XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di mercoledì 7 dicembre 2011

TESTO AGGIORNATO AL 28 MARZO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il problema della spesa militare italiana, diventa ancor più di primaria importanza se inserito nello scenario della crisi finanziaria internazionale che ha rimesso in discussione il ruolo della spesa pubblica nei paesi dell'Unione europea e dell'area euro. In questo contesto anche Governi di centrodestra non hanno esitato ad intervenire sulla riduzione delle spese militari;
tutto questo mentre in Italia le proposte del Governo mirate a ridurre la spesa pubblica contemplano tagli al sociale, alla scuola, alle imprese, alla ricerca, alla giustizia e a ogni cosa di cui un mese dovrebbe avere cura senza preoccuparsi minimamente dei tagli alle spese militari;
le manovre del Governo non hanno mai messo in discussione la struttura del sistema difesa e sicurezza, che riesce a superare la scure dei tagli con meno danni di altri;
con i due decreti emessi tra luglio e settembre (decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011 e decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito dalla legge n. 148 del 2011) la manovra complessiva ha raggiunto quasi i 60 miliardi di euro, di correzione del saldo a regime nel 2014;
il Parlamento è in procinto di vagliare la nuova manovra anti crisi del Governo, nella quale non si prevede alcun provvedimento che vada in tal senso;
i settori maggiormente penalizzati sono sempre le politiche sociali, la sanità e le politiche industriali a sostegno delle piccole e medie imprese;
è stato presentato recentemente uno studio del Forum Ania-Consumatori in collaborazione con l'università di Milano dal quale emerge come siano notevolmente peggiorate soprattutto le condizioni di vita dei bambini e dei minori che pagano il prezzo più alto della crisi. Sono 10 milioni 229 mila i minori in Italia, il 16,9 del totale della popolazione: uno su cinque (24,4 per cento) è a rischio povertà, il 18,3 per cento vive in povertà (1.876.000 minori, in famiglie che hanno una capacità di spesa per consumi sotto la media), il 18,3 è per cento in condizione di deprivazione materiale e il 6,5 per cento (653.000 ragazzi), è in condizione di povertà assoluta, privo dei beni essenziali per il conseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile;
anche Save the children nel secondo «Atlante dell'infanzia a rischio» dichiara che dal 2008 ad oggi sono proprio le famiglie con minori ad aver pagato il prezzo più alto della recessione mondiale: negli ultimi anni la percentuale delle famiglie a basso reddito con un minore è aumentata dell'1,8 per cento e tre volte tanto (5,7 per cento quella di chi ha due o più figli;
con la crisi economica che ha toccato tutti i settori e ha ridotto in maniera drastica la qualità della vita di tutti i cittadini, le famiglie ed in particolare i minori hanno subito maggiormente le conseguenze con maggiori e gravi difficoltà ad andare avanti;
ad oggi l'Italia investe in maniera residuale e poco incisiva sulle politiche sociali ed in particolare sulle famiglie, aspetto che invece dovrebbe essere al primo posto nell'agenda di ogni Governo che punti ad un reale rilancio dell'economia e del Paese. Il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli record e le piccole e medie imprese sono al collasso;
in tale contesto l'Italia è l'ottavo Paese al mondo per spese militari, con 20.556,9 milioni di euro per il 2010, con un incremento per il 2011, a causa dei fondi destinati agli acquisti per i nuovi armamenti, dell'8,4 per cento pari a quasi 3 miliardi e mezzo di euro, ovvero 266

milioni in più rispetto al 2010. Le spese per l'esercizio, invece, hanno visto una riduzione del 18 per cento rispetto al precedente esercizio finanziario, e sono destinate alla formazione e all'addestramento, alla manutenzione e all'efficienza di armi, ai mezzi e alle infrastrutture, al mantenimento delle scorte e, in generale, alla capacità e alla prontezza operativa dello strumento militare;
vanno poi aggiunti i circa 3 miliardi di euro provenienti dai bilanci di altri Ministeri che prevedono aperte finalità militari. Il Ministero dell'economia e delle finanze stanzia 754,3 milioni di euro per il fondo di riserva per le spese derivanti dalla proroga delle missioni internazionali di pace, il Ministero dello sviluppo economico stanzia 1.483 milioni di euro destinati ad interventi agevolativi per il settore aeronautico, 510 milioni di euro destinati ad interventi per lo sviluppo e l'acquisizione delle unità navali della classe FREMM (fregata europea multimissione) e una percentuale ormai altissima del budget del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca viene destinata a progetti in ambito spaziale e satellitare delle forze armate;
la nota aggiuntiva di previsione per la difesa per l'anno 2012 stanzia 21.342,0 milioni di euro;
dal punto di vista dell'attività produttiva in Italia, il settore è in piena espansione con un fatturato record da 3,7 miliardi di euro, alla fine del 2008; come si è appreso lo scorso anno, l'Italia ha superato la Russia, divenendo il secondo esportatore mondiale di armamenti, dopo gli Stati Uniti. E proprio l'export militare italiano è divenuto un settore estremamente complesso e delicato con forti interessi da parte di banche e industrie belliche e armiere inversamente proporzionali ai controlli e alla trasparenza che vengono sempre meno e che invece necessitano di un maggiore rafforzamento;
la recente legge di stabilità ha confermato, inoltre, la cosiddetta mini naja con uno stanziamento di 7,5 milioni di euro per il 2012 e di un milione di euro per il 2013. Il corso di formazione ha il compito di trasmettere e rafforzare nei giovani i valori presenti all'interno delle forze armate. Un progetto ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo inutile che in questo momento storico non ha alcun motivo di essere finanziato;
sul bilancio dello Stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d'arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026;
da un lato c'è un comparto già fortemente penalizzato dal punto di vista dei tagli alle risorse, degli stipendi del personale, della formazione, dell'addestramento, dell'esercizio, dall'altro non c'è il minimo intento di diminuire le ingenti spese militari, bensì, persiste ancora l'inutile e costosissimo programma per l'acquisto di 131 cacciabombardieri F-35-JSF;
il tema in questione è fortemente sentito dall'opinione pubblica che vede nell'aumento dell'investimento in armi uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico e sociale del Paese, al punto che il 19 maggio 2009 inizia la campagna «Caccia al caccia! Diciamo NO agli F35», il 24 novembre 2010 durante il convegno «Volano gli aerei o i costi?» per la prima volta il Ministero della difesa ammette ufficialmente che sono sorti dei dubbi sull'acquisto di tutti i caccia previsti, il 12 aprile 2011 i promotori della campagna scrivono ai Presidenti di gruppo della Camera chiedendo una discussione in merito al progetto F-35 e il 21 settembre 2011 parte la seconda fase della campagna, denominata ora «Taglia le ali alle armi!». Nella prima fase sono state raccolte 19.900 adesioni on line, 16.000 firme cartacee e 388 adesioni di organizzazioni. Molti Paesi hanno rinunciato a tale programma e gli stessi USA hanno tagliato drasticamente le spese militari;
il 13 novembre 2011 le tre organizzazioni Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Tavola della pace hanno rinnovato l'invito al Governo affinché accolga e porti avanti

concretamente le richieste della società civile in tema di difesa e di scelte militari;
ai conti attuali l'acquisto dei 131 aerei F35/JSF, comporterebbe per l'Italia una spesa di oltre 18 miliardi di euro, a cui bisognerebbe aggiungere i costi dei propulsori;
occorre, altresì, cambiare il rapporto tra difesa e industria per evitare che gli interessi personali ed economici si sovrappongano in maniera deleteria ai reali interessi del comparto e del Paese;
è evidente e sempre più urgente l'esigenza di una nuova revisione dell'amministrazione della difesa e dello stesso «modello di difesa» che dovrebbe concentrarsi essenzialmente sull'acquisto di tecnologie e mezzi atti più a garantire la sicurezza dei nostri soldati nelle missioni all'estero che l'acquisizione di armamenti atti all'offesa. Un modello di difesa incentrato sulla formazione e sull'addestramento dei nostri soldati;
le gravi carenze di bilancio e l'assenza di un chiaro dibattito pubblico sulle opzioni realmente aperte in questa direzione rendono il tutto decisamente più complesso;
mancano, tra l'altro, in Italia la volontà o la capacità di affrontare congiuntamente, almeno sul piano dell'analisi, i complessi problemi, tra loro correlati, del settore della sicurezza e di quello della difesa, e la nuova, essenziale dimensione delle operazioni miste civili-militari, che invece stanno assumendo una rilevanza sempre maggiore a livello comune europeo ed atlantico;
il rischio è quindi di disporre di armi nuove e sofisticate, ma di non avere le risorse per gestirle; mancano, ad esempio, i fondi per riparare i mezzi, danneggiati in Afghanistan e il carburante per i jet e le navi, inclusa la nuova portaerei Cavour;
l'Italia deve prepararsi ad affrontare nuove sfide e nuovi costi. È un processo già iniziato senza essere accompagnato da un vero e ampio dibattito politico interno che coinvolga pienamente del Parlamento e consenta la fondazione di uno stabile consenso, premessa necessaria per una mobilitazione delle risorse necessarie;
occorre un dibattito aperto a tutte le voci della società, e non ad una campagna propagandistica e manipolatoria, un dibattito che restituisca al Parlamento la sua centralità costituzionale;
bisogna condividere una visione realistica della politica. E applicare anche a questo settore della spesa pubblica, gli stessi criteri che si pretende di imporre a tutti gli altri ambiti essenziali dello Stato, come la salute e l'istruzione. Tutta la spesa pubblica è sotto esame ed è giusto che lo sia anche la spesa militare. Si discute di riforma delle pensioni, della scuola, della sanità e di mille altri settori strategici della nostra vita. È giusto (e indispensabile) che si discuta anche della riforma delle Forze Armate come accade in tutti i Paesi democratici;
l'opinione pubblica è attiva e coinvolta in maniera massiccia in campagne di informazione tutte finalizzate alla richiesta di riduzione delle ingenti risorse stanziate per gli armamenti. Tanti sono gli appelli e migliaia sono le firme dei cittadini e non è accettabile che il Governo non ne tenga conto;
il 7 luglio 2010 si è conclusa la discussione congiunta di 6 mozioni concernenti una migliore qualità e razionalizzazione della spesa militare. Nello specifico, la mozione 1-00403, ha impegnato il Governo:
a dare la piena disponibilità per un approfondito confronto in sede parlamentare sul nuovo modello di difesa; a proseguire il lavoro per una migliore qualità e di una razionalizzazione della spesa militare, accentuando la dimensione interforze dello strumento militare a livello nazionale e realizzando le migliori sinergie nel settore industriale e negli asset operativi a livello europeo, soprattutto nell'ottica della nascente difesa europea;

ad avviare una profonda revisione del sistema difesa, soprattutto attraverso una necessaria e urgente operazione di efficientamento e riorganizzazione di tutto l'apparato militare;
l'auspicio di tutti i presentatori era di sensibilizzare il Governo e spostare l'attenzione nella direzione di avviare un cambiamento sostanziale nella gestione di tali risorse, ma gli impegni assunti sono tuttora disattesi;
occorre dare risposte concrete e segnali forti ai cittadini e alle Forze armate sempre più abbandonate a se stesse, senza risorse e senza formazione e garantire che finalmente la difesa unitamente al welfare tornino ad essere al centro della vita democratica e siano gestite con consapevolezza da parte dello Stato;
è necessario attivare un virtuoso investimento in termini di riqualificazione, addestramento e formazione del personale del comparto e avviare un percorso che punti a finanziamenti selettivi attraverso i quali si definiscano le priorità e le reali necessità del comparto. È necessario investire minori risorse e meglio mirate al fine di portare l'Italia in linea con gli altri Paesi europei e non solo,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative volte a bloccare, in via definitiva, il programma per la produzione e l'acquisto dei 131 cacciabombardieri joint strike fighter e a valutare la reale possibilità di utilizzare tali risorse per il rilancio dell'economia e il sostegno all'occupazione giovanile;
ad assumere iniziative volte a cancellare i finanziamenti previsti per il 2012 per la produzione dei 4 sommergibili FREMM, dei cacciabombardieri F35, delle due fregate «Orizzonte» con un risparmio previsto intorno ai 783 milioni di euro;
a rivalutare e a ridimensionare gli accordi, tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero della difesa al fine di reperire le necessarie risorse da destinare per la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei durante l'anno accademico 2011-2012 e per gli anni accademici successivi;
a bloccare in via definitiva il progetto della mini naja «Vivi le Forze armate» con un risparmio immediato da destinare alle politiche sociali, con particolare riferimento alle famiglie e ai minori che vivono in condizioni di povertà;
ad assumere iniziative finalizzate a rivedere gli stanziamenti che interessano la difesa presenti nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, comparto strategico e fondamentale per il reale rilancio dell'economia e del Paese, valutando la possibilità dell'impiego di tali risorse in ambiti di maggiore urgenza e necessità;
a rivedere il quadro complessivo delle spese militari prevedendo una razionalizzazione delle risorse e destinando parte di esse, stanziate per armamenti, alla formazione, addestramento e riqualificazione del personale del comparto.
(1-00781)
«Di Stanislao, Di Pietro, Donadi».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
il problema della spesa militare italiana diventa ancor più di primaria importanza se inserito nello scenario della crisi finanziaria internazionale che ha rimesso in discussione il ruolo della spesa pubblica nei Paesi dell'Unione europea e dell'area euro;
per fronteggiare gli effetti di questa grave crisi economica occorrono misure immediate ed efficaci, unitamente a politiche rigorose di riqualificazione di ogni settore dello Stato;
anche l'Amministrazione della Difesa, a fronte di una sempre più crescente carenza di risorse sul proprio bilancio, non può sottrarsi, quindi, alla impellente necessità di ridimensionare le proprie spese;
il bilancio della Difesa è stato di 20.364,4 milioni di euro per il 2010, con un incremento per il 2011, a causa dei fondi destinati agli acquisti per i nuovi armamenti, dell'8,4 per cento pari a quasi 3 miliardi e mezzo di euro, ovvero 266 milioni in più rispetto al 2010. Le spese per l'esercizio, invece, hanno visto una riduzione del 18 per cento rispetto al precedente esercizio finanziario, e sono destinate alla formazione e all'addestramento, alla manutenzione e all'efficienza di armi, ai mezzi e alle infrastrutture, al mantenimento delle scorte e, in generale, alla capacità e alla prontezza operativa dello strumento militare;
vanno poi aggiunti i circa 3 miliardi di euro provenienti dai bilanci di altri Ministeri che prevedono aperte finalità militari. Il Ministero dell'economia e delle finanze stanzia 754,3 milioni di euro per il fondo di riserva per le spese derivanti dalla proroga delle missioni internazionali di pace, il Ministero dello sviluppo economico stanzia 1.483 milioni di euro destinati ad interventi agevolativi per il settore aeronautico, 510 milioni di euro destinati ad interventi per lo sviluppo e l'acquisizione delle unità navali della classe Fremm (fregata europea multimissione);
la nota aggiuntiva di previsione per la difesa per l'anno 2012 stanzia 19.962,1 milioni di euro;
si è oramai consolidata una situazione di forte squilibrio nella ripartizione delle risorse assegnate ai tre settori del personale, dell'esercizio e dell'investimento della cosiddetta Funzione Difesa; in particolare la spesa percentuale per il settore del personale, pari a circa il 70 per cento è largamente superiore a quella dell'esercizio, che con il 12 per cento risulta il più penalizzato, con conseguenti ripercussioni per la formazione e l'addestramento;
la difficile congiuntura economica internazionale e lo stato critico dei conti pubblici, impongono, pertanto, la necessità di rivedere le spese militari, rimodulando e riconsiderando conseguentemente anche il piano degli investimenti, con particolare riguardo al programma di acquisizione dei 131 F-35;
il Ministro della Difesa ha recentemente preannunciato, durante le Audizioni nelle Commissioni riunite Difesa Camera e Senato, di ridurre, a fronte delle risorse disponibili, l'ordinativo dei 131 velivoli JSF di 40 unità ritenendo ciò sostenibile sotto il profilo operativo nonché funzionale a perseguire una più efficace razionalizzazione delle spese per gli investimenti;
il Ministro della Difesa ha confermato i numeri circolanti da anni a proposito del progetto industriale legato all'acquisto dei caccia bombardieri JSF35, 10.000 posti di lavoro in più. Il Ministro ha dichiarato «quel programma significa crescita operativa, tecnologica e occupazionale notevole: parliamo di 10 mila posti di lavoro in 40 aziende», con particolari effetti positivi sulla base militare di Cameri, in provincia di Novara. Si prende atto di quanto detto dal Ministro, ma i firmatari del presente atto di indirizzo restano scettici fino a quanto non è chiaro il piano industriale e occupazionale;
è evidente e sempre più urgente, come sottolineato dallo stesso Ministro della Difesa nell'ambito dell'illustrazione delle linee programmatiche del suo Dicastero, l'esigenza di una nuova revisione dell'amministrazione della difesa e dello stesso «strumento militare» che dovrebbe assicurare le necessarie capacità operative garantendo, nel contempo, un livello sempre maggiore di sicurezza dei nostri soldati nelle missioni all'estero. Uno strumento militare incentrato anche sulla formazione e sull'addestramento dei nostri soldati;
la revisione dello strumento militare - che il Ministro della Difesa intende realizzare - per l'ampiezza della sua portata e più in particolare per le notevoli implicazioni anche sotto il profilo legislativo non può non avvenire con il pieno coinvolgimento del Parlamento, in relazione alla necessaria e preventiva assunzione di responsabilità in materia di politica di difesa e sicurezza del Paese;
bisogna condividere una visione realistica della politica. E applicare anche a questo settore della spesa pubblica, gli stessi criteri che si pretende di imporre a tutti gli altri ambiti essenziali dello Stato;
il 7 luglio 2010 si è conclusa la discussione congiunta di sei mozioni concernenti una migliore qualità e razionalizzazione della spesa militare. Nello specifico, la mozione n. 1-00403, ha impegnato il Governo a: dare la piena disponibilità per un approfondito confronto in sede parlamentare sul nuovo modello di difesa; a proseguire il lavoro per una migliore qualità e di una razionalizzazione della spesa militare, accentuando la dimensione interforze dello strumento militare a livello nazionale e realizzando le migliori sinergie nel settore industriale e negli asset operativi a livello europeo, soprattutto nell'ottica della nascente difesa europea; ad avviare una profonda revisione del sistema difesa, soprattutto attraverso una necessaria e urgente operazione di efficientamento e riorganizzazione di tutto l'apparato militare;
l'auspicio di tutti i presentatori era di sensibilizzare il Governo e spostare l'attenzione nella direzione di avviare un cambiamento sostanziale nella gestione di tali risorse, ma gli impegni assunti sono tuttora disattesi;
inoltre la Commissione Difesa ha recentemente approvato all'unanimità una Risoluzione che ha impegnato il Governo a presentare in Parlamento le linee guida di un'eventuale riforma dello strumento militare che rappresentino il punto di vista dell'esecutivo al fine di consentire un'ampia discussione parlamentare e assumere in quella sede le decisioni necessarie;
in conclusione, occorre dare risposte concrete e segnali forti ai cittadini e alle Forze armate, sempre più abbandonate a se stesse, senza risorse e sempre di più in formazione e garantire che finalmente la difesa unitamente al welfare tornino ad essere al centro della vita democratica e siano gestite con consapevolezza da parte dello Stato;
è necessario attivare un virtuoso investimento in termini di riqualificazione, addestramento e formazione del personale del comparto e avviare un percorso che punti a finanziamenti selettivi, attraverso i quali si definiscano le priorità e le reali necessità del comparto. È necessario investire minori risorse e meglio mirate al fine di portare l'Italia in linea con gli altri Paesi europei e non solo,


impegna il Governo:


ad avviare un ampio dibattito e ad intraprendere le necessarie iniziative anche normative per giungere all'elaborazione di un nuovo modello di difesa e sicurezza nazionale compatibile con le risorse economiche del nostro Paese oltre che funzionale alle sue esigenze;
a rivedere, nell'ambito di tale processo, il quadro complessivo delle spese militari prevedendo una razionalizzazione delle risorse e destinando parte di esse, alla formazione, addestramento e riqualificazione del personale del comparto;
a rivedere drasticamente la partecipazione dell'Italia al programma per la produzione e l'acquisto dei 131 cacciabombardieri joint strike fighter e a valutare la possibilità di uscire definitivamente dal programma e di utilizzare tali risorse per il rilancio dell'economia e il sostegno all'occupazione giovanile;
a valutare la possibilità di rivedere gli stanziamenti che interessano la difesa presenti nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, comparto strategico e fondamentale per il reale rilancio dell'economia e del Paese.
(1-00781) (Nuova formulazione).«Di Stanislao, Di Pietro, Donadi, Paladini».

La Camera,
premesso che:
l'obiettivo del superamento di una fase economica caratterizzata da modesti tassi di crescita e le esigenze di risanamento dei conti pubblici impongono ai cittadini e alle imprese enormi sacrifici;
per fronteggiare e superare la grave crisi economica e finanziaria è necessario cancellare le numerose forme di iniquità fiscali presenti nel nostro Paese, intervenendo con opportuni provvedimenti su situazioni che nel passato sono state sottratte alla tassazione normalmente applicata sul territorio della Repubblica;
è il caso degli immobili di proprietà dello Stato del Vaticano. I dati disponibili

indicano in 50 mila gli immobili di proprietà della Chiesa cattolica, comprendendo sia i luoghi di culto, sia gli immobili adibiti ad attività imprenditoriali lontane dal puro e semplice esercizio di culto;
non si intende riaprire in questa sede la discussione sulla distinzione tra luoghi di culto e luoghi adibiti ad attività diverse, oggetto peraltro di un lungo contenzioso che ha portato ad una importante sentenza della Corte di cassazione (n. 4645 del 2 ottobre 2004);
va riconosciuta la delicatissima ed importantissima materia del sostegno alle religioni e allo straordinario patrimonio di attività sociali promosse dalle diverse confessioni presenti nel nostro Paese, rispettando profondamente la funzione sociale svolta quotidianamente dalla Chiesa cattolica;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo è arrivato il momento di intervenire sulla materia, senza riaprire una inutile e sterile polemica tra laici e cattolici, tenendo conto del recentissimo richiamo della CEI sulla necessità di una maggiore equità;
pur in assenza di un dato certo rispetto al gettito prevedibile dall'eventuale applicazione dell'IMU al patrimonio immobiliare appartenente al Vaticano sul suolo italiano,


impegna il Governo


ad attivare le necessarie iniziative per determinare il gettito che deriverebbe dalla tassazione del patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica, richiedendo il pagamento di una quota pari al 30 per cento del totale del gettito stimato.
(1-00782)
«Esposito, Concia, Trappolino, Berretta, Fiorio, Marantelli, Lolli, Giovanelli, Bellanova, Argentin, Calvisi, Miglioli, Fontanelli, Velo, Mattesini, Codurelli, Touadi, Boccuzzi, Pollastrini, Capano, Pes».

La Camera,
premesso che:
occorre, anche per il 2012, in coerenza a quanto stabilito negli anni precedenti, garantire le risorse necessarie per la stabilizzazione occupazionale dei lavoratori socialmente utili nella provincia di Napoli e nel comune di Palermo, nonché le risorse per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili di cui all'articolo 2, comma 552, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in considerazione della rilevanza sociale di tali interventi nell'attuale momento di crisi economica;
a tale fine è necessario consentire anche per il 2012, nell'ambito della ripartizione del fondo di cui all'articolo 33, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, (legge di stabilità per il 2012), il finanziamento, per un importo pari a 110 milioni di euro, per la stipula di convenzioni con i comuni, interessati per l'attuazione di misure di politiche attive del lavoro finalizzate alla stabilizzazione occupazionale dei lavoratori impiegati in attività socialmente utili nella provincia di Napoli e nel comune di Palermo ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, nonché il finanziamento, per un importo di 1 milione di euro, per la stipula di convenzioni con i comuni interessati alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili con oneri a carico del bilancio comunale, di cui all'articolo 2, comma 552, della legge 24 dicembre 2007, n. 244,


impegna il Governo


ad adottare le opportune iniziative, anche normative, volte a garantire, nell'ambito della ripartizione delle predette risorse, il finanziamento necessario per la stabilizzazione occupazionale dei lavoratori socialmente utili nella provincia di Napoli e nel comune di Palermo, nonché per la

stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili di cui alla premessa.
(1-00783)
«Cesario, Laboccetta, Marinello, Gioacchino Alfano, Commercio, Polidori, Mottola, De Luca, Moffa, Marmo, Landolfi, De Girolamo, Romano, Scilipoti, Paolo Russo, Nunzio Francesco Testa, Scalera, Iapicca, Porfidia, Razzi, Ruvolo, Gianni, Milo, D'Anna».

Risoluzioni in Commissione:

L'VIII Commissione,
premesso che:
in materia di imballaggi e di gestione dei rifiuti degli imballaggi, si sta via via consolidando un chiaro orientamento giuridico-amministrativo teso a considerare tali materiali come una risorsa;
in particolare, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nelle sue numerose segnalazioni ed indagini, ha fatto osservare che in linea generale la caratteristica precipua degli imballaggi e, di conseguenza, dei loro rifiuti, è l'essere fabbricati con materiali diversi ma tutti, seppur in misura diversa, suscettibili di apprezzamento economico e redditività all'interno di dinamiche di mercato;
la raccolta di rifiuti finalizzata al riciclo dei materiali, del resto, ha costituito un'attività storicamente organizzata in maniera imprenditoriale. Si tratta quindi di settori nei quali può svilupparsi una industria importante, con un significativo passaggio dalla considerazione del rifiuto come problema a un suo trattamento come risorsa;
l'ordinamento interno si è attualmente conformato alla disciplina comunitaria ai sensi del Titolo II della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, («Norme in materia ambientale», cosiddetto Testo unico ambientale - TUA) articoli da 217 a 226, mentre inizialmente vi si ottemperava ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (cosiddetto decreto Ronchi). Il sistema previsto si fonda sul principio che il costo della raccolta differenziata, della valorizzazione e dell'eliminazione dei rifiuti di imballaggio è sostenuto dai produttori e dagli utilizzatori in proporzione alle quantità di imballaggi immessi sul mercato nazionale;
l'articolo 38 del decreto Ronchi, aveva delineato un sistema fondato essenzialmente sul modello consortile e la cooperazione istituzionale con gli enti locali - in particolare i comuni - per l'organizzazione della raccolta differenziata. La norma al riguardo prevedeva la costituzione di un consorzio nazionale, il CONAI, avente tra le sue molteplici funzioni quella di definire (di concerto con le amministrazioni territoriali competenti) gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei servizi di raccolta, ripartire tra i produttori e gli utilizzatori i costi della raccolta differenziata, del riciclaggio e del recupero dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata in proporzione alle quantità, peso e tipologia di imballaggi immessi sul mercato, determinando a tal fine un apposito contributo ambientale con cui finanziare le attività poste in essere dai comuni nell'ambito delle attività di organizzazione dei servizi di igiene urbana, soggette a regime di esclusiva;
oltre l'attività di organizzazione generale del settore degli imballaggi riconosciute al CONAI, è stata prevista la possibilità di costituire consorzi tra produttori e utilizzatori degli imballaggi di un dato materiale (carta, alluminio, acciaio, legno vetro e plastica): un solo consorzio per ogni tipologia di imballaggio. Tali consorzi provvedono al ritiro degli imballaggi derivanti dalla raccolta differenziata operata dai comuni su superficie pubblica, nonché al riciclaggio ed al recupero. Caratteristica fondamentale di questo sistema è la centralizzazione delle decisioni in merito alle variabili economiche fondamentali, che risultano così non sempre allineate ai parametri di mercato: il contributo per la

raccolta differenziata viene, infatti, definito dal CONAI sulla base di quanto indicato dai singoli consorzi di filiera; i corrispettivi ai comuni sono individuati in base ad un accordo tra CONAI, consorzi di filiera e ANCI. Questo, in estrema sintesi il modello attuato;
va detto che già il decreto Ronchi prevedeva come alternativa al sistema consortile, oltre al meccanismo della cauzione, la possibilità per ciascun produttore di organizzare autonomamente la raccolta (e successivo riciclo/recupero) dei rifiuti da imballaggio: tale previsione della legge è però rimasta sulla carta, poiché ai produttori furono concessi solo sei mesi di tempo per realizzare gli autonomi sistemi di gestione dei rifiuti;
trattandosi di un termine troppo breve, tutti gli operatori interessati si trovarono di fatto costretti ad aderire al rispettivo consorzio di filiera, mentre i nuovi operatori (entrati in attività dopo i fatidici sei mesi) forzosamente si trovarono senza alternative;
su questo assetto particolarmente rigido è intervenuto il predetto Testo unico delle norme in materia ambientale, che aveva esplicitamente consentito la possibilità di istituire più consorzi di filiera per ciascun tipo di imballaggio (articolo 223, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006 nel testo originario, tuttavia tale facoltà è stata rimossa con il decreto legislativo n. 4 del 2008), ed ha incoraggiato l'ingresso nei consorzi esistenti di «recuperatori e i riciclatori che non corrispondono alla categoria dei produttori, previo accordo con gli altri consorziati ed unitamente agli stessi», consentendo così un positivo confronto tra soggetti portatori di interessi diversi mantenendo la possibilità di poter dar vita a sistemi autonomi di gestione, senza però porre vincoli temporali;
l'articolo 221 del Testo unico delle norme in materia ambientale, in particolare, disciplina le modalità di gestione dei rifiuti da imballaggio, prevedendo, al comma 3, che per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all'obbligo del ritiro, su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono alternativamente: a) organizzare autonomamente la gestione dei propri rifiuti di imballaggio su tutto il territorio nazionale; b) aderire ad uno dei consorzi di filiera; c) attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l'autosufficienza del sistema;
la possibilità di organizzare autonomamente da parte di ciascun produttore la gestione dei rifiuti generati dai propri prodotti è subordinata al riconoscimento ed autorizzazione da parte dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti, ma tale possibilità o di poter mettere in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, è, di fatto, non praticabile in quanto non è attualmente costituito l'osservatorio nazionale sui rifiuti di cui all'articolo 206-bis del Testo unico delle norme in materia ambientale;
di fatto oggi non c'è l'amministrazione competente a verificare la regolarità dei sistemi autonomi di gestione dei rifiuti di imballaggio: tale situazione di grave incertezza normativa comporta un danno rilevante per le imprese che intendessero accedere a questi mercati, per i produttori che volessero provvedere direttamente al riciclaggio e quindi per l'industria nel suo complesso;
ne deriva in ogni caso che la gestione dei rifiuti da imballaggio resta attualmente CONAI - Consorzi di filiera, nonostante le aperture previste e ribadite dal Testo unico delle norme in materia ambientale, non ancora operative;
da ultimo, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con segnalazione AS 500, ha fatto presente come nell'ambito delle conclusioni dell'indagine

conoscitiva sul settore dei rifiuti da imballaggio (IC26), abbia sottolineato che la possibilità per produttori e distributori di ricorrere a sistemi alternativi ai consorzi di filiera, in presenza di opportune garanzie di controllo sul buon funzionamento degli eventuali diversi sistemi e consorzi operanti, rappresentasse una soluzione auspicabile, in quanto suscettibile di introdurre dinamiche concorrenziali nelle attività in oggetto senza con ciò snaturare gli obiettivi di tutela ambientale avuti a mente del legislatore;
l'autorità ha altresì evidenziato, in più occasioni, le difficoltà di una reale liberalizzazione dei settori economici riconducibili all'indebita commistione di poteri di regolazione e interessi economici. In definitiva, l'autorità auspica fermamente l'eliminazione di ogni possibile forma di discriminazione e di ostacolo all'accesso al mercato della raccolta e del riciclo dei rifiuti da imballaggio;
come anche dichiarato dall'autorità, non si intende in alcun modo disconoscere i risultati raggiunti dal sistema attuale, in particolare per quel che riguarda la sua utilità nella fase iniziale di realizzazione di un moderno sistema di gestione dei rifiuti nel nostro Paese. Si vuole, però, riflettere su alcune criticità che, se superate, potrebbero rendere la regolazione del settore più adatta a favorire l'ulteriore sviluppo di questi mercati, con vantaggi generali non solo sul piano ambientale, ma anche economico, attese le grandi potenzialità ancora tutte da esplorare soprattutto nell'attuale e perdurante crisi finanziaria internazionale;
purtuttavia, nello specifico settore degli imballaggi di materiale plastico ed in particolare di quelli terziari, i soggetti appartenenti alla relativa filiera del riciclo dei relativi rifiuti, si trovano quotidianamente ostacolati e pregiudicati dall'attività del sistema chiuso rappresentato dal Conai e dal corrispondente consorzio del settore del materiale plastico, Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggi in plastica);
il sistema collettivo dominante costituisce, in parte per legge, ma anche per circostanze di fatto e comportamenti sul mercato, un possibile caso di abuso di posizione o di intesa restrittiva della concorrenza, con danno per il mercato dei rifiuti e per i consumatori;
oggi i produttori di imballaggi terziari applicano il contributo ambientale Conai (CAC) e lo versano al Conai stesso, ma ciò in assenza di alcun servizio da parte del sistema di gestione rappresentato dai consorzi di filiera;
in particolare le imprese di riciclo della plastica sono costrette ad approvvigionarsi del rifiuto (la loro materia prima) da un «fornitore» che di fatto è un monopolista;
le imprese di raccolta e di riciclo di rifiuti di imballaggi terziari in plastica concorrono nella misura di oltre il 50 per cento al raggiungimento degli obiettivi nazionali e comunitari. Tuttavia tali obiettivi vengono accreditati in capo al Conai, ma ciò senza alcun corrispettivo in favore degli operatori da parte dal sistema collettivo con capofila Corepla (nonostante, come detto, esso percepisce un contributo per tale attività);
nei consorzi di filiera di gestione dei rifiuti da imballaggio (in particolare in Corepla) partecipano (e decidono): i produttori di materia prima vergine (che non pagano alcun contributo), i produttori di imballaggi nuovi (che riscuotono il contributo), mentre possono partecipare solo volontariamente gli utilizzatori di imballaggi (che pagano, ma riversano, come naturale, il costo a valle) ed i riciclatori (che materialmente «fanno il lavoro», ma non percepiscono alcun compenso dal sistema collettivo, anzi ne sono danneggiati). Le imprese di raccolta dei rifiuti (che svolgono un ruolo importantissimo) e consumatori finali (coloro che in definitiva pagano) non sono neppure considerati;
nel consorzio Corepla il 70 per cento delle quote e 10 consiglieri su 12 appartengono ai produttori di plastica

mentre poco o nessun peso è dato agli utilizzatori (coloro che, di fatto, pagano il CAC, solo il 15 per cento ed un solo consigliere) ed ai riciclatori (coloro che svolgono materialmente l'attività che dovrebbe costituire la missione del consorzio, solo il 15 per cento ed un solo consigliere);
nel settore plastica il mercato è caratterizzato dalla presenza di poche imprese produttrici o importatrici di plastica vergine e molte imprese trasformatrici (rapporto di circa 1 a 30), pertanto si può desumere che il sistema dei consorzi di filiera è, di fatto, affidato alla grande industria chimica di base che produce il polimero vergine;
il sistema gestionale in oggetto, oltre a far emergere un possibile conflitto di interessi insito nel sistema (il potere decisionale è concentrato nelle mani dell'industria chimica di base che ha il naturale interesse economico a produrre e vendere polimeri vergini e vede l'industria del riciclaggio come il naturale concorrente) appare in contrasto con l'articolo 223, comma 2 del Testo unico delle norme in materia ambientale, che dispone che: «Nei consigli di amministrazione dei consorzi il numero dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei riciclatori e dei recuperatori deve essere uguale a quello dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei produttori di materie prime di imballaggio.»;
senza entrare più dettagliatamente nei presunti profili problematici derivanti dal funzionamento poco concorrenziale del sistema consortile obbligatorio della gestione dei rifiuti da imballaggio in materiale plastico, si evidenziano i principali nodi critici che andrebbero urgentemente risolti, come in particolare il caso dei produttori e degli utilizzatori di imballaggi secondari e terziari che pagano un contributo senza ricevere alcun servizio, ciò in quanto il contributo al consorzio obbligatorio Conai è attualmente utilizzato per la gestione dei soli imballaggi «primari», nonché il caso delle aste telematiche attraverso cui il consorzio vende il materiale plastico raccolto: in tale ambito numerose sono le potenziali criticità di tali aste, come, per esempio, le cadenze estremamente lunghe entro cui si tengono, i requisiti che consentono di poter escludere o meno i partecipanti alle aste, e da ultimo il predetto conflitto di interessi dei produttori di polimero vergine, maggiormente rappresentati nel consorzio e che ragionevolmente potrebbero conoscere in anticipo le oscillazioni del mercato della materia prima e perciò possono decidere i prezzi a base dell'asta della materia prima seconda concorrente con il polimero vergine;
sarebbe opportuno che il Governo rivedesse in maniera specifica e sulla base degli apporti di tutti i soggetti interessati, l'attuale disciplina sulla gestione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio, in maniera da adempiere pianamente alla numerose segnalazioni avanzate dall'autorità garante della concorrenza e del mercato e da offrire migliori possibilità di crescita e di sviluppo agli operatori che si occupano del riciclaggio e del recupero di tali materiali, a tutto vantaggio dell'ambiente, dei consumatori e dell'economia nazionale,


impegna il Governo


ad istituire un tavolo di confronto formato da tutti i soggetti interessati alla gestione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio e, sulla base delle valutazioni che possono scaturire da tale tavolo, a provvedere con urgenza ad adottare le necessarie iniziative, anche di natura normativa, volte a superare i profili problematici che si riscontrano in questo settore, tra cui principalmente quello della limitazione della concorrenza operata dai consorzi obbligatori a danno degli operatori indipendenti del settore del riciclaggio e quello della impropria imposizione, nel sistema degli imballaggi in plastica, del contributo ambientale applicato ai produttori ed utilizzatori di imballaggi secondari e terziari.
(7-00742)«Lanzarin, Negro, Fogliato».

La X Commissione,
premesso che:
la delocalizzazione delle attività produttive nazionali spesso, se non nella totalità dei casi, è stata posta in essere al fine di importare i beni prodotti in Paesi low-cost. Ciò, come si è potuto constatare, si è dimostrato uno dei principali fattori che hanno determinato l'attuale crisi economica italiana;
la SIMEST è stata creata per promuovere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane ed assistere gli imprenditori nelle loro attività all'estero e per agevolare quindi la penetrazione commerciale delle piccole e medie imprese nei mercati esteri e di conseguenza incrementare l'espansione del mercato italiano;
recentemente sono stati segnalati molteplici casi nei quali i finanziamenti della SIMEST invece hanno alimentato il processo di delocalizzazione. L'effetto di tale politica di finanziamento è stato quello di creare un danno economico al Paese, poiché quando si incentiva la riduzione della produzione industriale di conseguenza si limitano le entrate fiscali, e si perdono posti di lavoro;
spesso al fenomeno della delocalizzazione si accompagna quello della creazione di marchi decettivi che ricordano l'originaria produzione legata al made in Italy, ma che con essa nulla hanno a che fare. Essi, traendo in inganno i consumatori danneggiano le imprese italiane sia sotto il profilo degli spazi commerciali, sia riguardo all'impegno che le stesse profondono per promuovere e tutelare l'immagine di qualità dei prodotti made in Italy,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative al fine di introdurre norme stringenti ed atti di indirizzo, per la concessione dei finanziamenti da parte della SIMEST, prevedendo:
a) l'annullamento o la risoluzione degli accordi nel caso in cui, nell'arco di 8 anni, si verifichino significative riduzioni delle produzioni negli impianti italiani delle società che hanno ricevuto il sostegno dalle SIMEST a favore degli impianti che hanno ricevuto contributi per l'internazionalizzazione o la delocalizzazione;
b) l'annullamento o la risoluzione degli accordi di finanziamento nel caso in cui la produzione nei siti oggetto del finanziamento venga successivamente importata in Italia;
c) che i protocolli di accordo escludano tassativamente l'utilizzo del marchio made in Italy e/o di diciture in lingua italiana e/o facenti riferimento anche indirettamente alla provenienza italiana del prodotto, eccezion fatta per il nome della società italiana;
d) tassativamente l'espressa e evidente indicazione del Paese di origine (cioè di produzione) sui prodotti realizzati nei siti oggetto di finanziamento/sostegno da parte di SIMEST.
(7-00743)
«Torazzi, Reguzzoni, Dozzo, Allasia, Maggioni, Desiderati, Chiappori».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo i dati rilevati dall'Arpa Veneto dal 16 novembre al 5 dicembre 2011 (20 giorni consecutivi) nel comune di Vicenza si registra un picco di inquinamento acuto da polveri sottili (PM10) con una media giornaliera di 79,2 microgrammi

per metro cubo d'aria. Nel comune di Vicenza dal 1 gennaio al 5 dicembre 2011 l'Arpav registra 96 giorni di superamento del limite di legge;
il decreto ministeriale 2 aprile 2002, n. 60 concernente i valori limite di qualità dell'aria ambiente stabilisce che, per quanto riguarda il materiale particolato (PM10), il valore limite giornaliero è di 50 ug/m3 ed è «da non superare più di 35 volte per anno civile»;
il comune di Vicenza adotta annualmente provvedimenti a carattere emergenziale con azioni a breve termine che risultano inefficaci per la tutela sanitaria della popolazione: nel 2010 il limite giornaliero è stato superato per 87 giorni, nel 2009 per 83 giorni, nel 2008 per 102 giorni, nel 2007 per 143 giorni;
il comune di Vicenza non ha ad oggi predisposto e adottato un piano di azione, risanamento e mantenimento dell'aria come impongono le norme del Piano regionale di tutela e di risanamento dell'atmosfera (PRTRA) par. 6.1.2 di cui alla delibera del consiglio regionale n. 57/04 ed ex articolo 7 del decreto legislativo n. 351 del 1999;
il comune di Vicenza risulta inserito in zona A - zone critiche nelle quali, ai sensi del Piano regionale di tutela e di risanamento dell'atmosfera, si devono applicare i piani di azione - per i parametri relativi al Pm10 (cosiddette polveri sottili), IPA (idrocarburi policiclici aromatici) e NO2 (biossido di azoto) e in zona B - zone nelle quali si devono applicare i piani di risanamento per benzene e ozono;
ad oggi tutti i comuni della provincia di Vicenza, inseriti in zona A, non hanno predisposto e adottato un piano di azione, risanamento e mantenimento dell'aria come impongono le norme del Piano regionale di tutela e di risanamento dell'atmosfera par 6.1.2 di cui alla delibera del consiglio regionale n. 57/04 ed ex articolo 7 del decreto legislativo n. 351 del 1999;
l'ente provincia di Vicenza non ha finora prodotto alcuna delibera di approvazione formale dei piani di azione del comune di Vicenza e della totalità dei comuni ricompresi nel territorio di competenza, così come prevede ai sensi dell'articolo 6, comma 1, delle norme del Piano regionale di tutela e di risanamento dell'atmosfera approva i piani di azione, i piani di risanamento e i piani di mantenimento;
la legge 13 luglio 1966 n. 615 (Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico) individua nell'«aria, come risorsa, il bene giuridico da proteggere». La legge si applica a tutte le emissioni in atmosfera di fumi, polveri, gas e odori di qualsiasi tipo e provenienza «atti ad alterare le normali condizioni di salubrità dell'aria e di costituire pertanto pregiudizio diretto o indiretto alla salute dei cittadini e danno ai beni pubblici o privati». Inoltre, per quanto più in particolare riguarda l'inquinamento atmosferico da veicoli, il decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 e l'articolo 4 della legge n. 833 del 1978 configurano i limiti stabiliti dai regolamenti come limiti inderogabili. Tali norme quindi indicano i limiti di attenzione e di allarme che vengono pertanto a costituire limiti intermedi il cui raggiungimento mette a rischio la salute umana e impone la necessità di adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti di contenimento del fenomeno di inquinamento. Anche da tale legge discende l'obbligo per il sindaco di intervenire con un provvedimento idoneo a ridurre l'inquinamento atmosferico, se necessario anche attraverso una drastica limitazione del traffico veicolare;
in attuazione degli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351 e degli articoli 22 e 23 della legge regionale 16 aprile 1985, n. 33, la regione Veneto con delibera del consiglio regionale n. 57 dell'11 novembre 2004 ha approvato «Il Piano regionale di tutela e di risanamento dell'atmosfera»; il Piano regionale di tutela e di risanamento dell'atmosfera classifica le zone del territorio regionale nelle quali i livelli di uno o più inquinanti comportano il rischio di superamento del

valore limite e delle soglie di allarme, individua le autorità competenti alla gestione delle situazioni di rischio e definisce le misure da attuare affinché sia ridotto il rischio di superamento dei valori degli inquinanti, con particolare riferimento alle polveri sottili (PM10), agli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e al biossido di azoto (NO2);
la regione Veneto ha precisato (doc. 554140/45.06/E.400.011 del 23 ottobre 2008) che i piani di azione, risanamento e mantenimento sono ricompresi fra i piani e programmi sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS). La normativa comunitaria (direttiva 2001/42 CE) entrata in vigore il 21 luglio 2004, recepita con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», che relativamente a ciò che concerne le procedure di VAS, di VIA e di ICCP, disciplinate dalla parte II, è entrato in vigore il 31 luglio 2007;
la normativa di VAS è sostanzialmente volta a garantire ed a valutare la sostenibilità dei piani programmi, con lo scopo di integrare gli aspetti ambientali al pari di quelli economici, sociali e territoriali. In particolare la procedura VAS rappresenta lo strumento che evidenzia le modalità con le quali è stata integrata la variabile ambientale nel piano, definendo la stima dei possibili effetti significativi sull'ambiente, ed individuando le misure di mitigazione e di compensazione e le misure di monitoraggi. La pianificazione sul territorio è in realtà lo strumento principe per ottenere delle efficaci politiche di riduzione dell'inquinamento. È quindi fondamentale che gli obiettivi dei piani e dei programmi elaborati da ogni entità territoriale siano coerenti con gli obiettivi del Piano di azione, risanamento e mantenimento dell'aria. Il Piano regionale di tutela e di risanamento dell'atmosfera al punto 6.2.1.3 considera ogni elemento della pianificazione territoriale: - traffico - produzione energetica - edilizia - consumo energetico - impianti industriali - sistema agricolo e zootecnico - uso del territorio;
l'inquinamento influisce molto sulle malattie respiratorie e questo è stato ben documentato, afferma il dottor Andrea Vianello, direttore di fisiopatologia respiratoria all'ospedale di Padova, e spiega che nelle giornate in cui l'inquinamento è più elevato ci sono più accessi al pronto soccorso per asma bronchiale, che ci sono più necessità di ricovero, che c'è maggior consumo di farmaci anti asmatici e antibronchitici. In più, in campo medico, si discute anche che importanza abbia questa esposizione a lungo termine nel far peggiorare progressivamente la capacità respiratoria delle persone;
il servizio igiene sanità pubblica della Ussl di Verona scrive che l'inquinamento dell'aria costituisce un reale problema sanitario per la città che per la cattiva qualità dell'aria comporta ogni anno a Verona la morte prematura di circa 10-90 persone per effetti acuti che intervengono entro 4 giorni dai picchi di inquinamento;
a causa dello smog chi abita nella pianura padana vive tre anni in meno dei suoi connazionali. Ogni anno in Europa lo smog uccide 310 mila persone, di cui 50 mila in Italia. A rivelarlo è l'ultimo rapporto redatto dall'Agenzia europea dell'ambiente di Copenaghen: «Air Quality in Europe 2011». Le regioni più esposte all'inquinamento sono la pianura Padana e il Benelux, regione situata tra il Belgio ed il Lussemburgo. Il rapporto ha poi evidenziato che oltre un quinto della popolazione europea vive in zone altamente inquinate, con rischi seri per la salute. Lo smog causa un aumento di morti per patologie cardiache, respiratorie e tumori. Uno studio tedesco pubblicato su Environmental Health Perspective ha rilevato che al crescere di ogni 2,5 microgrammi su metro cubo di particolato fine, il PM 2,5, in media la pressione minima sale di 1,4 mmHg è la massima di 0,9 mmHg. Maggiore l'aumento dei millimetri di mercurio in chi vive vicino a strade molto trafficate. Francesco Forastiere, del dipartimento di epidemiologia della regione Lazio, ha dichiarato che «la ricerca, eseguita dalle università di Colonia, Essen e Dusserldorf,

è un altro tassello a sostegno dell'ipotesi che il particolato ultrafine, penetrando negli alveoli polmonari e da lì passando nel sangue, produca uno stato infiammatorio generalizzato in grado di produrre placche alterosclerotiche»;
lo studio italiano MISA-2, un grande studio pianificato di metanalisi sugli effetti a breve termine degli inquinamenti atmosferici, coordinato da Annibale Biggeri, università di Firenze, Pierantonio Bellini, università di Padova e Benedetto Terracini, università di Torino ha misurato direttamente gli effetti del Pm10 presente nell'aria delle nostre città stabilendo che l'aumento di mortalità cardiovascolare si manifesta entro i 4 giorni successivi al picco di inquinamento. L'aumento di mortalità per cause respiratorie si protrae per almeno 10 giorni;
lo studio italiano MISA-2, per la prima volta in Italia, ha studiato anche gli effetti dell'aria di città sulle fasce estreme di età (neonati e ultraottantacinquenni). La relazione tra concentrazioni degli inquinanti e mortalità e ricoveri ospedalieri è risultata tendenzialmente maggiore tra gli anziani, in particolare tra i soggetti con più di 85 anni, e, per NO2 e CO, per i neonati fino a 24 mesi. Ciò non significa che gli effetti deleteri dell'inquinamento riguardino solo un sottoinsieme della popolazione, perché sono stati osservati rischi anche in quelle fasce giovani-adulte che si ritenevano meno suscettibili. Con una differenza, comunque: mentre nei più anziani l'inquinamento può uccidere, perché peggiora le condizioni di un fisico già debilitato, nei più piccoli gli effetti si manifestano a pieno solo a lungo termine, con la comparsa di ulteriori malattie;
una ricerca condotta dall'Organizzazione mondiale per la sanità (OMS), per conto dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente (APAT) tra il 2002 e il 2004, dal titolo «Impatto sanitario del pm10 e dell'ozono in 13 città italiane», ha preso in esame 13 città con più di 200.000 abitanti: Torino, Genova, Milano, Trieste, Padova, Venezia-Mestre, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Catania e Palermo, per un totale di nove milioni di persone (il 16 per cento del totale della popolazione nazionale) rilevando che gli effetti a lungo termine delle concentrazioni di Pm10 superiori ai 20 ug/m3 hanno causato una media annuale di 8.220 morti, vale a dire il 9 per cento della mortalità negli over 30 per tutte le cause, esclusi gli incidenti stradali;
i coordinatori dello studio europeo «Aphekom» hanno presentato i risultati di una ricerca triennale che è andata a quantificare in termini economici l'impatto dell'inquinamento dell'aria in 25 città europee. L'Italia è rappresentata da Roma. La cifra è da capogiro: 31,5 miliardi di euro vengono «buttati via» per lo smog, pari a 19 mila morti (di cui 15 mila per malattie cardiovascolari). Ogni anno. Ne basterebbero molti meno per risanare l'aria, agendo su traffico, emissioni industriali e riscaldamenti;
la Corte di giustizia europea ha deferito l'Italia per la mancata applicazione della norma europea 2008/50/CE, la quale impone di portare la concentrazione annua di inquinante atmosferico, il particolato fine o PM10, a 40 microgrammi al metro cubo e a 50 microgrammi al metro cubo per quanto riguarda invece la concentrazione quotidiana. I capi di accusa della Corte di giustizia riguardano: nelle relazioni degli anni dal 2005 al 2007 si registra un continuo superamento dei valori limite da inquinamento da PM10, ben oltre la tolleranza consentita -:
se i Ministri interrogati non ritengano, ove ne sussistano i presupposti, opportuno esercitare i poteri di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998.
(4-14176)

CAPARINI, MOLGORA e VOLPI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i cambiamenti politici e gli eventi bellici in corso nel nord Africa hanno provocato un eccezionale afflusso di migranti sulle coste italiane;

la fase emergenziale si è sostanzialmente conclusa il 5 aprile 2011 quando il Governo italiano e le nuove autorità tunisine hanno ripristinato gli accordi bilaterali in materia di immigrazione e da quella data i tunisini irregolari vengono rimpatriati;
dalla Libia sono stati accolti cittadini di varie nazionalità, in prevalenza africane, per avviare la procedura per la richiesta di asilo;
il 6 aprile 2011 è stato sottoscritto un accordo tra comuni, province, regioni e Governo centrale per condividere e coordinare l'accoglienza sull'intero territorio nazionale dei profughi provenienti dalla Libia suddividendoli nelle regioni in modo equo e proporzione alla popolazione residente;
la normale capacità di accoglienza per «richiedenti asilo» in Italia è di circa 7.000 persone all'anno (la rete dello SPRAR e le piccole comunità di accoglienza o i CARA. Centri di accoglienza per richiedenti asilo);
in Lombardia risiede una percentuale tra il 17 ed il 18 per cento dell'intera popolazione nazionale, questa stessa percentuale è quella che determina il numero di profughi da accogliere sul territorio regionale per ognuna delle 5 fasi del Piano. Traducendo in numeri, ciò significa che ogni 10.000 profughi che sbarcano a Lampedusa o sulle altre coste siciliane e che avviano la procedura di richiesta dell'asilo, tra 1.700 e 1.800 dovranno trovare accoglienza sul territorio lombardo. Nello scenario più pessimistico (quello dei 50.000 arrivi complessivi) in Lombardia dovranno trovare accoglienza circa 8.500 persone;
in Lombardia conta 1.546 comuni, suddivisi in 12 province. L'obiettivo a cui tendere è quindi quello dell'attivazione di un'azione di accoglienza diffusa sull'intero territorio, con l'obiettivo di individuare soluzioni appropriate, anche per piccoli numeri, tali da non comportare un impatto eccessivo sui singoli territori. Nella regione risiedono poco meno di 900.000 cittadini stranieri con regolare permesso di soggiorno. Il numero massimo di richiedenti asilo che potrebbe essere necessario accogliere per far fronte a questa emergenza nello scenario peggiore (8.500) è, infatti, inferiore all'1 per cento del totale;
l'accordo del 6 aprile 2011 dispone, pertanto, un piano di attività relativo ai richiedenti asilo in fuga dalla Libia, basato su questi quattro elementi:
a) utilizzo dell'esistente normativa sull'immigrazione senza creare percorsi diversi o atipici, e quindi obiettivo di accogliere i profughi preferibilmente ampliando la capacità di accoglienza delle strutture esistenti, idonee e già sperimentate;
b) suddivisione dei profughi sul territorio nazionale in misura equa, proporzionale ai cittadini residenti in ciascuna regione;
c) coinvolgimento del sistema nazionale di protezione civile a tutti i livelli (comuni, province, regioni e Governo centrale) per assicurare la necessaria tempestività ed efficacia degli interventi;
d) assunzione degli oneri economici a carico del Governo centrale, con procedure di spesa decentrate e veloci;
la struttura di coordinamento nazionale provvede a ripartire i profughi giunti sulle coste siciliane, ad alloggiarli temporaneamente per qualche giorno nei centri di primo soccorso esistenti a Lampedusa, Manduria, e altre località per poi indirizzarli verso tutte le regioni, secondo i criteri proporzionali concordati tra comuni, le province, le regioni e il Governo centrale;
per gestire questa attività di accoglienza straordinaria in Lombardia, a partire dal 10 maggio 2011, sono state individuate due figure operative:
a) un soggetto incaricato di individuare le strutture di accoglienza (o di allestirle, dove necessario) per l'intero ter

ritorio regionale (questa finzione è temporaneamente svolta da un dirigente del dipartimento nazionale di protezione civile, nelle more della designazione di un soggetto a cura della regione Lombardia);
b) un soggetto attuatore competente per la gestione delle strutture individuate, con il compito di trattare tutti gli aspetti relativi, ivi compresa la gestione della quota spettante alla Lombardia difendo straordinario e dei conseguenti pagamenti: questa funzione è svolta dal viceprefetto vicario presso la prefettura di Milano;
come già specificato nell'interrogazione Caparini n. 4-12536 in Vallecamonica, provincia di Brescia, sono state rapidamente saturate tutte le strutture in grado di accogliere e assistere i richiedenti asilo nell'intero percorso di richiesta di asilo ed è stato dalla comunità montana con una quindicina di comuni, dallo Sprar di Breno (Sistema di protezione richiedenti asilo rifugiati) e dalla cooperativa K-Pax un progetto di accoglienza diffusa che ha dislocato i 136 profughi ospitati a Montecampione e in Valpalot in piccoli nuclei sparsi in diversi paesi sia in Valle Camonica e nel Bresciano (nello specifico, 66 profughi sono stati indirizzati in Valle: 5 ad Artogne, Breno, Cividate, Esine, Niardo, Piancamuno e Piancogno, 4 a Cerveno, 3 a Sellero, 2 a Capo di Ponte e Darfo e 20 a Edolo). Resta da risolvere la situazione a Corteno Golgi dove in una casa vacanze alloggiano da mesi ben 82 immigrati (secondo lo Sprar è una «situazione di criticità e conflitto con la gestione che necessita quanto prima di interventi e soluzioni idonee»);
in provincia di Brescia sono registrati 174 profughi nel distretto di Valle Camonica (di cui oltre la metà inseriti in strutture di accoglienza di secondo livello) e 90 nella città di Brescia (quasi tutti in carico a strutture alberghiere temporanee);
gli oneri dell'ospitalità sono ingenti: se per ogni profugo spetta un rimborso di 46 euro al giorno, chi gestisce i circa 200 profughi camuni «dovrebbe» (in attesa di vedere se il capitolo viene rifinanziato) contare su di un rimborso pari a 364.160 euro al mese, che per 6 mesi trascorsi equivalgono a 2.185.920 euro;
cifre a parere dell'interrogante oggettivamente spropositate considerate le migliaia di famiglie monoreddito che vivono con meno di 1.380,00 euro al mese -:
se il Governo sia a conoscenza della situazione;
se essendo definitivamente conclusa la guerra in Libia ed essendo venuti a mancare i motivi fondanti la richiesta d'asilo si intenda provvedere all'immediato rimpatrio nelle loro nazioni d'origine dei richiedenti.
(4-14178)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
risulta che il 2 settembre 2011, poco prima del secondo anniversario, la Presidenza del Consiglio abbia emanato un'ordinanza per stanziare 160 milioni di euro e far partire, finalmente, la ricostruzione del paese di Giampilieri, devastato dall'alluvione;
quello stanziamento risulta essere inutilizzabile, perché vincolato al patto di stabilità regionale, e quindi, per ragioni di bilancio, le risorse non possono essere erogate prima del 2012;
circa 400 mila euro dei pochi finanziamenti stanziati se ne sono andati in consulenze fiduciarie e incarichi una tantum di tre mesi affidati a tecnici di diverso genere -:
per quali specifiche consulenze e incarichi quel denaro sia stato stanziato, e in particolare se sia vero che tra queste consulenze ve ne sia una affidata a un diplomato in pianoforte al conservatorio;
in caso affermativo, quale sia la relazione tra l'alluvione che ha devastato

Giampilieri e la consulenza affidata a un diplomato in pianoforte al conservatorio, a quanto ammonti detta consulenza, e come sia stata giustificata.
(4-14181)

SBROLLINI e ZAMPA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
le adozioni sono uno strumento utile a garantire in primo luogo una vita serena e positiva ai troppi bambini che si trovano nella condizione di affido per i motivi più diversi;
le adozioni internazionali sono uno strumento importante che va tutelato, incentivato e controllato;
troppe volte si sentono notizie terribili che coinvolgono minori che purtroppo cadono in «giri pericolosi» gestiti da organizzazione senza scrupoli;
da alcune settimane si sono perse le tracce di 3 bambini di nome: Teferech, Yemareshet, Alemu;
si tratta di 3 bambini, già affidati a famiglie adottive italiane che stavano concludendo il percorso di adozione;
sembrerebbe che questi bambini siano stati riportati nei luoghi di nascita in Etiopia;
da quel momento si sono persi i contatti e le tracce; assieme a questi 3 bimbi altri 23 hanno subito lo stesso trattamento, bambini che erano nei fatti già affidati a famiglie di diversi Paesi;
questi bambini, erano seguiti dall'AIAU, associazione con sede a Firenze, ma non è stato possibile, per quanto consta all'interrogante, acquisire dalla stessa, spiegazioni e addirittura risulta difficilissimo contattarne i referenti;
si esprime la più totale preoccupazione per la sorte di questi piccoli, di cui nessuno sembra aver più traccia o contatto. Le famiglie assegnatarie vivono momenti di angoscia per la sorte dei piccoli bambini -:
se si intendano attivare tutti i canali possibili per poter recuperare informazioni utili al ritrovamento dei piccoli e per capire l'anomala interruzione del processo di adozione;
se si intendano attivare le strutture diplomatiche al fine di giungere in tempi rapidi alla soluzione di un dramma che non può continuare oltre.
(4-14187)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:

NARDUCCI e TEMPESTINI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la trasmissione «MEZZ'ORA italiana» di Saarbrücken è nata da un accordo del 1961 tra il consolato d'Italia in Saarbrücken e l'ente Saarländischer Rundfunk, ente facente parte della prima rete televisiva nazionale della Repubblica federale di Germania;
la collaborazione tra la radio della Saar e la Süd West Rundfunk dei Lander confinanti ha consentito, tra l'altro, di raggiungere una vasta utenza di connazionali residenti nei territori di Francia, Belgio, Lussemburgo e Germania;
l'accordo, con il quale è stata istituita la trasmissione in questione, prevede che il consolato mette a disposizione il materiale redazionale e uno speaker che si reca nello studio tutte le settimane per registrare la puntata mentre l'ente radiotelevisivo mette in onda gratuitamente il programma (due volte la settimana, di sabato e di domenica, per 30 minuti);
la trasmissione radiofonica MEZZ'ORA italiana con la rubrica stampa «appuntamento italiano» (messo a disposizione sin dal 1995 gratuitamente dai settimanali per inserzionisti «Wochenspiegel»

con distribuzione gratuita e con una tiratura di oltre 700.000 copie) è considerata da decenni efficace strumento d'informazione senza spese per l'erario, soprattutto per il lancio di campagne informative in occasione di consultazioni elettorali, per le innovazioni amministrative, per i servizi consolari;
dopo la chiusura del consolato d'Italia in Saarbrücken, nel settembre 2010, e il passaggio delle competenze al consolato generale di Francoforte sul Meno, alla Saarländische Rundfunk è stata confermata la collaborazione in parole dalle autorità diplomatiche e consolari;
la comunità italiana del Saarland ha sempre apprezzato le potenzialità della trasmissione MEZZ'ORA italiana, tantoché è stata utilizzata per indirizzare alla comunità stessa il saluto del console in carica a Francoforte e per la campagna di informazione sui cambiamenti derivati dalla chiusura del locale consolato;
«appuntamento Italiano» e «MEZZ'ORA Italiana» hanno costituito motivo di risparmio per il consolato che ha rinunciato ai fondi del Ministero degli affari esteri in occasione delle campagne informative per le elezioni politiche e referendarie, avendo a disposizione questi due efficaci e gratuiti strumenti di informazione;
attualmente il consolato generale italiano di Francoforte, tra lo stupore generale delle autorità tedesche e la palese delusione e amarezza della comunità italiana del Saarland, ha sospeso il consueto appuntamento radiofonico MEZZ'ORA italiana sul Saarländischen Rundfunk, provocando per altro, dopo la chiusura del consolato, un ulteriore danno di immagine a livello locale per il nostro Paese;
la soppressione della trasmissione «MEZZ'ORA italiana» è approdata anche sulla stampa tedesca locale che, lamentando la fine di una tradizione durata quasi cinquant'anni, ha titolato «Italiener-Sendung im SR wird auf Betreiben des Konsuls ausgesetzt» (La trasmissione degli italiani nel Saarland sospesa per iniziativa del Console);
la collettività, non comprendendo le ragioni della decisione presa dal consolato generale di Francoforte, ha lanciato una petizione indirizzata al Comites, sollecitato a mettere in atto ogni utile tentativo per il ripristino del programma e della rubrica stampa -:
quali iniziative ritenga di intraprendere il Ministro per ripristinare la trasmissione e assicurare la continuità di informazione verso i connazionali residenti nel Saarland e nei territori limitrofi e per continuare a tenere alta la presenza culturale italiana nell'area suddetta.
(5-05800)

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DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:

DI PIETRO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 31 luglio 1998 è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra il Ministero della difesa, la regione Calabria e il comune di Cutro per la realizzazione di un insediamento militare a livello di reggimento con area addestrativa viciniore;
attraverso la stipula del citato protocollo il Ministero si era impegnato a realizzare un complesso di strutture destinate alla quotidianità del reparto, quali la caserma, gli alloggi per i quadri e le strutture necessarie allo svolgimento delle attività ginnico/sportive oltre che addestrative;
l'amministrazione comunale si era impegnata a rendere disponibili le aree necessarie alla realizzazione di quanto previsto nel protocollo e a realizzare le opere di urbanizzazione;
poiché, a latere del citato accordo, si reputava necessaria una variante al piano regolatore generale, il consiglio comunale

di Cutro, con delibera n. 12 del 26 maggio 2000, espresse parere favorevole preventivo dichiarando tali lavori di realizzazione come di pubblica utilità;
il 31 maggio 2000, le varie istituzioni coinvolte parteciparono a una conferenza propedeutica all'accordo di programma, poi sottoscritto il successivo 23 giugno, cui seguirono la ratifica del comune di Cutro il 12 luglio e quella della regione Calabria il 10 ottobre;
con contratto n. 1875 del 18 giugno 2002, il Ministero della difesa affidò all'impresa consorzio artigiani romagnoli di Rimini, subentrata al consorzio SITIE di Bitonto, i lavori relativi a un primo lotto funzionale per un importo contrattuale di 13.994.000 euro, lotto che prevedeva la realizzazione degli alloggi;
i lavori sono stati consegnati in data 5 febbraio 2002 e ultimati con collaudo il 18 dicembre 2009;
il secondo lotto, che prevede la realizzazione della caserma per circa 700 unità, prevede un impegno economico di circa 50 milioni per la quale sono state già espletate le procedure di aggiudicazione della gara per la progettazione definitiva, in attesa dell'appalto dei lavori di esecuzione;
il comune di Cutro ha provveduto a completare la pratica per l'esproprio dell'area di sedime con un costo pari a 1.300.000 euro per le indennità relative;
lo stesso comune, con finanziamento regionale, ha realizzato le opere di urbanizzazione del primo lotto funzionale, per un importo complessivo di 1.600.000, ultimate il 16 giugno 2007;
risulta allo scrivente che è stata già redatta la progettazione per le opere di urbanizzazione relative al secondo lotto funzionale per un importo pari a 1.465.000 euro;
a tutt'oggi non risulta esservi traccia dell'avvio dei lavori di completamento e che, anzi, il Ministero della difesa, per il tramite del Sottosegretario pro tempore Cossiga, ha comunicato al citato comune, con nota del 6 maggio 2009, la volontà del Governo di non dare ulteriore corso all'opera progettata attraverso motivazioni non convincenti e non rispondenti agli originari e ancora validi obiettivi che ne hanno determinato la nascita -:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative ritenga di adottare perché i lavori di completamento della citata caserma possano essere assicurati.
(4-14179)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:

STUCCHI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con il comma 12, dell'articolo 39 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 6 luglio 2011, n. 155, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria» è stata prevista la possibilità per i contribuenti, al ricorrere di determinate condizioni stabilite nella norma, di beneficiare di una definizione delle liti pendenti;
a tal fine si applicano le disposizioni dell'articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che prevedono il pagamento del «(...) 10 per cento del valore della lite in caso di soccombenza dell'Amministrazione (...)» -:
se tale sistema, già in vigore dal 2002, stia funzionando nel senso auspicato dal legislatore e dal cittadino, risolvendo pacificamente le controversie o se non ritenga opportuno rivalutare la posizione a vantaggio del contribuente che deve pagare per chiudere una lite dove l'ultima o l'unica pronuncia giurisdizionale è a suo favore.
(4-14177)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:

DAL MORO e RUBINATO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
con l'articolo 1, comma 1, della legge n. 120 del 29 luglio 2010 («Disposizioni in materia di sicurezza stradale»), che ha modificato l'articolo 6, comma 4, lettera e), del decreto legislativo n. 285 del 30 aprile 1992, è stata introdotta nel codice della strada una disposizione che autorizza gli enti proprietari delle strade a prescrivere, mediante ordinanza, «che i veicoli siano muniti ovvero abbiano a bordo mezzi antisdrucciolevoli o pneumatici invernali idonei alla marcia su neve o su ghiaccio»;
l'obbligo di circolare con gli pneumatici invernali o, in alternativa, con le catene da neve può essere stabilito per un periodo predeterminato in relazione alla posizione geografica e alle caratteristiche della strada interessata; tale obbligo è quindi indipendente dalle condizioni meteorologiche e dalla presenza effettiva di neve o ghiaccio, inoltre può cambiare da tratto a tratto;
si tratta di una disposizione introdotta per incrementare il livello di sicurezza lungo le strade, la cui attuazione, tuttavia, sta creando una confusione notevole a danno degli automobilisti, essendo rinviata all'autonoma decisione degli enti proprietari o, eventualmente, dei concessionari e, quindi, del tutto disomogenea;
in Veneto, in particolare, Veneto Strade s.p.a. (con ordinanza n. 538 del 4 novembre 2011), Autovie Venete (con ordinanza n. 60 del 9 novembre 2011) e Cav (con ordinanza n. 817 del 11 novembre 2011) hanno previsto l'obbligo di catene e pneumatici da neve dal 15 novembre 2011 al 15 aprile 2012; la provincia di Padova (con ordinanza n. 15528 del 18 ottobre 2011) ha disposto l'obbligo nel tratto ricadente nell'ambito dei Colli Euganei dall'1 novembre 2011 al 31 marzo 2012, mentre la provincia di Verona (con ordinanza n. 562 del 7 novembre 2011) in concomitanza del verificarsi di precipitazioni nevose infine la provincia di Treviso non ha emesso alcuna ordinanza restrittiva;
l'assenza di un'adeguata segnaletica, che riporti chiaramente i limiti temporali dell'obbligo e la delimitazione del tratto stradale interessato, comporta l'elevato rischio che gli automobilisti si ritrovino a viaggiare senza conoscere esattamente il regolamento di circolazione previsto lungo le strade percorse;
le sanzioni amministrative per i trasgressori possono variare sensibilmente, da 80 a 318 euro, in ragione delle strade interessate;
in un momento di particolare crisi economica, gli automobilisti sono spesso costretti a munirsi di pneumatici da neve anche quando non è minimamente necessario o, addirittura, fuori stagione, arrivando a pagare anche un 20-30 per cento in più rispetto al prezzo corrente -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione derivante dall'attuazione della disposizione citata in premessa, nonché del grave pregiudizio economico derivante per gli automobilisti;
quali iniziative, e in quali tempi, il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, affinché la disposizione del codice della strada in questione venga applicata nel modo più omogeneo, coordinato e ragionevole possibile da parte degli enti proprietari e dei concessionari delle strade.
(5-05799)

Interrogazioni a risposta scritta:

DONADI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 1158 del 1971 e successive modifiche, recante «Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia ed il continente»

ha affidato alla Stretto di Messina s.p.a. il compito di progettare e realizzare il ponte sullo stretto di Messina;
la concessionaria Stretto di Messina s.p.a. fu costituita dieci anni dopo la legge n. 1158 del 1971, a cui partecipavano finanziariamente l'IRI e le sue controllate ITALSTAT e FINSIDER con il 51 per cento e Ferrovie dello Stato, ANAS, regione siciliana e regione Calabria in percentuali uguali dell'11,11 per cento ciascuno;
la composizione societaria della Stretto di Messina s.p.a., dopo varie modificazioni, nel 2007 è cambiata nel seguente modo: ANAS 81,84 per cento, RFI 13 per cento, regione siciliana e regione Calabria in percentuali uguali del 2,57 per cento ciascuno;
il quadro economico dell'iniziativa riguardante il ponte sullo stretto di Messina, come riportato nella deliberazione del CIPE n. 66 del 1o agosto 2003, pari a 4,684 miliardi di euro è stato sviluppato avendo a base il potere d'acquisto al 2002 e considerando - per la stima degli oneri finanziari - il tasso minimo applicato dalla Banca europea degli investimenti per le operazioni di rifinanziamento, maggiorato di un punto percentuale;
nonostante il Governo Berlusconi abbia sempre ripetuto che l'opera sarebbe stata pagata dai privati, è sotto gli occhi di tutti il fatto che il costo dell'opera sarà per la maggior parte a carico delle casse pubbliche, considerato anche che la società concessionaria, soggetto di diritto privato, è finanziato per la quasi totalità con soldi pubblici;
sulla base di tali fattori, la relazione della Corte dei conti del 2010 ha riportato che i dati riferiti in sede istruttoria dalla Stretto di Messina ha indicato il fabbisogno finanziario complessivo al 2008 in un ammontare di risorse pari a circa 6 miliardi di euro, oggi da altre fonti valutate in oltre 8 miliardi di euro;
in estate la Stretto di Messina s.p.a. ha approvato il progetto definitivo del ponte, aggiornando a 8,5 miliardi l'investimento complessivo per nuove opere richieste dagli enti locali, adeguamenti alle nuove norme tecniche e ottimizzazioni progettuali. Entro febbraio del prossimo anno dovrebbe arrivare l'approvazione del progetto definitivo ed esecutivo da parte del CIPE;
la rete «No Ponte» ha dichiarato che si tratterebbe «delle ultime carte che certa politica e certa imprenditoria tenta di giocare, accelerando i tempi per l'approvazione del progetto definitivo ed esecutivo da parte del CIPE e che in caso di mancata realizzazione dell'opera come ormai sembra certo, garantirebbe il pagamento delle penali alle imprese interessate»;
dalla lettura dei giornali emerge chiaramente, secondo gli interroganti che le penali tanto enfatizzate sarebbero dovuto solo dopo che il CIPE avrà approvato il progetto, mentre i contratti non le prevederebbero se il progetto venisse bloccato prima;
agli inizi di ottobre 2011 a lanciare l'allarme penali, dopo che la Commissione europea aveva dichiarato il ponte «opera di non pubblica utilità» erano stati gli ex Ministri Matteoli e Romani hanno dichiarato che «Non escludiamo di dover pagare penali dal 5 al 10 per cento dei quattro quinti dell'importo dei lavori». La loro apparente prudenza sembra confermare che al momento le penali non sarebbero dovute;
c'è da aggiungere che dagli approfondimento condotti dall'interrogante risulta che le poste del bilancio dello Stato che destinano risorse a favore del ponte sullo stretto di Messina appaiono azzerate nella legge di stabilità n. 220 del 2010;
il 27 ottobre 2011 la Camera dei deputati ha approvato una mozione presentata dal gruppo dell'Italia dei Valori, che chiedeva al Governo di recupera almeno in parte le risorse destinate al trasporto pubblico locale pregiudicato dai tagli dell'ultimo governo Berlusconi. In

particolare si chiedeva di reperire le risorse economiche necessarie eventualmente ricorrendo alla soppressione dei finanziamenti per la realizzazione del ponte sullo stretto;
non sono bastati 40 anni a costruire il ponte sullo stretto di Messina, sulla cui inutilità ci sono pochi dubbi. Si tratta di un'opera che ha già drenato molte risorse e che ne drenerà altre, ma che non si realizzerà mai, conquistando un primato come ottava meraviglia del mondo degli sprechi;
occorre fermare definitivamente il progetto fino a quando si è in tempo e comunque prima che il CIPE approvi il progetto definitivo. Al contempo occorre assicurare che in Calabria e in Sicilia siano effettuati quegli interventi strutturali sulla viabilità e la navigazione necessari allo sviluppo delle regioni e delle loro attività economiche, in linea con i progetti dei corridoi europei definitivi nell'ambito dell'Unione;
c'è da rilevare, inoltre, che sul sito della società Eurolink, general contractor scelto dalla Stretto di Messina s.p.a. è apparsa la lista dei terreni da espropriare per la costruzione del ponte, nonostante non sia stata ancora stata data la dichiarazione di pubblica utilità di quei terreni -:
se il Governo intenda o meno procedere alla realizzazione del ponte e, in caso non intenda procedervi, quali iniziative intenda assumere per bloccare l'approvazione da parte del CIPE del progetto definitivo ed esecutivo, al fine di prevenire l'eventuale applicazione di penali;
se, nel caso si intenda dare seguito alla realizzazione del progetto, nel bilancio dello Stato siano effettivamente stanziate risorse a favore del ponte sullo stretto e dove eventualmente verrebbero recuperate.
(4-14180)

DI VIZIA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
a partire dal 13 dicembre 2011 entrerà in vigore il nuovo orario invernale di Trenitalia, che comporterà cambiamenti di orari e di tratte anche sulla linea tirrenica Roma-Genova;
da notizie informali sembrerebbe che, per ragioni di ordine economico, siano previste la soppressione del treno Freccia bianca 35261 con andata da Genova Principe alle ore 6,43 e con ritorno da Roma Termini alle ore 18,10, la soppressione del treno notte Torino-Palermo e Palermo-Torino nonché la soppressione delle fermate nel territorio del Tigullio Chiavari e Rapallo di tutti i treni Freccia bianca;
se queste notizie fossero confermate, gli abitanti del Tigullio subirebbero gravissimi disagi nei loro abituali spostamenti -:
se trovino conferma le notizie informali relative alla soppressioni dei treni sulla linea tirrenica a partire dal 13 dicembre 2011 e quali iniziative di competenza, in caso affermativo, intenda mettere in atto per minimizzare i disagi della popolazione del Tigullio, anche valutando la possibilità di mantenere almeno un treno Freccia bianca, sia all'andata che al ritorno, che attui una fermata, magari anche in alternanza a Chiavari e a Rapallo;
se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, un tavolo di concertazione fra la compagnia ferroviaria e le amministrazioni locali interessate dalle soppressioni delle tratte, per valutare l'opportunità di concordare un piano di fermate che non arrechi eccessivi disagi alla popolazione del Tigullio, anche programmando una fermata nel territorio dell'eurostar mattutino Genova-Roma e in quello serale Roma-Genova.
(4-14183)

FRONER. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il 13 dicembre 1995 un aereo Antonov 24 di proprietà della compagnia rumena Romaviva, noleggiato a Business Jet srl di Verona, che doveva effettuare un volo commerciale da Verona-Villafranca a Timisoara, precipitò al suolo in fase di decollo, cagionando la morte di tutti i passeggeri e i membri dell'equipaggio;
dal giorno del fatto, 13 dicembre 1995, sono trascorsi sedici anni;
le responsabilità dei protagonisti dell'incidente sono state accertate in via definitiva con sentenza penale e riconfermate in sede civile. Le responsabilità sono distribuite per il 60 per cento a carico di coloro che hanno effettuato il trasporto aereo (la società che aveva noleggiato il velivolo, la proprietaria dell'Antonov e l'agenzia che aveva organizzato il volo), per il 20 per cento a carico della società aeroportuale Verona-Villafranca e per ulteriore 20 per cento a carico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
con sentenza 21 ottobre 2010 del tribunale di Venezia sono stati definiti i danni dei superstiti. Trattasi di sentenza munita di provvisoria esecutorietà, è di cui ovviamente è stato chiesto l'adempimento;
dopo più di un anno, a quanto consta all'interrogante gli assicuratori e il trasportatore aereo non avrebbero riscontrato le richieste di pagamento; il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con compiti di controllo e di vigilanza sul traffico aereo e, in particolare, sulla idoneità e solvibilità delle società assicuratrici che garantiscono obbligatoriamente la società di navigazione, non è intervenuto; il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, condannato al risarcimento del danno, e rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, non ha neppure formalmente riscontrato le richieste di pagamento pervenutegli -:
quali iniziative di competenza intenda tempestivamente attivare per portare a conclusione le procedure per l'erogazione dei risarcimenti dovuti ai superstiti delle vittime del disastro.
(4-14185)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto si legge sul blog «sulatestagiannilannes.blogspot.com» il prefetto di Foggia, Antonio Nunziante, il 22 novembre 2011, nel corso di un incontro con rappresentanti della cooperativa agricola «Silvestro Fiore» avrebbe dichiarato. «Vi faccio sgomberare con la forza da cento uomini delle forze dell'ordine, senza riguardo per malati, donne, anziani e bambini»;
la cooperativa agricola «Silvestro Fiore» chiede il rispetto di sentenze che le riconoscono diritti sui 240 ettari di terreni nei confronti del comune di Foggia che secondo l'articolo pubblicato sul blog ha interesse a sgombrare la zone per motivi speculativi legati alla realizzazione di parchi fotovoltaici e di un inceneritore;
il comune di Foggia, secondo quanto stabilito dalla Corte dei conti, versa in una situazione di dissesto finanziario;
il giorno 2 dicembre verso le 9,30 le forze dell'ordine in assetto anti sommossa hanno tentato di entrare nei terreni per prenderne il possesso, mentre le persone appartenenti alle 30 famiglie che vivono in quel territorio hanno reagito pacificamente sdraiandosi o sedendosi a terra -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
se le parole pronunciate dal prefetto Nunziante il 22 novembre 2011 e i fatti accaduti il 2 dicembre 2011 siano coerenti con gli indirizzi del Governo in tema di tutela dell'ordine pubblico e, in caso contrario,

quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato.
(4-14184)

PALAGIANO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. - Per sapere - premesso che:
il 25 novembre è stata celebrata, in tutto il mondo, la giornata contro la violenza sulle donne. Un fenomeno gravissimo e mai del tutto arginato;
anche l'Italia ha partecipato a queste importanti celebrazioni attraverso numerose iniziative che hanno coinvolto il mondo politico, associazionistico e culturale italiano;
diverse agenzie stampa, proprio il 25 novembre, hanno riportato notizia che una donna, una senegalese in Italia dal 2006, è stata richiusa nel Centro di identificazione ed espulsione di Bologna dopo aver denunciato una violenza;
in particolare, il 26 agosto 2011, le forze dell'ordine hanno deciso di trattenere la donna presso il centro di identificazione ed espulsione della città, dopo aver verificato l'irregolarità dei suoi documenti, nonostante presentasse evidentissimi segni dei maltrattamenti subiti;
proprio questa mancanza di documenti in regola la possibilità di applicazione della legge Bossi-Fini, che prevede l'espulsione immediata per gli immigrati irregolari dopo un passaggio nei suddetti Centri di identificazione ed espulsione, appaiono essere, dal verbale della denuncia della donna, tra i motivi che spingevano il suo compagno a continuare ad infliggerle violenza: «mi ripeteva fino all'ossessione che il mio essere clandestina mi avrebbe impedito di cercare aiuto»;
una doppia violenza, quella subita da Adama Kebe - questo il nome della donna - prima come essere umano e poi come migrante;
inoltre, la situazione psicologica della donna è stata descritta dai medici come «delicata» e poco compatibile con la permanenza in Centro di identificazione ed espulsione;
a seguito di numerosi appelli e mobilitazioni nazionali, il 1o dicembre 2011 Adama è stata rilasciata dal Centro di identificazione ed espulsione;
non si può dimenticare che i 13 Centri di identificazione e di espulsione italiani sembrano ad avviso dell'interrogante più dei «lager» che dei centri di accoglienza. Con una situazione sanitaria al limite della decenza, l'inagibilità di molte delle strutture e metodologie di trattamento che si avvicinano molto di più a quelle della detenzione punitiva che dell'ospitalità, come segnalato, peraltro, in numerosi atti parlamentari -:
se i Ministri siano a conoscenza della vicenda sopra esposta e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere a tutela dei diritti della donna senegalese, della sua incolumità e della sua salute, assicurando che tali episodi non abbiano più a ripetersi;
se intendano provvedere alla verifica delle condizioni di vivibilità, di accoglienza e di assistenza dei centri di identificazione e di espulsione italiani.
(4-14186)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

FRASSINETTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 1o dicembre 2011 presso la facoltà di scienze politiche dell'università statale di Milano, in occasione di un convegno organizzato da Azione universitaria, associazione degli studenti universitari del Pdl, un gruppo di studenti dei collettivi universitari, appartenenti al movimento

«Assemblea degli studenti di scienze politiche», ha aggredito con lanci di uova e pomodori, oltre che con insulti e minacce, il giornalista Oscar Giannino, impedendogli l'ingresso all'università e la partecipazione al convegno;
nei giorni precedenti l'aggressione l'«Assemblea degli studenti di scienze politiche» aveva annunciato l'organizzazione di una «giornata antifascista» diffondendo, attraverso il suo blog e volantini, messaggi di minacce ed intimidazioni ai danni del movimento giovanile Azione universitaria, organizzatrice dell'evento, e nei confronti dei relatori: il giornalista di Libero Renato Besana ed il giornalista Oscar Giannino in quanto considerati di destra;
il gruppo «Assemblea degli studenti di scienze politiche», nato nel 2005 con lo scopo di proporre idee per riformare l'università, è stato protagonista, sempre più spesso negli ultimi anni, di azioni di violenza e boicottaggio a eventi organizzati da altre associazioni studentesche di destra;
tali minacce avevano destato forti preoccupazioni rendendo necessaria la presenza delle forze dell'ordine dinanzi all'ateneo e lo spostamento del convegno in un'aula considerata più sicura;
il gruppo dei facinorosi di «Assemblea», per impedire lo svolgersi del convegno, aveva bloccato l'ingresso principale dell'università assumendo comportamenti minacciosi tanto che partecipanti e organizzatori dell'evento del gruppo Azione universitaria sono stati costretti ad entrare da un ingresso secondario, scortati da polizia e DIGOS;
i disordini verificatisi in occasione dell'evento organizzato dal movimento giovanile di Azione universitaria, rappresentano atti gravissimi di violenza e intolleranza tanto più gravi se commessi al fine di impedire la libera espressione di pensiero all'interno di una università statale, sede del sapere e del libero confronto -:
se il Governo sia a conoscenza degli episodi descritti in premessa e quali iniziative intenda assumere per evitare il ripetersi di simili atti di violenza e intolleranza affinché l'università resti un luogo di confronto civile, dove a tutti sia concesso l'esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero;
se risulti quali misure siano state assunte dalle autorità accademiche competenti per evitare il ripetersi di simili episodi e se siano stati presi provvedimenti disciplinari nei confronti degli studenti che con gravi manifestazioni di intolleranza hanno impedito il libero svolgimento di attività culturali all'interno dell'Ateneo.
(5-05802)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

DELFINO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la costante diminuzione delle risorse destinate alle politiche socio-assistenziali sta avendo numerose ripercussioni negative sui servizi erogati alle persone disabili;
in particolare, gli alunni con disabilità uditiva necessitano di un'assistente alla comunicazione che li aiuti a superare le difficoltà di comprensione, memorizzazione e produzione lessicale, al fine di rendere la loro vita scolastica al pari degli altri alunni;
la competenza per l'assistenza alla comunicazione e la relativa erogazione del numero delle ore settimanali è demandata ai consorzi socio-assistenziali, fortemente penalizzati dalla continua diminuzione delle risorse ad essi destinati e costretti a limitare drasticamente i servizi erogati;
sono molte le famiglie di ragazzi con disabilità uditiva che lamentano un'insufficienza delle ore destinate all'assistenza alla verbalizzazione, e che si vedono respingere le domande di richiesta per l'aumento delle ore stabilite;

oltre a dover subire molto spesso la sostituzione dell'assistente, contravvenendo al diritto della continuità didattica, indispensabile soprattutto per gli alunni con particolari difficoltà, le famiglie sono costrette a provvedere autonomamente e privatamente per sopperire al carente numero di ore di assistenza alla comunicazione, anche se nella maggior parte dei casi ciò risulta impossibile date le difficoltà economiche in cui versano le fasce più deboli della popolazione;
inoltre, il servizio di trasporto degli alunni disabili all'istituto scolastico non viene garantito in modo equo sul territorio, in quanto solo alcuni comuni mettono a disposizione tale servizio, che altrimenti è completamente a carico delle famiglie;
in un momento di grave crisi economica chiedere alle famiglie ulteriori sacrifici per poter garantire ai propri figli un adeguato livello di formazione con figure professionali di sostegno è impensabile, soprattutto quando questo rappresenta un sacrosanto diritto;
la carenza di risorse destinate alle politiche socio-assistenziali impedisce di fatto una risposta efficace alle problematiche fin qui esposte, per cui risulta necessario intervenire in un'ottica diversa che tenga conto delle reali esigenze di un settore che deve avere gli strumenti necessari per poter garantire alle fasce meno abbienti il giusto sostegno e servizi adeguati -:
quali urgenti iniziative intenda adottare al fine di superare le problematiche espresse in premessa, e di promuovere un riordino complessivo dell'attuale disciplina che regola le politiche sociali attraverso finanziamenti adeguati e strutturali, che permettano l'erogazione di servizi più efficienti ed equamente distribuiti sul territorio.
(5-05801)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:

ASCIERTO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. - Per sapere - premesso che:
nel corso degli ultimi anni si è registrata una crescita costante del fenomeno della contraffazione di prodotti alimentari e agroalimentari nel nostro Paese;
annualmente le categorie del settore analizzano, attraverso numerosi rapporti specifici sull'argomento, i dati sulla commercializzazione di prodotti fraudolentemente venduti per italiani, che rappresentano un grave danno, economico e d'immagine, per il cosiddetto made in Italy alimentare;
le azioni, di controllo e d'intervento da parte dell'ispettorato centrale della tutela e della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, sebbene apprezzabili e incisive, a giudizio dell'interrogante, appaiono tuttavia importanti ma non risolutive al fine di debellare i numerosi fenomeni di illegalità che incidono sul sistema agroalimentare, con particolare riferimento alla contraffazione dei prodotti agroalimentari del made in Italy;
la falsa identità merceologica, la mistificazione dell'azienda, l'ingannevole identità geografica o, più semplicemente, la contraffazione delle scadenze, rappresentano i principali elementi distorsivi ed ingannevoli nei riguardi dei consumatori, che penalizzano notevolmente la maggior parte delle imprese agroalimentari, che invece rispettano i disciplinari ed i regolamenti previsti per la produzione e la commercializzazione dei propri prodotti;
le politiche di prezzo aggressive da parte di coloro che propongono la vendita, in particolare nel circuito della grande distribuzione organizzata, di prodotti dal marchio similari che spingono il consumatore a scegliere l'imitazione, costituiscono inoltre un ulteriore fattore negativo e penalizzante nei confronti della qualità

della tradizione italiana della nostra agricoltura e dei prodotti enogastronomici;
l'introduzione di una specifica norma per l'etichettatura di origine dei prodotti alimentari, approvata nel corso della presente legislatura, su iniziativa del Governo Berlusconi, contenuta all'interno del disegno di legge recante «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari», rappresenta certamente un valido strumento legislativo, per contrastate la lotta alla contraffazione e alla concorrenza sleale nel comparto agroalimentare, mentre l'Unione europea si è attivata in ritardo sulla materia, prospettando una disciplina meno incisiva, non solo nei contenuti, rispetto a quanto disposto invece dal Parlamento italiano;
occorrono pertanto, a giudizio dell'interrogante, ulteriori iniziative volte a definire maggiori controlli sulla qualità, genuinità ed identità dei prodotti agroalimentari italiani e dei mezzi tecnici di produzione agricola, finalizzati alla prevenzione e repressione delle frodi e degli illeciti, di carattere essenzialmente merceologico, unitamente ad interventi in sede di Unione europea, al fine di rivedere le disposizioni in tema di etichettatura, in particolare nei tempi di introduzione della norma che scatterà solo nei prossimi tre anni -:
quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
se non ritengano opportuno prevedere, iniziative normative ad hoc, volte a potenziare ulteriormente, i compiti svolti dall'organo ufficiale di controllo, l'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, al fine di prevenire e reprimere gli illeciti nei vari settori del comparto agroalimentare e tutelare l'immagine dei prodotti sui mercati nazionali ed internazionali;
se non ritengano opportuno infine, intervenire in sede comunitaria, al fine di rivedere i tempi previsti per l'effettiva introduzione delle norme previste in tema di informazione ed etichettatura alimentare, per consentire al comparto agroalimentare italiano di essere maggiormente tutelato dal commercio fraudolento di falsi alimenti made in Italy sul territorio nazionale.
(4-14182)

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Apposizione di una firma ad una interrogazione.

La interrogazione a risposta immediata in Assemblea Meta e altri n. 3-01968, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 dicembre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rigoni.