamo garanzia che il Caoc continuerà ad essere rilocato in Italia fino a quando la nuova struttura del Daccc sarà operativa.
Concludo facendo notare all'interrogante che quanto abbiamo deciso con gli alleati e il risultato complessivo del vertice di Bruxelles accrescono il ruolo politico e strategico dell'Italia, confermando, ancora una volta, il peso e la centralità del nostro Paese in ambito internazionale, come, peraltro, ha riconosciuto lo stesso Segretario generale della Nato affermando che «l'Italia ha fatto un buon affare e non è giusto criticare La Russa. Intanto, l'Italia, ha fatto un buon affare perché avrà un comando aereo nuovo, moderno, orientato al futuro. Nella mia proposta, avevo suggerito un personale di 185 addetti, e La Russa ne ha ottenuto invece 280. Ha negoziato, li ha avuti: per questo dico che è sbagliato criticarlo. L'Italia è per noi un forte alleato, i suoi leader politici sono sempre molto flessibili nel trovare le soluzioni: noi siamo un'alleanza basata sul consenso e abbiamo bisogno di questa flessibilità».

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

FRONER. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
dal 26 aprile 2010 è partito il servizio di posta certificata, un servizio di comunicazione elettronica, offerto gratuitamente a tutti i cittadini che ne facciano richiesta, attraverso il quale ogni cittadino può dialogare in maniera sicura con la pubblica amministrazione senza l'obbligo di recarsi personalmente presso gli sportelli della pubblica amministrazione centrale o locale per richiedere o inviare informazioni, istanze documenti;
la posta elettronica certificata garantisce un canale di comunicazione chiuso ed esclusivo fra pubblica amministrazione e cittadino. I messaggi hanno lo stesso valore legale delle raccomandate con ricevuta di ritorno;
l'utilizzo della posta elettronica certificata per il cittadino e per la pubblica amministrazione è disciplinato da una serie di provvedimenti legislativi che si sono susseguiti da 2000 al 2009: in particolare per la pubblica amministrazione il codice dell'amministrazione digitale ed il successivo decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, hanno stabilito che le pubbliche amministrazioni debbono istituire una casella di posta certificata per ciascun registro di protocollo e debbono darne comunicazione al Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica; infine che le amministrazioni debbono comunicare con i propri dipendenti tramite posta elettronica certificata;
sempre in base decreto-legge n. 185 del 2008 anche le imprese e i professionisti hanno l'obbligo di dotarsi di posta elettronica certificata: per i professionisti l'obbligo decorre dal novembre 2009, le imprese esistenti dovranno dotarsi di posta elettronica certificata entro il novembre 2011;
risulta all'interrogante che all'enfasi che ha accompagnato l'annuncio dell'avvio del servizio non ha corrisposto l'attesa celerità dell'attivazione. Da informazioni raccolte tra i cittadini sembra siano costretti ad aspettare ben più di un mese dalla richiesta e dalla regolare presentazione dei documenti in un ufficio postale, prima che l'account sia funzionante -:
quale sia la percentuale di amministrazioni pubbliche a livello centrale e periferico già dotate del servizio di posta elettronica certificata;
quale sia stato in questi mesi il numero di richieste di attivazione da parte dei privati cittadini, dei professionisti e delle imprese, quali i tempi di attesa, quante le attivazioni effettuate;
se sia stata calcolata e, in caso affermativo, quale sia la previsione complessiva di risparmio della spesa, altrimenti gravante non solo sul bilancio dello stato

e degli enti locali, ma anche dei cittadini, che può derivare dall'estensione dell'uso della posta elettronica certificata a tutti i rapporti tra pubblico e privato e viceversa.
(4-11967)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede di conoscere quale sia la percentuale di amministrazioni pubbliche a livello centrale e periferico già dotate del servizio di posta elettronica certificata, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente, si segnala che sono state effettuate costanti rilevazioni al fine di monitorare il livello di attuazione delle disposizioni contenute negli articoli 16 e 16-
bis del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, che ha riaffermato l'obbligo di utilizzare la posta elettronica certificata nelle comunicazioni fra amministrazioni e fra queste e i cittadini, già sancito negli articoli 6 e 48 del Codice dell'amministrazione digitale (Cad).
Gli indirizzi Pec delle pubbliche amministrazioni, istituiti per ogni registro di protocollo ed inseriti nell'IndicePA, sono disponibili in modalità aggiornata sull'archivio informatico accessibile attraverso il sito
www.indicepa.gov.it, fonte ufficiale e riferimento per gli adempimenti previsti per le amministrazioni.
Alla rilevazione effettuata ad aprile 2011 il numero delle amministrazioni iscritte all'indice è di 21.306, con un numero complessivo di indirizzi di posta elettronica certificata pari a 40.237.
L'interrogante chiede, inoltre, quale sia stato il numero di richieste di attivazione da parte dei cittadini, dei professionisti e delle imprese, quali i tempi di attesa e quante le attivazioni effettuate.
Si evidenzia che l'attribuzione di caselle Pec ai cittadini in modalità gratuita ha avuto inizio con una sperimentazione tramite Aci (8.860 caselle) e Inps (38.200 caselle). Successivamente, il 26 aprile 2010, è stato avviato il servizio
PostaCertificat@ al cittadino, dedicato esclusivamente ai rapporti con la pubblica amministrazione avviando nel contempo le procedure per consentire l'accesso facilitato al servizio PostaCertificat@ per quei cittadini già in possesso di adeguate credenziali di accesso on-line presso Aci, Agenzia delle entrate e Inps.
Per l'attivazione del servizio di posta certificata al cittadino è indispensabile collegarsi al portale
www.postacertificata.gov.it e seguire la procedura guidata che consente di inserire la richiesta di pre-attivazione in modalità semplice e veloce.
Successivamente, entro il tempo massimo di tre mesi, il richiedente deve recarsi presso gli uffici postali abilitati al servizio per l'identificazione ed il conseguente rilascio della casella Pec.
I dati aggiornati attinenti il numero complessivo delle Pec attivate dai cittadini è disponibile sul portale Pec appositamente dedicato.
Ad oggi il numero di richieste di attivazione di caselle
PostaCertificat@ è pari a 1.037.827.
Per quanto concerne i dati relativi alle attivazioni da parte dei professionisti in un primo tempo si è proceduto ad una stima. Successivamente, sul sito
www.innovazionepa.gov.it nella sezione relativa alle notizie, si è provveduto a pubblicare i primi esiti dell'attuazione della normativa. Ad aprile 2011, il Comitato unitario degli ordini e dei collegi professionali Cup ha quantificato a circa 1.200.000 il numero dei professionisti dotati di una casella Pec.
Con riguardo alle imprese, poi, i dati di marzo 2011 indicano che sono circa 750 mila le imprese dotate di Pec.
Infine, l'interrogante chiede se sia stato calcolato il risparmio complessivo che deriverà dal ricorso, in via esclusiva, alla Pec nei rapporti fra pubblica amministrazione e cittadini.
Al riguardo, si segnalano i dati riportati nel
dossier sul Codice dell'amministrazione digitale, pubblicato sul sito del Governo www.governo.it, che stimano il recupero di produttività della pubblica amministrazione che deriverà dalla diffusione di soluzioni tecnologiche nuove e un risparmio a regime di 200 milioni di euro a seguito dell'utilizzo della Pec, per la

riduzione delle raccomandate, cui dovranno aggiungersi i risparmi legati all'archiviazione elettronica.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

GALATI. - Al Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
una situazione altamente sconcertante si sta delineando in Calabria. Molti comuni e imprese calabresi coinvolti e impegnati nella procedura di un bando per il recupero dei centri storici della Calabria, approvato con decreto dirigenziale regionale n. 6642 del 24 aprile 2009 si ritroveranno, con molta probabilità, nel breve periodo, nella sgradita condizione di produrre debiti fuori bilancio o di adire le vie giudiziarie per il rispetto da parte della regione di obblighi derivanti da convenzioni stipulate, spostando quindi sulla regione il peso di un ingiusto debito non garantito da copertura finanziaria. Da un'attenta valutazione del nuovo assessore regionale all'urbanistica è quindi risultato che su 155 milioni di euro di investimento complessivo dei progetti, solo 23 erano infatti garantiti dalle delibere CIPE n. 35/2005 e 3/2006, mentre i rimanenti 122 milioni di euro erano stati individuati a valere sulle risorse del PAR FAS 2007/2013 dalla precedente giunta regionale, risorse che, com'è noto, sono da oltre un anno bloccate dal comitato CIPE in relazione alla nota vicenda dell'approvazione del piano di rientro del deficit sanitario in Calabria;
il nuovo assessore regionale calabrese, dunque, si trova nell'improvvida situazione di colmare un vuoto prodotto da quella che all'interrogante appare un'azzardata e censurabile scelta, operata dalla precedente giunta regionale di procedere alla sottoscrizione di convenzioni per importi non garantiti allo stato da effettive risorse e da connessi impegni di spese;
è quanto mai fondamentale, dare delle risposte positive alla regione Calabria per portare a termine un progetto serio di sviluppo dei suoi centri storici che, oltre alla loro valorizzazione, potrà rappresentare un serio intervento di risanamento di eventuali situazione considerate a rischio idrogeologico e sismico. Il Governo, quindi, non può e non deve perdere questa chiara opportunità di rilancio dell'economia calabrese -:
se il Ministro interrogato, considerato lo stato critico della situazione calabrese, intenda assumere iniziative affinché, attraverso i cosiddetti fondi FAS o eventuali altre fonti finanziare, siano garantiti tutti gli importi necessari a totale copertura del bando di sviluppo e recupero dei centri storici della Calabria.
(4-08618)

Risposta. - Va premesso che, nel novembre 2010, risulta inoltrato al Cipe, per la conseguente presa d'atto, il Programma attuativo regionale del Fondo aree sottoutilizzate della regione Calabria.
Il documento regionale citato alloca risorse, pari a 115,8 milioni di euro (di cui 18 milioni di euro risorse Programma attuativo regionale - Fondo aree sottoutilizzate rassegnabili nel 2011 ai sensi della delibera Cipe n. 1 del 2009) per il finanziamento del bando «Progetti Integrati per la Valorizzazione dei Centri Storici e dei Borghi di eccellenza della Calabria», in parte già finanziato con risorse a valere sulle delibere Cipe n. 35 del 2005 e n. 3 del 2006, come ricordato dall'interrogante.
Riguardo al tema trattato va rilevato che, nello stesso periodo in cui il citato documento è stato inoltrato al Cipe, il Governo ha avviato, con l'approvazione del Piano nazionale per il Sud, il processo di riforma della politica di riequilibrio territoriale e di sviluppo infrastrutturale, disegnando un percorso caratterizzato da elementi di innovazione e di cambiamento ispirato a criteri di:
concentrazione della strategia, della programmazione e delle risorse su pochi obiettivi prioritari rilevanti per lo sviluppo del Mezzogiorno;
maggiore orientamento ai risultati;

attenzione specifica ai progressi che occorre promuovere e garantire per creare nel Mezzogiorno un ambiente favorevole e pre-condizioni (istituzionali, amministrative, regolatorie) adeguate al pieno dispiegamento delle sue potenzialità di sviluppo.

In particolare, il Piano si basa su obiettivi realizzati attraverso otto grandi priorità raggruppate in tre priorità strategiche di sviluppo:
infrastrutture, ambiente e beni pubblici;
competenze e istruzione;
innovazione, ricerca e competitività; su cui misurare, in un'ottica pluriennale, progressi strutturali di miglioramento delle
condizioni di sviluppo del Mezzogiorno.

A queste si aggiungono cinque priorità strategiche di carattere orizzontale:
sicurezza e legalità;
certezza dei diritti e delle regole;
Pubblica Amministrazione più trasparente ed efficiente;
un sistema finanziario per il territorio: la banca del Mezzogiorno;
sostegno mirato e veloce per le imprese, il lavoro e l'agricoltura.

In questo contesto, il Cipe, nella seduta del 26 novembre 2010, ha esaminato positivamente la proposta per la ridefinizione degli obiettivi, dei criteri e delle modalità di riprogrammazione delle risorse di cui alla delibera Cipe n. 79 del 2010 (relativa al periodo 2000-2006) e per la selezione e attuazione degli investimenti finanziati con le risorse Fas per il periodo 2007-2013, impostando, inoltre, indirizzi e orientamenti per l'accelerazione degli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013.
Procedendo su questa linea, lo stesso comitato, con delibera dell'11 gennaio 2011, in attuazione di quanto disposto dall'articolo 2 del decreto-legge n. 78 del 2010, che prescrive un taglio lineare del 10 per cento delle assegnazioni Fas, ha ridotto, nella stessa misura, la dotazione finanziaria della missione di spesa sviluppo e riequilibrio territoriale, richiedendo a tutte le regioni di rimodulare, conformemente all'indirizzo richiamato, i propri programmi.
Tale delibera ha come presupposto la ricognizione delle risorse ancora disponibili per l'attuazione della politica regionale unitaria nazionale e comunitaria 2007/2013 e come obiettivo quello di indicare appropriati criteri di selezione e di attuazione degli interventi da finanziare, al fine di correggere le inefficienze e la lentezza della spesa pubblica a carattere aggiuntivo.
Specificatamente per le regioni del Mezzogiorno, nell'ambito della fase attuativa del citato piano per il Sud, è prevista una maggiore organicità degli interventi capace di agire sul tessuto produttivo e sociale di questa parte del Paese, producendo cambiamenti strutturali importanti, in luogo dell'esperienza passata del finanziamento di una serie di opere di rilievo minore, poco incisive.
Le regioni in attuazione di quanto sopra e fatta salva la possibilità di lasciare inalterato il valore del PAR, provvedendo alla copertura della differenza con risorse diverse dal FAS, stanno perciò procedendo ad una generale revisione del proprio programma regionale e del relativo quadro finanziario di riferimento.
Una volta che la regione Calabria avrà proceduto in tal senso nelle forme e nei termini previsti dalla menzionata delibera Cipe, si potrà procedere, in coerenza con i dati di riferimento finali ed entro i margini finanziari consentiti a seguito delle descritte operazioni, all'adozione dei provvedimenti di messa a disposizione delle risorse.

Il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale: Raffaele Fitto.

GALLETTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la dirigente scolastica dell'istituto comprensivo di Monterenzio, in provincia di Bologna, ha posto e confermato l'esigenza,

anche per il prossimo anno scolastico 2011/2012, di istituire una quarta sezione statale presso la scuola dell'infanzia di Pizzano «Il Castello delle Favole»;
la nuova sezione consentirebbe di esaurire le liste di attesa e di dare così delle risposte a tutte quelle famiglie che chiedono l'iscrizione in anticipo;
a Monterenzio vi è una forte richiesta sociale di servizi, sostenuta e giustificata dall'aumento demografico del territorio ed anche dall'alto livello di pendolarismo dei cittadini, soprattutto dei giovani;
infatti, occorre sottolineare, come attualmente l'alternativa per le famiglie che non trovano posto nelle nostre strutture scolastiche è quella di iscrivere i propri figli presso scuole che distano molti chilometri di distanza;
fino ad oggi, l'amministrazione di Monterenzio ha investito molto nella scuola dell'infanzia, in particolare nell'espansione del servizio scolastico che rappresenta una delle priorità per far fronte alle numerose condizioni di disagio in cui oggi si trovano molte famiglie per effetto della crisi economica -:
inteso che l'amministrazione comunale si impegna a fare la propria parte e a dotare la scuola delle attrezzature e servizi necessari per offrire ai cittadini un servizio scolastico di qualità, quali iniziative ritenga necessarie al fine di evadere la richiesta di una nuova sezione che permetterebbe un servizio scolastico più funzionale, più organico e più adeguato alla realtà territoriale.
(4-11833)

Risposta. - In relazione all'interrogazione in esame all'esigenza evidenziata dall'interrogante di istituire una quarta sezione statale di scuola dell'infanzia nell'Istituto comprensivo di Monterenzio, in provincia di Bologna, si fa presente che questo ministero ha informato l'Ufficio scolastico regionale per l'Emilia Romagna.
La direzione generale interessata ha reso noto che l'Ufficio scolastico territoriale della provincia di Bologna, competente nel merito della questione sollevata, ha confermato in organico di diritto, sulla base delle indicazioni ministeriali e delle risorse assegnate, le sezioni di scuola dell'infanzia autorizzate nello scorso anno scolastico in organico di fatto, per un totale di 503 sezioni e 996 posti comuni.
Si precisa pertanto che per il prossimo anno scolastico non sono stati assegnati in organico di diritto nuovi posti di scuola dell'infanzia e che ogni possibile incremento, volto a soddisfare le reali necessità della cittadina si Monterenzio, sarà valutato in sede di adeguamento dell'organico di diritto alla situazione di fatto, compatibilmente con le risorse disponibili.
In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Nel corso delle varie fasi del processo di razionalizzazione il Ministero degli affari esteri non si è mai sottratto al contraddittorio con tutti gli interlocutori interessati ed in primo luogo con il Parlamento. Inoltre, molteplici sono state le occasioni di incontro e di dialogo con le Autorità di accreditamento, con esponenti istituzionali, con organismi rappresentativi delle collettività residenti, nonché con le organizzazioni sindacali.
Con riferimento ai costi benefici connessi alla razionalizzazione, si è già precisato che questo processo non è dettato esclusivamente da pur importanti esigenze di contenimento degli oneri, ma risponde ancor prima alla necessità di rendere più adeguata ai tempi la nostra rete consolare, mantenendo al contempo efficienti livelli di assistenza alle collettività. La razionalizzazione consentirà, infatti, una migliore allocazione sulla rete delle risorse disponibili; è priorità del Ministero degli affari esteri che le risorse recuperate, sia umane che finanziarie, siano utilizzate anche per rafforzare le sedi riceventi le competenze degli uffici in chiusura.
Quanto, infine, alle misure sostitutive pianificate da questo Ministero in vista della soppressione degli uffici di Liegi; deliberata a partire dal 1° ottobre prossimo, e di Amburgo, con decorrenza dal 1° luglio,

è prevista l'istituzione di uffici consolari onorari. Come noto, le competenze delle due sedi in chiusura passeranno rispettivamente al consolato generale di Charleroi ed al consolato generale in Hannover.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

GARAVINI, BUCCHINO e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in attuazione del piano di «razionalizzazione» dei consolati italiani all'estero, una recente delibera del consiglio di amministrazione del Ministero degli affari esteri ha fissato al 1° luglio del 2011 la chiusura dei consolati di Liegi, Amburgo, Lilla, Mons e Manchester;
tali misure sono tuttora oggetto delle forti e diffuse proteste delle nostre comunità, che hanno organizzato anche pubbliche manifestazioni di dissenso, dell'opposizione altrettanto ferma del Consiglio generale degli italiani all'estero, del parere critico più volte manifestato in modo trasversale dai parlamentari eletti all'estero e, in alcuni casi come in Germania, delle perplessità delle stesse autorità locali, preoccupate per la minore rappresentatività di interlocutori che fanno riferimento ad importanti insediamenti sociali;
l'Amministrazione, nonostante le reiterate richieste in tal senso di parlamentari, CGIE e sindacati, non ha fornito finora una precisa indicazione dei risparmi sulle spese di personale e di gestione, né alcuna rilevazione sull'idoneità ed efficienza delle soluzioni di accorpamento, e tanto meno una valutazione dei costi sociali che tali misure determineranno per i nostri connazionali;
tutti i consolati inclusi nella deliberazione di chiusura hanno consolidato nel tempo una insostituibile funzione di servizio, di sostegno e di relazione all'interno delle nostre comunità e tra le comunità e il contesto locale, il che dovrebbe indurre il Governo e l'amministrazione a riconsiderare responsabilmente le decisioni prese;
i consolati di Liegi ed Amburgo, in particolare, rispondono l'uno alle esigenze di servizio a favore di una delle comunità di emigrati più consistenti d'Europa, già provata da acute fasi di crisi produttiva e sociale, l'altro all'interesse di offrire un riferimento autorevole ad interlocutori internazionali che sono insediati nella realtà anseatica perseguendo strategie più ampie di quella legata in modo esclusivo alla vita delle comunità immigrate -:
se il Governo intenda considerare in modo più approfondito le negative conseguenze che deriverebbero da questo ulteriore sviluppo del piano di chiusure e, nel caso intenda confermare tale decisione, quali servizi sostitutivi intenda adottare, in particolare per il consolato di Liegi e per quello di Amburgo.
(4-09023)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Nel corso delle varie fasi del processo di razionalizzazione il Ministero degli affari esteri non si è mai sottratto al contraddittorio con tutti gli interlocutori interessati ed in primo luogo con il Parlamento. Inoltre, molteplici sono state le occasioni di incontro e di dialogo con le autorità di accreditamento, con esponenti istituzionali, con organismi rappresentativi delle collettività residenti, nonché con le organizzazioni sindacali.
Con riferimento ai costi/benefici connessi alla razionalizzazione, si è già precisato che questo processo non è dettato esclusivamente da pur importanti esigenze di contenimento degli oneri, ma risponde ancor prima alla necessità di rendere più adeguata ai tempi la nostra rete consolare, mantenendo al contempo efficienti livelli di assistenza alle collettività. La razionalizzazione consentirà, infatti, una migliore allocazione sulla rete delle risorse disponibili; è priorità del Ministero degli affari esteri che le risorse recuperate, sia umane che

finanziarie, siano utilizzate anche per rafforzare le sedi riceventi le competenze degli uffici in chiusura.
Quanto, infine, alle misure sostitutive pianificate da questo Ministero in vista della soppressione degli uffici di Liegi, deliberata a partire dal 1o ottobre prossimo; e di Amburgo, con decorrenza dal 1o luglio, è prevista l'istituzione di uffici consolari onorari. Come noto, le competenze delle due sedi in chiusura passeranno rispettivamente al consolato generale di Charleroi ed al consolato generale in Hannover.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

GARAVINI, BUCCHINO, GIANNI FARINA, FEDI e PORTA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il 12 e il 13 giugno 2011, si terrà la consultazione referendaria con la quale gli italiani saranno chiamati a esprimersi sui quesiti relativi all'abrogazione delle leggi sull'energia nucleare, sulla privatizzazione dell'acqua e sul «legittimo impedimento»;
a meno di tre settimane dal voto, il Governo ha posto la questione di fiducia sul disegno di legge di conversione del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, cosiddetto «decreto-legge omnibus», che conteneva anche la moratoria sul nucleare;
a seguito di tale modifica alla normativa, la Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere se la nuova norma superasse il quesito referendario sul nucleare o se invece gli elettori dovessero comunque essere chiamati a esprimersi sulla questione «nuove centrali per la produzione di energia nucleare»;
il 1° giugno il collegio dell'ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione ha stabilito che il quesito referendario con la richiesta di abrogazione rimane valido, ma che invece di applicarsi alle precedenti norme (decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31) si applicherà alle nuove norme sulla produzione di energia nucleare, contenute nella legge 26 maggio 2011, n. 75;
esprimendosi il voto per i referendum dei cittadini residenti all'estero ed iscritti all'AIRE per corrispondenza, questi stanno ricevendo in questi giorni il plico elettorale a domicilio, da parte del Consolato di riferimento, contenente le schede e le istruzioni sulle modalità di voto;
le schede relative al quesito sulle «nuove centrali per la produzione di energia nucleare» pervenute al domicilio dei connazionali all'estero e sulle quali questi stanno esprimendo il loro voto sono state stampate prima dell'approvazione della legge 26 maggio 2011, n. 75, sono quindi formulate facendo riferimento a una normativa superata e sono formalmente diverse da quelle su cui, a seguito della decisione della Corte di Cassazione, si esprimeranno invece i cittadini residenti sul territorio nazionale;
le operazioni di voto per il referendum, ad avviso degli interroganti, potrebbero essere compromesse dall'incertezza sulla sorte e sulla validità dei voti espressi dai cittadini residenti all'estero: un'incertezza che può condizionare negativamente l'esercizio stesso del diritto di voto;
a tale insostenibile contusione si aggiungono le segnalazioni da parte di numerosi concittadini residenti all'estero sulla mancata ricezione del plico;
la stessa ambasciata d'Italia in Germania ha segnalato come nella circoscrizione di competenza del consolato di Monaco di Baviera 2000 plichi siano stati inviati a indirizzi errati, in ragione della inesatta menzione del cognome del coniuge sulla busta -:
come si intenda intervenire per garantire la piena validità del voto referendario espresso dai connazionali all'estero sul quesito relativo al nucleare, formulato in relazione a una normativa superata, ma pienamente attuale nella sua essenza e nella ratio della consultazione referendaria;

a fronte delle numerose inadempienze registrate, come intendano intervenire i Ministri interrogati per garantire a tutti gli aventi diritto il regolare esercizio delle operazioni di voto.
(4-12153)

Risposta. - Come è noto a seguito della recentissima sentenza della Corte costituzionale che ha confermato l'ammissibilità del referendum in materia di energia nucleare, questa amministrazione, per garantire il regolare svolgimento delle operazioni di voto, ha distribuito sul territorio nazionale le schede con la nuova formulazione del quesito, secondo le indicazioni della Corte di cassazione (ordinanza 1° giugno 2011).
Agli elettori residenti all'estero, secondo la normativa vigente (articolo 12 della legge 27 dicembre 2001, n. 459) sono stati inviati dai Consolati italiani, entro 25 maggio 2011 i plichi elettorali con le quattro schede referendarie, ivi compresa la scheda grigia relativa al referendum sul nucleare, nella vecchia formulazione del quesito.
Gli elettori hanno espresso il proprio voto e rispedito il plico, con le schede votate, entro il 2 giugno 2011. Dette schede sono poi pervenute ai competenti Consolati entro le 16.00, ora locale, del 9 giugno 2011 per essere successivamente inviate in Italia. Il relativo scrutinio è stato effettuato, a partire dalle ore 15 di lunedì 13 giugno 2011, contestualmente allo spoglio dei voti del territorio nazionale.
Alla luce di quanto sopra esposto, la tempistica prevista dalle disposizioni vigenti in materia di voto per corrispondenza non ha consentito una nuova stampa e distribuzione delle schede con il nuovo quesito.
Per quanto riguarda la fase del conteggio, si evidenzia che i voti espressi in Italia ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 352 del 1970 - sono stati sommati dagli uffici provinciali per il referendum presso i tribunali, mentre, per il voto ostale all'estero, tali funzioni sono esercitate, in base all'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n. 104 del 2003, dall'Ufficio centrale per la circoscrizione estero, presso la Corte di appello di Roma.
L'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, appena pervenuti i verbali delle suddette operazioni, procede, per ogni referendum, all'accertamento della partecipazione alla consultazione, alla somma dei voti validi favorevoli e di quelli validi contrari ed, infine, alla proclamazione dei risultati referendari.
Per quanto riguarda poi l'inconveniente tecnico che ha determinato la restituzione dello 0,8 per cento dei circa 485.000 plichi inviati in Germania, il Ministero degli affari esteri è intervenuto con tempestività dando puntuali istruzioni ai consolati interessati per risolvere i problemi lamentati.
I plichi restituiti dalle poste tedesche sono stati quindi prontamente registrati in un apposito elenco e, dopo la sostituzione della busta esterna e l'apposizione del corretto cognome del coniuge delle elettrici, sono stati nuovamente recapitati alle destinatarie in tempo utile per la restituzione entro il termine del 9 giugno 2011.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

GIOVANELLI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
secondo dati Cgil, sono almeno 192 i precari della scuola presenti nella provincia di Pesaro Urbino che attualmente lavorano in Val Marecchia e che dall'anno prossimo perderanno il posto di lavoro;
il distacco dei comuni della Val Marecchia dalla provincia di Pesaro Urbino ha causato tra gli altri, gravi problemi alla già sofferta condizione dei precari della scuola della provincia di Pesaro Urbino, i quali hanno garantito il funzionamento delle scuole nei comuni della valle passata sotto la provincia di Rimini;
a causa del distacco di questi comuni, avvenuto nell'agosto 2009, si è deciso che tutte le competenze sulla scuola passassero dal 2011 all'ufficio scolastico provinciale di Rimini, senza prevedere in alcun modo un periodo di transizione durante il quale si sarebbe potuto gestire il passaggio

in modo graduale, valutando passo a passo le problematiche delicate che sarebbero intercorse;
risulta che il dirigente del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha fatto trasferire tutte le competenze in materia scolastica e di gestione del personale dalla provincia di Pesaro Urbino a quella di Rimini senza considerare gli sviluppi negativi;
le nomine dei docenti di ruolo nel comune di Novafeltria dal 2011 saranno gestite dall'istituto scolastico provinciale di Rimini e dunque i precari della provincia di Pesaro Urbino che hanno lavorato per anni in questa zona, maturando punteggi per distanza e anzianità, vedranno con un colpo di spugna, perdere ogni possibilità di stabilizzazione;
per ultimo, ma non di poco conto, il fatto che non verrà garantita la continuità didattica a centinaia di insegnanti provocherà anche conseguenze negative sulla didattica degli studenti;
sarebbe necessario, ad avviso dell'interrogante, un provvedimento del Ministero, previo parere della Conferenza Stato-regioni, che preveda un periodo transitorio tale da ridurre al minimo gli effetti devastanti sulla situazione descritta in premessa -:
se il Ministro interrogato non intenda assumere misure urgenti per affrontare e gestire la situazione descritta.
(4-09384)

Risposta. - Nell'interrogazione in esame l'interrogante ha espresso preoccupazioni circa la situazione dei docenti precari della provincia di Pesaro Urbino, che lavorano in scuole dei comuni della Val Marecchia, a seguito del passaggio degli stessi comuni alla provincia di Rimini, avvenuto nell'agosto 2009.
Secondo quanto affermato nell'interrogazione in esame, «le nomine dei docenti di ruolo nel comune di Novafeltria dal 2011 saranno gestite dall'istituto scolastico provinciale di Rimini e dunque i precari della provincia di Pesaro Urbino che hanno lavorato per anni in questa zona, maturando punteggi per distanza e anzianità, vedranno con un colpo di spugna, perdere ogni possibilità di stabilizzazione».
Va premesso che la legge 3 agosto 2009, n. 117, che disciplina il passaggio dei sette comuni dell'Alta Valmarecchia dalla provincia di Pesaro Urbino a quella di Rimini, ha espressamente disposto che le regioni Marche ed Emilia-Romagna, nonché 1e province di Pesaro e Urbino e di Rimini, provvedessero a tutti gli adempimenti necessari, al fine di dare piena attuazione al disposto normativo entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della suddetta legge.
Il trasferimento delle competenze scolastiche è avvenuto con decorrenza dal 1o settembre 2010, per evitare passaggi di funzioni in corso d'anno scolastico. In particolare, per l'anno scolastico 2010/2011, con nota ministeriale protocollo n. 6360 del 05 luglio 2010, sono state dettate disposizioni transitorie in deroga e si è previsto che le supplenze conferite attingendo dalle graduatorie ad esaurimento, annuali e fino al termine delle attività didattiche, potessero essere conferite dall'Ufficio scolastico della provincia di Pesaro Urbino anche negli istituti della Valmarecchia collocati nella provincia di Rimini.
In tema di graduatorie ad esaurimento, va fatto presente che, ai fini dell'aggiornamento delle graduatorie stesse per gli anni successivi al 2010-2011, sono stati emanati il decreto ministeriale n. 44 del 12 maggio 2011 e il decreto ministeriale n. 47 del 26 maggio 2011. Questi provvedimenti, tenendo conto delle sopraggiunte disposizioni legislative in materia nonché della sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2011, prevedono per ciascun candidato la possibilità di trasferimento dalla provincia prescelta in occasione del precedente aggiornamento ad un'altra provincia, di sua scelta, con il collocamento in graduatoria in corrispondenza del proprio punteggio (inserimento cosiddetto a pettine).
Quanto al periodo di riferimento delle graduatorie, con il citato decreto ministeriale n. 47 del 2001 sono state dettate disposizioni per l'aggiornamento delle graduatorie

stesse per gli anni scolastici 2011-2012, 2012-2013 e 2013-2014; ciò ai sensi dell'articolo 9, comma 20, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, in base al quale l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento è effettuato con cadenza triennale.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, possono considerarsi superate le preoccupazioni espresse nell'interrogazione riguardo ai docenti precari della provincia di Pesaro Urbino.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

GIRLANDA, LUCIANO ROSSI, DE LUCA e BARANI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'Italia è uno dei Paesi più rinomati al mondo per la ricchezza e la qualità dei prodotti del settore agroalimentare, di cui l'interrogante ravvisa la necessità di una costante opera di valorizzazione e tutela a difesa della produzione e commercializzazione;
tale stato di cose è testimoniato dal numero di prodotti agroalimentari, ai quali sono stati riconosciuti ed attribuiti marchi di qualità, al punto da contraddistinguere l'Italia nel mondo per le eccellenze del settore;
la crescente contraffazione degli stessi prodotti agroalimentari in tutto il mondo sta producendo la necessità impellente di attivare iniziative volte a tutelare il consumo di tali prodotti di qualità;
già dalla fine degli anni novanta il dipartimento dell'agricoltura del Governo federale degli Stati Uniti, ad esempio, ha introdotto un apposito certificato di garanzia per quegli esercizi del settore della ristorazione che adottano non meno del 95 per cento di ingredienti certificati, la cui lavorazione e produzione segua criteri definiti e controllati, al fine di non alterarne contenuto e qualità, da esporre pubblicamente a garanzia del consumatore;
tale certificazione potrebbe costituire un'ulteriore garanzia di qualità e tipicità per l'intero settore economico che abbina al settore della ristorazione il turismo di tipo naturalistico e la valorizzazione dell'ambiente e dei prodotti locali -:
se il Ministro ritenga opportuno promuovere iniziative per l'introduzione di un'analoga certificazione per gli esercizi commerciali a tutela e garanzia della genuinità dei prodotti utilizzati e dei loro processi di trasformazione.
(4-11292)

Risposta. - L'interrogazione proposta concerne l'introduzione di un'apposita certificazione per gli esercizi del settore della ristorazione, a tutela e garanzia della genuinità dei prodotti utilizzati e dei relativi processi di trasformazione.
Al riguardo, nel condividere quanto espresso dall'interrogante riguardo alla qualità dei settori agroalimentare, vitivinicolo e delle bevande spiritose nel nostro Paese, mi preme evidenziare come la mia Amministrazione sia già dedita alla valorizzazione e tutela delle denominazioni di origine registrata che rappresentano una delle eccellenze del made in Italy.
In particolare vorrei far presente che, con decreto del 16 marzo 2011, al fine di promuovere un circuito di ristoranti italiani nel mondo idonei a rappresentare l'eccellenza del nostro sistema agroalimentare, nonché per incrementare la diffusione all'estero dei prodotti italiani (avviando un meccanismo virtuoso tra gli stessi ristoratori di qualità), è stato istituito un Elenco di ristoranti italiani all'estero che verranno segnalati «mediante un'apposita targa con la dicitura "Ottimo - ristorante italiano di qualità» con il logo del Ministero.
Naturalmente, tra i requisiti per ottenere l'iscrizione nel suddetto elenco vi è l'utilizzo di ingredienti di provenienza italiana (di cui, una parte, costituita da prodotti DOP e IGP) e una significativa proposta di vini italiani (in particolare DOCG, DOC e IGT).
Per le pizzerie, invece, è previsto che il menù, oltre ad deve offrire una selezione di birre italiane abbinate almeno ad un piatto preparato esclusivamente con prodotti di

provenienza italiana, secondo la tradizione della «dieta mediterranea - patrimonio dell'umanità Unesco», debba indicare l'origine delle materie prime utilizzate e illustrare la ricetta dei piatti tipici della tradizione italiana.
Ritengo, pertanto, che l'iniziativa già intrapresa dalla mia amministrazione abbia in un certo senso «anticipato» quanto auspicato dall'interrogante.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Francesco Saverio Romano.

GIRLANDA, LUCIANO ROSSI, DE LUCA e BARANI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
da diversi anni si sta ponendo un'attenzione crescente nei confronti della qualità del cibo sia da parte dei produttori che dei consumatori, anche a fronte della crescente opera di sensibilizzazione svolta dalle scuole e dalle istituzioni in relazione alle proprietà nutrizionali degli alimenti, all'educazione alimentare, alla necessità di evitare alimenti contenenti organismi geneticamente modificati;
la crescita della domanda nel settore alimentare in atto ormai da diversi anni ha prodotto l'effetto di rivedere le dinamiche economiche e produttive alla base del settore agroalimentare, processo attualmente accelerato dalla necessità di ottimizzare le risorse delle singole regioni, a seguito delle nuove competenze affidate alle regioni medesime;
tra le conseguenze più importanti di questo fenomeno vi è stata l'attenzione alla tipicità dei prodotti, alla stagionalità, alla rintracciabilità degli alimenti, alla riduzione dei costi della filiera e dell'impatto inquinante di quest'ultima sul prodotto finito, tanto da arrivare ad iniziative di notevole successo, quale quella lanciata nel 2007 da Coldiretti in relazione, ai menù a «Km Zero», poi suggerita ed adottate nelle scuole su indicazione del Ministero della salute;
tale dinamica si sta diffondendo nell'intero Paese, costituendo una risposta sostenibile e fruttuosa per le economie locali e l'intero settore dell'agricoltura, che consente di riscoprire le tipicità regionali e provinciali, di valorizzare i prodotti di qualità del settore agroalimentare e di costituire un elemento di traino e sviluppo da parte del nostro Paese anche a livello europeo, riducendo la dipendenza del settore dalle dinamiche della lavorazione, del confezionamento, della grande distribuzione e dai costi dei carburanti per il trasporto, fortemente influenti ed impattanti sul costo degli alimenti e sull'indebolimento del potere d'acquisto delle famiglie;
l'evoluzione di queste dinamiche ha portato in breve tempo alla creazione di reti di ristoranti, osterie ed altro genere di esercizi legati al mondo della ristorazione e della ricettività, nonché del settore agrituristico, accomunate dalla valorizzazione dei prodotti locali e dei benefici determinati dalla riduzione della filiera, tanto da ricevere sanzione e riconoscimento in diverse leggi di carattere regionale -:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano attivare per favorire la promozione della riduzione della filiera alimentare e la valorizzazione delle tipicità locali nell'ambito delle dinamiche evidenziate in premessa.
(4-11293)

Risposta. - L'interrogazione in esame riguarda l'opportunità di ridurre le fasi della filiera alimentare (onde ottenere una riduzione dei relativi costi e del connesso impatto ambientale) e di valorizzare le tipicità locali.
Al riguardo, condividendo quanto rappresentato dall'interrogante, evidenzio l'impegno già profuso dal mio Ministero affinché sia inserito, nella nuova proposta di regolamento comunitario sui prodotti di qualità certificata, uno specifico riconoscimento per le forme di vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli.

Tale risultato potrà consentire di attivare, a livello nazionale e regionale, specifici interventi per abbreviare la filiera alimentare e valorizzare le tipicità locali.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Francesco Saverio Romano.

GIRLANDA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
da fine gennaio lo Yemen è attraversato da un movimento di protesta popolare che chiede le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh;
la rivolta è finora costata la vita a circa 250 persone, secondo un bilancio stilato da France Presse, registrando scontri quotidiani tra gli oppositori legati allo sceicco Sadiq al-Ahmar, leader tribale degli Hashed, e l'esercito nazionale, soprattutto nella capitale Sana'a, dalla quale sono sfollati migliaia di residenti;
lo stato attuale di guerra civile sta vedendo la partecipazione attiva di cellule terroristiche di Al Qaeda nelle fila antigovernative, favorendo un consolidamento del movimento terrorista nel Paese, anche grazie ai mezzi militari ed economici di cui si sta progressivamente impossessando;
le forze politiche di opposizione yemenite ed un ex Ministro della difesa che ha lasciato Governo accusano il presidente Ali Abduallah Saleh di aver consentito ai militanti di Al Qaeda nella penisola arabica di assumere il controllo della città di Zinjubar, allo scopo di convincere l'Occidente a lasciarlo ai vertici del potere nel Paese;
è sempre più imminente il rischio di una crisi umanitaria poiché, secondo un rapporto Irin, organo di informazione delle Nazioni Unite, sta iniziando a ridursi la disponibilità di combustibile a causa dell'assedio intorno alla capitale, che sta iniziando a compromettere le attività della vita quotidiana;
nelle ultime settimane tale stato di cose sta coinvolgendo anche diversi operatori umanitari di varie nazionali, finora non italiani, che sono a rischio rapimento o uccisione -:
se vi siano rischi per le attività produttive, per i civili e gli operatori umanitari, laici e religiosi, di cittadinanza italiana nel Paese;
quale sia lo stato dei rapporti diplomatici tra Italia e Yemen;
se si possa fornire una quantificazione degli effetti negativi della situazione politica yemenita sui rapporti commerciali tra i due Paesi, anche in relazione agli investimenti ed ai rapporti economici e finanziari delle attività produttive italiane.
(4-12144)

Risposta. - Italia e Yemen intrattengono regolari rapporti diplomatici, analogamente a quanto accade fra lo Yemen e la maggior parte degli altri Paesi della comunità internazionale, da 85 anni.
È intenzione del Governo italiano proseguire nel sostegno al dialogo, alla ricerca di moderazione e di una risposta politica da fornire alle richieste popolari. Abbiamo fatto più volte appello a tutte le parti coinvolte affinché rinuncino ad atti di violenza, sfruttando anche le opportunità offerte dall'iniziativa di mediazione del consiglio di cooperazione del Golfo, che abbiamo sostenuto fin dalle sue prime fasi. Un ulteriore uso della forza contro i protestanti provocherà inevitabilmente ripercussioni negative per il Paese nel suo complesso e un incoraggiamento indiretto alle componenti inclini all'uso della violenza quale strumento politico. Abbiamo affermato più volte - anche attraverso una dichiarazione congiunta del Presidente Berlusconi e dei capi di Governo di Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna - che una transizione credibile deve essere avviata al più presto.
A seguito del grave deterioramento della sicurezza intervenuto negli ultimi giorni dello scorso maggio, in particolare nella capitale Sana'a, il 1° giugno è stato deciso il rimpatrio temporaneo di tutto il personale

della nostra Ambasciata. Al momento, ai sensi dell'articolo 45 della convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche e dell'articolo 27 della convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, il Governo italiano ha quindi deciso di affidare alla Rappresentanza diplomatica della repubblica francese a Sana'a la protezione dei propri interessi e di quelli dei propri concittadini.
Già in precedenza, il Governo aveva progettato e finanziato diversi programmi di capacity building, che potrebbero contribuire ad un nuovo avvio della vita del Paese, una volta che le condizioni di sicurezza torneranno a consentirlo. L'Italia è da tempo impegnata, accanto ovviamente ad altri preminenti membri della comunità internazionale, al sostegno dello Yemen e alla prevenzione di un incontrollato degrado della stabilità del Paese.
L'onorevole Ministro Frattini si è impegnato in prima persona affinché venisse sviluppato l'esercizio «Amici dello Yemen», avviato in ambito G8. Tale esercizio si è posto come obiettivo quello di migliorare la stabilità dello Yemen affinché possa fronteggiare le sfide che si trova di fronte: conflitti interni, traffici illegali, presenza di centrali terroristiche, vicinanza alla Somalia, pirateria, flussi incontrollati di immigrazione.
Sfide che si innestano su una situazione economico-sociale fortemente critica, è causa della povertà, della scarsità di acqua e di materie prime, nonché a causa dei conflitti tribali e del risorgere di fermenti separatisti a sud. L'esistenza degli «Amici dello Yemen» ha rappresentato e continua a rappresentare una risorsa importante per lo Yemen, malgrado gli ultimi sviluppi negativi della crisi. È infatti grazie a quest'attenzione al Paese che i principali blocchi della comunità internazionale (USA, UE, GCC) hanno operato e stanno tuttora interagendo per favorire un'uscita negoziata dalla crisi, anche sulla base di un progetto di transizione democratica già elaborato e in attesa di essere ripreso non appena la situazione lo permetterà.
Appare ad oggi prematura una quantificazione degli effetti negativi della situazione politica yemenita sui rapporti commerciali tra i due Paesi. Può essere tuttavia utile fornire un quadro degli ultimi dati disponibili sui rapporti di interscambio, benché con una premessa necessaria: i dati dello Yemen devono essere considerati indicativi, causa diffuse pratiche di riesportazione e contrabbando con Paesi della regione (tale aspetto rappresenta circa il 3 per cento del commercio estero yemenita). Da un'analisi dei dati ISTAT sull'interscambio Italia-Yemen relativi al 2008, mentre si nota un sensibile aumento delle importazioni italiane dallo Yemen (+87,5 per cento rispetto allo stesso periodo 2007), dovuto soprattutto alla voce «combustibili», si registra invece un calo delle esportazioni italiane in Yemen (-24 per cento rispetto al 2007).
Il saldo commerciale dell'Italia rispetto allo Yemen nel 2008 è stato positivo, pari a 94,2 milioni di euro, seppur in diminuzione rispetto al dato 2007 (145,1 milioni di euro, diminuzione del 35 per cento).
L'interscambio commerciale nel 2008 è stato di 150,2 milioni di euro, contro i 175 milioni di euro del 2007, registrando un calo di circa il 16 per cento.
Nel 2009 si è rilevata una lieve riduzione (-5 per cento) delle esportazioni italiane in Yemen rispetto al 2008, mentre si è avuta una diminuzione dell'81 per cento sulle importazioni italiane dallo Yemen, dovuta soprattutto alla nuova scomparsa delle importazioni italiane di combustibili e alla forte riduzione delle importazioni di prodotti della pesca e del piombo e suoi prodotti.
Le contrazioni registrate sono ascrivibili principalmente alla grave crisi economica che ha colpito lo Yemen nell'ultimo biennio, aggravata dai riflessi della situazione finanziaria internazionale, destinata ad aggravarsi a seguito dei recenti avvenimenti.
Rispetto all'anno precedente, già nel 2008 gli investimenti esteri nel Paese erano calati del 50 per cento del flusso in entrata con un aumento del 22 per cento del flusso in uscita mentre lo stock degli investimenti in entrata risulta aumentato del 16 per cento rispetto all'anno precedente e quello in uscita del 21 per cento. I principali investitori sono concentrati nel settore dell'estrazione del petrolio e del gas (Total e

Canadian Nexen), mentre l'Italia era lontano dalle prime posizioni, con circa 500.000 euro investiti nel Paese (lo 0,1 per cento di capitale sul totale dei capitali stranieri investiti). Il potenziale di attrazione degli investimenti esteri non era ancora sufficientemente sfruttato già al momento dell'esplosione della crisi.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

GNECCHI, CODURELLI e FRONER. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
già con l'atto di sindacato ispettivo 4-04782 del 29 ottobre 2009 si chiedeva a quante dipendenti donne e con che età anagrafica, suddivise per settore della pubblica amministrazione e qualifica, sia stata comunicata la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro e conseguente collocamento a riposo coatto così come previsto dall'articolo 72 del decreto-legge n. 122 del 2008, il Ministro rispondeva: «il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione intende, anche in riscontro all'istanza dell'interrogante, avviare, presso tutte le amministrazioni pubbliche, una ricognizione delle modalità di applicazione della suddetta normativa e dei relativi effetti»;
con l'atto di sindacato ispettivo 4-09465 del 17 novembre 2010 si richiedeva se il Ministro interrogato avesse proceduto ad effettuare la relativa ricognizione, come dichiarato in risposta all'atto di sindacato ispettivo 4-04782, nonché di dare attuazione all'ordine del giorno 9/3638/109 del 29 luglio 2010 - seduta n. 361 e la risposta del Ministro è stata: «a tal proposito, nel confermare l'impegno del Ministro a dar corso al suddetto ordine del giorno, si fa presente che allo stato, si è ritenuto opportuno non avviare il monitoraggio sui dati circa l'applicazione dell'istituto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro in esame, poiché - come è noto - il quadro normativo in materia di pensionamento dei pubblici dipendenti, è stato interessato nel corso dell'ultimo biennio, da una serie continua di interventi legislativi che hanno impegnato le pubbliche amministrazioni ad affrontare gli effetti nell'ambito organizzativo e gestionale, tuttora in fase di assestamento»;
non fornire dati è come ammettere che non ci sia stata alcuna valutazione preventiva che abbia suggerito le misure introdotte con la manovra di luglio 2010;
si precisa che le interrogazioni sono «atti di sindacato ispettivo» del Parlamento verso il Governo e pertanto il Ministro è tenuto a dare riscontro, inoltre si dava per scontato che per procedere alla manovra di luglio 2010, prima di agire ancora massicciamente sulle pensioni nel pubblico impiego si fosse fatta una verifica sui pensionamenti coatti e sull'esonero dal servizio previsto sempre nel 2008;
si è approvata nel 2008 una norma per obbligare alla pensione chi ha 40 anni di contributi e nel 2010 si è approvata un'altra norma per innalzare l'età pensionabile e tenere tutti in servizio un anno in più, senza aver fatto nessun monitoraggio e di conseguenza senza aver verificato l'effetto della normativa precedente. Ad avviso delle interroganti il Ministro interrogato non sembra voler fornire i dati per non far emergere l'assoluta incoerenza e contraddittorietà delle due norme. Le interroganti sono a conoscenza di donne e uomini collocati coattamente a riposo prima di aver compiuto 60 anni di età e che vivono come grave ingiustizia vedere altri che invece devono lavorare un anno in più, ancora più grave se i 40 anni di contributi li hanno raggiunti riscattando a proprie spese gli anni del corso legale di laurea;
è quanto meno singolare che il Ministro interrogato, se realmente non è in possesso dei dati, non intenda effettuare il monitoraggio sull'applicazione dell'articolo 72 del decreto-legge n. 112 del 2008, nonostante lo stesso abbia rimarcato giustamente la necessità per la pubblica

amministrazione, di operare in conformità ai principi di trasparenza ed accessibilità a cui deve ispirarsi in ogni caso l'attività degli uffici pubblici (risposta interrogazione 4-04782). Le interroganti sono convinte che se non si fosse previsto il pensionamento coatto e la proroga in servizio due anni dopo, probabilmente lasciando libertà ai pubblici dipendenti, il risultato pratico sarebbe stato identico, e auspicano che il Ministro voglia invece dimostrare gli effetti delle norme che qui si contestano -:
se e quando il Ministro ritenga che le problematiche segnalate nelle risposte alle interrogazioni 4-09465, 4-11316 e 4-11458 possano essere superate e pertanto, stante l'impegno assunto con la risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 4-04782, se non ritenga di rivedere il proprio precedente orientamento, avviando il monitoraggio sull'applicazione dell'articolo 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008 e i relativi dati richiesti.
(4-11769)

Risposta. - In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in questione, prima di dare riscontro alle richieste dell'interrogante in merito all'applicazione dell'articolo 72, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, si ritiene di dover fornire alcune precisazioni di carattere preliminare.
Nel corso della seduta del 14 giugno scorso delle Commissioni I e XI della Camera dei deputati, riunite per discutere dello schema di decreto legislativo (atto del Governo n. 364) recante disposizioni integrative correttive del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, l'onorevole interrogante, facendo riferimento alla materia del pensionamento coatto dei pubblici dipendenti di cui all'articolo 1 del predetto decreto, ha affermato che «(...) sull'argomento in questione il suo gruppo ha presentato diverse interrogazioni a cui il Governo non ha mai fornito risposta».
Per quanto di competenza, si segnala che dall'inizio della legislatura, sull'argomento in oggetto, sono stati indirizzati al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione ben nove atti di sindacato ispettivo (compreso il presente) a cui è stata fornita tempestiva risposta, sebbene le questioni poste presentino profili di «trasversalità», coinvolgendo le competenze di vari Dicasteri.
Nel merito, poi, della problematica oggetto di questo atto di sindacato ispettivo, si rappresenta quanto segue.
Le disposizioni introdotte con l'articolo 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni ed integrazioni, vanno inquadrate e valutate nell'ambito delle misure adottate dal Governo ai fini della stabilizzazione dei conti pubblici per il triennio 2009-2011.
Al riguardo, l'intervento in esame è stato preventivamente valutato in sede di relazione tecnica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, il quale - nel proporre tali misure - ha compiuto una valutazione prudenziale degli effetti finanziari della norma nell'ambito dell'intero settore pubblico, con effetti positivi sul versante dei redditi da lavoro dipendente, da scontare a fronte dei conseguenti oneri sul fronte previdenziale.
Nel merito, trattandosi di una disposizione di carattere sperimentale per il triennio 2009-2011, esse vanno altresì valutate per la parte riconducibile alla autonoma competenza amministrativa e regolamentare delle amministrazioni e degli enti territoriali dotati di specifica autonomia costituzionalmente garantita, sui quali è precluso un intervento diretto di questa amministrazione. Né quest'ultima è in grado di esercitare, sulla base di norme sostanziali, un controllo sulle politiche di gestione del personale delle singole amministrazioni dotate di specifica autonomia, né di certificarne gli effetti sotto il profilo delle cessazioni dal servizio; impatto quest'ultimo che può essere verificato semmai, ex post, dalle gestioni previdenziali interessate sulla base delle domande di prestazione pensionistica e di fine servizio presentate ed accolte.
In questo ambito, stante la ratio della norma in esame e tenuto conto delle competenze attribuite al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, si

rinvia, per una maggiore cognizione circa il fenomeno di cui si chiede conto, alla competenza specifica del Ministro dell'economia e delle finanze.
Ad ogni modo, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, avvalendosi del dipartimento della funzione pubblica, in conformità ai principi di trasparenza ed accessibilità cui si è sempre ispirato con riguardo all'esercizio del sindacato ispettivo da parte delle Camere, ha avviato, in riscontro all'istanza dell'interrogante una ricognizione circa le modalità di applicazione della normativa in oggetto e dei relativi effetti.
Peraltro, vista la natura previdenziale delle disposizioni in questione, si ritiene che, gli unici enti in possesso dei dati e degli elementi concernenti il numero di lavoratori collocati in quiescenza obbligatoria siano l'INPDAP e l'INPS, entrambi vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali; risulta, altresì, indispensabile la collaborazione, già sollecitata dal dipartimento della funzione pubblica, del Ministero del lavoro che vigila i predetti enti previdenziali e potrà, per questa via, fornire i dati necessari all'avvio dell'auspicato monitoraggio.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

GRIMOLDI e STUCCHI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
pur contribuendo in maniera rilevante al soccorso tecnico urgente nazionale, i vigili del fuoco volontari e discontinui godono di un regime di tutele significativamente meno esteso di quello previsto per i volontari della Protezione civile;
tale discriminazione non risulta fondata su una presunta inferiorità nell'esposizione dei vigili del fuoco volontari e discontinui rispetto a quella gravante sui colleghi della Protezione civile;
una correzione dell'attuale situazione nella direzione della parità di trattamento appare di conseguenza quanto meno auspicabile -:
quali siano gli intendimenti del Governo in merito ai fatti generalizzati in premessa e sull'opportunità di assumere iniziative correttive dell'attuale situazione.
(4-05699)

Risposta. - In relazione alle richieste formulate dall'interrogante si ritiene utile premettere alcune brevi considerazioni sulle disposizioni che regolano il reclutamento, l'impiego nonché il regime di tutela previsto per i Vigili volontari del Corpo di nazionale dei Vigili del fuoco.
Il personale dei Vigili volontari, con l'iscrizione negli appositi elenchi istituiti presso i Comandi provinciali dei Vigili del fuoco, costituisce la componente volontaria del Corpo nazionale e, pur non essendo legato da un rapporto di impiego all'Amministrazione, è chiamato a prestare servizio in caso di bisogno.
Per i Vigili Volontari il decreto del Presidente della Repubblica del 6 febbraio 2004, n. 76 e il decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139 prevedono un ampio regime di tutela a partire dal trattamento economico ed assicurativo.
Al personale volontario è conservato il posto di lavoro e l'assenza dal servizio è giustificata ad ogni effetto di legge nel caso di impiego per esigenze di soccorso ovvero di formazione; agli stessi è anche attribuita la qualifica di agenti di polizia giudiziaria.
Come si vede, rispetto al personale volontario della Protezione civile (operante peraltro attraverso associazioni private) quello del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco gode di un efficace regime di tutela. Ciò anche perché tutti i volontari costituiscono una componente del Corpo nazionale presso cui prestano la propria attività.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

GRIMOLDI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nelle scorse settimane numerose polemiche sono scaturite dalla volontà di

alcune amministrazioni locali del nord di emettere ordinanze per obbligare gli automobilisti a dotarsi di catene o pneumatici da neve;
in un periodo certamente non florido, non si può gravare sul bilancio dei cittadini per supplire a carenze altrui;
è disponibile sul mercato un prodotto denominato «programma per asfalto antineve, antighiaccio ed antibuche» che potrebbe aiutare concretamente la viabilità di tutto il nord a fronte di costi irrisori;
si tratta di una innovazione brianzola unica al mondo, dato che sfrutta princìpi fisici e non chimici che consentono alla pavimentazione di essere antineve e ghiaccio per anni;
alcuni comuni (Leffe e Gandellino, nel bergamasco) hanno già sperimentato con successo il suddetto prodotto;
nonostante le pose risalgano al 2006, anche lo scorso inverno gli effetti antineve sono stati visibili -:
se il Ministro non intenda informare tutti gli enti locali e statali competenti relativamente a questa innovazione.
(4-10011)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, appare opportuno ricordare che l'obbligo di catene a bordo dei veicoli, nel caso di possibili precipitazioni nevose, è stabilito dal Codice della strada e non comporta per gli utenti stradali un costo d'acquisto troppo elevato, anche in considerazione della lunga durata di dette attrezzature.
La soluzione segnalata dall'interrogante relativamente al «programma per l'asfalto antineve, antighiaccio ed antibuche» risulta non essere scientificamente certificato nei suoi principi di funzionamento oltre a comportare un costo, a detta dei suoi stessi produttori, di almeno 20/25 euro al metro quadrato trattato rispetto ai normali 4 euro al metro quadrato dei sistemi tradizionali adottati. Tale soluzione, pertanto, appare estremamente costosa per un suo uso diffuso.
In alternativa l'ANAS ha allo studio miscele di bitumi additivate con polimeri, da usare nei normali conglomerati bituminosi, che ritardano l'attecchimento della neve e impediscono la formazione del ghiaccio per un certo lasso di tempo. L'uso di tali materiali consentirebbe così di poter intervenire con attrezzature spazzaneve o con i veicoli spargisale successivamente al fenomeno nevoso. Tuttavia, nel caso di persistenza delle nevicate e/o del gelo, è evidente che anche questi sistemi non risulterebbero sufficienti rendendo comunque necessario l'uso delle catene o dei pneumatici da neve.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

HOLZMANN. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
ciascun cittadino è libero di esprimere le proprie valutazioni ed opinioni politiche in ciascun ambito della propria vita di relazione;
per alcune categorie di dipendenti pubblici tale diritto dovrebbe contemperarsi con la delicatezza di particolari funzioni svolte, ad esempio magistrati e insegnanti;
l'interrogante ha preso visione del blog di un insegnante di Trento, Gianluca Trotta, in servizio presso il liceo Galilei di Trento che usa lo pseudonimo di Gattomur;
si ritiene che i contenuti siano altamente offensivi al punto da richiedere un approfondimento della questione, posto che gli studenti che certamente visioneranno il blog non avranno un'immagine positiva del Ministro, delle istituzioni, della politica, del linguaggio da tenere in un confronto d'idee -:
se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare nei confronti di questo insegnante per un comportamento ad avviso dell'interrogante così scorretto e diseducativo.
(4-11725)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante segnala il caso di un docente in servizio presso il Liceo scientifico «Galileo Galilei» di Trento il quale ha realizzato un blog con contenuti che si ritengono altamente offensivi nei confronti delle istituzioni politiche.
È stato, in proposito, interessato il Dipartimento dell'istruzione, università e ricerca della provincia autonoma di Trento, il cui Dirigente generale, esperiti i relativi accertamenti, ha comunicato le seguenti notizie.
Il professore in argomento è docente di italiano con contratto a tempo indeterminato. Attualmente risulta assente dal servizio in quanto in aspettativa facoltativa parentale, essendo stata accolta la relativa domanda da lui presentata.
Da informazioni raccolte presso il Dirigente scolastico, risulta che il docente ha mantenuto un comportamento corretto all'interno della scuola durante l'anno scolastico e che nessun comportamento non consono è stato denunciato da studenti e/o genitori, nonostante la pubblicazione degli articoli relativi all'interrogazione sui giornali locali.
Infatti, sul quotidiano L'Adige del 7 maggio 2011 è stato pubblicato un articolo intitolato «Ridateci il nostro prof. d'italiano». In tale articolo gli alunni rivolgono un appello al fine di riavere in classe il proprio professore (convinti che la sua assenza sia legata all'interrogazione in esame).
Nel medesimo articolo si parla anche di una lettera scritta dai ragazzi in cui si leggerebbe, relativamente al fatto oggetto dell'interrogazione in esame che «... Lo ha fatto come privato cittadino; in classe non ha mai fatto allusioni politiche. Infatti, i contenuti sul suo blog espongono soltanto il suo pensiero e noi non sapevamo neppure della sua esistenza ...».
L'Amministrazione della provincia autonoma ha riferito, inoltre, che né prima né dopo la diffusione della notizia da parte dei media relativa all'interrogazione in esame quanto espresso dal docente ha avuto ripercussioni nell'ambiente scolastico ove lo stesso presta la propria attività lavorativa.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
all'interno della nostra società stanno emergendo, sempre di più, comportamenti compulsivi nei confronti dei social network. Varie sono le testimonianze di persone, sia adulte che adolescenti, ed è proprio questo il dato più preoccupante, che preferiscono restare in casa, davanti al pc collegato a qualche social network piuttosto che uscire e intessere rapporti o relazioni con altre persone. I loro interessi, impegni, eventi tutto passa dal web, diventando in questo modo digitale. L'inizio di questa malattia consiste nell'eliminare ogni occasione di incontro, uscire solo per andare a scuola o al lavoro. Internet e Facebook sono un'ossessione per queste persone, che diventano frettolose persino nel mangiare, inventando scuse continue per tornare al pc. Se si allontanano da casa controllano continuamente l'ora. I genitori stessi non si rendono immediatamente conto di cosa sta accadendo ai loro figli. Per loro la cosa più difficile è stato ammettere i propri errori, l'incapacità di gestire i silenzi del figlio, i vuoti di comunicazione. Solo quando il figlio sviluppa un rapporto di assoluta dipendenza, resta connesso tutta la notte a «quel gioco che fa su fb» allora sorge il problema;
di solito, i soggetti che manifestano questi comportamenti sono persone fragili, il cui umore dipende dal giudizio dei coetanei e dal mondo esterno in generale. La famiglia compare come presenza costante nella sua vita soltanto in questo momento: è la mamma a seguirlo di più, si preoccupa ed espone il problema del figlio. Lontano da internet, si precipita in uno stato depressivo. Di solito queste persone

non hanno nessun altro tipo di dipendenza, né dall'alcol né da sostanze stupefacenti; hanno però sostituito ogni contatto sociale con amici virtuali. Sono «intimi» ma estranei. Non si sono mai visti, non si conoscono, letteralmente fuggono da sé stessi. I primi tempi, quando provano a passare meno tempo davanti al pc, sentono il bisogno di essere collegati, quando non sono on-line stanno male;
Elisa Caponetti, psicoterapeuta, ha già seguito casi del genere. «Queste tipo di dipendenze - spiega - non vanno sottovalutate, invece spesso si tende invece a sminuire. Possono portare conseguenze anche serie, sia nella sfera intima e personale, che nel processo di crescita. Ma non per questo bisogna demonizzare Facebook o i social network, utilizzati con equilibrio rappresentano un nuovo strumento di comunicazione». Il fenomeno, purtroppo, non è circoscritto, non riguarda un numero limitato di utenti. Il Policlinico Agostino Gemelli è stato il primo a creare un centro per assistere chi è affetto da queste psicopatologie da web. In alcuni casi per i pazienti si tratta di ricominciare da zero, una nuova alfabetizzazione emotiva. Il centro cura le dipendenza legate in qualche modo ai social network. È stato aperto un anno fa e ha già seguito quasi 150 casi. Lo dirige il dottor Federico Tonioni. Spiega: «Sono i genitori a venire da noi quando si rendono conto che i figli esprimono un disagio. È una generazione che non ha conosciuto un »prima« del computer. Il ruolo degli adulti è molto importante, una nostra sezione è dedicata a loro». L'astinenza da pc per chi ne fa uso compulsivo può innescare una sindrome depressiva. È necessario allora un intervento farmacologico. I social network tipo Facebook, vissuti nel modo sbagliato possono causare effetti collaterali. «Vedere l'altro su Facebook è come spiarlo dal buco della serratura, entrare nella sua mente - riprende Tonioni; c'è chi per controllare il partner si costruisce una falsa identità, lo corteggia, lo circonda e ne studia le reazioni. C'è anche chi è arrivato a installare un software. Molte cause di divorzio per tradimento sono dipese proprio dai social network». Il dramma del maresciallo di Subiaco che ha ucciso una figlia, ne ha ferito un'altra e poi si è tolto la vita, è un caso limite. La pressione maniacale di un padre che riusciva a esercitare il suo controllo fisico sulle figlie, ma al quale sfuggiva quello virtuale -:
quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di aiutare persone affette da comportamenti compulsivi nei confronti dei social network e le relative famiglie.
(4-09638)

Risposta. - La dipendenza da internet, o internet addiction, che comprende un'ampia varietà di comportamenti, è considerata un disturbo da di controllo degli impulsi, comparabile al gioco d'azzardo patologico, alla cui insorgenza contribuiscono vari elementi, quali psicopatologie di base preesistenti, condotte a rischio, eventi di vita sfavorevoli e problematiche esistenziali, difficoltà comunicative-relazionali, rischi correlati all'approccio ad internet.
Le ricerche effettuate hanno evidenziato che tutti i neofiti di internet per inserirsi in questa nuova realtà virtuale, seguono fasi comuni di sviluppo telematico, ognuna delle quali comporta rischi specifici, quali sentimenti compulsivi, isolamento sociale, dipendenza psicopatologica, perdita dei contatti reali, sentimenti di onnipotenza.
Inoltre, il rapido sviluppo di questo processo sta causando fenomeni psicopatologici, che si esprimono con una sintomatologia simile a quella che si osserva in soggetti dipendenti da sostanze psicoattive.
Gli interventi più efficaci per la prevenzione e la cura della internet-dipendenza e delle sindromi compulsive, sono sostanzialmente gli stessi adottati per gli altri tipi di dipendenza.
Si fa presente, altresì, che la competenza del coordinamento nazionale per le dipendenze è a capo del dipartimento delle politiche antidroga presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha emanato, per il triennio 2010-2013, un piano d'azione nazionale antidroga, approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 29 ottobre

2010, finalizzato ad individuare, per aree di intervento, le future linee di indirizzo generali per l'attuazione di iniziative coordinate nel territorio nazionale in materia di contrasto del consumo di sostanze stupefacenti o psicotrope, e a cui il Ministero della salute collabora per le sue specifiche competenze.
Per favorire il sostegno ed il recupero delle persone dedite alla dipendenza da web fino ad essere colpite da sindrome compulsiva, è possibile attualmente ricorrere, in tutto il territorio nazionale, a strutture socio-riabilitative che assicurano la disponibilità dei trattamenti relativi alla cura dei disturbi mentali ed incentivano programmi riabilitativi che costituiscono un piano d'azione efficace e completo contro le dipendenze.
Peraltro, questo Ministero ritiene necessario affrontare lo specifico problema segnalato nell'interrogazione parlamentare in esame, ai diversi livelli istituzionali, sia definendo politiche e strategie adeguate sia attivando e monitorando azioni concrete e mirate, per ridurre il rischio di dipendenza da web soprattutto nella popolazione giovanile.
In merito alla richiesta di iniziative da parte del Ministero della salute si segnala che, nell'ambito del nuovoanno sanitario nazionale 2011-2013, in corso di adozione, è previsto uno specifico piano di azioni, mirato alla individuazione degli interventi prioritari da porre in essere in varie aree di bisogno, tra cui i disturbi psichici correlati con le dipendenze patologiche ed i comportamenti da abuso.
Inoltre, questo Ministero garantisce una partecipazione costante ed articolata alle azioni promosse dai principali organismi internazionali (OMS, UE, OCSE) negli ambiti di tutela della salute mentale.
In particolare, si segnala che il Ministero della salute sta lavorando, insieme al Ministero dell'Economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ed al dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla realizzazione del decreto di cui all'articolo 1, comma 70, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)».
Detta norma prevede infatti l'adozione di un decreto interdirigenziale, d'intesa con la Conferenza unificata, recante le linee d'azione per la prevenzione, il contrasto ed il recupero di fenomeni di ludopatia conseguenti al gioco compulsivo.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

JANNONE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la nuova edilizia popolare si avvale di mezzi e strutture appartenenti alla cosiddetta social housing, che fanno sì che le case sociali, o quelle relativa all'edilizia popolare, siano realizzate a basso costo e con materiale a basso impatto ambientale. Prefabbricati, per lo più in legno oppure materiali misti con acciaio, cemento leggero, lane artificiali o animali, da realizzare in tempi molto più brevi di quelli normali, utili soprattutto per fronteggiare le emergenze abitative, ovvero, per tamponare le conseguenze di un'alluvione o di un terremoto devastante;
ora, sulla spinta di una tendenza partita dal Nord-Europa, la tecnologia della prefabbricazione punta a fare un doppio salto di qualità, funzionale ed estetico. Dall'idea originaria di abitazione temporanea, provvisoria, precaria, si sta passando a quella di residenza stabile e duratura, con standard ambientali e anche architettonici più elevati. Una casa, insomma, eco-compatibile, con una maggiore sostenibilità sul piano dei consumi energetici, delle prestazioni termiche e perfino dell'isolamento acustico. A Londra, è già stato costruito il primo edificio interamente in legno a nove piani. Nella zona nord della stessa capitale inglese, lungo i margini stradali di Murray Grove e Sheppherdess Walk, l'iniziativa promossa dalla Peabody Trust - una fra le più

antiche associazioni filantropiche della Gran Bretagna - ha puntato proprio sul controllo del prodotto finale. Altri progetti con le stesse caratteristiche sono stati realizzati o sono in via di realizzazione a Berlino. Ma anche in Italia si vanno diffondendo i tentativi di realizzare un social housing per così dire di qualità, a partire dalle esperienze più innovative del Trentino e dell'Alto Adige per arrivare alle aree metropolitane di Roma e di Milano;
in Lombardia e Veneto la Cassa depositi e prestiti ha già assicurato la sua disponibilità a investire 118 milioni di euro in due programmi che prevedono una spesa complessiva di 295 milioni. E lo stesso istituto finanzierà con 25 milioni anche il progetto «Parma Social House» che comprende un mix di 852 alloggi, di cui 252 in locazione a canone sostenibile, 420 in vendita diretta e 180 in locazione a canone convenzionato con riscatto all'ottavo anno (140 milioni di investimento complessivo, realizzazione entro il 2012). I vantaggi più rilevanti della prefabbricazione riguardano i costi e i tempi di realizzazione, con notevoli benefici che si riflettono soprattutto sugli utenti. Nel caso degli affitti agevolati dalle amministrazioni locali, i canoni si aggirano intorno ai 6 euro per metro quadro al mese: una casa di 70-80 metri quadrati, può costare quindi meno di 500 euro mensili. I prezzi di acquisto, a seconda che si tratti di vendita a categorie disagiate oppure di vendita libera sul mercato, possono variare dai 2.500 -2.700 euro al metro quadro fino ai 3.000 -3.200. E in ogni caso, si tratta di livelli più accessibili per una fascia sociale che comprende giovani coppie, famiglie monoreddito, disoccupati, precari, studenti fuori sede, genitori separati, disabili;
sul fronte energetico, per effetto delle proprietà di isolamento e coibentazione del legno, gli edifici di questo tipo possono ridurre notevolmente il fabbisogno fino alla metà: circa 7 litri di gasolio per metro quadro all'anno, contro una media nazionale di 15 litri. Oltre a diminuire così le emissioni, lo spessore dei pannelli in massello consente di ricavare anche un aumento delle volumetrie (circa il 10 per cento). E infine, l'utilizzo del legno - accompagnato naturalmente da una programmazione del rimboschimento - offre una maggiore flessibilità architettonica, adattandosi alle diverse tipologie edilizie: tanto più nel caso della ristrutturazione di vecchi mobili. Anche qui, però, c'è l'altra faccia della medaglia. Non si tratta tanto della sicurezza, né sul piano della resistenza anti-sismica né su quello della prevenzione anti-incendio: i prefabbricati in legno o materiali misti sono più elastici, assorbono meglio degli edifici tradizionali le scosse di terremoto e, opportunamente trattati con vernici ignifughe, resistono perfino all'assalto del fuoco. Le riserve sono piuttosto di ordine psicologico e attengono soprattutto alla consistenza di un classico bene-rifugio come la casa, particolarmente caro alle famiglie italiane. Ma è proprio dall'evoluzione della tecnologia che dipenderà in futuro l'espansione di un settore emergente della green economy -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di promuovere la redazione una normativa nazionale, in grado di regolamentare le strutture cosiddette di social housing.
(4-11530)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, occorre premettere che per quanto concerne l'impiego del legno anche a fini strutturali, il quadro normativo è stato effettivamente caratterizzato, in passato, da una certa frammentarietà e lacunosità. Al riguardo si rammenta che il Regio Decreto n. 193 del 1909, promulgato a seguito del terremoto di Messina, cita la «muratura animata», una sorta di intelaiatura in legno riempita di muratura, come un efficace sistema antisismico mentre, la legge n. 1684 nel 1962 considerava ammissibili le costruzioni in legname solo previo «motivato nulla osta» del Genio civile. Infine, l'articolo 1 della legge n. 64 del 1974, ora trasposto nell'articolo 52 del vigente decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, considera tradizionali

solo i sistemi costruttivi realizzati in muratura, cemento armato o acciaio mentre, per la realizzazione di edifici con sistema costruttivo in legno, se superiori a 3 piani anche se non localizzati in zona sismica, prescrive l'obbligo di una preliminare dichiarazione di idoneità rilasciata dal Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Per quanto riguarda le zone sismiche, occorre attendere il 2003 e l'OPCM 3274 del Dipartimento per la protezione civile per vedere citati, espressamente, gli edifici in legno tra i sistemi costruttivi ammessi in tali zone.
Le prescrizioni tecniche nazionali sono state chiaramente codificate soltanto nel vigente testo delle norme tecniche per le costruzioni, di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008 (NTC 2008), che costituiscono un primo riferimento normativo organico per quanto concerne l'utilizzo delle strutture in legno.
Si evidenzia, inoltre, che il panorama normativo nazionale comprende, a livello progettuale ed applicativo, anche l'Eurocodice n. 5, interamente dedicato alle strutture in legno, il quale costituisce un testo di notevole interesse teorico e applicativo ed un utile riferimento di carattere progettuale. Difatti, il capitolo 12 delle vigenti norme tecniche per le costruzioni lo ha inserito, assieme agli altri eurocodici, tra i riferimenti tecnici normativi di sicura affidabilità.
In sostanza, con l'emanazione del Decreto ministeriale 14 gennaio 2008, le vigenti norme tecniche per le costruzioni hanno accolto a pieno titolo il legno tra i materiali utilizzabili a fini strutturali, ove dotato di tutte le certificazioni tecniche previste, prime tra tutte la marcatura CE del materiale base sicché, le strutture in legno, possono essere considerate, senza remore o preclusioni di sorta, tra i sistemi costruttivi tradizionali normalmente impiegabili anche in zona sismica.
Naturalmente, un riferimento normativo chiaro e congruente quale quello introdotto con le NTC 2008, non può che giovare ad un materiale di sicuro interesse applicativo come il legno che appare, indubbiamente, in grado di fornire soluzioni competitive rispetto agli altri materiali costruttivi, soprattutto in termini di inquinamento ed impatto ambientale. Basta, infatti allo scopo, pensare all'uso di energia primaria ed all'emissione di gas inquinanti necessari per la realizzazione di altri materiali da costruzione quali, il cemento armato e l'acciaio.
Ovviamente, particolari cautele sono previste dalle NTC 2008 per quei materiali lignei destinati ad un uso strutturale e non dotati di una preliminare certificazione di uso, quale la citata marcatura CE, per essi, non risultando garantita, a priori, l'idoneità tecnica ed il raggiungimento dei requisiti di sicurezza fissati dalle NTC 2008; l'uso a fini strutturali è subordinato all'ottenimento di una specifica e preliminare certificazione di idoneità all'impiego, rilasciata dal Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Pertanto, l'uso dei sistemi costruttivi in legno, codificato dalle attuali norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008, per realizzazioni superiori a 3 piani trova una significativa complicazione procedurale a causa di quanto disposto dall'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001, il quale, essendo di rango giuridico superiore rispetto ai decreto ministeriale 14 gennaio 2008, di fatto vincola i progetti di edifici o costruzioni in legno di una certa rilevanza all'esame preventivo presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, con conseguente appesantimento delle procedure amministrative.
In relazione a quanto sopra riferito, si ritiene utile segnalare che, presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, è stato recentemente attivato un gruppo di lavoro incaricato di redigere, ai sensi di quanto stabilito dal punto 11.1 lettera c) del 14 gennaio 2008, apposite linee guida contenenti le indicazioni necessarie all'ottenimento del certificato di idoneità tecnica all'impiego, per materiali/prodotti in legno per i quali non sia disponibile una norma europea armonizzata; dette linee guida tratteranno, altresì, le problematiche tecniche e progettuali relative alla certificazione di idoneità tecnica di cui all'articolo 52 del decreto del Presidente della Re

pubblica 380 del 2001, per edifici a 4 o più piani realizzati con sistemi costruttivi in legno.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

JANNONE. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il punto di arrivo dell'informatizzazione della pubblica amministrazione è il cloud, la nuvola informatica da cui attingere potenza di calcolo e applicazioni senza più bisogno che ogni ente, ogni amministrazione spenda risorse per una sua propria dotazione hardware e soprattutto software. Ad oggi, tuttavia, sembra che l'opera di digitalizzazione della pubblica amministrazione sia impigliata in una situazione di fermo da cui è difficile districarsi. Ormai sono rarissimi gli uffici pubblici in cui non ci sia un computer, ma sull'efficienza il gap è un baratro. Ad esempio, per una contestazione dell'Agenzia delle entrate, si raggiunge un accordo tra l'ufficio ed il contribuente (il caso era un semplice errore di compilazione); per perfezionare l'operazione manca una rettifica che l'utente deve compiere per via telematica. Salvo poi dover stampare la pagina e portarla materialmente all'Agenzia delle entrate. Un'azienda ospedaliera ha un centro tao per la terapia anticoagulante orale: ha tutti i suoi pazienti in un database, sui suoi computer i dati dei pazienti vengono aggiornati ad ogni prelievo e le correzioni di terapia inserite nelle schede elettroniche. Le variazioni di terapia al paziente che si è sottoposto al prelievo tre o quattro ore prima non possono essere comunicate via mail, perché il computer non ha accesso in rete. Si stampa la cartella digitale e la si invia per fax. Sistemi non connessi, applicazioni che non si parlano. La pubblica amministrazione ha investito nell'information and communication technology negli ultimi anni, ma non in modo efficiente; il cloud potrebbe rendere il tutto più produttivo;
«quello che manca da noi - sostiene Gianfranco Previtera, vice presidente per le iniziative straniere di Ibm Italia - è un'analisi di cosa serve, di quali applicazioni c'è bisogno e di come devono funzionare. Ossia definire degli standard. È quello che ha fatto la Pubblica Amministrazione Usa. Mentre, qui ognuno ha il suo sistema». Tanto per iniziare non c'è una sola istanza di coordinamento. Questo disordine ha un immediato riflesso nell'assenza di un computo preciso delle risorse disponibili. Lo ha provato a fare l'Osservatorio Cloud del Politecnico di Milano; non sono valutazioni positive, come spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell'Osservatorio Cloud: «L'impressione è deludente: sulla pubblica amministrazione le prospettive del cloud sono interessanti, a parole tutti hanno interesse ma nella pratica fatichiamo a vedere applicazioni concrete». Quanto alle ragioni, «Una su tutte: il tema più difficile da affrontare è quello centrale: come far cambiare strada a una pubblica amministrazione dove ogni ente fa da sé. Abbiamo censito circa 400 data center pubblici ai quali vanno poi aggiunte le piccole sale server degli ospedali. E ognuno di questi si porta dietro oneri di gestione e manutenzione sui quali è impossibile fare economie di scala tipiche del cloud, che centralizza le strutture. E, d'altra parte, tutti questi server dedicati a unico servizio sono sfruttati in percentuale molto bassa»;
sarebbe proprio questo il punto di forza del cloud, soprattutto di quello che viene definito community cloud ossia infrastrutture hardware e portafoglio di applicazioni software messi a fattor comune tra enti e soggetti che fanno lo stesso lavoro. «E questo è uno dei punti che fanno pensare come il cloud sia una soluzione perfetta per la pubblica amministrazione - spiega Corso -. Due soggetti di mercato che operano in concorrenza tra di loro potrebbero aver problema ad adottare le stesse soluzioni gestionali perché potrebbero avere strutture e organizzazioni diverse, perché differenziarsi è uno degli aspetti base di ogni competizione, ma negli enti pubblici no. Tutti i Comuni, per

dire, fanno non solo lo stesso lavoro, ma lo fanno anche nello stesso modo: le procedure amministrative sono uno standard, o almeno dovrebbero, il lavoro svolto da quei 400 data center sarebbe svolto in modo molto più efficiente da una ventina di grandi data center regionali a costi inferiori per tutti e in grado anche di far accedere all'offerta anche quegli enti che oggi, per questioni di dimensioni e di budget ne sono fuori»;
un sistema regionale di data center, magari con articolazioni in macro province nelle regioni maggiori, tipo la Lombardia, per esempio, avrebbe quindi una sua ragione d'essere sia in termini di costi che di sinergie, di economie di scala. E farebbe anche sviluppare dei soggetti economici adatti: due soggetti potrebbero essere in grado di gestirli. Da una parte ovviamente società di telecomunicazione, che già si stanno lanciando nell'iniziativa. Ma si potrebbero riqualificare in questa direzione le diverse società pubbliche regionali per l'informatica, che oggi lavorano soprattutto come system integrator dedicati alle rispettive amministrazioni e finiscono così per togliere spazio di mercato alle imprese private del settore, come ha più volte denunciato l'Assinform. Se invece diventassero gestori di cloud per enti locali e pubblici del loro territorio, svolgerebbero un lavoro più consono alla loro natura. Sarebbero i depositari di informazioni e dati di valore pubblico che non possono essere certo affidati a cloud privati, che depositano i dati in server che nessuno sa esattamente dove siano collocati -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di creare una cloud informatica attinente tutti gli uffici della pubblica amministrazione, in modo da migliorare i servizi resi ai cittadini e la loro efficienza interna.
(4-12356)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione alcuni chiarimenti in merito all'adozione del cloud computing nella pubblica amministrazione, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente, va premesso che l'espressione cloud computing indica una serie di modalità, non solo tecnologiche ma anche organizzative, che permettono di acquisire servizi (information and communications technology) in modo flessibile ed economico basandosi su risorse elaborative e di storage condivise e su una diffusa connettività di rete. Il suo successo è dovuto alla riduzione dei costi in conto capitale, sostituiti da spese a consumo, unitamente ad una flessibilità di approvvigionamento senza precedenti. Per la pubblica amministrazione, come per qualsiasi altro utente di servizi ICE si prospettano possibilità di risparmio e di razionalizzazione considerevoli.
Le opinioni citate dall'interrogante sottolineano i potenziali vantaggi che il cloud computing potrebbe apportare nella soluzione di certe diseconomie legate alla frammentazione e alla complessa governance delle risorse informatiche di tutte le grandi organizzazioni non soltanto pubbliche.
Va forse osservato che nel confronto tra gli USA e il nostro Paese andrebbero considerati i differenti impianti istituzionali e le diverse tradizioni giuridiche. In questo modo si comprenderebbe come mai in Italia sia stato necessario consolidare prima di tutto il quadro normativo con il Codice dell'amministrazione digitale, di cui forse non è possibile trovare un equivalente negli Stati Uniti.
Nel codice sono contenute prescrizioni come gli articoli 58 e 60, che richiedono alle pubbliche amministrazioni di garantire l'accesso alle basi di dati in loro possesso da parte delle altre amministrazioni, senza oneri a loro carico, garantendone l'allineamento fra loro.
Per quanto riguarda il suggerimento di accorpare i numerosi data cenere pubblici in pochi centri regionali, va osservato che alcune regioni, tra le quali la Toscana, sembrano avere adottato già questo disegno. L'estensione di una simile architettura all'intero territorio nazionale, però, dovrebbe risultare da un disegno condiviso da tutti gli attori istituzionali coinvolti.

Va comunque sottolineato che il cloud computing comporta importanti cambiamenti nei rapporti tra cliente e fornitore, particolarmente nella capacità del primo di esercitare il proprio controllo sul rispetto degli accordi contrattuali e della normativa vigente da parte del secondo. Ciò introduce una serie di problematiche oggetto di grande attenzione, ad esempio per quanto concerne le ricadute sulla sicurezza e sulla privacy.
L'Enisa, l'agenzia europea per la sicurezza delle informazioni e delle reti, ha prodotto una serie di raccomandazioni per un uso consapevole del cloud, mentre la nostra Autorità garante per la protezione dei dati personali, nella sua ultima relazione annuale, ha fornito importanti indicazioni nello stesso senso. Con riferimento all'ambito più strettamente tecnologico DigitPA, l'ente per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, ha da poco istituito un gruppo di lavoro formato da rappresentanti dell'industria (sotto l'egida di Assinform), dell'università e della ricerca che sta approntando delle linee-guida per l'adozione dei servizi cloud specificamente indirizzate alle pubbliche amministrazioni.
DigitPA che esprime pareri obbligatori non vincolanti sulle iniziative ICT delle pubbliche amministrazioni centrali, ha inoltre messo in evidenza, nei pareri emessi verso importanti amministrazioni come INPS, INAIL, Ministero della giustizia e Ministero dell'interno la necessità di migrare gli attuali sistemi legacy (del tipo di quelli adottati centralmente da Poste Italiane) verso sistemi cosiddetti industry standard, che sono alla base dei data centro dei più importanti provider di servizi cloud.
Va osservato che le offerte commerciali di servizi cloud, inizialmente proposte da grandi aziende prevalentemente statunitensi, si stanno moltiplicando anche da parte di aziende italiane e risulta che alcune società concessionarie di servizi pubblici, tra le quali il gruppo Ferrovie dello Stato, stiano già utilizzando con successo servizi di tipo cloud per la loro operatività quotidiana mentre alcune pubbliche amministrazioni cominciano a familiarizzarsi con questo nuovo paradigma tecnologico.
In conclusione, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione sta considerando con attenzione l'evoluzione del cloud computing, che potrà facilitare l'attuazione dell'amministrazione digitale in Italia e contribuire allo sviluppo economico. L'adozione dei servizi di cloud da parte delle amministrazioni e delle società concessionarie di pubblici servizi potrà venire incoraggiata sia dallo sviluppo di un'offerta commerciale matura, specificamente indirizzata alle particolarità del mercato pubblico, come pure dallo scambio di esperienze e buone pratiche che cominciano a moltiplicarsi anche nel nostro Paese.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

LANZILLOTTA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
dal 1° giugno 2011 si sono registrati presso i 14 mila uffici postali disservizi causati, secondo quanto affermato da Poste italiane, dal cambiamento del sistema operativo;
la tipologia dei servizi offerti da Poste italiane - società di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze - rendono questo ente centrale per la vita di molti cittadini, in primis per i pensionati, e per le migliaia di piccole e medie imprese che quotidianamente vi fanno ricorso e, per questi motivi, è indispensabile che tali servizi siano continuativi e siano assicurati su tutto il territorio nazionale;
esistono ormai e si vanno diffondendo tecnologie informatiche, quali il cloud computing, che permettono di utilizzare le risorse hardware o software in remoto attraverso Internet diventando disponibili su qualsiasi tipo di dispositivo e da qualsiasi tipo di accesso ed evitando quindi le conseguenze economiche e sociali connesse all'interruzione del servizio cui Poste Italiane è stata costretta;

premesso che tale tecnologia potrà diventare uno dei pilastri della ripresa economica dei diversi Paesi membri dell'Unione europea in quanto permette alle pubbliche amministrazioni diversi vantaggi, in termini di riduzione dei costi e di aumento dell'agilità delle proprie organizzazioni -:
se il Governo abbia allo studio l'adozione del cloud computing nelle amministrazioni pubbliche e da parte delle società concessionarie di servizi pubblici - quali appunto Poste Italiane - e, nel caso, quali problemi abbiano riscontrato e se, in definitiva, intenda introdurre soluzioni basate su piattaforme di tipo cloud, come già fatto da svariate realtà private e, fuori d'Italia, anche pubbliche, e in quali settori.
(4-12290)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione alcuni chiarimenti in merito all'adozione del cloud computing nella pubblica amministrazione si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente, va premesso che con l'espressione cloud computing si indicano modalità flessibili ed economiche di fornitura di servizi (information and communications technology) basate sostanzialmente sulla condivisione di risorse elaborative e di storage attraverso internet. Si tratta, come è noto, di un approccio fortemente innovativo che prevede una varietà di scenari realizzativi e di possibili utilizzi. Ricadute positive, sia in termini economici che di Flessibilità e usabilità dei servizi, possono essere facilmente previste per gli utilizzatori di tali servizi siano essi singoli utenti che grandi organizzazioni, incluse le pubbliche amministrazioni.
Importanti iniziative strategiche sono allo studio sia da parte di alcuni Paesi che dell'Unione europea, come messo in evidenza ad esempio nel discorso «Torwards a European Cloud Computing strategy» tenuto il 27 gennaio 2011 dal Commissario europeo responsabile per la digital agenda, Neelie Kroes, in occasione del world economic forum.
Ciò detto, va osservato che le offerte commerciali di servizi cloud, inizialmente proposte da grandi aziende prevalentemente statunitensi, si stanno moltiplicando anche da parte di aziende italiane. Risulta anche che alcune società concessionarie di servizi pubblici, tra le quali il gruppo Ferrovie dello Stato, stiano già utilizzando con successo servizi di tipo cloud per la loro operatività quotidiana. Anche alcune pubbliche amministrazioni cominciano a familiarizzarsi con questo nuovo paradigma tecnologico.
Va comunque sottolineato che il cloud computing comporta importanti cambiamenti nei rapporti tra cliente e fornitore, particolarmente nella capacità del primo di esercitare il proprio controllo sul rispetto degli accordi contrattuali e della normativa vigente da parte del secondo. Ciò introduce una serie di problematiche oggetto di grande attenzione, ad esempio per quanto concerne le ricadute sulla sicurezza e sulla privacy.
L'Enisa, l'agenzia europea per la sicurezza delle informazioni e delle reti, ha prodotto una serie di raccomandazioni per un uso consapevole del cloud, mentre la nostra Autorità garante per la protezione dei dati personali, nella sua ultima relazione annuale, ha fornito importanti indicazioni nello stesso senso. Con riferimento all'ambito più strettamente tecnologico, DigitPA, l'ente per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, ha da poco istituito un gruppo di lavoro formato da rappresentanti dell'industria (sotto l'egida di Assinform), dell'università e della ricerca che sta approntando delle linee-guida per l'adozione dei servizi cloud specificamente indirizzate alle pubbliche amministrazioni.
DigitPA, che esprime pareri obbligatori non vincolanti sulle iniziative ICT delle pubbliche amministrazioni centrali, ha inoltre messo in evidenza, nei pareri emessi verso importanti amministrazioni come INPS, INAIL, Ministero della giustizia e Ministero dell'interno, la necessità di migrare gli attuali sistemi legacy (del tipo di quelli adottati centralmente da Poste Italiane) verso sistemi cosiddetti industry standard,

che sono alla base dei data centro dei più importanti provider di servizi cloud.
In conclusione, il Governo sta considerando con attenzione l'evoluzione del cloud computing; che può certamente facilitare l'attuazione dell'amministrazione digitale in Italia e contribuire allo sviluppo economico.
L'adozione dei servizi cloud da parte delle amministrazioni e delle società concessionarie di pubblici servizi potrà venire incoraggiata sia dallo sviluppo di un'offerta commerciale matura, specificamente indirizzata alle particolarità del mercato pubblico, come pure dallo scambio di esperienze e buone pratiche che cominciano a moltiplicarsi anche nel nostro Paese.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

MADIA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere premesso che:
il Ministero dell'interno ha tenuto un concorso, bandito con decreto ministeriale del 26 maggio 2008, per 80 collaboratori amministrativi (ex C1) chiusosi, con l'approvazione della graduatoria, con decreto ministeriale 3 dicembre 2009;
gli 80 vincitori del concorso sono, al pari di numerosi altri vincitori di altre procedure concorsuali nella pubblica amministrazione, da mesi in attesa di assunzione;
il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25 (cosiddetta Milleproroghe) stabilisce che alcune pubbliche amministrazioni, tra cui il suddetto Ministero, sono tenute a una riduzione di organico e di spesa del 10 per cento da effettuarsi entro il 30 giugno 2010; al dettato del decreto-legge cosiddetto Mille-proroghe deve aggiungersi quanto disposto in materia di turn over dall'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale, inoltre, all'articolo 74, impone alle pubbliche amministrazioni di provvedere alla riduzione delle dotazioni organiche e della relativa spesa al fine di poter assumere nuovo personale, cui il Ministero dell'interno ha già ottemperato con l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 2009 n. 210;
in caso di inottemperanza della norma l'amministrazione in questione non avrà facoltà di procedere a qualsiasi assunzione di personale e alla stipula di contratti;
il dipartimento della funzione pubblica ha confermato al Ministero dell'interno con parere n. 12694 del 15 marzo 2010 che i vincitori del concorso potranno essere assunti soltanto previa riduzione del 10 per cento delle spese per il personale e nel pieno rispetto della normativa sul turn over;
la questione è stata oggetto di precedente atto di sindacato ispettivo al Senato (Andria - 4-02685) attualmente in corso -:
se il Ministero dell'interno intenda, e quando, assumere gli 80 vincitori di concorso per collaboratori amministrativi;
se il Ministero dell'interno abbia provveduto alla riduzione di cui all'articolo 2, comma 8-bis e comma 8-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25;
se non si ritenga di dover effettuare un monitoraggio, al fine di stabilire il numero effettivo dei vincitori di concorso non assunti nelle varie amministrazioni dello Stato, fornendo i relativi dati;
quali iniziative si intendano adottare affinché le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici rispettino le percentuali di assunzioni relativamente ai posti banditi riservati al personale interno ed esterno.
(4-07734)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere se e quando il Ministero dell'interno intenda assumere i vincitori della procedura concorsuale

bandita con decreto del 26 maggio 2008, per 80 posti di collaboratore amministrativo, nonché se abbia provveduto alle riduzioni di spesa ai sensi dell'articolo 2, comma 8-bis e comma 8-quater, del decreto-legge n.194 del 2009, convertito nella legge n. 25 del 2007.
L'articolo 66, comma 3, del decreto-legge 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», ha stabilito che le assunzioni di personale a tempo indeterminato per l'anno 2009 potessero essere effettuate nel limite massimo di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 10 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente e, comunque, in numero non superiore al 10 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.
In applicazione dei limiti imposti dalla richiamata disposizione, questa Amministrazione, con nota del 27 febbraio 2010, ha inoltrato al dipartimento della funzione di pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri la richiesta di autorizzazione ad assumere 33 unità di personale - corrispondenti al 10 per cento delle cessazioni dal servizio avvenute nel 2008 - tra cui 20 dei vincitori del concorso pubblico per 80 posti di collaboratore amministrativo cui fa riferimento l'interrogante.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 marzo 2010, registrato dalla Corte dei conti il 15 giugno 2010 e pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 148 del 28 giugno 2010, questo Ministero è stato autorizzato a provvedere alle richieste assunzioni. Le relative procedure si sono concluse il 28 giugno 2010.
Per quanto concerne l'assunzione di ulteriori unità di personale tra i vincitori dello stesso concorso, va considerato che, ai sensi del comma 7 del citato articolo 66, come modificato dall'articolo, comma 5, del decreto-legge n.78 del 2010, convertito nella legge n. 122 del 2010, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», è stato possibile effettuare assunzioni, relativamente al quadriennio 2010-2013, nel limite del 20 per cento della spesa inerente alle cessazioni avvenute nell'anno precedente.
Con circolare del 18 ottobre 2010, il dipartimento della funzione pubblica, unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze, ha illustrato alle amministrazioni pubbliche le modalità per richiedere l'autorizzazione ad assumere personale, alla luce delle varie limitazioni normative intervenute.
Questa amministrazione ha, pertanto, provveduto a richiedere, con nota del 15 novembre 2010, l'autorizzazione all'assunzione, per l'anno 2010, di ulteriori vincitori del concorso a 80 posti di collaboratore amministrativo nella misura di 45 unità, corrispondenti al 20 per cento delle economie provenienti dalle cessazioni avvenute nell'anno 2009 e comunque al 20 per cento delle cessazioni avvenute nel medesimo anno.
Inoltre, in data 8 aprile 2011, questa amministrazione ha chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica - e al Ministero dell'economia e delle finanze l'autorizzazione ad assumere, per l'anno 2011, 75 unità di personale, corrispondenti al 20 per cento delle economie relative alle cessazioni dal servizio registratesi nell'anno 2010, tra cui l'ultimo contingente, pari a 10 unità, dei vincitori del concorso pubblico a 80 posti di collaboratore amministrativo.
Per quanto riguarda la questione relativa all'effettuazione da parte del Ministero dell'interno, della riduzione di cui al decreto-legge n. 194 del 2009, convertito nella legge n. 25 del 2010, recante «Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative», si fa presente che sono in corso le procedure per l'attuazione dell'articolo 2, comma 8-
bis e comma 8-quater del predetto decreto-legge n.194 del 2009.
A seguito dell'emanazione della circolare n. 9 del 28 luglio 2010 del Dipartimento della funzione pubblica, recante innovazioni interpretative sulla disposizione di cui all'articolo 2, comma 8-
bis e comma 8-quater del decreto-legge n.194

del 2009, quest'amministrazione sta procedendo, sulla base del ridimensionamento della consistenza organica già attuato con il decreto del Presidente della Repubblica n.210 del 2009 (entrato in vigore il 10 febbraio 2010) a un'ulteriore riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10 per cento nonché a un'ulteriore rimodulazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale nei limiti del 10 per cento della relativa spesa complessiva.
La rideterminazione, che non incide sul personale della carriera prefettizia, viene attuata con riferimento alle dotazioni organiche dei dirigenti dell'area di seconda fascia e del personale non dirigenziale di quest'amministrazione quali risultano dal richiamato decreto del Presiedente della Repubblica n.210 del 2009, in armonia con il complesso quadro ordinamentale e organizzativo di questo ministero, e deve essere accompagnata dall'adozione di appositi atti di riorganizzazione degli uffici centrali e periferici dell'amministrazione.
Per quanto concerne la questione relativa all'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici e all'effettuazione di un monitoraggio circa il numero dei vincitori non assunti nelle varie amministrazioni dello Stato, il dipartimento della funzione pubblica ha fatto presente preliminarmente che il diritto dei vincitori di concorsi ad essere assunti dalle pubbliche amministrazioni garantito solo nel rispetto del regime delle assunzioni previsto dalla normativa vigente.
Occorre tener conto degli stringenti vincoli previsti dalle leggi finanziarie degli ultimi anni ogni qual volta si intende affrontare il problema della mancata assunzione di candidati risultati vincitori o idonei nell'ambito dei concorsi pubblici.
In particolare, si deve considerare non soltanto che le risorse finanziarie destinate al reclutamento di personale sono limitate, ma anche che ciascuna amministrazione chiamata a valutare autonomamente le proprie esigenze organizzative, scegliendo, ad esempio, quali graduatorie utilizzare e se procedere alloro esaurimento o, in alternativa, all'indizione di nuovi concorsi.
Le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono, infatti, di competenza di ciascuna amministrazione e devono essere assunte sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale, la quale programmazione risulta indispensabile ai fini di una efficace gestione delle politiche di assunzione in quanto serve ad evitare che vengano banditi concorsi pubblici senza tenere conto delle reali necessità delle amministrazioni. Diversamente potrebbe ingeniarsi nei candidati selezionati una aspettativa all'assunzione non tutelabile dall'ordinamento giuridico.
Inoltre, la disciplina vigente in materia di ordinamento del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione non prevede, nell'ambito delle procedura di competenza del dipartimento della funzione pubblica, alcun controllo sulle scelte di assunzione che, pur necessitando delle prescritte autorizzazioni rese dal medesimo dipartimento, restano rimesse alla discrezionalità di ciascuna amministrazione.
Dalle sopra esposte considerazioni consegue che, ai sensi della normativa vigente, non è possibile quantificare, come richiesto dall'interrogante numero delle procedure concorsuali avviate dalle pubbliche amministrazioni e non ancora concluse.
Tuttavia, nell'ambito del nuovo sistema integrato degli adempimenti a carico delle pubbliche amministrazioni, noto come «per la PA», il dipartimento della funzione pubblica ha intenzione di valutare la possibilità di stabilire anche i dati relativi ai concorsi pubblici.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

MANCUSO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il 10 e l'11 novembre 2010 la regione Campania è stata colpita da intense piogge

che hanno provocato l'esondazione dei fiumi Sele, Tanagro e Sangro;
un migliaio di persone sono state sfollate, 50.000 sono rimaste senz'acqua;
secondo le stime della protezione civile i danni ammontano a 254 milioni di euro;
secondo l'assessorato dell'agricoltura di Salerno i danni del comparto agricolo superano i 100 milioni di euro;
è stata immediatamente costituita un'unità di crisi veterinaria per il monitoraggio della situazione e per la ricognizione di tutti gli allevamenti ubicati a 500 metri dai fiumi -:
quali siano stati i provvedimenti presi dal Governo per il recupero dei danni del settore agro-zootecnico-caseario e a quanto ammontino le somme stanziate;
se il Governo intenda agevolare l'istituzione di un «osservatorio veterinario permanente» per il monitoraggio, l'assistenza, la promozione e il sostegno delle attività agro-zootecniche-casearie dell'intera area colpita.
(4-11357)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne il nubifragio che nei giorni 10 ed 11 del mese di novembre 2010 ha causato, tra l'altro, danni alle strutture aziendali ed alle infrastrutture agricole, nella provincia di Salerno.
Al riguardo evidenzio che, in accoglimento della proposta formulata dalla regione Campania, è stato emesso il Decreto di declaratoria dell'11 marzo 2011, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 66 del 22 marzo 2011, con il quale vengono attivate le provvidenze del Fondo di solidarietà nazionale per consentire alle aziende agricole danneggiate di ripristinare le strutture aziendali distrutte dall'evento.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Francesco Saverio Romano.

MANCUSO, CECCACCI RUBINO, FRASSINETTI, REPETTI, MANNUCCI, CICCIOLI e CATANOSO GENOESE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il sindaco del paese di Rocchetta Vara (La Spezia), Riccardo Barotti in collaborazione a Federcaccia ha pensato di proporre lezioni ai caccia al cinghiale ai bambini delle scuole elementari del paese;
l'attività venatoria non è un'attività ludica, né tantomeno materia di insegnamento nelle scuole;
la visione e l'esaltazione di armi e attività truculente possono senz'altro urtare la sensibilità di un bambino delle elementari;
molte associazioni animaliste, locali e nazionali, si sono schierate contro l'iniziativa del sindaco;
l'iniziativa prende spunto dall'alto numero di cacciatori presenti tra la popolazione di Rocchetta Vara, cosa che, secondo il sindaco, farebbe della caccia un elemento della tradizione paesana;
l'amministrazione comunale pretende di asserire che i corsi sulla caccia per i bambini insegnerebbero loro l'amore e il rispetto per la natura;
uno degli scopi presunti dei corsi sarebbe quello di insegnare ai bambini come difendersi dall'assedio dei cinghiali;
per ammissione dello stesso Sindaco, nel periodo di attività venatoria, è consuetudine spostare il giorno di giunta per permettere agli assessori cacciatori di andare per i boschi;
ai bambini partecipanti al corso sarà regalata una maglietta con stampato lo slogan: «La caccia è passione, istinto, ragione, ma, soprattutto, rispetto per la natura» -:
quali azioni intenda intraprendere il Governo per opporsi a tale diseducativa iniziativa.
(4-11749)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, questo Ministero informa l'interrogante, che il tema dell'educazione ambientale al centro della politica di questa Amministrazione, che non ha mancato di assumere diverse iniziative da proporre alle istituzioni scolastiche.
Si ricordano alcune iniziative quali le linee guida per l'educazione e lo sviluppo sostenibile emanate congiuntamente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, inviate con nota del 14 dicembre 2009 agli uffici scolastici regionali, agli uffici di ambito territoriale ed ai dirigenti scolastici.
Tali linee guida si propongono di fornire alcuni orientamenti innovativi di educazione ambientale e allo sviluppo sostenibile per l'elaborazione di curricoli da parte degli istituti scolastici e per l'organizzazione delle attività educative e didattiche. Alle linee guida sono allegate anche alcune schede tecniche di approfondimento tematico.
È stato rinnovato anche il protocollo d'intesa con la Lega antivivisezione, con il quale ciò si impegna a promuovere congiuntamente nelle scuole attività dedicate al rispetto dei diritti di tutti gli esseri viventi, nonché alla sensibilizzazione su tali tematiche di docenti e studenti.
Alla fine dell'anno scorso è stato poi sottoscritto con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, un protocollo d'intesa con il quale, nel rispetto dei ruoli e delle competenze istituzionali, ciò si impegna a diffondere l'educazione all'ambiente e allo sviluppo sostenibile.
Il protocollo prevede tra l'altro iniziative nel campo dell'educazione ambientale atte a favorire in particolare:
la conoscenza diretta del territorio e del suo patrimonio ambientale e naturalistico, attraverso programmi didattici modulati per le scuole di ogni ordine e grado;
la diffusione nelle scuole dei valori di un volontariato sensibile alle problematiche dell'ambiente, del territorio e ai bisogni delle comunità locali e, nel contempo, attento alle esigenze globali, promuovendo i valori della cittadinanza e del vivere sociale.

A tal fine saranno realizzati materiali informativi e promozionali in tema di educazione all'ambiente e sviluppo sostenibile e saranno organizzati seminari, incontri e dibattiti su tematiche ambientali, elaborando progetti mirati agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, nonché campagne di comunicazione di informazione sugli obiettivi perseguiti dall'atto assunto.
Inoltre le istituzioni scolastiche nell'ambito della autonomia loro riconosciuta possono intraprendere le iniziative ritenute più idonee da inserire nel piano dell'offerta formativa.
In merito allo specifico contenuto dell'atto ispettivo in discussione, relativo al presunto coinvolgimento delle scuole elementari di Rocchetta Vara in provincia di La Spezia in un progetto comunale di caccia al cinghiale, questo Ministero ha chiesto alla direzione regionale scolastica per la Liguria di fornire informazioni.
Dalla relazione pervenuta alla nostra articolazione territoriale ligure emerge che la dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo Val di Vara (provincia di La Spezia), venuta a conoscenza della vicenda tramite la stampa, ha immediatamente interpellato le insegnanti dell'istituto, che hanno confermato di essere state contattate dall'Assessore alla cultura del comune di Rocchetta Vara, per la realizzazione di un progetto comunale. È stato precisato a proposito che il rappresentante della giunta locale aveva infatti proposto loro una generica attività di «educazione ambientale», nella quale sarebbero stati presenti anche alcuni cani da caccia e che le medesime insegnanti hanno dichiarato di non aver aderito in alcun modo all'iniziativa.
La Dirigente ha altresì precisato di aver pubblicamente dichiarato di non condividere assolutamente quanto espresso dal Sindaco del comune interessato, aggiungendo, l'attività in questione non rientrava tra quelle programmate dalla scuola e approvate nel Piano dell'offerta formativa e

nella programmazione periodica e che nessuna attività relativa alla caccia era stata fatta, né sarebbe stata intrapresa con i bambini della scuola primaria dell'istituto comprensivo Val di Vara.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

MARCHIONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
gli esami del primo biennio del corso di laurea in biotecnologie del vecchio ordinamento, comune a tutti gli indirizzi del corso (matematica, fisica, chimica generale e inorganica e chimica organica, microbiologia, biologia generale e genetica, biologia molecolare e genetica molecolare, biologia cellulare e biotecnologie cellulari, biologia delle piante agrarie e vegetali, biochimica 1, biochimica cellulare, biochimica strutturale, immunologia e laboratorio di tecnologie genetiche, entomologia e zoologia agraria) sono in larga parte comuni al corso di laurea in scienze biologiche e ad altri corsi di laurea in materie scientifiche;
con decreto dei Ministri dell'istruzione e della funzione pubblica, nel 2005 è stata riconosciuta l'equipollenza della laurea in biotecnologie alla laurea in scienze e tecnologie agrarie, limitatamente all'indirizzo «agrario vegetale»;
le classi di concorso per l'insegnamento a cui possono accedere i laureati in biotecnologie sono: A060 (scienze naturali, chimica e geografia, microbiologia nella scuola superiore) e A057 (scienze degli alimenti) limitatamente ai laureati, secondo il nuovo ordinamento, in vigore dal 2001, con specializzazione in indirizzo agroindustriale, mentre le classi di concorso a cui possono accedere i laureati in scienze biologiche sono: A012 (chimica agraria), A040 (igiene, anatomia), A057 (scienze degli alimenti), A059 (matematica e scienze nella scuola media), A060 (scienze naturali, chimica e geografia, microbiologia nella scuola superiore) e quelle a cui possono accedere i laureati in scienze agrarie sono: A012 (chimica agraria), A033 (educazione tecnica scuola media), A057 (scienze degli alimenti), A058 (scienze e mec. agraria), A059 (matematica e scienze nella scuola media), A060 (scienze naturali, chimica e geografia, microbiologia nella scuola sup.), A074 (zootecnica e scienza della riproduzione animale);
l'insegnamento di matematica e scienze nella scuola media, classe A059 è consentito ai laureati in matematica, fisica, biologia, chimica, scienze naturali, scienze ambientali, scienze geologiche, scienze agrarie -:
se non ritenga di valutare l'opportunità di inserire la laurea in biotecnologie del vecchio ordinamento in altre classi di concorso, oltre la A060, in particolare nella classe A059 (matematica e scienze nella scuola media).
(4-07671)

Risposta. - Nella interrogazione in esame si chiede di inserire la laurea in biotecnologie del vecchio ordinamento, già presente nella classe A060, in altre classi di concorso, ed in particolare nella classe A059 (matematica e scienze nella scuola media) atteso che l'insegnamento di detta disciplina nella scuola media consentito ai laureati in matematica, fisica, biologia, chimica, scienze naturali, scienze ambientali, scienze geologiche, scienze agrarie.
Al riguardo si fa presente che i titoli di studio validi per il reclutamento del personale docente sono stabiliti con apposito decreto ministeriale sentito il parere del Consiglio nazionale della pubblica istruzione.
Commissioni ministeriali, costituite da personale esperto sia amministrativo che docente, con la collaborazione e il coordinamento della segreteria tecnica degli ispettori, individuano tra tutti i titoli accademici previsti dall'ordinamento universitario quelli i cui piani di studio sono considerati idonei all'insegnamento della scuola secondaria.


L'ordinamento delle classi di concorso e di abilitazione all'insegnamento è stato più volte oggetto di modifiche ed integrazioni, prevedendo sia l'inserimento di nuove lauree che la richiesta di specifici piani di studio in aderenza alle sopravvenute esigenze della scuola.
Questo Governo ha avvertito l'esigenza di porre in essere misure per l'ammodernamento, la qualificazione e lo sviluppo del sistema scolastico, quali tra l'altro la revisione degli ordinamenti e la razionalizzazione e l'accorpamento delle classi di concorso, nonché di ridisegnare il percorso formativo degli insegnanti.
Come è noto in applicazione di quanto previsto dall'articolo 64 del decreto legge numero 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge numero 133 del 2008 si provveduto alla revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione (decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n. 89), al riordino degli istituti tecnici e professionali (decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, numero 87 e numero 88) ed alla revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010 numero 89).
È stato, poi, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 31 gennaio 2011 il regolamento concernente la «Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell'articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244».
L'articolo 15 di detto regolamento, che regola le norme transitorie e finali, prevede anche forme di procedure abilitanti riferite a particolari situazioni che si sono venute a creare nel tempo.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

MARINELLO, PAGANO, MINARDO, TORRISI, GIANNI, VINCENZO ANTONIO FONTANA, LA LOGGIA, CATANOSO e GERMANÀ. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la scelta del percorso di formazione professionale rappresenta un importante e valido strumento per la crescita dei giovani che intendono continuare il loro percorso formativo frequentando corsi di formazione professionale sino al superamento dell'età soggetta all'obbligo scolastico, nonché una notevole opportunità per il loro inserimento nel contesto socio-lavorativo;
nella regione Sicilia il sistema di IeFp (istruzione e formazione professionale), gestito dagli enti di formazione professionale, si presenta alquanto instabile nonostante la giunta regionale, con delibera n. 342, adottata nella seduta del 1° ottobre 2010, abbia recepito l'accordo del 29 aprile 2010 tra il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, riguardante il primo anno di attuazione 2010/2011 dei percorsi di istruzione e formazione professionale, a norma dell'articolo 27, comma 2, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226;
l'esperienza formativa degli enti nel corso degli anni ha offerto a tanti giovani la possibilità di riscatto sociale e culturale, di inserimento nel mercato del lavoro con una professionalità e che ha contribuito a tenerli lontani dal rischio di pericolose devianze;
è in atto in Sicilia il tentativo di oscurare la validità dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale (OIF), sperimentati e pianificati dagli enti di formazione professionali attraverso l'affidamento esclusivo agli istituti scolastici;
bisogna inoltre ricordare che nel settembre 2010 si sarebbero dovuti avviare,

contestualmente all'anno scolastico, corsi autorizzati ma non decretati (per la parte relativa al primo anno), tra l'altro con una riduzione finanziaria che penalizza i ragazzi che presentano disabilità;
non sono stati finanziati i percorsi LARSA- per il recupero e il potenziamento degli apprendimenti;
ferma restando l'autonomia regionale in materia di formazione professionale, l'attivazione di corsi afferenti l'adempimento dell'obbligo scolastico fa parte, ai sensi del Capo III del decreto legislativo n. 226 del 2005, dei livelli essenziali delle prestazioni la cui erogazione è garantita da parte dello Stato -:
se i Ministri non intendano assumere, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative urgenti per l'emanazione del regolamento concernente l'accertamento della prestazione dei livelli essenziali di assistenza in materia di formazione professionale ai fini dell'adempimento dell'obbligo scolastico, anche al fine di impedire che si verifichino le distorsioni descritte in premessa.
(4-11696)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede l'adozione di iniziative concernenti l'accertamento delle prestazioni dei livelli essenziali di assistenza in materia di formazione professionale ai fini dell'adempimento dell'obbligo scolastico.
Al riguardo si premette che attualmente l'istruzione professionale disciplinata dal Capo III del decreto legislativo numero 226 del 2005, dall'articolo 13 della legge numero 40 del 2007, dall'articolo 64, comma 4-
bis della legge numero 133 del 2008, dal decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, numero 87 (Regolamento di riordino dell'istruzione professionale).
Con il nuovo ordinamento è stata profondamente modificata l'identità degli istituti professionali, i quali provvedono, nel nuovo assetto, solo al rilascio, previo superamento dell'esame di Stato, del diploma di istruzione secondaria superiore conclusivo del percorso scolastico quinquennale. Alle regioni è stata demandata, per effetto della modifica del titolo V della Costituzione, l'offerta di percorsi di istruzione e formazione triennali e quadriennali, che si concludono rispettivamente con il rilascio dei titoli di qualifica e dei diplomi professionali, nel rispetto dei livelli essenziali di prestazioni definiti dal Capo III del decreto legislativo n.226 del 2005.
In altre parole, agli istituti professionali, in linea con le indicazioni dell'Unione europea, si inteso affidare prioritariamente il compito di far acquisire agli studenti per un limitato numero di ampi indirizzi correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese - una solida base di istruzione generale e tecnico-professionale che consenta di sviluppare, in una dimensione operativa, saperi e competenze necessari sia per rispondere alle esigenze formative del mondo del lavoro sia per l'accesso all'università e all'istruzione tecnica superiore.
Rientra invece tra le competenze istituzionali delle regioni stabilire se richiedere agli istituti professionali di Stato di realizzare in regime di sussidiarietà i percorsi di istruzione e formazione professionale, secondo modalità da definirsi con specifici accordi territoriali con i competenti, uffici scolastici regionali. Tali aspetti sono stati ripresi dalla circolare ministeriale numero 101 del 30 dicembre 2010, relativa alle iscrizioni degli alunni per il nuovo anno scolastico.
In tal senso Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 29 aprile 2010, a partire dall'anno scolastico 2010/2011, ha previsto l'avvio della messa a regime dei, percorsi di Istruzione e formazione professionale (IeFP), di cui al capo III del decreto legislativo numero 226 del 2005, per il conseguimento di qualifiche professionali triennali e diplomi professionali quadriennali, individuando le figure e gli standard minimi delle competenze tecnico-professionali.
Successivamente, a seguito dell'Intesa sancita in sede di Conferenza unificata il 16 dicembre 2010, con decreto ministeriale n.4 del 18 gennaio 2011 sono state adottate le linee guida previste dalla legge numero 40

del 2007 e riguardanti la realizzazione di organici raccordi tra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale. Queste linee guida stabiliscono che dall'anno scolastico 2011/2012 termina il regime surrogatorio che attribuisce agli istituti professionali la facoltà di effettuare percorsi per il conseguimento delle qualifiche professionali triennali del previgente ordinamento statale e, contestualmente, prevedono che gli istituti professionali possono erogare, in regine di sussidiarietà, a norma dell'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica numero 87 del 2010 e se richiesto dalla regione nell'esercizio delle proprie esclusive competenze in materia di programmazione dell'offerta formativa, i percorsi Istruzione e formazione professionale di cui al decreto legislativo numero 226 del 2005, rilasciando le relative qualifiche e diplomi professionali.
I percorsi si articolano in due distinte tipologie, l'offerta sussidiaria integrativa (tipologia A), che prevede la possibilità per gli studenti iscritti ai percorsi scolastici quinquennali degli istituti professionali di conseguire, al termine del terzo anno, anche la qualifica professionale regionale, e l'offerta sussidiaria complementare (tipologia B), che prevede la possibilità per gli istituti regionali di attivare percorsi finalizzati esclusivamente al rilascio di qualifiche triennali e di diplomi quadriennali di Istruzione e formazione professionale.
Per quanto riguarda la regione Sicilia, si fa presente che la Regione nell'anno scolastico di transizione 2010/2011 ha optato per il regime surrogatorio e gli istituti professionali hanno continuato a realizzare esclusivamente, nei limiti delle dotazioni organiche disponibili e con alcune eccezioni relative alle qualifiche di ottico, odontotecnico e operatore sociale, i corsi di qualifica previsti dal previgente ordinamento. Nel corrente anno scolastico pertanto la materia dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale ha continuato ad essere regolamentata dall'Accordo del 26 gennaio 2007 e il Piano regionale dell'offerta formativa, decretato in via definitiva in data 16 e 29 marzo 2011 e relativo alle figure professionali dei percorsi di istruzione e formazione di tipologia B affidati agli enti di formazione operanti nella Regione, ha previsto l'attivazione di 193 corsi.
Il numero dei corsi sensibilmente superiore alla media di quelli attivati negli anni precedenti e la «riduzione finanziaria» prevista per gli stessi corsi (da 100.000 a 75.000 euro di costo/corso), resa necessaria per le note esigenze di contenimento della spesa pubblica, modulata sui costi generali di gestione mantenendo intatto il
budget relativo al personale, ivi compresi gli eventuali docenti di sostegno.
Per quanto riguarda l'attività prevista per l'anno scolastico 2011/2012, in data 26 gennaio 2011 è stato sottoscritto l'Accordo territoriale attuativo delle Linee guida di cui all'Intesa in sede di Conferenza unificata del 16 dicembre 2010. Detto Accordo prevede la realizzazione di percorsi di istruzione e formazione professionale di durata triennale, in regime di sussidiarietà, da parte degli istituti professionali statali funzionanti nel territorio regionale senza che vi sia alcun affidamento esclusivo agli stessi istituti dei percorsi Istruzione e formazione professionale.
Con riferimento al regolamento concernente modalità di accertamento del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni relativi al sistema di istruzione e formazione professionale di cui al Capo III del decreto legislativo numero 226 del 2005, si fa presente che la relativa istruttoria correlata ai provvedimenti relativi alla determinazione degli standard minimi dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al medesimo Capo III, provvedimenti attualmente in corso di definizione secondo un piano condiviso con il sistema regionale. Per quanto attiene alla definizione degli standard della regione Sicilia, in data 14 aprile 2011 è stato istituito il tavolo tecnico di lavoro Ufficio scolastico regionale per la Sicilia Assessorato regionale all'istruzione e formazione professionale con il compito di procedere alla stesura delle linee guida regionali per i percorsi Istruzione e formazione professionale. Il tavolo tecnico prevede

un'ampia rappresentanza dei principali enti di formazione interessati all'obbligo istruzione formativa nella regione.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

LARATTA, CESARE MARINI, OLIVERIO, VILLECCO CALIPARI, LO MORO, TIDEI, SERVODIO e CAPODICASA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78 «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito dalla legge n. 122 del 2010, stabilisce all'articolo 14, comma 2, che i trasferimenti erariali, comprensivi della compartecipazione Irpef, dovuti alle province dal Ministero dell'interno sono ridotti di 300 milioni per l'anno 2011 e di 500 milioni per l'anno 2012;
l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, demanda alla Conferenza Stato-Città ed autonomie locali di fissare criteri e modalità di riparto secondo princìpi che tengano conto dell'adozione di misure idonee ad assicurare il rispetto del Patto di stabilità interno, della minore incidenza percentuale della spesa per il personale rispetto alla spesa corrente complessiva ed al conseguimento di adeguati indici di autonomia finanziaria;
l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, prevede che, in caso di mancata deliberazione della Conferenza permanente entro i 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge 30 luglio 2010 n. 122 di conversione del suddetto decreto, il Ministero dell'interno entro i successivi 30 giorni emana il decreto di riparto di riduzione dei trasferimenti secondo un criterio proporzionale;
in virtù del citato decreto del 9 dicembre 2010, per l'anno 2011 viene determinata una riduzione di trasferimenti in modo proporzionale a ciascuna provincia, per un ammontare pari al 22,934 per cento, rispetto all'importo assunto a base di riferimento per la riduzione, quest'ultimo costituito dal totale generale di trasferimenti erariali attribuiti in spettanza alla data del 16 novembre 2010, con la sola esclusione delle somme relative alla restituzione dell'addizionale energetica dell'anno 2004;
il criterio di riduzione proporzionale, pari a 22,934 per cento per ogni provincia, previsto dal citato decreto ministeriale, ha determinato un considerevole squilibrio oggettivo tra le medesime province, in quanto alcune concorrono al risanamento dei conti pubblici con un'incidenza media pro-capite di 3 euro, mentre altre concorrono con una incidenza di 18 euro pro-capite;
pertanto, il decreto ministeriale appare in contrasto con quanto previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010, che ai fini delle decurtazioni fa riferimento esclusivamente ai trasferimenti erariali e alle compartecipazioni Irpef, mentre nel decreto sono stati inclusi anche i trasferimenti relativi alle funzioni trasferite con decreto legislativo n. 112 del 2008 (strade competenza ANAS e mercato del lavoro);
in particolare, dal quadro di riparto pubblicato dal Ministero dell'interno, si evince una sperequazione tra le province in quanto alcune concorrono alla riduzione dei trasferimenti con una percentuale altissima mentre altre in maniera minore;
sarebbe quindi auspicabile un criterio più oggettivo ed equo al fine di concorrere, da parte di tutti, al risanamento dei conti pubblici, ovvero, in modo lineare come da più parti segnalato, ovvero, sulla base della popolazione residente per come letteralmente previsto dalla legge (esclusivamente sui trasferimenti erariali comprensivi della compartecipazione Irpef) -:
quali iniziative urgenti intenda assumere per apportare i necessari e opportuni correttivi al criterio adottato con il decreto ministeriale del 9 dicembre 2010, al fine di pervenire ad un riparto più equo

tra le province, che tenga conto esclusivamente dei trasferimenti erariali, compresa la compartecipazione Irpef, e non anche delle spettanze relative alle funzioni trasferite che, peraltro, non sono state adeguate al tasso di inflazione programmato, tenuto conto che le suddette decurtazioni comporterebbero un mancato espletamento delle stesse funzioni.
(4-10710)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative questa amministrazione intenda assumere per eliminare la sperequazione che si determinata tra le province con il decreto del Ministro dell'interno del 9 dicembre 2010 che, in applicazione dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 78 del 2010, convertito in legge 122 del 2010, riduce i trasferimenti erariali secondo un criterio proporzionale.
L'interrogazione rileva che la predetta detrazione - contrariamente alle previsioni del decreto-legge che fa riferimento esclusivamente ai trasferimenti erariali e alla compartecipazione Irpef - è stata applicata anche ai trasferimenti relativi alle funzioni trasferite con il decreto legislativo 112 del 1998 (strade di competenza Anas e mercato del lavoro) e che, sulla base dei criteri richiesti, il coefficiente di riduzione percentuale, creerebbe appunto una discriminazione tra gli enti stessi, in quanto alcuni concorrerebbero al risanamento dei conti pubblici con un'incidenza
pro capite pari a 3 euro, altri a 18 euro.
L'interrogante rileva che le suddette riduzioni non consentirebbero l'espletamento da parte delle province delle funzioni trasferite, a seguito della forte incidenza del taglio sulle specifiche voci di spettanza, mai adeguate al tasso di inflazione programmato, e richiede quali iniziative urgenti s'intendano assumere per apportare i necessari correttivi ai criteri adottati, al fine di pervenire a un riparto più equo dell'onere, che tenga conto esclusivamente dei trasferimenti erariali.
Si precisa che il comma 2 dell'articolo 14 della legge 122 del 2010 ha introdotto la delega alla conferenza Stato-Città per la definizione dei parametri di ripartizione dell'onere tra gli enti, tenendo conto del rispetto del patto, del rapporto tra spesa del personale e spesa corrente complessiva e del grado di autonomia finanziaria, fermo restando l'adozione del mero criterio proporzionale da parte del Ministero dell'interno, in caso di mancato accordo in sede di conferenza Stato-Città.
Pertanto, in seguito al mancato raggiungimento dell'accordo, la ripartizione della decurtazione è stata stabilita con il citato decreto ministeriale, applicando il criterio proporzionale stabilito dalla legge.
Per quanto concerne la definizione delle voci di spettanza sulle quali applicare la decurtazione, il comunicato del 27 gennaio 2011 di questo Ministero indica la coincidenza della base di calcolo con il valore totale dei contributi risultanti in spettanza, per ogni ente, al 16 novembre 2010. Più specificamente, la base di calcolo per la quantificazione della riduzione è stata individuata nell'ultimo anno di spettanza a disposizione - ossia il 2010 - in quanto la definizione del completo assetto dei trasferimenti per l'anno 2011 non risultava ancora compiutamente determinata dalla legislazione vigente».
Nella base di calcolo sulla quale operare la riduzione vengono considerate tutte le somme erogate a titolo di contributi, facendo, quindi, riferimento ad una base complessiva e indistinta costituita dal valore totale dei contributi risultanti in spettanza.
Inoltre opportuno ricordare che esclusioni dalla base di calcolo «sono state operate solo per alcune specifiche attribuzioni di particolare natura, come per la quota di compartecipazione Irpef dei comuni prevista dall'articolo 1, comma 191, della legge n. 296 del 2006 in quanto svincolata dai trasferimenti in godimento, ovvero per l'importo attribuito a titolo di restituzione addizionale energetica anno 2004 e destinato a rifondere alle province somme relative ad entrate proprie degli stessi enti, erroneamente versate alla tesoreria statale».
In tale contesto applicativo, non sono stati rinvenuti presupposti tali da giustificare

l'esclusione dei contributi relativi all'esercizio delle funzioni trasferite con il decreto legislativo 112 del 1998. Infatti, mentre nella formulazione originaria l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 78 del 2010 si faceva riferimento ai «trasferimenti correnti», nella stessa definitiva del testo della legge di conversione, il richiamo fatto genericamente ai «trasferimenti erariali» dovuti dal Ministero dell'interno, in un senso quindi espressamente e chiaramente più ampio ed inclusivo.
Pertanto, la riduzione, calcolata sulle risultanze di spettanza dell'anno 2010, è stata applicata ai trasferimenti erariali, dovuti da questo Ministero per l'anno 2011,
in primis decurtando l'importo del contributo ordinario e, ove tale importo risulti insufficiente, riducendo gli altri contributi, ossia il contributo consolidato, il contributo perequativo fiscalità locale eccetera.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

MIGLIOLI, GHIZZONI, LEVI e SANTAGATA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
i consigli comunali dei comuni di Abetone (Pistoia), Fiumalbo, Frassinoro, Riolunato, Pievepelago (in provincia di Modena), raccogliendo le istanze delle comunità dell'Appennino tosco-emiliano, in modo unanime e condiviso da tutte le forze politiche, hanno deliberato la richiesta dell'istituzione di una scuola secondaria superiore statale a Pievepelago (Modena) in sostituzione degli istituti paritari «A. Barbieri» che cesseranno la loro attività con l'anno scolastico 2010-2011;
l'Istituto paritario A. Barbieri nacque per colmare una carenza di offerta formativa in un territorio montano e per consentire di proseguire gli studi a numerosi ragazzi/e che per raggiungere il polo scolastico più vicino, quello di Pavullo nel Frignano dovevano sobbarcarsi 40 chilometri di strada di montagna;
l'Istituto ha in questi anni risposto ad una esigenza formativa e numerosi sono stati gli studenti che hanno frequentato i corsi di studio;
la crisi economica che ha colpito duramente le famiglie, in particolare nelle aree montane ha determinato ripercussioni anche sulle iscrizioni alla scuola (la quota annuale di iscrizione varia dai 3.500 ai 4.500 euro annui) che dunque, anche a causa dei deficit registrati nel corso di questi anni chiuderà la sua attività con il prossimo anno scolastico ponendo un gravissimo problema ai circa 170 ragazzi e ragazze che andrebbero così incontro ad enormi disagi;
Abetone, Fiumalbo, Frassinoro, Riolunato, Pievepelago vantano un'antichissima tradizione sportiva nell'ambito dello sci alpino e nordico e per questo numerosi giovani hanno potuto conciliare lo studio e lo sport frequentando l'istituto A. Barbieri. In questa ottica il comune di Pievepelago ha collaborato e sostenuto da sempre lo skycollege, importante istituzione all'interno dell'istituto Barbieri;
i comuni di Abetone, Fiumalbo, Frassinoro, Riolunato, Pievepelago hanno interessato della problematica prima la comunità montana del Frignano, successivamente la provincia di Modena, raccogliendo da entrambe le istituzioni pieno accordo e condivisione sull'avvio della procedura di statizzazione della scuola secondaria Istituto A. Barbieri di Pievepelago, quale soluzione più opportuna al mantenimento di una importante realtà socio-educativa nel territorio dell'alto Frignano;
lo stesso provveditore agli studi di Modena, interessato della problematica, si è recato a Pievepelago alla presenza di famiglie, amministratori pubblici ed ha manifestato la propria disponibilità a proseguire l'esame della richiesta di istituzione di una scuola superiore a Pievepelago;
la stampa modenese nelle settimane scorse ha poi dato grande risalto alle affermazioni del Sottosegretario alla Presidenza

del Consiglio, Carlo Giovanardi, che incontrando gli amministratori dei comuni interessati ha non solo manifestato il proprio interesse, ma condividendo la richiesta di quelle comunità si è impegnato a garantire un intervento positivo del Governo. A tale proposito le affermazioni ricorrenti riportate dai quotidiani erano: «il Governo salverà le Barbieri» -:
quali provvedimenti e in che tempi, intenda intraprendere il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al fine di rispondere affermativamente all'istanza delle amministrazioni pubbliche, comuni, comunità montane, provincia per l'istituzione di una scuola secondaria nel comune di Pievepelago in sostituzione degli istituti paritari A. Barbieri.
(4-07556)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative si intendono intraprendere per rispondere alle istanze degli enti locali che chiedono l'istituzione di una scuola secondaria superiore nel comune di Pievepelago in provincia di Modena.
Al riguardo l'Ufficio scolastico regionale per l'Emilia-Romagna ha comunicato di aver avuto la massima attenzione per le istanze provenienti dalle comunità dell'Appennino tosco-emiliano.
A seguito di diversi incontri con i comuni del bacino d'utenza, a cui hanno partecipato sia il Dirigente dell'ambito territoriale competente, sia dirigenti della stessa Direzione generale, è stata acquisita la consapevolezza delle problematiche territoriali connesse al mantenimento di un istituto superiore nella zona.
Già nella nota inviata in data 10 maggio 2010 al Sindaco del comune di Pievepelago, si sono condivise le ragioni e le esigenze rappresentate.
Si fa tuttavia presente che il percorso di trasferimento allo Stato di un istituto scolastico paritario richiede una serie di passaggi e procedure complesse, la cui iniziativa fa capo alla competente provincia, che assume l'istanza dei comuni e la recepisce, unitamente alla regione, quale parte integrante dell'offerta formativa del territorio, nonché l'attivazione del percorso formale di statalizzazione.
Solo a seguito dello svolgimento del procedimento, a cui l'Ufficio scolastico regionale ha assicurato il supporto tecnico e amministrativo, e della valutazione, anche per l'impegno straordinario di risorse, degli oneri connessi all'operazione con la compatibilità delle dotazioni organiche assegnate ai diversi ambiti provinciali, si pervenuti ad un positivo esito della vicenda.
Infatti con decreto del Direttore generale per l'Emilia-Romagna n. 2 dell'11 gennaio 2011, a decorrere dall'anno scolastico 2011/2012, si prevede l'apertura nel comune interessato della sezione staccata dell'istituto di istruzione superiore statale di Pavullo con gli indirizzi di liceo scientifico e tecnico, settore economico, indirizzo amministrazione, finanza e
marketing.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

MIGLIORI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
con decreto del Presidente della Repubblica del 10 ottobre 1996, n. 567, sono state istituite le consulte provinciali degli studenti quali organismi di rappresentanza e confronto fra gli studenti di tutte le istituzioni di istruzione secondaria di secondo grado statali e paritarie delle province italiane;
con decreto del Presidente della Repubblica del 13 febbraio 2001, n. 105, è stata prevista la costituzione in un coordinamento regionale rappresentativo di dette consulte provinciali, da istituirsi in ogni regione italiana con proprio regolamento disciplinante la composizione e le modalità organizzative;
detti coordinamenti regionali hanno avuto notevoli difficoltà, rallentamenti e inadempienze nella loro attuazione sul territorio nazionale a distanza di anni dalla loro istituzione;

in data 17 aprile 2008 si è provveduto all'adozione del regolamento interno del coordinamento regionali delle consulte provinciali degli studenti della Toscana, diffuso ed ufficializzato con nota protocollo 6738 del 25 agosto 2008 dall'ufficio III dell'ufficio scolastico regionale della Toscana;
alla suddetta seduta del coordinamento regionale, tenutasi a Prato, hanno preso parte i delegati delle rispettive consulte assieme ai «docenti referenti» dell'area «Sostegno alla persona e alla partecipazione studentesca» delegati dai singoli uffici dell'amministrazione periferica;
a tale riunione non tutti i presidenti delle consulte erano presenti e che, in particolare, il rappresentante della consulta provinciale degli studenti di Firenze era sprovvisto di regolare delega;
ai presidenti delle consulte provinciali degli studenti, o loro delegati, non è data alcuna potestà decisionale ed esecutiva in assenza di uno specifico mandato assembleare o statutario;
la composizione disciplinata all'interno del regolamento del suddetto coordinamento regionale delle consulte provinciali degli studenti, di cui all'articolo 1, prevede la presenza dei presidenti delle consulte provinciali degli studenti delle dieci province toscane, nonché dei docenti referenti per le politiche giovanili presso i rispettivi uffici scolastici provinciali, del docente referente regionale presso l'ufficio III della direzione generale dell'ufficio scolastico regionale della Toscana e di due studenti eletti successivamente in seno all'organo regionale di garanzia in qualità di membri di diritto, per un totale di ventitre componenti con diritto di voto;
la presidenza del sopraccitato coordinamento regionale è stata affidata al «docente referente» dell'area «sostegno alla persona e alla partecipazione studentesca» dell'ufficio scolastico regionale della Toscana;
il numero legale per la validità delle sedute, di cui all'articolo 1, è stato previsto con la presenza di almeno sei presidenti e di un analogo numero di docenti referenti;
le consulte provinciali degli studenti toscane non hanno in alcun modo ratificato il suddetto regolamento;
la rappresentanza studentesca toscana ha in più occasioni auspicato ed invitato senza successo una revisione della regolamentazione regionale del coordinamento, al fine dell'opportuno rispetto della centralità della componente studentesca al suo interno, fornendo anche proposte alternative;
detta composizione non rispecchia, infatti, la logica, la strutturazione e la prassi prevista e consolidatasi, invece, per le consulte provinciali degli studenti, prevedendo infatti la normativa che il ruolo del docente referente dell'area «sostegno alla persona e alla partecipazione studentesca» individuato in ciascuna sede provinciale e regionale dell'amministrazione periferica, sia atto al supporto organizzativo ed alla consulenza tecnico-scientifica necessaria al fine di un migliore e proficuo operato dei rappresentanti degli studenti nel rispetto dell'autonomia della componente studentesca;
impostazioni similari a livello regolamentare sono state disciplinate anche per i coordinamenti delle regioni Lazio, Veneto e Lombardia;
i fondi attualmente destinati alle attività dei coordinamenti regionali non sono stati diffusamente vincolati, come invece avviene per le consulte provinciali degli studenti, al voto collegiale di detti organi, bensì affidati alla discrezione delle rispettive direzioni generali dell'amministrazione periferica;
l'attribuzione di diritti quali il riconoscimento dell'espressione di voto, della condizione di componente ufficiale, nonché della presidenza formale di un organismo di partecipazione studentesca ai docenti referenti possa frapporsi a qualsiasi livello con le prerogative della partecipazione studentesca, anche con la limitazione

delle legittime istanze e delle attività della rappresentanza degli studenti;
a tal proposito si è verifica nell'anno scolastico, 2009/2010 una forte contrapposizione tra la componente studentesca e quella docente del coordinamento regionale in oggetto nell'ambito della nomina del ruolo di rappresentante presso la direzione nazionale delle consulte provinciali degli studenti dove, in quella occasione, la componente docente ha fatto prevalere un proprio candidato rispetto, invece, alla volontà generale dei membri studenti;
la suddetta votazione è stata successivamente annullata dal direttore generale dell'ufficio scolastico regionale della Toscana, che ha poi consentito ai soli presidenti delle consulte degli studenti di esprimersi in merito; quest'ultimo episodio sancisce l'importanza della centralità e della autonomia della componente studentesca nell'ambito di questi organismi di partecipazione - siano essi a carattere provinciale, regionale o nazionale - nonché l'illegittimità di una vera e propria parificazione con i «docenti referenti», che può appunto dare adito al prevalere di istanze e decisioni anche in piena controtendenza con quella che è la legittima autonomia della rappresentanza studentesca -:
se la modalità di adozione del regolamento del Coordinamento regionale delle consulte provinciali degli studenti della Toscana sia regolare;
se sia da considerarsi opportuno, il riconoscimento dei docenti referenti quali membri ufficiali di un organismo regionale rappresentativo delle consulte provinciali degli studenti e, dunque, della sola componente studentesca;
se il ruolo del docente referente dell'area «sostegno alla persona e alla partecipazione studentesca» possa prevedere azioni di diretta gestione delle attività della consulta, oltre all'attribuzione di diritti come il potere di voto e di presidenza di un organismo di partecipazione studentesca;
se il Ministro non ritenga opportuno e prioritario, data l'annosità della questione e le conseguenti difficoltà attuative, emanare precise e circostanziate indicazioni circa le modalità di strutturazione ed adozione dei coordinamenti regionali delle consulte provinciali degli studenti, che ne affermino complementarmente al centralità della rappresentanza studentesca nelle modalità organizzative e gestionali.
(4-10769)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante ritiene opportuno affermare la centralità della rappresentanza studentesca nel coordinamento regionale delle consulte provinciali degli studenti.
Al riguardo si premette che il decreto del Presidente della Repubblica del 10 ottobre 1996, numero 567, come modificato e integrato dal decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1999, numero 156, dal decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n.105, dal decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 2005, numero 301, dal decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2007, n.75 e dal decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 2007, n.269 ha istituito le consulte provinciali degli studenti quale organismo di rappresentanza e confronto fra gli studenti delle istituzioni statali e paritarie secondarie di secondo grado.
Presenti in ogni provincia, le consulte possono attingere per lo svolgimento della loro attività da un fondo annualmente stanziato dal questo Ministero, in una percentuale variabile, sulla base di una delibera dell'assemblea degli studenti che la compongono.
La formulazione di proposte e pareri agli uffici provinciali di questo Ministero, agli enti locali e agli organi collegiali territoriali, il coinvolgimento di associazioni e organizzazioni del mondo del lavoro, l'istituzione di uno sportello informativo per gli studenti, con particolare riferimento all'orientamento

e all'attuazione dello statuto delle studentesse e degli studenti, la progettazione, l'organizzazione e realizzazione di attività che superino la dimensione del singolo Istituto sono i compiti principali attribuiti alle consulte. In sostanza esse svolgono la funzione di garantire il più ampio confronto fra gli istituti di istruzione secondaria mediante la realizzazione di progetti che coinvolgano il maggior numero di istituti, ottimizzando ed integrando in rete le attività extracurricolari.
Le consulte provinciali esercitano le attribuzioni assegnate con il supporto di un docente messo a disposizione dagli uffici provinciali e, per meglio coordinare la propria attività, quelle appartenenti ad una stessa regione, in base all'articolo 7, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica numero 268 del 29 novembre 2007, «...danno vita ad un coordinamento regionale rappresentativo, il quale viene insediato dal dirigente del competente ufficio scolastico regionale. Detto ufficio assicura al coordinamento il supporto tecnico-organizzativo. Il coordinamento regionale adotta un proprio regolamento interno con il quale sono disciplinate la composizione e le modalità organizzative».
In ottemperanza a questa norma l'ufficio scolastico regionale per la Toscana ha comunicato di aver insediato il coordinamento regionale delle consulte provinciali della Toscana in data 17 aprile 2008 a Prato, in occasione del seminario regionale di formazione, informazione e programmazione finalizzato a promuovere una riflessione ed un confronto sulle modifiche introdotte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 268 del 2007.
Nella stessa circostanza si provveduto alla stesura del Regolamento interno del coordinamento regionale, del quale l'ufficio scolastico regionale evidenzia la sostanziale regolarità delle modalità di adozione. Il regolamento interno, infatti, è stato redatto il giorno 17 aprile 2008 alla presenza della maggioranza assoluta dei componenti del coordinamento, ossia i presidenti delle consulte provinciali, i referenti provinciali, il referente regionale e gli studenti eletti nell'organo regionale di garanzia. Come risulta dalla firma di presenza, alla riunione interessata ha partecipato anche il Presidente della consulta provinciale di Firenze che si è successivamente assentato per motivi di salute.
Il testo del regolamento adottato è stato diffuso e ufficializzato in data 25 agosto 2008 dall'ufficio scolastico regionale e pubblicato sul sito internet dello stesso ufficio senza che i membri delle Consulte provinciali abbiano in nessuna occasione, negli anni scolastici seguenti, auspicato una revisione dello stesso.
Per quanto concerne i fondi attualmente destinati alle attività dei coordinamenti regionali, gli stessi sono a disposizione delle consulte provinciali sulla base dei progetti proposti e presentati dai membri delle consulte in sede di coordinamento regionale.
Relativamente al riconoscimento dei docenti referenti quali membri ufficiali di un organismo regionale rappresentativo delle consulte provinciali, questo Ministero con nota protocollo numero 949 del 1o febbraio 2011, ha richiamato il compito di raccordo e coordinamento svolto dal referente della consulta provinciale studentesca con i docenti che nelle singole istituzioni scolastiche hanno il compito di promuovere e sostenere le iniziative riguardanti la promozione e il sostegno della partecipazione attiva degli studenti. E, in sintesi, una figura di sistema inserita nell'organizzazione degli uffici scolastici regionali, dotata di competenze pedagogico-educative, a cui sono attribuite funzioni di coordinamento, di gestione e di progettazione su tematiche rilevanti per l'azione di cittadinanza attiva, di formazione e di educazione delle giovani generazioni.
La nota richiamata puntualizza il ruolo attribuito ai docenti presenti nelle consulte provinciali e nel, coordinamento regionale, prevedendo che «I Referenti Regionali sono appositamente incaricati dai Direttori Generali degli UU.SS.RR. ed hanno funzioni di coordinamento delle CPS a livello regionale. Compito prioritario dei referenti regionali quello di promuovere e sostenere l'istituzione dei Coordinamenti Regionali delle Consulte Provinciali Studentesche, così come previsto dai decreto del Presidente

della Repubblica 567 del 1996 all'articolo 6 comma 4 (modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 105 del 2001), la cui costituzione viene disciplinata da specifici regolamenti emanati dal Coordinamento stesso. Questi sono essenzialmente composti da almeno uno studente per ciascuna CPS della Regione e da ciascun referente presso ogni Ambito Territoriale. Inoltre, il Coordinamento Regionale delle CPS ha il compito di pianificare interventi di informazione sui temi della partecipazione studentesca in ragione delle esigenze che emergono dai territori di specifica competenza, in coerenza con le linee nazionali, con le principali innovazioni normative e le politiche giovanili e scolastiche definite dagli UUSS.RR. in accordo con gli Enti Locali. È compito, infine, dei Coordinamenti assicurare una costante attività di monitoraggio sull'andamento delle elezioni dei rappresentanti nelle singole scuole, avendo cura di assicurare, in ogni istituzione scolastica, la massima circolazione delle informazioni riguardanti le diverse forme di rappresentanza studentesca.
I referenti provinciali sono istituzionalmente incaricati di favorire le condizioni affinché le rappresentanze studentesche, e le Consulte in particolare, possano apportare il loro contributo alla definizione delle politiche giovanili a livello locale. Tale figura contribuisce, inoltre, al consolidamento del ruolo delle Consulte creando una sorta di anello di congiunzione tra le istituzioni scolastiche e l'Amministrazione, e consentendo, pertanto, a quest'ultima la conoscenza delle aspettative e dei problemi della scuola in modo più diretto e preciso».
Sulla base di quanto richiamato l'ufficio scolastico regionale per la Toscana ritiene che il ruolo svolto dal docente referente dell'Area sostegno alla persona e alla partecipazione studentesca sia conforme a quanto previsto dalla nota del 1o febbraio 2011 e fa presente che in data 15 marzo 2011 ha riunito il coordinamento regionale delle consulte provinciali che hanno deliberato di apportare modifiche al regolamento nella direzione di ampliare il numero complessivo dei componenti delle consulte studentesche.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

MIGLIORI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
domenica 5 giugno 2011 a Milano, si è verificato un gravissimo atto di intimidazione e violenza nei confronti di un luogo di culto cattolico e dei sacerdoti e laici ivi presenti, fra cui il vescovo ausiliario Marco Ferrari;
nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe Casalanzio, infatti, durante la celebrazione della S. Messa, ha fatto irruzione un gruppo di facinorosi, i quali, esibendo striscioni, urlando insulti e spintonando i fedeli, hanno interrotto il rito, insultando il parroco, padre Alberto, per le posizioni da questi assunte nei confronti dell'omosessualità (le stesse da sempre espresse dal magistero cattolico), e causando, per la ressa provocata, anche lo svenimento di un giovane parrocchiano;
secondo testimonianze riportate dalla stampa, prima di abbandonare la chiesa, i teppisti avrebbero inneggiato al neosindaco Giuliano Pisapia, «liberatore di Milano» (il quale peraltro ha condannato l'accaduto), e minacciato nuove simili azioni;
è probabile che i cosiddetti «antagonisti» autori dell'atto siano gli animatori del vicino «centro sociale Cantiere»;
pare all'interrogante necessario che le amministrazioni locali, prendano le distanze dai luoghi di origine, facilmente identificabili, di tali raid, negando loro appoggi e riconoscimenti -:
quali provvedimenti ed iniziative intenda adottare onde evitare che simili attacchi alla libertà religiosa dei cristiani italiani e ai luoghi di culto cattolici possano ripetersi, e per favorire quanto auspicato in premessa.
(4-12251)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante pone all'attenzione del Governo l'episodio verificatosi il 5 giugno 2011 a Milano dove alcuni giovani hanno attuato azioni di disturbo durante la celebrazione di una messa.
Dagli accertamenti disposti dal prefetto di Milano emerso che presso la parrocchia di San Giuseppe Calasanzio, intorno alle 12.30, mentre era in corso la celebrazione della messa - officiata dal vescovo ausiliare di Milano con la presenza dell'assistente spirituale nazionale dell'Apostolato di Fatima - una ventina di giovani ha fatto irruzione, per pochi metri, all'interno dell'edificio di culto, inveendo contro la chiesa e l'omofobia.
Gli inquirenti hanno accertato che gli slogan erano diretti contro la persona del parroco, accusato di considerare l'omosessualità una malattia.
Alcuni parrocchiani hanno allontanato i manifestanti consentendo il regolare proseguimento della celebrazione.
Dopo pochi minuti i giovani si sono allontanati a bordo di due vetture e un furgone le cui targhe sono state parzialmente rilevate da personale della polizia di Stato che assisteva alla funzione religiosa.
La parrocchia da circa due anni ospita nei propri locali l'associazione cattolica
Chaire, che mensilmente organizza incontri ai quali partecipano medici, psicologi, sessuologi, avvocati e sociologi, finalizzati a sostenere ed indirizzare, secondo la morale cattolica, giovani in cerca di identità sessuale e i loro familiari. Tali incontri sono preceduti dalla lettura del Vangelo da parte di un sacerdote.
Secondo gli accertamenti esperti, l'episodio da ricondurre ad elementi dell'area
anarchica. Sulla vicenda è stata inoltrata un'informativa all'Autorità giudiziaria e sono ancora in corso le indagini.
Gli accertamenti stessi non consentono di confermare l'attendibilità della notizia riportata da numerosi organi di stampa secondo cui in occasione dell'episodio, sarebbero state pronunciate frasi a sostegno del neo eletto sindaco di Milano.
Per quanto concerne le strategie adottate per prevenire episodi analoghi le autorità di pubblica sicurezza e le Forze di polizia seguono con la massima attenzione tutti gli eventi promossi da gruppi e frange più radicali.
In particolare, in sede di riunioni tecniche di coordinamento delle Forze di polizia sono periodicamente rimodulati i dispositivi per assicurare, da un lato, un più capillare controllo del territorio con priorità dei servizi di sorveglianza sugli obiettivi maggiormente esposti a rischio, e, dall'altro, l'intensificazione dei servizi di informazione preventiva per il monitoraggio costante delle attività svolte dagli aderenti ai gruppi politici estremisti.
Accanto alla ferma condanna di tali fenomeni, pertanto, si assicura che lo Stato e tutte le istituzioni vigilano affinché i fenomeni di insofferenza non degenerino mai in forme preoccupanti di intolleranza, evitando che si possano ripetere simili attacchi alla libertà religiosa.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Sonia Viale.

MONAI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
la legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica» ai seguenti commi dell'articolo 1 stabiliva che: «57. Il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. 58. La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene automaticamente entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la

specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa, può con provvedimento motivato differire la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo non superiore a sei mesi. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. Fatte salve le esclusioni di cui al comma 57, per il restante personale che esercita competenze istituzionali in materia di giustizia, di difesa e di sicurezza dello Stato, di ordine e di sicurezza pubblica, con esclusione del personale di polizia municipale e provinciale, le modalità di costituzione dei rapporti di lavoro a tempo parziale ed i contingenti massimi del personale che può accedervi sono stabiliti con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro del tesoro.»;
tale normativa ha subito le seguenti modifiche apportate dal decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge 133 del 2008: «articolo 73 part time - All'articolo 1, comma 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo periodo le parole: «avviene automaticamente» sono sostituite dalle seguenti: «può essere concessa dall'amministrazione»; b) al secondo periodo le parole «grave pregiudizio» sono sostituite dalla seguente: «pregiudizio»; c) al secondo periodo le parole da: «può con provvedimento motivato» fino a «non superiore a sei mesi» sono soppresse; d) all'ultimo periodo, le parole: «il Ministro della funzione pubblica e con il Ministro del tesoro» sono sostituite dalle seguenti: «il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze»;
infine, l'articolo 16 della legge 183 del 2010, in vigore dal 24 novembre 2010, ha stabilito che in sede di prima applicazione delle predetta novella «le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008.»;
quest'ultima disposizione, per la sua formulazione generica e ambigua, ha provocato e sta provocando una giungla applicativa con diversità di interpretazioni che sono state già sanzionate dalla magistratura del lavoro (ad esempio l'ordinanza 31 gennaio 2011 del tribunale di Firenze, sezione lavoro, che ha rimarcato l'importanza di considerare il pregiudizio imminente e irreparabile agli equilibri della vita familiare e l'aggravio economico per la famiglia in merito alla ricostituzione unilaterale da parte del Ministero della giustizia, in applicazione dell'articolo 16 della legge 183 del 2010, di un rapporto di lavoro, da tempo parziale a tempo pieno) ed hanno provocato legittime e numerose proteste sindacali;
i lavoratori e soprattutto le lavoratrici del pubblico impiego titolari di un rapporto di lavoro part-time si trovano, in quasi tutti i casi, in precarie condizioni familiari e personali: vuoi perché nei propri nuclei familiari sono presenti figli molto piccoli o minori, anziani e/o persone con handicap grave; vuoi per essere nella condizione di separata/o con affido di figli minori o vuoi per le difficoltà di un pendolarismo disagiato dall'inadeguatezza o addirittura dall'assenza di mezzi pubblici di trasporto;
pur di sopperire alle esigenze di conciliazione tra la loro vita familiare e l'attività

lavorativa, tali lavoratrici e lavoratori hanno preferito e ottenuto da anni la riduzione dell'orario di lavoro e il corrispondente taglio dello stipendio in percentuale, su una già povera busta paga che, per i pubblici dipendenti, ha subito anche il blocco del rinnovo del contratto per 4 anni;
l'articolo 16 della legge 183 del 2010 nella parte in cui consente all'amministrazione di intervenire su un diritto già acquisito dal lavoratore, andando così ad incidere su situazioni giuridiche già consolidate nel tempo e meritevoli di tutela, pare incidere su veri e propri diritti quesiti, che non è consentito rimuovere in spregio al principio di ragionevolezza e di certezza dei rapporti giuridici perché, una volta entrati nella sfera giuridica del soggetto, essi sono garantiti; inoltre il combinato disposto degli articoli 4 e 35 della Costituzione, volti a tutelare il diritto al lavoro e a promuovere le condizioni che rendono effettivo tale diritto, e dell'articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile (le cosiddette «preleggi»), secondo cui «La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo», paiono contrastare con la possibilità di una mutazione unilaterale e così sostanziale dei rapporti di lavoro già consolidati;
le circolari ministeriali del 10 febbraio 2010, n. 20389 e quella di chiarimenti n. 1196 del 24 novembre 2010 non pare abbiano risolto i denunciati problemi applicativi della norma: infatti anche oggi, nell'imminenza della scadenza del termine del 22 maggio 2011 per il riesame unilaterale dei part-time da parte della pubblica amministrazione, sono pervenute a lavoratrici impiegate a tempo indeterminato con orario di lavoro ridotto delle proposte-capestro quali l'imposizione di un contratto part-time per soli tre anni e quindi con trasformazione di un rapporto di lavoro stabile in lavoro a tempo determinato. Così, per esempio, all'azienda ospedaliero universitaria S.M.M. di Udine -:
come il Ministro intenda intervenire per evitare la precarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti dall'applicazione dell'articolo 16 della legge 183 del 2010 e per garantire il rispetto sostanziale ed uniforme dei principi di correttezza e buona fede evocati nel provvedimento normativo citato.
(4-11975)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame si segnala che il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, il Ministro per le pari opportunità ed il Sottosegretario con delega alla famiglia hanno rifiutato in data 30 giugno 2011 una circolare congiunta, n.9 del 2011, con cui vengono illustrate alle pubbliche amministrazioni gli effetti delle disposizioni in materia di part-time. La circolare, inoltre, reca raccomandazioni ed indirizzi ai fini dell'applicazione della disciplina introdotta dalla recente legge n. 183 del 2010, richiamando l'attenzione sulla necessità di rispettare i principi di buona fede e correttezza e di assicurare la priorità ai lavoratori che si trovano in situazione personali o familiari particolarmente disagiate.
Per quanto attiene al rischio di precarizzazione dei rapporti di lavoro, opportuno sottolineare che la citata normativa non consente in alcun modo la trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato in rapporti di lavoro a tempo determinato ma, piuttosto, autorizza le pubbliche amministrazioni, per un periodo limitato, ad esercitare il potere unilaterale di convertire un rapporto a tempo indeterminato,
part-time in rapporto a tempo indeterminato a tempo pieno.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

MONTAGNOLI, MAGGIONI, REGUZZONI e DESIDERATI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi anni si sono verificati in vari enti locali situazioni di dissesto finanziario;

organo di controllo delegato per legge alla verifica di tali enti è la Corte dei conti territorialmente competente -:
quale sia il numero delle verifiche e dei provvedimenti suddivisi per regione fatte nell'ultimo quinquennio.
(4-10693)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale, in relazione alla situazione finanziaria di alcuni Enti locali, si chiede quale sia il numero delle verifiche e dei provvedimenti, suddivisi per regione, eseguiti nell'ultimo quinquennio.
Al riguardo, si fa presente che i servizi ispettivi di finanza pubblica, che operano nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze, nel periodo 2006-2010, hanno effettuato verifiche amministrativo-contabili presso i seguenti Enti locali distinti per Regione:

REGIONI COMUNI PROVINCE
Abruzzo 5 2
Basilicata 2 -
Calabria 6 3
Campania 24 1
Emilia Romagna 8 2
Lazio 30 1
Liguria 3 -
Lombardia 13 2
Marche 10 2
Piemonte 8 2
Puglia 13 1
Sardegna 3 -
Sicilia 7 1
Toscana 8 1
Umbria 10 -
Veneto 6 2
TOTALE 156 20

In proposito, giova precisare che i citati accertamenti ispettivi esauriscono i loro effetti entro la sfera delle attività referenti, demandando alla competenza delle Amministrazioni interessate l'adozione delle opportune misure correttive, in quanto i servizi ispettivi di finanza pubblica non dispongono di poteri coercitivi o sanzionatori nei confronti degli Enti locali, né possono adottare provvedimenti a carico delle Amministrazioni sottoposte a verifica.
Al fine di stimolare, sia pur indirettamente, l'assunzione di iniziative tese all'eliminazione delle criticità riscontrate, i referti ispettivi vengono sempre trasmessi, oltre che al legale rappresentante dell'ente (sindaco o Presidente della provincia), anche:
al Collegio dei revisori, ai fini dell'esercizio delle funzioni di controllo di cui all'articolo 239, comma 1, lettera
c), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Tueell);
alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, in conformità al disposto dell'articolo 60, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. La suddetta sezione regionale, inoltre, può utilizzare le risultanze ispettive nell'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 1, comma 168, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
Infine, nell'ipotesi in cui si ravvisino estremi di danno erariale, una copia del referto viene inviata alla procura regionale presso la Corte dei conti, la quale, in piena autonomia, decide l'eventuale avvio dell'azione di responsabilità.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Alberto Giorgetti.

ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 21 luglio 2010, con l'operazione denominata «Santa Tecla», coordinata dalla procura e dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, sono state eseguite 67 ordinanze di custodia cautelare in carcere e sequestrati beni per circa 250 milioni di euro, a carico di presunti appartenenti e affiliati ad una pericolosa organizzazione 'ndranghetistica con base nell'alto Jonio cosentino, ed in particolare nella città di Corigliano;
nell'operazione sono stati coinvolti anche una dozzina di imprenditori perché ritenuti dagli inquirenti organici alla locale cosca;

alle persone coinvolte nell'operazione «Santa Tecla», sono stati contestati i reati di associazione mafiosa, estorsione, usura, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti;
tra le persone arrestate risultano anche Mario e Franco Straface, imprenditori e fratelli del sindaco di Corigliano, Pasqualina Straface;
l'operazione «Santa Tecla» è stata compiuta anche grazie alle dichiarazioni di 7 collaboratori di giustizia; le investigazioni sul campo, durate oltre tre anni (dalla fine del 2007 al luglio 2010), sono state condotte attraverso l'utilizzo di tecniche investigative e di ricerca della prova, che hanno permesso di riscontrare l'apporto degli stessi collaboratori di giustizia;
nei primi giorni del mese di agosto 2010, gli imprenditori Franco e Mario Straface, fratelli del sindaco di Corigliano, e arrestati nel corso dell'operazione «Santa Tecla», sono stati assegnati al regime di isolamento carcerario (41-bis), a causa probabilmente degli elementi di prova forniti dal pubblico ministero, che potrebbero aver sottolineato un'ipotetica ramificazione, anche dal luogo di reclusione, di contatti e canali di informazione legati ai due fratelli, contatti in grado di mettere a rischio le indagini;
dalla relazione del pubblico ministero antimafia, con la quale ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di applicare la misura cautelare in carcere nei confronti di Franco e Mario Straface, si comprende come per lo stesso pubblico ministero i due fratelli abbiano assunto nel corso degli anni un ruolo di primo piano nell'ambito della organizzazione malavitosa; convinzione corroborata dall'accolta richiesta di applicazione nei confronti di Franco e Mario Straface della misura detentiva del 41-bis;
gli stessi collaboratori di giustizia avevano deposto sul ruolo che i fratelli Straface avrebbero avuto all'interno dell'organizzazione malavitosa coriglianese, riuscendo anche ad ottenere commesse di lavori edili, per il tramite degli «uomini d'onore» di Corigliano, i quali venivano poi ricompensati con una partecipazione agli utili;
la maxi-inchiesta «Santa Tecla» ha altresì aperto uno squarcio, sin dal 2005, sui presunti rapporti 'ndrangheta-politica-rappresentanti istituzionali a Corigliano;
gli strumenti investigativi hanno fatto emergere l'influenza dei fratelli Mario e Franco Straface sulle elezioni comunali svoltesi a Corigliano nel 2006, nonché sulle elezioni comunali del giugno 2009 che hanno portato all'elezione nella carica di sindaco, proprio la sorella, Pasqualina Straface, inizialmente non indagata;
alcune intercettazioni hanno portato il pubblico ministero ad ipotizzare ingerenze di Mario Straface in alcune decisioni della giunta comunale guidata dalla sorella Pasqualina;
sono emersi, altresì, contatti tra il sindaco, Pasqualina Straface, ed un parente molto stretto di Santo Carelli, boss fondatore della consorteria 'ndranghetista di Corigliano, oggi condannato all'ergastolo con sentenza definitiva; i contatti risalgono al periodo immediatamente precedente alle ultime elezioni comunali del 2009 e rivelano, tra l'altro, una raccomandazione fatta dal candidato sindaco, Pasqualina Straface, al familiare del «mammasantissima», per mantenere l'appoggio promesso alla sua candidatura, anche con l'inserimento di un altro parente nelle sue liste, garantendo in cambio il mantenimento per sé stessa della delega alla pesca (garanzia poi mantenuta) e tranquillizzando così tutta la marineria coriglianese, storicamente controllata proprio dalla famiglia Carelli;
negli ultimi giorni del mese di agosto 2010, anche il sindaco di Corigliano, Pasqualina Straface, i cui due fratelli, Mario e Franco, rimangono sottoposti al regime del 41-bis, è stata iscritta nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa;
nei confronti del sindaco di Corigliano il pubblico ministero ipotizza un

accordo con i clan di Corigliano, i quali avrebbero votato e fatto votare la Straface nelle elezioni del 2009;
addirittura, da notizie di stampa, si apprende dell'ipotesi di una probabile matrice politica dietro il duplice omicidio avvenuto pochi giorni prima della campagna elettorale svoltasi a Corigliano nel 2009;
sempre notizie di stampa riferiscono di ulteriori indagini relative all'operazione «Santa Tecla» che potrebbero coinvolgere numerose altre persone, tra le quali anche «nomi eccellenti»;
nella seduta del consiglio comunale, svoltasi il 27 agosto 2010, l'intera maggioranza consiliare ha approvato una mozione di conferma della fiducia al sindaco Pasqualina Straface, la quale non ha poi nemmeno, ad oggi, ritenuto di dover rimettere il mandato affidatole;
il prefetto di Cosenza avrebbe già chiesto alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro tutti gli incartamenti sulla vicenda di Corigliano, ma ad oggi non si hanno notizie sul dovuto invio di una commissione d'accesso a quel comune;
alcuni consiglieri comunali di opposizione hanno già presentato le loro dimissioni, ma si parla, persino, di un rimpasto degli incarichi di giunta coriglianese -:
se non ritenga necessario ed urgente avviare tutte le procedure utili a decretare lo scioglimento del consiglio comunale di Corigliano per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso.
(4-08647)

Risposta. - In relazione al quesito formulato dall'interrogante, si rappresenta che il Consiglio dei ministri nella riunione del 9 giugno 2011, su proposta del Ministro dell'interno, ha deliberato lo scioglimento del consiglio comunale di Corigliano Calabro per forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

NEGRO e RAINIERI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che
tra il 31 ottobre ed il 2 novembre 2010, nel Nord-Est del Paese ed in particolare nella regione Veneto, si sono verificati fenomeni di avversità meteoriche di eccezionale portata con nubifragi e piogge persistenti di particolare intensità;
il carattere di eccezionale avversità atmosferica dei fenomeni in questione sono il risultato dell'irruzione sul Mediterraneo nord-occidentale di una profonda saccatura nord-atlantica, da cui si è originato, in particolare, un esteso fronte caldo di natura sciroccale che ha risalito il Mar Adriatico e si è addossato al settore alpino italiano;
il sollevamento forzato dell'aria umidificata al contatto col Mediterraneo, una volta raggiunti i primi contrafforti delle Prealpi (effetto stau), è stata la causa delle piogge forti e persistenti che dalla giornata di domenica hanno interessano le montagne venete;
le precipitazioni hanno in qualche caso superato i 500mm nell'arco di poco più di 48 ore e la situazione è risultata aggravata dal fatto che la quota neve, come è comune durante le avvezioni sciroccali, fosse particolarmente elevata (in genere attorno ai 2500 metri);
la pioggia scesa copiosa in montagna, unità allo scioglimento delle nevi precedentemente cadute, ha fatto ingrossare gradatamente, ma piuttosto rapidamente, i fiumi che attraversano la Pianura veneta, allagando vasti tratti di pianura soprattutto nel vicentino, ma anche tratti nel padovano, nel veronese e nel trevigiano;
la situazione emergenziale provocata dall'eccezionale evento meteorico è risultata particolarmente pesante nel Vicentino, nel veronese (segnatamente nei comuni di Monteforte e di Soave), così come nelle province di Padova e Treviso. Ad oggi risultano essere centinaia le famiglie evacuate

e con sfollati che si possono enumerare in oltre 2.500 in tutta la regione;
il presidente della regione Luca Zaia, che ha stimato danni per 100 milioni, ha predisposto uno stanziamento di 2 milioni di euro, per gli interventi d'urgenza;
in tali circostanze, particolarmente critica risulta essere la situazione del settore agricolo della regione Veneto con danni ingenti alle produzioni ed alle aziende rurali, ciò che non solo ridurrà i redditi relativi all'annata agraria, ma potrà incidere anche sulle produzioni dei prossimi anni o addirittura sulle strutture;
la già fragile condizione del sistema idrogeologico sottoposto alla violenza delle precipitazioni in questione sembra essere stato peggiorato dagli effetti dannosi provocati dalle nutrie al tessuto idrogeologico del territorio, in particolare alla rete scolante, ai canali che in alcune aree specifiche come quelle del Veneto, sono pensili e quindi maggiormente a rischio idraulico per lo scavo delle tane da parte del miocastoride. Tali problematiche sono state già più ampiamente illustrate in un precedente atto di sindacato ispettivo presentato dall'interrogante il 2 febbraio 2009 (5-00922);
in questi frangenti, al fine di dare maggiore velocità e coerenza alle procedure di ricognizione dei danni ed a quelle di approvazione degli interventi urgenti diretti al ripristino delle opere danneggiate, sarebbe opportuno riconoscere maggiore incisività e poteri decisionali ai sindaci dei comuni coinvolti, nell'ambito delle sedi tecniche che allo scopo vengono istituite -:
quali provvedimenti urgenti intenda adottare per assicurare una rapida fuoriuscita dall'emergenza dei territori Veneti colpiti dall'eccezionale avversità atmosferica dei primi giorni del mese di novembre;
se non ritenga necessario stanziare congrue risorse per finanziare gli interventi che dovranno essere attivati nell'ambito dell'applicazione del Fondo di solidarietà nazionale e contestualmente attivare anche ulteriori operazioni di lunga durata tese a rafforzare la sicurezza attiva e passiva del territorio rurale e la produttività delle strutture agricole, soprattutto al fine di garantire il reddito degli agricoltori e favorire la ripresa economica e produttiva delle imprese danneggiate;
se anche in considerazione delle motivazioni già precedentemente illustrate nell'atto di sindacato ispettivo 5-00922, non intenda attivare urgenti iniziative tese a risolvere la questione della presenza delle nutrie nel tessuto idrogeologico della pianura padana;
se non ritenga opportuno intraprendere iniziative anche normative, ove necessario, tese a riconoscere ai sindaci dei comuni colpiti dalla avversità in questione, maggiori ambiti decisionali nei tavoli tecnici istituiti per affrontare le emergenze provocate dalle stesse avversità.
(4-09390)

Risposta. - L'interrogazione cui mi accingo a rispondere concerne le avversità meteorologiche che tra il 31 ottobre e il 2 novembre dello scorso anno hanno causato, tra l'altro, danni alle produzioni agricole e alle relative infrastrutture agricole nella regione Veneto.
Al riguardo faccio presente che gli interventi compensativi previsti dal fondo di solidarietà nazionale a sostegno delle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per quelle avversità e colture danneggiate che non sono comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative (peraltro, agevolate per l'esistenza di un contributo statale fino all'80 per cento della spesa premi sostenuta).
Tuttavia, in presenza di offerte di mercato insufficienti a coprire la domanda assicurativa delle produzioni, la regione interessata può chiedere la modifica delle previsioni assicurative previste dal piano assicurativo in vigore e, con mio decreto, può essere consentita l'attivazione degli interventi

compensativi del fondo di solidarietà nazionale.
Colgo l'occasione per far presente che, ai sensi della vigente normativa, per le colture, strutture e avversità non assicurabili al mercato agevolato possono essere concessi contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria; prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo nonché una proroga delle rate relative alle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso.
Evidenzio infine che, alla data odierna, nessuna richiesta formale d'intervento è pervenuta alla mia amministrazione da parte della regione Veneto.
Tuttavia, considerata la gravità della situazione, assicuro che non appena perverrà da parte della regione specifica richiesta nei termini soprarichiamati, i miei uffici provvederanno tempestivamente all'istruttoria di competenza e, riscontrati i requisiti di legge, saranno adottati i provvedimenti necessari per l'attivazione degli interventi compensativi del fondo di solidarietà nazionale.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Francesco Saverio Romano.

PALAGIANO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
dalle pagine del Corriere della sera del 23 marzo 2010, si apprende che a Montecchio Maggiore (Vicenza) il comune ha deciso di sospendere la refezione scolastica ai bambini i cui genitori erano in arretrato con i pagamenti della mensa;
otto bambini - come riportato nello stesso articolo e da diverse agenzie stampa - hanno avuto in sostituzione del normale pranzo un panino e una bottiglietta d'acqua;
l'iniziativa comunale ha lasciato interdette le maestre e la preside della scuola materna ed elementare, nonché, ovviamente, genitori e bambini;
pare che dietro la ferma e discutibile decisione comunale ci sia la mancata consegna del modulo di adesione alla mensa scolastica;
la giunta comunale di Montecchio parla di 150 mila euro di ammanco derivanti dalle rette arretrate;
l'ex sindaco Maurizio Scalabrin afferma, invece, che i fondi per sopperire ai costi della mensa c'erano; nell'aprile 2009 l'amministrazione Scalabrin aveva deliberato un fondo di 45 mila euro per far fronte alle difficoltà delle famiglie, una decisione ribadita nel luglio 2009 anche dall'attuale amministrazione che tuttavia l'aveva ristretta agli stranieri residenti da almeno sei anni;
Scalabrin afferma inoltre che quei 150 mila euro derivino dalla somma di diversi servizi scolastici, compreso il trasporto scuolabus;
il comune ha affisso, nei giorni precedenti la consegna dei panini agli alunni, manifesti in varie lingue all'interno delle scuole con la scadenza per il versamento e ha comunicato l'ultimatum anche con una raccomandata a mano consegnata dai vigili urbani;
alla scadenza, prevista il 15 marzo 2010, il comune ha pensato bene di ovviare distribuendo pane ed acqua agli alunni debitori;
la differenziazione del pasto ha creato non pochi disagi all'interno degli istituti scolastici ed ha portato i bambini più «fortunati» a regalare un po' del proprio pranzo ai bambini «puniti» a pane ed acqua;
la penalizzazione dei bambini rappresenta un atto discriminatorio di alcune famiglie - italiane e straniere - in probabile difficoltà economica ed è inoltre contraria ad ogni forma di solidarietà e sensibilità verso soggetti totalmente indifesi

come i bambini, che non possono certo pagare per le inadempienze dei propri genitori -:
quali siano gli intendimenti del Ministro in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga, nel rispetto delle competenze degli enti locali, di assumere iniziative, anche mediante la destinazione di specifiche risorse, a sostegno dei nuclei familiari in condizioni disagiate, al fine di assicurare in un periodo di crisi economica l'accesso, senza discriminazioni, a tutti i servizi scolastici, inclusa la refezione.
(4-06637)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame in oggetto, l'interrogante fa riferimento ad un articolo del Corriere della Sera del 23 marzo 2010 che riferiva la decisione assunta dal comune di Montecchio Maggiore (Vicenza) di sospendere la refezione scolastica ai bambini i cui genitori erano in arretrato con i pagamenti della mensa.
Si precisa preliminarmente che ogni attribuzione in materia di assistenza scolastica, compreso il servizio mensa, è dalla vigente normativa demandata agli enti locali. La competenza precipua della scuola è quella di garantire che il momento della fruizione dei pasti, mediante assistenza educativa del personale docente, così come prevista per la scuola elementare dall'articolo 131 comma 7 del decreto legislativo n. 297 del 1994, abbia condizioni di serenità e di regolare svolgimento e, possibilmente, costituisca anche occasione di educazione alimentare e di formazione alla convivenza e alla relazione sociale.
L'Ufficio scolastico regionale per il Veneto, interessato al caso, ha richiesto elementi informativi al comune di Montecchio Maggiore il quale ha riferito che il servizio mensa nel territorio comunale di quella città viene garantito a tutti gli studenti che chiedono di avvalersi del servizio medesimo senza alcun adempimento preliminare rispetto all'effettivo godimento del servizio. Ogni studente, infatti, usufruisce del pasto senza versare preventivamente alcuna somma di denaro, senza consegnare alcun biglietto o buono mensa, senza obliterare alcun abbonamento con tessera o
badge.
Successivamente, con cadenza bimestrale per gli alunni frequentanti le scuole materne (cinque pasti alla settimana) e con cadenza trimestrale per le altre scuole (due pasti alla settimana), alla famiglia giunge una distinta comprendente i pranzi effettuati e i soldi da versare. Nell'anno scolastico 2009-2010 gli iscritti alla mensa sono stati 1.032 alunni, dei quali 272 (il 26,4 per cento non italiani.
Per anno scolastico 2009-2010 il contributo delle famiglie è stato determinato dalla Giunta comunale in euro 3,95 a pasto; inoltre, per venire incontro alle famiglie, è stata prevista la riduzione del 50 per cento per il secondo figlio e l'esenzione dal terzo figlio in poi.
Oltre a tali forme agevolate o riduttive, vi sono anche le esenzioni/riduzioni disposte su istruttoria dei servizi sociali comunali per le famiglie in stato di bisogno, che ne facciano richiesta. L'ammontare delle riduzioni/esenzioni riconosciute dal Comune è stato di oltre euro 31.000 e riguardava più di 80 famiglie.
Il controllo sui versamenti non è mai stato di tipo vessatorio, ma si sono accumulati nel tempo diversi arretrati nei pagamenti. Essi hanno raggiunto la somma di euro 53.590,20 nel quinquennio 2000/2005; tale somma, posta in ruolo per la riscossione coattiva, ha visto entrate per soli euro 13.538,05. Dai controlli operati sul successivo quinquennio la somma arretrata non ancora pagata aveva raggiunto la cifra di euro 150.000 circa. Innanzi a tali cifre, la Giunta comunale ha deciso di fare chiarezza e di rivedere tutta l'impostazione del servizio.
Dai controlli effettuati, è emerso che nel mese di febbraio 2010, ben 261 utenti su 1032 fruitori del servizio non avevano ancora presentato l'istanza di adesione al servizio, che risulta adempimento essenziale, in quanto viene definito dalla normativa vigente come «servizio a domanda individuale», al pari del trasporto scolastico decreto ministeriale 31 dicembre 1983 (Ministero dell'interno di concerto con i Ministeri del tesoro e delle finanze), e non

può essere erogato obbligatoriamente a tutti, ma solo a quanti, previa specifica e sottoscritta adesione, hanno manifestato la volontà di garantire il servizio al proprio figlio. È chiaro, dunque, come nulla possa essere fatto in proposito, senza la condivisione dei genitori: ben si conoscono le responsabilità a cui si è soggetti, nel caso in cui venga posta in essere un'azione non condivisa da chi esercita la genitoriale potestà.
Si è deciso, pertanto, prima di avviare procedimenti tesi alla riscossione degli arretrati, di acquisire le adesioni al servizio. Queste ultime, infatti, costituiscono il «contratto» tra il cittadino e il comune, per il servizio di refezione scolastica. L'obiettivo di persuadere i genitori a presentare la scheda di adesione ha portato ad acquisire, nel solo mese di febbraio, soltanto 57 nuovi utenti. A fronte dello scarso riscontro, l'Amministrazione comunale ha fissato dei termini di consegna dell'adesione con scadenza al 15 marzo 2010, informando contestualmente che coloro che non avessero consegnato il modulo entro il termine e che avessero precedenti insolvenze, sarebbero incorsi nella sospensione del servizio a partire dal 22 marzo 2010. All'inizio di marzo è stato inviato un secondo sollecito, accompagnato da telefonate alle famiglie e dall'invio a casa di un nuovo modulo di iscrizione, con lettera di avviso tradotta in cinque lingue per facilitarne la comprensione del contenuto da parte delle famiglie straniere. Inoltre, per tutti coloro che non erano stati raggiunti telefonicamente, il modulo e la lettera sono stati recapitati a mano tramite gli agenti della Polizia locale. Allo stesso tempo, presso le scuole sono stati affissi avvisi multilingue.
Il 12 marzo 2010 quarantuno alunni non avevano ancora, consegnato il modulo di adesione al servizio mensa; perciò, in data 17 marzo 2011 l'amministrazione comunale ha inviato un avviso per posta elettronica alla dirigenza dei due istituti comprensivi, comunicando che, a partire dal lunedì 22 marzo, il servizio mensa sarebbe stato ridotto a un panino per tutti quei bambini, le cui famiglie non avessero comunicato l'adesione in tempo utile.
Il giorno 22 marzo 2011 nove bambini si sono trovati nella situazione di dover usufruire di un pranzo ridotto; il giorno 24 marzo 2011 i bambini si erano ridotti a quattro ed entro la serata tutte le adesioni venivano acquisite, facendo cessare la materia del contendere.
Le 80 famiglie non abbienti, hanno avuto i propri figli ammessi alla mensa scolastica con onere a carico del comune.
Da quanto esposto, quindi, si è trattato della legittima pretesa del rispetto della normativa vigente e della volontà dei genitori, a cui va riconosciuta l'esercizio della genitoriale potestà e delle responsabilità conseguenti.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

PES, SCHIRRU e MELIS. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito www.costruendo.lindro.it è stato pubblicato, l'11 febbraio del 2011, un articolo di Gianni Lannes intitolato «Bombe atomiche: Usa in Italia»;
in tale articolo, l'autore sostiene che in Italia vi sarebbero armi atomiche americane per una potenza distruttiva pari a 900 volte l'effetto prodotto dalle bombe sganciate dagli USA su Hiroshima e Nagasaki;
480 sarebbero le «bombe nucleari dislocate in otto basi aeree in sei Paesi europei della Nato: 150 in Germania, 110 in Gran Bretagna, 90 in Italia, 90 in Turchia, 20 in Belgio e 20 in Olanda»;
tali bombe nucleari, della tipologia B61, ovvero degli ordigni tattici affusolati adatti ad essere trasportati, fissati alle ali, dai cacciabombardieri, avrebbero una potenza che può variare da 0,3 a 170 chilotoni (quella della bomba sganciata su Hiroshima era di circa 15);
nell'aprile del 1999, il Governo italiano ha sottoscritto un accordo sulla «pianificazione nucleare collettiva» della Nato, in cui si dispone che «l'Alleanza

osserverà forze nucleari adeguate in Europa, con caratteristiche di flessibilità e capacità di sopravvivenza tali da essere percepite come un elemento credibile ed efficace nella strategia atlantica di prevenzione dei conflitti»;
l'accordo del 1999 richiama la «Direttiva 60» del 1997 promulgata dal Presidente Clinton nella quale si stabilisce che «le armi nucleari non solo continuano a essere puntate su Russia e Cina, ma possono essere usate contro Stati-canaglia e contro soggetti non-statali che minaccino gli Stati Uniti, le loro truppe all'estero e i loro alleati con armi di distruzione di massa, anche non nucleari»;
l'articolo 2 del Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari impone che «Ciascuno degli Stati militarmente non-nucleari, si impegna a non ricevere da chi che sia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, direttamente o indirettamente»;
lo spiegamento, sempre da quanto si legge nell'articolo di Gianni Lannes, delle armi nucleari Usa in Europa è regolato, da una serie di accordi segreti, che i rispettivi Governi non hanno mai sottoposto ai rispettivi Parlamenti;
l'accordo che regola le armi nucleari Usa in Italia è lo «Stone Ax»: il piano ascia di pietra;
tale accordo permetterebbe agli Stati Uniti di schierare armi nucleari sul territorio italiano e stabilirebbe il principio della doppia chiave, ovvero prevedere che una parte di queste armi possa essere usata dalle forze armate italiane una volta che gli USA ne abbiano deciso l'impiego;
a tal fine, documenterebbe il rapporto «piloti italiani vengono addestrati all'uso delle bombe nucleari nei poligoni di Capo Frasca (Oristano) e Maniago II (Pordenone)»;
la conferma, secondo Lannes, arriverebbe da un addetto ai lavori: il colonnello Nicola Lanza De Cristoforis, il quale, intervistato quando era comandante del 6° stormo di Ghedi, aveva rivelato «da qualche anno ci addestriamo soltanto in Sardegna e sono a conoscenza in parte di questi accordi intergovernativi segreti Italia-USA»;
il 10 marzo del 2005, il sottosegretario alla difesa Giuseppe Drago, rispondendo ad un'interpellanza urgente (2-01481) sottoscritta da 32 parlamentari aveva riconosciuto che «la presenza di armi nucleari in Europa, sul territorio di paesi alleati non detentori di ordigni nucleari, costituisce un aspetto essenziale del nuovo concetto strategico della NATO che assicura la copertura, ma anche il coinvolgimento dell'intera Alleanza, del cosiddetto ombrello nucleare della NATO stessa» -:
se quanto apparso nell'articolo di Gianni Lannes corrisponda a verità, ovvero se nel territorio italiano vi siano armi nucleari americane;
in caso di risposta positiva, quale sia il numero e la tipologia delle armi suddette.
(4-11105)

Risposta. - In primo luogo, si evidenzia che l'inchiesta giornalistica richiamata dall'interrogante, curata da Gianni Lannes, pubblicata l'11 febbraio 2011 sul sito www.costruendo.lindro.it ed intitolata «Bombe Atomiche: USA in Italia», è stato redatta sulla base di dati, informazioni e valutazioni fornite da esperti indipendenti e «open sources» (associazioni ambientaliste quali Greenpeace e Natural Resources Defence Council) od estrapolate da non meglio precisati «rapporti segreti del Pentagono» e dell'aviazione militare statunitense, documenti che, secondo l'autore, rivelerebbero dettagliate informazioni circa dislocazione e quantitativi dell'armamento strategico statunitense in Europa.
Non si ritiene, pertanto, opportuno fare commenti su alcun documento o altra notizia, giunta da qualsivoglia fonte, che non sia ufficialmente adottato dall'Alleanza Atlantica nei consessi appropriati, e non sia stato reso pubblico dall'Alleanza stessa in conformità alle procedure in vigore.


Per quanto riguarda, invece, la presunta esistenza dell'accordo «Stone Ax» tra l'Italia e gli Stati Uniti d'America, già nel 2005, il Governo
pro tempore ha fornito formale smentita in sede di risposta a un'analoga interrogazione a risposta immediata discussa il 9 febbraio 2005.
Ciò premesso, ritengo opportuno sottolineare che l'impegno di appartenenza all'Alleanza Atlantica assunto dal nostro Paese e i relativi vincoli sono conseguenti a decisioni adottate in passato, ribadite, nel tempo e condivise, tra l'altro, dalla stragrande maggioranza del Parlamento.
L'Alleanza Atlantica costituisce un cardine essenziale della sicurezza e difesa dell'Italia e degli interessi nazionali; unitamente all'ONU e all'Unione Europea rappresenta il riferimento delle nostre iniziative in ambito multilaterale, volte al rafforzamento della pace, della stabilità e della sicurezza internazionale.
In tale quadro, l'Alleanza Atlantica, ha costantemente riesaminato, nel tempo, la propria politica nucleare e i relativi dispositivi di forze.
La NATO, infatti, a partire dalla fine della guerra fredda, ha drasticamente ridotto il numero e la tipologia di armi nucleari, che non sono dirette contro alcun Paese o regione.
Le uniche armi nucleari dell'Alleanza basate a terra in Europa sono in quantitativi molto limitati, conservati in un numero ridotto di siti, in condizioni di massima sicurezza, senza alcuna possibilità che esse possano essere utilizzate accidentalmente o per errore.
La definizione della «politica nucleare della NATO» avviene con il pieno consenso di tutti i Paesi alleati, siano essi potenze nucleari o non-nucleari. Il consesso a ciò deputato, il cosiddetto «Nucleur Plannining Group», che si riunisce almeno una volta ogni anno, è presieduto dal Segretario Generale della NATO ed è composto da tutti i Ministri della difesa dei Paesi dell'Alleanza Atlantica, con l'eccezione della Francia che ha deciso autonomamente di non farne parte.
La «Politica, nucleare della NATO» è, pertanto, oggetto di costante esame approfondito e, in coerenza con gli sviluppi del quadro internazionale, di evoluzione.
Per la natura e i meccanismi di funzionamento dell'Alleanza Atlantica, e del
Nuclear Planning Group, sono prive di fondamento le ipotesi di disaccordo fra i diversi Paesi in merito alle decisioni effettivamente adottate, essendo queste assunte tutte collegialmente sulla base del principio dell'unanimità.
In tale ambito, si fa osservare che l'Italia ha sempre espresso una coerente e univoca volontà generale di pervenire a un mondo priva di armi nucleari, svolgendo, in tutte le sessioni internazionali volte a sostenere il processo di disarmo nucleare e di non proliferazione, un ruolo attivo affinché siano fissati obiettivi «realistici e conseguibili» in materia.
Tale posizione è stata confermata anche in occasione del
summit dei capi di Stato e di Governo dei Paesi dell'Alleanza Atlantica, tenutosi a Lisbona il 19 e 20 Novembre 2010, ove l'Italia ha concordato con gli altri Alleati sulla necessità di riesaminare la politica nucleare della NATO, con l'obiettivo di concorrere al raggiungimento dell'obiettivo condiviso di un mondo libero dalle armi nucleari, soddisfacendo, al contempo, le attuali e future esigenze di sicurezza e deterrenza e la necessità di conseguire, purtroppo, ancora un bilanciamento di postura con i più consistenti arsenali esistenti.
Tale princìpio è stato evidenziato nella dichiarazione emessa al termine del predetto vertice, ma più in particolare nel nuovo concetto strategico «Active Engagenment, Moderne Defence», approvato proprio a Lisbona, che richiama il coerente legame fra, il mantenimento di capacità di «credibile deterrenza» ed una politica attiva di disarmo, controllo degli armamenti e non proliferazione.
Con l'approvazione del nuovo concetto strategico i Paesi dell'Alleanza Atlantica hanno solennemente riaffermata l'impegno alla difesa collettiva, nei confronti dell'intero spettro delle minacce concepibili. Conseguentemente, è stato ribadito che:
la deterrenza, basata su un appropriato insieme di capacità convenzionali e nucleari, rimane un elemento fondamentali della strategia complessiva dell'Alleanza;

i Paesi membri garantiranno che la NATO mantenga l'intero spettro di capacità necessarie a garantire la deterrenza. e la difesa da ogni minaccia alla sicurezza delle proprie popolazioni. Pertanto, fra l'altro, essi garantiranno la più ampia partecipazione possibile nell'attività di pianificazione di difesa collettiva in tema nucleare, nella distribuzione delle forze nucleari in tempo di pace e nelle predisposizioni in tema di comando, controllo e consultazione.

Le informazioni in tema di politica nucleare, sono comunicate pubblicamente, nei documenti ufficiali - incluso il citato nuovo concetto strategico - e sul sito dell'Alleanza Atlantica.
Tuttavia, l'Alleanza, pur mantenendo un atteggiamento assolutamente trasparente sulla propria strategia nucleare e sulla natura del proprio dispositivo in Europa, non può però agire a discapito della sicurezza di questo dispositivo e della riservatezza che e assolutamente indispensabile mantenere in questa materia per quanto concerne i siti, la loro dislocazione in Europa ed i quantitativi di armamento in essi contenuti.
Una riservatezza che non può essere valutata unilateralmente da un singolo Paese dell'Alleanza, perché la deterrenza nucleare è un bene ed un onere collettivo che lega collegialmente tutti i paesi alleati.
La tipologia e la qualità delle informazioni rilasciabili sugli armamenti nucleari è, quindi, una decisione politica collettiva ed unanime degli alleati, cui nessun Paese può sottrarsi, pena la violazione del patto di alleanza liberamente sottoscritto e del vincolo di riservatezza che da esso discende in alcune materie.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

PICCOLO, BOSSA e CIRIELLO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
da alcuni giorni, a Napoli, nel quartiere Vomero, è chiusa al pubblico Villa Floridiana, parco di inestimabile valore storico, culturale ed ambientale, già tenuta borbonica all'interno della quale c'è il museo del duca di Martina;
la villa risale ai primi dell'Ottocento, quando Ferdinando IV di Borbone acquistò sulla collina del Vomero, per la moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Floridio, un vasto appezzamento di terreno nel quale preesisteva una vecchia costruzione, ristrutturata poi dall'architetto Antonio Niccolini che la trasformò, tra il 1817 ed 1819, in una villa neoclassica con annesso un ampio e suggestivo parco di stile romantico. I viali e i sentieri furono sistemati dal direttore dell'Orto botanico Friedrich Dehnhardt che ornò il parco con 150 specie di preziose piante tra cui lecci, pini, platani, palme, bossi, cedri del Libano, lauro canforo e una ricca collezione di camelie;
la chiusura è stata decisa dalla Soprintendenza per i beni artistici e storici di Napoli, che ha competenza sul parco pubblico, per motivi di sicurezza, dal momento che alcuni alberi di alto fusto sarebbero in pericolo e potrebbero cadere al suolo, come è già successo nei giorni scorsi per un eucalipto sradicato e franato;
nel darne notizia, la Soprintendenza ha parlato di chiusura «a tempo indeterminato», seminando sconcerto nella città ed, in particolare, tra i 150mila abitanti della zona tra Vomero e Arenella per i quali la villa Floridiana rappresenta l'unico polmone di verde ed un importante spazio di socializzazione;
non è mai accaduto, dal 1815, che il parco della Floridiana chiudesse a «tempo indeterminato», privando la città di un'insostituibile risorsa ambientale e ricreativa, oltre che di una straordinaria attrattiva turistica per il suo rilevante valore artistico;
secondo le dichiarazioni rese alla stampa locale dall'assessore all'ambiente del comune di Napoli «la caduta degli alberi è di natura fisiologica; il vero nodo è che, dopo i recenti tagli del ministero dei

Beni culturali, non ci sono più soldi per la manutenzione del parco»;
nello specifico, i tagli ministeriali hanno reso impossibile disporre dei fondi necessari (all'incirca trecentomila euro) per garantire al parco manutenzione, potatura e cura degli alberi, vigilanza e pulizie;
già nel 2003 si era scongiurato il rischio di chiudere la Floridiana per l'intervento provvidenziale del comune di Napoli, che si accollò l'onere di un servizio temporaneo di manutenzione di alcune aree, evitando così la chiusura della struttura;
ancora una volta, per far fronte alle difficoltà finanziarie della sopraintendenza, viene sollecitato l'intervento «tampone» del comune di Napoli e della regione Campania per la messa in sicurezza del patrimonio naturalistico del parco al fine di consentire la rapida riapertura di Villa Floridiana;
è del tutto evidente che non è possibile sopperire con interventi emergenziali e temporanei delle istituzioni locali per tutelare e manutenere un patrimonio di ingente valore naturalistico a cui dovrebbe e deve provvedere, per esclusiva competenza, la Soprintendenza per i beni artistici e storici di Napoli che, però, è impossibilitata a farlo perché privata dal Governo, con quella che agli interroganti appare disinvolta ed irresponsabile indifferenza, delle risorse finanziarie necessarie per la gestione del suddetto patrimonio;
peraltro, con l'esorbitante taglio di fondi subito, è facile prevedere che la stessa Sopraintendenza si troverà a breve a dover affrontare analoghe difficoltà con la gestione del bosco di Capodimonte, altro grande e prestigioso parco metropolitano, dove manca da tempo una manutenzione costante del patrimonio naturalistico e dove potrebbero ripresentarsi gli stessi problemi di sicurezza -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo, posto che appare di estrema gravità che alla città di Napoli sia sottratta la fruizione di parchi naturali per la mancanza di manutenzione e di opere per la messa in sicurezza;
se e come intenda intervenire, con urgenza, per ripristinare le condizioni di operatività della Soprintendenza di Napoli, assicurando i mezzi finanziari necessari a svolgere la sua funzione al fine di evitare la chiusura di parchi e strutture pubbliche di rilevante valore artistico-ambientale e di grande importanza per la collettività.
(4-11352)

Risposta. - Si fa riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, concernente la temporanea chiusura al pubblico del parco della Villa Floridiana di Napoli.
Al riguardo, occorre preliminarmente chiarire che la Villa Floridiana e l'annesso parco rientrano nelle competenze gestionali della soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della Città di Napoli, mentre la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia è competente esclusivamente in merito ai profili concernenti la tutela dei suddetti immobili.
Limitatamente al periodo tra il 2004 e il 2010, la predetta soprintendenza speciale ha convenuto, mediante un apposito protocollo d'intesa, che lo svolgimento dei soli servizi di pulizia dei viali, di piccola manutenzione ordinaria e di vigilanza di alcune aree fosse curato dal comune di Napoli.
Pertanto, sia nel corso di questi anni che dall'ottobre del 2010, data di scadenza dell'accordo con il comune - non ulteriormente rinnovato - la soprintendenza speciale ha continuato ad occuparsi della manutenzione sia ordinaria che straordinaria dell'intero Parco, realizzando, senza attingere a finanziamenti straordinari, una mappatura completa dei grandi alberi e un'analisi con «Visual Tree Assessment» (VIA) e strumentale di un cospicuo numero di alberature per valutarne lo stato di conservazione.

Grazie a queste indagini è stato possibile programmare nel corso degli anni gli interventi di potatura e di abbattimento delle essenze che si sono resi via via necessari, ai fini della tutela del patrimonio arboreo e della pubblica incolumità.
Ciononostante, a metà dello scorso mese di marzo si è abbattuto un eucalipto di grandi dimensioni, destinato ad essere inserito nei prossimi interventi di manutenzione, danneggiando altre essenze circostanti e un lampione dell'illuminazione.
Si è reso conseguentemente necessario recintare l'area interessata; inoltre, in considerazione del fatto che altri grandi alberi, ritenuti a rischio di crollo a seguito di precedenti verifiche, insistevano sul viale principale di accesso alla Villa, si è proceduto il 18 marzo alla chiusura temporanea del parco, in attesa di individuare le soluzioni più efficaci ed efficienti per mettere in sicurezza quel viale e un'area circostante da poter tempestivamente rendere di nuovo disponibile alla pubblica fruizione.
Successivamente, il 24 dello stesso mese di marzo, si è svolta una riunione operativa congiunta tra i rappresentanti del Ministero e i dirigenti del settore foreste della regione Campania e dell'assessorato all'ambiente del comune di Napoli. Alla riunione è seguito il 30 marzo un sopralluogo nel Parco cui hanno preso parte, oltre al direttore del parco e al soprintendente per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia, anche il direttore dell'orto botanico, al fine dell'individuazione e dell'autorizzazione di tutti i necessari interventi di messa in sicurezza delle alberature.
I relativi lavori, curati dall'amministrazione comunale, sono iniziati il 2 aprile e terminati il 14 aprile.
Il giorno successivo - 15 aprile - si è pertanto provveduto a riaprire al pubblico una parte del parco, mentre un'altra grande area, circostante il «Teatrino della verzura», è stata riaperta sabato 14 maggio.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Giancarlo Galan.

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato dal quotidiano online Bergamonews di domenica 20 febbraio 2011, si apprende: «Sabato 19 febbraio verso le ore 13 lo navetta partito poco prima da Bergamo verso Treviglio si blocca per un guasto nella stazione di Verdello. Il treno delle 13.02 per Milano che segue a breve distanza viene bloccato in linea per oltre 25 minuti. Poi viene fatto entrare a passo d'uomo a Verdello e viene agganciato in coda al treno in panne fermo sullo stesso binario. Infine, fatti scendere i viaggiatori senza molti complimenti e senza spiegazioni, i due treni accoppiati ritornano lentamente in retromarcia a Bergamo, occupando il binario pari (quello discendente) e quindi impedendo per lungo tempo la partenza di altri treni verso Milano. Tutta l'operazione richiede circa un'ora e tre quarti, ma i ritardi e le soppressioni a catena si fanno sentire fino a sera»;
da quanto appreso dalla stessa fonte, la linea in questione, a doppio binario, disporrebbe di impianti di sicurezza che permetterebbero la circolazione dei treni in entrambe le direzioni su tutti e due i binari e, nella stazione di Verdello, sarebbe possibile facilmente deviare i treni da un binario all'altro senza dover ricorrere alla succitata manovra;
stando a quanto riportato dalla stampa, il motivo del disagio è da attribuire alla procedura che individua nel dirigente centrale, che telecomanda l'intera linea, l'unico autorizzato a modificare la circolazione dei treni;
dalle informazioni in possesso degli interroganti risulterebbe che suddetto dirigente nei weekend non sia in servizio e che la linea venga governata in modo rigido e automatico, senza possibilità alcuna di intervento diretto in caso di guasto, incidente, ritardo o perturbazione del servizio;
la linea ferroviaria che collega la città di Bergamo a quella di Milano, per svariati

motivi, a partire dal numero di utenti, rappresenta uno dei nodi strategici del sistema ferroviario lombardo su cui, non a caso, sono state investite molte risorse proprio per il suo potenziamento e ammodernamento -:
se il Ministro interrogato sia al corrente di tale situazione e se la stessa corrisponda al vero;
se non ritenga opportuno intervenire affinché siano predisposte tutte le contromisure del caso per scongiurare il ripetersi di tali inaccettabili disservizi.
(4-11022)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si premette che la linea ferroviaria Treviglio-Bergamo è a doppio binario e attrezzata con il sistema di blocco automatico a correnti codificate per quanto riguarda la circolazione dei treni. Il blocco automatico è banalizzato per permettere la circolazione dei treni nei due sensi di marcia su entrambi i binari. Le stazioni in cui è possibile cambiare binario sono quelle di Bergamo, Treviglio e Verdello-Dalmine.
Il servizio è gestito per tutto l'arco delle 24 ore dal dirigente centrale della linea. Milano-Brescia, il quale sovrintende alla regolazione della circolazione e fornisce indicazioni operative ai capistazione dirigenti movimento che operano nelle stazioni di Bergamo, Verdello-Dalmine e Treviglio.
Riguardo all'episodio avvenuto nella giornata di sabato 19 febbraio 2011, Ferrovie dello Stato ha precisato che le tre stazioni citate erano presenziate dal capostazione dirigente movimento e che il dirigente centrale della linea Milano-Brescia era regolarmente in servizio nella sua postazione che ha sede sopra il fabbricato viaggiatori nella stazione di Milano Lambrate.
Alle ore 13.03 dello stesso giorno, il treno regionale di TLN (Trenitalia Le Nord) 24778 partito da Bergamo alle ore 12.51 e diretto a Treviglio con tutte le fermate intermedie, si è bloccato per problemi al materiale rotabile nella stazione di Verdello Dalmine. Nel frattempo, 11 minuti dopo, alle 13.02; era già partito da Bergamo il treno regionale 2622 diretto a Milano Centrale.
Alle ore 13.20, non essendo possibile far ripartire il treno 24778 (fermo a VerdelloDalmine), per ripristinare la normale circolazione ferroviaria si è reso necessario impiegare la locomotiva e le carrozze del treno 2622 per agganciare il treno 24778 guasto e retrocedere fino alla stazione di Bergamo, cancellando quindi i due treni nella tratta successiva. In ossequio alle disposizioni vigenti e per garantire la massima sicurezza i viaggiatori sono stati invitati a scendere nella stazione di Verdello-Dalmine.
Dalle ore 13.20 e fino alle ore 14.10 non è stato possibile far circolare i treni a senso alternato sul binario dispari Treviglio-Bergamo, tra le stazioni di Bergamo e di Verdello-Dalmine, perché occupato dal passaggio dei treni regionali provenienti da Treviglio e da Milano. Analogamente, dalle 14.00 alle 14.30 il binario pari Bergamo-Treviglio è stato impegnato dalle operazioni di retrocessione di cui al punto precedente. La circolazione è ripresa gradualmente a partire dalle ore 14.30.
Successivamente sono stati cancellati i treni 2623 Milano Centrale-Bergamo, 24779 e 24781 Treviglio-Bergamo e 24780 e 24782 Bergamo-Treviglio perché utilizzavano il materiale rotabile dei treni impegnati a seguito del guasto.
Da ultimo Ferrovie dello Stato fa sapere che tale guasto ha causato un ritardo rispettivamente di 30 e 16 minuti ai treni 2624 e 24784 provenienti da Bergamo e diretti a Milano centrale e Treviglio.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

PILI e MURGIA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
i rappresentanti del gruppo di democrazia partecipativa Parlamentares di Quartucciu Alessandra Porru e dell'associazione UNIDOS Quartucciu-Club della Libertà Walter Pibiri, Giuseppe Fanti vicesindaco di Quartucciu e Damiano Paolucci assessore allo sport e alla cultura del comune di Quartucciu hanno segnalato

che la tomba di giganti in località «Is Concias» a Quartucciu risulta essere presa di mira ripetutamente dai vandali e di essere stata gravemente danneggiata;
il presidente del gruppo cavità Cagliaritane Marcello Polastri ha segnalato allo stesso Ministro per i beni e le attività culturali lo stato di profondo degrado in cui versa la zona archeologica di Pixina Nuxedda-Is Concias a Quartucciu (Ca);
i massi della Tomba dei giganti sarebbero stati utilizzati per barbecue:
la situazione nonostante le reiterate segnalazioni che da tempo si susseguono risulta non essere cambiata come attestano numerose segnalazioni, anche fotografiche, pervenute al gruppo speleo-archeologico, al portale internet Sardegna Sotterranea e sul social network Facebook;
risulta indispensabile un intervento di consolidamento e restauro nonché di vigilanza per preservare il predetto bene identitario consentendo la sua completa valorizzazione;
attraverso verifiche fatte di recente è stato possibile accertare la fragilità del sito archeologico con le presenza di persone che camminano sulle fragili strutture della tomba;
esiste il fondato timore che ignoti potrebbero portar via le grandi pietre e smontare, pezzo dopo pezzo, il monumento;
l'associazione del «Gruppo Cavità cagliaritane» ha offerto il massimo supporto per gli interventi di tutela auspicati -:
se non intenda promuovere un'urgente ispezione sul sito e constatare lo stato del bene archeologico della tomba dei giganti nel territorio comunale di Quartucciu;
se non intenda promuovere un apposito incontro tra le autorità competenti e l'amministrazione comunale di Quartucciu al fine di valutare gli interventi sia di restauro che di ripristino dell'intero sito archeologico;
se non ritenga disporre provvedimenti tesi alla salvaguardia e valorizzazione del bene archeologico provvedendo allo stanziamento di apposite risorse finanziarie nell'ambito dei programmi di spesa del Ministero;
se non ritenga necessario valutare se eventualmente siano individuabili responsabili dell'incuria e abbandono del sito e se gli organi preposti abbiano provveduto alle dovute segnalazioni sul caso denunciato.
(4-11282)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, relativa alla zona archeologica di Pixina Nuxedda - Is Concias a Quartucciu (Cagliari), si osserva quanto segue.
La tomba dei Giganti di Sa Domu 'e s'orku, Is Concias è stata messa in luce nel 1962 ed è stata oggetto di un intervento di consolidamento nel 1987. L'edificio, lungo complessivamente m. 15,90 e con esedra ampia m. 12,50, costituisce una delle più pregevoli architetture funerarie di età nuragica ed è meta di visite turistiche, pur trovandosi in area distante dall'abitato, non facilmente raggiungibile attraverso una strada comunale non agevole.
L'area su cui sorge, sul versante occidentale del complesso montuoso dei Sette Fratelli rivolto verso golfo di Quartu, è stata acquistata dal comune di Quartucciu nel 1999 e, ad opera dello stesso, ne è stata poi predisposta la recinzione con cancello, prevedendosi anche la collocazione di un pannello esplicativo.
Successivamente, il cancello si è deteriorato, mentre il pannello non è mai stato realizzato. La recinzione è tuttora in posto. La manutenzione ordinaria che, dunque, compete al comune di Quartucciu, proprietario dell'area, è saltuaria.
Numerose verifiche dello stato del monumento si sono ripetute nel tempo, soprattutto in corrispondenza di festività primaverili ed estive, quando sia il sito archeologico, sia il vicino complesso di san Pietro in Paradiso rappresentano meta di gite e, spesso, anche di pic-nic all'aperto.
Segnalazioni di danneggiamenti sono state pubblicate dalla stampa locale a novembre

dello scorso anno, ma i sopralluoghi di verifica effettuati non hanno rilevato manomissioni al monumento. La segnalazione e i risultati della verifica sono stati trasmessi anche al nucleo di Sassari del Comando Carabinieri tutela patrimonio culturale, mentre al sindaco di Quartucciu è stato chiesto di attivarsi per migliorare le condizioni dell'area.
La segnalazione è stata riproposta, con riferimento alla precedente nota di stampa, nel marzo 2011 dal gruppo cavità cagliaritane. Tuttavia, l'ultimo sopralluogo, effettuato in occasione dell'interrogazione, in esame non ha riscontrato ulteriori criticità.
Saranno attivati, comunque, a breve, nuovi contatti con il comune di Quartucciu al fine di programmare la manutenzione ordinaria dell'area e valutare i modi di una migliore valorizzazione e controllo della tomba dei Giganti.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Giancarlo Galan.

PINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il giorno 15 agosto 2009 è definitivamente entrata in vigore la legge 3 agosto 2009, n. 117 recante «Distacco dei comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione.»;
il giorno 11 settembre 2009, a norma dell'articolo 2 della citata legge n. 117 del 2009 il Ministro interrogato ha nominato il Commissario per armonizzare gli adempimenti spettanti alle provincie di Pesaro e Rimini nonché alle Regioni Marche ed Emilia-Romagna;
ogni adempimento amministrativo, sia autonomo degli enti interessati, sia in concorso tra due o più di essi, ivi compresi quelli inerenti agli uffici periferici delle pubbliche amministrazioni deve comunque basarsi sul principio normativo della leale collaborazione;
da informazioni rilevate dall'interrogante direttamente sul territorio il giorno 28 settembre 2009 il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Pesaro pare abbia intimato al comando distaccato di Novafeltria di non utilizzare i mezzi moderni in dotazione, chiedendone contestualmente la riconsegna al comando provinciale di Pesaro in attesa di una sostituzione con mezzi più obsoleti;
tale atteggiamento, se confermato, risulta non solo lesivo del principio di leale collaborazione, ma anche dannoso e pericoloso per i cittadini dell'area interessata dal distaccamento dei vigili del fuoco di Novafeltria -:
se le informazioni pervenute all'interrogante siano comprovate da ordini di servizio del Comando provinciale dei vigili del fuoco di Pesaro;
in caso affermativo, quali siano gli intendimenti del Ministro in merito;
se non ritenga opportuno intervenire attraverso il Commissario, prefetto Rosaria Cicala, al fine di evitare che si ripetano atteggiamenti di questo tipo che, ad avviso dell'interrogante, sono in palese contrasto con la legge n. 117 del 2009.
(4-04395)

Risposta. -Il comune di Novafeltria fa parte dei sette comuni interessati al passaggio dalla provincia di Pesaro Urbino a quella di Rimini, ai sensi dalla legge 3 agosto 2009, n. 117, entrata in vigore il 15 agosto 2009.
Nel comune di Novafeltria è attivo un distaccamento permanente dei vigili del fuoco che, a decorrere dal 10 giugno 2011, è passato definitivamente dal comando dei vigili del fuoco di Pesaro a quello di Rimini, consentendo così l'attuazione e la conclusione del relativo passaggio di consegne.
Il 31 marzo 2011, è stata disposta l'assegnazione al comando vigili del fuoco di Rimini, per potenziare l'organico del citato distaccamento, di 9 unità lavorative.

Il successivo 19 aprile, a seguito della procedura di mobilità nazionale del personale dei vigili del fuoco, 20 unità sono state trasferite, a domanda, dal comando provinciale vigili del fuoco di Pesaro al comando provinciale vigili del fuoco di Rimini;
In concomitanza con il trasferimento del personale, è in via di definizione il passaggio delle competenze sui beni mobili e immobili di pertinenza del distaccamento (utenze, attrezzature, automezzi).
Inoltre, i due citati comandi vigili del fuoco hanno in dotazione 4 auto botti, di cui una modello AF 1124 4x4.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

PORTA, BUCCHINO, GARAVINI, FEDI e NARDUCCI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
con un trattato internazionale del 1966 tra il Governo italiano e i Governi dei Paesi dell'America latina è stato costituito l'Istituto Italo-Latino Americano (IILA) con il compito di svolgere una funzione di conoscenza e di collegamento con la regione latinoamericana;
nel corso degli anni, l'attività dell'istituto si è sviluppata e articolata nel campo culturale, in quello socio-economico e in quello tecnico-scientifico mediante numerosi progetti che hanno interessato di fatto tutti i Paesi dell'America Latina;
la presenza italiana in America Latina, anche grazie al radicamento di consistenti comunità d'origine e alla rilevanza crescente delle attività economiche, commerciali e professionali in quell'area, si è andata progressivamente rafforzando a partire dal 2006;
l'Italia organizza con cadenza biennale la Conferenza nazionale Italia-America Latina, che nel 2011 giungerà alla quinta edizione, con l'obiettivo di migliorare le relazioni economiche e culturali bilaterali e multilaterali, che nell'IILA trovano uno degli strumenti di promozione e di sviluppo;
l'articolo 9 del trattato istitutivo prevede che l'IILA sia annualmente finanziato con una quota ordinaria di tutti gli Stati membri e con una quota speciale dell'Italia, a cui spetta anche l'onere di mettere a disposizione i locali idonei allo svolgimento delle attività di istituto;
il contributo dell'Italia, che nel 1995 è stato di 8 miliardi di lire, di cui 3 per la sede, è sceso progressivamente fino ai 2.359.764 euro dell'anno corrente, di cui 820.000 per la sede, con la realistica prospettiva di un'ulteriore riduzione del 10 per cento per il 2011, che porterebbe la dotazione complessiva a 2.100.000 euro;
la riduzione del sostegno italiano ha comportato una serie di trasferimenti della sede, che è passata dagli iniziali 12.000 metri quadri del Palazzo della civiltà del lavoro, ai 3.500 attuali in una zona del centro storico, e si ridurrà ulteriormente di qui a breve;
al di là delle concrete difficoltà operative, la contrazione dell'impegno italiano potrebbe essere interpretato come un segnale negativo, di ridimensionamento dell'interesse del nostro Paese verso una regione nella quale sono vivi e persistenti i legami storici e culturali e che nell'attuale congiuntura mondiale presenta indici di sviluppo positivi -:
se, in coerenza con le affermazioni rese dal Ministro degli affari esteri, per il quale «l'IILA rappresenta un prezioso strumento operativo», non si ritenga di disporre, almeno la conferma del livello di contribuzione del corrente anno e per gli anni successivi la reintegrazione di una parte delle risorse venute a mancare negli ultimi anni.
(4-09935)

Risposta. -Il Governo ritiene che l'istituto italo-latino americano rappresenti uno dei cardini strategici, assieme al meccanismo delle conferenze nazionali Italia-America Latina e Caraibi (ormai divenuto appuntamento

regolare), della nostra azione di politica estera nei confronti dei Paesi della regione. Per l'attività di proiezione del nostro Paese verso l'America Latina, l'ALA rappresenta infatti un prezioso strumento operativo di collaborazione, che contribuisce in maniera significativa al consolidamento dei nostri rapporti con il sub-continente. In questi ultimi anni, nonostante le difficili condizioni della finanza pubblica, siamo riusciti a compiere un importante salto di qualità nelle relazioni con l'America Latina, come dimostrato, tra gli altri, dall'intensificarsi dei contatti bilaterali, dal rafforzamento del sistema delle conferenze nazionali Italia - America latina e Caraibi (quest'anno si svolgerà la V edizione a Roma), dall'intensificarsi della cooperazione in materia di sicurezza, dallo sviluppo della rete delle commissioni miste, presenti ormai in pressoché tutti i Paesi latinoamericani, dall'ingresso dell'Italia come osservatore al sistema di integrazione centro americano (SICA) ed al sistema dei vertici lberoamericani.
Tali passi avanti sono stati realizzati, esattamente come nel caso dell'IILA, in un contesto di risorse continuamente decrescenti, che ha imposto spesso la ricerca di meccanismi innovativi, come ad esempio quelli che hanno permesso di finanziare la IV Conferenza Nazionale Italia - America Latina e Caraibi (Milano, 2009).
Nonostante la politica di risparmio e di contenimento della spesa adottata dall'amministrazione degli esteri abbia investito anche l'IILA, la quota del contributo globale dell'Italia rappresenta tuttora la parte di gran lunga più significativa delle entrate dell'Istituto. Nel 2010 il contributo complessivo italiano è stato di 2.338.505 euro, e nonostante l'Istituto si trascini dal 2008 un disavanzo di esercizio pari a 885.551 euro, è stato possibile spalmare tale, deficit nei successivi esercizi finanziari, 2009 (450.000 euro riassorbito) e 2010 (435.551 euro). Nel 2009 fu infatti possibile ottenere eccezionalmente un'integrazione di bilancio pari ad 1 milione di euro, attingendo da fondi di pertinenza della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli esteri. Per l'esercizio finanziario 2010, l'Istituto ha chiuso il bilancio con un deficit pari a circa 1 milione di euro, comprensivo della seconda tranche del deficit del 2008 (435.551 euro) e dal disavanzo di gestione generatosi nell'esercizio finanziario 2010.
In tale contesto il Ministero degli affari esteri ha dovuto avviare, in stretto raccordo con l'organismo internazionale e con un approccio di piena condivisione delle azioni da intraprendere con le ambasciate dei paesi latinoamericani membri dell'organismo, un'opera di necessaria razionalizzazione della spesa dell'istituto italo - latino americano che, da una parte, limitasse, come è buona prassi, in primo luogo i costi fissi, quali appunto quelli relativi alla locazione, e dall'altra salvaguardasse le attività dell'Istituto, liberando anzi risorse che potessero consentirne una gestione più equilibrata in presenza di disponibilità decrescenti.
È stato in particolare riscontrato che negli ultimi anni, a seguito della progressiva erosione dell'entità del contributo complessivo erogato da parte italiana, sono stati proprio i costi di locazione (820.000 euro annui) e di manutenzione della prestigiosa sede di piazza Cairoli («Palazzo Santacroce») ad acquisire una proporzione via via crescente, e nel 2009 tale entità raggiunto un terzo della somma totale del contributo italiano.
Dopo un'intensa attività di ricerca durata diversi mesi per giungere ad una soluzione, dapprima a costo zero (attraverso l'agenzia del demanio, il comune di Roma, il demanio della difesa, la commissione per i beni sequestrati alla criminalità organizzata), si è infine decisa un'alternativa per la sede, in un immobile di proprietà della cassa nazionale di previdenza dei ragionieri e dei periti commerciali, situato a Via Paisiello, n. 24, nel quartiere Parioli.
La nuova sede, nella quale l'istituto si è trasferito nel mese di gennaio di quest'anno, poiché situata in un edificio più moderno, seppure di gran pregio, non presenta difficoltà strutturali e offre superfici interamente utilizzabili, garantendo cosi la piena funzionalità dell'Istituto, anche alla luce delle nuove normative in materia di sicurezza

sul luogo di lavoro. La superficie complessiva è pari a 1.387 mq: vi sono in particolare 2 sale riunioni/eventi per un totale di 200 mq circa l'una, uffici per un totale di 500 mq circa. Inoltre la sede è ubicata in un quartiere per alcuni versi più facilmente raggiungibile rispetto alla precedente sede, considerando le difficoltà che piazza Cairoli comporta per tutti coloro che dovevano accedere ad un'area della capitale inserita nella zona a traffico limitato. Il costo di locazione della nuova sede è stato quasi dimezzato, passando dagli 820.000 euro annui di «Palazzo Santacroce» agli attuali 464.000 annui. Va sottolineato inoltre che il locatore, per la sua natura giuridica di cassa previdenziale, è esente dal pagamento dell'I.V.A., pertanto vi è un risparmio ulteriore.
Un ulteriore elemento significativo di intervento, promosso e fortemente voluto da parte italiana, per liberare risorse finanziarie in favore dell'IILA, è costituito dalla risoluzione adottata dal consiglio dei delegati il 24 maggio 2010, approvata da tutti gli stati membri, con la quale sono state fissate le nuove quote dei contributi obbligatori dei paesi membri (soprattutto i paesi latinoamericani, che negli ultimi decenni hanno costantemente diminuito l'entità dei loro contributi), rimodulate sulla base di nuovi parametri e criteri statistici. Pertanto a partire dal 1° gennaio 2011 l'entità complessiva dei contributi obbligatori degli fati membri passerà dagli attuali 63.117,13 euro a 203.686,34 euro.
La legge di stabilità finanziaria per il triennio 2011-2013, approvata recentemente dal Parlamento, riconosce all'Istituto un contributo totale (comprensivo cioè del contributo obbligatorio, del contributo speciale, dei costi di locazione e manutenzione della sede) di euro 2.097.500 per l'anno 2011 e di importo leggermente superiore, pari a euro 2.137.500, per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
Si ribadisce pertanto l'estrema attenzione con la quale le Istituzioni italiane al più alto livello e quelle dei paesi latinoamericani continuano a guardare all'istituto, italo-latino, americano. Un esempio evidente di tale alto interesse è rappresentato dal fatto che la nuova sede è stata inaugurata lo scorso marzo dal Presidente della Repubblica assieme al Presidente del Cile, Miguel Juan Sebastian Pinera.
Il Ministro degli affari esteri: Franco Frattini.

RAMPELLI e MARSILIO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'UNIRE è un ente di diritto pubblico non economico, preposto all'organizzazione delle corse dei cavalli in Italia, ed è sottoposto al controllo e alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e del Ministero dell'economia e delle finanze;
l'UNIRE, come evidenziato dal suo statuto, esercita il controllo e la sorveglianza tecnica e disciplinare delle corse, avvalendosi, a tal fine, esclusivamente dell'opera di collaboratori esterni;
detti collaboratori, non previsti dalla pianta organica dell'ente, sono inseriti, in base al vigente regolamento delle corse, in un apposito elenco, al quale si dovrebbe poter accedere solo dopo aver comprovato esperienza e specifica professionalità nel settore e, dal 1982, solo dopo aver superato un corso di qualificazione, sempre che non incorrano nelle cause di incompatibilità previste dal regolamento e dalle leggi vigenti;
secondo informazioni raccolte e secondo quanto più volte evidenziato anche in precedenti atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della presente legislatura presso entrambi i rami del Parlamento, allo stato attuale la maggior parte degli addetti al controllo tecnico e disciplinare delle corse non risulta idonea mediante uno dei corsi di cui sopra e, in diversi casi, non è in possesso dei titoli di studio (diploma di scuola media superiore) richiesti ai partecipanti ai suddetti corsi;

detti collaboratori svolgono le proprie mansioni in regime contrattuale di collaborazione coordinata e continuativa, e sono qualificati dall'UNIRE come «giudici onorari» (così come emerso dall'audizione del professor Varrone, commissario straordinario dell'ente, in Commissione agricoltura al Senato in data 9 marzo 2011), seppur in mancanza dei requisiti che tale figura professionale richiederebbe;
il rapporto contrattuale tra gli addetti al controllo tecnico e disciplinare delle corse e l'UNIRE è regolato da contratti individuali per l'anno 2004. Tali contratti, in scadenza al 31 dicembre 2004, sono stati considerati tacitamente rinnovati per ogni annualità successiva, disattendendo le regole che disciplinano i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, i quali prevedono l'impossibilità del rinnovo tacito, come specificato da numerose circolari del dipartimento della funzione pubblica;
i collaboratori di cui sopra, pur contrattualizzati come co.co.co., hanno precisi obblighi orari nello svolgimento delle proprie funzioni, come specificato dal regolamento delle corse, che impone loro una presenza tassativa sui campi un'ora prima dell'inizio della prima corsa (con firma di un apposito modulo di presenza) e obbliga gli stessi alla permanenza sui campi mezz'ora dopo il termine dell'ultima corsa;
alla data odierna, secondo informazioni in possesso degli interroganti, sono diversi i contenziosi tra l'UNIRE e i collaboratori esterni di cui sopra, con richieste di stabilizzazione del rapporto di lavoro prolungato oltre i termini di legge previsti per tali tipologie contrattuali;
la nota circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 0011786 del 22 febbraio 2011 ricorda che, per una corretta programmazione del fabbisogno per il triennio 2011/2013, occorre tenere conto, tra gli altri punti, «del corretto ricorso alle tipologie di lavoro flessibile nel rispetto rigoroso ed attento delle condizioni di ammissibilità connesse con le esigenze temporanee o eccezionali, escludendone, pertanto, l'utilizzo per far fronte ad esigenze ordinarie e continuative»;
la stessa nota circolare rammenta poi «che un utilizzo improprio delle tipologie di lavoro flessibile determina nuovo precariato e le amministrazioni pubbliche, nonché i competenti organi di controllo, dovranno evitare l'insorger e di tali fenomeni, che si pongono in antitesi con i princìpi che riguardano il corretto funzionamento delle stesse» -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda esposta in premessa;
se non si ritenga opportuno procedere ad una sollecita e puntuale verifica delle tipologie contrattuali instauratesi tra l'UNIRE e i propri collaboratori e dipendenti;
quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per risolvere il problema relativo ai profili giuridico-contrattuali dei collaboratori dell'UNIRE, tenendo in debito conto le circolari emanate dal Dipartimento della funzione pubblica e le disposizioni delle leggi finanziarie per il 2007 e il 2008 in merito alla necessità di stabilizzazione dei lavoratori precari.
(4-12087)

Risposta. -In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto indicato, con il quale l'interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione alcuni chiarimenti in merito al rapporto giuridico-contrattuale instaurato dall'UNIRE con alcuni collaboratori denominati «giudici onorari», si rappresenta quanto segue.
In via preliminare è d'uopo precisare, come peraltro correttamente accennato nelle premesse della presente interrogazione, che L'Unione azionale per l'incremento delle razze equine (U.N.I.R.E.) è un ente di diritto pubblico, dotato di autonomia finanziaria, amministrativa e contabile, posto sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e del Ministero dell'economia e delle finanze.

Pertanto, alla prima domanda posta dall'interrogante, ovvero se si è a conoscenza dei fatti come esposti nel presente atto di sindacato ispettivo, ovvero della situazione inerente i contratti intercorsi ed intercorrenti con i cosiddetti «giudici onorari», questo ministero non può che rispondere negativamente.
Ad ogni modo, rimandando alla competenza primaria del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ogni altra ulteriore precisazione, si rileva che l'UNIRE con nota del 2 dicembre 2010 ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, la deliberazione del commissario straordinario n. 10, di medesima data, con la quale l'ente ha adottato il proprio regolamento del personale, definendo la sua macrostruttura organizzativa e la relativa dotazione organica in applicazione delle disposizioni previste dall'articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, come convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.
Detto regolamento, all'articolo 28 (funzionari onorari) dispone che l'UNIRE si avvale di handicapper, funzionari e commissari iscritti in appositi albi ed elenchi, con qualifica di funzionari onorari, per lo svolgimento dei compiti istituzionali inerenti l'organizzazione tecnica e il controllo delle corse ippiche e delle manifestazioni e competizioni equestri (comma 1) nonché per le attività inerenti il controllo sulla regolarità delle corse ippiche e delle suddette manifestazioni e competizioni, la tutela del benessere animale e l'identificazione dei cavalli (comma 2).
Lo stesso articolo, al comma 3, chiarisce che «Il rapporto relativo alle fattispecie di cui ai commi 1 e 2 è disciplinato dalle norme di cui all'articolo 2222 e seguenti del codice civile relative al rapporto di lavoro autonomo>.
La revisione del regolamento di organizzazione e del personale risponde all'esigenza, sottolineata dallo stesso Ministero vigilante in una propria nota del 24 giugno 2010, di adeguarne il contenuto al nuovo dettato normativo recato dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. Si è provveduto, pertanto, alla riformulazione delle disposizioni relative al conferimento degli incarichi dirigenziali e, più in generale, al rinvio alle disposizioni del citato decreto legislativo per gli aspetti del rapporto di lavoro da questo nuovamente disciplinati.
Ne è conferma l'inserimento nel regolamento, al titolo V dedicato alla gestione e allo sviluppo delle risorse umane, del sopra citato articolo 28 che disciplina il ricorso da parte dell'ente a specifiche figure professionali per lo svolgimento delle funzioni inerenti il controllo e la disciplina delle corse, nonché per l'organizzazione delle manifestazioni ippiche ed i controlli di identità dei cavalli, specificandone la qualifica di funzionari onorari ovvero di lavoratori autonomi.
L'integrazione apparve necessaria, oltre che per esigenze di completezza di disciplina, anche al fine di far emergere tutte le tipologie di personale utilizzato dall'ente, evidenziando la differenza tra le fattispecie in considerazione e quelle ricadenti nell'ipotesi contemplata dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, com'è noto, consente alle amministrazioni pubbliche di ricorrere a professionalità esterne, con contratti di lavoro autonomo, soltanto per esigenze temporanee ed eccezionali.
Invero, le attività richiamate dall'articolo 28 del regolamento UNIRE sono riconducibili, a tutti gli effetti, tra le attività attraverso le quali l'ente assolve in via ordinaria alla propria missione istituzionale secondo modalità, tuttavia, che escludendo la qualificazione del relativo rapporto in termini di lavoro subordinato, appaiono riconducibili alle fattispecie del funzionario onorario e del lavoro autonomo.
In particolare, si inquadrano nella figura del funzionario onorario, i cosiddetti organi di giustizia sportiva cui l'ordinamento dell'UNIRE riserva il compito di garantire l'osservanza dei principi derivanti dall'ordinamento sportivo attraverso il controllo delle competizioni ippiche, l'accertamento di ogni forma di illecito sportivo e l'irrogazione delle relative sanzioni disciplinari.

La configurazione data dalla normativa regolamentare sopra richiamata agli organi di giustizia sportiva depone chiaramente verso il riconoscimento del carattere onorario dell'incarico attribuito ai componenti gli organi stessi riscontrandosi, in particolare, tutti gli elementi caratterizzanti la figura del funzionario onorario, così come individuati dalla giurisprudenza e in particolare:
l'esercizio di funzioni pubbliche, quali quelle inerenti all'accertamento delle violazioni e l'applicazione delle relative sanzioni disciplinari;
la posizione di autonomia funzionale degli organi prevedendo che l'UNIRE si limiti ad assicurarne i supporti organizzativi e strumentali;
la mancanza di inserimento nella struttura organizzativa dell'UNIRE e lo svolgimento del rapporto in un quadro non retto dalle regole del pubblico impiego;
il sistema di scelta dei componenti, la cui nomina è riservata al Consiglio di Amministrazione ovvero al Ministero vigilante ovvero al segretario generale sulla base di elenchi tenuti dall'UNIRE;
il sistema di remunerazione delle funzioni svolte attraverso la corresponsione di compensi unilateralmente fissati dall'ente con proprio provvedimento;
il carattere temporaneo dell'incarico.

Si evidenzia infatti che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, efficacemente riassunto da Cass. Civ. SS.UU., sentenza n. 9363 del 20 aprile 2007, «(...) la posizione del funzionario onorario si configura ogniqualvolta esista un rapporto di servizio per lo svolgimento di funzioni pubbliche, ma manchino gli elementi caratterizzanti dell'impiego pubblico, quali la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnico-amministrativo effettuata mediante procedure concorsuali, l'inserimento strutturale del dipendente nell'apparato organizzativo dell'amministrazione (rispetto all'inserimento meramente funzionale del funzionario onorario), lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiegato (che si contrappone a una disciplina del rapporto di funzionario onorario derivante pressoché esclusivamente dall'atto di conferimento dell'incarico e dalla natura dello stesso), il carattere retributivo - perché inserito in un rapporto sinallagmatico - e del compenso percepito dal pubblico dipendente (rispetto al carattere indennitario e di ristoro delle spese rivestito dal compenso percepito dal funzionario onorario), la durata tendenzialmente indeterminata del rapporto di pubblico impiego (a fronte della normale temporaneità dell'incarico onorario)».
Trovano, altresì, inquadramento nella categoria di cui si tratta, le fattispecie relative allo svolgimento di attività ordinarie inerenti all'organizzazione delle manifestazioni ippiche o ai controlli di identità dei cavalli, che si caratterizzano per il carattere non continuativo dell'attività o per la sua concentrazione in taluni periodi dell'anno e che, anche in considerazione delle specifiche professionalità richieste non si prestano a trovare regolamentazione nel quadro del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, inquadrandosi piuttosto nelle fattispecie di lavoro autonomo.
Giova, infine, precisare che, nella sua attuale formulazione l'articolo 28 del regolamento del personale raccoglie le indicazione formulate, a suo tempo, dal dipartimento della funzione pubblica e dal Ministero dell'economia e delle finanze; indicazioni che evidenziavano l'esigenza di ricondurre le fattispecie «funzionario onorario» alla tipologia contrattuale di lavoro autonomo. Tanto si rappresenta per quanto di competenza.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

RAZZI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nella circoscrizione consolare di Losanna risiedono circa 60.000 italiani;

il consolato d'Italia a Losanna è tra le rappresentanze diplomatico consolari per le quali è prevista la chiusura entro il 2012;
presso detto consolato prestano servizio otto unità di personale non diplomatico di ruolo del Ministero degli affari esteri, nonché cinque unità di personale a contratto;
negli ultimi mesi l'attività di detta sede ha subito notevoli rallentamenti, dovuti anche a quello che all'interrogante appare una discutibile distribuzione dei carichi di lavoro al personale da parte del consolato;
l'orario di apertura al pubblico di detta sede è stato disatteso non rispettando l'accordo sindacale sull'orario di lavoro;
difatti è stato anticipato l'orario d'apertura della sede, lasciandola aperta tutte le mattine, un solo pomeriggio a settimana, ed il sabato mattina, giorno, quest'ultimo, in cui la sede romana del Ministero è chiusa ed è pertanto impossibile per il personale del consolato contattare la sede ministeriale per le necessità ordinarie;
vi era da parte di tutto il personale del consolato la volontà e la disponibilità a garantire la presenza in sede di almeno tre pomeriggi a settimana, a fronte della chiusura della sede il sabato mattina, di fatto inutile per i menzionati motivi; ciò avrebbe garantito alla comunità italiana una maggiore possibilità di avvalersi dei servizi del consolato;
nonostante quanto suesposto e nonostante l'impegno del personale nulla è stato fatto per fronteggiare una situazione che ha appannato ed offuscato l'immagine dell'Italia in Svizzera -:
come mai il consolato di Losanna, nonostante la situazione rappresentata, abbia assunto le decisioni riportate in premessa, con i conseguenti citati disservizi per la comunità italiana residente nel circondario di Losanna;
se tale atteggiamento abbia avuto una qualche rilevanza sulla decisione del Ministero degli affari esteri di prevedere la chiusura della citata rappresentanza;
come mai per un circondario consolare quale quello del consolato di Losanna che serve circa 60.000 connazionali sia stata prevista la chiusura, contrariamente ai consolati d'Italia a Neuchatel e a Wettingen che resteranno aperti, pur servendo un bacino di utenti di circa 20.000 connazionali ciascuno.
(4-06060)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Preme, innanzitutto, ricordare come la determinazione di riconsiderare la consistenza della presenza istituzionale italiana in Svizzera rientri nel più generale piano di razionalizzazione della rete estera che è stato presentato, a partire dal secondo semestre 2009, alle Commissioni esteri della Camera e del Senato, alle organizzazioni sindacali, ed al CGIE, in altrettante occasioni aperte al contraddittorio.
L'impegno della Farnesina nella ristrutturazione della rete degli uffici all'estero procede parallelamente alla realizzazione di innovative piattaforme informatiche, progetto cui è stata attribuita particolare priorità dal punto di vista dei tempi di realizzazione e delle risorse dedicate nel perseguimento dell'obiettivo di garantire sia la promozione degli interessi nazionali, sia l'assistenza alle collettività italiane residenti all'estero.
Nel caso della Svizzera, considerate sia le distanze relativamente percorribili all'interno del Paese, sia la forte densità di connazionali in aree specifiche, si è optato per il declassamento di un consolato generale e per la chiusura di due sedi in locazione. Sono inoltre stati tenuti in conto altri interessi del sistema-Paese in loco, compresi quelli di natura istituzionale, culturale e commerciale. Il criterio relativo al numero dei connazionali residenti nelle circoscrizioni interessate dal piano di razionalizzazione, citato dall'interrogante, pur

tenuto in opportuna considerazione, non è stato il solo di cui si è tenuto conto. In ogni caso, per quanto concerne la salvaguardia dei livelli di assistenza prestati ai nostri connazionali residenti in Svizzera, il Governo si è impegnato al rafforzamento delle sedi consolari che riceveranno le competenze dagli uffici in chiusura, permettendo il mantenimento di alti livelli qualitativi nell'erogazione dei servizi ai cittadini e riducendo al minimo qualsiasi disagio.
Infine, per quanto riguarda il consolato generale di Losanna, il Consiglio di amministrazione di questo Ministero, nella seduta dello scorso 9 febbraio 2011, ha deliberato la soppressione della sede e l'attribuzione delle relative competenze al Consolato generale di Ginevra, con decorrenza dal 1° novembre 2011.
Per effetto della citata delibera, viene altresì disposto il passaggio della dipendenza delle agenzie consolari di Sion e Neuchatel dalla Sede di Losanna a quella di Ginevra.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

REALACCI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
numerosi mezzi d'informazione, dopo la pronuncia della Suprema corte a proposito del quesito sul tema del nucleare al referendum del 12, hanno diffuso informazioni preoccupanti sulla validità del voto degli italiani all'estero sul quesito contro il nucleare. Riferisce, ad esempio, l'Ansa: «A rischio il voto dei 3,2 milioni di italiani residenti all'estero per il referendum sul nucleare, dopo che la Cassazione oggi ha dato il via libera al quesito, ma con una nuova formulazione. I connazionali che vivono in altri Paesi si sono infatti già espressi sulle schede con il vecchio quesito e non ci sono i tempi tecnici - fanno sapere al Viminale - per stampare ed inviare all'estero le schede con la nuova formulazione» (1° giugno, ore 20.31);
secondo il Comitato referendario «2 Sì per l'acqua bene comune» e il comitato «Vota Sì per fermare il nucleare» hanno ricevuto, dopo il parere della Cassazione, decine di richieste di chiarimenti sulla necessità o meno di votare la scheda grigia del plico ricevuto dal consolato in attesa della pubblicazione del nuovo quesito;
sempre l'Ansa (2 giugno) riferisce di «Grande incertezza tra gli italiani in Argentina sul quesito referendario relativo al nucleare, dopo il via libera da parte della Cassazione ad una nuova formulazione». Si legge infatti nel take d'agenzia: «A Buenos Aires, e in molti altri centri di un Paese che di fatto è »italiano«, sono molto i connazionali che hanno già votato subito dopo aver ricevuto il plico elettorale». «In queste ore mi sono arrivate tante telefonate per avere informazioni sul referendum», ha per esempio sottolineato Graciela Laino, presidente del Comites (Comitato per gli italiani all'estero) di Buenos Aires;
riferisce ancora l'Ansa (2 giugno): «Ha suscitato »sgomento« in seno ai Comites degli Stati Uniti il fatto che le autorità italiane non abbiano previsto sin dall'inizio una strategia in caso di nuovo quesito referendario sul nucleare. Ma non si drammatizza e si va avanti. È questa la posizione espressa da Quintino Cianfaglione, presidente del Comites di New York e del Connecticut, che ne ha parlato in una breve telefonata con l'ANSA»;
il 1° giugno, dopo la decisione della Suprema corte, la Farnesina comunica che «appena appresa la decisione della Corte di Cassazione nel senso del mantenimento del quesito referendario n. 3 sul nucleare che, in virtù di tale decisione, si riferire alle nuove norme del cosiddetto decreto »Omnibus« per la parte relativa alla moratoria nucleare, il Ministero degli affari esteri ha immediatamente informato la propria rete diplomatico-consolare della pronuncia della massima Corte ed attende direttive del Ministero dell'Interno, in attesa delle quali il procedimento rimane invariato». Ma le attese direttive del Viminale non sono mai arrivate, nonostante le esplicite richieste dei comitati e dei partiti dell'opposizione;

i referendum interesseranno, sul territorio nazionale, 47.357.878 elettori. La circoscrizione estero, invece, comprende 3.236.990 elettori (dato suscettibile di variazione in relazione all'eventuale ammissione al voto disposta dalle autorità consolari competenti). Escludere le schede votate all'estero dal computo dei voti validi (senza espungerle dal calcolo del quorum) equivarrebbe ad alzare illegittimamente l'asticella del quorum di 1.618.495 voti, pari al 3,4 per cento degli elettori residenti in Italia -:
se non intendano chiarire prima dello svolgimento dei referendum come si intenda valutare il voto degli italiani all'estero sul nuovo quesito sul referendum per evitare inutili fraintendimenti e per dare a tutti gli elettori italiani un'univoca interpretazione del voto.
(4-12232)

Risposta. - Come è noto a seguito della recentissima sentenza della Corte costituzionale che ha confermato l'ammissibilità del referendum in materia di energia nucleare, questa Amministrazione, per garantire il regolare svolgimento delle operazioni di voto, ha distribuito sul territorio nazionale le schede con la nuova formulazione del quesito, secondo le indicazioni della Corte di tassazione (ordinanza 1° giugno 2011).
Agli elettori residenti all'estero, secondo la normativa vigente (articolo 12 della legge 27 dicembre 2001, n. 459) sono stati inviati dai Consolati italiani, entro il 25 maggio 2011 i plichi elettorali con le quattro schede referendarie, ivi compresa la scheda grigia relativa al referendum sul nucleare, nella vecchia formulazione del quesito.
Gli elettori hanno espresso il proprio voto e rispedito il plico, con le schede votate, entro il 2 giugno 2011. Dette schede sono poi pervenute ai competenti Consolati entro le 16.00, ora locale, del 9 giugno 2011 per essere successivamente inviate in Italia. Il relativo scrutinio è stato effettuato, a partire dalle ore 15 di lunedì 13 giugno 2011 contestualmente allo spoglio dei voti del territorio nazionale.
Alla luce di quanto sopra esposto, la tempistica prevista dalle disposizioni vigenti in materia di voto per corrispondenza non ha consentito una nuova stampa e distribuzione delle schede con il nuovo quesito.
Per quanto riguarda la fase del conteggio, si evidenzia che i voti espressi in Italia - ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 352 del 1970 - sono stati sommati dagli uffici provinciali per il referendum presso i tribunali, mentre, per il voto postale all'estero, tali funzioni sono esercitate, in base all'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n. 104 del 2003, dall'ufficio centrale per la circoscrizione estero, presso la Corte di appello di Roma.
L'ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, appena pervenuti i verbali delle suddette operazioni, procede, per ogni referendum, all'accertamento della partecipazione alla consultazione, alla somma dei voti validi favorevoli e di quelli validi contrari ed, infine, alla proclamazione dei risultati referendari.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

REGUZZONI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la crisi esplosa sulla cosiddetta sponda sud del Mediterraneo sta creando un'instabilità diffusa, che in Egitto è culminata nell'esplosione di gravissimi disordini, che stanno assumendo una piega drammaticamente ostile agli interessi occidentali;
risulta, in particolare, iniziata una vera e propria caccia all'uomo nei confronti dei giornalisti stranieri e, pare, anche dei turisti occidentali che si trovano nella capitale egiziana -:
quali misure il Governo abbia adottato od intenda adottare per proteggere i cittadini italiani residenti in Egitto o anche solo temporaneamente ivi soggiornanti per turismo o per condurvi un'attività lavorativa.
(4-10731)

Risposta. - Fin dal primo registrarsi di manifestazioni di protesta questo Ministero ha provveduto a richiedere a tutte le Sedi

diplomatiche nell'area del Maghreb-Mashrek di ottimizzare i Piani di emergenza (predisposti per tempo per ogni Paese del mondo) alla luce del possibile propagarsi dei disordini anche in regioni solitamente non preoccupanti per cittadini e interessi italiani.
Per garantire la massima assistenza ai connazionali è stata altresì estesa la possibilità di registrazione sul sito Dovesiamonelmondo (generalmente utilizzato da viaggiatori e lavoratori temporanei) agli italiani stabilmente residenti nelle regioni del Mediterraneo-Mediooriente, anche per georeferenziarne i domicili al fine di facilitare eventuali interventi di soccorso da parte - direttamente o indirettamente - della nostra rete consolare.
Tali passi hanno consentito di poter disporre di un elenco di italiani presenti a diverso titolo in Egitto, ai quali sono stati inviati anche più volte al giorno migliaia di sms con numeri di emergenza e informazioni dettagliate sulle aree maggiormente a rischio. Il blocco delle linee telefoniche mobili (e internet) ha certo ostacolato, ma non completamente impedito, tale azione di prevenzione e assistenza.
Le indicazioni di primo soccorso ai singoli italiani sono state fornite con ogni mezzo disponibile (telefono, sms, mail, piattaforme Facebook, Twitter, contatti con capimaglia eccetera).
Tra le strutture di assistenza per connazionali in condizioni di emergenza, è stato tra l'altro attivato un centro di primo ricovero presso l'ospedale italiano al Cairo, che può contare sul costante raccordo assicurato dal personale della nostra rappresentanza diplomatica. Funzionari della Sede sono stati altresì inviati presso l'aeroporto della capitale per istituire un presidio mobile a tutela e sostegno degli italiani convenuti presso lo scalo (per la maggior parte purtroppo senza titolo di viaggio).
Per entrambe le strutture, come per tutti gli interessi italiani nel Paese, è stata richiesta alle Autorità egiziane la protezione attraverso il dispiegamento di Forze dell'ordine. A tale riguardo l'ambasciata d'Italia è stata agevolata dal fatto di aver assunto il ruolo di portavoce del Coordinamento delle missioni diplomatiche dell'Unione europea al Cairo nei contatti con il Vicepresidente Elia Suleiman.
D'intesa con lo Stato maggiore della difesa, il Comando operativo di vertice interforze, il Comando interforze per le operazioni delle forze speciali, il Comando carabinieri del Ministero degli affari esteri ed altre agenzie governative, è stato altresì disposto l'invio di un nucleo avanzato al Cairo, installato presso l'Ambasciata.
Grazie all'invio della «squadra Italia» è stato possibile riportare tempestivamente in Italia 63 connazionali bloccati nello scalo internazionale del Cairo. All'arrivo all'aeroporto militare di Pratica di mare i connazionali sono stati assistiti da personale e mezzi della Protezione civile del comune di Roma, per poi essere ospitati presso residence della Capitale.
Anche grazie all'assistenza prestata dall'Alitalia - che ha messo a disposizione un velivolo solitamente utilizzato per collegamenti di linea - sono stati trasferiti a Roma circa 200 persone in difficoltà dalle città di Alessandria e del Cairo e prestato soccorso anche a cittadini olandesi bloccati ad Alessandria.
Alla stessa compagnia è stato fin da subito richiesto di continuare ad assicurare tratte giornaliere dall'Egitto, possibilmente con vettori più capienti, per favorire il deflusso di cittadini italiani in possesso di titoli di viaggio. Riguardo all'importante presenza di attività economiche italiane nel Paese, si è preso contatto con l'associazione di categoria Assafrica di Confindustria e attivato un helpdesk dedicato all'assistenza delle aziende. Anche con l'Eni si è istituito un canale di comunicazione diretto, al fine di transitare specifiche informazioni di sicurezza per i dipendenti. Alla stessa società è stata fornita la massima assistenza per il rientro in Italia di lavoratori e familiari.
Dell'evolvere della situazione si continua a fare stato con regolarità e dettaglio sul sito Viaggiaresicuri, su Televideo-Rai e sulle piattaforme Facebook e Twitter, dedicando particolare spazio alle indicazioni degli orari di coprifuoco, dei luoghi degli scontri, dei collegamenti per l'Italia e delle misure

di cautela da seguire in caso di coinvolgimento in contesti a rischio.
Un costante raccordo viene assicurato anche con il mondo delle associazioni di categoria del settore turistico, al fine di veicolare adeguate raccomandazioni e informazioni circa l'evolvere della crisi. Nonostante non siano stati segnalati disordini di rilievo nelle località turistiche sul Mar rosso (ad eccezione della città di Hurgada), l'Italia è stata tra i primi paesi comunitari ad aver sconsigliato viaggi non effettivamente necessari in tutto l'Egitto (come poi fatto - tra gli altri - anche da Francia, Germania, Spagna, Olanda, ma anche Stati Uniti, Canada eccetera).
L'Unità di crisi ed servizio stampa e informazione del Ministero hanno diffuso aggiornamenti quotidiani a mezzo interviste radiofoniche e televisive, comunicati, articoli e conferenze stampa.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

RIVOLTA e NICOLA MOLTENI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
l'ente NovaComunicazione è accreditato sull'albo nazionale degli enti di servizio civile e si è visto approvare e finanziare, nel bando per la selezione di volontari pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 settembre 2010, il progetto «Officina dei colori» volto ad attività di animazione culturale verso i minori;
il progetto prevede la selezione di ben 38 volontari, di cui 26 operativi su sedi di attuazione site sul territorio del comune di Roseto degli Abruzzi, comune con poco meno di 25.000 abitanti, di cui 3.178 di età compresa tra i 7 ed i 19 anni;
nel progetto sono indicati i risultati attesi derivanti dall'impiego dei volontari. Per la sede di attuazione «Comune di Roseto degli Abruzzi», che prevede l'impiego di ben 12 volontari, i risultati attesi sono: accrescere da 300 a 330 gli utenti delle strutture di animazione, aumentare da 45 a 60 i partecipanti ad iniziative di promozione degli interessi giovanili, accrescere da 5 a 10 i giovani del territorio partecipanti a programmai europei di mobilità;
risultati attesi così minimali sono comuni alla totalità delle sedi di attuazione del progetto, posizionate presso altri comuni abruzzesi;
appare agli interroganti evidente come il numero di volontari in servizio civile richiesto dall'ente e approvato dall'ufficio nazionale per il servizio civile, di seguito UNSC, sia sproporzionato a fronte dei risultati attesi, con conseguente spreco di risorse e denaro pubblico. In molti enti locali del nord gli stessi risultati sarebbero pienamente raggiunti, a parità di popolazione residente, con due volontari in servizio civile rispetto ai 12 richiesti per il comune di Roseto degli Abruzzi;
ad avviso degli interroganti quanto descritto in premessa evidenzia una scarsissima capacità di valutazione dei progetti di servizio civile da parte dei funzionari di Unsc a ciò preposti, aggravata dal fatto che nulla avrebbe loro impedito di limitare il numero di volontari in servizio civile richiesti, a fronte degli scarsi risultati attesi -:
quali siano i motivi dell'approvazione del progetto citato in premessa che appare agli interroganti un evidente spreco della risorsa «servizio civile volontario», resa ancora più grave dalla scarsità della stessa;
quali iniziative di competenza intenda assumere con riferimento a quanto riportato in premessa e per colpire i responsabili della stessa.
(4-08796)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame, gli interroganti contestano il finanziamento nell'anno 2010, da parte dell'ufficio nazionale del servizio civile, del progetto Officina dei colori, presentato dall'ente «NovaComunicazione». Rilevano, in particolare che il numero di volontari da impiegare (12 unità) nel comune di Roseto

degli Abruzzi, una delle sedi del progetto, risulterebbe eccessivo a fronte degli obiettivi fissati dal progetto stesso, quali l'incremento del numero degli utenti delle strutture di animazione da 300 a 330 unità, del numero dei partecipanti ad iniziative di promozione degli interessi giovanili da 45 a 60 unità ed infine del numero dei giovani partecipanti a programmi europei di mobilità da 5 a 10 unità.
Gli interroganti nel denunciare uno sperpero di risorse pubbliche, desumono una scarsa capacità di valutazione dei progetti da parte dei funzionari dell'Ufficio nazionale del Servizio civile e chiedono al governo di conoscere le ragioni che hanno portato all'approvazione del progetto sopraccitato nonché i provvedimenti che si intenda assumere per sanare tale situazione e colpire i responsabili della stessa.
A tal proposito, va preliminarmente precisato che il progetto Officina dei colori 2010, oggetto dell'interrogazione in esame presentato dall'ente NovaComunicazione (NZ02356) iscritto alla 1° classe dell'Albo nazionale degli enti di servizio civile individua 8 sedi di attuazione, tra cui quella sita presso il comune di Roseto degli Abruzzi, che prevede l'impiego di 12 volontari.
Occorre inoltre evidenziare che tra gli obiettivi specifici indicati alla voce 7 del progetto relativi alle 3 sedi situate nel territorio del comune di Roseto degli Abruzzi, non compaiono soltanto quelli menzionati dagli interroganti ma è presente anche l'obiettivo di «incrementare le azioni di promozione e di diffusione dei servizi e delle attività a favore dei minori».
Inoltre gli interroganti non hanno tenuto conto del contenuto della voce 8 della
scheda progettuale che fornisce la descrizione del progetto e i relativi ambiti di intervento, alla luce di tutti gli obiettivi elencati al precedente punto 7. In particolare, la sottovoce 8.1 individua il complesso delle azioni e delle coerenti attività da porre in essere per il raggiungimento degli obiettivi prefissati; la sottovoce 8.2 indica le risorse umane complessive necessarie per l'espletamento delle attività previste; la sottovoce 8.3 individua il ruolo e le modalità di impiego dei volontari nell'ambito del progetto.
Dalla lettura della sottovoce 8.1 si evince chiaramente che le attività, comuni a tutte le sedi, risultano essere numerose e diversificate.
Così come appaiono evidenti le molteplici attività richieste ai volontari per l'adempimento di quanto previsto dalla sottovoce 8., tale da rendere infondate le considerazioni degli interroganti circa la sproporzione tra l'elevato numero di volontari impiegati nella sede del comune di Roseto degli Abruzzi e i risultati prefissati,
Si ritiene pertanto indubitabile che l'impiego di due soli volontari, come proposto dagli interroganti, non sarebbe sufficiente per il completo e corretto espletamento delle numerose attività previste dal progetto. Inoltre, occorre considerare che le attività elencate al punto 8.3 non sono rivolte unicamente al numero dei nuovi utenti risultante dalle percentuali di incremento dei servizi offerti (ossia al delta previsto dagli obiettivi elencati atta voce 7), ma si riferiscono a tutti i 330 utenti delle strutture di animazione giovanili, ai 60 partecipanti ad iniziative di promozione degli interessi giovanili e ai 10 giovani partecipatiti ai programmi europei per la mobilità e agli ulteriori nuovi interventi individuati tra gli obiettivi.
Le osservazioni degli interroganti si fondano pertanto su presupposti errati che hanno condotto gli stessi a conclusioni inesatte e fuorvianti. Difatti, gli interroganti si limitano ad elencare, tra l'altro in modo incompleto, i soli obiettivi del progetto, non tenendo conto della complessità dello stesso e della molteplicità delle attività da esso previste, non isolabili tra loro ma posti tutti in relazione con un rilevante effetto moltiplicatore.
Va inoltre considerato che, sotto il profilo tecnico, gli obiettivi del progetto sono indicati in modo coinciso con termini sintetici, il resto dell'elaborato progettuale, invece, è compilato in modo dettagliato al fine di individuare tutti gli elementi necessari al raggiungimento degli obiettivi.

In conclusione, appare chiaro che un corretto giudizio del progetto presuppone l'esame non solo degli obiettivi ma di tutti gli elementi e attività previsti il suo svolgimento. A tale metodologia. È sulla base di tale approccio metodologico che l'ufficio nazionale per il servizio civile ha valutato la fattibilità del progetto Officina dei colori ed ha ritenuto il numero dei volontari da impiegare per la realizzazione della attività individuate in tutte le sedi, compreso il comune di Roseto degli Abruzzi, più che congruo rispetto gli obiettivi prefissati del progetto stesso.
Alla luce di quanto sopra, è evidente che i funzionari dell'ufficio nazionale del servizio civile hanno dato prova, nella valutazione del progetto in questione, della consueta competenza o professionalità e che le perplessità espresse dagli interroganti risultano prive di fondamento.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Carlo Giovanardi.

RIVOLTA e NICOLA MOLTENI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il 20 e 21 marzo 2010 si è svolto il concorso di eleganza «Trofeo Salvarola Terme», dedicato alle Jaguar storiche, in occasione del 75° anniversario della nascita della prestigiosa marca automobilistica, organizzato dall'associazione «scuderia Jaguar storiche»;
a tale evento culturale e storico hanno partecipato tra gli altri, a bordo di Jaguar XJ6 del 1977, il socio onorario Leonzio Borea ed il socio Palmiro Altiero, giunti entrambi insieme nella serata del 20 marzo;
le giornate sono trascorse tra coccole e bagni termali, cena di gala all'Hotel Terme di Salvarola, per poi concludersi il 21 marzo con la sfilata delle auto dinnanzi al Comitato d'onore. In particolare alcuni equipaggi, tra cui il socio Leonzio Borea, indossavano abiti della stessa epoca della loro Jaguar;
al termine dell'evento, il presidente della scuderia ha presentato ufficialmente due nuovi soci uno dei quali era Palmiro Altiero;
il signor Palmiro Altiero risulta avere ruoli di responsabilità all'interno dell'ente ExpoItaly, ente di I classe iscritto all'albo nazionale degli enti di servizio civile è gestito direttamente, così come la valutazione dei progetti presentati dagli enti iscritti, da Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, il cui direttore è il senatore Leonzio Borea;
Presidente di tale ente risulta essere tale Antonio Altiero, mentre tra i collaboratori referenti dello stesso ente troviamo anche un Fabio Altiero ed una Valeria Altiero;
oltre al ripetersi, al di là di ogni legge statistica, di un solo cognome tra lo staff di tale ente, è da segnalare che lo stesso ha sede al seguente indirizzo «Corso Avezzana, 26, Torre del Greco (Napoli)». Presso tale recapito ha sede anche il «centro elaborazione dati» di un altro ente di servizio civile, il Cineclub Procida, anch'esso, nonostante la sua denominazione micro insulare, ente operante su oltre 5 regioni italiane ed iscritto pertanto all'albo nazionale degli enti di servizio civile. Fatto ancora più singolare i recapiti telefonici di ExpoItaly e del «Centro Elaborazione Dati» di Cineclub Procida coincidono;
fatto altrettanto singolare, presso lo stesso indirizzo ha sede l'istituto promozione servizio Civile (IPSC), anch'esso ente iscritto all'albo degli enti di servizio civile della Regione Campania, il cui presidente risulta essere il sopra menzionato Palmiro Altiero. Anche in questo caso il recapito telefonico coincide con quello di ExpoItaly e del «CED» di Cineclub Procida;
il presidente di ExpoItaly, Antonio Altiero, nel gennaio 2010 è stato nominato, in qualità di esperto, componente del comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta (DCNAN) presso Ufficio nazionale per il servizio, civile, per «l'esperienza

maturata nell'ambito delle attività finalizzate alla pace della Fondazione Mediterraneo»;
la Fondazione Mediterraneo risulta essere dal 2004 sede di attuazione di progetto di servizio civile dell'ente ExpoItaly;
il 31 marzo 2010, si è svolta una riunione della DCNAN in cui era ospite il Presidente della Fondazione Mediterraneo di Napoli, professor Michele Capasso, che ha presentato il progetto «il servizio civile per la pace, primo forum euromediterraneo» con il fine di «promuovere il servizio civile nei 43 paesi aderenti all'Unione per il Mediterraneo, al fine di conoscere le diverse organizzazioni ed attività del servizio civile»;
dal periodico «CSR News», edito dal centro studi e ricerche sul servizio civile, ennesima realtà emanazione di ExpoItaly e Cineclub Procida, si evidenzia una presenza costante, con cadenza poco più che mensile, del dottor Borea, Direttore di UNSC, a premiazioni ed iniziative di ExpoItaly, Cineclub Procida, Fondazione Mediterraneo, IPSC, CSR;
nel solo bando per la selezione di volontari per l'anno 2010, ExpoItaly e Cineclub Procida hanno avuto approvati e finanziati progetti di servizio civile per complessivi 242 volontari, per un costo complessivo a carico dello Stato che gli interroganti stimano pari ad euro 1.403.600, progetti valutati da UNSC, ovvero dagli uffici diretti dal dottor Leonzio Borea;
da evidenziare come Cineclub Procida e IPSC, enti accreditati di II classe, segnalino nel loro sito di avvalersi del sistema di selezione e reclutamento dell'ente di I classe ExpoItaly, mentre la normativa vigente vieta espressamente agli enti di II classe di avvalersi di sistemi forniti appunto da enti della I classe;
appaiono agli interroganti riprovevoli le assidue e continue frequentazioni di un alto dirigente della Presidenza del Consiglio dei ministri nei confronti di più enti controllati dalle strutture da lui dirette, tanto più se tali enti tramite la valutazione di tali strutture pubbliche accedono a risorse pubbliche del valore di milioni di euro l'anno -:
quali iniziative intenda assumere nei confronti degli enti di servizio civile indicati in premessa, a fronte delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la regolamentazione del servizio civile;
come si giustifichi un protocollo di intesa tra UNSC e enti terzi, dove l'amministrazione pubblica prende impegni sull'impiego di risorse pubbliche senza quantificare preventivamente le stesse;
quali iniziative intenda prendere anche alla luce dei non trasparenti intrecci che si desumano da quanto riportato in premessa.
(4-09177)

Risposta. - Gli interroganti contestano alcune frequentazioni del capo dell'ufficio nazionale per il servizio civile dotor. Leonzio Borea, con responsabili di enti di servizio civile, controllati dall'ufficio medesimo in particolare, gli interroganti si riferiscono al raduno di auto storiche Jaguar, che si è svolto a Salvarola Terme sabato 20 e domenica 21 marzo 2010, al quale il Capo dell'ufficio avrebbe partecipato insieme al signor Altiero Palmiro, che ricopre incarichi di responsabilità nell'ambito dell'ExpoItaly, ente iscritto alla prima classe dell'albo nazionale degli enti di servizio civile.
Gli interroganti, inoltre, rilevano irregolarità circa i rapporti tra l'ufficio nazionale per il servizio civile e gli enti di servizio civile ExpoItaly, Cineclub Procida, istituto promozione servizio civile (Ipsc) e Fondazione Mediterraneo e chiedono al governo quali iniziative intenda assumere nei confronti dei suddetti enti a fronte delle irregolarità riscontrate, anche alla luce delle rilevate frequentazioni del capo dell'ufficio con esponenti di tali enti.
Al riguardo si rappresenta quanto segue.
Per quanto concerne il raduno delle auto d'epoca occorre anzitutto precisare che tale evento, al contrario di quanto affermato dagli interroganti, non è stato organizzato

dalla scuderia Jaguar storiche, ma dal comitato di promozione turistica delle aree di Sassuolo, Fiorano, Maranello, Formigine e Castelvetro; la Scuderia ha partecipato all'evento con alcuni dei propri soci, sostenitori della manifestazione.
Appare opportuno altresì evidenziare che il capo dell'ufficio nazionale per il servizio civile dottor Leonzio Borea, nei giorni 20 e 21 marzo del 2010, aveva in programma incontri istituzionali con il sindaco di Maranello (signora Lucia Bursi) e con il sindaco (signor Luca Caselli) ed altri amministratori del comune di Sassuolo; con l'occasione, essendo appassionato di auto antiche, ha partecipato al raduno delle auto storiche Jaguar semplicemente come ospite, perché invitato alla premiazione, non avendo proprie auto d'epoca iscritte alla manifestazione. Per tale ragione, l'affermazione che lo stesso indossava abiti d'epoca è assolutamente falsa.
Si precisa, infatti, che l'onorevole Borea è arrivato a Salvarola la sera del 20 marzo 2010 con auto propria (Lancia Thesis), e non a bordo della Jaguar XJ6 del 1977 di proprietà del signor Altiero, che è invece arrivato a Salvarola il pomeriggio del 20 marzo 2010, in tempo per poter partecipare alla manifestazione, alla quale si era precedentemente iscritto. In quell'occasione il signor Altiero è divenuto socio Jaguar.
La descrizione della manifestazione viene rappresentata dagli interroganti (copiata integralmente dal comunicato relativo all'evento pubblicato sul sito della scuderia Jaguar storiche) come una scena bucolica in cui gli attori si sono trastullati «tra coccole e bagni termali». Tale descrizione, da una parte rende bene l'atmosfera gioiosa di un raduno tra amici, dall'altra mal si presta a rappresentare il clima vero dell'incontro, che ha avuto come protagonisti persone costumate e serie, le quali hanno tenuto, come nel quotidiano, comportamenti irreprensibili.
Appare inoltre necessario sottolineare che l'incontro tra l'onorevole Borea e il signor Altiero, nell'ambito dell'evento in argomento, è stato del tutto casuale, trovandosi il capo dell'ufficio nella zona della manifestazione per meri impegni istituzionali.
Riguardo al signor Palmiro Altiero, occorre anzitutto evidenziare che nel sistema informatico preposto alla gestione del servizio civile nazionale non risulta precisamente il suo nominativo, bensì quello di Altiero Palmerino, il quale, nell'ambito dell'ExpoItaly, ricopre il ruolo di selettore nonché di operatore locale di progetto nell'ambito del progetto «Laboratori per la pace 2010» presentato da tale ente. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dagli interroganti, il signor Altiero Palmerino non riveste ruoli di responsabilità all'interno dell'ExpoItaly.
Il signor Altiero Palmiro ricopre altresì il ruolo di rappresentante legale dell'Istituto per la Promozione sociale del servizio civile (Ipsc), iscritto all'albo della regione Campania, ma tale ruolo non risulta incompatibile con gli altri incarichi ricoperti dallo stesso nell'ambito di ExpoItaly, in quanto lo svolgimento di tali incarichi non viola le norme secondarie che regolano l'organizzazione e lo svolgimento del servizio civile nazionale.
In merito alle ulteriori osservazioni formulate dagli interroganti, relative alle irregolarità, riguardanti alcuni enti, riscontrate nell'applicazione delle disposizioni in materia di servizio civile, si fa presente che le stesse sono infondate per le ragioni di seguito esposte.
Con riferimento ai dubbi sollevati dagli interroganti in ordine alla circostanza che componenti di una stessa famiglia rivestano nell'ambito di uno stesso ente ruoli di rilievo, si rileva che tale circostanza non può considerarsi una violazione delle norme vigenti. Infatti, la libertà di aderire ad un'associazione e perseguire lo scopo che la stessa si prefigge non esclude la possibilità che all'interno di un'organizzazione sì associno familiari ed amici del responsabile.
Per quanto riguarda in particolare l'ExpoItaly si fa presente che il cognome Altiero ricorre nove volte negli archivi informatici dell'ufficio (Antonio, Carmelo, Claudio, Fabio, Fiorella, Palmerino, Paola, Simona e Valeria), ma tale circostanza, per le ragioni anzidette, non può considerarsi un'anomalia, anche in considerazione del fatto che l'ente in questione, essendo un'organizzazione

 

no-profit, non ha risorse finanziarie per gestire le proprie attività con personale retribuito e può pertanto ricorrere all'impiego volontario di amici e familiari.
Pertanto, anche alla luce di realtà presenti negli enti di servizio civile del nord e del sud dell'Italia, appare del tutto legittimo che due o più persone, legate da vincolo di parentela, possano occupare posizioni più o meno rilevanti nelle organizzazioni a cui aderiscono. Se così non fosse, si arriverebbe a negare la possibilità per un familiare di lavorare nell'azienda di famiglia o di far parte del consiglio di amministrazione della stessa. La questione prospettata dagli interroganti è irrilevante anche se si considera che gli enti di servizio civile usufruiscono di finanziamenti pubblici, atteso che per qualsiasi azienda privata, operante altro settore, la composizione del consiglio dei amministrazione risulta ininfluente al fine di ottenere eventuali finanziamenti.
Si rileva inoltre l'assoluta infondatezza delle supposizioni degli interroganti in ordine ai presunti favoritismi nella valutazione dei progetti di servizio civile derivanti dai rapporti intercorsi tra i rappresentanti di alcuni enti (ExpoItaly, cineclub Procida, istituto promozione servizio civile e fondazione Mediterraneo) e il capo dell'ufficio nazionale per il servizio civile in occasione di particolari eventi.
Al riguardo, con riferimento ai progetti presentati dagli enti ExpoItaly e cineclub Procida si ritiene opportuno riportare nelle seguenti tabelle i dati relativi ai progetti finanziati nel periodo 2004-2010.

ASSEGNAZIONE VOLONTARI EXPOITALY
ANNI 2004 - 2010

ANNO Volontari Richiesti Volontari Concessi % richiesti concessi Capo Ufficio
2004/2005 114 114 100% Palombi
2005/2006 332 199 59,9% Palombi
2006/2007 458 159 34,7% Cipriani
2007/2008 406 406 100% Cipriani
2008/2009 399 202 50,6% Borea
2010/2011 379 152 40,1% Borea

ASSEGNAZIONE VOLONTARI CINECLUB PROCIDA
ANNI 2004 - 2010

ANNO Volontari Richiesti Volontari Concessi % richiesti concessi Capo Ufficio
2004/2005 24 24 100% Palombi
2005/2006 177 177 100% Palombi
2006/2007 191 79 41,36% Cipriani
2007/2008 171 0 0% Cipriani
2008/2009 169 89 52,66% Borea
2010/2011 306 90 24,41% Borea

Dalle tabelle sopra riportate si evince che negli anni in cui l'ufficio nazionale per il servizio civile è stato retto dal dottor Borea la percentuale di volontari assegnati ai due enti in questione è stata complessivamente più bassa rispetto agli anni precedenti.

Tali dati dimostrano l'infondatezza dei dubbi paventati dagli interroganti sugli stretti rapporti tra il capo dell'ufficio, onorevole Borea, e i rappresentanti degli enti ExpoItaly e Cineclub Procida, peraltro, occorre considerare che durante la gestione dell'onorevole Borea sono state effettuate 18 ispezioni nei confronti di ExpoItaly e 3 ispezioni nei confronti di Cineclub Procida, tutte conclusesi senza alcun rilievo.
Si ritiene inoltre opportuno evidenziare che, nell'ambito del procedimento di valutazione dei progetti presentati dagli enti di servizio civile iscritti all'albo nazionale, la selezione è effettuata da un'apposita commissione e non dal capo dell'ufficio nazionale per il servizio civile, il quale si limita ad approvare la graduatoria di merito dei progetti selezionati. In ogni caso, le graduatorie degli ultimi due anni, approvate dal dottor Borea, confermano l'inesistenza di favoritismi a vantaggio dei due enti in argomento, a riprova del comportamento trasparente tenuto dallo stesso.
Per quanto riguarda i progetti presentati dall'Ipsc, occorre segnalare che tale ente è iscritto all'albo della regione Campania e, pertanto, il procedimento di valutazione dei progetti è curato, tramite apposita commissione, dalla regione Campania stessa, che provvede anche all'approvazione della graduatoria di merito di tutti i progetti presentati dagli enti iscritti a tale albo regionale. Il capo dell'ufficio del servizio vivile non partecipa a tale procedimento, ma si limita ad emanare il bando per la selezione dei volontari da impiegare nella regione, predisposto dalla stessa in coordinamento con l'Ufficio.
Le illazioni degli interroganti circa i favoritismi nel finanziamento dei progetti dei tre suddetti enti sono dunque del tutto infondate in quanto - si ribadisce - tali frequentazioni si limitano ad incontri nell'ambito di eventi o manifestazioni pubbliche. Peraltro, seguendo la logica degli interroganti, ogniqualvolta si instaurano rapporti e frequentazioni tra i rappresentanti degli enti di servizio civile e i responsabili dell'Ufficio nazionale per il servizio civile a livello nazionale, si dovrebbe verificare un'alterazione nella valutazione dei progetti.
Il ragionamento degli interroganti non si può pertanto accettare, in quanto si basa su presupposti che pongono in discussione l'onestà e la buona fede di tutti i soggetti coinvolti. Non è possibile, fino a prova contraria, porre in discussione la correttezza dei responsabili degli enti (tra cui anche quelli oggetto dell'interrogazione), né la professionalità e la trasparenza dei funzionari e dei dirigenti dell'ufficio nazionale per il servizio civile e delle regioni che si occupano di servizio civile, i quali operano nel pieno rispetto delle funzioni che sono chiamati ad esercitare, in relazione all'incarico ricoperto, mantenendo nettamente separata la sfera privata da quella pubblica.
Con riferimento all'ulteriore perplessità degli interroganti in ordine alla circostanza che la sede dell'Expoltaly, dell'Ipsc e del centro elaborazione dati del cineclub Procida abbiano lo stesso indirizzo e che coincidano anche i rispettivi recapiti telefonici, si rileva che tale circostanza non configura alcuna violazione della normativa secondaria che regola l'attività del servizio civile nazionale in quanto la capacità di fare rete rappresenta per molte associazioni no-profit l'unica possibilità per sopravvivere. Occorre, inoltre, evidenziare che la ricerca di sinergie, generando significative economie di scala, non è estranea nemmeno al mondo profit. Avere il Ced in comune o presso un altro ente, avere in comune un centralino telefonico, che permetta lo smistamento delle chiamate, rappresenta un'ottimizzazione dei costi di gestione e non comporta alcuna violazione delle norme che disciplinano il servizio civile nazionale. Questa consuetudine non dovrebbe sorprendere in un mondo ormai globalizzato, dove le più grandi multinazionali europee e statunitensi hanno i loro call center, gli uffici contabili e i Ced in diversi paesi stranieri e in alcuni casi presso la stessa società che offre i servizi su scala mondiale. Peraltro, oggi è possibile usufruire di un Ced in abbonamento, senza averlo in casa o in ufficio.
Sotto questo profilo si giustificano tanto la circostanza che il cineclub Procida abbia il Ced presso lo stesso indirizzo dove è ubicata la sede di ExpoItaly e dell'Ipsc quanto la sussistenza di un recapito telefonico unico per i tre enti in argomento. Si precisa, inoltre, che la comunanza di indirizzo

tra ExpoItaly e Ipsc è legata al fatto che i due enti hanno sede nello stesso stabile, sito in corso Avezzana, 26 a Torre del Greco, ma gli uffici sono ubicati in due interni diversi (all'interno 10 ExpoItaly e all'interno 9 Ipsc).
Gli interroganti rilevano, inoltre, che il Cineclub Procida (ente iscritto alla seconda classe dell'albo nazionale), in base a quanto risulta dal sito internet, utilizzerebbe, per la selezione dei volontari, il sistema di reclutamento e selezione di ExpoItaly (ente di prima classe), in violazione delle norme in materia di servizio civile che vietano agli enti di seconda classe l'acquisizione dei sistemi di selezione, formazione e monitoraggio di enti di prima classe. Al riguardo, si precisa che da un riscontro effettuato tra il sistema di selezione di ExpoItay ed i criteri di selezione inseriti nei progetti di cineclub Procida (entrambi agli atti dell'ufficio nazionale per il servizio civile), sono state rilevate differenze, quali: la diversità di alcune materie per i colloqui di selezione; la diversità delle scale per l'attribuzione dei punteggi alle pregresse esperienze nonché ai titoli di studio. Inoltre, è stato rilevato che ExpoItaly indica tra i criteri di selezione le conoscenze dei candidati, requisito non richiesto invece nei progetti presentati da cineclub Procida.
È evidente pertanto che, come risulta dagli atti dell'ufficio nazionale per il servizio civile, i criteri di selezione utilizzati dai due enti siano differenti, a prescindere da quanto risulta sul sito internet di cineclub Procida.
Sulla base di quanto detto sopra, è chiaro che i tre enti in argomento non hanno violato alcuna norma concernente la gestione del servizio civile nazionale, né primaria né secondaria, in quanto tali enti pur avendo in comune una serie di servizi logistici, non hanno in comune alcuna sede di attuazione dei progetti.
Per quanto concerne, infine, la fondazione Mediterraneo si ritiene opportune precisare che quest'ultima ha presentato nell'anno 2003, quando non erano ancora stati istituiti gli albi degli enti di servizio civile e il dottor Borea non era ancora capo dell'ufficio, il progetto «Mediterraneo, un mare di pace» attivato nell'anno 2004 con 51 volontari.
A seguito dell'istituzione degli Albi di servizio civile, nazionale e regionali, la predetta fondazione, fino all'anno 2009, non si è iscritta ad alcun albo, neanche a quello della regione Campania, né in forma autonoma né in qualità di sede di attuazione di progetto dell'ExpoItaly o di qualsiasi altro ente accreditato e, per tale ragione, non ha potuto presentare progetti. La medesima fondazione, in tale periodo, risulta essere stata unicamente copromotrice dei progetti di Expoltaly, ed in tale veste non ha avuto in assegnazione volontari in servizio civile, in quanto vietato dalla normativa in materia.
Soltanto nel 2009, la citata fondazione è stata inserita nel sistema di servizio civile nazionale, in quanto sede di attuazione di progetto dell'ente Ipsc, iscritto all'albo della regione Campania, a cui la fondazione è legata tramite un accordo di partenariato. Tale rapporto comporta che i progetti di servizio civile possono essere presentati unicamente dall'Ipsc quale ente accreditato, e i volontari impegnati nei progetti sono assegnati alla fondazione, in quanto risulta essere la sede di attuazione dei progetti dell'Ipsc. È evidente che, essendo l'Ipsc iscritto all'albo della regione Campania, i progetti (inclusi quelli da realizzarsi presso la fondazione) sono valutati nell'ambito di un procedimento di selezione curato esclusivamente dalla citata regione, al quale il capo dell'ufficio nazionale per il servizio civile non partecipa.
Alla luce di quanto sopra esposto, appare chiaro che non si ravvisa alcuna violazione delle norme concernenti il servizio civile nazionale. Inoltre, risulta chiaro che i cosiddetti «intrecci» nei rapporti tra il dott. Borea e gli enti di servizio civile cui fanno riferimento gli interroganti, si collocano a pieno titolo nella sfera dei compiti istituzionali che il capo dell'ufficio è chiamato a svolgere, anche attraverso la partecipazione a manifestazioni e cerimonie organizzate da enti di servizio civile nazionale, tese a valorizzare il servizio stesso.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Carlo Giovanardi.

SARUBBI, RUGGHIA, MOGHERINI REBESANI, MARIANI, BRAGA, COLOMBO, ROSATO, BRATTI e REALACCI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione del Ministro della difesa e delle segreterie dei sottosegretari di Stato del dicastero - di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 2006, n. 162 - è stata attribuita alla signora Hoara Borselli una «collaborazione coordinata e continuativa, nell'ambito della Segreteria del signor Ministro per i grandi eventi, con particolare riferimento alle manifestazioni del 150° anniversario dell'Unità nazionale», a partire dal 10 marzo 2011;
per la collaborazione in oggetto, alla signora Hoara Borselli verrà corrisposto un compenso di 16.120 euro, cifra equivalente alla modesta paga corrisposta a due soldati in ferma prefissata annuale destinati anche ad operare in missioni internazionali;
il Ministero della difesa dispone già di tutte le professioni presenti nel mondo del lavoro, compresi giornalisti ed esperti di comunicazione, con una consolidata ed apprezzata capacità di rapporti con le istituzioni di ogni livello e gli enti locali;
la signora Borselli nel 1992 partecipa a Miss estate Festivalbar, arrivando in finale e vincendo il titolo di Miss Malizia. Nel 1993 partecipa e vince il concorso di bellezza Fotomodella dell'anno. Successivamente, lavora come conduttrice televisiva e attrice, apparendo sul grande schermo con il film Per favore, strozzate la cicogna (1995), e due anni dopo con Panarea. Nel 1997 è stata letterata di Paolo Bonolis nel programma Il gatto e la volpe. Il suo primo ruolo d'attrice in televisione è quello di Barbara Nardi Ryan, interpretato nel 2002 nella fiction Cento Vetrine. Tra le altre fiction tv in cui ha recitato, ricordiamo: la serie tv Grandi domani, in onda su Italia 1 nel 2005, e la miniserie tv Provaci ancora prof 2 (2007). Nel 2005 vince la prima edizione del reality show condotto da Milly Carlucci, Ballando con le stelle, in coppia con il maestro Simone Di Pasquale, con il quale tra il 2007 e 2008 recita in teatro nel musical La febbre del sabato sera. Nel 2006 Vincenzo Salemme la vuole al suo fianco come primadonna nel suo spettacolo Famiglia Salemme Show. Nel 2008 partecipa come primadonna, insieme con Aida Yespica, al programma del Bagaglino, Gabbie di matti. Inoltre è nel cast della miniserie tv Vita da paparazzo;
il ricco curriculum della collaboratrice non sembra sovrapporsi alle competenze necessarie per espletare quanto richiesto dalla collaborazione posta in essere dal Ministro della difesa;
si rileva peraltro la circostanza per la quale detta collaborazione, che risulta essere imperniata soprattutto sulle manifestazioni per il 150° dell'Unità d'Italia (evento la cui preparazione è stata avviata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 aprile 2007), inizia il 10 marzo 2011, ad appena una settimana dall'evento centrale delle celebrazioni, ovvero il 17 marzo 2011 -:
in base a quali criteri il Ministro interrogato abbia assegnato detta collaborazione alla signora Hoara Borselli e quali siano esattamente le mansioni attribuitele.
(4-11476)

Risposta. - Con specifico riferimento ai criteri in base ai quali sia stata assegnata la collaborazione alla signora Borselli, ritengo opportuno sottolineare che l'affidamento temporaneo di detto incarico rientra nelle fattispecie riconosciute e previste all'articolo 17 comma 1 lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010 n. 90 «regolamento degli uffici di diretta collaborazione».
La citata norma, difatti, riconosce la facoltà al Ministro, nell'ambito del 10 per cento del contingente massimo del personale facente parte degli uffici di diretta collaborazione stabilito per legge nel numero di 153 unità, di potersi avvalere di personale estraneo all'amministrazione difesa,

per collaborazioni coordinate e continuative aventi carattere esclusivamente fiduciario e solo per la durata del mandato governativo.
Nella concomitanza degli eventi celebrativi del 150o anniversario dell'Unità d'Italia (rinunciando ad assegnare diversamente una delle predette limitate posizioni fiduciarie), ho ritenuto opportuno e conveniente in termini economici per l'amministrazione, affidare tale incarico alla signora Borselli, evitando pertanto di far ricorso ad altri professionisti dello spettacolo che avrebbero comportato conseguenti e maggior oneri rispetto a quelli corrisposti alla collaboratrice in argomento.
Tali oneri, inoltre, sarebbero stati non ricompresi nelle posizioni di diretta collaborazione, interamente a carico del bilancio del Ministero.
Ciò è stato possibile - come già precisato - grazie alla rinuncia ad assegnare diversamente una delle limitate posizioni fiduciarie che sono, per legge, a mia disposizione.
In sostanza, si è trattato (grazie anche al gesto della interessata che ha accettato di collaborare in forma continuativa a fronte di un sostanziale simbolico «rimborso spese») di poter, così, utilizzare una elevata professionalità artistica senza alcun costo aggiuntivo per il Dicastero.
L'attività prevista per la signora Borselli è, pertanto, quella di co-organizzatrice e conduttrice di eventi della difesa, con particolare riferimento alle celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, quali ad esempio concerti in occasione della festa dell'Unità d'Italia (17 marzo 2011) e l'incontro con i giovani dell'iniziativa «Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane» (3 giugno 2011).

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

SCANDROGLIO - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
come è noto l'Italia è il secondo Paese produttore di olio di oliva al mondo con 500 mila tonnellate di prodotto ed il principale Paese consumatore con 700 mila tonnellate;
assume quindi grande importanza per il nostro Paese la tutela delle imprese produttrici (oltre un milione con 50 milioni di giornate di lavoro all'anno e un valore della produzione di 2 miliardi di euro) e dei consumatori, attratti da un prodotto salutare e di grandi valori sensoriali e nutrizionali;
una prima risposta positiva è avvenuta con l'approvazione del regolamento n. 182 del 2009 sull'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine delle olive. Una sostanziale tutela per il made in Italy percepito dal consumatore mondiale come prodotto di eccellenza e già riscontrabile in un miglior andamento di mercato dell'extravergine italiano rispetto al prodotto spagnolo e greco, nostri principali competitori sul mercato;
con la pubblicazione del regolamento n. 61 del 2011 è stato introdotto un nuovo metodo di analisi per la determinazione della presenza di alchil-esteri nell'olio extravergine al fine di evitare le frodi dovute alla presenza di oli deodorati nell'extravergine. È stata inoltre stabilita una soglia massima tollerata di alchil-esteri pari a 150 milligrammi per chilogrammo di olio extravergine;
mentre appare positiva l'introduzione di un metodo di analisi ufficialmente riconosciuto per determinare la presenza di oli deodorati, si rileva come la soglia massima stabilita sia eccessiva rispetto alla realtà della produzione di olio extravergine conforme alle norme di qualità stabilite dalla Unione europea;
infatti i dati raccolti da istituzioni pubbliche, organismi di controllo, organizzazioni di categoria indicano in un valore pari a 30 milligrammi per chilogrammo il livello naturale di presenza degli alchil-esteri negli oli extravergini italiani;
la pratica di utilizzazione dell'olio deodorato, nonostante sia proibita dalla regolamentazione comunitaria e dagli accordi

internazionali in sede COI (Consiglio oleicolo internazionale) e codex alimentarius (WTO) è largamente diffusa nelle aree iberiche a causa della scarsa qualità dei loro extravergini e presente negli oli confezionati in Italia da imprese che importano tale prodotto. Di qui discende la pericolosa presenza di oli non conformi venduti a prezzi stracciati con grave danno dei consumatori;
il rischio che il mercato continui ad essere inflazionato da bottiglie di oli extravergini contenenti olio deodorato con grave danno al reddito delle nostre imprese olivicole e dei consumatori è estremamente elevato -:
quali siano le iniziative che intende intraprendere a tutela delle imprese e dei consumatori, con particolare riferimento alle azioni di controllo per verificare i contenuti di alchil-esteri nelle bottiglie di extravergine venduti e di monitoraggio del mercato alla produzione per far modificare in senso più restrittivo il limite attualmente stabilito dal regolamento dell'Unione europea 61/2011, che non appare idoneo alla tutela del consumatore, a evitare frodi, a sostenere il reddito delle nostre imprese olivicole italiane.
(4-11116)

Risposta. - L'interrogazione presentata dall'onorevole Scandroglio concerne il limite massimo di alchil esteri per chilogrammo di olio extravergine, introdotto dal regolamento n. 61 del 2011.
Prima di entrare nel merito, vorrei fare una breve considerazione.
Il regolamento in questione è entrato in vigore solo lo scorso 1o aprile, motivo per cui sarebbe opportuno attendere un congruo periodo di tempo per valutarne gli effetti e decidere, quindi, sull'opportunità di rappresentare all'esecutivo comunitario eventuali correttivi da apporre.
Ciò premesso, tengo ad evidenziare che il regolamento in parola, ai fini della classificazione degli oli di oliva, ha introdotto un ulteriore parametro di qualità che, per la definizione di olio extravergine, deve necessariamente essere rispettato in aggiunta a tutti gli altri 28 già previsti.
Il nuovo limite introdotto (150 mg/kg di alchil esteri non corrisponde), peraltro, alla concreta e pratica applicazione metodologica. Infatti, normalmente, il limite è di 75 mg/kg, anche se è consentito accettare come olio di oliva extravergine un prodotto che, pur presentando un contenuto di alchil esteri compreso tra 75 e 150 mg/chilogrammo abbia un valore, nel rapporto esteri etilici/esteri metilici, inferiore o uguale ad 1,5.
Considerato che tale rapporto tende già ad 1,5 quando si supera di poco il limite di 75 mg/chilogrammo, difficilmente risulterà raggiungibile il limite massimo di 150 mg/chilogrammo.
Il metodo è finalizzato, in particolare, all'individuazione di oli di qualità inferiore, piuttosto che a quelli deodorati. È ovvio che tra gli oli di qualità inferiore si possono trovare oli deodorati, ma non solo. Non è corretto, pertanto, ritenere che il metodo degli alchil esteri serva all'identificazione di oli deodorati.
Infatti, un olio non deodorato con i livelli di alchil esteri sopra richiamati sarebbe un olio con un'intensità del difetto cosiddetto di «riscaldo» tale da renderlo classificabile, nel migliore dei casi, come olio vergine, se non addirittura come «olio lampante» ossia, per la legge, non commestibile.
In ogni caso, l'adozione del metodo e dei limiti predetti (già approvati dal Consiglio oleicolo internazionale tenendo in debita considerazione le posizioni espresse da tutti i Paesi produttori nell'ambito di un ampio confronto, sia in sede Coi che Unione europea), consente di disporre
comunque di un metodo che, seppur perfettibile, garantisce maggiormente la qualità dell'olio e, presumibilmente (come avvenuto in passato per l'acidità, che è stata ridotta dall'1 per cento allo 0,8 per cento), è destinato a ridurre nel tempo i citati limiti.
Per quanto riguarda il richiamo agli accordi internazionali previsti in ambito W.T.O. - codex alimentarius, mi limito ad evidenziare come la relativa normativa sia meno restrittiva di quella vigente nell'Unione e/o sostenuta dal Coi.


Per quanto concerne i controlli, la mia amministrazione si avvale del proprio organo ufficiale di controllo rappresentato dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari.
L'ispettorato, accanto all'attività investigativa e di controllo (a tutela delle produzioni olearie nazionali da possibili tentativi fraudolenti di imitazione e/o contraffazione sull'intero territorio nazionale) effettua, altresì, specifiche analisi di laboratorio sulla corrispondenza dei parametri chimico fisici agli standard previsti.
Al riguardo, con particolare riferimento agli alchil esteri, evidenzio come lo stesso Ispettorato, oltre a collaborare agli studi internazionali che hanno portato all'adozione del relativo metodo d'analisi da parte del Consiglio oleicolo internazionale, sta realizzando uno specifico monitoraggio finalizzato a determinare il contenuto medio di alchil esteri negli oli di produzione nazionale di sicura origine.
In conclusione, nel ricordare che l'Ispettorato effettua regolari controlli nel settore su tutto il territorio nazionale secondo uno specifico piano annuale (controlli peraltro intensificati negli ultimi tempi), ritengo che i limiti previsti dal citato regolamento comporteranno, non solo, una notevole riduzione di frodi a vantaggio della filiera interessata, in particolare del piccolo olivicoltore italiano, ma soprattutto contribuiranno a garantire ai consumatori l'utilizzo di un prodotto sicuro.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Francesco Saverio Romano.

SCILIPOTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la regione Emilia Romagna dopo aver riconosciuto la sensibilità chimica multipla (MCS) come malattia rara nel 2005, ha dato incarico al policlinico Sant'Orsola di Bologna di dare assistenza ai malati. Da allora i malati riferiscono pubblicamente di aver ricevuto dai medici di Bologna soltanto la prescrizione di analisi di routine per un controllo generale senza l'offerta di alcuna opzione terapeutica, con l'eccezione di una visita psichiatrica;
a fronte di numerosi malati che lamentano da anni l'inadeguatezza delle prestazioni offerte dai medici del policlinico di Bologna, questi ultimi hanno dichiarato, anche nei tribunali, di essere perfettamente in grado di trattare i pazienti con sensibilità chimica multipla, facendo ribaltare nelle corti di appello le sentenze di primo grado che avevano dato ragione a due malati che avevano chiesto, con provvedimento di urgenza, il rimborso per potersi curare all'estero in base alla legge sulle patologie residuali;
uno di questi pazienti, che dalle terapie aveva ricevuto enorme giovamento, lasciato solo, senza soldi e impotente davanti a tale ingiustizia, visto che da Bologna non aveva ricevuto alcuna assistenza, si è tolto la vita nel marzo 2009;
attualmente una cinquantenne di Ferrara, malata di sensibilità chimica multipla al quarto stadio e poliallergica, con invalidità civile al 100 per cento accompagnamento e riconoscimento dell'invalidità ai sensi della legge n. 104 del 1992, che aveva perso l'appello in seguito alle rassicurazioni dei medici di Bologna di poter trattare i malati, si trova a doversi sottoporre urgentemente ad intervento chirurgico ginecologico per la rimozione di una formazione di 76 millimetri (non adeguatamente investigata per l'impossibilità di sottoporsi a certi esami con liquido di contrasto). C'è la massima urgenza di sottoporla a tale intervento per evitare ulteriori complicazioni;
questa formazione è stata diagnosticata presso l'ambulatorio ginecologico dell'azienda ospedaliera-universitaria di Ferrara Arcispedale Sant'Anna che, non essendo adeguatamente bonificato per le esigenze di un malato di sensibilità chimica multipla, avrebbe, a quanto consta all'interrogante ha causato alla signora diverse reazioni e un aggravamento generale della sensibilizzazione agli agenti chimici;

la paziente ha richiesto, in data 22 marzo 2010, al direttore generale dell'azienda ospedaliera Sant'Anna ambienti adeguati al suo ricovero per procedere all'intervento, ma le è stato risposto, in data 6 aprile 2010, che l'azienda ospedaliero universitaria non è in grado, allo stato attuale, di predispone quanto richiesto, suggerendole di rivolgersi al cosiddetto centro di riferimento presso l'ospedale Sant'Orsola di Bologna;
quest'ultimo ha risposto in data 14 maggio 2010 che nell'ospedale non è prevista «alcuna struttura di degenza o sala operatoria con caratteristiche speciali quali quelli a cui Lei fa riferimento, perché non ritenute necessarie sulla base di evidenze scientifiche», rimandando la paziente all'ospedale di Ferrara -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
se esistano strutture adeguate alle quali pazienti come quelli di cui in premessa possano rivolgersi per avere una terapia di urgenza come l'asportazione di una formazione;
se il Ministro ritenga di dover intervenire, mediante apposite iniziative, anche normative, affinché i cittadini interessati dai problemi di sensibilità chimica multipla abbiano un'apposita, necessaria ed efficace tutela della salute.
(4-07309)

Risposta. - In merito all'atto parlamentare in esame, premesso che quanto richiesto in relazione alla predisposizione di ambienti ambulatoriali ed ospedalieri idonei alla permanenza ed al trattamento di persone affette dalla condizione nota come sensibilità chimica multipla (MCS) può essere ricondotta esclusivamente all'ambito delle competenze regionali in materia di organizzazione dell'assistenza e di accreditamento delle strutture, si forniscono le seguenti informazioni.
Detta condizione è nota da tempo a questo Ministero, sia per le diverse iniziative parlamentari sul tema, sia per le numerose richieste pervenute da associazioni di malati e singoli cittadini.
Va però anche riferito che, la seconda sezione del Consiglio superiore di sanità, nel mese di settembre 2008, esprimendo parere su un documento di sintesi prodotto da un gruppo di lavoro, costituito «
ad hoc» presso questo Ministero, ha ritenuto che l'indisponibilità di evidenze nella letteratura internazionale non consenta di considerare la Mcs come entità nosologicamente individuabile e che, comunque, il Servizio sanitario nazionale, attraverso i Livelli essenziali di assistenza (LEA), sia già in grado di fornire adeguata assistenza a tutti coloro che mostrano intolleranza all'esposizione a sostanze chimiche.
Tuttavia, questo Ministero ha ritenuto necessario un ulteriore approfondimento della questione, per acquisite ogni informazione utile ad affrontare correttamente i problemi di coloro che soffrono di tale condizione e dopo una consultazione delle professionalità esperte, ha avviato un nuovo tavolo di valutazione e di approfondimento, che alla data odierna si è già insediato e ha tenuto una prima riunione.
Per quanto attiene al caso specifico posto in evidenza nell'atto ispettivo in esame, si espongono di seguito le informazioni acquisite dall'ufficio territoriale di Governo competente.
La regione Emilia Romagna nel rispetto del parere del Consiglio superiore di sanità sopra citato ha escluso l'Mcs dall'elenco regionale delle malattie rare. Tuttavia, la stessa Regione precisa che l'esclusione sopra riferita non ha modificato realmente i percorsi assistenziali precedenti.
Infatti, nell'ottica della migliore assistenza al cittadino, la Regione ha previsto il mantenimento del centro di riferimento presso l'azienda ospedaliero-universitaria di Bologna, garantendo quindi la continuità della presa in carico e l'eventuale terapia per gli assistiti con intolleranze a sostanze chimiche, nel rispetto delle necessarie forme di sicurezza e di garanzia scientifica.
Il centro prevede un percorso personalizzato per ogni paziente, con approfondimenti

specialistici tossicologici ed immunologici che hanno il fine di escludere la presenza di altre patologie.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

SCILIPOTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la recente proposta di dotazione organica presentata dall'azienda ospedaliera 5 di Messina ha suscitato aspre critiche, non solo da parte di tutte le organizzazioni sindacali, ma anche dalla maggior parte degli amministratori di tutti i comuni di competenza;
i tagli previsti determineranno un netto scadimento della qualità dei servizi, sia ospedalieri che territoriali; la maggiore critica riguarda la mancata ed equa integrazione dei due ospedali vicini di Barcellona Pozzo di Gotto-Milazzo;
il ridimensionamento drastico dell'ospedale di Barcellona, preconizza, in modo inequivocabile, la sua chiusura. Tale decisione, non solo penalizzerebbe la cittadina più popolosa della provincia di Messina, qual è Barcellona P.G., ma comporterebbe un grave disservizio anche per l'ospedale di Milazzo che non è in condizioni di soddisfare l'utenza che ivi vi afferisce;
il bacino di utenza di Barcellona P.G. è costituito da 80.000 abitanti, per lo più dislocati in zone rurali, collinari e montane, il bacino di utenza di Milazzo è costituito da 75.000 abitanti. Non si riesce a comprendere come un bacino di utenza di circa 160.000 abitanti possa essere garantito da un solo nosocomio, in atto non in condizioni di soddisfare l'utenza che ivi vi afferisce;
la proposta aziendale, della nuova pianta organica, sancisce un macroscopico squilibrio fra i presidi di Barcellona e di Milazzo, a favore di quest'ultimo. Ciò si evince chiaramente dalla distribuzione delle strutture complesse, infatti, a Milazzo sono previste n. 16 strutture complesse, contro 4 previste per l'ospedale di Barcellona P.G.; alla luce dei fatti ci si chiede come mai non sia stata effettuata una integrazione paritaria dei due nosocomi;
è scandaloso costatare che, in forza di un incomprensibile risparmio, sono previsti in entrambi i presidi ospedalieri, innumerevoli doppioni (medicina, chirurgia, ostetricia, pediatria, cardiologia e dialisi) e che quelli presenti a Barcellona hanno un organico così sparuto da non poter garantire i livelli essenziali di assistenza;
di questo passo, si tornerà indietro di 10 anni, quando lo sfortunato paziente di turno, giungeva per un'urgenza in ospedale, ma non trovava lo specialista di competenza per essere curato adeguatamente;
la cittadina di Barcellona P.G. oltre ad essere la più popolosa della provincia di Messina, è sede del più prestigioso ospedale psichiatrico giudiziario, dei cinque dislocati sul tutto il territorio nazionale;
tale ospedale, al momento, conta 360 ricoverati ed è già pronto il braccio femminile che presto comporterà l'incremento del numero dei ricoverati, che al momento vengono assistiti, per tutte le prestazioni ospedaliere, dal nosocomio di Barcellona P.G. (tale assistenza è regolamentata dai decreti-legge n. 230 del 1999 e n. 230 del 2000);
depotenziare un ospedale (Barcellona P.G.) a favore di un altro (Milazzo), il cui bacino di utenza è meno esteso e ubicato, fra l'altro, nella Valle del Mela, una delle zone più inquinate d'Italia, significa chiuderlo. Significa arrecare un danno a tutti quelli che dell'ospedale beneficiano, specie le fasce più bisognose e deboli. Né la questione può essere posta in termini di scelta tra Barcellona e Milazzo, generando peraltro una sorta di dualismo dannoso per le comunità interessate. Entrambi gli ospedali devono convivere ed entrambi creare nuovo sviluppo e posti di lavoro;

già sono presenti lunghe liste d'attesa diventate, già così, insostenibili. Le richieste sono in aumento e il personale è sempre più carente. Eppure, a volte, si tratta di semplici esami e non di indagini più complesse. In quelle più complesse (fratture, ecografia, indagine doppler, risonanza magnetica, visite specialistiche, prestazioni diagnostiche), troppo spesso i tempi sono insostenibili, con richieste evase solo dopo anche sei o sette mesi. Se questo bacino d'utenza venisse scaricato tutto sull'altro ospedale di Milazzo, anch'esso con situazioni di attesa analoghe se non peggiori visto il grado di inquinamento e le ulteriori malattie ambientali, i pazienti, per curarsi, saranno costretti, in numero sempre maggiore, a utilizzare centri privati a pagamento. E chi non se lo potrà permettere, preferirà, come già tanti fanno, di non curarsi e sperare di non aggravarsi in attesa che, mesi dopo, arrivi il proprio turno, con evidente grave compromissione del livello di assistenza. Questi, dunque, sono gli effetti dell'indebitamento della sanità nazionale -:
se la decisione di depotenziare il nosocomio di Barcellona Pozzo di Gotto sia connessa ad esigenze di riorganizzazione e razionalizzazione della spesa imposte dal piano di rientro dai disavanzi sanitari relativo a tutto il territorio nazionale e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, considerata comunque l'efficienza, l'economicità, l'assetto e la gestione del nosocomio in questione, affinché siano garantiti i livelli essenziali di assistenza.
(4-09203)

Risposta. - Il Presidente della regione siciliana il 31 luglio 2007 ha sottoscritto un accordo con i Ministri dell'economia e delle finanze e della salute per l'attuazione del piano di rientro per la riqualificazione e il potenziamento delle strutture di assistenza territoriale pubblica e la corrispettiva «riduzione delle risorse destinate all'assistenza ospedaliera, da perseguirsi attraverso la revisione della rete ospedaliera».
In data 15 giugno 2009 è stato adottato il decreto assessoriale n. 1150, recante: «indirizzi e criteri per il riordino, la rifunzionalizzazione e la riconversione della rete ospedaliera e territoriale regionale», il cui articolo 2 prevede, per ciascuna azienda sanitaria, la riduzione del numero di posti letto per acuti, l'attivazione dei posti letto per la riabilitazione e lungodegenza e la rideterminazione delle piante organiche in funzione dei necessari processi di riorganizzazione.
La tabella inserita nello stesso decreto, che fa riferimento alla ASP di Messina, per il 2009 prevede due distretti ospedalieri, dei quali il secondo comprende i seguenti stabilimenti: Barcellona, Milazzo, Taormina e Lipari.
La rimodulazione di tale distretto individua effettivamente, rispetto ai dati del 2008, una riduzione di posti letto ordinari e D.H. da 131 a 89 nel presidio di Barcellona, e un aumento di posti letto ordinari e D.H. da 150 a 188 nel presidio di Milazzo.
Detta rimodulazione ha tenuto conto sia degli indicatori previsti nel Patto per la salute del 3 dicembre 2009, sia delle indicazioni fornite dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e finalizzate a rendere razionale e adeguata l'offerta assistenziale.
Nel riformulare la proposta di rimodulazione si è, peraltro, tenuto conto dell'attivazione presso lo stabilimento di Barcellona del Pta (Presidio territoriale di assistenza), avvenuta con atto deliberativo n. 4598 del 30 novembre 2010. Il Pta svolge le seguenti attività:
punto unico di accesso ai servizi ospedalieri e territoriali della ASP;
assistenza sanitaria di base;
punto territoriale di emergenza H.24;
assistenza specialistica;
diagnostica territoriale;
assistenza domiciliare;
assistenza residenziale sanitaria;
attività specialistica ed infermieristica dedicate ai pazienti cronici;

ufficio per l'erogazione di protesi ed ausili, assistenza materno infantile, salute mentale e dipendenze, assistenza farmaceutica.

Si assicura che, nell'ambito delle attività di affiancamento e verifica, i Ministeri vigilanti terranno conto delle osservazioni formulate nell'atto ispettivo, anche evidenziando, laddove opportuno, alla regione la necessità di perseguire le finalità del piano di rientro, fra cui la garanzia dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza ai propri cittadini.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

SCILIPOTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
i dati forniti dalle misure indicano che il telefono, cellulare è probabilmente la tecnologia elettromagnetica più inquinante attualmente in uso. Il professor Ross Adey, aprendo il congresso internazionale sui campi elettromagnetici di Bologna nel 1997, dichiarò che dai suoi studi risultava che il 40 per cento del segnale emesso da un telefono cellulare è assorbito dalla testa. E quindi, eseguendo qualche rapido calcolo, si comprende che una telefonata può fare assorbire dalla testa mediamente 0,04 W/m2 (assumendo S = 0,1 W/m2). Confrontando questi dati con il limite attuale di legge, che è tra i limiti di legge più cautelativi in occidente, ma non cosi protettivo come può sembrare, siamo a livello di circa 6 V/m, che corrispondono a circa 0,01 W/m2: ne consegue che il telefono è uno strumento che può far assorbire alle cellule cerebrali una radiazione quattro volte maggiore del limite dato dal decreto n. 381 del 1998, nel quale è fissato un limite è 0,01 W/m2;
il problema consiste nel determinare quali siano i possibili danni sanitari non termici derivanti dall'utilizzo intenso e prolungato nel tempo del telefono cellulare. In generale, poiché gli studi degli effetti cronici sulla salute dovuti ai telefoni cellulari sono ancora all'inizio, le indicazioni fomite dai diversi enti sono improntate alla cautela;
l'Istituto superiore di sanità (ISS) fornisce il seguente suggerimento: «...particolarmente interessante è il caso di telefoni ad antenna estensibile: quando non è estratta, questa viene a trovarsi vicinissima alla testa e l'assorbimento aumenta di molto. L'effetto è ancor più evidente nel caso dei telefoni cellulari (GSM) che regolano automaticamente la loro potenza in funzione della qualità della trasmissione: nel caso di antenna interna, il livello è innalzato per compensare l'energia dispersa nel cranio, con conseguente ulteriore aumento dell'assorbimento (oltre ad un più rapido consumo delle batterie). Pur in assenza di qualunque indicazione di pericolosità, ragioni di elementare cautela e buon senso suggeriscono quindi di utilizzare sempre il telefono con l'antenna estesa...» (P. Vecchia, 1994; Laboratorio di Fisica ISS);
secondo l'ISPESL, tenendo conto dell'attuale stato delle conoscenze scientifiche, è opportuno assumere un atteggiamento di cautela, teso a minimizzare, per la popolazione, l'esposizione a radiofrequenza e ad evitare quella non necessaria (A. Moccaldi, 1997; Direttore ISPESL);
il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni con il decreto del giugno 1995 n. 485, all'articolo 1 fornisce la seguente raccomandazione di sicurezza per i telefoni cellulari: «... gli utenti sono avvisati che per un uso soddisfacente dell'apparato e per la sicurezza personale, si raccomanda che nessuna parte del corpo deve trovarsi ad una distanza inferiore a 20 cm dall'antenna durante il funzionamento dell'apparato...». L'inconveniente di questa raccomandazione è che a 20 centimetri di distanza la conversazione telefonica è impossibile;
prolungate esposizioni a campi emessi da telefoni cellulari sono state provate come possibili promotori del cancro in modelli di ratti. Sulla scia di queste considerazioni, il 17 maggio 2000 sir William

Stuart, biologo e coordinatore del UK's Microbiological Research Authority, presentando un'interpellanza al Governo inglese sulla sicurezza della telefonia mobile ha fornito le prime testimonianze di «effetti sottili» sulle funzioni cerebrali ed ha invitato ad un approccio prudente al problema, da concretizzare nella dichiarazione da parte delle ditte produttrici della potenza di emissione dei vari apparecchi e nella interdizione della loro vendita ai minori di 16 anni (limite della maggiore età in Inghilterra). Le motivazioni per tale richiesta risiederebbero rispettivamente nella maggiore sottigliezza del cranio, nelle minori dimensioni del capo e nello sviluppo del sistema nervoso ancora incompleto nei più giovani, che li espone a maggiori rischi;
un recente studio condotto da F. Marinelli, del CNR di Bologna, evidenzia che cellule leucemiche esposte per 48 ore ad un campo elettromagnetico di 900 MHz vanno incontro a morte programmata più rapidamente rispetto ai controlli; inoltre nelle cellule sopravvissute si osserva una riproduzione più elevata rispetto a quelle non esposte (Televideo RAI, pag. 169, 23 ottobre 2002; CITY-ROMA, pag. 6, giovedì 24 ottobre 2002). Alcuni recentissimi risultati di misure relative ai telefoni cellulari sono riportati decreto ministeriale 20 giugno 1995 n. 458, «Rettifica al regolamento recante norme per la trasposizione di una specifica tecnica in regola tecnica valida per l'omologazione in ambito nazionale delle apparecchiature dei terminali mobili d'utente del sistema radiomobile analogico pubblico di comunicazione operante nella banda dei 900 MHz adottato con (decreto ministeriale 5 gennaio 1995 n. 71 (Gazzetta Ufficiale del 4 novembre 1995 n. 258)» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative anche normative, siano poste in essere a tutela della salute dei cittadini.
(4-11275)

Risposta. - In merito agli studi richiamati nell'interrogazione in esame, relativamente ai possibili rischi per la salute degli utenti di telefoni cellulari, l'Istituto superiore di sanità (Iss) ha sviluppato le seguenti precisazioni.
Con riferimento alle dichiarazioni del professor William Ross Adey durante il «
Second World Congress for Electricity and Magnetism in Biology and Medicine» tenutosi a Bologna nel 1997, come risulta dal riassunto del suo intervento pubblicato sull'«abstract book» del congresso, sono i tessuti del corpo, in particolare nella mano e nella testa dell'utente, ad assorbire fino al 40 per cento del segnale irradiato, e non esattamente il 40 per cento nella sola testa.
L'assorbimento di energia elettromagnetica non è valutabile per mezzo di «qualche rapido calcolo», come quelli riportati nell'interrogazione in esame, nei quali si parte dall'assunto ingiustificato che la densità di potenza incidente sia pari a 0,1 W/m2, e si esprime del tutto arbitrariamente l'assorbimento di energia elettromagnetica come frazione della densità di potenza incidente.
In realtà, l'assorbimento di energia elettromagnetica si può misurare in
joule, unità di misura dell'energia, o in watt se si vuole considerare l'assorbimento nell'unità di tempo, oppure in watt/kg se si utilizza il tasso di assorbimento specifico (o SAR, Specific absorption rate) che è la grandezza fisica più significativa per valutare la possibilità di effetti termici a breve termine. Per valutare quanta energia elettromagnetica viene assorbita nei tessuti della testa sono necessarie complesse tecniche dosimetriche, sperimentali o teoriche. È invece del tutto escluso che l'assorbimento di energia elettromagnetica possa essere misurato in termini di densità di potenza (potenza trasportata da un'onda elettromagnetica incidente su di una superficie unitaria disposta perpendicolarmente alla direzione di propagazione). Di conseguenza, i successivi confronti effettuati con il limite fissato dalla normativa vigente (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003, «Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze

comprese tra 100 kHz e 300 GHz»), nella quale è stata assunta come «valore di attenzione» e «obiettivo di qualità» la stessa misura di cautela da rispettare «in corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore» prevista dal precedente decreto interministeriale del 10 settembre 1998, n. 381, «Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana», sono destituiti di qualsiasi fondamento scientifico, essendo questa misura di cautela espressa in termini di densità di potenza incidente e non di potenza assorbita dai tessuti del corpo umano. D'altra parte, la predetta misura di cautela (valore di attenzione e obiettivo di qualità) è pari a 0,1 W/m2, e non a 0,01 W/m2 come erroneamente riportato nell'interrogazione in esame, per cui, anche se si ammettesse che i calcoli effettuati avessero un significato scientifico, i 0,04 W/m2 calcolati sarebbero inferiori a quanto previsto dalla normativa vigente.
Un'ulteriore precisazione si riferisce al decreto del Ministero delle poste e telecomunicazioni del 20 giugno 1995, n. 458 «Rettifica al regolamento recante norme per la trasposizione di una specifica tecnica in regola tecnica vaHda per l'omologazione in ambito nazionale delle apparecchiature dei terminali mobili d'utente del sistema radiomobile analogico pubblico di comunicazione operante nella banda dei 900 MHz, adottato con decreto ministeriale 5 gennaio 1995, n. 71», in particolare dove si prescrive di includere nei manuali d'utente la seguente avvertenza: «Gli utenti sono avvisati che per un uso soddisfacente dell'apparato e per la sicurezza personale, si raccomanda che nessuna parte del corpo deve trovarsi ad una distanza inferiore a 20 centimetri dall'antenna durante il funzionamento dell'apparato»; detta avvertenza, come si evince dalla lettura del decreto ministeriale 5 gennaio 1995, n. 71, si riferisce esclusivamente ai terminali mobili di classe 1, consistenti in apparecchiature, di potenza molto superiore a quella dei comuni telefoni cellulari portatili, installate in veicoli nei quali l'antenna è fisicamente montata all'esterno del veicolo, per i quali, quindi, l'osservazione espressa nell'interrogazione, secondo cui la conversazione telefonica sarebbe impossibile a 20 centimetri di distanza dall'antenna, non ha fondamento.
L'Iss, nel concordare in merito all'esistenza di un problema ancora aperto relativo alla possibilità di danni sanitari non termici derivanti dall'utilizzo intenso e prolungato nel tempo del telefono cellulare, e sul fatto che diversi Enti forniscono indicazioni improntate alla cautela, tuttavia fa presente che questa cautela non è motivata dal fatto che gli studi sugli effetti cronici sulla salute dovuti ai telefoni cellulari siano ancora all'inizio.
La ricerca scientifica sui possibili effetti per la salute dei campi elettromagnetici ad alta frequenza in generale, infatti, dura ormai da diversi decenni, con la pubblicazione di migliaia di articoli scientifici, e la ricerca sui possibili rischi connessi all'utilizzo dei telefoni cellulari, in particolare, è cominciata già a partire dall'introduzione sul mercato di tali dispositivi emittenti una radiazione elettromagnetica. Già nel 1994 venivano raccomandate elementari misure di cautela, quali estrarre l'antenna dei telefoni cellulari dotati di antenna estensibile, all'epoca abbastanza diffusi, allo scopo di limitare l'assorbimento di energia elettromagnetica nei tessuti della testa: tuttavia tale suggerimento veniva fornito «pur in assenza di qualunque indicazione di pericolosità».
Nel corso degli anni successivi numerosi studi sperimentali ed epidemiologici hanno affrontato il problema specifico dei possibili rischi per la salute connessi all'utilizzo dei telefoni cellulari. Tali studi, assieme a quelli rivolti allo studio dei rischi per la salute dei campi elettromagnetici in generale, sono stati oggetto di numerose valutazioni da parte di commissioni nazionali ed internazionali di esperti, tra cui il gruppo di esperti del Regno Unito «
Independent expert group on mobile phones» (Iegmp) presieduto da Sir William Stewart. Le principali valutazioni conclusive presentate nel rapporto finale prodotto da tale gruppo di esperti (noto come «rapporto Stewart»), pubblicato l'11 maggio 2000,

sono riassumibili come segue: il bilancio delle evidenze scientifiche disponibili suggerisce che le esposizioni alle radiofrequenze al di sotto dei limiti raccomandati per la protezione dagli effetti accertati non causino effetti avversi alla salute per la popolazione generale, tuttavia alcune evidenze scientifiche suggeriscono la possibilità che queste esposizioni possano produrre effetti biologici, anche se questi non necessariamente implicano rischi per la salute. Per questi motivi, non è possibile affermare che l'esposizione ai campi a radiofrequenza al di sotto dei limiti previsti per la tutela dagli effetti accertati sia totalmente priva di potenziali effetti avversi alla salute, e le lacune nella conoscenza sono sufficienti a giustificare un approccio precauzionale da adottarsi, in particolare per quanto riguarda l'uso dei telefoni cellulari, fino a quando non si fosse ottenuta un'informazione più dettagliata e scientificamente consistente su ogni possibile effetto sanitario.
Per quanto riguarda l'utilizzo dei telefoni cellulari da parte dei minori di età, nel sito
web dell'Iegmp è stata pubblicata una «chiarificazione» degli argomenti discussi nel «rapporto Stewart», in cui si afferma che «come regola generale» i bambini di età inferiore ai 16 anni dovrebbero essere scoraggiati dall'usare telefoni cellulari (http://www.iegmp.org.uk/report/clarification.htm), e non si parla in termini di un vero e proprio divieto della vendita ai minori di 16 anni.
Dalla pubblicazione del «rapporto Stewart» ad oggi sono state effettuate numerose altre revisioni della letteratura scientifica, e varie autorità nazionali ed internazionali si sono espresse circa l'opportunità di limitare le esposizioni ai campi elettromagnetici, in particolare nei soggetti più giovani.
Per esempio, le autorità competenti nel campo della protezione della salute dalle radiazioni di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia hanno pubblicato nel 2004 un documento congiunto in cui, pur riconoscendo che non è certo se i bambini e i giovani siano più sensibili degli adulti ai campi elettromagnetici emessi dai telefoni cellulari, si affermava che le lacune esistenti nella conoscenza e la prevalente incertezza scientifica giustificano una certa attitudine cautelativa nei confronti dell'uso di telefoni cellulari. Un consiglio pratico era quello di usare un
kit a mani libere che riduce significativamente l'esposizione della testa. Questa informazione era rivolta sia agli adulti che ai giovani e ai bambini, e si raccomandava ai genitori di informare i giovani e i bambini su come ridurre l'esposizione da telefoni cellulari.
Più recentemente, la competente autorità finlandese si è espressa in maniera più decisa in favore di una maggiore precauzione nei confronti dei bambini, pur precisando di non ritenere giustificata una totale proibizione dell'uso dei telefoni cellulari, a causa dei vantaggi in termini di sicurezza per i bambini dovuti alle più facili comunicazioni con i genitori: le raccomandazioni per i genitori sono di consigliare ai bambini di utilizzare il telefono cellulare più per l'invio degli SMS che per le chiamate a voce, di limitare il numero e la durata delle chiamate effettuate dai bambini, di far loro utilizzare i
kit a mani libere con l'avvertenza di tenere il telefono a qualche centimetro di distanza dal corpo, e di non utilizzare il telefono in zone dove il campo è debole per evitare che il telefono emetta alla massima potenza. Tali raccomandazioni da parte di autorità scientifiche e sanitarie per una maggiore cautela nei confronti di bambini e adolescenti riflettono una maggiore attitudine alla prudenza rispetto al passato, e non sono motivate dallo sviluppo delle conoscenze scientifiche che continuano, al contrario, ad essere tranquillizzanti.
L'Iss ritiene condivisibili gli inviti alla prudenza nei confronti dell'utilizzo dei telefoni cellulari, in particolare per quanto riguarda i soggetti più giovani, e condivide anche le indicazioni fornite a livello internazionale, descritte in precedenza, finalizzate ad una riduzione delle esposizioni, purché si tenga presente che il quadro complessivo delle attuali conoscenze scientifiche è comunque tranquillizzante.
Questo Ministero segnala che, in merito alla problematica in esame, i più recenti risultati sono quelli dello studio epidemiologico

Interphone, coordinato dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), che non forniscono, nel complesso, un supporto convincente a nessi di causalità tra utilizzo del cellulare e sviluppo di patologie tumorali. Solo tra diversi anni sarà possibile trarre conclusioni definitive, sia perché le patologie considerate possono avere tempi di latenza molto lunghi a fronte dei pochi anni trascorsi dalla diffusione della tecnologia, sia perché sarà necessario indagare eventuali associazioni con altre patologie (es. le malattie neuro-degenerative) e con le malattie gravi dell'infanzia.
Anche sul versante sperimentale, l'insieme delle evidenze di effetto
in vitro ed in vivo delle radiofrequenze, ai diversi livelli della scala biologica e in relazione a diversi parametri fisiopatologici è debole e contraddittorio, ed il complesso dei risultati non permette di identificare alcun razionale biologico, in termini di meccanismi d'azione, che sia in grado di supportare l'ipotesi di effetti a lungo termine in relazione a livelli di esposizione inferiori ai limiti per gli effetti accertati legati al riscaldamento dei tessuti.
Pertanto, anche il Ministero della salute, come l'Iss, ritiene condivisibile un approccio ad un uso equilibrato del telefono cellulare, in particolare per quanto riguarda i bambini, tenendo presente che detta misura riveste carattere meramente precauzionale e che il quadro complessivo delle conoscenze scientifiche non fornisce, allo stato, alcun supporto convincente ad ipotesi di rischio sanitario.
Si deve piuttosto evidenziare che diversi studi epidemiologici hanno concordemente indicato l'uso del telefono cellulare durante la guida quale causa di un significativo incremento di incidenti stradali. Gli stessi studi non indicano differenze tra l'uso del telefono in mano e quello a mani libere (in viva voce o con l'auricolare) e numerosi ricercatori ed enti protezionistici raccomandano di scoraggiare fortemente l'uso del telefono cellulare alla guida, in qualunque condizione. L'introduzione di restrizioni nei confronti dell'uso del cellulare durante la guida in qualsiasi condizione, incluso l'utilizzo di sistemi in viva voce, porterebbe un beneficio certo in termini di sanità pubblica.
Dal punto di vista tecnico, si precisa che tutti i telefoni cellulari immessi nel mercato europeo sono conformi
a priori, in fase di prodotto, ai massimi livelli di Specific absorption rate per la testa stabiliti dalla Raccomandazione europea 1999/519/CE.
Per quanto riguarda le iniziative intraprese, si segnala in particolare che, nel rispetto dei principi generali della legge n. 36 del 2001, il Ministero della salute riconoscendo l'importanza di una corretta informazione e comunicazione nel settore della tutela dagli effetti sulla salute dei campi elettromagnetici, ha finanziato presso il Centro nazionale di controllo delle malattie (Ccm) il progetto «Salute e campi elettromagnetici (Camelet)». Il progetto, di durata triennale, concluso nel 2009, è stato sviluppato dall'Istituto superiore di sanità, ed ha avuto come obiettivo la creazione presso il Ccm di una struttura di riconosciuta competenza sui campi elettromagnetici, incluso il tema dei telefoni cellulari, per la valutazione dei dati scientifici, la stima dei rischi sanitari e la relativa comunicazione al pubblico. Tra i principali risultati figura, tra l'altro, la creazione di un sito tematico www.iss.it/elet con lo scopo di fornire ai cittadini non solo un quadro globale dei risultati delle ricerche, ma anche una guida alle più autorevoli organizzazioni nazionali e internazionali, alle normative di protezione e alle loro basi razionali, alle strutture preposte al controllo dei campi elettromagnetici.

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

SIMONETTI e CAPARINI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:
alcune persone, come evidenziato il 14 gennaio 2011 sul quotidiano La Stampa, svolgono l'attività di maestri di sci presso le piste nazionali mediante l'ottenimento

in soli tre giorni dell'abilitazione in Romania, Montenegro e Albania, ove i corsi non sono così scrupolosi come quelli italiani. Difatti per ottenere la medesima abilitazione è necessario, dopo un lungo tirocinio, aver superato una dura selezione cimentandosi in prova di slalom gigante nella quale è obbligatorio rimanere nei parametri dei tempi di discesa dettati dagli istruttori nazionali;
gli ultimi riconoscimenti di titoli esteri da maestro di sci, sono stati rilasciati dall'ufficio per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri;
si rimarca la necessità che le prove di Eurotest e Eurosicuritè vengano adottate in ogni Paese con riconoscimento da parte della dell'Unione europea, così come previsto dal protocollo d'intesa sottoscritto all'unanimità dai collegi regionali italiani riunitisi nel mese di dicembre 2010;
la legge quadro del 1991, finalizzata a tutelare e migliorare la professionalità del maestro di sci, va comunque rivista;
le difficoltà che emergono dal rilascio di abilitazioni in maniera disinvolta porta in sé un pericolo per la sicurezza sulle piste da sci, perché queste, se non utilizzate con capacità e consapevolezza, possono essere dei luoghi in cui l'incidente può risultare grave;
lo sci è uno sport che comporta certi rischi e la figura del maestro non deve venire compromessa da normative non pertinenti ed efficaci -:
quali iniziative si intendano adottare per risolvere le problematiche descritte in premessa.
(4-10461)

Risposta. - In relazione all'atto di sindacato ispettivo n. 4-10461, concernente l'abilitazione ad esercitare la professione di maestro di sci in Romania, Montenegro e Albania, si comunicano i seguenti elementi, sulla base anche delle indicazioni fomite dalle amministrazioni interessate, che vengono di seguito riportate.
Il Ministero degli affari esteri ha comunicato, per la parte di competenza, gli elementi relativi alla disciplina delle qualifiche professionali acquisite in Romania, in Albania ed in Montenegro, richiamando, in via preliminare, la distinzione tra Romania, da una parte e Montenegro ed Albania, dall'altra, in ragione dell'appartenenza o meno all'Unione europea.
Per quanto concerne la Romania, è evidenziato che in tale paese la professione non è regolamentata e che, pertanto, il riconoscimento è effettuato ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, recante «Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania» e non sussiste obbligo di riconoscimento.
Per quanto riguarda l'Albania ed il Montenegro, trattandosi di Stati non appartenenti all'Unione europea, non c'è un obbligo di riconoscimento automatico, ma è valutato se il titolo presenti requisiti corrispondenti a quelli richiesti per l'esercizio in Italia.
Riguardo al Montenegro, sulla base delle informazioni assunte presso il locale Ministero degli affari esteri e dell'integrazione europea, è precisato che le disposizioni normative vigenti in materia di licenze per esercitare la professione si limitano a disciplinare le competenze dei maestri di sci e, in particolare, la necessità della loro iscrizione all'associazione nazionale di categoria (MASI -
Montenegrin association of snowsport instructors, affiliata all'Associazione internazionale ISIA), senza alcuna specifica sulle condizioni di accesso alla professione o ai titoli di abilitazione (articoli 50-51 della «Legge sullo sci» del 29 novembre 2007 - Zakon o skijalistima). Le licenze che vengono rilasciate hanno validità annuale e presuppongono l'iscrizione alla predetta Associazione montenegrina degli istruttori di sport invernali (MASI). Sui tesserini rilasciati dalla Masi è indicata chiaramente la validità annuale della licenza.
Per quanto riguarda, invece, l'Albania, dalle notizie comunicate dal locale Ministero

del lavoro si è appreso che è stata recentemente costituita una società privata che emette certificati per l'abilitazione alla professione di maestro di sci. Al momento, tuttavia, i certificati emessi non sono riconosciuti dallo stato albanese, in quanto la predetta società non ha ottenuto il necessario accreditamento presso il Ministero del lavoro albanese. In conclusione, sembra non esistere, al momento, alcuna forma di abilitazione ufficiale per quanto concerne la professione di maestro di sci in Albania.
Il dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri, per quanto di competenza, ha rappresentato che la professione di maestro di sci non appartiene all'ambito delle professioni definibili settoriali - per le quali la direttiva 2005/36/CE fissa requisiti minimi di formazione armonizzati - ma rientra nel sistema generale. In ragione di ciò, non viene effettuato un riconoscimento diretto del titolo, ma è necessaria una comparazione, da parte dell'autorità competente italiana (ufficio per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri) tra la formazione posseduta dal richiedente il riconoscimento e quella vigente in Italia.
È chiarito che la presenza di differenze sostanziali autorizza l'applicazione di una misura compensativa, che per l'Italia può consistere solo in una prova attitudinale, poiché la Commissione europea, con deroga concessa nel 2000, ha autorizzato il nostro Paese ad escludere la facoltà di scelta del migrante tra prova attitudinale e tirocinio di adattamento.
In tal modo si elimina la possibilità che titoli con programmi meno articolati di quelli italiani possano ottenere un riconoscimento diretto, a danno della professionalità dei maestri di sci italiani e della sicurezza degli utenti delle prestazioni, poiché esiste sempre la possibilità di richiedere l'applicazione di un'adeguata misura compensativa.
Con specifico riguardo alla competenza dell'ufficio per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, il medesimo, ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto legislativo n. 206/2007, in materia di riconoscimento del titolo di maestro di sci, assicura lo svolgimento delle attività istruttorie necessarie per ogni istanza ricevuta, secondo le modalità di seguito descritte.
Come già precisato, il quadro normativo di riferimento è costituito dalla richiamata direttiva 2005/36/CE, recepita in Italia con decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, mentre, per il riconoscimento di titoli conseguiti in Paesi extracomunitari, trova applicazione il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999 n. 394 (articoli 49 e 50).
Le norme richiamate (decreto legislativo n. 206 del 2007) disciplinano l'esercizio di ima professione, sia stabilmente che occasionalmente, negli Stati membri, e consentono di svolgere l'attività professionale in uno stato diverso da quello in cui la qualifica è stata acquisita, alle stesse condizioni e con gli stessi diritti dei cittadini dello stato scelto per l'esercizio della propria attività.
La procedura di riconoscimento prevede che l'autorità competente - l'ufficio per lo sport, per quanto concerne le professioni sportive - svolga un'istruttoria volta ad accertare che il titolo conseguito abbia valore abilitante ai fini dell'esercizio della professione nello Stato in cui lo stesso è stato rilasciato.
Qualora emergano differenze sostanziali tra la formazione attestata e quella italiana, al richiedente può essere imposto di svolgere misure compensative.
Poiché la professione di maestro di sci rientra nel sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali, l'autorizzazione all'esercizio della professione di maestro di sci con titoli conseguiti all'estero, può avvenire solo attraverso la procedura sopra descritta.
È escluso, pertanto, un riconoscimento di natura automatica, possibile solo ove esista un'armonizzazione delle condizioni minime per accedere alla formazione (caso delle professioni definite settoriali).
Deve, pertanto, essere sottolineato che non è ipotizzabile, in base alla normativa vigente, il riconoscimento automatico di titoli conseguiti in altri Paesi, rilasciati al termine di corsi e sulla base di programmi meno complessi rispetto a quelli italiani.


In presenza, infatti, di differenze sostanziali tra i programmi dei due paesi, viene chiesto lo svolgimento di una misura compensativa, consistente in una prova attitudinale di contenuto tecnico-teorico, essendo stata rimessa all'Italia, con la richiamata decisione del 25 luglio 2000 della Commissione europea, la possibilità di stabilire la misura compensativa, in deroga alla normativa che rimette al richiedente la scelta tra prova e tirocinio.
Ciò premesso, si evidenzia che, allo stato, non risultano adottati dall'ufficio per lo sport decreti di riconoscimento, ai fini dell'esercizio del diritto di stabilimento, di titoli professionali rilasciati in Albania.
Per quanto riguarda la Romania, invece, sono stati adottati decreti che subordinano il riconoscimento del titolo professionale al superamento di una misura compensativa, consistente in una prova di contenuto tecnico-teorico, atteso che la Romania non regolamenta la professione e, nei casi analizzati, sono state riscontrate differenze sostanziali tra la formazione italiana e quella romena.
Con riguardo al Montenegro, è stato riconosciuto un titolo professionale poiché risultato, a seguito dell'istruttoria svolta e delle deliberazioni assunte in sede di conferenza di servizi, valido ed abilitante all'esercizio della professione di maestro di sci alpino (massimo grado); ciò tenuto conto della circostanza che l'interessato ha prodotto documenti attestanti il superamento della prova denominata «Eurotest» e del corso denominato «Eurosecuritè» ed inoltre delle dichiarazioni rese dalle Autorità competenti
in loco, che hanno provveduto a rilasciare la dichiarazione di valore sul titolo in parola (nota dell'ambasciata d'Italia a Podgorica in data 22 settembre 2010, con la quale è stata trasmessa la dichiarazione di valore resa a Podgorica il 5 agosto 2010).
Si ritiene opportuno precisare che nell'ambito dell'istruttoria svolta dall'ufficio per lo sport sono in via ordinaria acquisite, ove necessario, informazioni tramite le autorità diplomatiche italiane direttamente presso i competenti uffici del paese di conseguimento del titolo professionale.
Per quanto concerne, da ultimo, le iniziative assunte a tutela della professionalità dei maestri di sci italiani e, contestualmente, della sicurezza degli utenti, diverse sono le azioni intraprese da parte dell'ufficio per lo sport.
Si fa presente che si è tenuta, lo scorso febbraio, una riunione con i rappresentanti delle categorie professionali italiane (Collegio nazionale dei maestri di sci italiani e Federazione italiana sport invernali) per esaminare gli aspetti problematici connessi ai riconoscimenti dei titoli professionali stranieri, con particolare riguardo all'applicazione della prova denominata «eurotest» in Italia, in occasione della quale l'ufficio per lo sport ha acquisito elementi utili per le successive determinazioni.
L'ufficio ha avviato, inoltre, una collaborazione con le Regioni al fine di acquisire dettagliati elementi informativi sui programmi nazionali, per adottare soluzioni normative idonee a valorizzare la professionalità dei maestri italiani, tutelando, nel contempo, gli utenti delle prestazioni professionali.
È stata assicurata la partecipazione agli incontri indetti dal dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri, cui hanno preso parte anche rappresentanti della Commissione Europea, per l'esame delle questioni connesse all'applicazione della direttiva 2005/36/CE (riconoscimenti delle qualifiche professionali), ove è emersa, tra l'altro, la necessità che i programmi per l'accesso alla professione di maestro di sci dei diversi .Paesi presentino una maggiore uniformità sotto il profilo dei contenuti, con particolare riguardo alla prova denominata «eurotest». Prova, quest'ultima, non prevista in Italia dalla legge-quadro 8 marzo 1991, n. 81, tra gli insegnamenti fondamentali obbligatori e non contemplata con omogeneità nei percorsi formativi delle diverse regioni italiane.
Questa circostanza comporta concrete criticità consistenti nella possibilità che si realizzi una disparità tra i percorsi formativi delle diverse regioni italiane, di fatto già verificatasi.


Sono in corso valutazioni circa la possibilità di modificare la citata legge-quadro n. 81/1991, allo scopo di introdurre obbligatoriamente nella formazione professionale del maestro di sci alpino - ove nulla osti sul piano comunitario - la prova denominata «eurotest», da svolgersi in tutte le Regioni secondo modalità comuni, avuto riguardo, in particolare, alle esigenze di sicurezza degli utenti come rappresentate dagli organi tecnici nazionali.
Questi aspetti, tuttavia, saranno influenzati anche dagli sviluppi di nuove iniziative sollecitate da parte della Commissione europea, seguite puntualmente dall'Italia.
Si evidenzia, infatti, che la Commissione europea ha promosso una serie di incontri tra i Paesi che hanno sottoscritto l'accordo dell'arco alpino, comprendente l'inserimento della prova denominata «eurotest» nei rispettivi programmi formativi, per discutere della sua attuale applicazione e validità.
Gli incontri sono attualmente in corso tra i Paesi sottoscrittori dei predetti accordi, che hanno introdotto la prova «eurotest» nei rispettivi programmi nazionali di formazione, per discutere di un suo eventuale aggiornamento, anche con la finalità di trovare un accordo che ne consenta l'estensione a tutti gli altri Paesi. L'ultima iniziativa, in ordine di tempo, concerne un incontro, promosso dalla Commissione europea, svoltosi il 5 maggio 2011 a Bruxelles tra i rappresentanti delle categorie professionali, che ha rappresentato un utile momento di confronto sull'argomento, tra i diversi Stati membri.
Alle iniziative su evidenziate va aggiunto il contributo che l'ufficio per lo sport sta apportando alla proposta della Commissione europea, seguita dal dipartimento per le politiche comunitarie, che ha chiesto di valutare l'eventuale adozione di tessere professionali, al fine di rendere più rapidi gli spostamenti dei professionisti in ambito europeo garantendo, nel contempo, una maggiore sicurezza per gli utenti delle prestazioni professionali.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Rocco Crimi.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'Ufficio per le istituzioni democratiche ed i diritti umani (ODHIR - Office for democratic Institutions and human Rights) è un'istituzione specializzata dell'OSCE che si occupa di elezioni, diritti umani e democratizzazione. In particolare assiste gli Stati membri dell'OSCE nell'attuazione dei loro impegni a dimensione umana, fornendo esperienza e supporto pratico nel rafforzamento delle istituzioni democratiche per mezzo di programmi a lungo termine per potenziare le norme di legge, la società civile ed il controllo democratico;
l'Italia è tra i paesi fondatori dell'OSCE dal 25 giugno 1973;
nell'ambito del progetto sui diritti umani del personale delle forze armate, nel 2004 è stato intrapreso uno studio preparatorio sullo scambio di informazioni sul Codice di condotta relativo agli aspetti politico-militari della sicurezza. A causa della grande disparità nella qualità e la natura delle informazioni disponibili, l'OSCE ha sviluppato un questionario dettagliato distribuito a tutte le missioni permanenti dei paesi membri nel 2005, al fine di ottenere dati sulle leggi, le politiche e le pratiche in materia di diritti umani delle forze armate così come sono riconosciuti ed applicati nei loro rispettivi ambiti;
come sintesi risultante dalla somministrazione del predetto questionario, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR) dell'OSCE, insieme al centro per il controllo democratico delle Forze armate di Ginevra (DCAF), ha pubblicato il manuale per i diritti umani e le libertà fondamentali del Personale delle Forze armate. Esso propone una panoramica delle legislazioni, delle politiche e dei meccanismi per assicurare protezione e applicazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali del personale delle forze armate;

da come si evince a pagina 20 del predetto manuale, solo i seguenti paesi hanno risposto esaurientemente:
Austria, Azerbaijan, Bielorussia, Belgio, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Canada, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Polonia, Portogallo, Russia, Serbia e Montenegro, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucrania, Regno Unito, Stati Uniti. Mentre, il Liechtenstein (senza forze armate regolari), il Tajikistan, la Santa Sede (senza forze armate regolari) hanno trasmesso una semplice nota verbale di ricezione. L'Italia insieme ad Albania, Andorra (senza forze armate regolari), Armenia, Cipro, Grecia, Ungheria, Islanda (senza forze armate regolari), Kazakistan, Kirgikistan, L'allora Repubblica Yugoslava, Moldavia, Principato di Monaco (guardia di palazzo con semplici funzioni cerimoniali), Olanda, Romania, San Marino (senza forze armate regolari), Turkmenistan, Uzbekistan non ha risposto affatto;
il capo di stato maggiore dell'aeronautica con la lettera n. SMA/125/G5O-2/1-97, rivendicava con una punta di orgoglio quanto segue: «Da uno studio realizzato dall'OSCE che ha analizzato in un'ottica comparativa i diritti fondamentali degli appartenenti alle forze armate dei paesi aderenti, è possibile evincere che in tema di diritti civili o politici quali il diritto di associazione, la libertà di espressione e di manifestazione, e altri (...) per le limitazioni imposte ai propri militari, l'Italia è considerata uno Stato con «restrizioni moderate», ciò implica che il parametro di riferimento del Governo in materia di diritti dei militari siano Paesi come l'Albania, l'Armenia, il Kazakistan, il Kirgikistan, la Moldavia, il Turkmenistan, e l'Uzbekistan. Ossia quei Paesi che come l'Italia hanno ritenuto superfluo rispondere al questionario dell'OSCE e non quei partner europei cui si immaginerebbe l'Italia dovrebbe tendere ad assimilarsi più naturalmente quale Paese membro e fondatore dell'Unione europea -:
se il Governo intenda chiarire i motivi per cui l'Italia ha deciso di non dare il suo contributo all'iniziativa omettendo, sia di rispondere al questionario sottopostole dall'OSCE, sia di tradurre in italiano - oggi è disponibile solo in inglese, russo, francese, bosniaco, croato e serbo - il manuale per i dritti umani e le libertà fondamentali del personale delle forze armate, rendendolo così disponibile e agilmente fruibile da tutti gli addetti ai lavori e in primis ai militari a cui esso si rivolge.
(4-05742)

Risposta. - La Difesa partecipa attivamente, per quanto di competenza, alle iniziative dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), la cui attività si esplica in tre settori fondamentali: la dimensione politico-militare (affronta gli aspetti militari della sicurezza), la dimensione economico-ambientale (tratta, prevalentemente, i temi dell'energia, dell'ambiente e dello sviluppo economico) e la dimensione umana (dedicata alle tematiche dello stato di diritto e alla tutela dei diritti umani).
Secondo uno scadenziario annuale - o ogni qual volta si presenti la necessità - sono puntualmente fornite al Ministero degli affari esteri, per la successiva diramazione in ambito Osce, tutte le informazioni richieste che sono finalizzate, con riferimento allo strumento militare, alla trasparenza e all'accrescimento della fiducia reciproca.
Si tratta, soprattutto, dei questionari relativi all'attuazione di trattati e di documenti internazionali sul controllo degli armamenti o per condividere con gli altri Stati membri la dottrina nazionale relativamente al personale, alle procedure con cui è assicurato il controllo democratico delle Forze armate, ai provvedimenti normativi a tutela dello
status di militare e alle modalità con cui sono diffuse le informazioni utili a rafforzare una generale sensibilità nei confronti del Codice di condotta militare e del Diritto umanitario.
In particolare, la risoluzione sulla situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali del personale delle Forze armate,

approvata il 9 luglio 2010 dall'Assemblea parlamentare dell'Osce ha Io scopo precipuo di impegnare gli Stati partecipanti a:
diffondere ampiamente le informazioni sui diritti umani e le libertà fondamentali tra tutto il personale della Difesa;
garantire allo stesso personale la più ampia gamma di tutele.

Nel ricordare, in primo luogo, che l'ordinamento militare si conforma allo spirito democratico della Repubblica, in conformità a quanto previsto dalla nostra Costituzione, e dalle norme del diritto internazionale vigenti, preciso che l'Italia - che è parte di tutte le principali convenzioni in materia - ha ratificato numerose convenzioni nel settore dei diritti umani, tra cui:
la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e i discendenti Patti internazionali sui diritti economici, sociali, culturali, civili e politici;
la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950;
la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1969;
la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1981;
la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989.

Vorrei aggiungere, per una maggiore completezza, che nelle operazioni militari all'estero, i contingenti nazionali - per opinione consolidata - non sono più sottoposti esclusivamente alle norme di diritto umanitario, ma anche a quelle sui diritti umani, codificate in numerose convenzioni, sia quelle universali, sia quelle regionali (come la menzionata convenzione europea dei diritti dell'uomo, la convenzione interamericana dei diritti umani, la Carta di Banjul dei diritti dell'uomo e dei popoli).
Infatti, il confine tra i diritti dell'uomo e il diritto internazionale umanitario - ambiti normativi che affondano le loro radici sia in epoche che in settori di riferimento diversi - è sempre più sottile, tanto che ormai vi è una sovrapposizione tra le due discipline.
Peraltro, il personale militare impiegato nei vari teatri operativi concorre, oltre che al rispetto delle norme del diritto umanitario - oggetto d'insegnamento sia in ambito interforze sia di singola Forza armata - anche all'affermazione dei diritti umani in quei Paesi interessati da situazioni di crisi o da conflitti di varia natura.
Per ciò che riguarda, poi, i diritti e le tutele del personale delle Forze armate - esplicitamente riportati al paragrafo 7 della richiamata risoluzione Osce - gli stessi sono garantiti, nel nostro Paese, anche dall'istituto della rappresentanza militare, che costituisce oggetto di studio nell'ambito dei previsti corsi di formazione.
Si tratta di un sistema di organismi articolati su tre livelli (centrale, territoriale e periferico) che si pongono come la diretta espressione (mediante elezioni) delle istanze di tutte le componenti dell'ordinamento militare verso le corrispondenti autorità militari ai vari livelli.
Tale istituto è «... lo strumento con cui il legislatore ha salvaguardato le ragioni funzionali delle Forze armate e, al tempo stesso, ha dato attuazione al concetto costituzionale secondo cui Vordinmnento militare si informa allo spinto democratico della Repubblica ...» (sentenza della Corte Costituzionale n. 499 del 1999).
Nel tempo, il legislatore ha costantemente mostrato attenzione verso le istanze avanzate dagli organi della rappresentanza militare, con riguardo a una più compiuta definizione degli spazi d'intervento e di autonomia a essi riservati. In tal senso, sono stati approvati, successivamente, ulteriori provvedimenti, tra cui - cito il più recente - l'articolo 19 della legge n. 188 del 2010 che, in aderenza a quanto sostenuto dagli Stati maggiori di Forza armata/Comandi generali e in linea con quanto auspicato dallo stesso organo centrale della rappresentanza militare (Co.Ce.r), ha conferito a tale organo rappresentativo un ruolo più incisivo nell'attività dei periodici rinnovi contrattuali.


Quanto all'osservazione - riportata nella citata risoluzione - secondo la quale alcuni Stati partecipanti dell'Osce, tra cui l'Italia, non hanno fornito risposta allo specifico questionario in materia (sebbene nel contesto della stessa risoluzione non sia fatto alcun esplicito riferimento all'obbligo di ottemperanza da parte dei Paesi inosservanti), faccio presente che la compilazione del questionario è, allo stato, in fase di predisposizione da parte dei competenti organi del dicastero.
Con riferimento, invece, al «Manuale sui diritti umani e le libertà fondamentali del personale delle Forze armate», pubblicato dall'ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (Odhir) dell'Osce, mi preme osservare che il documento, ancorché mai pervenuto ufficialmente (ma, comunque, disponibile sul sito dell'Osce), è stato tradotto e oggetto di approfondita analisi, con particolare riguardo alle forme di rappresentanza militare.
Più specificamente, l'obiettivo della pubblicazione è stato quello di effettuare una ricognizione dei diritti umani e delle libertà fondamentali riconosciuti ai militari nei paesi appartenenti all'Osce.
In tale ambito, è stata effettuata un'analisi comparativa dei differenti ordinamenti statuali che, per quanto concerne il tema dei diritti civili e politici del personale delle Forze armate, ha differenziato i Paesi aderenti alla menzionata organizzazione internazionale, nelle tre categorie:
highly/moderately/least restrictive policies of political neutrality.
In concreto, nella quasi totalità degli ordinamenti, sono risultate esistere delle norme costituzionali o legislative che pongono delle limitazioni ad alcuni diritti dei militari rispetto agli altri cittadini.
Ciò, sia per garantire la particolare funzione di difesa e sicurezza dello Stato a cui sono preposte le Forze armate, sia per il soddisfacimento dell'esigenza di «neutralità» delle stesse rispetto alle competizioni politiche.
Su tale aspetto l'Italia è stata considerata uno Stato con
«moderate restrizioni» nei confronti del personale appartenente alle Forze annate, analogamente a Paesi come il Belgio e il Regno Unito.
Diversamente, nell'interrogazione si afferma che l'Italia si trova sullo stesso piano, in materia di diritti militari, di Paesi come l'Albania, l'Armenia, il Kazakistan, la Moldavia, il Turkmenistan e l'Uzbekistan che, in realtà, come il nostro Paese, non hanno risposto ad un questionario inviato dall'Osce relativamente alle norme vigenti, alle procedure e agli usi in tema di diritti fondamentali riconosciuti ai militari.
In proposito, con riferimento alle richiamate affermazioni del Capo di Stato maggiore dell'aeronautica, esse sono state estrapolate da una risposta a una delibera del Comitato centrale di rappresentanza (Co.ce.r) dell'Aeronautica militare, nella quale, proprio in relazione alle presunte limitazioni dei diritti costituzionali per tutti i militari italiani, veniva evidenziato come lo studio realizzato dall'Osce considerasse l'Italia un Paese, per l'appunto, con
«moderate restrizioni».
Vorrei sottolineare, al riguardo, come la Difesa sia consapevole dell'importanza che riveste tale strumento rappresentativo, con il quale vengono salvaguardati il rispetto della peculiarità militare, le ragioni funzionali delle Forze armate e sia assicurata una reale rappresentanza del personale militare.
Quanto, in ultimo, alla diffusione del
«Manuale sui diritti umani e le libertà fondamentali del personale delle Forze armate» in ambito Forze armate, tale esigenza sarà senz'altro valutata, non appena dovesse pervenire una richiesta ufficiale in tal senso.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere se l'ambasciata italiana abbia comunicato quali cittadini italiani e in quale data abbiano ricevuto onorificenze dalla «Grande repubblica araba di Libia popolare e socialista», sia che sia stata richiesta al Ministro

l'autorizzazione all'utilizzo della stessa onorificenza sul territorio della Repubblica, sia che tale richiesta non sia stata fatta.
(4-10988)

Risposta. - Agli atti di questo Ministero non risultano mai pervenute richieste di autorizzazioni all'uso sul territorio nazionale di onorificenze concesse dalla grande Repubblica Araba di Libia Popolare e Socialista a diplomatici o a cittadini italiani.
Ciò non può escludere, in linea di principio, che cittadini italiani possano comunque aver ricevuto onorificenze da parte libica, senza mai informarne questo Ministero.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con nota dello Stato maggiore dell'esercito - reparto affari generali n. 4363 Cod. Id. UA Ind. Cl. 5.9.10 in data 11 febbraio 2011 è stato istituito il 1° Corso di formazione per coadiutore socio assistenziale rivolto al personale di Forza armata a firma del Colonnello Paolo Raudino;
detto corso è aperto a personale militare di età compresa tra i 25 e i 55 anni in possesso del diploma di maturità quinquennale; che abbia riportato in sede di valutazione caratteristica la qualifica finale di eccellente negli ultimi cinque anni; che non abbia mai ricevuto sanzioni disciplinari di stato; che sia in regola con le prove annuali di efficienza operativa, cui seguono alcune notazioni relativamente all'attitudine ed alla motivazione alla funzione;
nell'ambito della job description risultano conferiti a detto personale tra l'altro i seguenti ambiti di attività ad elevata specializzazione:
a) accompagnare la famiglia nei primi momenti dell'emergenza per aiutarla a realizzare scelte nel rispetto delle differenze, dei bisogni e dei confini individuali e familiari;
b) promuovere la comunicazione e la condivisione delle emozioni all'interno della famiglia per sostenere il processo di elaborazione del lutto;
c) monitorare l'andamento del processo di elaborazione del lutto individuale e familiare, anche attraverso il confronto telefonico con un U.psi., per essere in grado di riconoscere l'opportunità di consigliare un eventuale intervento psicologico;
d) accompagnare il militare ferito e i suoi familiari durante la degenza ospedaliera per manifestare la vicinanza partecipe e fattiva della forza armata;
e) promuovere la comunicazione e la condivisione delle emozioni all'interno della famiglia per favorire la ricerca di nuovi equilibri nel post-emergenza;
f) monitorare il periodo di convalescenza e di reinserimento sociale/lavorativo per riconoscere l'opportunità di consigliare un eventuale intervento psicologico;

appare agli interroganti che tali attività ad elevati caratterizzazione psicologico relazionale non passano essere affidate a soggetti in possesso dei requisiti in premessa, e nella circostanza sembrano delinearsi diversi profili di dubbia conformità alla normativa. Per converso appare opportuno l'attribuzione a personale con competenza avanzate nel settore ed in possesso di titolo universitario dell'area psicologica, delle professioni sanitarie infermieristiche e della riabilitazione;
agli interroganti appare altresì decisamente insufficiente un percorso formativo, che nella parte teorica ed applicativa, ha una durata di 45 ore complessive, per l'acquisizione di competenze nella gestione di questa attività ad altissimo impatto etico sociale -:
siano state elaborate specifiche linee guida, protocolli e procedure per l'espletamento

della specifica attività sulla base della letteratura e delle evidenze scientifiche di riferimento;
quali siano le motivazioni per cui non si è preferito ricorrere, attraverso una indagine all'interno della forza armata, a personale in possesso di formazione e competenze nel settore psicologico relazionale e sanitario già in servizio nell'Esercito;
quali urgenti iniziative intenda assumere il Ministero della difesa per la problematica segnalata.
(4-11360)

Risposta. - L'Esercito italiano ha emanato, da tempo, specifiche direttive e procedure per garantire ai militari colpiti da eventi di particolare gravità e ai loro familiari l'assistenza morale, psicologica ed economico/materiale prevista dalle disposizioni di legge vigenti.
Tuttavia, l'esperienza conseguita negli anni ha reso sempre più evidente la necessità di operare una netta distinzione, separando l'attività di supporto morale da quella di supporto psicologico che, ancorché possano apparire simili, si differenziano di fatto in termini di obiettivi, modalità e strumenti.
Ciò posto, il coadiutore socio-assistenziale, le cui funzioni sono delineate nella relativa
job description, esplica la sua azione a livello operativo-basilare e solo relativamente alla sfera del supporto morale, nel cui ambito si collocano gli interventi volti a sostenere i familiari del militare deceduto, ammalatosi o che sia rimasto ferito, in assenza di una loro esplicita richiesta di supporto psicologico.
Il coadiutore socio-assistenziale opera sempre sotto il coordinamento e il controllo dell'ufficiale psicologo che, più in generale, ha il compito, di monitorare la situazione. In particolare svolge la sua attività nell'ambito di team di sostegno costituiti da diverse figure professionali (comandante, ufficiale medico, ufficiale psicologo, cappellano militare, commilitoni) che intervengono in caso di gravi eventi.
Si tratta di un lavoro di
équipe in cui ognuno dei componenti agisce nell'ambito della propria specifica professionalità e sulla base delle proprie competenze, in favore della salute fisica e del sostegno morale, psicologico e spirituale della famiglia che sta vivendo una situazione d'immane dolore.
Il percorso formativo-valutativo del coadiutore socio-assistenziale ha una durata complessiva di 72 ore - diversamente da quanto affermato in premessa all'interrogazione - ed è preceduto da una fase di selezione, durante la quale ufficiali psicologi dalla consolidata esperienza nel campo del supporto alle famiglie, provvedono a esaminare la congruenza motivazionale dei candidati, e a valutarne l'idoneità attitudinale.
Più nel dettaglio la fase formativa comprende:
un modulo teorico, volto a trasferire le conoscenze e le informazioni basilari per svolgere i semplici compiti operativi connessi al supporto morale (36 ore);
un modulo applicativo, gestito da ufficiali psicologi, durante il quale si potenziano le capacità relazionali degli aspiranti coadiutori attraverso
role playing e attività di gruppo (36 ore).

Il personale militare specialistico ha più volte evidenziato che la consapevole richiesta di supporto psicologico da parte di coloro che ne avvertono la necessità è di fondamentale importanza per promuovere qualsiasi intervento di sostegno psicologico o psicoterapeutico adeguato a rispondere alle singole esigenze.
In particolare, l'attività di supporto psicologico viene avviata solo quando la famiglia, informata dal coadiutore socio-assistenziale in merito alla disponibilità di uno specialista e non appena superata la fase iniziale del dolore, avanzi un'esplicita richiesta in tal senso.
Al contrario, nelle prime fasi risulta fondamentale per la famiglia del militare coinvolto in un tragico episodio poter contare su un riferimento rassicurante (per l'appunto, il coadiutore socio assistenziale), cui potersi rivolgere per far fronte a numerose problematiche, molto spesso impensate

e impensabili, di carattere prevalentemente pratico, che rappresentano la maggior parte delle richieste inoltrate dalle famiglie.
In tale ottica, è stata predisposta la «Guida al supporto alle famiglie in caso di tragici eventi» - allo stato, in fase di approvazione - i cui contenuti sono stati elaborati avvalendosi anche della letteratura pubblicata sulla delicata e complessa tematica.
Affrontando, ora, nel merito, gli specifici quesiti posti, riguardo alle «motivazioni» per le quali non si è fatto ricorso a personale qualificato in possesso dei previsti requisiti, vorrei chiarire che non è certamente preclusa, a chi sia già in possesso di formazione e di competenze nel settore psicologico relazionale e sanitario, già in servizio, la possibilità di candidarsi per la frequentazione del corso di formazione richiamato dall'interrogante.
Da notare, comunque, che agli ufficiali psicologi sono riservati, nell'ambito dei gravi eventi, compiti peculiari della professione; l'intervento di sostegno psicologico vero e proprio a contatto con i familiari coinvolti, infatti, si concretizza sulla base di una loro effettiva richiesta, una volta superata la fase iniziale traumatica, dovuta alla perdita o a una grave malattia di una persona cara.
L'attività dell'ufficiale psicologo prende avvio, quindi, con l'esame della richiesta di aiuto da parte del «paziente», insieme al quale lavora per realizzare un adeguato contesto psicologico che necessita di una chiara definizione di aspetti legati al «contratto della relazione d'aiuto» (ad esempio il luogo, il numero, la frequenza, la durata degli incontri o altro).
Tale attività potrà essere svolta soltanto e unicamente dallo psicologo e mai dal coadiutore socio-assistenziale: ecco perché è opportuno tenere separati e ben distinti, come già detto, i due ambiti d'intervento.
Con riferimento, invece, alle iniziative da adottare per «la problematica segnalata», devo premettere che il sempre più frequente impegno di personale della Forza armata in attività operative sia sul territorio nazionale sia all'estero, ha comportato per i nostri militari un aumento del rischio d'incidenti in servizio, in operazioni e in addestramento, senza tralasciare l'aumento del numero di incidenti stradali correlabili al diffuso fenomeno del «pendolarismo».
Conseguentemente, la problematica assistenziale di supporto ai militari e alle loro famiglie ha assunto un ruolo di crescente importanza, che richiede necessariamente un attento potenziamento e una scrupolosa organizzazione della struttura a ciò deputata.
In tale contesto, l'inserimento nei
team di sostegno di un militare adeguatamente formato nell'ambito del supporto morale, con un ruolo e con funzioni ben distinti da quelli dello specialista psicologico - attivato ad hoc in casi ben definiti - comporta ima necessaria rivisitazione delle pubblicazioni attualmente in vigore nella Forza armata e un loro aggiornamento.
Le attività assistenziali condotte dalla Forza armata rappresentano un fattore che infonde fiducia in tutto il personale e, in particolare, nei numerosi militari periodicamente in partenza per i vari teatri operativi.
L'assistenza ai familiari dei militari colpiti da un tragico evento continua a costituire, pertanto, un dovere prioritario per la Forza armata che continuerà a perseguire tale strada nell'ottica di un continuo perfezionamento delle attività poste in essere, tenendo conto dei riscontri ricevuti e dell'esperienza maturata.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa è possibile apprendere che il Ministro interrogato il 22 maggio 2011 ha dichiarato che «pochi sanno che da due anni il mio ministero ha già una sede a Milano, presso la caserma di piazza Novelli. Io ho un mio ufficio, ma non ho fatto di questo un annuncio particolare»;

la caserma alla quale si riferisce il Ministro è la sede del comando 1° regione aerea dell'Aeronautica militare ed è normale che il Ministro interrogato possa utilizzare le strutture del suo dicastero per svolgere i suoi compiti istituzionali quando è in visita presso gli enti e reparti delle Forze armate in quanto diversamente, ad avviso degli interroganti, ci si dovrebbe chiedere le ragioni della costituzione di quello che potrebbe essere considerato, ad avviso degli interroganti, una sorta di secondo «Gabinetto ministeriale» le cui eventuali spese di gestione graverebbero ingiustificatamente sul bilancio della Difesa -:
quali siano state le ragioni di una simile dichiarazione e quali siano state fino ad oggi le eventuali spese sostenute per il mantenimento dell'ufficio di cui in premessa.
(4-12036)

Risposta. - In merito ai quesiti dell'interrogante, chiarisco che mi avvalgo per le esigenze di istituto, peraltro in modo non continuativo, di una infrastruttura, ubicata presso il comando della regione aerea di Milano (sito in piazza Novelli), il cui utilizzo, nel suo complesso, non comporta nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il giorno 4 giugno 2011 sul sito web http://it.peacereporter.net/ è stato pubblicato un articolo a firma di Maso Notarianni dal titolo «Cristiano Congiu: parla il ragazzo afgano che il carabiniere ha ferito»;
nell'articolo si legge «Una testimonianza e due agenzie a confronto. Rimane da capire cosa ci facesse il carabiniere Congiu nel Panjshir. La testimonianza: "Io ed un mio amico stavamo salendo dal bazar alla montagna con un asino carico di cibo. Il sentiero era stretto e dalla montagna al bazar stavano scendendo il carabiniere italiano e una donna. Quando ci siamo incrociati l'asino ha urtato la donna e ho tentato di spostare l'asino. Immediatamente l'italiano ha tirato fuori la pistola. Quando ho visto l'arma pensavo stesse scherzando... Invece mi ha sparato. Il mio compagno è scappato ed è andato al bazar ad avvisare gli abitanti dell'accaduto. Dopo un po' di tempo sono tornate altre persone che prima hanno picchiato con bastoni e pietre l'italiano, poi gli hanno sparato e se ne sono andati". La testimonianza l'ha resa Mohtaudin, 24 anni, ricoverato e operato di urgenza venerdì 3 giugno all'ospedale di Emergency di Anabah, nella valle del Panjshir, per lesioni di arma da fuoco al fegato e a un rene, che gli è stato asportato. È lui il giovane afgano a cui Cristiano Congiu ha sparato. Numerosi altri testimoni hanno raccontato che l'italiano e la cittadina statunitense erano andati a visitare le miniere di smeraldi della zona di Khinch, nel Panjshir. Queste invece le agenzie uscite oggi. 9.45 Un ufficiale dei carabinieri - il tenente colonnello Cristiano Congiu, 50 anni, di Roma - è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco in Afghanistan, dove era in servizio presso l'ambasciata italiana a Kabul come esperto antidroga. Lo apprende l'ANSA da fonti dell'Arma, le quali precisano che si è trattato di un fatto di criminalità comune, da non mettere in relazione alla sua attività. 09.56 Secondo una prima ricostruzione, Congiu - ufficiale della Dcsa, la Direzione centrale dei servizi antidroga, a Kabul dal 2007 - si trovava in una località della valle del Panjshir, nell'Afghanistan nord orientale, insieme a due suoi conoscenti di vecchia data, entrambi civili: un afgano (che aveva anche frequentato l'Accademia militare di Modena, 6 o 7 anni fa) e una donna americana. Durante questo loro viaggio - stando alle informazioni finora apprese da fonti dell'Arma - hanno incrociato un gruppo di afgani. Uno di questi, un giovane, per motivi ancora imprecisati avrebbe afferrato la donna, sbattendola

violentemente contro un muro. Il tenente colonnello Congiu ha interpretato questo atto come un'aggressione nei loro confronti e ha fatto fuoco con la sua pistola, ferendo lievemente al fianco il ragazzo. Gli altri afgani sono scappati e lo stesso militare dell'Arma ha prestato le prime cure al giovane: stava per caricarlo in auto e trasportarlo in ospedale, quando i compagni del ragazzo ferito sono tornati, questa volta insieme ad altri uomini armati. Questi, da lontano, hanno sparato tre colpi di kalashnikov, uno dei quali ha centrato alla testa Congiu, che è morto sul colpo. La donna americana e l'afgano sono riusciti a raggiungere la loro vettura e a scappare. Al primo posto di polizia afgano, a circa un chilometro, hanno denunciato l'episodio. Le forze di sicurezza locali si sono recate sul posto ed hanno recuperato il corpo dell'ufficiale. Durante successive ricerche è stato individuato il ragazzo ferito, che è stato arrestato. 12.23 Un cittadino americano che si trovava nella provincia centrale afgana del Panjshir per turismo è stato ucciso oggi a bastonate durante una dura lite con alcuni abitanti del distretto di Khanj. Lo ha riferito l'agenzia di stampa Pajhwok. Atta Mohammad Amiri, responsabile del consiglio provinciale, ha indicato all'agenzia che l'americano stava visitando la Valle di Mokni insieme ad una donna che, in un confuso incidente con un afgano che guidava un carretto tirato da un asino, è caduta e ha rischiato di finire in una scarpata. Mentre il carrettiere cercava di salvare la donna, ha ancora detto Amiri, il cittadino americano ha estratto un arma e lo ha ferito. A questo punto un gruppo di abitanti della zona che avevano assistito all'incidente, ha sostenuto un testimone oculare, Mohammad Musa, hanno assalito l'uomo uccidendolo a colpi di bastone e di pietre. Il capo della polizia provinciale, generale Qasim Jangalbagh, non ha rivelato l'identità della vittima, limitandosi a segnalare che non si trattava di un militare e che cinque persone sono state arrestate con l'accusa di omicidio. Rimane da capire, e qualcuno dovrebbe chiederlo formalmente al nostro ministro della Difesa, cosa ci facesse un Carabiniere italiano, armato, in compagnia di una cittadina statunitense in visita alle miniere di smeraldi della zona di Khinch, a oltre cinque ore di macchina da Kabul» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'articolo in premessa e se i fatti in esso narrati corrispondano al vero;
per quali motivi il tenente colonnello Cristiano Congiu si trovasse in visita alle miniere di smeraldi della zona di Khinch, se vi si trovasse per ragioni del suo servizio e nel caso quali fossero gli ordini ricevuti e quali compiti stesse assolvendo.
(4-12193)

Risposta. - Il tenente colonnello Cristiano Congiu è deceduto il 3 giugno 2011 in Afghanistan, ove svolgeva servizio quale esperto per conto della Direzione centrale dei servizi antidroga-dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
Si precisa, come comunicato dal competente Ministero dell'interno, che la presenza del militare, presumibilmente libero dal servizio, nella Valle del Panjshir, non era riconducibile ad alcuna missione autorizzata dalla direzione centrale dei servizi antidroga del predetto dipartimento di pubblica sicurezza.
Relativamente, invece, alle indagini sulla vicenda, sottolineo che le stesse sono state delegate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma al raggruppamento operativo speciale e sono tuttora in corso e coperte dal segreto.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da fonti di stampa si è appreso che nel corso del vertice di due giorni dei Ministri della difesa della Nato, il cui inizio era programmato il giorno 8 giugno a Bruxelles, il Ministro interrogato si è

presentato con un ritardo di 6 ore che ha permesso al Ministro della difesa spagnolo di chiedere e ottenere l'assegnazione del comando del Combined air operation center (CAOC) dell'Europa meridionale, che quindi sarà spostato da Poggio Renatico (FE) in Spagna;
sempre da fonti di stampa si è appreso che le funzioni del CAOC sono quelle di coordinamento e controllo della catena di sorveglianza radar dello spazio aereo dei paesi della Nato dell'Europa meridionale tra cui anche quello italiano. La perdita del comando del CAOC rappresenta un irreparabile danno per la difesa dello spazio aereo italiano e, secondo gli interroganti, dimostra la scarsa considerazione di cui gode il Ministro interrogato nell'ambito dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (Nato) e dei vertici internazionali;
già in passato lo stesso Ministro, come risulta dalle medesime fonti di stampa, ha fatto mancare la sua presenza a un vertice Nato urgente indetto per discutere di come affrontare una emergenza dell'area nord africana. Nell'articolo «La Russa diserta il vertice della Nato "Mi spiace, ma c'è il voto di fiducia«" pubblicato da la Repubblica del 25 febbraio 2011 si legge, infatti, che «Ignazio La Russa fa spallucce e spiega: "Avrei dovuto essere a Budapest, dove, in maniera imprevista si recato Rasmussen, ad una riunione informale. Avevo in origine deciso di non partecipare per la concomitanza con il voto di fiducia. Solo che una riunione di scarso rilievo è diventata poi importante«" -:
quali siano stati gli impedimenti che hanno determiNato il considerevole ritardo nella partecipazione del Ministro interrogato al vertice dei Ministri della difesa della Nato, il cui inizio era programmato nella mattinata del giorno 8 giugno 2011 a Bruxelles.
(4-12414)

Risposta. - A premessa, desidero subito sottolineare come nella recente riunione dei Ministri della difesa della Nato si sia giunti, tra l'altro, all'approvazione della nuova struttura di comando: si è trattato di una decisione fondamentale, frutto di una lunga concertazione, che consentirà all'alleanza di disporre di un'architettura più funzionale alle nuove esigenze e coerente con l'obiettivo di ridurre l'attuale numero dei comandi (da 13 a 9) e il personale assegnato (da 13.200 a 8.800 unità), in un'ottica di contenimento dei costi.
È di tutta evidenza che tutto ciò ha comportato l'accettazione da parte delle nazioni
partner di una bilanciata riduzione della presenza di strutture alleate sui propri territori.
Ciò vale anche per l'Italia che oggi ospita diversi enti e comandi Nato - a differenza di altri Paesi, cito Gran Bretagna, Turchia e Spagna sul cui territorio insiste un'unica struttura - e che è riuscita a conservare come ci si proponeva - uno dei due comandi operativi regionali, il
Joint Force Command di Napoli.
Per quanto riguarda i comandi delle operazioni aeree, è prevista una riduzione da 4 a 2 dei centri combinati per le operazioni aeree, i cosiddetti
Combined Air Operation Centre (Caoc). Nel contempo, la Nato ha deciso di costituire un Centro proiettabile di comando e controllo aereo (Daccc), necessario per rispondere all'esigenza derivante dagli attuali e prevedibili scenari operativi e idoneo a gestire operazioni aeree in qualunque area di crisi, colmando una lacuna oggi esistente nella struttura militare dell'alleanza.
L'Italia, accettando il trasferimento del Caoc da Poggio Renatico alla Spagna - che per inciso ha dovuto rinunciare al Comando terrestre di Madrid a favore della Turchia - ha acquisito questa innovativa struttura di comando che sarà attivata e ospitata proprio a Poggio Renatico. Si tratta di un centro che, oltre a disporre di tecnologie all'avanguardia, si configura come un assetto di alta valenza operativa, più complesso ed avanzato dell'attuale Caoc, con un organico superiore di circa 100 unità.
Faccio osservare che il trasferimento del Caoc in Spagna non comporta sostanziali ripercussioni per la difesa aerea nazionale

e, quindi, per la sicurezza del nostro spazio aereo. A Poggio Renatico, infatti, resterà attivata la struttura di gestione delle operazioni aeree nazionali, che ovviamente continuerà a essere integrata nell'ambito dell'alleanza, come accade in Gran Bretagna e in Francia, che da tempo non ospitano Caoc Nato.
Si tratterà anche per noi di adeguare le procedure al nuovo assetto per continuare a conciliare le funzioni Nato e la salvaguardia delle prerogative nazionali, la cui responsabilità risale per legge al Capo di Stato maggiore dell'aeronautica.
Quanto alla mia «assenza alla riunione citata in premessa», ho già riferito presso l'Assemblea della Camera dei deputati il 29 giugno 2011, in risposta al
question time presentato dall'onorevole Raisi.
Come ho avuto modo di dire in quella circostanza, essendo la riunione chiave sulla nuova struttura di comando prevista solo in serata, ho deciso di giungere in tempo per la fase decisiva del vertice.
Infatti, al mio arrivo a Bruxelles ho subito partecipato a un incontro ristretto con il Segretario generale Rasmussen e con il Segretario della difesa americano Gates, proprio per trattare e trovare una soluzione al problema della nuova struttura di comando.
L'Italia, attraverso me, ha potuto così giocare un ruolo determinante per contribuire al conseguimento di questo fondamentale obiettivo della Nato, ponendo le giuste condizioni a tutela degli interessi nazionali.
Tra l'altro, ho ottenuto anche l'impegno personale del Segretario della Nato, affinché l'attivazione del Caoc spagnolo avvenga solo dopo l'entrata in funzione del Daccc a Poggio Renatico.
In sintesi, va oggettivamente riconosciuto che l'Italia si è mossa attivamente, con approccio costruttivo - come sempre, direi - per giungere a un accordo per una struttura di comando più funzionale, più coerente con i nuovi scenari e soprattutto meno onerosa sul piano finanziario, contribuendo a superare posizioni e irrigidimenti - voglio dirlo chiaramente - talvolta anche pretestuosi e strumentali di alcuni
partner.
La riduzione dei comandi rispetta criteri di bilanciamento fra le nazioni attraverso una soluzione di compromesso equa ed equilibrata; l'Italia continuerà ad ospitare una consistente aliquota di strutture Nato, tra cui il comando di Napoli, che assicurerà una valenza e una visibilità coerente con il nostro importante contributo all'alleanza.
In questo disegno di ottimizzazione riduttiva l'Italia ha, inoltre, ampiamente compensato il trasferimento del Caoc da Poggio Renatico acquisendo la nuova struttura di comando proiettabile e pretendendo che l'avvicendamento sia attuato senza soluzione di continuità.
In sostanza, abbiamo garanzia che il Caoc continuerà ad essere rilocato in Italia fino a quando la nuova struttura del Daccc sarà operativa.
Concludo facendo notare all'interrogante che quanto abbiamo deciso con gli alleati e il risultato complessivo del vertice di Bruxelles accrescono il ruolo politico e strategico dell'Italia, confermando, ancora una volta, il peso e la centralità del nostro Paese in ambito internazionale, come, peraltro, ha riconosciuto lo stesso Segretario Generale della Nato affermando che «l'Italia ha fatto un buon affare e non è giusto criticare La Russa. Intanto, l'Italia, ha fatto un buon affare perché avrà un comando aereo nuovo, moderno, orientato al futuro. Nella mia proposta, avevo suggerito un personale di 185 addetti, e La Russa ne ha ottenuto invece 280. Ha negoziato, li ha avuti: per questo dico che è sbagliato criticarlo. L'Italia è per noi un forte alleato, i suoi
leader politici sono sempre molto flessibili nel trovare le soluzioni: noi siamo un'alleanza basata sul consenso e abbiamo bisogno di questa flessibilità.».
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in un articolo dal titolo «Nessuna riduzione per la base radar - Poggio

Renatico, il generale Ottone spiega la situazione "Non ci sarà alcun impatto negativo sul territorio«", pubblicato sul quotidiano La Nuova Ferrara, del 25 giugno 2011, si legge che il generale Mario Renzo Ottone, comandante Coa (Comando operazioni aeree), rispondendo alla domanda formulata dal giornalista nel corso di una conferenza stampa «Di conseguenza saranno quindi gli spagnoli a garantire, in futuro, il controllo e la sicurezza dello spazio aereo italiano?», ha risposto: «Più esatto e corretto dire che da un sito spagnolo, con personale Nato che comprenderà una quota di italiani, verrà garantita la sicurezza dei cieli della nostra Nazione» -:
quali immediate iniziative si intendano adottare per acquisire nuovamente l'effettivo, diretto e pieno controllo dello spazio aereo italiano.
(4-12486)

Risposta. - A premessa, desidero subito sottolineare come nella recente riunione dei Ministri della difesa della Nato si sia giunti, tra l'altro, all'approvazione della nuova struttura di Comando: si è trattato di una decisione fondamentale, frutto di una lunga concertazione, che consentirà all'Alleanza di disporre di un'architettura più funzionale alle nuove esigenze e coerente con l'obiettivo di ridurre l'attuale numero dei Comandi (da 13 a 9) e il personale assegnato (da 13.200 a 8.800 unità), in un'ottica di contenimento dei costi.
È di tutta evidenza che tutto ciò ha comportato l'accettazione da parte delle nazioni
partner di una bilanciata riduzione della presenza di strutture alleate sui propri territori.
Ciò vale anche per l'Italia che oggi ospita diversi enti e comandi Nato - a differenza di altri Paesi, cito Gran Bretagna, Turchia e Spagna sul cui territorio insiste un'unica struttura - e che è riuscita a conservare come ci si proponeva - uno dei due comandi operativi regionali, il
Joint Force Command di Napoli.
Per quanto riguarda i comandi delle operazioni aeree, è prevista una riduzione da 4 a 2 dei Centri combinati per le operazioni aree, i cosiddetti
Combined Air Operation Centre (Caoc). Nel contempo, la Nato ha deciso di costituire un Centro proiettabile di comando e controllo aereo (Daccc), necessario per rispondere all'esigenza derivante dagli attuali e prevedibili scenari operativi e idoneo a gestire operazioni aeree in qualunque area di crisi, colmando una lacuna oggi esistente nella struttura militare dell'Alleanza.
L'Italia, accettando il trasferimento del Caoc da Poggio Renatico alla Spagna - che per inciso ha dovuto rinunciare al Comando terrestre di Madrid a favore della Turchia - ha acquisito questa innovativa struttura di comando che sarà attivata e ospitata proprio a Poggio Renatico. Si tratta di un centro che, oltre a disporre di tecnologie all'avanguardia, si configura come un assetto di alta valenza operativa, più complesso ed avanzato dell'attuale Caoc, con un organico superiore di circa 100 unità.
Faccio osservare che il trasferimento del Caoc in Spagna non comporta sostanziali ripercussioni per la difesa aerea nazionale e, quindi, per la sicurezza del nostro spazio aereo. A Poggio Renatico, infatti, resterà attivata la struttura di gestione delle operazioni aeree nazionali, che ovviamente continuerà a essere integrata nell'ambito dell'Alleanza, come accade in Gran Bretagna e in Francia, che da tempo non ospitano Caoc Nato.
Si tratterà anche per noi di adeguare le procedure al nuovo assetto per continuare a conciliare le funzioni Nato e la salvaguardia delle prerogative nazionali, la cui responsabilità risale per legge al Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica.
Prima della riunione sulla nuova struttura di comando - prevista solo in serata - ho partecipato a un incontro ristretto con il Segretario generale Rasmussen e con il Segretario della Difesa americano Gates, proprio per trattare e trovare una soluzione al problema della nuova struttura di comando.
L'Italia, attraverso me, ha potuto così giocare un ruolo determinante per contribuire al conseguimento di questo fondamentale

obiettivo della Nato, ponendo le giuste condizioni a tutela degli interessi nazionali.
Tra l'altro, ho ottenuto anche l'impegno personale del Segretario della Nato, affinché l'attivazione del Caoc spagnolo avvenga solo dopo l'entrata in funzione del Daccc a Poggio Renatico.
In sintesi, va oggettivamente riconosciuto che l'Italia si è mossa attivamente, con approccio costruttivo - come sempre, direi - per giungere a un accordo per una struttura di comando più funzionale, più coerente con i nuovi scenari e soprattutto meno onerosa sul piano finanziario, contribuendo a superare posizioni e irrigidimenti - voglio dirlo chiaramente - talvolta anche pretestuosi e strumentali di alcuni
partner.
La riduzione dei comandi rispetta criteri di bilanciamento fra le nazioni attraverso una soluzione di compromesso equa ed equilibrata; l'Italia continuerà ad ospitare una consistente aliquota di strutture Nato, tra cui il Comando di Napoli, che assicurerà una valenza e una visibilità coerente con il nostro importante contributo all'Alleanza.
In questo disegno di ottimizzazione riduttiva l'Italia ha, inoltre, ampiamente compensato il trasferimento del Caoc da Poggio Renatico acquisendo la nuova struttura di comando proiettabile e pretendendo che l'avvicendamento sia attuato senza soluzione di continuità.
In sostanza, abbiamo garanzia che il Caoc continuerà ad essere rilocato in Italia fino a quando la nuova struttura del Daccc sarà operativa.
Concludo facendo notare all'interrogante che quanto abbiamo deciso con gli alleati e il risultato complessivo del vertice di Bruxelles accrescono il ruolo politico e strategico dell'Italia, confermando, ancora una volta, il peso e la centralità del nostro Paese in ambito internazionale, come, peraltro, ha riconosciuto lo stesso Segretario Generale della Nato affermando che «l'Italia ha fatto un buon affare e non è giusto criticare La Russa. Intanto, l'Italia, ha fatto un buon affare perché avrà un comando aereo nuovo, moderno, orientato al futuro. Nella mia proposta, avevo suggerito un personale di 185 addetti, e La Russa ne ha ottenuto invece 280. Ha negoziato, li ha avuti: per questo dico che è stagliato criticarlo. L'Italia è per noi un forte alleato, i suoi
leader politici sono sempre molto flessibili nel trovare le soluzioni: noi siamo un'alleanza basata sul consenso e abbiamo bisogno di questa flessibilità.».
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

VELO, META, BOFFA, BONAVITACOLA, CARDINALE, FIANO, GASBARRA, GENTILONI SILVERI, GINEFRA, LARATTA, PIERDOMENICO MARTINO, GIORGIO MERLO, TULLO e LOVELLI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro delle pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
da articoli pubblicati recentemente su numerosi quotidiani, si apprende che la motorizzazione civile di Bari si è rifiutata di rilasciare il rinnovo della patente ad un cittadino, il signor Cristian Friscina, perché omosessuale, pertanto, «affetto da una grave patologia che pregiudica la capacità di guida»;
in realtà la patente di guida del signor Friscina era stata già sospesa da nove anni, a seguito della trasmissione alla competente Motorizzazione civile, da parte del distretto militare, del fascicolo personale del medesimo, dal quale risultava che, a causa della sua omosessualità dichiarata, era stato esonerato dal servizio militare;
la sorprendente vicenda di cui trattasi contiene un ulteriore motivo di sconforto, in quanto, comunicare al signor Friscina l'impossibilità del rinnovo della patente, lo stesso è stato invitato richiedere la speciale abilitazione per i disabili;
lo sconcertante episodio riproduce la vicenda capitata qualche tempo fa al signor Danilo Giuffrida, il quale, analogamente al signor Friscina, si era visto sospesa la patente di guida perché dichiaratosi

omosessuale durante la visita di leva. Il Signor Giuffrida, impugnato presso il tribunale ordinario il provvedimento di sospensione della patente, aveva, giustamente, ottenuto un risarcimento di ventimila euro da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e di quello della difesa;
tale circostanza avrebbe dovuto, ovviamente, provocare da parte dei Ministri interrogati l'immediata informativa agli uffici periferici delle rispettive amministrazioni di competenza, circa l'opportunità di evitare in futuro il ripetersi di simili grottesche decisioni. Ciò evidentemente non è avvenuto;
risulta veramente difficile per una persona dotata di normali capacità cognitive comprendere per quale ragione una circostanza idonea a determinare l'esonero dal servizio militare debba necessariamente provocare la sospensione della patente di guida, in particolare se tale circostanza attiene agli orientamenti sessuali dell'interessato -:
se non reputino i Ministri interrogati di doversi attivare, ancorché in grave ritardo, per evitare il ripetersi di fatti tanto grotteschi, quanto ingiusti per chi li subisce, come quelli esposti in premessa;
se non reputino, in particolare, di informare finalmente gli uffici periferici delle amministrazioni di loro competenza circa le conseguenze, anche patrimoniali, in danno dello Stato che potrebbero derivare dall'adozione di provvedimenti incauti e irragionevoli come quello di sospensione della patente.
(4-11934)

Risposta. - In riferimento alla spiacevole circostanza che ha coinvolto il signor Cristian Friscina si fa presente che con nota del 14 gennaio 2000, l'Ospedale militare Bonomo di Bari comunicava all'Ufficio provinciale della motorizzazione di Brindisi che il Friscina presentava delle patologie che «potrebbero risultare di pregiudizio per la sicurezza della guida».
A fronte di tale segnalazione, che non individuava in modo specifico una particolare patologia ma segnalava la sola esistenza di possibili pregiudizi per la sicurezza della guida, l'Ufficio della motorizzazione disponeva doverosamente, con provvedimento del 14 gennaio 2000 ai sensi dell'articolo 128 del Codice della strada, la revisione della patente del signor Friscina mediante sottoposizione a visita medica presso la Commissione medica locale.
Di tale provvedimento di revisione il signor Friscina, tuttavia, veniva a conoscenza solo in data 21 dicembre 2010, in occasione della richiesta di rinnovo della patente nel frattempo scaduta.
In data 20 gennaio 2011, il signor Friscina presentava ricorso gerarchico alla Direzione generale sud e Sicilia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avverso il detto provvedimento di revisione; con decreto n. 237/11 del 20 aprile 2011, tale ricorso veniva accolto con conseguente annullamento dello stesso provvedimento di revisione.
La situazione è dunque, ad oggi, completamente risolta in quanto la patente del signor Friscina è stata rinnovata fino al 4 giugno 2019. Si specifica, inoltre, che l'interessato non ha subito alcun provvedimento di sospensione della patente.
Ciò premesso, in relazione al provvedimento di revisione del 2000, è opportuno far osservare l'assoluta estraneità dell'Ufficio della motorizzazione e la correttezza dell'operato dello stesso. Infatti l'Ufficio non ha disposto la detta revisione in ragione dell'orientamento sessuale del Friscina, che ignorava e di cui è venuto a conoscenza solo ultimamente, bensì esclusivamente e doverosamente a seguito della comunicazione dell'Ospedale militare Bonomo di Bari.
L'articolo 128 del Codice della strada prevede, infatti, che gli uffici della motorizzazione «possono disporre che siano sottoposti a visita medica presso la commissione medica locale di cui all'articolo 19, comma 4, ...i titolari di patente di guida qualora sorgano dubbi sulla persistenza nei medesimi dei requisiti fisici e psichici prescritti...».
In tali casi la revisione è disposta a seguito di segnalazioni ritenute opportune

da parte delle autorità sanitarie in relazione a stati patologici dei conducenti che potrebbero risultare pregiudizievoli per la guida. Si tratta prevalentemente di segnalazioni agli Uffici della motorizzazione che scaturiscono da visite mediche effettuate per l'accertamento della invalidità, visite medico-legali, visite di controllo presso ospedali pubblici, eccetera.
Trattasi, all'evidenza, di comunicazione tra soggetti pubblici effettuata nell'esercizio di una attività istituzionale e alla luce di un rilevante fine pubblico quale quello della tutela della sicurezza stradale.
Nel caso in esame la motorizzazione di Brindisi non poteva esimersi dall'esercitare il suo potere-dovere di disporre la revisione, ai sensi del citato articolo 128, in presenza di specifica e finalizzata comunicazione di una struttura sanitaria, in questo caso un Ospedale militare. D'altronde, l'Ufficio della motorizzazione è privo di specifiche professionalità in materia e quindi non è in grado di effettuare alcuna valutazione in merito alla segnalazione dell'Ospedale.
Del resto l'Ufficio della motorizzazione - destinatario della comunicazione dell'Ospedale militare senza alcuna indicazione relativa a eventuali patologie né tantomeno relativa all'orientamento sessuale dello stesso - non avrebbe potuto in alcun modo assumere direttamente alcuna decisione in ordine al possesso o meno dei requisiti psico-fisici senza una verifica, così come è stata disposta, da parte degli organi (le Commissioni mediche locali) a ciò preposti per legge.
Infatti il Legislatore, con il combinato disposto dagli articoli 119 e 128 del decreto legislativo n. 285 del 1992, al fine di tutelare la sicurezza della circolazione stradale, ha provveduto ad istituire speciali Commissioni mediche il cui unico compito è quello di accertare l'idoneità psico-fisica dei conducenti attraverso visite specialistiche particolari e più approfondite di quelle previste per il normale rinnovo della patente.
In conclusione, appare opportuno ribadire che il provvedimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non aveva alcun carattere discriminatorio in quanto non basato sulla valutazione dell'orientamento sessuale del Friscina, che non era evincibile né dalla comunicazione dell'Ospedale militare né conosciuto dall'Ufficio, bensì era diretto unicamente a tutelare la sicurezza della circolazione stradale a fronte di segnalazioni di patologie valutate da strutture sanitarie pubbliche, quale l'Ospedale militare.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
secondo uno studio commissionato dal Wwf ad un consulente indipendente, Accenture (Accenture development partnerships - ADP) «Il Marine Stewardship Council (Msc) è risultato il miglior sistema di certificazione dei prodotti ittici»;
lo studio ha messo a confronto sette sistemi di certificazione del pescato che usano eco-etichette sui prodotti ittici con una serie di criteri basati su le linee guida del 2005 della FAO, sugli standard sviluppati dall'International social environmental accreditation and labelling alliance (ISEAL) e sui criteri WWF per una pesca gestita in maniera ecosistemica, e quindi sostenibile;
nello studio redatto da Adp (Assessment of On-Pack, Wild-Capture Seafood Sustainability Certification Programmes and Seafood Ecolabels), Msc è tra i migliori sistemi di certificazione con un punteggio superiore al 95 per cento di conformità rispetto ai criteri utilizzati. Molte eco-etichette di prodotti ittici sono inadeguate;
il rapporto indica che ad eccezione fatta per Msc, gli altri sistemi valutati - Naturland, Friend of the Sea, Krav, AIDCP, Mel-Japan e Southern Rocklobster - non valutano i prodotti ittici secondo tutti i criteri predisposti per promuovere una

pesca sostenibile e mantenere gli oceani in buono stato di salute;
la valutazione sottolinea differenze significative nella trasparenza, disponibilità di informazioni, struttura e accuratezza degli schemi in virtù dei quali, a parte Msc, tutti gli altri schemi valutati presentano lacune sostanziali;
il Wwf evidenzia un aumento delle ecolabel sui prodotti ittici negli ultimi dieci anni a testimonianza della domanda crescente da parte dei consumatori di un pescato migliore ed il rischio che la proliferazione degli ecolabel e la variabilità di questi schemi si crei confusione, o ancora peggio, si ingeneri mancanza di fiducia da parte dei consumatori verso l'ecolabelling -:
se e come intenda promuovere l'adozione del Marine Stewardship council (Msc) come sistema di certificazione dei protti ittici.
(4-05861)

Risposta. - L'interrogazione in esame riguarda l'adozione del Marine stewardship council (Msc) come sistema di certificazione dei prodotti ittici.
Al riguardo, a prescindere che si tratta di una certificazione a carattere commerciale (nel senso che gli operatori che la richiedono devono pagare in base ad apposito sistema di tariffe per ottenerla), devo evidenziare che il proposto sistema, privato e volontario, non trova alcuna regolamentazione in ambito europeo come, ad esempio, il Reg. CE n. 710/09 in materia di acquacoltura biologica.
Peraltro, pur riconoscendo che trattasi di un valido sistema di certificazione, occorre precisare come lo stesso, particolarmente adatto ai sistemi di pesca oceanici, trascuri invece le caratteristiche della pesca mediterranea che interessa più direttamente il nostro Paese.
Per quanto sopra, non reputo opportuno promuovere l'adozione di un unico sistema di certificazione dei prodotti ittici, anche per non alterare l'equilibrio di mercato.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Francesco Saverio Romano.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
i risultati del nuovo atlante delle acque minerali geochemistry of european bottled water, appena pubblicato dall'organizzazione EuroGeoSurveys, che raggruppa 32 servizi geologici del vecchio continente, rivelano che l'acqua che si beve, in particolare quella minerale in bottiglia - nel nostro Paese diffusissima, visto che arriva nel 98 per cento delle famiglie italiane - è ricca di sostanze potenzialmente pericolose per la salute;
se i valori medi di elementi come arsenico, piombo, vanadio e antimonio contenuti nelle bottiglie esaminate nel nostro Paese (in tutto 157) sono abbastanza lontani dai limiti massimi previsti in Europa per le acque potabili in generale, è tuttavia vero che la situazione cambia, e molto, se si guardano i valori massimi di queste e altre sostanze. In una bottiglia italiana sono stati riscontrati, infatti, valori di arsenico pari a 8,91 microgrammi per litro (il limite di allarme per la salute è 10), mentre altre delle nostre acque contengono 4,69 microgrammi di berillio o 48,9 di vanadio (che ha come limite 50);
la situazione più critica è quella del manganese, metallo tossico che, se respirato, può favorire il Parkinson: un'acqua del nostro Paese contiene 292 microgrammi, a fronte di un limite europeo che per l'acqua minerale è di 500, mentre per quella del rubinetto è di appena 50 microgrammi;
la presenza di soglie di attenzione così diverse non può che suscitare qualche sospetto, visto che esistono acque minerali che superano di ben sei volte il limite stabilito per le acque del rubinetto, e non si conosce il motivo per cui le soglie siano così diverse, a livello europeo;
ancora più allarmante il fatto che per alcune sostanze i limiti non esistano proprio:

in primo luogo, per l'uranio, che nelle acque censite in Italia ha un valore medio di 1,24 microgrammi (di cui si ha anche una marca che arriva a 31), nonché per lo stronzio, che può essere radioattivo e ha un valore medio di 750 microgrammi per litro, arrivando ad un massimo di 14 mila 100;
non è solo il nostro Paese ad avere una situazione così particolare: in tutta Europa esistono valori sorprendenti, ad esempio un'acqua della Repubblica Ceca contiene 229 microgrammi di uranio, altre hanno 25 mila 500 microgrammi di stronzio, 49 di vanadio o 371 di selenio;
i ricercatori che hanno partecipato al lavoro sull'atlante spiegano che «la qualità delle acque minerali italiane è certamente superiore alla media europea» e che molte delle stranezze nei valori potrebbero essere causate da «discrepanze nelle metodiche analitiche utilizzate a livello europeo e nazionale o a cause naturali, cui non sono generalmente associabili effetti negativi sulla salute». Infatti, il contenuto «totale» di un analita nelle acque «non coincide con quello effettivamente biodisponibile per l'organismo», che potrebbe provocare effetti avversi sulla salute;
gli studi condotti in tal senso a livello nazionale ed europeo finora non avrebbero «evidenziato correlazioni tra tenori naturali elevati di sostanze inorganiche nelle acque ed effetti negativi sulla salute delle popolazioni esposte» e questo varrebbe perfino per l'uranio, sebbene un intervento in materia, magari da parte dell'Unione europea, sarebbe auspicabile;
è uno degli stessi autori del libro, Clemens Reimann del servizio geologico norvegese, ad ammettere che la vera novità emersa dalla ricerca è la scoperta di «un'enorme variabilità (fino a 7 ordini di magnitudine per alcuni elementi, tra cui l'uranio) in molti elementi contenuti nell'acqua potabile». Una novità che dovrebbe incoraggiare ulteriori studi;
secondo il tossicologo Antonio Marfella, «vanno istituiti organi che vigilino sulle fonti [...] Nell'Europa occidentale, sappiamo di vivere in una società altamente industrializzata. Praticamente ovunque, le falde acquifere sono tutt'altro che perfette. Agricoltura intensiva, pesticidi, il 30 per cento degli scarichi industriali che non si sa dove finiscano: con tali sciagure, è ovvio che una situazione del genere, caratterizzata da alta urbanizzazione e metropoli tentacolari, implica il continuo mancato rispetto delle regole. La cosa preoccupante è il fatto che le acque contengano dei cancerogeni certi. Non mi meraviglia la presenza dell'arsenico, usato da tempo nell'agricoltura: il problema è mantenerlo entro i limiti previsti dalle leggi. Va accertato a tutti i costi il rispetto delle norme di controllo: non si può essere allo stesso tempo controllato e controllore»;
continua Antonio Marfella: «Vanno creati veri organismi di controllo, meglio se terzi. Come succede ad esempio negli Stati Uniti, dove esistono delle vere garanzie di controllo. E assumersi un compito di natura sanitaria e di polizia giudiziaria» -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dello studio di cui in premessa e di quali ulteriori dati dispongano;
se non ritengano opportuno sostenere e promuovere la ricerca in materia, anche in sede europea;
se non ritengano opportuno assumere iniziative, anche normative, per affidare le operazioni di controllo sui valori delle sostanze presenti nelle nostre acque ad organismi specializzati e terzi, al fine di assicurare la trasparenza, la pubblicità, la regolarità e la qualità delle analisi.
(4-08624)

Risposta. - Il Ministero della salute risponde all'interrogazione in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei Ministri, entro gli ambiti di competenza: pertanto, in via preliminare, occorre evidenziare che le acque potabili e le acque minerali appartengono a due distinte tipologie di prodotti, disciplinate a livello comunitario e a livello nazionale da altrettanto

distinte norme legislative; il decreto legislativo n. 31 del 2 febbraio 2001 (attuazione della direttiva 98/83/CE), per le acque potabili destinate al consumo umano e il decreto legislativo n. 105 del 25 gennaio 1992 e successive modifiche (attuazione della direttiva CEE n. 777/80), per le acque minerali.
In particolare l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 105 del 1992, stabilisce che le acque minerali naturali si distinguono dalle ordinarie acque potabili per la purezza originaria, per il tenore in minerali, oligoelementi e/o altri costituenti ed, eventualmente, per taluni loro effetti. Esse vanno tenute al riparo da ogni rischio di inquinamento.
Al fine di garantire la purezza originaria dell'acqua minerale, il decreto ministeriale 29 dicembre 2003, di recepimento della direttiva europea n. 2003/40/CE, elenca le sostanze o i gruppi di sostanze che non devono essere presenti nelle acque minerali.
Più precisamente, l'articolo 2, punto 2, del decreto in questione testualmente recita: «Nelle acque minerali naturali non devono essere presenti le seguenti sostanze o composti derivanti dall'attività antropica; il mancato riscontro di tali sostanze utilizzando metodi analitici con i livelli minimi di rendimento riportati in allegato II al presente decreto, del quale fa parte integrante, costituisce garanzia di qualità per l'acqua minerale:
1) agenti tensioattivi;
2) oli minerali-idrocarburi disciolti o emulsionati;
3) benzene;
4) idrocarburi policiclici aromatici;
5) antiparassitari;
6) policlorobifenili;
7) composti organoalogenati (che non rientrano nelle voci 5 e 6)».

Viceversa, nelle acque minerali possono essere presenti alcuni elementi di origine naturale, ossia non derivanti da una eventuale contaminazione della fonte, ma che possono rappresentare un rischio per la salute se presenti al di sopra di una determinata concentrazione; l'elenco di tali sostanze (antimonio, arsenico, bario, boro, cadmio, cromo, rame, cianuro, fluoruri, piombo, manganese, mercurio, nichel, nitrati, nitriti, selenio) ed i relativi limiti massimi di concentrazione sono stati stabiliti a livello europeo con la direttiva 2003/40/CE ed introdotti nella normativa nazionale con il decreto ministeriale 29 dicembre 2003.
Per quanto concerne la problematica relativa alla presenza di uranio nelle acque minerali, si segnala che tale argomento è già da tempo all'attenzione dell'Unione europea e che, nello scorso mese di gennaio, è stato oggetto di discussione nella riunione degli esperti degli Stati membri a Bruxelles; si ritiene pertanto opportuno rimanere in attesa delle iniziative che verranno assunte in sede europea.
Per quanto riguarda i controlli sulle acque minerali, occorre premettere che le disposizioni normative del settore affidano al Ministero della salute l'iniziale incarico del riconoscimento delle acque minerali, mentre attribuiscono ai competenti organi regionali gli aspetti connessi con il rilascio delle concessioni minerarie (le acque minerali sono classificate tra le sostanze minerali e, come tali, considerate patrimonio indisponibile delle Regioni), nonché l'autorizzazione e la vigilanza sulla utilizzazione e sul commercio delle acque minerali riconosciute. Questo Ministero, ai sensi dell'articolo 4, comma 3, del decreto ministeriale 29 dicembre 2003, verifica annualmente il mantenimento delle caratteristiche proprie di tutte le acque minerali riconosciute, valutando, (sentito il Consiglio superiore di sanità, nel cui ambito si esprime anche l'Istituto superiore di sanità), la certificazione analitica prodotta dalle società titolari, relativa alle analisi chimiche e microbiologiche eseguite nel corso dell'anno su prelievi alle singole sorgenti; dette analisi vengono effettuate da laboratori pubblici all'uopo autorizzati.
Per quanto riguarda i controlli ufficiali, le regioni devono esercitare l'attività di vigilanza attraverso le Aziende unità sanitarie

locali, secondo piani regionali ben precisi, su campioni prelevati alla sorgente, allo stabilimento e nei punti vendita. A questi controlli si aggiungono, inoltre, i controlli effettuati dalle aziende del settore ai fini dell'autocontrollo, come previsto dalla normativa concernente le sostanze alimentari.
Eventuali ulteriori accertamenti analitici vengono effettuati dall'Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico di elevata e provata competenza, su campioni prelevati dal Comando carabinieri-Nas durante le operazioni di controllo sul mercato; detto Istituto può svolgere controlli anche a fronte di specifiche richieste del Ministero della salute o delle regioni.

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in merito a lavori eseguiti dalla Safab spa, «Antimafia 2000 n. del 2010» segnala numerose irregolarità e violazioni di legge tra le quali la redazione del documento regione Lazio del 24 maggio 2004 a firma del dirigente area V.I.A. Bruno D'Amato e del direttore regionale Raniero De Filippis in cui si dichiarano inesistenti i siti vincolati «in seguito a sopralluogo del 12 febbraio 2004» con «l'esclusione dell'opera dal procedimento V.I.A.», disconoscendo così il rendiconto 31 gennaio 1995 del comune di Micigliano alla Regione con l'importo per il restauro dell'abbazia e sconfessando i piani paesistici regionali Zps e Sic (zona a protezione speciale, sito d'interesse comunitario) con conseguente obbligatorietà di valutazione d'impatto ed incidenza ambientale;
nel documento a firma D'Amato e De Filippis si legge infatti «Sebbene nell'area di progetto non siano segnalati ufficialmente elementi puntuali d'interesse storico-archeologico...»;
i lavori sul fiume Velino sarebbero stati eseguiti violando la legge del 20 marzo 1865, n. 2248, allegato f (manomissione alvei fluviali) e il regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 (domanda autorizzazione) ed autorizzati, dopo otto mesi dall'inizio dei lavori, dalla provincia di Rieti;
si segnala la mancata corresponsione delle somme dovute alle ditte appaltatrici che non hanno pagato gli stipendi ai lavoratori per diversi mesi e quindi contravvenendo al durc (documento unico regolarità contributiva), fatto che avrebbe dovuto comportare decadenza della certificazione Soa e dell'appalto;
infine, quanto ai lavori che hanno interessato Rocca di Cambio, ugualmente sarebbe dovuta esservi decadenza dall'appalto, in quanto il direttore tecnico d'impresa, Luigi Masciotta, è stato agli arresti per diversi mesi dal 4 agosto 2009, con obbligo di firma -:
per quale motivo l'Anas che sovrintende i lavori non abbia ottemperato alle leggi in materia.
(4-10437)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si comunica che la Società Safab S.p.a. risultava titolare del contratto di appalto n. 6897, datato 17 luglio 2008, in quanto aggiudicataria della gara di appalto integrato relativo ai lavori di realizzazione del collegamento viario tra la piana di Campo felice e l'Altipiano delle rocche.
La suddetta impresa aveva redatto, il progetto esecutivo, approvato dall'Anas nel gennaio 2009, e in data 12 febbraio 2009 si era proceduto alla consegna dei lavori.
Nel periodo di tempo compreso tra marzo e metà novembre 2009, la Safab S.p.a., aveva provveduto all'installazione delle strutture di cantiere e alla realizzazione di tutte le opere propedeutiche allo scavo della galleria Serralunga (metri 1299).
Successivamente, ai sensi dell'articolo 10, comma 50, del decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998 e articolo 4, comma 3 del decreto legislativo n. 490 del 1994, la prefettura di Roma, territorialmente

competente, ha emesso un'informativa interdittiva in base ad una richiesta della società Sicilacque S.p.a., che con Safab S.p.a. aveva stipulato un contratto d'appalto, in data 9 luglio 2008, per la progettazione esecutiva, l'espletamento delle procedure espropriative e l'esecuzione dei lavori per il rifacimento dell'acquedotto di Montescuro ovest.
Risulta, ora necessario specificare le motivazioni per le quali l'Anas non ha provveduto, in occasione dell'emissione di «Informazioni interdittive» nei confronti di Safab, alla rescissione del contratto di appalto. La completa ricostruzione della vicenda, di seguito riportata, renderà più comprensibile il contesto nella quale è trovata ad operare.
Il 1o dicembre 2009, la prefettura dell'Aquila aveva comunicato all'Anas che la Prefettura di Roma aveva emesso una informativa interdittiva, nei confronti dell'impresa Safab S.p.a., in ordine ad un lavoro che la citata impresa avrebbe dovuto svolgere in Sicilia per conto della società Sicilacque S.p.a.
L'11 dicembre 2009, l'/Anas al fine di valutare gli adempimenti di propria competenza in ordine ad una eventuale «risoluzione dei contratti» in corso con Safab S.p.a. aveva richiesto alla Prefettura di Roma la certificazione antimafia nei confronti dell'impresa.
Il 29 dicembre 2009 l'Anas, in mancanza di risposta, aveva richiesto nuovamente alla Prefettura di Roma la certificazione antimafia nei confronti della predetta impresa chiedendo, nel contempo, di voler specificare se si trattasse di «informativa tipica» o «atipica».
Il 22 gennaio 2010 il Consiglio di Stato aveva sospeso l'efficacia del provvedimento interdittivo emesso dalla Prefettura di Roma, nei confronti di Safab S.p.a. ed ordinato alla citata Prefettura di provvedere all'incombente istruttorio relativo al rilascio di una nuova certificazione antimafia, attesa la modifica dell'assetto societario, nel frattempo, intervenuta.
Il 22 febbraio 2010 il Consiglio di Stato - Sezione V confermava la sospensione dell'efficacia dell'interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Roma. Il 17 marzo 2010 il Consiglio di Stato - Sezione V confermava la sospensione dell'efficacia dell'interdittiva in questione.
Il 6 aprile 2010, la Safab S.p.a. comunicava la variazione del proprio assetto societario, (conferimento di ramo d'azienda da S.a.f.a.b. a Safab in ossequio all'articolo 116 del decreto legislativo 163 del 2006, con la conseguente cessione di tutti i contratti al nuovo soggetto giuridico. In tale modo, essendo stati i contratti conferiti ad un nuovo soggetto giuridico, nei cui confronti non erano pendenti provvedimenti antimafia ostativi, i lavori nei cantieri di competenza Anas proseguivano regolarmente.
Solo in data 23 novembre 2010, la prefettura di Roma, dando seguito alle note Anas S.p.a. dell'11 dicembre 2009, del 27 aprile 2010 e del 10 settembre 2010 (relative a richieste di informazioni di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 252 del 1998), informava che nei confronti di Safab S.p.a. «sussisteva la presenza di situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa» trasmettendo apposita informativa interdittiva.
Il 9 dicembre 2010, pertanto, l'Anas disponeva l'interruzione delle attività di cantiere da parte della Safab S.p.a., previa messa in sicurezza degli stessi.
Avverso tale informativa interdittiva, la nuova Safab S.p.a, ha presentato ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il quale in data 24 marzo 2011 con la sentenza 3885 ha respinto il ricorso presentato dalla suddetta Società.
Nel contempo, l'Anas ha avviato la procedura per la rescissione dei contratti in corso.
Inoltre, per quanto riguarda le osservazioni sulle procedure autorizzative di carattere ambientale dei lavori di adeguamento in sede della piattaforma stradale al tipo C 1 lungo la strada statale «Salaria» - Tratto bivio Micigliano km 113 + 200 - inizio galleria Gola del Velino km 117 + 000 - Appalto integrato - Impresa: Safab Spa, si precisa che, nel settembre del 2005 con provvedimento finale di Intesa Stato-Regione (prot. 46711 del 27 settembre 2005), l'intervento in questione veniva approvato

sia dal punto di vista della localizzazione che da quello ambientale.
Infine, circa la mancata corresponsione delle somme dovute alle ditte appaltatrici si comunica che l'ANAS ha provveduto ad emettere i relativi certificati di pagamento a seguito dell'emissione, con esito regolare, del Durc (documento unico regolarità contributiva) relativo alla Ditta appaltatrice in ottemperanza alla disposizione CDG-21518-P del 12 febbraio 2010 della Direzione centrale amministrazione e finanze.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nell'inchiesta giornalistica a cura di Gianni Lannes pubblicata su www.costruendo.lindro.it si legge che in Italia vi sarebbero armi atomiche americane per una complessiva potenza distruttiva pari a 900 volte l'effetto prodotto sulle bombe sganciate alla fine della seconda guerra mondiale dagli Usa sul Giappone (Hiroshima e Nagasaki);
nell'articolo si legge che ben «480 bombe nucleari sono dislocate in otto basi aeree in sei Paesi europei della Nato: 150 in Germania, 110 in Gran Bretagna, 90 in Italia, 90 in Turchia, 20 in Belgio e 20 in Olanda»;
gli ordigni in questione sarebbero le bombe B61, ordigni tattici affusolati adatti ad essere trasportati, fissati alle ali, dai cacciabombardieri; la loro potenza può variare da 0,3 a 170 chilotoni; quella della bomba sganciata su Hiroshima era di circa 15;
nel 2006 - secondo qualificate fonti militari Usa - 24 ordigni atomici che stazionavano in Grecia, sarebbero stati trasferiti segretamente ad Aviano;
nell'aprile 1999 il Governo italiano ha sottoscritto un accordo sulla «pianificazione nucleare collettiva» della Nato in cui si stabilisce che «l'Alleanza osserverà forze nucleari adeguate in Europa, con caratteristiche di flessibilità e capacità di sopravvivenza tali da essere percepite come un elemento credibile ed efficace nella strategia atlantica di prevenzione dei conflitti». Tale strategia, consistente nel «prevenire i conflitti» tenendo gli altri sotto mira con le proprie armi nucleari, fa propria la «Direttiva 60» promulgata nel 1997 dal presidente Clinton: essa stabilisce che «le armi nucleari non solo continuano a essere puntate su Russia e Cina, ma possono essere usate contro stati-canaglia e contro soggetti non-statali che minaccino gli Stati Uniti, le loro truppe all'estero e i loro alleati con armi di distruzione di massa, anche non nucleari»;
se così fosse si ravviserebbe secondo gli interroganti una violazione del Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari che, all'articolo 2, stabilisce: «Ciascuno degli stati militarmente non-nucleari, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, direttamente o indirettamente»;
la presenza delle armi nucleari Usa in Italia sarebbe regolata da un accordo segreto denominato «Stone Ax»: il piano «ascia di pietra» in base al quale gli Usa possono schierare armi nucleari sul nostro territorio e stabilisce il principio della doppia chiave, ossia prevede che una parte di queste armi possa essere usata dalle forze armate italiane una volta che gli Usa ne abbiano deciso l'impiego. A tal fine, documenterebbe il rapporto «piloti italiani vengono addestrati all'uso delle bombe nucleari nei poligoni di Capo Frasca (Oristano) e Maniago II (Pordenone)»;
secondo rapporti dell'U.S. Air Force, «vi sono crescenti problemi di sicurezza relativi alla conservazione di queste armi». L'aeronautica militare americana ammonisce che «la normale procedura può comportare il rischio di esplosioni nucleari accidentali se un fulmine, ad esempio, colpisse gli ordigni del tipo B61»;
l'ammiraglio (in pensione) Falco Accame, ex presidente della Commissione

difesa della Camera, avrebbe avuto occasione di affermare: «in caso di incidente, non esiste alcun piano coordinato di emergenza tra autorità militari, protezione civile, prefettura ed enti locali. È del tutto evidente che ci troviamo di fronte a una grave lesione delle prerogative democratiche del Parlamento, che rimane all'oscuro di ciò che accade nelle basi e della natura degli accordi tra Italia e Usa»;
il 10 marzo 2005, il sottosegretario alla difesa Giuseppe Drago in risposta ad un'interpellanza urgente (2/01481) aveva ammesso che «la presenza di armi nucleari in Europa, sul territorio di paesi alleati non detentori di ordigni nucleari, costituisce un aspetto essenziale del nuovo concetto strategico della NATO che assicura la copertura, ma anche il coinvolgimento dell'intera Alleanza, nel cosiddetto ombrello nucleare della NATO stessa»;
i sei Paesi che ospitano le armi atomiche possano rimuovere questa minaccia restituendo agli Usa le testate: la strada è già stata tracciata da Canada, Grecia, Danimarca e Islanda -:
se sia vero che nel territorio italiano vi sono armi nucleari americane;
in caso affermativo, quale sia il numero e la tipologia;
se sia vero che l'accordo Stone Ax regolamenta la presenza di armi nucleari americane in Italia;
se esista un piano coordinato di emergenza tra autorità militari, protezione civile, prefettura ed enti locali ed, in caso negativo, se si intenda procedere per la sua adozione;
se si intenda procedere nella restituzione delle armi atomiche agli Stati Uniti.
(4-10865)

Risposta. - Dalle conclusioni del vertice dei Capi di Stato e di Governo della Nato, svoltosi a Lisbona nel novembre 2010, sono emersi due risultati politici di rilievo, per il raggiungimento dei quali l'Italia si è fortemente adoperata.
Da un lato si è ribadita, nel testo del nuovo Concetto strategico, la necessità per l'Alleanza atlantica di tenere in adeguata considerazione la dimensione del disarmo, nucleare e convenzionale, e di farne anzi un elemento strategico della propria dottrina. Dall'altro lato, nel medesimo documento, è stata sottolineata la necessità di rendere la capacità di deterrenza dell'Alleanza meno dipendente dal fattore nucleare, per far fronte ad uno scenario di sicurezza internazionale in profonda evoluzione, con nuove, anche se non meno insidiose, sfide all'orizzonte. Si tratta peraltro della medesima impostazione che il Governo italiano aveva fatto valere nella Dichiarazione sulla non proliferazione del Vertice G8 de L'Aquila, primo strumento internazionale a menzionare l'«opzione zero».
Il nuovo Concetto strategico prospetta inoltre un'ulteriore riduzione degli arsenali nucleari della Nato in Europa, tenendo presente una riduzione complessiva degli stessi arsenali. Si tratta di un obiettivo cui occorre puntare nel preminente interesse alla sicurezza delle popolazioni dell'area, mantenendo altresì ben fermo il quadro consensuale che impegna tutti gli alleati.
La determinazione del Governo italiano verso il disarmo esce pertanto rafforzata anche dal nuovo Concetto strategico della Nato e dalla dichiarazione finale di Lisbona, e continuerà a costituire uno dei principali punti qualificanti e di riferimento della nostra azione internazionale in tale ambito.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato su La Stampa il 4 marzo risulta che a Santa Margherita Ligure, uno dei più antichi porticcioli d'Italia, un'ansa naturale fatta apposta per pescherecci, gozzi e yacht di medie dimensioni, esiste un nuovo progetto,

proposto dalla società «Santa Benessere   Social» che prevede un investimento di 70 milioni di euro, per un notevole ampliamento del porto e la riqualificazione della zona a sud (sono state già rilevate le licenze di tre stabilimenti balneari) con la creazione di un centro di talassoterapia sul modello della francese Saint Malo. Per quanto riguarda il porto l'obiettivo è di allungare la diga foranea di 80 metri e il molo di sottofluttuo di un centinaio di metri, con la creazione di 150 nuovi posti barca in grado di garantire lo stazionamento per tutto l'anno anche di maxiyacht di oltre 50 metri. Il centro di talassoterapia sarebbe invece dotato di 250 parcheggi interrati, 25 suites, piscine, campi da tennis, negozi e ristoranti. Secondo i promotori verrebbero garantiti 195 posti di lavoro più altri 350 nell'indotto, con una ricaduta annuale sul territorio di 31 milioni di euro;
i soggetti coinvolti sono imprenditori e professionisti tra i quali la «Santa Benessere   Social» che fa capo a una società lussemburghese, la Rochester Holding, a sua volta controllata da società domiciliate nelle Isole Vergini e a Panama, ma comunque riconducibili a Gabriele Volpi. Nato a Recco, 68 anni, uomo d'affari nell'indotto del petrolio e del gas attraverso la holding Intels;
accanto a Volpi, come amministratore delegato della «Santa Benessere», troviamo il costruttore Gianantonio Bandera, uomo vicinissimo al Segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone dai tempi della sua permanenza a Genova. Proprio il cardinale lo ha voluto nel consiglio di amministrazione della fondazione Magistrato di Misericordia che amministra immobili della curia genovese e nel consiglio di amministrazione della fondazione Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (Padre Pio), oltre a essere fra i realizzatori del nuovo centro dell'ospedale Bambin Gesù a Roma. Presidente della «Santa Benessere», infine, è l'avvocato Andrea Corradino, presidente di banca Carispezia (gruppo Credit Agricole), vicepresidente dello Spezia Calcio;
il soprintendente ai beni architettonici e paesaggistici per la Liguria ha espresso la propria contrarietà al progetto -:
se quanto riferito in premessa sia vero e di quali ulteriori informazioni disponga in merito il Governo;
quali iniziative si intendano promuovere per la conservazione di uno dei più antichi porticcioli d'Italia.
(4-11156)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, relativa al progetto di ampliamento del Porto di Santa Margherita ligure si osserva quanto segue.
La competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria ha precisato che non ha ancora ricevuto, né tantomeno visionato, un progetto ufficiale di quanto in esame, ma ha solamente espresso un parere informale nel corso di un incontro con gli interessati, nel quale era stata evidenziata la contrarietà dell'ufficio ad ogni intervento di trasformazione dello storico porto di Santa Margherita ligure.
Va, altresì, segnalato che non più di due anni fa la stessa Soprintendenza aveva reso parere negativo su di un altro progetto, che prevedeva un maggiore prolungamento del molo di sopraflutto e la formazione di un altro molo, ad esso perpendicolare leggermente emergente e la realizzazione di diversi pontili.
Già allora si era avuto modo di evidenziare come l'intervento avrebbe chiuso ed intasato lo specchio acqueo originale che da sempre caratterizza lo storico porto rifugio di Santa Margherita.
Si era riscontrato, infatti, che oltre a venire stravolta la conformazione tipica di un porto da sempre connotato al ricovero delle imbarcazioni di passaggio, privandolo quindi della sua configurazione storica, si sarebbero alterate e danneggiate le visuali panoramiche che si percepiscono dai numerosi punti di belvedere pubblici oggetto dei decreti ministeriali con cui il territorio è stato sottoposto a tutela paesaggistica
ex lege n. 1497 del 1939, oggi decreto legislativo n. 42 del 2004, parte III.


Pertanto, pur non avendo ancora reso alcun parere su di un progetto definitivo, si ribadisce fermamente l'intenzione e la volontà di mantenere intatta ed inalterata la conformazione storica del porto e, dunque, di evitare la modifica di quegli elementi che rendono unica nel suo genere la costa del Tigullio.
Si rende, inoltre, necessario precisare quanto segue riguardo le norme di tutela e gli strumenti pianificatori che vigono sull'area
de qua:
l'attuale porto è sottoposto, come detto sopra, a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, con decreto ministeriale 11 giugno 1954 che ne protegge, oltre alle vedute panoramiche, la ricca vegetazione arborea e le singolarità geologiche, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
la variante di Salvaguardia della fascia costiera del piano territoriale di coordinamento paesistico del 2009, senza modificare le precedenti previsioni del piano approvato nel 1990, per quanto attiene l'assetto insediativo, individua due zone distinte: attrezzatura ed impianti per la zona a mare (Ai-Ma - articolo 55) e strutture urbane qualificate (SU - articolo 35) per la zona prospiciente lo specchio acqueo; entrambe sottoposte a regime normativo di mantenimento. Per tali zone l'obiettivo della disciplina del piano territoriale di coordinamento paesistico è quello di mantenere sostanzialmente inalterato l'attuale impianto e la qualità della struttura urbana;
il Piano della costa vigente, approvato nel dicembre 2000, prevede una sistemazione del porto con un limitato allungamento della diga esistente funzionale alle opere di difesa a mare;
i progetti di cui è a conoscenza la direzione regionale, in quanto agli atti della competente Soprintendenza, sono fondamentalmente due:
uno di iniziativa pubblica, presentato in Conferenza dei servizi dall'amministrazione comunale, prima come piano particolareggiato nel 2001, poi come Sua (Strumento urbanistico attuativo) nel 2006; i progetti sono volti alla riqualificazione dell'area portuale e alla messa in sicurezza del bacino con variante connessa al Piano regolatore generale (PRG).
Nel 2006 il Comitato tecnico urbanistico regionale esamina lo Sua e ne rileva delle forti criticità soprattutto per quanto riguarda la diga di sottoflutto, sia sotto il profilo idraulico che sotto il profilo paesaggistico.
Parallelamente, nel 2005, il Provveditorato alle opere pubbliche Lombardia-Liguria, all'interno del procedimento di intesa Stato-regione ex articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, ha elaborato un progetto complessivo di opere di difesa a mare dell'area portuale, che prevedeva il prolungamento del molo di sopraflutto e la realizzazione di una diga foranea.
In Conferenza dei servizi nel 2008, viene approvato, su progetto definitivo, il primo lotto inerente solo il prolungamento del molo sopraflutto.
La Soprintendenza e la regione esprimono sul progetto un parere congiunto con prescrizioni nel quale escludono «la realizzazione di ulteriori opere a mare impattanti sul paesaggio e sulla configurazione della rada di Santa Margherita ligure con particolare riferimento al molo di sottoflutto, previo il necessario perfezionamento, al riguardo, degli atti in oggi vigenti» protocollo regionale 18484 del 2008, protocollo soprintendenza 3531 del 2008;
dal punto di vista monumentale, sulla rada si collocano beni culturali tutelati, quali il Castello, l'Oratorio di Sant'Erasmo e la chiesa San Giacomo, in stretto rapporto visivo reciproco con la marina e il mare aperto. Inoltre, si evidenziano, come aspetti da salvaguardare, le ampie visuali che si possono godere verso mare da Villa Durazzo, posta sulla mezza costa alle spalle del porto.

Con precipuo riferimento a quanto chiesto con l'interrogazione in esame, si ribadisce,

peraltro peraltro, che, anche alla competente Direzione regionale, non è stata, finora, comunicata ufficialmente alcuna notizia del progetto riferito dagli organi di stampa, né la stessa Direzione risulta coinvolta in procedimenti amministrativi riguardanti l'ampliamento del porto di Santa Margherita ligure.
Pertanto, allo stato degli atti, la stessa Direzione regionale non è in grado di dire se il progetto sia compatibile con gli strumenti di tutela e di pianificazione sopra indicati, che sono volti a garantire la salvaguardia dell'immagine storica del porto e gli equilibri antropici e ambientali consolidati.
Si rendono note, da ultimo, le segnalazioni pervenute dalla competente Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria che, su sua richiesta e su committenza delle Sede coordinata di Genova del Ministero delle infrastrutture, in funzione della realizzazione del progetto di prolungamento dell'esistente molo sopraflutto all'interno del porto di Santa Margherita ligure, ha fatto effettuare nel marzo 2008 prospezioni archeologiche subacquee preventive atte a verificare l'eventualità di rischio archeologico nell'area interessata dall'ampliamento.
L'area sottoposta ad indagine archeologica subacquea, mediante prospezione visiva diretta e riprese video-fotografiche, si è identificata con il tratto di mare prospiciente l'attuale molo che delimita il margine orientale del porto di Santa Margherita ligure. Considerata la prevista estensione verso nord per circa 78 metri di lunghezza e tenuto conto che la realizzazione del prolungamento avrebbe comportato anche la posa delle strutture di sostruzione, le prospezioni subacquee hanno riguardato anche i tratti di mare posti ad est e ad ovest della banchina esistente. Le indagini si sono svolte su un fondale compreso tra la batimetrica degli 11 metri, all'interno del porto, e quella dei 16-17 metri, sul lato esterno orientale del molo, su tutta l'area interessata dal previsto ampliamento.
Le verifiche condotte mediante prospezione in immersione diretta hanno evidenziato la presenza di numerosi rifiuti nelle vicinanze della scogliera; di reti e materiale da pesca di età contemporanea; la presenza di numerosi corpi morti, talora ancora connessi alle cime di utilizzo; di un relitto in ferro di una imbarcazione da trasporto di età contemporanea (circa 8 metri x 3-4 metri, emergente dal fondo per un'altezza di circa 1,5 metri lungo il lato ovest del molo); l'assenza di vegetazione ed ittiofauna.
Tutto il tratto di fondo marino interessato dalle indagini si presentava, comunque, uniformemente piatto e sabbioso e completamente privo di reperti di interesse storico-archeologico.

Il Ministro per i beni e le attività culturali: Giancarlo Galan.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
ai sensi dell'articolo 48 del decreto legislativo n. 82 del 2005 - Codice dell'amministrazione digitale - la posta elettronica certificata (PEC) consente l'invio di documenti informatici per via telematica con valore equivalente alle notificazioni per mezzo della posta;
DigitPA ha realizzato il sito www.paginepecpa.gov.it con l'obiettivo, di valorizzare l'iniziativa promossa dal Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione per l'assegnazione gratuita ai cittadini di caselle di posta elettronica certificata e per rendere ai cittadini attraverso il sito citato, il servizio d'indicizzazione e pubblicazione degli indirizzi di posta elettronica certificata in attuazione dell'articolo 57-bis del decreto legislativo n. 82 del 2005; risulta però arduo risalire dal sito www.paginepecpa.gov.it ai vari indirizzi di posta elettronica certificata delle Agenzie regionali per la protezione ambientale che sono gli enti preposti ai controlli ambientali

poiché con la chiave di ricerca più logica e cioè «ARPA» non esce nulla; per fare uscire un elenco delle varie arpa bisogna inserire la chiave: «agenzia regional ambient» di non facile intuizione per un cittadino medio;
in ogni caso anche procedendo in tal modo, sul sito www.paginepecpa.gov.it non c'è traccia dell'informazione per quanto riguarda le ARPA di Calabria, Basilicata, Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia, provincia di Trento, provincia di Bolzano e Campania; nonostante il preciso dettame dell'articolo 16 comma 18 decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 che così recita: «Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo n. 1 comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, e successive modificazioni, qualora non abbiano provveduto ai sensi dell'articolo 47 comma 3 lettera a) del Codice dell'Amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82, istituiscono una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo e ne danno comunicazione al Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica»;
anche volendo cercare sui singoli siti delle varie ARPA le informazioni sulla PEC risulta che, in violazione del comma 2-ter dell'articolo 54 del decreto legislativo n, 82 del 2005, così come modificato dall'articolo 34 comma 1, lettera b, della legge 18 giugno 2009 n. 69 che recita: «Entro il 30 giugno 2009, le amministrazioni pubbliche che già dispongono di propri siti sono tenute a pubblicare nella pagina iniziale del loro sito un indirizzo di posta elettronica certificata a cui il cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta ai sensi del presente codice. Le amministrazioni devono altresì assicurare un servizio che renda noti al pubblico i tempi di risposta, le modalità di lavorazione delle pratiche e i servizi disponibili»; per quanto riguarda il sito dell'ARPA Campania non è pubblicato nessun indirizzo PEC;
per quanto riguarda il sito dell'ARPA Lazio è difficile trovare la pagina che pubblica l'indirizzo della PEC poiché occorre andare nella sottopagina del menu di sinistra alla voce «dove siamo»;
per quanto riguarda il sito dell'ARPA Umbria è difficile trovare nel sito la PEC salvo che non si vada nella sottopagina del menu in alto a destra alla voce «info»;
per quanto riguarda il sito dell'ARPA Marche è pubblicata una PEC in una sottopagina del menu «gare» ma verosimilmente non è quella del protocollo generale;
per la provincia di Trento per trovare nel sito la PEC occorre andare nella sottopagina del menu sinistra alla voce «chi siamo e cosa facciamo»;
per la provincia di Bolzano l'agenzia per l'ambiente non ha un proprio sito internet ma una sottopagina nel sito dell'amministrazione provinciale: http://www. provincia.bz.it/agenzia-ambiente/;
tale situazione rende oggettivamente difficile per un cittadino che voglia acquisire informazioni tramite PEC su dati ambientali poter esercitare i diritti riconosciuti dalla convenzione di Arhus, entrata in vigore il 17 maggio 2005, e dai decreti legislativi n. 95 del 2005 e n. 82 del 2005;
l'applicazione delle norme descritte è di semplice attuazione e ciò nonostante registra un altissimo e inaccettabile tasso di evasione, reso ancora più odioso poiché proveniente dalle pubbliche amministrazioni -:
se e quali iniziative intendano adottare per semplificare l'accesso alle informazioni riguardanti gli indirizzi di PEC delle pubbliche amministrazioni legate ai monitoraggi ambientali e per favorirne l'utilizzo nelle comunicazioni con i cittadini.
(4-11966)

Risposta. - Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante chiede di conoscere quali misure si intendano adottare al fine di semplificare la ricerca degli indirizzi Pec delle Arpa - Agenzie regionali per l'ambiente, al fine di semplificare l'accesso da parte dei cittadini alle informazioni relative ai monitoraggi ambientali.
Al riguardo, si evidenzia che gli indirizzi Pec delle pubbliche amministrazioni sono raccolti nell'IndicepA, banca dati formata e gestita da DigitPA, il quale, a norma dell'articolo 6, comma 1-
bis, del Codice dell'amministrazione digitale, ha definito le regole tecniche per la consultazione e l'estrazione degli indirizzi Pec reperibili sul sito www.digitpa.gov.it.
All'esito di monitoraggio effettuato di recente, si riporta di seguito una tabella con l'indicazione delle Agenzie che ad oggi risultano presenti nell'IndicePA.

Regione ARPA Accreditata Codice IPA
Abruzzo È presente l'Agenzia Regionale per La Tutela dell'Ambiente dell'Abruzzo artaa_pe
Basilicata arpab
Calabria
Campania in fase di accreditamento
Emilia Romagna arpa
Friuli Venezia Giulia arpa_fvg
Lazio arpa_laz
Liguria arlpa_ge
Lombardia arpa_mi
Marche arpam
Molise arlpa_cb
Piemonte arlpa_to
Puglia arpap
Sicilia arlpa_pa
Sardegna arpas_ca
Toscana arpat
Umbria arpa_umb
Valle D'Aosta
Veneto arpa_ve
Bolzano
Trento

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

ZAZZERA e DI GIUSEPPE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:

in data 10 febbraio 2004 è stato istituito con decreto ministeriale dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Letizia Moratti il Forum delle associazioni professionali dei docenti e dei dirigenti scolastici (FONADDS), con lo scopo di promuovere e favorire l'esame ed il confronto fra il Ministero e le associazioni succitate;
il predetto FONADDS è stato istituito con le seguenti associazioni professionali dei docenti e dei dirigenti scolastici: ADI, AIMC, ANDIS, APEF, CIDI, DIESSE, DISAL, FNISM, MCE, UCIIM;
il FONADDS è stato istituito con le seguenti finalità:
favorire il dialogo e il confronto fra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le rappresentanze dei docenti e dei dirigenti della scuola;
esprimere pareri sugli atti e sulle iniziative che il Ministro intende sottoporre;
formulare proposte, presentare studi e rappresentare esigenze in tema di istruzione e in ordine a problematiche scolastiche;
dialogare su problematiche di tipo educativo e didattico connesse alla professione docente e dirigenziale;
nel corso degli anni successivi all'istituzione del FONADDS, gli incontri organizzati fra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Forum, sono stati allargati ad altre associazioni professionali, quali Legambiente Scuola, Proteo Fare Sapere, IRSEF, IRFED, come testimonia, ad esempio, la circolare ministeriale Prot. n. A00DPIT.952;
non risulta essere in funzione, a livello nazionale, né locale, alcun sistema di rilevamento e misurazione delle adesioni alle associazioni professionali dei docenti e dei dirigenti scolastici;
l'associazione professionale UNIcorno-l'AltrascuolA è stata riconosciuta come ente qualificato alla formazione professionale dei docenti e personale ATA con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 177 del 2000 e la stessa ha ottenuto la conferma dell'accreditamento/qualificazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 10 ottobre 2005;
da sempre l'istituzione scuola è il luogo del dialogo aperto, del confronto franco delle idee e delle proposte, invece, le modalità che sono alla base delle relazioni Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca-FONADDS appaiono agli aggiornanti scarsamente trasparenti -:
con quali modalità il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia scelto le associazioni professionali che sono andate a comporre il sopraindicato Forum a partire dal febbraio 2004;
in base a quali requisiti, negli anni a seguire, siano state invitate a partecipare agli incontri allargati Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca-FONADDS alcune associazioni professionali e non altre;
se si intenda rivedere ed ampliare la composizione del Forum delle associazioni professionali dei docenti e dei dirigenti scolastici;
se si intenda ammettere l'associazione culturale UNIcorno-l'AltrascuolA al Forum, consentendole, al pari delle altre associazioni professionali, di esprimere pareri, formulare proposte e rappresentare esigenze della categoria docente.
(4-07862)

Risposta. - Si fa riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'ammissione dell'associazione culturale UNIcorno-l'altrascuolA al forum delle associazioni culturali dei docenti e dei dirigenti scolastici (Fonadds).
Va premesso quanto segue.

Come evidenziato nell'interrogazione in esame, l'iniziativa per la costituzione del suddetto forum fu assunta il 10 febbraio 2004 dal Ministro pro tempore. In prima applicazione, le associazioni da ammettere furono individuate in base al numero degli iscritti e, in tal senso, in data 16 marzo 2004 la competente direzione generale del Ministero richiese la documentazione occorrente alle associazioni di seguito indicate: Assistenza domiciliare integrata (ADI), Associazione italiana maestri cattolici (AIMC), Associazione per educatori e formatori (APEF), Centro iniziativa democratica insegnanti (CIDI), DIESSE, Federazione nazionale degli insegnanti (FINSIM), Legambiente, scuola e formazione, Movimento di cooperazione educativa (MCF) e Associazione professionale cattolica di insegnanti dirigenti e formatori (UCIIM).
A seguito della pervenuta documentazione, tuttavia, il forum in argomento non è stato mai formalmente costituito, in quanto da più parti si chiedeva che la sua formalizzazione fosse prevista per legge, analogamente al forum per gli studenti e al forum per genitori.
Le riunioni del forum docenti, pertanto, si sono svolte sulla base della sola disposizione del Ministro
pro tempore, che prevedeva la costituzione del forum ma non anche la sua composizione.
Di fatto, come è noto, le riunioni sono state successivamente allargate ad altri soggetti richiedenti purché rappresentativi sul territorio nazionale e previa valutazione del Ministro
pro tempore.
In questo quadro sono state coinvolte le Associazioni Istituto di ricerca e studi sull'educazione e le famiglie (IRSRF), Istituto ricerca formazione e documentazione (IRFEL), Proteo fare sapere, Istituto per la ricerca accademica ed educativa (IRSAE), le quali, tuttavia, in assenza di un provvedimento formale, sono state invitate di volta in volta in ragione della rilevanza degli argomenti posti all'ordine del giorno (per esempio, processi di innovazione previsti dai decreti attuativi della legge n. 53 del 2003) e della necessità dell'Amministrazione di coinvolgere soggetti rappresentativi.
Per quanto riguarda in particolare l'associazione UNIcorno-
l'AltrascuolA, agli atti della competente Direzione generale del Ministero non risulta alcuna richiesta di inserimento nel forum da parte dell'associazione medesima la quale, invece, risulta accreditata per la formazione del personale della scuola. Va in proposito evidenziato che il possesso del riconoscimento di soggetto accreditato per la formazione del personale della scuola non costituisce titolo sufficiente per la partecipazione al forum, essendo previsto per una finalità diversa - la formazione del personale della scuola - secondo il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto «Scuola».
Ciò premesso, si fa presente che al momento non risultano iniziative legislative, né parlamentari né governative, che prevedano la costituzione e la composizione del forum delle Associazioni professionali docenti e dirigenti scolastici.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.