XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di mercoledì 28 marzo 2012

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 28 marzo 2012.

Albonetti, Alessandri, Ascierto, Bindi, Bongiorno, Boniver, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Castagnetti, Cicchitto, Cimadoro, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Dozzo, Evangelisti, Fallica, Fava, Gregorio Fontana, Anna Teresa Formisano, Franceschini, Frassinetti, Giancarlo Giorgetti, Grassano, Iannaccone, Jannone, Leone, Lombardo, Lucà, Lulli, Lupi, Lusetti, Lussana, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Nucara, Leoluca Orlando, Paglia, Palumbo, Pecorella, Petrenga, Pisacane, Pisicchio, Porfidia, Rainieri, Rigoni, Stefani, Stucchi, Valducci, Vico, Vitali, Volontè, Zeller.

Annunzio di proposte di legge.

In data 27 marzo 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
BECCALOSSI ed altri: «Modifica all'articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286, e altre disposizioni riguardanti il contenuto delle bevande analcooliche alla frutta, la loro etichettatura e i controlli contro le frodi» (5090);
GENOVESE: «Disposizioni concernenti la designazione dell'origine degli oli extra vergini di oliva e degli oli di oliva vergini nell'etichetta del prodotto» (5091).

Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

La proposta di legge CARLUCCI e BARBARESCHI: «Legge quadro per lo spettacolo dal vivo» (136) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Ciccanti, D'Ippolito Vitale e Nunzio Francesco Testa.

La proposta di legge MORASSUT: «Modifica all'articolo 2449 del codice civile, concernente la scelta dei membri degli organi di amministrazione e di controllo nominati dallo Stato o dagli enti pubblici nelle società da essi partecipate» (4886) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Agostini, Argentin, Braga, Brandolini, Burtone, Capodicasa, Carella, Marco Carra, Coscia, Fedi, Grassi, Laratta, Lenzi, Losacco, Lovelli, Madia, Marantelli, Martella, Mastromauro, Meta, Peluffo, Mario Pepe (Pd), Pes, Rigoni, Schirru, Testa e Tidei.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali):
BORGHESI ed altri: «Introduzione dell'articolo 1-bis della legge 23 giugno 1927, n. 1188, concernente la toponomastica stradale e l'intitolazione di monumenti a personaggi contemporanei» (4918) Parere della II Commissione;
GALLI: «Disposizioni concernenti le caratteristiche degli impianti di allarme dotati di telecamere con trasmissione diretta audio-video e agevolazioni fiscali per la loro installazione» (5005) Parere delle Commissioni II, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, X e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
VI Commissione (Finanze):
TOUADI ed altri: «Disposizioni in materia di disciplina e sanzioni relative al settore del gioco e delle scommesse, per la trasparenza della gestione, anche societaria, delle attività e per la prevenzione dell'evasione fiscale e delle infiltrazioni criminali» (4987) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, V, VII, IX, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento) e XIV.
Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive):
GALLI ed altri: «Divieto di propaganda pubblicitaria del gioco d'azzardo, disciplina degli obblighi di informazione e disposizioni in materia di gioco d'azzardo patologico» (5002) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, IX, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Commissioni riunite X (Attività produttive) e XII (Affari sociali):
NASTRI: «Modifiche alla legge 27 marzo 1992, n. 257, concernenti il divieto dell'utilizzazione dell'amianto nei processi produttivi» (5015) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VIII, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissioni dal ministro degli affari esteri.

Il ministro degli affari esteri, con lettere del 21 e del 23 marzo 2012, ha trasmesso due note relative all'attuazione data, per la parte di propria competenza, agli ordini del giorno DI STANISLAO ed altri n. 9/4589/1, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 20 ottobre 2011, concernente le modalità di funzionamento del Fondo monetario internazionale, e DI STANISLAO n. 9/4142/1, accolto come raccomandazione dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 27 luglio 2011, riguardante il controllo sugli accordi fra Stati e imprese private in materia di scambio di armamenti.

Il ministro degli affari esteri ha altresì trasmesso una nota relativa all'attuazione data alla risoluzione conclusiva VERNETTI ed altri n. 8/00160, accolta dal Governo ed approvata dalla III Commissione (Affari esteri) nella seduta dell'8 febbraio 2012, sulla repressione della popolazione tibetana.

Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla III Commissione (Affari esteri) competente per materia.

Trasmissione dal ministro dell'economia e delle finanze.

Il ministro dell'economia e delle finanze, con lettera del 26 marzo 2012, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data, per la parte di propria competenza, alla risoluzione conclusiva Luciano ROSSI ed altri n. 8/00148, accolta dal Governo ed approvata dalla IV Commissione (Difesa) nella seduta del 7 settembre 2011, sulla destinazione dagli alloggi della caserma Monte Grappa, situata ad Orvieto, al Centro addestrativo di specializzazione della Guardia di finanza.

La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alle Commissioni IV (Difesa) e VI (Finanze) competenti per materia.

Trasmissione dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.

La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 28 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, la delibera CIPE n. 85/2011 del 6 dicembre 2011, concernente «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001). Linea AV/AC Treviglio-Brescia. Presa d'atto dell'atto integrativo alla convenzione vigente tra R.F.I. Spa e il consorzio CEPAV DUE, autorizzazione del 2o lotto costruttivo e assegnazione finanziamento».

Tale delibera è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).

Annunzio di risoluzioni del Parlamento europeo.

Il Presidente del Parlamento europeo ha trasmesso il testo di ventitré risoluzioni approvate nella sessione dal 13 al 16 febbraio 2012, che sono assegnate, a norma dell'articolo 125, comma 1, del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che attribuisce all'ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) una serie di compiti inerenti alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale, tra cui la convocazione di rappresentanti del settore pubblico e privato in un Osservatorio europeo sulla contraffazione e la pirateria (doc. XII, n. 992) - alla X Commissione (Attività produttive);
risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 89/666/CEE, 2005/56/CE e 2009/101/CE in materia di interconnessione dei registri centrali, commerciali e delle imprese (doc. XII, n. 993) - alla X Commissione (Attività produttive);
risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativo alla conclusione del protocollo concordato tra l'Unione europea e la Repubblica di Guinea-Bissau che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall'accordo di partenariato nel settore della pesca in vigore tra le due parti (doc. XII, n. 994) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione di un protocollo all'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall'altra, riguardante un accordo quadro tra l'Unione europea e il Regno del Marocco sui principi generali della partecipazione del Regno del Marocco ai programmi dell'Unione (doc. XII, n. 995) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2000/75/CE per quanto riguarda la vaccinazione contro la febbre catarrale degli ovini (doc. XII, n. 996) - alla XII Commissione (Affari sociali);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009 (doc. XII, n. 997) - alla VI Commissione (Finanze);
risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, di una convenzione tra l'Unione europea e la Repubblica d'Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia e la Confederazione svizzera sulla partecipazione di tali Stati ai lavori dei comitati che coadiuvano la Commissione europea nell'esercizio dei suoi poteri esecutivi per quanto riguarda l'attuazione, l'applicazione e lo sviluppo dell'acquis di Schengen (doc. XII, n. 998) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sulla proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (doc. XII, n. 999) - alla XI Commissione (Lavoro);
risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica dei regolamenti (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti nell'Unione (doc. XII, n. 1000) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce un programma pluriennale relativo alla politica in materia di spettro radio (doc. XII, n. 1001) - alla IX Commissione (Trasporti);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica al regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (doc. XII, n. 1002) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
risoluzione sull'occupazione e gli aspetti sociali nell'analisi annuale della crescita 2012 (doc. XII, n. 1003) - alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali);
risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (rifusione) (doc. XII, n. 1004) - alla VI Commissione (Finanze);
risoluzione sul contributo della politica comune della pesca alla produzione di beni pubblici (doc. XII, n. 1005) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
risoluzione sui recenti sviluppi politici in Ungheria (doc. XII, n. 1006) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sulle prossime elezioni presidenziali in Russia (doc. XII, n. 1007) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo in forma di scambio di lettere tra l'Unione europea e il Regno del Marocco in merito a misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli, i prodotti agricoli trasformati, il pesce e i prodotti della pesca, alla sostituzione dei protocolli n. 1, 2 e 3 e dei relativi allegati e a modifiche dell'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall'altra (doc. XII, n. 1008) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sulla situazione in Siria (doc. XII, n. 1009) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sulla posizione del Parlamento europeo sulla 19a sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani (doc. XII, n. 1010) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sul futuro del GMES (doc. XII, n. 1011) - alla X Commissione (Attività produttive);
risoluzione sulla pena di morte in Bielorussia, in particolare i casi di Dzmitry Kanavalau e Uladzislau Kavalyou (doc. XII, n. 1012) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sull'Egitto: ultimi sviluppi (doc. XII, n. 1013) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sulla pena di morte in Giappone (doc. XII, n. 1014) - alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

Il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 27 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 3 e 19 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Con la medesima comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Libro verde - Sistema bancario ombra (COM(2012)102 final), assegnato, in data 21 marzo 2012, in sede primaria alla VI Commissione (Finanze);
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell'articolo 294, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riguardante la posizione del Consiglio sull'adozione di una proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della decisione 573/2007/CE che istituisce il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2008-2013, nell'ambito del programma generale «Solidarietà e gestione dei flussi migratori» e che abroga la decisione 2004/904/CE del Consiglio («istituzione di un programma comune di reinsediamento UE») (COM(2012)110 final), assegnata, in data 12 marzo 2012, in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi (COM(2012)131 final), assegnata, in data 27 marzo 2012, in sede primaria alla XI Commissione (Lavoro), nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà;
Comunicazione congiunta della Commissione europea e della Alta rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Verso un partenariato rinnovato per lo sviluppo UE-Pacifico (JOIN(2012)6 final), assegnata, in data 23 marzo 2012, in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).

La Commissione europea, in data 27 marzo 2012, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta congiunta della Commissione europea e della Alta rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza di decisione del Consiglio relativa all'adesione dell'Unione europea al trattato di amicizia e cooperazione nel sud est asiatico (JOIN(2012)1 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione da un consiglio regionale.

Il presidente del consiglio regionale delle Marche, con lettera in data 22 marzo 2012, ha trasmesso il testo di un voto concernente osservazioni sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'istituzione di un programma per l'ambiente e l'azione per il clima (LIFE) (COM(2011)874 definitivo).

Questa documentazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente) e alla XIV Commissione (Politiche dell'unione europea).

Trasmissione dal difensore civico della Provincia autonoma di Trento.

Il difensore civico della Provincia autonoma di Trento, con lettera in data 21 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso difensore civico relativa all'anno 2011 (doc. CXXVIII, n. 38).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali).

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Intendimenti del Governo in merito alla revoca degli incarichi commissariali conferiti al Presidente della regione Molise - 3-02173

DI PIETRO, DI GIUSEPPE e PALAGIANO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 1o febbraio 2012, nell'ambito dello svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea (la n. 3-02063), presentata dagli interroganti sullo stesso argomento, il Ministro della salute Renato Balduzzi ebbe a dichiarare: «Si dà un'altra possibilità alla regione Molise, attraverso la nomina di un altro sub-commissario, con caratteristiche idonee ad attuare il piano sanitario e, dunque, riuscire a realizzare finalmente gli obiettivi che tutti auspichiamo, dando un'ulteriore - starei per dire un'ultima - possibilità, prima di attivare una procedura diversa, che è prevista pure dall'ordinamento - comma 84 dell'articolo 2 della legge n. 191 del 2009 (il famoso comma 84) - e che prevede la sostituzione del presidente della regione, con poteri ulteriori del Governo, che non soltanto dicano al presidente della regione: «fai il commissario», ma impongano: «stabiliamo noi quali siano i provvedimenti da adottare per assicurare l'efficacia del piano di riqualificazione e di rientro»;
Michele Iorio, presidente della regione Molise al terzo mandato - nonché commissario per il risanamento dei debiti della sanità molisana, commissario per la ricostruzione post sisma e commissario per l'emergenza alluvione - è stato condannato il 22 febbraio 2012 in primo grado - con pena sospesa - dal tribunale di Campobasso ad un anno e sei mesi di reclusione per abuso d'ufficio e all'interdizione dai pubblici uffici per il medesimo periodo, nell'ambito dell'inchiesta «Bain and co», società dove lavora Davide Iorio, figlio di Michele, cui sono state illegittimamente affidate due consulenze, una in materia di sanità e l'altra in materia di autostrade-definite «fantasma», in quanto nessuno dell'amministrazione molisana ha saputo indicarne motivi, contenuti o risultati;
la gestione commissariale ad opera del presidente Iorio - in particolare quella per il risanamento della sanità molisana - risulta, ad avviso degli interroganti, oltremodo critica nel metodo e fallimentare nei risultati - e ciò è confermato dal trend negativo dei dati dei disavanzi e, anche, dalla nomina di sub-commissari affiancati allo Iorio succedutisi nel tempo;
la procura di Campobasso ha chiuso l'inchiesta sulla ricostruzione dopo il terremoto del 2002 e ha inviato un avviso di garanzia al presidente della regione Molise Michele Iorio. Il presidente, nella sua qualità di commissario per la gestione dell'emergenza sisma, è indagato per abuso d'ufficio e indebita percezione di soldi ai danni dello Stato, in merito ai fatti avvenuti tra il 2003 e il 2011. Secondo il sostituto Fabio Papa, titolare dell'indagine, Iorio avrebbe «abusivamente ampliato» il numero dei comuni colpiti dal terremoto;
risulta, inoltre, agli interroganti che il presidente della regione Iorio sia: indagato per abuso d'ufficio e falso ideologico per la costruzione della centrale turbogas di Termoli; indagato per abuso d'ufficio in ordine all'assunzione di un medico chirurgo - già condannato in Corte di cassazione per omicidio colposo di un malato - in assenza del prescritto bando pubblico, al solo fine, secondo l'accusa, di nominarlo primario dell'ospedale Veneziale di Isernia; indagato per abuso d'ufficio, truffa, falso materiale e ricettazione in merito ai passaggi di proprietà dello Zuccherificio del Molise s.p.a.; indagato, insieme ai componenti della giunta regionale in carica nel 2005 per truffa, abuso d'ufficio e falso ideologico per il finanziamento d'acquisto del mezzo navale Termoli Jet; indagato per fatti connessi alla ricostruzione post sisma del Molise, alla gestione della malasanità basso molisana, alle infrastrutture per la rete radio del Servizio civile, all'Imam Molise e per violazioni ambientali e irregolarità nelle analisi dei rifiuti smaltiti dal depuratore del COSIB (Consorzio per lo sviluppo industriale della Valle del Biferno);
fermo il principio della presunzione di non colpevolezza di cui al secondo comma dell'articolo 27 della Costituzione, i fatti indicati minano la salvaguardia dell'onore delle istituzioni e ne compromettono il prestigio, ponendo un grave pregiudizio sul libero e sereno esercizio delle funzioni commissariali assegnate a Michele Iorio - funzioni strettamente connesse alle capacità di buon governo dei soggetti che vi sono chiamati - le quali senza dubbio sono da ascriversi a quelle funzioni pubbliche da adempiersi con disciplina e onore, ai sensi dell'articolo 54, comma secondo, della Costituzione -:
se non ritenga, al fine di preservare l'alto senso delle istituzioni, nel rigoroso rispetto delle procedure giuridiche ed amministrative in tema di revoca e conferimento di incarichi pubblici, di revocare gli incarichi commissariali conferiti al presidente della regione Molise. (3-02173)
(27 marzo 2012)

Iniziative per la revisione della programmazione dei piani di rientro dai disavanzi sanitari delle regioni e per la celere determinazione dei fabbisogni standard - 3-02174)

DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
i piani di rientro, come noto, sono stati introdotti dalla legge finanziaria per il 2005, al fine di procedere, per le regioni in disavanzo, ad una ricognizione delle cause dello squilibrio economico ed all'elaborazione di un vero e proprio programma di ristrutturazione del servizio sanitario regionale;
gli accordi sottoscritti dalle regioni sottoposte a piani di rientro sono sottoposti a verifica periodica da parte del Governo centrale attraverso il sistema di verifica sull'assistenza sanitaria (siveas), che attua un monitoraggio di sistema al fine di verificare l'attuazione delle manovre previste nei piani, dal punto di vista degli aspetti economico-finanziari e riorganizzativi, e, pertanto, il Ministero della salute,di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, è garante del percorso che deve essere attuato nei tempi dovuti e nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
le regioni che fino ad oggi hanno siglato un piano di rientro sono dieci, situate prevalentemente nel Centro-Sud del Paese;
le relazioni periodiche sui piani di rientro dal deficit sanitario delle regioni recentemente pubblicate sul sito del Ministero della salute rilevano come in molte di queste regioni, a fronte di modesti miglioramenti dei disavanzi, permangono sprechi e cattiva organizzazione;
in Calabria, dove la disastrosa situazione contabile, in ragione dell'assenza di documentazione scritta, ha causato la mancanza di un'attendibile proiezione sull'ammontare del deficit, le aziende sanitarie continuano ad assumere personale nonostante il divieto assoluto, mentre in Puglia e nel Lazio sono state effettuate molte deroghe al sistema del turn over, ovvero in Molise è stata approvata una norma per l'assunzione di nuove unità di personale sanitario, peraltro recentemente dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale;
nelle regioni sottoposte a piani di rientro si applica un livello di tassazione oltre i livelli massimi previsti e misure rigorose quali il blocco del turn over, ticket, tagli alle strutture ed ai servizi, misure che alla lunga risultano essere insopportabili per i cittadini, oltre che lesive del principio sancito nell'articolo 32 della Costituzione che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo;
le periodiche relazioni sui piani di rientro dal deficit evidenziano come solo alcune regioni abbiano adottato efficaci strategie di contenimento delle spese e che lo sblocco dei fondi trattenuti dal Governo, pari al 10 per cento del budget complessivo, non è stato riconosciuto, come riportato anche da organi di stampa nazionale (Il Corriere della Sera del 27 febbraio 2012), alla regione Lazio, dove nel 2011 il deficit è stimato ammontare ad oltre un miliardo di euro, al Molise, all'Abruzzo e alla Campania, dove il deficit, a fine 2010, è nell'ordine dei 500 milioni di euro;
se i dati attuali dovessero essere confermati nei prossimi mesi, il bilancio complessivo della sanità nel 2011 potrebbe chiudere con un disavanzo superiore ai 2 miliardi di euro, perfino superiore a quello del 2010, chiuso con un ammanco complessivo di 2 miliardi di euro;
tutto ciò si sta verificando in un momento particolarmente critico della situazione economica del Paese, impegnato a raggiungere obiettivi importanti, come il pareggio di bilancio nel 2013;
la spesa sanitaria, che assorbe oltre il 70 per cento dei bilanci regionali, ha un'incidenza determinante sul raggiungimento di questi obiettivi e, se non si raggiungerà entro breve tempo il rientro dal deficit sanitario, tutti i sacrifici richiesti saranno inutili;
le politiche di rigore poste in essere dal Governo, da un lato, non sembrano agevolare il percorso di risanamento delle regioni sottoposte a piani di rientro e, dall'altro, paralizzano le regioni in equilibrio di bilancio, che si trovano prevalentemente al Nord;
il precedente Governo aveva individuato nel federalismo fiscale e nell'introduzione del principio dei fabbisogni standard la modalità per superare il sistema dei piani di rientro, caratterizzati da un forte centralismo poco efficace, e per restituire responsabilità, efficienza ed efficacia nell'impiego delle risorse pubbliche riferite al fondo sanitario nazionale, con l'abbandono del principio della spesa storica, sicché desta particolare preoccupazione il fatto che l'attuazione del federalismo subisca dei ritardi e, in particolare, che l'entrata in vigore dei fabbisogni standard abbia avuto un ulteriore rinvio, come previsto nell'ultimo «decreto milleproroghe» recentemente approvato -:
se non ritenga di procedere celermente alla revisione della programmazione strategica dei piani di rientro, fissando obiettivi chiari, in tempi certi, nonché di assumere iniziative volte ad evitare ulteriori rallentamenti nella determinazione dei fabbisogni standard, al fine di portare a compimento la riforma federalista necessaria, soprattutto nel settore della sanità, per una corretta valutazione dei costi delle prestazioni sanitarie e per l'acquisto dei beni e servizi, restituendo in tal modo ai cittadini un servizio sanitario di qualità nel rispetto dell'obiettivo prefissato dell'equilibrio di bilancio nell'anno 2013. (3-02174)
(27 marzo 2012)

Elementi in merito alla situazione economico-finanziaria del comune di Palermo e all'eventuale sussistenza dei presupposti per il rinvio delle elezioni amministrative - 3-02175

MOFFA, ROMANO, GIANNI, RUVOLO e SCILIPOTI. - Al Ministro dell'interno - Per sapere - premesso che:
il ragioniere generale del comune di Palermo, dottor Paolo Bohuslav Basile, ha comunicato, in una nota al commissario straordinario dottoressa Luisa Latella, la necessità di procedere al raddoppio dell'addizionale irpef dallo 0,4 allo 0,8 per cento e all'applicazione massima dell'imu al 6 per mille sulle prime case non esenti e al 10,6 per mille sulle seconde abitazioni, allo scopo di ottenere, già nel corso del 2012, un gettito di circa 115 milioni di euro;
a detta del dottor Basile, l'attuazione delle misure è da ritenersi un atto obbligatorio in mancanza del quale il comune sarebbe precipitato nel dissesto finanziario, con le prevedibili e gravissime ricadute sul personale dipendente, sugli amministratori, sulla cittadinanza e sui creditori;
qualora venisse dichiarato il dissesto finanziario i dipendenti comunali, che risultano in sovrannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione fissati dalla legge, sarebbero collocati in disponibilità e rischierebbero la mobilità collettiva o individuale;
gli amministratori comunali in caso di dichiarazione di dissesto finanziario, che entro cinque giorni sarebbe trasmesso alla Corte dei conti, rischiano di vedersi quantificare e richiedere i danni, oltre che il divieto a candidarsi o ricoprire incarichi di «sottogoverno» qualora riconosciuti responsabili;
i cittadini, in caso di dichiarazione di dissesto finanziario, si vedrebbero inasprire le aliquote e le tariffe nella misura massima consentita per un periodo non inferiore a cinque anni, mentre i creditori subirebbero l'abbattimento percentuale dei crediti;
le misure «salva comune», a detta del dottor Basile, non sono derogabili, ma non sarebbero risolutive: l'eventuale aumento dell'irpef e dell'imu servirebbe solo a turare le falle causate dalla riduzione dei trasferimenti di entrate statali e regionali, che nel 2012 sono pari a 94 milioni di euro;
per quanto riguarda le società partecipate del comune di Palermo, queste, per essere salvate al netto dei fondi per la ricapitalizzazione, avrebbero bisogno di uno stanziamento di 98 milioni di euro che ovviamente non ci sono;
l'aumento delle tasse dovrebbe scattare dal 31 marzo 2012, che è il termine per l'approvazione del bilancio, anche se questo termine potrebbe essere prorogato al 30 giugno 2012;
il Partito tradizional popolare da tempo e con numerose iniziative e prese di posizione denuncia la gravissima crisi economica e il dissesto finanziario del comune di Palermo -:
di quali elementi disponga il Governo in merito alla situazione finanziaria del comune di Palermo, ivi comprese le aziende partecipate, nonché in merito alla possibilità che il comune di Palermo si accinga a compiere operazioni di riduzione del personale, e se, di conseguenza, si intenda valutare se sussistano i presupposti per un rinvio delle elezioni amministrative del comune di Palermo.
(3-02175)
(27 marzo 2012)

Elementi ed iniziative in relazione ad una manifestazione sul caso di Emanuela Orlandi svoltasi nel mese di gennaio 2012 presso la Basilica di San'Apollinare di Roma - 3-02176

VELTRONI, MARAN, AMICI, GIACHETTI, BELTRANDI e COSCIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sabato 21 gennaio 2012, dopo 28 anni di inutili ricerche e chiedendo che venga fatta luce e giustizia sul caso di Emanuela Orlandi, alcuni cittadini italiani si sono ritrovati davanti alla Basilica di Sant'Apollinare in Roma, su iniziativa del fratello della ragazza, Pietro, per sollecitare l'ispezione della tomba del boss della banda della Magliana, Renato De Pedis, sita nella cripta dell'edificio, fugando una volta per tutte i sospetti circa i legami tra la scomparsa della giovane e la sepoltura dell'uomo, da tempo oggetto di indagini da parte della magistratura;
giova ricordare che il 10 marzo 1990 il cardinal Ugo Poletti, vicario generale della diocesi di Roma, autorizzava la sepoltura di De Pedis nella Basilica di Sant'Apollinare, e così avveniva entro il successivo mese di aprile del 1990;
secondo la normativa dell'epoca (articolo 341 del regio decreto n. 1265 del 1934), però, la tumulazione di cadaveri in luoghi diversi dal cimitero poteva avvenire solo in base ad un decreto autorizzativo del Ministro dell'interno, decreto di cui non è stata mai accertata l'effettiva esistenza;
come è emerso da un servizio della trasmissione Chi l'ha visto trasmessa da Rai tre mercoledì 25 gennaio 2012, la protesta pacifica in ragione dei ritardi dell'inchiesta sarebbe stata turbata dalla presenza di un uomo, riconosciuto da alcuni manifestanti come un agente delle forze di sicurezza vaticane in borghese, che avrebbe fotografato i presenti con atteggiamento definito intimidatorio -:
se la presenza dell'agente in borghese sia stata verificata dalle autorità italiane e, in questo caso, se non si ritenga improprio e pregiudizievole l'atteggiamento degli agenti dello Stato Vaticano, che avrebbero proceduto a identificare cittadini che manifestavano nel territorio italiano, se esista il decreto del Ministero dell'interno che autorizza la sepoltura di De Pedis nella Basilica di Sant'Apollinare, quando sia stato firmato e da chi, e se, assieme a eventuali documenti dei servizi di sicurezza, sia stato consegnato alla magistratura inquirente. (3-02176)
(27 marzo 2012)

Iniziative per prevenire una nuova emergenza sbarchi e per garantire protezione adeguata ai minori stranieri non accompagnati - 3-02177

MOSELLA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nelle ultime settimane è ripreso l'arrivo lungo le coste di Lampedusa di centinaia di migranti. Si ripetono le drammatiche scene degli approdi fortunosi, dei recuperi in alto mare di uomini, donne e bambini stipati in imbarcazioni fatiscenti, della conta dei meno fortunati che non arrivano vivi alla meta. Il 17 marzo 2012 sono state tratte in salvo dalle nostre unità costiere circa trecento persone, la maggior parte delle quali erano bloccate a miglia di distanza dalla costa su imbarcazioni che non avrebbero potuto arrivare altrimenti a destinazione. Cinque i migranti che non sono sopravvissuti alla traversata. Tale episodio non è isolato perché gli avvistamenti di migranti in alto mare e i loro sbarchi sull'isola siciliana si sono ripetuti;
nel 2011 in appena sei mesi sono giunti a Lampedusa cinquantamila migranti provenienti dal Nord Africa. La situazione di emergenza umanitaria che si è determinata sull'isola rischia, dunque, di rinnovarsi, a dispetto degli allarmi lanciati dall'Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) e dalle organizzazioni non governative umanitarie sulla condizione dei profughi dell'Africa subsahariana, in particolare eritrei e somali, in fuga da guerre e carestie e destinati a finire nelle maglie delle organizzazioni criminali attive in Libia e in Tunisia, che stanno riattivando il traffico dei viaggi della disperazione;
il quadro degli interventi da prevedere è reso più complesso dal fatto che Lampedusa è stata dichiarata «porto non sicuro»; pertanto, nessuna imbarcazione dovrebbe attraccare sull'isola e per raggiungere Porto Empedocle occorrono sette ore di navigazione. Inoltre, il centro di accoglienza di Contrada Imbriacola, dato alle fiamme dai migranti per protesta, è ancora chiuso;
tra i migranti che giungono sulle coste italiane i minori non accompagnati vivono disagi e difficoltà acuiti dalla loro condizione di minore età e di solitudine. In seguito agli sbarchi recenti a Lampedusa sono giunti venti minori non accompagnati; di questi tre sono ragazze, la più piccola delle quali ha tredici anni. Save the children, attiva a Lampedusa nell'ambito di un progetto con il Ministero dell'interno, ha rilevato condizioni di accoglienza totalmente inadeguate, in particolare per i minori ospitati inizialmente insieme agli adulti nell'area marina protetta, in condizioni igieniche e ambientali precarie -:
se e quali misure intenda adottare il Ministro interrogato al fine di prevenire una nuova emergenza connessa all'arrivo in Italia dei migranti, con riferimento al soccorso in mare e all'accoglienza, e quali iniziative intenda assumere in particolare per garantire protezione adeguata ai minori stranieri non accompagnati. (3-02177)
(27 marzo 2012)

Iniziative per salvaguardare i livelli occupazionali a Termini Imerese, con particolare riferimento ai programmi di riconversione delle aree dello stabilimento Fiat - 3-02179

MORONI e DELLA VEDOVA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
Termini Imerese è una realtà territoriale che ha tra i più alti tassi di disoccupazione giovanile europea e, oggi, risulta pesantemente segnata dalla chiusura dello stabilimento Fiat;
in tale realtà era stata assunta un'iniziativa imprenditoriale che aveva occupato oltre 200 giovani sotto i 35 anni, il 50 per cento dei quali donne, ossia la produzione della serie televisiva «Agrodolce»;
dopo la prima stagione di successo - 230 puntate andate in onda tra il settembre 2008 e il luglio 2009 - la Rai ha deciso di non proseguire la produzione, cofinanziata per circa la metà dell'importo dalla Regione siciliana; il costo della produzione Rai era pari a poco più di 12 milioni di euro per la prima serie, a fronte degli oltre 37 milioni di euro impegnati per le tre serie dalla Regione siciliana;
la realizzazione della serie era stata affidata a Einstein fiction, società del gruppo Einstein, che nel 2004 - quando venne contattata dai vertici Rai e, in particolare, dal direttore di Rai educational, Giovanni Minoli - vantava una lunga e prestigiosa esperienza nelle produzioni televisive seriali;
unitamente alla chiusura della serie si può rilevare anche il fallimento del progetto della realizzazione del nuovo centro di produzione di Termini Imerese, per il quale il medesimo gruppo Einstein, con il progetto degli stabilimenti realizzati da Massimiliano Fuksas, era stato scelto da Governo, Regione siciliana e Fiat come uno dei cinque soggetti individuati per la riconversione dell'area di Termini Imerese;
si è, quindi, perduta un'occasione di lavoro assai importante in un'area già colpita da una gravissima crisi occupazionale, che vedeva, tra l'altro, il coinvolgimento di una consistente forza lavoro femminile, e, nello stesso tempo, si è posta nel nulla una delle iniziative che avrebbero dovuto compensare la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, venendo sostanzialmente meno a un impegno nei confronti del territorio, cosa che appare agli interroganti assolutamente inaccettabile;
da quanto risulta agli interroganti, peraltro, la perdita occupazionale è anche connessa ai difficili rapporti tra la società medesima e la Rai, cui si aggiungono anche la sussistenza di mancati pagamenti di fatture scadute da parte della Rai e gli extra-costi sostenuti dalla società per oltre 11 milioni di euro -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di salvaguardare i livelli occupazionali a Termini Imerese e di assicurare che i programmi di riconversione delle aree dello stabilimento Fiat possano essere attuati secondo le intese già assunte, promuovendo ogni possibile intervento per evitare il disimpegno del gruppo Einstein nell'area. (3-02179)
(27 marzo 2012)

Iniziative in relazione all'incremento dei pedaggi sulle tratte autostradali - 3-02180

TASSONE, GALLETTI, MEREU, COMPAGNON, BONCIANI, CICCANTI, NARO e VOLONTÈ. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
a seguito dell'entrata in vigore, dal 1o gennaio 2012, degli adeguamenti tariffari previsti dallo schema dalla convenzione unica, si registra un significativo incremento dei pedaggi autostradali delle società concessionarie;
nel dettaglio gli aumenti interesseranno la quasi totalità delle tratte a pedaggio presenti nel territorio nazionale e saranno pari a: Ativa + 6,66 per cento; Autostrade per l'Italia + 3,51 per cento; Autostrada del Brennero + 1,22 per cento; Autovie Venete + 12,93 per cento; Brescia-Padova + 7,45 per cento; Centro Padane + 5,62 per cento; Autocamionale della Cisa + 8,17 per cento; Autostrada dei Fiori + 5,22 per cento; Milano Serravalle Milano Tangenziali + 1,85 per cento; Tangenziale di Napoli + 3,49 per cento; Rav + 14,17 per cento; Salt + 5,68 per cento; Sat + 4,82 per cento; Autostrade Meridionali (Sam) + 0,31 per cento; Satap tronco A4 (Novara Est-Milano + 6,80 per cento; Torino-Novara Est + 6,32 per cento); Satap tronco A21 + 9,70 Satap tronco; Sav + 11,75 Satap tronco; Sitaf (Barriera di Bruere + 4,15 per cento; Barriera di Avigliana + 5,62 per cento; Barriera di Salbertrand + 5,12 per cento); Torino-Savona + 1,47 per cento; Strada dei Parchi + 8,06 per cento;
l'Anas ha fatto presente che l'istruttoria che ha portato agli aumenti ha tenuto conto, oltre che dell'incidenza dell'inflazione, per ciascuna società concessionaria anche della relativa situazione giuridica, con particolare riferimento al rispetto degli impegni assunti, nonché agli investimenti realizzati ed alle attività di manutenzione effettuate sulla rete, precisando che nel 2010 le società concessionarie hanno realizzato investimenti per oltre 2 miliardi di euro, con un incremento di quasi l'11 per cento in un anno;
al di là degli aspetti puramente tecnici, appare quantomeno poco chiaro un aumento così diffuso ed elevato dei coefficienti di calcolo, in particolare sulle tratte tangenziali e sulle bretelle di raccordo alle grandi città;
a seconda dei tratti e delle varie società che gestiscono le autostrade, infatti, si assiste ad un aumento al di fuori di ogni criterio logico che si ripercuote sui bilanci dei cittadini, soprattutto dei numerosissimi, già vessati dall'incremento del costo del carburante e delle assicurazioni, che giornalmente utilizzano le autostrade e le bretelle autostradali per raggiungere i luoghi di lavoro, di studio o di interesse generale presenti nelle città;
in considerazione di quanto sopra esposto, appare opportuno un intervento volto a definire un controllo più chiaro sulle modalità da adottare per il calcolo degli incrementi delle tariffe di pedaggio, che, pur tenendo conto dei motivati adeguamenti o dalla necessità di fronteggiare la crisi, non possono non seguire una logica anche in funzione di un reale calmieramento che vada incontro ai bisogni dei cittadini, che vedono sempre più come un lusso l'utilizzo dell'auto per svolgere le proprie attività quotidiane -:
se il Ministro interrogato non ritenga, stante il rilevato incremento delle tariffe di pedaggio sulle tratte autostradali delle società concessionarie, di adottare iniziative volte a rivedere il meccanismo di adeguamento tariffario, tali da consentire un calmieramento delle tariffe. (3-02180)
(27 marzo 2012)

Iniziative di competenza in merito ad una proposta di un'organizzazione non governativa allo studio della Divina Commedia - 3-02178

FRASSINETTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
un'organizzazione non governativa di ricercatori e professionisti denominata «Gherush92», consulente speciale presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, sostiene che lo studio della Divina Commedia di Dante Alighieri andrebbe eliminato dai programmi scolastici, in quanto essa conterrebbe frasi razziste, islamofobiche, omofobiche e antisemitiche;
Valentina Sereni, presidente di «Gherush92», ha dichiarato che il poema di Dante presenterebbe contenuti offensivi e discriminatori, sia nel lessico che nella sostanza, e non verrebbero fornite delle adeguate considerazioni critiche ed adeguati filtri dagli insegnanti;
in particolare, sarebbero sotto accusa alcuni canti dell'Inferno, tra i quali il XXVIII, in cui Maometto viene condannato ad espiare le proprie colpe nella nona bolgia del cerchio ottavo come «seminatore di scandalo e di scisma», e il XXIX, in cui a Giuda viene dato dell'ebreo traditore e raffigurato tra le fauci di Lucifero a testa in giù, con il rischio di estenderne il significato negativo a tutto il popolo ebraico; sotto la lente dell'organizzazione di studio ci sarebbero anche alcuni canti del Purgatorio, come il XXVI, in cui sono puniti i lussuriosi e i sodomiti;
è inconcepibile pensare di poter interpretare e giudicare la Divina Commedia secondo i principi, i criteri e l'impostazione filosofica e culturale di oggi, declinandoli al pensiero dell'uomo di diversi secoli fa;
la Divina Commedia rappresenta un'opera dall'incommensurabile valore culturale e formativo per i nostri studenti ed è inaccettabile consentirne l'eliminazione dai programmi scolastici o una censura -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intenda adottare per scongiurare il rischio di un'inaccettabile eliminazione dello studio del poema della Divina Commedia di Dante Alighieri dai programmi curricolari. (3-02178)
(27 marzo 2012)

MOZIONI FRANCESCHINI ED ALTRI N. 1-00880, IANNACCONE ED ALTRI N. 1-00887, MICCICHÈ ED ALTRI N. 1-00928, OSSORIO ED ALTRI N. 1-00930, CICCHITTO ED ALTRI N. 1-00932, OCCHIUTO ED ALTRI N. 1-00933, COMMERCIO ED ALTRI N. 1-00934, ANIELLO FORMISANO ED ALTRI N. 1-00935, RUVOLO ED ALTRI N. 1-00940, VERSACE ED ALTRI N. 1-00941, BRIGUGLIO ED ALTRI N. 1-00972 E D'ANTONI, FITTO, OCCHIUTO, BRIGUGLIO, OSSORIO ED ALTRI N. 1-00976 CONCERNENTI INIZIATIVE PER FAVORIRE GLI INTERVENTI PRODUTTIVI E L'OCCUPAZIONE NEL MEZZOGIORNO

Mozioni

La Camera,
premesso che:
la Costituzione italiana sancisce che «l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (articolo 1), che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3), che la Repubblica «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto» (articolo 4), che lo Stato cura «la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori» (articolo 35), i quali hanno diritto ad una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa» (articolo 36), che «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» (articolo 119);
la più recente rilevazione dell'Istat sulle forze lavoro, diffusa a gennaio 2012, indica un ulteriore calo dei livelli occupazionali. Il tasso di occupazione nazionale a dicembre 2011 è pari al 56,9 per cento (fermo sul mese e in calo di 0,1 punti percentuali sull'anno) con un tasso di inattività al 37,5 per cento (-0,1 sul mese precedente, -0,5 rispetto a un anno prima). L'analisi di genere mostra per i maschi un tasso di occupazione al 67,1 per cento, di disoccupazione all'8,4 per cento e di inattività al 26,7 per cento; per le donne il tasso di occupazione è al 46,8 per cento, quello di disoccupazione al 9,6 per cento e di inattività al 48,2 per cento;
considerando la componente degli scoraggiati, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord supererebbe la soglia del 10 per cento e al Sud raddoppierebbe, passando nel 2010 dal 13,4 per cento al 25,3 per cento. Significa che oltre una persona su quattro dell'intera forza lavoro meridionale non ha lavoro. A pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono i giovani. A livello nazionale, uno su tre di quanti partecipano attivamente al mercato del lavoro è senza impiego: un tasso di disoccupazione ufficiale al 31 per cento;
tutte le criticità occupazionali colpiscono maggiormente il Sud, a cominciare dal fenomeno cosiddetto Neet, che coinvolge, nel Meridione, oltre 1,2 milioni di ragazze e ragazzi (il 54,5 per cento del totale). Il dato più allarmante è quello relativo agli occupati. Nelle regioni meridionali il tasso di occupazione delle persone tra 15 e 34 anni è sceso nel 2010 ad appena il 31,7 per cento e per le donne non raggiunge che il 23,3 per cento, marcando una distanza di 25 punti percentuali con il Nord del Paese (56,5 per cento), come denunciato dal rapporto Svimez 2011 sull'economia del Mezzogiorno. Ne risulta che nelle zone depresse del Sud lavora meno di un giovane su tre;
il rapporto annuale 2011 dell'Istat mette in evidenza che circa un quarto degli italiani «sperimenta il rischio di povertà o di esclusione sociale». Il fenomeno riguarda in particolare il 24,7 per cento della popolazione, pari a 15 milioni di persone. La povertà si conferma un fenomeno che riguarda soprattutto il Mezzogiorno, dove le famiglie sono mediamente più numerose e tendenzialmente monoreddito. Nelle regioni meridionali, dove risiede circa un terzo degli italiani, vive il 57 per cento delle persone a rischio povertà (8,5 milioni) e il 77 per cento di coloro che vivono in condizione di «grave deprivazione». In Italia, quasi una famiglia su tre ha difficoltà ad arrivare a fine mese, ma se la media nazionale si attesta al 28,5 per cento, mentre nelle regioni del Sud tale indice si alza fino al 36,5 per cento. Le possibilità di finire in una situazione di povertà relativa o assoluta aumentano in maniera significativa nel Mezzogiorno, dove le famiglie sono mediamente più numerose e tendenzialmente monoreddito;
la disoccupazione reale al 25 per cento alimenta drammaticamente l'emigrazione dal Sud causando un vero e proprio «tsunami demografico» nelle zone deboli del Meridione. Secondo stime diffuse dalla Svimez, negli ultimi dieci anni hanno lasciato il Meridione quasi 600 mila persone. Di questo passo nel 2050 quasi un abitante su cinque nelle regioni del Sud avrà più di 75 anni e gli under 30 passeranno dagli attuali 7 milioni a meno di 5 milioni. A quella data, inoltre, la quota di over 75 sulla popolazione complessiva passerà al Sud dall'attuale 8,3 per cento al 18,4 per cento nel 2050, superando il Centro-Nord dove raggiungerà il 16,5 per cento;
le dinamiche relative all'emigrazione dal Sud al Nord sono l'effetto più evidente dello stallo del tessuto sociale e produttivo del Mezzogiorno. Se i giovani vanno via è perché il sistema delle imprese meridionali non è in grado di competere con quello settentrionale quanto a capacità di assorbire forza lavoro altamente qualificata. Si tratta di un gap al quale si aggiunge uno squilibrio vertiginoso nei sistemi di transizione scuola-lavoro e nei livelli del servizio sociale. Questo quadro condanna oggi il Mezzogiorno ad essere il maggiore fornitore di risorse umane delle zone forti del Centro-Nord;
il fenomeno dell'emigrazione interna si traduce anche in un'allarmante emorragia economica dalle fasce e dalle zone deboli a quelle forti del Paese. Tra tasse universitarie e integrazioni alle magre buste paga che i giovani percepiscono per molti anni dopo aver finito il corso di studi, ogni anno dal Sud al Nord si spostano non meno di 2 miliardi di euro. Così il Mezzogiorno si trova a dover pagare un dazio insieme economico e culturale, che inverte letteralmente la storica logica delle «rimesse». Per uscire da questa condizione occorre agire su due nodi fondamentali: lo sviluppo del comparto produttivo del Sud e l'implementazione di efficaci strumenti di raccordo tra le università e il mondo del lavoro;
dai dati appena illustrati appare evidente come, nell'attuale fase di crisi, è nel Mezzogiorno che si registrano gli effetti più devastanti sia in termini economici che sociali. L'aumento dei divari economici e sociali rappresenta la fondamentale causa scatenante della «tempesta perfetta» che tre anni fa ha investito il nostro Paese. Da allora, la recessione si è abbattuta sull'Italia con più forza che sull'Europa e sul Mezzogiorno con più intensità che sul resto della nazione. Questo proprio perché l'Italia riproduce al suo interno le forti sperequazioni che sono alla base della crisi. Mettere al centro dell'azione politica nazionale la convergenza e la coesione territoriale significa, quindi, realizzare l'unica politica in grado di risollevare l'intero Paese dalla stagnazione. Le zone deboli devono essere considerate oggi la più grande opportunità di rilancio economico e morale del Paese. Come ha detto il Capo dello Stato, affrontare il loro sviluppo «è un dovere della comunità nazionale e un impellente interesse comune per garantire all'Italia un più alto livello di sviluppo e di competitività. Non c'è alternativa al crescere di più, e meglio, insieme»;
in contrasto con questa indicazione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il precedente Esecutivo ha assunto una strategia sostanzialmente antimeridionalista, che ha incrementato il divario economico, sociale e geografico invece di colmarlo. Secondo Svimez, l'effetto cumulato delle manovre varate dal Governo Berlusconi nel 2010 e nel 2011 peserà in termini di quota sul prodotto interno lordo 6,4 punti al Sud (di cui 1,1 punti nel 2011, ben 3,2 punti nel 2012 e 2,1 nel 2013) e 4,8 punti al Nord (1 nel 2011, 2,4 nel 2012 e 1,4 nel 2013). I provvedimenti varati negli ultimi tre anni hanno, di fatto, azzerato ogni intervento a favore del Mezzogiorno sia in termini di risorse stanziate che di strumenti specifici. Il continuo ricorso al fondo per le aree sottoutilizzate nazionale per la copertura di provvedimenti di carattere generale ha determinato, nei fatti, un'ulteriore divaricazione tra le condizioni economiche e sociali delle zone forti e quelle delle zone deboli;
questa sistematica distrazione di fondi, valutabile nella somma di 35 miliardi di euro, oltre a compromettere il rispetto dell'originario vincolo di ripartizione delle risorse del fondo (si riconosceva alle regioni sottoutilizzate almeno l'85 per cento del complesso delle risorse) ha, di fatto, azzerato le politiche di sviluppo che le regioni del Sud realizzano solo grazie al trasferimento di fondi stanziati dal Governo e dall'Unione europea. A tale drenaggio si è aggiunta una miope politica di tagli per gli imprenditori meridionali. In una fase congiunturale così difficile, invece di supportare le imprese del Sud, il Governo pro tempore ha annullato, di fatto, per tre anni l'operatività del credito d'imposta, lasciando le aziende del Sud senza alcuna fiscalità di sviluppo;
sul versante delle infrastrutture, il quadro è altrettanto avvilente. Gli investimenti indirizzati al Sud dalle aziende a capitale pubblico risultano gravemente sottodimensionate. In questi due anni grandi realtà come Anas, Ferrovie dello Stato ed Enel hanno praticamente abbandonato il Sud. Per quanto riguarda le ferrovie, solo il 7,8 per cento delle linee ferroviarie ad alta velocità si sviluppa nel Mezzogiorno (la Napoli-Salerno). E nei prossimi anni la situazione non migliorerà: tutti i cantieri della tav riguarderanno esclusivamente tratte settentrionali. Quanto alla rete ferroviaria ordinaria, secondo gli ultimi dati disponibili, Trenitalia ha indirizzato al Sud appena il 18 per cento delle risorse investite per l'ammodernamento della rete. Ugualmente preoccupante è la condizione delle altre opere pubbliche. Negli ultimi tre anni, ha denunciato Confindustria, la spesa pubblica destinata alle infrastrutture ha registrato un crollo del 35 per cento. Un allarme a cui si sono uniti anche i costruttori dell'Ance, secondo i quali nel solo 2011 le dotazioni per le opere medio-piccole scenderanno del 14 per cento;
per sostenere i Paesi in maggiore difficoltà, la Commissione europea ha recentemente varato una modifica alle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti produttivi nelle aree sottoutilizzate. In particolare, Bruxelles ha concesso all'Italia di abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento. Si tratta di un'opportunità che determina lo sblocco di 8 miliardi di euro di risorse europee che devono dare concretezza a una politica di sviluppo e di convergenza delle aree deboli;
il recente via libera della Commissione europea all'utilizzo dei fondi strutturali per la copertura dei crediti d'imposta per l'occupazione al Mezzogiorno apre a una nuova e importante possibilità di destinare i fondi europei al finanziamento di strumenti di fiscalità di sviluppo. Tali strumenti devono tornare a stimolare anche gli investimenti produttivi delle aziende meridionali. La Commissione europea ha, inoltre, avviato una missione specifica nel nostro Paese con l'obiettivo di impegnare al più presto una parte dei fondi sbloccati per dare impulso a specifiche politiche occupazionali nelle aree a più bassa occupazione giovanile. La via da seguire, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, passa anche per la riattivazione del credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, strumento introdotto dall'Esecutivo Prodi e smantellato dal Governo Berlusconi;
il piano di azione coesione, presentato a dicembre 2011 dall'attuale Governo, rappresenta il primo passo in tre anni verso le zone deboli del Mezzogiorno. L'obiettivo immediato, come è noto, riguarda il salvataggio di quasi due miliardi di euro di fondi non impegnati che rischiano di andar via a causa del disimpegno automatico previsto da Bruxelles. Per scongiurare il rischio di perdere questi fondi, l'Esecutivo ha riorganizzato e concentrato 3 miliardi di euro «in scadenza» su quattro priorità. Si va dal potenziamento della rete ferroviaria (1,5 miliardi di euro) al piano scuola (1 miliardo di euro), dall'agenda digitale (400 milioni di euro) al credito d'imposta per le nuove assunzioni (140 milioni di euro). Per mettere a sistema i progetti e garantire efficacia di spesa, il Governo si è fatto poi promotore di un nuovo coordinamento con le regioni, incardinando così l'obiettivo della convergenza sul binario di una strategia complessiva di sviluppo nazionale;
si inverte completamente quella che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è stata l'impostazione localistica e disgregante del precedente Esecutivo. Dove prima si teorizzava l'esistenza di due sistemi socioeconomici distinti e indipendenti - quello virtuoso del Nord e quello vizioso del Sud - ora si ritrova la consapevolezza che la ripartenza della crescita nazionale passa dal rilancio delle zone deboli del Mezzogiorno. Prospettiva che trova corrispondenza in alcune importanti misure introdotte nel cosiddetto decreto-legge salva Italia, come la deduzione Irap differenziata territorialmente per giovani e donne;
tuttavia, sia nel piano di coesione, sia nella manovra di dicembre 2011, mancano ancora risposte decisive sul versante degli investimenti produttivi. La movimentazione di 3 miliardi di euro, a fronte di una disponibilità complessiva di 40 miliardi di euro, configura una dimensione ancora troppo modesta per marcare una vera svolta meridionalista;
la strada maestra, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, passa per un potenziamento del credito d'imposta nazionale per l'occupazione, fermo alla somma esigua di 140 milioni di euro, e per la reintroduzione dell'automatismo del credito d'imposta per gli investimenti produttivi. Bisogna cogliere l'occasione offerta dall'Europa di utilizzare risorse europee in questa direzione, impiegando una quota rilevante dello stanziamento disposto dalla manovra finanziaria varata a dicembre 2011 di un fondo di cofinanziamento capace di sbloccare diversi miliardi in tre anni. Secondo stime della Ragioneria dello Stato, se 2 miliardi di euro di questa dotazione venissero utilizzati sul credito d'imposta per gli investimenti, sarebbe possibile creare oltre 200 mila posti di lavoro produttivo nelle zone più deboli del Meridione, con effetti immediati sui consumi e sulla crescita di tutto il Paese;
il 13 gennaio 2010, il Parlamento italiano ha approvato, contro il parere favorevole del Governo, una mozione del Partito Democratico che impegna l'Esecutivo a dare risposte su tre capitoli fondamentali: il reintegro delle risorse distratte dal fondo per le aree sottoutilizzate, il ripristino integrale di strumenti di fiscalità di sviluppo, come il credito d'imposta e le zone franche urbane, e l'attivazione di un piano-occupazione che incentivi il lavoro produttivo nelle aree più deboli. Tali indicazioni risultano completamente disattese dal precedente Governo,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte a impegnare almeno due miliardi di euro dei fondi sbloccati dall'Unione europea a copertura del credito d'imposta per gli investimenti produttivi al Sud;
a riprendere le linee della mozione n. 1-00300 disattesa dal precedente Governo e, in particolare, ad assumere iniziative per reintegrare le risorse impegnate del fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma di coesione nazionale incentrato sul rilancio del tessuto produttivo meridionale che preveda anche il finanziamento e la realizzazione di un'adeguata rete infrastrutturale materiale e immateriale;
a utilizzare l'intera dote dei fondi nazionali risultante dall'abbassamento della quota di cofinanziamento per realizzare fiscalità di sviluppo e investimenti produttivi nel Mezzogiorno, posto che la distrazione di questa dote su altri capitoli di spesa si configurerebbe come l'ennesima sottrazione di risorse stanziate specificamente per il rilancio delle zone deboli del Sud;
a utilizzare l'intera dote messa a disposizione dall'Unione europea specificamente per il credito d'imposta e per l'occupazione al Sud.
(1-00880)
«Franceschini, D'Antoni, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Boccia, Amici, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Vico».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto un regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali o professionali;
pur andando nella direzione giusta, tale agevolazione non appare sufficiente per rilanciare lo sviluppo e l'occupazione di aree particolarmente svantaggiate come quelle del Meridione;
è necessario procedere, anche con iniziative di rottura rispetto al passato, a nuove forme di agevolazioni capaci di attrarre investimenti nazionali ed internazionali in dette aree;
la crisi economica che ha colpito l'Europa intera può essere il volano per chiedere, con forza, alle istituzioni europee la creazione di un sistema di agevolazione fiscale per le imprese che investiranno nelle regioni del Meridione. I contributi a fondo perduto spesso non hanno sortito gli effetti sperati per tutta una serie di motivazioni, quindi una rimodulazione dovrebbe essere oggetto di valutazione;
in un periodo di estrema difficoltà per le imprese, soprattutto per le piccole aziende, gli artigiani ed i commercianti, gli «ex minimi», oltre a dover versare le imposte sui redditi secondo le aliquote ordinarie, dovranno «subire» lo strumento degli studi di settore, che, nonostante i correttivi apportati, non sono in grado di rappresentare una realtà in crisi, con fatturati in diminuzione e costi in aumento; il pericolo di non rientrare nei parametri degli studi, con conseguente accertamento e versamento di imposte che non sono in questo momento sopportabili, spingerà molti contribuenti a chiudere i battenti, con conseguenze economiche e sociali drammatiche;
il fisco per lo sviluppo non passa solo per la lotta ai paradisi fiscali, ma deve assicurare alla parte meno sviluppata dell'Italia qualcosa di analogo a ciò che ha comportato il minor fisco per l'Irlanda, in relazione alla quale la Commissione europea ha di nuovo approvato le misure che lo Stato aveva approntato per il superamento della fase di criticità finanziaria in cui è scivolata nel recente passato;
con la sentenza del 6 settembre 2006 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha rigettato il ricorso proposto dalla Repubblica portoghese avverso una decisione della Commissione europea relativa alla censura di parte del regime normativo contenente l'adeguamento del sistema fiscale nazionale alle specificità della regione delle Azzorre;
nonostante il rigetto del ricorso della Repubblica portoghese, dalla motivazione della sentenza emerge come la Corte di giustizia dell'Unione europea sia giunta a riconoscere esplicitamente la piena compatibilità con il diritto comunitario delle misure fiscali agevolative adottate da enti territoriali interni diversi dallo Stato;
la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea è intervenuta correggendo l'orientamento eccessivamente restrittivo tenuto dalla Commissione, dove le misure «asimmetriche», ossia applicabili solo nel territorio di alcune regioni, erano state tollerate in deroga al divieto generale di aiuti di Stato sancito dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 87 del Trattato della Comunità europea), previo nulla osta da parte della stessa Commissione europea ed entro limiti temporali e «quantitativi» assai ristretti;
l'orientamento appena illustrato è stato ripreso ed ampliato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nelle recenti cause C 428/06 e C 434/06;
nel 2008 solo il 6 per cento del totale degli investimenti in Italia veniva dall'estero, contro il 15 per cento della Francia e il 33 per cento del Regno Unito. E del 6 per cento di investimenti dell'Italia diretti esteri, solo lo 0,6 per cento era posizionato a Sud;
è giunto il momento di dare un segnale di discontinuità con il passato, fatto di troppi sprechi, molto assistenzialismo e poca impresa;
in altre parole si dovrebbe capovolgere lo schema sin qui seguito, lasciando il più possibile le risorse nelle mani di imprenditori sani e veri, al contempo tenendo sempre a mente il vincolo di finanza pubblica,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative volte ad adattare gli studi di settore alle condizioni di particolare svantaggio in cui si trovano gli operatori economici e commerciali delle regioni meridionali e, in modo particolare, ad istituire in quelle aree una vera e propria «no tax area» attraverso un serrato confronto con le istituzioni europee, sulla falsa riga di quanto fatto in Irlanda ed in base alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, impostando così un modello che sia il volano del rilancio del Mezzogiorno d'Italia.
(1-00887)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».

La Camera,
premesso che:
l'attuale fase di crisi registra nel Mezzogiorno gli effetti peggiori sul piano economico e sociale;
tale situazione nelle regioni del Sud mette in difficoltà l'Italia;
vi è un gap infrastrutturale, in termini di trasporti, logistica, ricerca e innovazione, rispetto al resto del Paese;
un intervento capace di promuovere sviluppo ed occupazione nel Mezzogiorno assume carattere di urgenza, al fine di favorire la ripresa dell'economia meridionale, come base per la crescita e lo sviluppo dell'intero Paese;
gli obiettivi di riequilibrio territoriale, che ispirano la politica europea di coesione economica e sociale, e gli obiettivi di crescita occupazionale stabiliti con la strategia di Lisbona possono essere raggiunti con strumenti di intervento innovativi nel Mezzogiorno;
in questo momento di crisi molte imprese sono costrette alla chiusura, non rientrando nei parametri degli studi di settore;
le rilevazioni dell'Istat dimostrano un tasso altissimo di disoccupazione nel sud d'Italia;
il tasso di occupazione delle persone tra i 15 e i 34 anni è sceso di diversi punti percentuali, marcando la differenza con la situazione del nord del Paese;
per l'Istat la povertà è un fenomeno che caratterizza soprattutto le regioni del Sud;
la Commissione europea ha approvato una correzione alle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti produttivi nelle aree sottoutilizzate, concedendo all'Italia la possibilità di abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento e ha dato il via libera all'utilizzo dei fondi strutturali, con l'obiettivo di sostenere specifiche politiche occupazionali nelle aree a più bassa occupazione giovanile, per la copertura dei crediti d'imposta per l'occupazione nel Mezzogiorno,

impegna il Governo:

ad assegnare al tema dello sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno una valenza prioritaria nell'ambito della politica economica nazionale e di quella comunitaria di coesione;
ad assumere politiche in grado di favorire la localizzazione delle attività produttive nelle aree del Sud, rafforzando così il tessuto produttivo e favorendo i processi di agglomerazione produttiva, i cui benefici ricadranno anche sulle imprese del Centro-nord che non riescono a reperire aree industriali e manodopera qualificata;
a portare la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno ai livelli del resto del Paese attraverso la piena attuazione della strategia nazionale della «legge-obiettivo» e delle opere individuate, opportunamente inserite nelle intese generali quadro tra Stato e regioni;
ad esaminare la possibilità di utilizzare i fondi nazionali risultanti dall'abbassamento della quota di cofinanziamento per realizzare fiscalità di sviluppo e investimenti produttivi nel Mezzogiorno.
(1-00928)
«Miccichè, Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno D'Alcontres, Terranova».

La Camera,
premesso che:
secondo l'ultimo rapporto Svimez il prodotto interno lordo nel Mezzogiorno, dal 2001 al 2010, ha segnato una media annua negativa, -0,3 per cento. Decisamente lontano dal + 3,5 per cento del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 25.583 euro medio pro capite. Ai 29.869 euro del Centro-Nord si contrappongono i 17.466 euro del Mezzogiorno. Fra le regioni del Sud, l'Abruzzo è quella con il prodotto interno lordo pro capite più elevato con 21.574 euro; circa 2.200 euro al di sotto dell'Umbria, la regione più debole del Centro-Nord. Seguono il Molise con 19.804 euro, la con Sardegna con 19.552 euro, la Basilicata con 18.021 euro, la Sicilia con 17.488 euro, la Calabria con 16.657 euro e la Puglia con 16.932 euro. La regione più povera è la Campania, con 16.372 euro;
i dati e le previsioni per il futuro sembrano confermare che nord e sud del Paese viaggiano su strade opposte: il prodotto interno lordo del Centro-Nord è previsto a +0,8 per cento, quello del Mezzogiorno a +0,1 per cento. Per il Sud, il 2011 è stato il secondo anno consecutivo di stagnazione, dopo il forte calo del prodotto interno lordo nel biennio di crisi 2008-2009. Tutte le regioni meridionali presentano valori inferiori al dato medio nazionale e oscillano tra un valore minimo pari a -0,1 per cento della Calabria e un valore massimo pari a +0,5 per cento della Basilicata e l'Abruzzo. In mezzo, il Molise e la Campania segnano +0,1 per cento, la Puglia +0,3 per cento, la Sicilia e la Sardegna ferme allo zero per cento. La forbice del divario, dunque, si restringe e pare destinata ad aumentare;
quanto all'occupazione, nel 2010 i posti di lavoro sono calati al Sud del 5,6 per cento (-5,8 per cento nel manifatturiero) contro il -3,1 per cento del Centro-Nord. Il ricorso alla cassa integrazione, soprattutto straordinaria, è proseguito come già nel 2009: al Sud, nel 2010, le ore erogate nel settore manifatturiero in presenza di crisi strutturali sono state +146 per cento (113 milioni di ore); nel resto del Paese +163 per cento (544 milioni di ore). Da segnalare che tra il 2008 e il 2010 il manifatturiero meridionale ha perso quasi 130 mila posti di lavoro, il 15 per cento del totale, che si aggiungono ai 490 mila del Centro-Nord;
si è, dunque, di fronte al rischio concreto di una profonda de-industrializzazione di tutta l'area del meridione d'Italia. Un'eventualità questa che avrebbe effetti catastrofici sull'economia di tutto il Paese;
altro dato su cui riflettere è quello relativo al credito: il tasso di interesse, al Sud nel 2010, si è attestato al 6,2 per cento, contro il 4,8 per cento del Centro-Nord. Resta, quindi, invariato il divario di 1,4 punti percentuali, quale riflesso dell'elevata rischiosità delle imprese meridionali;
di fronte a tale scenario, è necessario focalizzare quei processi di riforma che sarebbero necessari per adeguare il sistema produttivo del Paese, e in particolare del Meridione, alle nuove condizioni competitive determinate dalla globalizzazione e dall'adesione all'euro. Appare plausibile ritenere che il processo di declino del meridione d'Italia potrà essere interrotto solo in presenza dello sviluppo di un'adeguata domanda privata e pubblica, capace nel breve periodo di attenuare gli effetti della crisi attuale e, nel medio periodo, di favorire una ripresa duratura della produzione che avrebbe come conseguenza la creazione di posizioni lavorative stabili e efficienti. Il pericolo è che, mancando tale stimolo, la perdita di tessuto produttivo diventi permanente, aggravando i divari territoriali già marcati nel Paese;
in questo contesto, è necessario e non più differibile mettere in campo una politica industriale finalizzata a sviluppare e ramificare sul territorio una matrice tecnologica e produttiva, in particolare in settori strategici, capace di dimostrarsi autonoma e di rigenerarsi sul territorio, al fine di creare e sostenere nuova occupazione. Bisogna in questo senso far superare la congenita tendenza al «nanismo» delle piccole imprese del Mezzogiorno, irrobustire la piattaforma logistica che vede il Sud naturalmente punto d'approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso Oriente ed intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, di quegli agglomerati urbani densamente popolati;
quanto all'occupazione, se si analizzano gli andamenti trimestrali (con riferimento agli ultimi dieci anni) emerge che la crisi è iniziata prima al Sud e lì sembra durare più a lungo. Gli occupati al Sud sono, quindi, tornati ai livelli di dieci anni fa. In Campania lavora meno del 40 per cento della popolazione in età da lavoro, in Calabria è il 42,4 per cento, in Sicilia il 42,6 per cento;
caso unico in Europa, l'Italia sul fronte migratorio continua a presentarsi come un Paese spaccato in due: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla;
dal 2000 al 2009 ben 583 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel solo 2009 sono partiti dal Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa risulta la Campania, con una partenza di 33.800 abitanti, circa il 30 per cento dell'emigrazione interna; segue la Sicilia con 23.700 partenze; la Puglia con 19.600; la Calabria con 14.200. In direzione opposta, dal Nord al Sud, si sono mosse, invece, solo 67 mila persone. In Italia lavora meno di una donna su due, ma al Sud la percentuale crolla al 30 per cento. Nel 2010 il tasso di occupazione del Nord è risultato (dati Istat) più elevato di oltre venti punti rispetto a quello dell'area meridionale (43,9 per cento). Nel caso delle donne si passa dal 56,1 per cento del Nord, al 30,5 per cento del Mezzogiorno;
a rendere più evidente il divario tra il nord e il sud del Paese, interviene un altro fattore: la forte sperequazione territoriale nell'offerta dei servizi sociali (in particolare da parte dei comuni) che costituisce un elemento di particolare criticità. Nelle regioni del Sud e delle isole si riscontrano, infatti, livelli di spesa sociale sensibilmente più bassi rispetto al Centro-Nord, con un welfare locale che nel Mezzogiorno è fortemente connotato da quote rilevanti di finanziamento proveniente da Stato e regioni;
si è, dunque, di fronte ad un quadro preoccupante: a) per il forte restringimento della base occupazionale; b) per la crescita del tasso di disoccupazione più che doppia in confronto al Nord; c) per l'allargamento dei fenomeni di scoraggiamento ed esasperate difficoltà di inclusione dei giovani nel mercato del lavoro; d) per la bassa partecipazione delle donne alla vita lavorativa, dovuta anche ai più forti ostacoli alla conciliazione tra l'impegno lavorativo e quello da dedicare alla famiglia e alla quotidianità. Queste condizioni impongono una politica economica e sociale a favore del Mezzogiorno, ma non solo nell'interesse del Meridione;
in uno scenario così critico emergono, comunque, parziali elementi positivi, come, ad esempio, quello rappresentato dal ruolo della cooperazione, peraltro riconosciuto dalla Costituzione. Si tratta di una realtà associativa solida, di un modello organizzativo di coesione e di espressione genuina del territorio, con forti elementi di dinamicità economica e occupazionale, che può rappresentare una grande opportunità di crescita per l'intera area meridionale;
non si tratta di reclamare un nuovo intervento speciale bensì di ripensare l'intera politica economica nazionale in funzione dello sviluppo del Sud: unica condizione per avviare una crescita dell'intero Paese. Solo così può di nuovo aumentare il prodotto interno lordo e, di conseguenza, riequilibrare il debito pubblico;
è interesse dell'Italia il decollo duraturo dell'economia delle regioni meridionali. È interesse, soprattutto, delle aree più sviluppate del sistema Italia, ormai, fin troppo costipate. Esse sarebbero le prime a giovarsi della ripresa e del rilancio dell'area mediterranea d'Italia, sia in termini di nuovi investimenti possibili, sia in termini di minori costi di produzione;
il sud d'Italia sconta l'impossibilità di competere sul piano della «fiscalità generale» con le altre aree depresse dell'Unione europea, soprattutto dell'Est, che offrono alle imprese condizioni fiscali durature e decisamente più favorevoli. L'opposizione dell'Unione europea all'adozione di una fiscalità differenziata all'interno di uno stesso Paese, in un regime di moneta unica nel quale Stati e regioni sono posti sullo stesso piano, oggi non ha più motivo d'essere. Appare opportuno, dunque, riflettere sulla possibilità di insistere in questa direzione pensando a interventi che della fiscalità di vantaggio ripetano i pregi (la semplicità e l'immediatezza del beneficio, la differenziazione rispetto alle aree sviluppate, la vigenza pluriennale anche se limitata nel tempo), ma che abbiano caratteristiche tecniche nuove e diverse per vecchie e nuove imprese;
il Governo e il Parlamento in queste settimane sono impegnati ad approvare provvedimenti di liberalizzazione e semplificazione. Ebbene, il ruolo della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli (lo Stato, le regioni, gli enti locali) può rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante per veicolare, attraverso investimenti, soprattutto infrastrutturali, lo sviluppo delle aree meridionali, nell'interesse - è bene ripeterlo - non solo delle aree direttamente interessate, ma dell'intero sistema Paese e di quelle aziende non certo e non solo localizzate nel sud d'Italia. Esse, infatti, potrebbero essere coinvolte in un piano di investimenti sul territorio;
in questo senso appare ineludibile la necessità che le amministrazioni pubbliche, nel loro complesso, rappresentino un punto di riferimento certo ed affidabile, che siano, cioè, capaci di far fronte ai propri impegni finanziari. Purtroppo, allo stato, così non è perché versano in uno stato di profonda illiquidità e di forte indebitamento. Bisogna intervenire sull'oggettiva impossibilità delle regioni e degli enti locali del Sud ad onorare le erogazioni derivanti da impegni assunti per forniture di beni e servizi. Se in Lombardia, in Veneto o in Emilia Romagna le aziende che hanno un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione riescono a dare continuità alle proprie attività, in Campania, in Calabria o in Sicilia le aziende che hanno un rapporto con la pubblica amministrazione sono costrette a chiudere le proprie attività per mancanza di liquidità o addirittura per l'insolvenza degli enti locali. In Lombardia, infatti, gli enti locali erogano i loro impegni derivanti da forniture di beni e servizi mediamente con 120 giorni di ritardo; in Campania pagano i loro fornitori con 365 giorni di ritardo; in Calabria si raggiungono addirittura i 600 giorni di ritardo. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura;
fino a poco tempo fa le regioni potevano utilizzare i fondi di riequilibrio, o comunque potevano ricorrere all'indebitamento. Oggi, nessuna delle due ipotesi è più percorribile. Inoltre, è necessario tenere conto del patto di stabilità, in virtù del quale alcune regioni italiane, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa;
recentemente è stata avanzata l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate da alcune regioni possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia di cui il Governo sia garante per i pagamenti delle autonomie locali. Non si tratta di utilizzare le risorse di determinate regioni per sostenerne altre. La gran parte, infatti, delle risorse accantonate e inutilizzate è rappresentata da trasferimenti dello Stato, mentre solo una piccola parte di queste provengono dalla finanza locale. Anche alla luce di questa osservazione, l'opportunità avanzata merita di essere vagliata con la giusta attenzione, in quanto potrebbe rivelarsi una risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, incoraggiando, così, in una certa misura gli investimenti privati nelle aree depresse del nostro Paese, ovviamente, non solo in quelle meridionali;
in questo scenario si tenga presente che proprio un ritrovato slancio della pubblica amministrazione, a tutti i suoi livelli, può rappresentare lo strumento, probabilmente l'unico, attraverso il quale mettere in campo interventi concreti per i necessari interventi infrastrutturali di cui il Meridione ha assolutamente bisogno. Si pensi, ad esempio, alla necessità impellente di portare a termine i lavori sul tratto autostradale della Salerno-Reggio Calabria;
infine, un aspetto su cui è necessario porre l'attenzione è quello dell'urbanizzazione del Meridione. Dal confronto con la realtà settentrionale emerge che mentre il sistema urbano del Nord è evoluto, nelle sue componenti principali e nelle grandi aree del Nord-est, la realtà urbana meridionale è rimasta invece nello stadio di «sub urbanizzazione». Secondo un noto economista americano, «per essere vincenti nella competitività urbana, le città devono essere in grado d attrarre quei lavoratori creativi che portano con sé investimenti e crescita economica. Devono essere quindi capaci di offrire loro dei luoghi piacevoli ed amichevoli, dotati di quartieri nei quali l'interazione quotidiana avvenga in modo fluido, facile ed immediato grazie ad un'offerta completa d'infrastrutture per lo svago ed il relax». Evidentemente si è molto lontani da questo obiettivo;
la città, in una società contemporanea, competitiva ed inclusiva, non può che essere il centro nevralgico della spinta produttiva. È intorno alla città che si deve creare quel tessuto articolato di insediamenti che rappresenta la piattaforma necessaria per lo sviluppo e la produzione di una determinata area. Ebbene, è necessario investire sullo sviluppo della rete urbana del Mezzogiorno, una direzione questa indicata più volte dall'illustre meridionalista Francesco Compagna. Una necessità che si sarebbe dovuta affrontare e superare da decenni e che, invece, continua ad essere ancora una questione irrisolta, un'incredibile emergenza. In particolare, appare necessario intervenire per sostenere le aree metropolitane densamente popolate come quella di Napoli, facendone il centro nevralgico per lo sviluppo e promozione di una concreta politica economica del meridione;
questa necessità si inquadra nell'ottica degli obiettivi della Commissione europea che già nel 1999, in merito al processo di integrazione del continente, specificava che uno degli obiettivi principali era la «creazione di zone dinamiche di integrazione distribuite equamente sul territorio europeo e costituite da reti di regioni metropolitane di facile accesso internazionale e da città e zone rurali ad esse collegate»;
recentemente la Commissione europea ha deciso di modificare alcune delle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti nelle aree depresse. L'Italia potrà abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento: si rendono, così, disponibili ben otto miliardi di risorse europee, un'opportunità importante che non si può sprecare,

impegna il Governo:

a delineare, attraverso il confronto con le diverse realtà produttive economiche, sociali ed istituzionali che possono essere coinvolte, un piano organico di interventi che abbia come obiettivo strategico, in chiave nazionale, lo sviluppo del Sud, unica condizione questa per avviare una crescita dell'intero Paese, poiché solo così può di nuovo aumentare il prodotto interno lordo e di conseguenza può essere riequilibrato il debito pubblico;
ad investire una quota rilevante delle risorse rese disponibili dalla Commissione europea attraverso l'abbassamento della quota di cofinanziamento, specificatamente per il rafforzamento delle reti urbane con particolare interesse al potenziamento delle aree metropolitane del Mezzogiorno;
a sviluppare interventi organici, anche tramite una sostenibile fiscalità di vantaggio, finalizzati al potenziamento, in particolare dell'iniziativa privata, affinché si ramifichi nel territorio, superando la congenita tendenza al nanismo del sistema imprenditoriale del Meridione;
ad irrobustire la piattaforma logistica che vede il sud d'Italia quale naturale punto d'approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso Oriente;
ad intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, degli agglomerati urbani densamente popolati;
a sviluppare un piano di interventi infrastrutturali, affinché il sud d'Italia non resti di fatto separato dal resto del Paese e dall'Europa, non essendo possibili turismo, commercio, sviluppo, occupazione senza l'esistenza di trasporti e vie di comunicazioni efficienti;
a sviluppare interventi organici finalizzati a valorizzare il ruolo e l'incidenza del modello cooperativo, facendone uno dei possibili pilastri su cui costruire una strategia politico-economica complessiva per il rilancio del Meridione.
(1-00930) «Ossorio, Nucara, Brugger».

La Camera,
premesso che:
il Governo italiano ha assunto, in sede europea, l'impegno ad attuare una serie di misure di politica economica volte a sostenere la crescita dell'economia, individuando tra queste la revisione strategica dei programmi - nazionali e regionali - cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 che determini una maggiore concentrazione sugli investimenti in grado di determinare effetti diretti sulla competitività e la crescita del Paese ed un maggior orientamento delle politiche ai risultati;
non è più eludibile imprimere ogni utile impulso alla crescita dell'Italia e la politica di coesione offre un ampio potenziale contributo ancora inespresso per elevare il tasso di crescita dell'economia italiana;
nel corso dell'ultimo anno è stato costruito un proficuo rapporto di cooperazione istituzionale rafforzata tra il Governo e le regioni che ha consentito di avviare a realizzazione il piano nazionale per il Sud, approvato il 26 novembre 2010, e di accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati 2007-2013, scongiurando il rischio di disimpegno delle risorse comunitarie al 31 dicembre 2011;
al fine di sostenere lo sviluppo dell'occupazione nel Meridione d'Italia, con l'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha previsto il credito di imposta per nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno;
il 6 ottobre 2011 la Commissione europea ha comunicato al Governo italiano l'approvazione del credito d'imposta previsto dal «decreto sviluppo» per l'assunzione a tempo indeterminato nelle aree del Sud Italia;
il 7 novembre 2011 è stato sottoscritto, con il Commissario europeo alla politica di coesione Hahn, il piano d'azione coesione che, in attuazione del primo impegno assunto dal Governo italiano con la Commissione europea con la lettera del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 ottobre 2011, dettaglia le azioni di revisione strategica dei programmi cofinanziati, stabilisce un calendario di esecuzione preciso e promuove quel miglioramento dell'efficacia dei programmi cofinanziati, che è necessario per accrescere il loro contributo alla crescita del Paese e sostenere lo sforzo che l'Italia sta compiendo per assicurare condizioni di stabilità alla propria economia;
il 15 dicembre 2011 sono stati definiti gli interventi puntuali che saranno, in attuazione del piano d'azione, finanziati sui quattro assi strategici relativi a istruzione, banda larga, occupazione e ferrovie;
il 7 febbraio 2012 è stato inviato alla Commissione europea l'aggiornamento del piano d'azione e coesione che tiene conto delle attività istruttorie compiute dal nucleo di valutazione e verifica del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero dello sviluppo economico e dell'unità valutazione della direzione generale della politica regionale della Commissione europea, con l'obiettivo di «rappresentare anche quantitativamente la teoria del cambiamento alla base della strategia»;
il decreto legislativo n. 88 del 2011, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione) ha:
a) ridefinito la finalizzazione del fondo per le aree sottoutilizzate, che ha assunto la denominazione di fondo per lo sviluppo e la coesione;
b) introdotto nuove regole di responsabilizzazione dei soggetti pubblici titolari dell'utilizzo di tali risorse;
c) previsto, per accelerare la realizzazione degli interventi e garantire la qualità degli investimenti, il «contratto istituzionale di sviluppo», che destina le risorse aggiuntive e definisce responsabilità, tempi e regole di realizzazione degli interventi programmati, le sanzioni per eventuali inadempienze e le condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;
la delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 ha disposto il finanziamento, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, di interventi prontamente cantierabili riguardanti le grandi opere strategiche nazionali e regionali ferroviarie e viarie essenziali per ricucire Nord e Sud del Paese. In particolare, la citata la delibera assegna 1,6 miliardi di euro a favore di interventi strategici nazionali e 5,8 miliardi di euro a favore di 128 infrastrutture di rilievo interregionale e regionale, riguardanti non soltanto strade e ferrovie, ma anche schemi idrici, porti e interporti, aree d'insediamento produttivo, banda larga;
la delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, ha approvato un programma di investimenti nel sistema universitario delle regioni del Mezzogiorno, che assegna complessivi 1.027 milioni di euro, di cui circa 150 milioni di euro a favore di tre poli di ricerca di eccellenza in Calabria/Sicilia, Campania e Puglia, e 877,4 milioni di euro in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia, per il finanziamento di infrastrutture quali laboratori didattici e di ricerca, biblioteche, mense, attrezzature tecnologiche e informatiche, case dello studente, ristrutturazioni e nuove costruzioni di edifici universitari;
il Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012, confermando l'impianto generale della delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 e senza alterare le assegnazioni totali e l'articolazione regionale dei finanziamenti, ha previsto modifiche riguardanti alcuni interventi, in particolare nelle regioni Campania e Calabria;
il Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012 ha assegnato circa 750 milioni di euro, a carico della programmazione regionale del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il completo finanziamento degli interventi rientranti in specifici accordi di programma già sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le singole regioni del Mezzogiorno per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti;
complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 ammontano a circa 7,5 miliardi di euro, che consentono di attivare un volume di investimenti di circa 30 miliardi di euro;
complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 ammontano a circa 1 miliardo di euro, che consente di attivare un volume di investimenti di circa 1,2 miliardi di euro;
complessivamente le risorse assegnate dal Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012 per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno ammontano a circa 680 milioni di euro, che consente di attivare un volume di investimenti di circa 750 milioni di euro;
la delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 è stata registrata alla Corte dei conti il 21 dicembre 2011 ed è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale il 31 dicembre 2011;
la delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 è stata registrata alla Corte dei conti il 9 gennaio 2012 ed è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale il 21 gennaio 2012;
il comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha escluso dalla riduzione disposta dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 11, le risorse destinate alla programmazione regionale nell'ambito del fondo per le aree sottoutilizzate;
le delibere Cipe n. 62 e 78 prevedevano la sottoscrizione dei contratti istituzionali di sviluppo, quale strumento attuativo per la definizione delle responsabilità, dei tempi e delle regole di realizzazione degli interventi programmati, delle sanzioni per eventuali inadempienze e delle condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;
la delibera Cipe riguardante gli interventi per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno è in corso di formalizzazione;
l'effettivo utilizzo del credito di imposta per l'occupazione stabile nel Mezzogiorno è subordinato all'adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, che, oltre a stabilire i limiti di finanziamento garantiti da ciascuna delle regioni, dovrà stabilire le disposizioni di attuazione, così come stabilito dal comma 8 dell'articolo 2 dello stesso decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70;
pur in presenza di un grande e utile sforzo da parte delle autorità regionali e nazionali responsabili dell'attuazione dei programmi cofinanziati, permangono potenziali rischi connessi all'andamento della spesa che potrebbero determinare disimpegni automatici al 31 dicembre 2012,

impegna il Governo:

a sottoscrivere nel più breve tempo possibile i contratti istituzionali di sviluppo o, in alternativa, ad individuare gli strumenti più efficaci per avviare concretamente la realizzazione degli investimenti previsti nelle delibere del Cipe n. 62 e 78 e di quelli relativi al contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno;
a sottoporre alle prossime riunioni del Cipe tutti i progetti, in attesa di approvazione, relativi alle opere finanziate con le delibere del Cipe n. 62 e 78, al fine di avviare concretamente la realizzazione degli stessi;
ad assegnare nel più breve tempo possibile alle regioni del Mezzogiorno le risorse residue del fondo per lo sviluppo e la coesione valutabili in oltre 6,7 miliardi di euro;
ad adottare nel più breve tempo possibile il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, che dovrebbe stabilire i limiti di finanziamento garantiti da ciascuna delle regioni e le disposizioni di attuazione del credito d'imposta per nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno;
a confermare il meccanismo di accelerazione nell'attuazione dei programmi cofinanziati previsto dalla delibera del Cipe n. 1 del 2011 e fissato dalla decisione del Comitato nazionale per il coordinamento e la sorveglianza della politica regionale unitaria in termini di impegni giuridicamente vincolanti assunti al 31 maggio 2012, pari al 100 per cento dell'importo di spesa in scadenza al 31 dicembre 2012, di spesa da certificare, pari al 70 per cento dell'importo di spesa in scadenza al 31 dicembre 2012, e di impegni giuridicamente vincolanti assunti al 31 dicembre 2012, pari al 60 per cento dell'importo della spesa in scadenza al 31 dicembre 2013.
(1-00932)
«Cicchitto, Fitto, Baldelli, Cosenza, Savino».

La Camera,
premesso che:
attraverso la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione, negli ultimi anni l'azione dell'Unione europea ha cercato di favorire la diminuzione dei tassi di disoccupazione, rafforzando le misure volte non solo a proteggere i posti di lavoro esistenti, ma anche a creare nuove opportunità: oltre 10 miliardi di euro, infatti, vengono investiti ogni anno a titolo del fondo sociale europeo per migliorare l'occupabilità della popolazione;
a dodici anni dalla strategia di Lisbona, le istituzioni comunitarie si rendono conto che c'è ancora molto da fare e che gli indici in essa previsti sono difficili da raggiungere;
nel nostro Paese, in questa particolare congiuntura economica, le aziende in difficoltà hanno prodotto un crescente esercito di disoccupati e le fasce che hanno risentito e risentono di più della mancanza di opportunità lavorative sono i giovani, in generale, e quelli delle aree sottoutilizzate del Paese, in particolare;
a gennaio 2012 il tasso di disoccupazione si è attestato al 9,2 per cento, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di un punto rispetto al 2011. Il tasso di disoccupazione giovanile, ovvero l'incidenza dei 15-24enni disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, è pari al 31,1 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a dicembre 2011;
secondo il rapporto Svimez 2011 sull'economia del Mezzogiorno, due giovani su tre sono senza un'occupazione e la crescita dei senza lavoro riguarda, soprattutto, la componente femminile. Alla fine del 2011 il tasso di disoccupazione delle giovani donne che risiedono al Sud era pari al 39 per cento, quindi, quasi quattro ragazze su dieci. Aumentano, inoltre, i giovani «neet» (not in education, employment or training) con alto livello di istruzione: quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30 per cento dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Sono circa 167 mila i laureati meridionali fuori dal sistema formativo e del mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e Calabria;
sempre secondo il rapporto Svimez 2011, su 533 mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese dal 2008 al 2010, ben 281 mila sono stati nel Mezzogiorno. Con meno del 30 per cento degli occupati italiani, al Sud si concentra, dunque, il 60 per cento della perdita di posti di lavoro. Particolarmente forte è la diminuzione in Basilicata (dal 48,5 al 47,1 per cento) e in Molise (dal 52,3 al 51,1 per cento). Valori drammaticamente bassi e in ulteriore diminuzione si registrano in Calabria (42,2 per cento) e Sicilia (42,6 per cento);
questi sono i dati drammatici di un'emergenza nazionale e, soprattutto, meridionale senza precedenti, che non può più essere sottovalutata. Il Mezzogiorno e, in particolare, i giovani del Sud continuano ad essere penalizzati ed esclusi dal mondo del lavoro. Se poi a questi dati, si aggiungono quelli altrettanto allarmanti delle famiglie in condizioni di povertà, che secondo l'Istat sono allocate soprattutto al Sud, lo scenario diventa ancora più preoccupante;
non è un caso che tra il 2001 e il 2011 si è registrata una ripresa dell'emigrazione verso il Nord con un flusso migratorio di circa 600 mila residenti dal Mezzogiorno;
gli interventi in favore del Mezzogiorno adottati negli ultimi anni non hanno prodotto gli effetti desiderati e non sono apparsi in grado di frenare l'emorragia di posti di lavoro e di rilanciare l'economia nelle regioni del Mezzogiorno;
di fronte a questi dati occorre considerare quali strumenti possono venire in soccorso per cercare di invertire una tendenza che penalizza i ragazzi italiani, specie se si confrontano le esperienze maturate in altri Paesi membri dell'Unione europea, dove le politiche attive per il lavoro sono certamente un passo avanti rispetto a quanto avviene nel nostro Paese;
il trattato istitutivo dell'Unione europea vieta gli aiuti concessi dagli Stati alle imprese sotto qualsiasi forma, in quanto incompatibili con il mercato comune. Tuttavia, esistono delle possibilità, delle eccezioni previste dall'ordinamento comunitario, che consentono di utilizzare le preziose risorse finanziarie europee. Basti considerare che le risorse destinate dal fondo sociale europeo all'Italia per il periodo 2007-2013 ammontano ad oltre 15 miliardi di euro;
una di queste eccezioni è rappresentata dagli aiuti concessi alle imprese in regime di de minimis destinati a favorire lo sviluppo economico delle aree sottoutilizzate in cui ci sia una grave forma di disoccupazione;
una volta accertata la presenza di un sistema di aiuti praticabile occorre stabilire quale sia lo strumento più idoneo; a tale riguardo tornano utili le recenti dichiarazioni del Ministro del lavoro e delle politiche sociali che ha definito il contratto di apprendistato il modello contrattuale di ingresso nel mondo del lavoro, così come anche auspicato nel documento che sindacati e imprese avevano consegnato al Governo tempo fa,

impegna il Governo:

ad assumere le iniziative necessarie per definire a livello nazionale un quadro di norme finalizzato a rendere interamente fruibili dai giovani, donne e uomini delle regioni meridionali del nostro Paese, le risorse attualmente disponibili a valere sui fondi dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per prevedere, in particolare, un nuovo sistema di agevolazioni finalizzato alla formazione e al lavoro che responsabilizzi in maniera diretta i giovani in cerca di occupazione, utilizzando precipuamente lo strumento del contratto di apprendistato;
ad adottare concrete iniziative finalizzate alla riqualificazione del capitale sociale del Sud, anche attraverso consistenti investimenti nella scuola, nell'attività di contrasto alla cultura dell'illegalità e alle mafie, tali da generare un tessuto più favorevole alla crescita economica e allo sviluppo del Mezzogiorno;
a considerare l'opportunità di riprogrammare concretamente l'utilizzo delle risorse comunitarie in progetti strategici, soprattutto in reti infrastrutturali di trasporto e di collegamento propedeutiche ad abbattere le barriere allo sviluppo delle regioni del Sud;
a promuovere l'effettivo utilizzo del credito d'imposta per i nuovi occupati al Sud, attualmente ancora non operativo a causa dei ritardi della Conferenza Stato-regioni, che non ha ancora individuato l'ammontare delle risorse da destinare a questo importante intervento;
a considerare l'opportunità di indirizzare le nuove politiche industriali di sviluppo nel Mezzogiorno verso settori emergenti, soprattutto nel campo della green economy e del turismo;
ad utilizzare le maggiori risorse provenienti dall'esclusione della quota nazionale dei fondi cofinanziati dal patto di stabilità, destinandole in via principale all'attuazione di forme di fiscalità di vantaggio nelle aree sottoutilizzate del Paese;
a dar seguito all'applicazione dell'articolo 2-bis del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, che prevede, in coerenza con la decisione assunta nel «Patto Europlus» del 24-25 marzo 2011 e con il piano per il Sud approvato dal Consiglio dei ministri il 26 novembre 2010, l'uso del credito d'imposta per gli investimenti nelle aree sottoutilizzate, attraverso l'utilizzo dei fondi strutturali europei, già nella disponibilità delle regioni del Sud.
(1-00933)
«Occhiuto, Tassone, D'Ippolito Vitale, Nunzio Francesco Testa, Zinzi, Cera, Ruggeri, Ria, Carlucci, Mereu, Naro, Poli».

La Camera,
premesso che:
il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo;
nel Mezzogiorno risiede un terzo della popolazione, si produce solo un quarto del prodotto interno e si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane. Un innalzamento duraturo del tasso di crescita di tutto il Paese non può prescindere dal superamento del sottoutilizzo delle risorse al Sud;
le prime valutazioni effettuate dalla Svimez ipotizzano per il 2012, in un quadro di recessione, un ulteriore ampliamento del divario tra Nord e Sud, con un differenziale negativo di circa mezzo punto al Sud rispetto alla media nazionale, che dovrebbe far segnare una flessione del prodotto interno lordo di oltre l'1 per cento;
anche le misure economiche degli ultimi anni, miranti al necessario aggiustamento dei conti pubblici, non hanno tenuto conto delle diversità territoriali, determinando effetti maggiormente negativi nel Mezzogiorno;
negli ultimi anni si è avvertita l'assenza, nei programmi di Governo, di un respiro strategico, volto a ridurre il gap economico, infrastrutturale e sociale del Sud;
il Mezzogiorno italiano è ancora privo di quella rete di infrastrutture essenziale per lo sviluppo. In uno Stato autenticamente federale tutte le regioni devono essere dotate degli stessi strumenti e delle stesse infrastrutture. La realizzazione di una perequazione infrastrutturale rappresenta un elemento essenziale del federalismo e condizione necessaria per un federalismo fiscale equo. Prima di determinare il flusso delle risorse standard occorre livellare i servizi, rendendo omogenea la loro offerta su tutto il territorio e dotando, quindi, tutte le regioni di infrastrutture di pari livello;
esiste il pericolo reale che il federalismo fiscale, disgiunto da una compiuta perequazione infrastrutturale, si traduca in uno strumento di svantaggio ed impoverimento, trasferendo risorse dalle aree più povere a quelle più ricche, e che il divario tra queste due da incolmato divenga incolmabile;
la crisi ha colpito in particolar modo il Sud e le politiche congiunturali, davanti alle stringenti necessità della finanza pubblica, hanno anche utilizzato risorse assegnate allo sviluppo del Mezzogiorno, come il fondo per le aree sottoutilizzate, distraendole dalle finalità proprie. Per lungo tempo si è assistito a dissennati tagli operati sulla dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate per finanziare interventi di diversa natura, non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno;
grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, il Sud può svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale. Per il Sud italiano, così come per altri Sud europei, potrebbe aprirsi una prospettiva inedita, rappresentata dai crescenti flussi commerciali e finanziari provenienti dall'Asia e dall'Africa, da Medio Oriente, Cina, India, Giappone, Oceania e che potrebbero trasformarlo in uno dei principali poli dello sviluppo mondiale di questo nuovo secolo;
i dati sull'andamento dell'occupazione hanno evidenziato come proprio nelle regioni del Sud si siano concentrate le riduzioni più significative di posti di lavoro, legate, soprattutto, al fenomeno della desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno una persona su due è fuori dal mercato del lavoro regolare: in valori assoluti, sette milioni di uomini e donne che convivono con lavori in nero o precari. Inoltre, è al Sud che vive un esercito di oltre due milioni di giovani, i cosiddetti «neet» (acronimo che sta per «not in education, employment or training», ovvero che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione), che sono praticamente invisibili poiché vivono in una zona grigia fatta di lavoro irregolare, occupazione estemporanea e lavori saltuari e che rappresentano la faccia più impietosa della crisi economica;
la stessa crisi ha evidenziato la distanza tra soggetti tutelati e lavoratori precari privi di garanzie; una polarizzazione che si riflette anche a livello territoriale, tra Nord e Sud, dove sono numerose le famiglie monoreddito. Problemi che richiedono un'attenzione particolare, anche rispetto alle politiche sociali, rendendo necessario superare definitivamente quella visione puramente assistenzialistica e risarcitoria, che fino ad oggi ha caratterizzato le scelte delle politiche del welfare;
la disoccupazione ufficiale al Sud è quasi 2,5 volte quella del Nord: secondo l'ultimo dato ufficiale diramato dall'Istat si aggira attorno al 35/40 per cento, dato che, però, non tiene conto di coloro i quali, ed al Sud sono tanti, scoraggiati, non si iscrivono alle liste di collocamento. Ciò alimenta quella parte di disoccupazione definita «grigia», nella quale confluisce chi non cerca lavoro: inoccupati impliciti e lavoratori potenziali, serbatoio naturale per i fenomeni di occupazione illegale;
soprattutto, preoccupa quello che la Svimez ha definito «spreco generazionale inaccettabile», cioè il dato che vede in crescita nelle regioni meridionali la quota dei giovani neet con alto livello di istruzione. Oltre un terzo dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo (36,6 per cento), rispetto al 21,9 per cento del Centro e al 15,5 per cento del Nord. Addirittura la differenza con le regioni settentrionali diventa enorme se si considera il tasso di inattività dei diplomati under 34. Al Sud la percentuale arriva addirittura al 38,5 per cento, al Centro è meno della metà (18,3 per cento), al Nord meno di un terzo (12,5 per cento);
un altro recente dossier Svimez, «La condizione e il ruolo delle donne per lo sviluppo del Sud», denuncia che nel 2010 nel Mezzogiorno ha lavorato regolarmente meno di una giovane su quattro, con un tasso di occupazione fermo al 23,3 per cento, e che le donne meridionali laureate, anziché essere oggetto di politiche di sviluppo, restano a casa con bambini e anziani, prigioniere di un welfare che ostacola la conciliazione lavoro-famiglia, nonostante, sempre nel 2010, le meridionali laureate sono state il 18,9 per cento sul totale della popolazione tra i 30 e i 34 anni, quasi 7 punti in più dei maschi (12,3 per cento);
i tassi di scolarizzazione in Italia presentano divari sfavorevoli al Meridione e sono accompagnati da un parallelo aumento del tasso di abbandono, dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare. Negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti meridionali che terminano la loro carriera accademica hanno maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si genera così un ampio fenomeno migratorio dei «cervelli» (brain drain) che lasciano le regioni del Sud, provocando un depauperamento del capitale umano disponibile;
con riferimento alle imprese del Mezzogiorno, il sistema produttivo è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una conseguente scarsa propensione a investire nell'innovazione e in ricerca e sviluppo. Tra le condizioni di contesto capaci di favorire, nel medio periodo, la crescita del sistema economico meridionale c'è senza dubbio anche la crescita degli investimenti in ricerca ed innovazione, unica risposta lungimirante rispetto alla perdita di competitività delle produzioni e dei servizi rispetto a quelle dei Paesi emergenti e a quelle dei Paesi tecnologicamente più avanzati;
occorre, pertanto, mettere a regime forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, nell'ambito di un più vasto sistema di fisco premiale per le imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
la mancata soluzione al problema della sicurezza complica ogni ipotesi di sviluppo per le regioni meridionali. Permane, infatti, una forte presenza della criminalità organizzata, che tenta di infiltrarsi nei grandi appalti per opere pubbliche e tenta di condizionare l'attività d'impresa, e della microcriminalità, che peggiora la qualità della vita nei centri urbani, aumentando il disagio sociale. Questa situazione richiede un impegno forte da parte dello Stato per assicurare condizioni di legalità e di sicurezza alle imprese ed ai cittadini;
occorre salvaguardare e rilanciare il patrimonio produttivo meridionale, scongiurando la fuga dell'industria manifatturiera e l'ampliarsi dei fenomeni di delocalizzazione e intervenendo sulla promozione d'impresa, sostenendo con servizi innovativi i settori d'eccellenza, quali il turismo sostenibile, l'agroalimentare tipico, le attività ad alto contenuto tecnologico;
la capacità di realizzare politiche di sviluppo mirate, in particolare ottimizzando l'utilizzo dei fondi europei, è divenuta il principale motore della crescita di molti Paesi europei, simili al Mezzogiorno per storia, tradizioni, condizioni economiche e collocazione geografica;
il dualismo del sistema economico italiano continua ad essere una costante, che ha, però, assunto negli ultimi anni valenze differenti, in considerazione dei vincoli e delle opportunità connessi ai processi di integrazione europea e di globalizzazione;
tutti gli indicatori economici lasciano presagire che nel prossimo biennio le regioni centro-settentrionali saranno caratterizzate da un forte impulso produttivo, che permetterà loro di raggiungere le performance europee, mentre il Mezzogiorno resterà penalizzato, dati i ritardi strutturali che da sempre ne condizionano lo sviluppo economico;
oltre alla presenza di divari «verticali» a livello nazionale, anche all'interno dello stesso Mezzogiorno vi sono differenti livelli di crescita. Alcune regioni, infatti, traggono benefici dalle risorse turistiche e da forme d'industrializzazione leggera, mentre altre permangono in situazioni di carenza infrastrutturale o di diffusa criminalità che rendono difficile un percorso univoco di sviluppo;
si rende necessario individuare formule di intervento verso il Mezzogiorno efficaci e, soprattutto, capaci di supportare la ripresa di uno sviluppo durevole e non assistenzialistico,

impegna il Governo:

a promuovere una politica di sviluppo che, sulla base della rilevata inefficacia degli interventi effettuati per il Mezzogiorno nell'ultimo decennio, tenda a privilegiare interventi infrastrutturali in una logica di concentrazione settoriale delle risorse;
a concentrare nello strumento del credito d'imposta gli interventi rivolti ad aiutare le imprese del Sud e a superare le strozzature alla loro crescita, e a promuovere il ricorso alla fiscalità di vantaggio;
ad attuare un piano di recupero di efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, attraverso la realizzazione ed il completamento definitivo di opere infrastrutturali di indubitabile importanza sotto il profilo della riduzione dei costi logistici totali di mobilità di merci e persone, integrate con le reti infrastrutturali di regioni e Paesi del Mediterraneo, grazie alle quali il Mezzogiorno potrebbe realmente rappresentare un'area strategica di operatività logistica a servizio non solo del sistema endogeno meridionale ed italiano, ma principalmente quale territorio di concentrazione e smistamento di traffico lungo le direttrici Asia-Europa e Asia-Medio Oriente-Nord-Africa;
ad assumere iniziative per riformare i programmi regionali del fondo per le aree sottoutilizzate, modificando, al contempo, la governance dell'utilizzo dei fondi e introducendo lo strumento del contratto istituzionale di sviluppo che definisce tempi, modalità e responsabilità per l'attivazione degli investimenti finanziati con i fondi europei e nazionali destinati alle politiche di sviluppo e coesione territoriale, così come delineato nei documenti della Commissione europea relativi all'approvanda riforma della politica regionale dell'Unione europea;
ad assumere iniziative volte a promuovere, all'interno delle regole del patto di stabilità interno, meccanismi premiali finanziati con le risorse del fondo europeo per lo sviluppo regionale a favore delle regioni meridionali che si impegnano a ridurre la spesa corrente a favore di quella in conto capitale;
ad assumere un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
a favorire lo sviluppo nelle regioni meridionali di un sistema creditizio e finanziario che sia in grado di accompagnare e promuovere la crescita dimensionale delle imprese, l'innovazione e l'internazionalizzazione;
a qualificare e semplificare, per quanto di competenza, la pubblica amministrazione, specie nelle aree meridionali, in maniera tale che diventi fornitrice di servizi efficienti alle imprese e ai cittadini;
a definire progetti finalizzati al rientro nelle regioni di provenienza dei giovani ad alta ed altissima qualificazione universitaria e post-universitaria, contribuendo in tal modo ad invertire i consistenti flussi di emigrazione che coinvolgono in modo preoccupante le migliori energie intellettuali del Mezzogiorno.
(1-00934)
«Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».

La Camera,
premesso che:
il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo;
nel Mezzogiorno risiede un terzo della popolazione, si produce solo un quarto del prodotto interno e si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane. Un innalzamento duraturo del tasso di crescita di tutto il Paese non può prescindere dal superamento del sottoutilizzo delle risorse al Sud;
le prime valutazioni effettuate dalla Svimez ipotizzano per il 2012, in un quadro di recessione, un ulteriore ampliamento del divario tra Nord e Sud, con un differenziale negativo di circa mezzo punto al Sud rispetto alla media nazionale, che dovrebbe far segnare una flessione del prodotto interno lordo di oltre l'1 per cento;
anche le misure economiche degli ultimi anni, miranti al necessario aggiustamento dei conti pubblici, non hanno tenuto conto delle diversità territoriali, determinando effetti maggiormente negativi nel Mezzogiorno;
negli ultimi anni si è avvertita l'assenza, nei programmi di Governo, di un respiro strategico, volto a ridurre il gap economico, infrastrutturale e sociale del Sud;
il Mezzogiorno italiano è ancora privo di quella rete di infrastrutture essenziale per lo sviluppo. In uno Stato autenticamente federale tutte le regioni devono essere dotate degli stessi strumenti e delle stesse infrastrutture. La realizzazione di una perequazione infrastrutturale rappresenta un elemento essenziale del federalismo e condizione necessaria per un federalismo fiscale equo. Prima di determinare il flusso delle risorse standard occorre livellare i servizi, rendendo omogenea la loro offerta su tutto il territorio e dotando, quindi, tutte le regioni di infrastrutture di pari livello;
esiste il pericolo reale che il federalismo fiscale, disgiunto da una compiuta perequazione infrastrutturale, si traduca in uno strumento di svantaggio ed impoverimento, trasferendo risorse dalle aree più povere a quelle più ricche, e che il divario tra queste due da incolmato divenga incolmabile;
la crisi ha colpito in particolar modo il Sud e le politiche congiunturali, davanti alle stringenti necessità della finanza pubblica, hanno anche utilizzato risorse assegnate allo sviluppo del Mezzogiorno, come il fondo per le aree sottoutilizzate, distraendole dalle finalità proprie. Per lungo tempo si è assistito a dissennati tagli operati sulla dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate per finanziare interventi di diversa natura, non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno;
grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, il Sud può svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale. Per il Sud italiano, così come per altri Sud europei, potrebbe aprirsi una prospettiva inedita, rappresentata dai crescenti flussi commerciali e finanziari provenienti dall'Asia e dall'Africa, da Medio Oriente, Cina, India, Giappone, Oceania e che potrebbero trasformarlo in uno dei principali poli dello sviluppo mondiale di questo nuovo secolo;
i dati sull'andamento dell'occupazione hanno evidenziato come proprio nelle regioni del Sud si siano concentrate le riduzioni più significative di posti di lavoro, legate, soprattutto, al fenomeno della desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno una persona su due è fuori dal mercato del lavoro regolare: in valori assoluti, sette milioni di uomini e donne che convivono con lavori in nero o precari. Inoltre, è al Sud che vive un esercito di oltre due milioni di giovani, i cosiddetti «neet» (acronimo che sta per «not in education, employment or training», ovvero che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione), che sono praticamente invisibili poiché vivono in una zona grigia fatta di lavoro irregolare, occupazione estemporanea e lavori saltuari e che rappresentano la faccia più impietosa della crisi economica;
la stessa crisi ha evidenziato la distanza tra soggetti tutelati e lavoratori precari privi di garanzie; una polarizzazione che si riflette anche a livello territoriale, tra Nord e Sud, dove sono numerose le famiglie monoreddito. Problemi che richiedono un'attenzione particolare, anche rispetto alle politiche sociali, rendendo necessario superare definitivamente quella visione puramente assistenzialistica e risarcitoria, che fino ad oggi ha caratterizzato le scelte delle politiche del welfare;
la disoccupazione ufficiale al Sud è quasi 2,5 volte quella del Nord: secondo l'ultimo dato ufficiale diramato dall'Istat si aggira attorno al 35/40 per cento, dato che, però, non tiene conto di coloro i quali, ed al Sud sono tanti, scoraggiati, non si iscrivono alle liste di collocamento. Ciò alimenta quella parte di disoccupazione definita «grigia», nella quale confluisce chi non cerca lavoro: inoccupati impliciti e lavoratori potenziali, serbatoio naturale per i fenomeni di occupazione illegale;
soprattutto, preoccupa quello che la Svimez ha definito «spreco generazionale inaccettabile», cioè il dato che vede in crescita nelle regioni meridionali la quota dei giovani neet con alto livello di istruzione. Oltre un terzo dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo (36,6 per cento), rispetto al 21,9 per cento del Centro e al 15,5 per cento del Nord. Addirittura la differenza con le regioni settentrionali diventa enorme se si considera il tasso di inattività dei diplomati under 34. Al Sud la percentuale arriva addirittura al 38,5 per cento, al Centro è meno della metà (18,3 per cento), al Nord meno di un terzo (12,5 per cento);
un altro recente dossier Svimez, «La condizione e il ruolo delle donne per lo sviluppo del Sud», denuncia che nel 2010 nel Mezzogiorno ha lavorato regolarmente meno di una giovane su quattro, con un tasso di occupazione fermo al 23,3 per cento, e che le donne meridionali laureate, anziché essere oggetto di politiche di sviluppo, restano a casa con bambini e anziani, prigioniere di un welfare che ostacola la conciliazione lavoro-famiglia, nonostante, sempre nel 2010, le meridionali laureate sono state il 18,9 per cento sul totale della popolazione tra i 30 e i 34 anni, quasi 7 punti in più dei maschi (12,3 per cento);
i tassi di scolarizzazione in Italia presentano divari sfavorevoli al Meridione e sono accompagnati da un parallelo aumento del tasso di abbandono, dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare. Negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti meridionali che terminano la loro carriera accademica hanno maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si genera così un ampio fenomeno migratorio dei «cervelli» (brain drain) che lasciano le regioni del Sud, provocando un depauperamento del capitale umano disponibile;
con riferimento alle imprese del Mezzogiorno, il sistema produttivo è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una conseguente scarsa propensione a investire nell'innovazione e in ricerca e sviluppo. Tra le condizioni di contesto capaci di favorire, nel medio periodo, la crescita del sistema economico meridionale c'è senza dubbio anche la crescita degli investimenti in ricerca ed innovazione, unica risposta lungimirante rispetto alla perdita di competitività delle produzioni e dei servizi rispetto a quelle dei Paesi emergenti e a quelle dei Paesi tecnologicamente più avanzati;
occorre, pertanto, mettere a regime forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, nell'ambito di un più vasto sistema di fisco premiale per le imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
la mancata soluzione al problema della sicurezza complica ogni ipotesi di sviluppo per le regioni meridionali. Permane, infatti, una forte presenza della criminalità organizzata, che tenta di infiltrarsi nei grandi appalti per opere pubbliche e tenta di condizionare l'attività d'impresa, e della microcriminalità, che peggiora la qualità della vita nei centri urbani, aumentando il disagio sociale. Questa situazione richiede un impegno forte da parte dello Stato per assicurare condizioni di legalità e di sicurezza alle imprese ed ai cittadini;
occorre salvaguardare e rilanciare il patrimonio produttivo meridionale, scongiurando la fuga dell'industria manifatturiera e l'ampliarsi dei fenomeni di delocalizzazione e intervenendo sulla promozione d'impresa, sostenendo con servizi innovativi i settori d'eccellenza, quali il turismo sostenibile, l'agroalimentare tipico, le attività ad alto contenuto tecnologico;
la capacità di realizzare politiche di sviluppo mirate, in particolare ottimizzando l'utilizzo dei fondi europei, è divenuta il principale motore della crescita di molti Paesi europei, simili al Mezzogiorno per storia, tradizioni, condizioni economiche e collocazione geografica;
il dualismo del sistema economico italiano continua ad essere una costante, che ha, però, assunto negli ultimi anni valenze differenti, in considerazione dei vincoli e delle opportunità connessi ai processi di integrazione europea e di globalizzazione;
tutti gli indicatori economici lasciano presagire che nel prossimo biennio le regioni centro-settentrionali saranno caratterizzate da un forte impulso produttivo, che permetterà loro di raggiungere le performance europee, mentre il Mezzogiorno resterà penalizzato, dati i ritardi strutturali che da sempre ne condizionano lo sviluppo economico;
oltre alla presenza di divari «verticali» a livello nazionale, anche all'interno dello stesso Mezzogiorno vi sono differenti livelli di crescita. Alcune regioni, infatti, traggono benefici dalle risorse turistiche e da forme d'industrializzazione leggera, mentre altre permangono in situazioni di carenza infrastrutturale o di diffusa criminalità che rendono difficile un percorso univoco di sviluppo;
si rende necessario individuare formule di intervento verso il Mezzogiorno efficaci e, soprattutto, capaci di supportare la ripresa di uno sviluppo durevole e non assistenzialistico,

impegna il Governo:

a promuovere una politica di sviluppo che, sulla base della rilevata inefficacia degli interventi effettuati per il Mezzogiorno nell'ultimo decennio, tenda a privilegiare interventi infrastrutturali in una logica di concentrazione settoriale delle risorse;
a valutare l'opportunità di concentrare nello strumento del credito d'imposta gli interventi rivolti ad aiutare le imprese del Sud e a superare le strozzature alla loro crescita, e a promuovere il ricorso alla fiscalità di vantaggio;
ad attuare un piano di recupero di efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, attraverso la realizzazione ed il completamento definitivo di opere infrastrutturali di indubitabile importanza sotto il profilo della riduzione dei costi logistici totali di mobilità di merci e persone, integrate con le reti infrastrutturali di regioni e Paesi del Mediterraneo, grazie alle quali il Mezzogiorno potrebbe realmente rappresentare un'area strategica di operatività logistica a servizio non solo del sistema endogeno meridionale ed italiano, ma principalmente quale territorio di concentrazione e smistamento di traffico lungo le direttrici Asia-Europa e Asia-Medio Oriente-Nord-Africa;
ad assumere iniziative per riformare i programmi regionali del fondo per le aree sottoutilizzate, modificando, al contempo, la governance dell'utilizzo dei fondi e introducendo lo strumento del contratto istituzionale di sviluppo che definisce tempi, modalità e responsabilità per l'attivazione degli investimenti finanziati con i fondi europei e nazionali destinati alle politiche di sviluppo e coesione territoriale, così come delineato nei documenti della Commissione europea relativi all'approvanda riforma della politica regionale dell'Unione europea;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a promuovere, all'interno delle regole del patto di stabilità interno, meccanismi premiali finanziati con le risorse del fondo europeo per lo sviluppo regionale a favore delle regioni meridionali che si impegnano a ridurre la spesa corrente a favore di quella in conto capitale;
ad assumere un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
a favorire lo sviluppo nelle regioni meridionali di un sistema creditizio e finanziario che sia in grado di accompagnare e promuovere la crescita dimensionale delle imprese, l'innovazione e l'internazionalizzazione;
a qualificare e semplificare, per quanto di competenza, la pubblica amministrazione, specie nelle aree meridionali, in maniera tale che diventi fornitrice di servizi efficienti alle imprese e ai cittadini;
a valutare l'opportunità di definire progetti finalizzati al rientro nelle regioni di provenienza dei giovani ad alta ed altissima qualificazione universitaria e post-universitaria, contribuendo in tal modo ad invertire i consistenti flussi di emigrazione che coinvolgono in modo preoccupante le migliori energie intellettuali del Mezzogiorno.
(1-00934)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».

La Camera,
premesso che:
nel corso di una recente audizione del presidente della Svimez in Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, sono stati illustrati, da un lato, lo scenario che si sta delineando a partire dalla crisi del 2008 fino al 2011 e, dall'altro, la proiezione per i prossimi anni, alla luce delle manovre di finanza pubblica del 2011, in termini di sviluppo dell'economia e, quindi, di crescita del Nord e del Sud del Paese;
per il 2011 le previsioni a livello nazionale, a consuntivo, sono dello 0,5-0,6 per cento, il che conferma un ritardo di crescita rispetto a Paesi come la Germania, la Francia e la Spagna: si conferma ancora una differenza tra il Mezzogiorno - che rimane allo 0,1 per cento di crescita del prodotto interno lordo - e il Nord che, rispetto all'1,7 per cento del 2010, rallenta allo 0,8 per cento nel 2011;
per il 2012 le previsioni sono di una flessione generalizzata del prodotto interno lordo dell'1,5 per cento, che si aggiunge al 6 per cento circa dei due anni di crisi più intensa, e con un Centro-Nord anch'esso in flessione dell'1,3 per cento. I divari si accentuano, dunque, sia in crescita sia in riduzione;
se il Mezzogiorno continuasse, all'interno del sistema, a registrare variazioni negative di questo genere, potrebbe tornare a raggiungere i livelli del 2007 tra trenta o quarant'anni. Il sistema italiano, invece, li raggiungerebbe in sette o otto anni;
il quadro che emerge è, dunque, quello di una forte debolezza del sistema italiano - al Nord come al Sud - che si sta aggravando nel senso di un deterioramento delle parti più deboli del sistema, ma che lo coinvolge nel suo insieme. L'idea, che tuttora circola, che il Nord sia relativamente forte e viva una crisi per così dire «congiunturale», mentre il Sud sia debole e abbia problemi strutturali è un'idea estremamente pericolosa;
il presidente della Svimez ha ribadito che l'approccio al «problema Mezzogiorno» deve essere un approccio radicalmente diverso da quello degli ultimi anni. Bisogna considerare, cioè, quali siano gli elementi che possono rendere il Mezzogiorno - che, a parole, è riconosciuto come il comparto dell'economia che ha più potenzialità di crescita - un attore della ripresa e della crescita a livello nazionale;
questo non avverrà spontaneamente. Ad avviso della Svimez, tutte le misure che passano sotto l'etichetta di «liberalizzazioni» sono genericamente coerenti con una razionalizzazione del contesto e quindi, indirettamente, sono elementi promotori di una potenziale accelerazione della crescita, ma, certamente, non inducono la stessa e, soprattutto, non rimuovono quei fattori strutturali che bloccano il sistema almeno da quindici anni. Non è facendo una bella cornice che il quadro cambia: occorre cambiare il quadro;
è necessaria, dunque, una sollecitazione a identificare forti elementi di potenzialità di crescita sui quali puntare, per passare, poi, alla seconda fase di cui si parla: il rilancio della crescita del sistema Italia. Peraltro, il pareggio di bilancio sarà veramente complicato da raggiungere se la crescita non riprende;
per quando riguarda la produttività del lavoro in Italia, la sua dinamica molto lenta e tutto ciò che è ad essa correlato, secondo la Svimez, molto dipende da un aspetto strutturale, cioè la specializzazione italiana e meridionale, che è particolarmente sfavorevole alla dinamica della produttività nel Mezzogiorno. Dunque, occorre puntare su settori nuovi, maggiormente capaci di produrre una dinamica di competitività nel complesso favorevole;
contemporaneamente, bisogna tener conto del fatto che oggi si ha un mercato del lavoro anche eccessivamente flessibile, prodotto da leggi che a partire dal 1998 e passando per la «legge Biagi», sono state fatte per garantire una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Tuttavia, la scelta di rincorrere il recupero di produttività con quei metodi non ha dato risultati, se non quello di far emergere una componente dell'economia sommersa, che necessariamente porta a contenere la dinamica della produttività;
occorre, dunque, avere alcune idee strategiche sulle quali puntare. Il Mezzogiorno è in prima fila per essere protagonista di questa svolta strategica, sia direttamente - con gli operatori locali - sia, soprattutto, come responsabilità di un Esecutivo che dovrebbe dare queste indicazioni;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il Mezzogiorno è stato, nella sostanza, dimenticato dall'azione del Governo precedente. Sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa, serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo, agisca sul contesto. Lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
la previsione del 2012, per quello che riguarda il prodotto interno lordo, è di una diminuzione del 2 per cento nel Mezzogiorno, dell'1,3 per cento al Centro-Nord e dell'1,5 per cento per l'intera Italia. Le unità di lavoro evidenziano un'ulteriore caduta, con una flessione pari all'1,6 per cento al Sud, allo 0,7 per cento al Centro-Nord, quindi di nuovo una caduta quasi doppia del Sud, e allo 0,5 per cento nell'intero Paese. Gli investimenti segnalano una previsione di caduta dell'8 per cento al Sud e del 6 per cento in media in Italia. Tenendo conto che si tratta di investimenti fissi lordi, se ne evince che il sistema sta «decumulando» capitale ben al di là dell'8 per cento, perché gli investimenti netti, cioè l'incremento di capitale, sarebbero negativi di ben più dell'8 per cento o del 6 per cento citati;
è un sistema bloccato in cui, su circa 600 mila posti di lavoro persi tra il 2008 e il 2010, oltre il 50 per cento sono unità di lavoro perse nel Mezzogiorno, il quale contribuisce al totale dell'occupazione nazionale con meno del 30 per cento. Si sta intaccando, quindi, la parte più debole del Paese, con conseguenze facilmente comprensibili, anche in termini di equilibri sociali che si stanno deteriorando;
facendo un computo della disoccupazione esplicita, ossia di quella rilevata formalmente dall'Istat, dei disoccupati impliciti, cioè quelli che non si presentano per l'effetto scoraggiamento, e di quelli in cassa integrazione guadagni, nel Mezzogiorno si raggiungono tassi di disoccupazione del 25-26 per cento, mentre il medesimo tasso nel Centro-Nord è del 10 per cento circa. A livello femminile, giovanile e così via, questi tassi sono molto diversificati tra Nord e Sud, con cifre negative estremamente più rilevanti nel Mezzogiorno;
rispetto al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia, il Meridione rappresenta l'area in cui il potenziale di crescita sarebbe maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio nei settori innovativi, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
si deve considerare la necessità di soluzioni innovative, di nuove aziende, di nuovi prodotti, di un nuovo stimolo, di una «frustata» all'economia che non sia - non può esserlo, date le condizioni della finanza pubblica - un'iniezione di pura spesa pubblica, ma la visione di una strategia che nel medio periodo riporti il sistema alla crescita;
sarebbero necessari interventi che aprano a una strategia mirante ad alcuni grandi obiettivi che non possono essere conseguiti nell'immediato, ma che darebbero una prospettiva di modifica della debolezza italiana da un punto di vista strutturale:
a) vi sarebbe un'urgenza e un'ampia possibilità di avere risposte positive dal sistema sul terreno del contenimento dei costi dell'energia e, quindi, dell'avvio di un comparto produttivo nuovo e rilevante, che, curiosamente, è più presente al Sud che al Centro-Nord;
b) occorrerebbe intervenire sul tema della gestione delle risorse naturali, a partire dall'acqua, che è una risorsa da valorizzare, che comporta investimenti, razionalizzazioni ed effetti sulla produttività, sul reddito a livello locale e così via;
c) infine, è necessaria una razionale politica logistica del sistema, partendo dalla premessa che l'Italia dovrebbe essere il nucleo più rilevante, all'interno dell'Unione europea, di una politica rivolta al Mediterraneo, nel senso ampio, dalla Turchia al Nord Africa. Il Mezzogiorno può, invece, rappresentare la grande opportunità italiana, anche per la sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
anche gli interventi sul settore culturale, intesi come valorizzazione dei molteplici beni culturali e come sostegno ed qualificazione delle università e degli istituti di ricerca presenti nel Mezzogiorno, possono costituire stimolo al decollo di imprese innovative e rilanciare il turismo. Si tratta di dotare il Mezzogiorno delle infrastrutture culturali che oggi mancano, determinando arretratezza e impoverimento;
con riferimento alle energie rinnovabili - soprattutto dopo l'esito del recente referendum sul nucleare, che ha cancellato il precedente obiettivo del 25 per cento di energia prodotta da fonte nucleare - c'è un vuoto che non è stato ancora colmato da un'ipotesi di una qualche strategia. Guardando anche a competitori come la Germania, che già producono il 40 per cento della loro energia attraverso fonti rinnovabili e che stanno abbandonando anche loro il settore energetico nucleare, l'Italia ha un ampio spazio di intervento in questo campo e questo ampio spazio fisicamente si colloca in tutto il Mezzogiorno continentale, soprattutto nella parte tirrenica, che implica interventi in tecnologia, investimenti, ricerca di attrazione di capitali, tutte cose che possono essere messe in atto abbastanza rapidamente;
occorrono, però, politiche attive: le energie rinnovabili non partono da sole o hanno grosse difficoltà a partire da sole, sebbene già ora il Sud sia il produttore più rilevante di energie rinnovabili. Si pensi, in particolare, alla valorizzazione della fonte geotermica, sfruttata in America latina e negli Stati Uniti, di cui l'Italia in Europa e, probabilmente, nel mondo è il più grande réservoir non sfruttato, tenendo conto che al Nord e al Sud il costo dell'energia per le imprese è di oltre il 30 per cento superiore ai competitori stranieri. La Sardegna vede una deindustrializzazione nel settore dell'alluminio, proprio perché tali industrie sono ad alta intensità energetica;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso, infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
la logistica comporta un ragionamento su aspetti esistenti da razionalizzare, che facciano sistema, e, chiaramente, occorre avere delle priorità. Se la priorità è la proiezione in modo nuovo sul Mediterraneo e non solo verso l'Est Europa o verso l'Est, il Mezzogiorno diventa centrale. La Svimez ha individuato sette filiere territoriali logistiche per il Sud, sette aree che mostrano potenzialità di sviluppo come filiere territoriali logistiche rivolte all'internazionalizzazione delle produzioni e alla maggiore apertura ai mercati esteri: area vasta dell'Abruzzo meridionale; area vasta del basso Lazio e dell'alto casertano; area vasta torrese-stabiese; area vasta pugliese Bari-Taranto-Brindisi; area vasta della piana di Sibari; area vasta catanese (Sicilia orientale); area vasta della Sardegna settentrionale;
con un compiuto sistema dei trasporti nel Mezzogiorno e una strategia di sviluppo basata su piattaforme logistiche «di filiera» a larga scala, nelle quali offrire servizi completi di cui necessitano le attività produttive e distributive per affrontare il mercato globale, sarà possibile innescare la ripresa, a partire proprio dal Sud;
la miopia culturale ed economica di una politica di tagli nei settori della formazione e della ricerca è stata denunciata già nel «Manifesto per la ricerca in Europa», promosso nel 1996 dall'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli;
l'Italia possiede il più importante patrimonio culturale al mondo, ma la cultura nel nostro Paese contribuisce per poco più del 2 per cento al prodotto interno lordo, meno della metà di Francia e Germania. Il potenziale di crescita è enorme, ma mancano progetti, capacità e fondi;
per «cultura» si deve intendere una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza; in questo senso il rapporto dialettico tra sviluppo economico e culturale rappresenta un volano per la crescita produttiva e sociale;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione scolastica. Si deve, dunque, promuovere la qualità delle risorse umane attraverso un'offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali;
la strategia di crescita deve essere attivata con urgenza, anche con politiche pubbliche capaci di rimettere in moto questo protagonismo;
ad esempio, la Svimez ha prospettato un'analisi sulla gestione delle acque. Su indicazione dell'Unione europea, l'Italia ha organizzato una rivisitazione della gestione delle acque in due grandi comprensori, Nord e Mezzogiorno continentale. Anche in virtù del passato ruolo che la Cassa del Mezzogiorno ha avuto proprio in questo settore, il Mezzogiorno ha pronti progetti estremamente articolati, con costi ben definiti, immediatamente attivabili, a condizione che le regioni del Sud con le risorse dei fondi strutturali si diano da fare in questa direzione;
anche per la geotermia vale la stessa considerazione: le risorse ci sono, manca uno schema di programmazione, non indicativa in questo caso, in quanto si tratta di risorse pubbliche, su cui occorre riparametrare le priorità e le esigenze e calibrare l'intensità di questi interventi;
per quanto riguarda acque ed energia, pur non essendo risolutiva, se si mette in moto la valorizzazione del geotermico, non ci sarà necessità di finanziamenti statali dopo aver concesso le autorizzazioni e fissato i regolamenti, condizioni assolutamente assenti in questo momento. La regione Campania potrebbe essere paragonata ad un hub di questa questione, ma non c'è un regolamento, ci sono richieste di autorizzazione mai evase da anni e il capitale finanziario di tutto il mondo è perfettamente disponibile a entrare in un business di quel genere a certe condizioni, con certi regolamenti, per dare una risposta. Le risorse, infatti, si possono attrarre, oltre a quelle che si mettono a disposizione come risorse pubbliche;
la fiscalità di sviluppo è il complemento di queste cose, anche se il Governo - come ha rilevato il presidente della Svimez - è guidato da un tecnico che ha sempre duramente negato ogni forma di fiscalità differenziata a favore del Mezzogiorno quando era alla Commissione europea, ma che una volta al Governo ha cominciato con la differenziazione dell'applicazione dell'imposta irap e, quindi, ha abbandonato una posizione che è stato il credo e che per anni ha penalizzato il Sud, con l'inconsistente argomento che vi fosse una violazione dalla concorrenza, quando invece l'Italia è in un'unione monetaria dove esistono politiche fiscali diverse, con buona pace della concorrenza;
la collocazione derivante dall'insularità, che coinvolge un'ampia porzione del territorio meridionale, incide profondamente su tutti gli aspetti - siano essi economici o sociali - e ne rende «diversi» le comunità ed i territori, diversità che ha avuto un riconoscimento giuridico particolare;
in ambito europeo, anche se non c'è ancora stato un provvedimento comune, alcune realtà sono riuscite a ottenere benefici, come la Corsica e le isole britanniche. La questione dell'insularità è stata affrontata più volte nel Parlamento europeo, che, infatti, nel 1997 adottò una risoluzione per avviare «una politica integrata adeguata alla specificità delle regioni insulari dell'Ue» e poi, nel 1998, con il trattato di Amsterdam, con il quale l'Europa riconobbe il principio «che è necessario ridurre il divario esistente tra i livelli di sviluppo dei vari territori e colmare il ritardo delle regioni meno favorite, come le isole». Oltre non si è andati, nell'arco di oltre dieci anni;
l'Europa tiene conto delle variabili nel concedere politiche destinate ad aiutare le isole, proprio seguendo il principio del trattato di Amsterdam, ma ciò non basta, non è bastato agli Stati membri, quando gli stessi hanno deciso di soccorrere, con aiuti e provvedimenti specifici, i territori isolani svantaggiati, a non incappare nelle maglie dei veti in materia di aiuti di Stato;
gli svantaggi strutturali di tali territori sono evidenti - la dipendenza dai trasporti marittimi e aerei con i sovraccosti del tempo perso anche durante i processi produttivi - e l'economia insulare risente sempre della ristrettezza del mercato locale e di una scarsa diversificazione economica, che la rende vulnerabile alle fluttuazioni dei mercati;
occorre, dunque, trovare una soluzione in grado di superare tutti gli ostacoli di natura giuridico-legislativa, in particolare con riguardo ai principi del diritto comunitario;
non si tratterebbe, peraltro, di fiscalità differenziata. Oggi, data la condizione delle finanze pubbliche, si deve fare una fiscalità di attrazione, del tipo irlandese degli anni '90, cioè il greenfield, nuovi investimenti, zero tasse, in cui non si perde nulla, ma si guadagna in prospettiva; quindi, quel tipo di vantaggio fiscale non è un costo per le finanze pubbliche;
il presidente della Svimez, a questo proposito, ha ricordato che nella legge finanziaria per il 2010 ci sono due disposizioni che prevedono che chi fa investimenti, curiosamente aziende che vengono dall'estero, possa scegliere il regime fiscale che considera più appropriato nell'ambito dell'intera Unione europea. Opportunamente, è stato detto che occorre un regolamento, perché ciò sarebbe micidiale. Questo evidenzia come oggi il principio della fiscalità di vantaggio si possa declinare in molti modi;
infine, l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 è un obiettivo molto ambizioso e potrebbe essere difficile da conseguire, se il sistema non manifesta una reattività adeguata in termini di crescita. I dati forniti dalla Svimez dimostrano che le scelte fatte per conseguire il pareggio non devono infierire sull'economia, come invece è stato fatto per mezzo delle ultime cinque manovre, in quanto determinano - guardando alle dinamiche del prodotto interno lordo e dell'occupazione per il 2011 e per il 2012, per il quale si hanno già delle stime abbastanza consolidate - una divergenza tra le aree del Paese;
il conseguimento del pareggio di bilancio e gli avanzi primari necessari per il pareggio del bilancio hanno, dal punto di vista italiano, in un sistema dualistico, una forte conseguenza redistributiva, che penalizza proprio le aree più deboli. Ciò richiede politiche di compensazione. A prescindere da tutto, la situazione di una previsione di lungo periodo di forti avanzi primari equivale a dire che ci sarà una redistribuzione finanziaria dal Sud verso il Nord molto rilevante, tanto più rilevante quanto più il debito italiano sarà in mano ai residenti,

impegna il Governo:

a porre in essere iniziative che favoriscano e incentivino il consolidamento di un tessuto imprenditoriale meridionale, creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, rifinanziando in maniera adeguata il credito d'imposta, in particolare nelle regioni meridionali, a favore dei datori di lavoro che trasformano in contratti a tempo indeterminato quelli che non lo sono ed a sostegno degli investimenti nelle medesime regioni, utilizzando a tale fine anche le somme derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento nazionale per l'utilizzo dei fondi strutturali da parte dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per il reintegro delle somme sottratte al fondo per le aree sottoutilizzate dai provvedimenti promossi dal precedente Governo;
ad attuare pienamente le norme relative all'istituzione delle zone franche urbane;
a predisporre, per quanto di competenza, iniziative per aumentare l'efficienza dei servizi pubblici nel Mezzogiorno, con specifico riferimento all'Inps, ai centri per l'impiego ed agli organi ispettivi per il contrasto del lavoro sommerso e per il controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro;
ad assumere, nel rispetto delle prerogative delle regioni, iniziative volte alla razionalizzazione e all'orientamento della spesa per la formazione professionale, troppo spesso fonte di sprechi e clientelismo e non sempre finalizzata all'effettiva qualificazione per l'inserimento nel mondo del lavoro;
ad assumere una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio meridionale;
ad assumere concrete e rapide iniziative normative volte a vincolare i finanziamenti pubblici stanziati in favore delle imprese alla presentazione e realizzazione di piani per lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei siti produttivi e dei livelli di occupazione, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno;
a promuovere, attraverso un confronto nelle sedi dell'Unione europea, una revisione della normativa comunitaria in merito agli aiuti di Stato, al fine di ottenere la possibilità di applicare nelle regioni meridionali una fiscalità di vantaggio;
a elaborare, finanziare e realizzare progetti di rilancio dei poli museali nel Sud, intesi come azione di valorizzazione dei territori e come fattori di attrazione di investimenti, nonché un piano pluriennale di restauro e recupero dei beni culturali presenti nel Mezzogiorno, intesi come «attrattori culturali», fissando le dovute priorità, ad iniziare dal sito archeologico di Pompei, programmazione alla quale associare finanziamenti congrui e certi, nonché un piano straordinario di manutenzione ordinaria;
a programmare la costruzione - con particolare riguardo al Sud del nostro Paese - di un sistema integrato e trasversale, che coinvolga formazione, università, nuove tecnologie e linguaggi plurimediali, biblioteche, editoria, eventi, musei, valorizzazione del patrimonio artistico, start-up, turismo, infrastrutture, trasporti e comunicazione;
a coordinare e selezionare con le università, i centri di ricerca, le imprese del Mezzogiorno, i progetti di ricerca prioritari nei settori nei quali l'Italia può diventare leader e sui quali concentrare le risorse finanziarie ed umane, ed a favorire l'insediamento nei territori, anche sulla base dei risultati conseguiti da tali ricerche, di imprese innovative, con capitali reperiti sul mercato;
ad operare, partendo dall'esigenza di tutelare e valorizzare le produzioni tipiche del Mezzogiorno, per l'affermazione di una filiera agricola tutta italiana, che parta proprio dalla specifica vocazione del territorio e che voglia investire sulle positività, per garantire i livelli occupazionali e dare ai produttori la giusta remunerazione;
a sostenere le innovazioni in agricoltura e le produzioni tipiche, con particolare attenzione all'economia del Mezzogiorno, mettendo in evidenza i riferimenti culturali dei territori, per portare valore aggiunto alle stesse produzioni, aiutando la commercializzazione internazionale dei prodotti italiani di qualità.
(1-00935)
«Aniello Formisano, Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini, Palagiano, Palomba, Messina, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».

La Camera,
premesso che:
nel corso di una recente audizione del presidente della Svimez in Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, sono stati illustrati, da un lato, lo scenario che si sta delineando a partire dalla crisi del 2008 fino al 2011 e, dall'altro, la proiezione per i prossimi anni, alla luce delle manovre di finanza pubblica del 2011, in termini di sviluppo dell'economia e, quindi, di crescita del Nord e del Sud del Paese;
per il 2011 le previsioni a livello nazionale, a consuntivo, sono dello 0,5-0,6 per cento, il che conferma un ritardo di crescita rispetto a Paesi come la Germania, la Francia e la Spagna: si conferma ancora una differenza tra il Mezzogiorno - che rimane allo 0,1 per cento di crescita del prodotto interno lordo - e il Nord che, rispetto all'1,7 per cento del 2010, rallenta allo 0,8 per cento nel 2011;
per il 2012 le previsioni sono di una flessione generalizzata del prodotto interno lordo dell'1,5 per cento, che si aggiunge al 6 per cento circa dei due anni di crisi più intensa, e con un Centro-Nord anch'esso in flessione dell'1,3 per cento. I divari si accentuano, dunque, sia in crescita sia in riduzione;
se il Mezzogiorno continuasse, all'interno del sistema, a registrare variazioni negative di questo genere, potrebbe tornare a raggiungere i livelli del 2007 tra trenta o quarant'anni. Il sistema italiano, invece, li raggiungerebbe in sette o otto anni;
il quadro che emerge è, dunque, quello di una forte debolezza del sistema italiano - al Nord come al Sud - che si sta aggravando nel senso di un deterioramento delle parti più deboli del sistema, ma che lo coinvolge nel suo insieme. L'idea, che tuttora circola, che il Nord sia relativamente forte e viva una crisi per così dire «congiunturale», mentre il Sud sia debole e abbia problemi strutturali è un'idea estremamente pericolosa;
il presidente della Svimez ha ribadito che l'approccio al «problema Mezzogiorno» deve essere un approccio radicalmente diverso da quello degli ultimi anni. Bisogna considerare, cioè, quali siano gli elementi che possono rendere il Mezzogiorno - che, a parole, è riconosciuto come il comparto dell'economia che ha più potenzialità di crescita - un attore della ripresa e della crescita a livello nazionale;
questo non avverrà spontaneamente. Ad avviso della Svimez, tutte le misure che passano sotto l'etichetta di «liberalizzazioni» sono genericamente coerenti con una razionalizzazione del contesto e quindi, indirettamente, sono elementi promotori di una potenziale accelerazione della crescita, ma, certamente, non inducono la stessa e, soprattutto, non rimuovono quei fattori strutturali che bloccano il sistema almeno da quindici anni. Non è facendo una bella cornice che il quadro cambia: occorre cambiare il quadro;
è necessaria, dunque, una sollecitazione a identificare forti elementi di potenzialità di crescita sui quali puntare, per passare, poi, alla seconda fase di cui si parla: il rilancio della crescita del sistema Italia. Peraltro, il pareggio di bilancio sarà veramente complicato da raggiungere se la crescita non riprende;
per quando riguarda la produttività del lavoro in Italia, la sua dinamica molto lenta e tutto ciò che è ad essa correlato, secondo la Svimez, molto dipende da un aspetto strutturale, cioè la specializzazione italiana e meridionale, che è particolarmente sfavorevole alla dinamica della produttività nel Mezzogiorno. Dunque, occorre puntare su settori nuovi, maggiormente capaci di produrre una dinamica di competitività nel complesso favorevole;
contemporaneamente, bisogna tener conto del fatto che oggi si ha un mercato del lavoro anche eccessivamente flessibile, prodotto da leggi che a partire dal 1998 e passando per la «legge Biagi», sono state fatte per garantire una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Tuttavia, la scelta di rincorrere il recupero di produttività con quei metodi non ha dato risultati, se non quello di far emergere una componente dell'economia sommersa, che necessariamente porta a contenere la dinamica della produttività;
occorre, dunque, avere alcune idee strategiche sulle quali puntare. Il Mezzogiorno è in prima fila per essere protagonista di questa svolta strategica, sia direttamente - con gli operatori locali - sia, soprattutto, come responsabilità di un Esecutivo che dovrebbe dare queste indicazioni;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il Mezzogiorno è stato, nella sostanza, dimenticato dall'azione del Governo precedente. Sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa, serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo, agisca sul contesto. Lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
la previsione del 2012, per quello che riguarda il prodotto interno lordo, è di una diminuzione del 2 per cento nel Mezzogiorno, dell'1,3 per cento al Centro-Nord e dell'1,5 per cento per l'intera Italia. Le unità di lavoro evidenziano un'ulteriore caduta, con una flessione pari all'1,6 per cento al Sud, allo 0,7 per cento al Centro-Nord, quindi di nuovo una caduta quasi doppia del Sud, e allo 0,5 per cento nell'intero Paese. Gli investimenti segnalano una previsione di caduta dell'8 per cento al Sud e del 6 per cento in media in Italia. Tenendo conto che si tratta di investimenti fissi lordi, se ne evince che il sistema sta «decumulando» capitale ben al di là dell'8 per cento, perché gli investimenti netti, cioè l'incremento di capitale, sarebbero negativi di ben più dell'8 per cento o del 6 per cento citati;
è un sistema bloccato in cui, su circa 600 mila posti di lavoro persi tra il 2008 e il 2010, oltre il 50 per cento sono unità di lavoro perse nel Mezzogiorno, il quale contribuisce al totale dell'occupazione nazionale con meno del 30 per cento. Si sta intaccando, quindi, la parte più debole del Paese, con conseguenze facilmente comprensibili, anche in termini di equilibri sociali che si stanno deteriorando;
facendo un computo della disoccupazione esplicita, ossia di quella rilevata formalmente dall'Istat, dei disoccupati impliciti, cioè quelli che non si presentano per l'effetto scoraggiamento, e di quelli in cassa integrazione guadagni, nel Mezzogiorno si raggiungono tassi di disoccupazione del 25-26 per cento, mentre il medesimo tasso nel Centro-Nord è del 10 per cento circa. A livello femminile, giovanile e così via, questi tassi sono molto diversificati tra Nord e Sud, con cifre negative estremamente più rilevanti nel Mezzogiorno;
rispetto al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia, il Meridione rappresenta l'area in cui il potenziale di crescita sarebbe maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio nei settori innovativi, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
si deve considerare la necessità di soluzioni innovative, di nuove aziende, di nuovi prodotti, di un nuovo stimolo, di una «frustata» all'economia che non sia - non può esserlo, date le condizioni della finanza pubblica - un'iniezione di pura spesa pubblica, ma la visione di una strategia che nel medio periodo riporti il sistema alla crescita;
sarebbero necessari interventi che aprano a una strategia mirante ad alcuni grandi obiettivi che non possono essere conseguiti nell'immediato, ma che darebbero una prospettiva di modifica della debolezza italiana da un punto di vista strutturale:
a) vi sarebbe un'urgenza e un'ampia possibilità di avere risposte positive dal sistema sul terreno del contenimento dei costi dell'energia e, quindi, dell'avvio di un comparto produttivo nuovo e rilevante, che, curiosamente, è più presente al Sud che al Centro-Nord;
b) occorrerebbe intervenire sul tema della gestione delle risorse naturali, a partire dall'acqua, che è una risorsa da valorizzare, che comporta investimenti, razionalizzazioni ed effetti sulla produttività, sul reddito a livello locale e così via;
c) infine, è necessaria una razionale politica logistica del sistema, partendo dalla premessa che l'Italia dovrebbe essere il nucleo più rilevante, all'interno dell'Unione europea, di una politica rivolta al Mediterraneo, nel senso ampio, dalla Turchia al Nord Africa. Il Mezzogiorno può, invece, rappresentare la grande opportunità italiana, anche per la sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
anche gli interventi sul settore culturale, intesi come valorizzazione dei molteplici beni culturali e come sostegno ed qualificazione delle università e degli istituti di ricerca presenti nel Mezzogiorno, possono costituire stimolo al decollo di imprese innovative e rilanciare il turismo. Si tratta di dotare il Mezzogiorno delle infrastrutture culturali che oggi mancano, determinando arretratezza e impoverimento;
con riferimento alle energie rinnovabili - soprattutto dopo l'esito del recente referendum sul nucleare, che ha cancellato il precedente obiettivo del 25 per cento di energia prodotta da fonte nucleare - c'è un vuoto che non è stato ancora colmato da un'ipotesi di una qualche strategia. Guardando anche a competitori come la Germania, che già producono il 40 per cento della loro energia attraverso fonti rinnovabili e che stanno abbandonando anche loro il settore energetico nucleare, l'Italia ha un ampio spazio di intervento in questo campo e questo ampio spazio fisicamente si colloca in tutto il Mezzogiorno continentale, soprattutto nella parte tirrenica, che implica interventi in tecnologia, investimenti, ricerca di attrazione di capitali, tutte cose che possono essere messe in atto abbastanza rapidamente;
occorrono, però, politiche attive: le energie rinnovabili non partono da sole o hanno grosse difficoltà a partire da sole, sebbene già ora il Sud sia il produttore più rilevante di energie rinnovabili. Si pensi, in particolare, alla valorizzazione della fonte geotermica, sfruttata in America latina e negli Stati Uniti, di cui l'Italia in Europa e, probabilmente, nel mondo è il più grande réservoir non sfruttato, tenendo conto che al Nord e al Sud il costo dell'energia per le imprese è di oltre il 30 per cento superiore ai competitori stranieri. La Sardegna vede una deindustrializzazione nel settore dell'alluminio, proprio perché tali industrie sono ad alta intensità energetica;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso, infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
la logistica comporta un ragionamento su aspetti esistenti da razionalizzare, che facciano sistema, e, chiaramente, occorre avere delle priorità. Se la priorità è la proiezione in modo nuovo sul Mediterraneo e non solo verso l'Est Europa o verso l'Est, il Mezzogiorno diventa centrale. La Svimez ha individuato sette filiere territoriali logistiche per il Sud, sette aree che mostrano potenzialità di sviluppo come filiere territoriali logistiche rivolte all'internazionalizzazione delle produzioni e alla maggiore apertura ai mercati esteri: area vasta dell'Abruzzo meridionale; area vasta del basso Lazio e dell'alto casertano; area vasta torrese-stabiese; area vasta pugliese Bari-Taranto-Brindisi; area vasta della piana di Sibari; area vasta catanese (Sicilia orientale); area vasta della Sardegna settentrionale;
con un compiuto sistema dei trasporti nel Mezzogiorno e una strategia di sviluppo basata su piattaforme logistiche «di filiera» a larga scala, nelle quali offrire servizi completi di cui necessitano le attività produttive e distributive per affrontare il mercato globale, sarà possibile innescare la ripresa, a partire proprio dal Sud;
la miopia culturale ed economica di una politica di tagli nei settori della formazione e della ricerca è stata denunciata già nel «Manifesto per la ricerca in Europa», promosso nel 1996 dall'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli;
l'Italia possiede il più importante patrimonio culturale al mondo, ma la cultura nel nostro Paese contribuisce per poco più del 2 per cento al prodotto interno lordo, meno della metà di Francia e Germania. Il potenziale di crescita è enorme, ma mancano progetti, capacità e fondi;
per «cultura» si deve intendere una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza; in questo senso il rapporto dialettico tra sviluppo economico e culturale rappresenta un volano per la crescita produttiva e sociale;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione scolastica. Si deve, dunque, promuovere la qualità delle risorse umane attraverso un'offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali;
la strategia di crescita deve essere attivata con urgenza, anche con politiche pubbliche capaci di rimettere in moto questo protagonismo;
ad esempio, la Svimez ha prospettato un'analisi sulla gestione delle acque. Su indicazione dell'Unione europea, l'Italia ha organizzato una rivisitazione della gestione delle acque in due grandi comprensori, Nord e Mezzogiorno continentale. Anche in virtù del passato ruolo che la Cassa del Mezzogiorno ha avuto proprio in questo settore, il Mezzogiorno ha pronti progetti estremamente articolati, con costi ben definiti, immediatamente attivabili, a condizione che le regioni del Sud con le risorse dei fondi strutturali si diano da fare in questa direzione;
anche per la geotermia vale la stessa considerazione: le risorse ci sono, manca uno schema di programmazione, non indicativa in questo caso, in quanto si tratta di risorse pubbliche, su cui occorre riparametrare le priorità e le esigenze e calibrare l'intensità di questi interventi;
per quanto riguarda acque ed energia, pur non essendo risolutiva, se si mette in moto la valorizzazione del geotermico, non ci sarà necessità di finanziamenti statali dopo aver concesso le autorizzazioni e fissato i regolamenti, condizioni assolutamente assenti in questo momento. La regione Campania potrebbe essere paragonata ad un hub di questa questione, ma non c'è un regolamento, ci sono richieste di autorizzazione mai evase da anni e il capitale finanziario di tutto il mondo è perfettamente disponibile a entrare in un business di quel genere a certe condizioni, con certi regolamenti, per dare una risposta. Le risorse, infatti, si possono attrarre, oltre a quelle che si mettono a disposizione come risorse pubbliche;
la fiscalità di sviluppo è il complemento di queste cose, anche se il Governo - come ha rilevato il presidente della Svimez - è guidato da un tecnico che ha sempre duramente negato ogni forma di fiscalità differenziata a favore del Mezzogiorno quando era alla Commissione europea, ma che una volta al Governo ha cominciato con la differenziazione dell'applicazione dell'imposta irap e, quindi, ha abbandonato una posizione che è stato il credo e che per anni ha penalizzato il Sud, con l'inconsistente argomento che vi fosse una violazione dalla concorrenza, quando invece l'Italia è in un'unione monetaria dove esistono politiche fiscali diverse, con buona pace della concorrenza;
la collocazione derivante dall'insularità, che coinvolge un'ampia porzione del territorio meridionale, incide profondamente su tutti gli aspetti - siano essi economici o sociali - e ne rende «diversi» le comunità ed i territori, diversità che ha avuto un riconoscimento giuridico particolare;
in ambito europeo, anche se non c'è ancora stato un provvedimento comune, alcune realtà sono riuscite a ottenere benefici, come la Corsica e le isole britanniche. La questione dell'insularità è stata affrontata più volte nel Parlamento europeo, che, infatti, nel 1997 adottò una risoluzione per avviare «una politica integrata adeguata alla specificità delle regioni insulari dell'Ue» e poi, nel 1998, con il trattato di Amsterdam, con il quale l'Europa riconobbe il principio «che è necessario ridurre il divario esistente tra i livelli di sviluppo dei vari territori e colmare il ritardo delle regioni meno favorite, come le isole». Oltre non si è andati, nell'arco di oltre dieci anni;
l'Europa tiene conto delle variabili nel concedere politiche destinate ad aiutare le isole, proprio seguendo il principio del trattato di Amsterdam, ma ciò non basta, non è bastato agli Stati membri, quando gli stessi hanno deciso di soccorrere, con aiuti e provvedimenti specifici, i territori isolani svantaggiati, a non incappare nelle maglie dei veti in materia di aiuti di Stato;
gli svantaggi strutturali di tali territori sono evidenti - la dipendenza dai trasporti marittimi e aerei con i sovraccosti del tempo perso anche durante i processi produttivi - e l'economia insulare risente sempre della ristrettezza del mercato locale e di una scarsa diversificazione economica, che la rende vulnerabile alle fluttuazioni dei mercati;
occorre, dunque, trovare una soluzione in grado di superare tutti gli ostacoli di natura giuridico-legislativa, in particolare con riguardo ai principi del diritto comunitario;
non si tratterebbe, peraltro, di fiscalità differenziata. Oggi, data la condizione delle finanze pubbliche, si deve fare una fiscalità di attrazione, del tipo irlandese degli anni '90, cioè il greenfield, nuovi investimenti, zero tasse, in cui non si perde nulla, ma si guadagna in prospettiva; quindi, quel tipo di vantaggio fiscale non è un costo per le finanze pubbliche;
il presidente della Svimez, a questo proposito, ha ricordato che nella legge finanziaria per il 2010 ci sono due disposizioni che prevedono che chi fa investimenti, curiosamente aziende che vengono dall'estero, possa scegliere il regime fiscale che considera più appropriato nell'ambito dell'intera Unione europea. Opportunamente, è stato detto che occorre un regolamento, perché ciò sarebbe micidiale. Questo evidenzia come oggi il principio della fiscalità di vantaggio si possa declinare in molti modi;
infine, l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 è un obiettivo molto ambizioso e potrebbe essere difficile da conseguire, se il sistema non manifesta una reattività adeguata in termini di crescita. I dati forniti dalla Svimez dimostrano che le scelte fatte per conseguire il pareggio non devono infierire sull'economia, come invece è stato fatto per mezzo delle ultime cinque manovre, in quanto determinano - guardando alle dinamiche del prodotto interno lordo e dell'occupazione per il 2011 e per il 2012, per il quale si hanno già delle stime abbastanza consolidate - una divergenza tra le aree del Paese;
il conseguimento del pareggio di bilancio e gli avanzi primari necessari per il pareggio del bilancio hanno, dal punto di vista italiano, in un sistema dualistico, una forte conseguenza redistributiva, che penalizza proprio le aree più deboli. Ciò richiede politiche di compensazione. A prescindere da tutto, la situazione di una previsione di lungo periodo di forti avanzi primari equivale a dire che ci sarà una redistribuzione finanziaria dal Sud verso il Nord molto rilevante, tanto più rilevante quanto più il debito italiano sarà in mano ai residenti,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di porre in essere iniziative che favoriscano e incentivino il consolidamento di un tessuto imprenditoriale meridionale, creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, rifinanziando in maniera adeguata il credito d'imposta, in particolare nelle regioni meridionali, a favore dei datori di lavoro che trasformano in contratti a tempo indeterminato quelli che non lo sono ed a sostegno degli investimenti nelle medesime regioni, utilizzando a tale fine anche le somme derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento nazionale per l'utilizzo dei fondi strutturali da parte dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per il reintegro delle somme sottratte al fondo per le aree sottoutilizzate dai provvedimenti promossi dal precedente Governo;
a valutare l'opportunità di attuare pienamente le norme relative all'istituzione delle zone franche urbane;
a valutare l'opportunità di predisporre, per quanto di competenza, iniziative per aumentare l'efficienza dei servizi pubblici nel Mezzogiorno, con specifico riferimento all'Inps, ai centri per l'impiego ed agli organi ispettivi per il contrasto del lavoro sommerso e per il controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro;
ad assumere, nel rispetto delle prerogative delle regioni, iniziative volte alla razionalizzazione e all'orientamento della spesa per la formazione professionale, troppo spesso fonte di sprechi e clientelismo e non sempre finalizzata all'effettiva qualificazione per l'inserimento nel mondo del lavoro;
a valutare l'opportunità di assumere una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio meridionale;
a valutare l'opportunità di assumere concrete e rapide iniziative normative volte a vincolare i finanziamenti pubblici stanziati in favore delle imprese alla presentazione e realizzazione di piani per lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei siti produttivi e dei livelli di occupazione, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno;
a promuovere, attraverso un confronto nelle sedi dell'Unione europea, una revisione della normativa comunitaria in merito agli aiuti di Stato;
a elaborare, finanziare e realizzare progetti di rilancio dei poli museali nel Sud, intesi come azione di valorizzazione dei territori e come fattori di attrazione di investimenti, nonché un piano pluriennale di restauro e recupero dei beni culturali presenti nel Mezzogiorno, intesi come «attrattori culturali», fissando le dovute priorità, ad iniziare dal sito archeologico di Pompei, programmazione alla quale associare finanziamenti congrui e certi, nonché un piano straordinario di manutenzione ordinaria;
a valutare l'opportunità di programmare la costruzione - con particolare riguardo al Sud del nostro Paese - di un sistema integrato e trasversale, che coinvolga formazione, università, nuove tecnologie e linguaggi plurimediali, biblioteche, editoria, eventi, musei, valorizzazione del patrimonio artistico, start-up, turismo, infrastrutture, trasporti e comunicazione;
a valutare l'opportunità di coordinare e selezionare con le università, i centri di ricerca, le imprese del Mezzogiorno, i progetti di ricerca prioritari nei settori nei quali l'Italia può diventare leader e sui quali concentrare le risorse finanziarie ed umane, ed a favorire l'insediamento nei territori, anche sulla base dei risultati conseguiti da tali ricerche, di imprese innovative, con capitali reperiti sul mercato;
a valutare l'opportunità di operare, partendo dall'esigenza di tutelare e valorizzare le produzioni tipiche del Mezzogiorno, per l'affermazione di una filiera agricola tutta italiana, che parta proprio dalla specifica vocazione del territorio e che voglia investire sulle positività, per garantire i livelli occupazionali e dare ai produttori la giusta remunerazione;
a sostenere le innovazioni in agricoltura e le produzioni tipiche, con particolare attenzione all'economia del Mezzogiorno, mettendo in evidenza i riferimenti culturali dei territori, per portare valore aggiunto alle stesse produzioni, aiutando la commercializzazione internazionale dei prodotti italiani di qualità.
(1-00935)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Aniello Formisano, Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini, Palagiano, Palomba, Messina, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».

La Camera,
premesso che:
nel Sud ormai sussiste un'emergenza lavoro ed in particolare per i giovani; secondo i dati raccolti nel rapporto Svimez 2011, due su tre sono senza occupazione, oltre il 30 per cento dei laureati under 34 non lavora e non studia;
nel Mezzogiorno, secondo i dati del rapporto Svimez 2011, il tasso di occupazione giovanile tra i 15 e i 34 anni, è giunto nel 2010 ad appena il 31,7 per cento, il dato medio del 2009 era del 33,3 per cento; per le donne nel 2010 non si raggiunge che il 23,3 per cento, segnando un divario di 25 punti con il nord del Paese che è al 56,5 per cento;
la questione generazionale italiana, segnala la Svimez, diventa quindi emergenza e allarme sociale nel Mezzogiorno; infatti, aumentano i giovani con alto livello di istruzione, quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30 per cento dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Sempre secondo Svimez, sono circa 167 mila i laureati meridionali fuori dal sistema formativo e dal mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e in Calabria;
in sette anni dal 2003 al 2010, al Sud, gli inattivi, quindi né occupati né disoccupati, sono aumentati di oltre 750 mila unità;
nel Mezzogiorno d'Italia una persona su quattro non lavora, nel 2010 il tasso di disoccupazione nel Sud è stato del 13,4 per cento, contro il 12 per cento del 2008, più del doppio del Centro-Nord che è stato del 6,4 per cento e che nel 2008 era il 4,5 per cento;
se si dovessero considerare tra i non occupati anche i lavoratori che usufruiscono della cassa integrazione guadagni e che cercano lavoro non attivamente, il tasso di disoccupazione corretto salirebbe al 14,8 per cento, a livello nazionale, dall'11,6 per cento del 2008, con punte del 25,3 per cento nel Mezzogiorno, quasi 12 punti in più del tasso ufficiale, e del 10,1 per cento nel Centro-Nord;
negli ultimi due anni, secondo il rapporto Svimez 2011, il tasso di occupazione è sceso al Sud dal 46 per cento del 2008 al 43,9 per cento del 2010, e al Centro-Nord dal 65,7 per cento al 64 per cento. Su 533 mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese dal 2008 al 2010, ben 281 mila si sono persi nel Mezzogiorno. Con meno del 30 per cento degli occupati italiani, al Sud si concentra dunque il 60 per cento della perdita di posti di lavoro;
il prodotto interno lordo in Italia cresce meno della media nell'Unione europea, ma nel Sud si segnala un'evidente difficoltà; in base alle valutazioni della Svimez, nel 2010 il Mezzogiorno ha segnato rispetto all'anno precedente un modesto +0,2 per cento, ben lontano dal +1,7 per cento del Centro-Nord;
per i consumi relativi alle famiglie, nel 2010 l'incremento della spesa nel Mezzogiorno è stato un terzo del Centro-Nord, ovvero +0,4 per cento contro +1,3 per cento; dal 2000 al 2010 la spesa delle famiglie al Nord è cresciuta dello 0,5 per cento, al Sud è scesa dello 0,1 per cento;
il Mezzogiorno continua a scontare, inoltre, un deficit infrastrutturale che impedisce qualsiasi programmazione e idea di sviluppo economico e gli effetti, anche in presenza di una crisi economica che causa recessione, sono devastanti;
a rendere la situazione ancora più drammatica nel Sud è lo stato di dissesto idrogeologico del territorio che, ad ogni calamità o evento, produce danni ingenti e impone l'utilizzo di risorse per affrontare le emergenze, ma che diventa una sottrazione sostanziale di fondi destinati alla programmazione di interventi strutturali;
ad incidere sulle condizioni di vita, ma anche delle relazioni commerciali e della mobilità nel Mezzogiorno è il progressivo e continuo disimpegno da parte di Ferrovie dello Stato italiane spa. Questo, aggiunto al notevole ritardo nell'avvio e completamento di grandi opere, come, ad esempio, il ponte di Messina, che sconta anche una riduzione degli stanziamenti, diventa un ostacolo insormontabile che impedisce lo sviluppo, la nascita e il rafforzamento di piccole e medie imprese, creando di fatto un corto circuito economico;
il Mezzogiorno ha subito, negli ultimi anni, lo storno di ingenti risorse derivanti dai fondi per le aree sottoutilizzate; queste risorse sottratte al Sud e utilizzate per altri scopi risulterebbero essere pari a diverse decine di miliardi euro. Ciò ha inciso profondamente nelle politiche di sviluppo e frenato l'azione delle regioni meridionali interessate. A tal fine, devono essere utilizzate le nuove regole varate dalla Commissione europea in materia di utilizzo dei fondi strutturali;
altri elementi che hanno impedito al Sud di affrontare le problematiche strutturali e quelle derivanti dalla crisi economica sono stati l'arretramento avvenuto per quanto attiene alla possibilità di utilizzare il credito di imposta, in particolare per piccole e medie aziende, nonché la stretta operata dagli istituti di credito, che hanno sottratto alle imprese la possibilità di accedere a liquidità essenziali, in particolare nell'attuale momento vissuto dal nostro Paese. Anche in questo caso, in materia di credito di imposta per le imprese del Sud, va avviato l'utilizzo di fondi strutturali, tenuto conto della decisione in merito presa dalla Commissione europea,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte ad reintegrare le risorse prelevate dal fondo per le aree sottoutilizzate ed utilizzate per altri scopi, al fine di sostenere i programmi infrastrutturali ormai improcrastinabili per il Mezzogiorno;
a prevedere l'avvio in tempi rapidi di iniziative di sostegno nel Mezzogiorno alle imprese, in particolare piccole e medie, nonché all'occupazione, attraverso il credito di imposta, utilizzando i fondi strutturali resisi disponibili alla luce delle decisioni della Commissione europea, e ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché il sistema creditizio supporti le imprese nel Mezzogiorno concedendo crediti, essenziali per la vita delle imprese stesse;
a verificare la possibilità di procedere ad un piano straordinario, dotato di un congruo finanziamento, per interventi strutturali di risanamento del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico nel Mezzogiorno, anche inteso come volano occupazionale;
ad attuare azioni efficaci nei confronti di Trenitalia affinché garantisca una maggiore e adeguata disponibilità di corse e di convogli per il trasporto di merci e persone tra il Nord e il Sud, evitando la politica di abbandono del Mezzogiorno fino ad oggi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, pervicacemente attuata, anche al fine di garantire la continuità territoriale, tenuto conto che senza un adeguato sistema di trasporto ferroviario non può esserci alcuna forma di sviluppo economico che abbia basi solide.
(1-00940)
«Ruvolo, Moffa, Milo, Taddei, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Scilipoti, Siliquini, Stasi».

La Camera,
premesso che:
nel Sud ormai sussiste un'emergenza lavoro ed in particolare per i giovani; secondo i dati raccolti nel rapporto Svimez 2011, due su tre sono senza occupazione, oltre il 30 per cento dei laureati under 34 non lavora e non studia;
nel Mezzogiorno, secondo i dati del rapporto Svimez 2011, il tasso di occupazione giovanile tra i 15 e i 34 anni, è giunto nel 2010 ad appena il 31,7 per cento, il dato medio del 2009 era del 33,3 per cento; per le donne nel 2010 non si raggiunge che il 23,3 per cento, segnando un divario di 25 punti con il nord del Paese che è al 56,5 per cento;
la questione generazionale italiana, segnala la Svimez, diventa quindi emergenza e allarme sociale nel Mezzogiorno; infatti, aumentano i giovani con alto livello di istruzione, quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30 per cento dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Sempre secondo Svimez, sono circa 167 mila i laureati meridionali fuori dal sistema formativo e dal mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e in Calabria;
in sette anni dal 2003 al 2010, al Sud, gli inattivi, quindi né occupati né disoccupati, sono aumentati di oltre 750 mila unità;
nel Mezzogiorno d'Italia una persona su quattro non lavora, nel 2010 il tasso di disoccupazione nel Sud è stato del 13,4 per cento, contro il 12 per cento del 2008, più del doppio del Centro-Nord che è stato del 6,4 per cento e che nel 2008 era il 4,5 per cento;
se si dovessero considerare tra i non occupati anche i lavoratori che usufruiscono della cassa integrazione guadagni e che cercano lavoro non attivamente, il tasso di disoccupazione corretto salirebbe al 14,8 per cento, a livello nazionale, dall'11,6 per cento del 2008, con punte del 25,3 per cento nel Mezzogiorno, quasi 12 punti in più del tasso ufficiale, e del 10,1 per cento nel Centro-Nord;
negli ultimi due anni, secondo il rapporto Svimez 2011, il tasso di occupazione è sceso al Sud dal 46 per cento del 2008 al 43,9 per cento del 2010, e al Centro-Nord dal 65,7 per cento al 64 per cento. Su 533 mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese dal 2008 al 2010, ben 281 mila si sono persi nel Mezzogiorno. Con meno del 30 per cento degli occupati italiani, al Sud si concentra dunque il 60 per cento della perdita di posti di lavoro;
il prodotto interno lordo in Italia cresce meno della media nell'Unione europea, ma nel Sud si segnala un'evidente difficoltà; in base alle valutazioni della Svimez, nel 2010 il Mezzogiorno ha segnato rispetto all'anno precedente un modesto +0,2 per cento, ben lontano dal +1,7 per cento del Centro-Nord;
per i consumi relativi alle famiglie, nel 2010 l'incremento della spesa nel Mezzogiorno è stato un terzo del Centro-Nord, ovvero +0,4 per cento contro +1,3 per cento; dal 2000 al 2010 la spesa delle famiglie al Nord è cresciuta dello 0,5 per cento, al Sud è scesa dello 0,1 per cento;
il Mezzogiorno continua a scontare, inoltre, un deficit infrastrutturale che impedisce qualsiasi programmazione e idea di sviluppo economico e gli effetti, anche in presenza di una crisi economica che causa recessione, sono devastanti;
a rendere la situazione ancora più drammatica nel Sud è lo stato di dissesto idrogeologico del territorio che, ad ogni calamità o evento, produce danni ingenti e impone l'utilizzo di risorse per affrontare le emergenze, ma che diventa una sottrazione sostanziale di fondi destinati alla programmazione di interventi strutturali;
ad incidere sulle condizioni di vita, ma anche delle relazioni commerciali e della mobilità nel Mezzogiorno è il progressivo e continuo disimpegno da parte di Ferrovie dello Stato italiane spa. Questo, aggiunto al notevole ritardo nell'avvio e completamento di grandi opere, come, ad esempio, il ponte di Messina, che sconta anche una riduzione degli stanziamenti, diventa un ostacolo insormontabile che impedisce lo sviluppo, la nascita e il rafforzamento di piccole e medie imprese, creando di fatto un corto circuito economico;
il Mezzogiorno ha subito, negli ultimi anni, lo storno di ingenti risorse derivanti dai fondi per le aree sottoutilizzate; queste risorse sottratte al Sud e utilizzate per altri scopi risulterebbero essere pari a diverse decine di miliardi euro. Ciò ha inciso profondamente nelle politiche di sviluppo e frenato l'azione delle regioni meridionali interessate. A tal fine, devono essere utilizzate le nuove regole varate dalla Commissione europea in materia di utilizzo dei fondi strutturali;
altri elementi che hanno impedito al Sud di affrontare le problematiche strutturali e quelle derivanti dalla crisi economica sono stati l'arretramento avvenuto per quanto attiene alla possibilità di utilizzare il credito di imposta, in particolare per piccole e medie aziende, nonché la stretta operata dagli istituti di credito, che hanno sottratto alle imprese la possibilità di accedere a liquidità essenziali, in particolare nell'attuale momento vissuto dal nostro Paese. Anche in questo caso, in materia di credito di imposta per le imprese del Sud, va avviato l'utilizzo di fondi strutturali, tenuto conto della decisione in merito presa dalla Commissione europea,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte ad reintegrare le risorse prelevate dal fondo per le aree sottoutilizzate ed utilizzate per altri scopi, al fine di sostenere i programmi infrastrutturali ormai improcrastinabili per il Mezzogiorno;
a valutare l'opportunità di prevedere l'avvio in tempi rapidi di iniziative di sostegno nel Mezzogiorno alle imprese, in particolare piccole e medie, nonché all'occupazione, attraverso il credito di imposta, utilizzando i fondi strutturali resisi disponibili alla luce delle decisioni della Commissione europea, e ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché il sistema creditizio supporti le imprese nel Mezzogiorno concedendo crediti, essenziali per la vita delle imprese stesse;
a verificare la possibilità di procedere ad un piano straordinario, dotato di un congruo finanziamento, per interventi strutturali di risanamento del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico nel Mezzogiorno, anche inteso come volano occupazionale;
ad attuare azioni efficaci nei confronti di Trenitalia affinché garantisca una maggiore e adeguata disponibilità di corse e di convogli per il trasporto di merci e persone tra il Nord e il Sud, evitando la politica di abbandono del Mezzogiorno.
(1-00940)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Ruvolo, Moffa, Milo, Taddei, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Scilipoti, Siliquini, Stasi».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica che tuttora attanaglia l'Italia e l'Europa, seppure con alcuni segnali di lieve ripresa, ha mostrato, in tutta la sua drammatica realtà, il profondo divario economico e strutturale esistente tra il Nord e il Sud del Paese, due «Italie» distinte e separate da un ritardo territoriale accumulato nel corso degli anni e mai colmato;
nelle più alte sedi istituzionali è stata sottolineata l'importanza del contributo che le risorse umane e materiali del Mezzogiorno possono dare alla crescita dell'intero sistema Paese. Da ultimo, in occasione dell'incontro dal titolo «Il Nord e il Sud dell'Italia a 150 anni dall'Unità», promosso dall'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (Svimez), è stato affermato che le prospettive di ripresa del processo di crescita dell'Italia sono strettamente legate alla piena valorizzazione di tutte le nostre risorse, a cominciare da quella del Mezzogiorno, e che tale consapevolezza deve guidare le azioni di risanamento e di riforma da promuovere nel quadro di una nuova visione di più avanzata integrazione e di solidale sviluppo dell'Europa;
ciò nonostante, i dati che costantemente vengono resi noti sulla situazione economica del Meridione mostrano un quadro allarmante;
il protrarsi della crisi e la mancanza di una reale ripresa hanno prodotto conseguenze dannose su molti settori, tra i quali l'occupazione, che già presentava bassi livelli di crescita prima dell'avvento della crisi economica;
secondo i dati del rapporto Svimez del 2011 nel Sud, tra il 2008 ed il 2010 si è registrata un calo dell'occupazione del 4,3 per cento, a fronte dell'1,5 per cento del Centro-Nord. Sono state 533 mila le unità di lavoro perse in Italia e di queste ben 281 mila solo nel Mezzogiorno. Pertanto, pur essendo presenti al Sud meno del 30 per cento degli occupati italiani, è nel Sud che si concentra il 60 per cento delle perdite di lavoro determinate dalla crisi;
i giovani e le donne rappresentano le categorie più penalizzate dalla crisi economica che ha colpito duramente il mercato del lavoro. Sarebbero uno su tre i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni a non avere un'occupazione. Secondo l'Istat, il tasso di disoccupazione giovanile a gennaio è pari al 31,1 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a dicembre 2011. Da un'analisi svolta dal centro studi Datagiovani per Il Sole 24 ore, emerge che sono perlopiù i giovani e residenti al Sud le persone che hanno smesso di lavorare nei primi nove mesi del 2011. In particolare, sono circa 300 mila i disoccupati che hanno dichiarato di aver perso il posto nel 2011, di questi circa 124 mila risultano residenti al Sud, il 41,5 per cento del totale, il 39,1 per cento al Nord e il 19,4 per cento al Centro;
è una vera e propria emergenza quella che riguarda i giovani del Sud del Paese: due su tre risultano essere senza un'occupazione. Ma dati ancor più inquietanti sono quelli che fotografano la realtà dell'occupazione femminile: il tasso di occupazione femminile raggiunge appena il 30,4 per cento, rispetto al 54,8 per cento del Centro-Nord; per una donna under 34 il tasso scende al 23,3 per cento, pari a meno di una su quattro. Il livello della disoccupazione, invece, se si considerano anche le diverse categorie di donne che si dividono tra ricerche saltuarie e lavoro sommerso, è pari al 30,6 per cento, una cifra doppia rispetto a quella ufficiale;
il 2011 ha segnato un periodo di profonda crisi economica per le piccole e medie imprese: il numero dei fallimenti è risultato il più alto dal 2006. Mentre il Nord-Est ha registrato un dato sostanzialmente stabile rispetto al 2010, l'aumento più forte delle procedure di fallimento ha riguardato il Sud e le isole, con l'11,2 per cento, seguiti dal Centro, con il 9,5 per cento, e dal Nord-Ovest, con l'8,4 per cento;
più dell'80 per cento delle imprese del Mezzogiorno ha subito i contraccolpi della crisi e ora, come nel resto d'Italia, le stesse imprese sono soffocate dalla stretta dei crediti bancari, a cui si sommano i ritardi strutturali e infrastrutturali dell'intera regione meridionale: tale ritardo infrastrutturale non riguarda solo il trasporto ferroviario, ma anche quello su gomma e le diverse infrastrutture per la fornitura dei servizi idrici, energetici e per il trasporto pubblico locale;
dopo un lungo periodo nel quale la questione meridionale sembrava essere stata rimossa dall'agenda nazionale, ci sono stati segnali importanti circa la disponibilità del nuovo Governo ad affrontare tale questione, nel tentativo di colmare quel divario non più tollerabile che separa il Nord dal Sud del Paese, attraverso l'individuazione di un piano di interventi prioritari,

impegna il Governo:

ad adottare tutte le opportune iniziative volte a sostenere l'occupazione nelle aree del Mezzogiorno, con particolare riferimento all'occupazione giovanile e femminile;
a prevedere l'opportunità di intraprendere azioni a favore delle imprese del Sud, anche attraverso misure che garantiscano maggiori possibilità di accesso al credito e sgravi fiscali;
ad avviare con estrema urgenza un piano di interventi strutturali e infrastrutturali a sostegno della crescita e dello sviluppo dell'intera regione meridionale.
(1-00941)
«Versace, Fabbri, Mosella, Pisicchio, Tabacci, Vernetti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica che tuttora attanaglia l'Italia e l'Europa, seppure con alcuni segnali di lieve ripresa, ha mostrato, in tutta la sua drammatica realtà, il profondo divario economico e strutturale esistente tra il Nord e il Sud del Paese, due «Italie» distinte e separate da un ritardo territoriale accumulato nel corso degli anni e mai colmato;
nelle più alte sedi istituzionali è stata sottolineata l'importanza del contributo che le risorse umane e materiali del Mezzogiorno possono dare alla crescita dell'intero sistema Paese. Da ultimo, in occasione dell'incontro dal titolo «Il Nord e il Sud dell'Italia a 150 anni dall'Unità», promosso dall'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (Svimez), è stato affermato che le prospettive di ripresa del processo di crescita dell'Italia sono strettamente legate alla piena valorizzazione di tutte le nostre risorse, a cominciare da quella del Mezzogiorno, e che tale consapevolezza deve guidare le azioni di risanamento e di riforma da promuovere nel quadro di una nuova visione di più avanzata integrazione e di solidale sviluppo dell'Europa;
ciò nonostante, i dati che costantemente vengono resi noti sulla situazione economica del Meridione mostrano un quadro allarmante;
il protrarsi della crisi e la mancanza di una reale ripresa hanno prodotto conseguenze dannose su molti settori, tra i quali l'occupazione, che già presentava bassi livelli di crescita prima dell'avvento della crisi economica;
secondo i dati del rapporto Svimez del 2011 nel Sud, tra il 2008 ed il 2010 si è registrata un calo dell'occupazione del 4,3 per cento, a fronte dell'1,5 per cento del Centro-Nord. Sono state 533 mila le unità di lavoro perse in Italia e di queste ben 281 mila solo nel Mezzogiorno. Pertanto, pur essendo presenti al Sud meno del 30 per cento degli occupati italiani, è nel Sud che si concentra il 60 per cento delle perdite di lavoro determinate dalla crisi;
i giovani e le donne rappresentano le categorie più penalizzate dalla crisi economica che ha colpito duramente il mercato del lavoro. Sarebbero uno su tre i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni a non avere un'occupazione. Secondo l'Istat, il tasso di disoccupazione giovanile a gennaio è pari al 31,1 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a dicembre 2011. Da un'analisi svolta dal centro studi Datagiovani per Il Sole 24 ore, emerge che sono perlopiù i giovani e residenti al Sud le persone che hanno smesso di lavorare nei primi nove mesi del 2011. In particolare, sono circa 300 mila i disoccupati che hanno dichiarato di aver perso il posto nel 2011, di questi circa 124 mila risultano residenti al Sud, il 41,5 per cento del totale, il 39,1 per cento al Nord e il 19,4 per cento al Centro;
è una vera e propria emergenza quella che riguarda i giovani del Sud del Paese: due su tre risultano essere senza un'occupazione. Ma dati ancor più inquietanti sono quelli che fotografano la realtà dell'occupazione femminile: il tasso di occupazione femminile raggiunge appena il 30,4 per cento, rispetto al 54,8 per cento del Centro-Nord; per una donna under 34 il tasso scende al 23,3 per cento, pari a meno di una su quattro. Il livello della disoccupazione, invece, se si considerano anche le diverse categorie di donne che si dividono tra ricerche saltuarie e lavoro sommerso, è pari al 30,6 per cento, una cifra doppia rispetto a quella ufficiale;
il 2011 ha segnato un periodo di profonda crisi economica per le piccole e medie imprese: il numero dei fallimenti è risultato il più alto dal 2006. Mentre il Nord-Est ha registrato un dato sostanzialmente stabile rispetto al 2010, l'aumento più forte delle procedure di fallimento ha riguardato il Sud e le isole, con l'11,2 per cento, seguiti dal Centro, con il 9,5 per cento, e dal Nord-Ovest, con l'8,4 per cento;
più dell'80 per cento delle imprese del Mezzogiorno ha subito i contraccolpi della crisi e ora, come nel resto d'Italia, le stesse imprese sono soffocate dalla stretta dei crediti bancari, a cui si sommano i ritardi strutturali e infrastrutturali dell'intera regione meridionale: tale ritardo infrastrutturale non riguarda solo il trasporto ferroviario, ma anche quello su gomma e le diverse infrastrutture per la fornitura dei servizi idrici, energetici e per il trasporto pubblico locale;
dopo un lungo periodo nel quale la questione meridionale sembrava essere stata rimossa dall'agenda nazionale, ci sono stati segnali importanti circa la disponibilità del nuovo Governo ad affrontare tale questione, nel tentativo di colmare quel divario non più tollerabile che separa il Nord dal Sud del Paese, attraverso l'individuazione di un piano di interventi prioritari,

impegna il Governo:

ad adottare tutte le opportune iniziative volte a sostenere l'occupazione nelle aree del Mezzogiorno, con particolare riferimento all'occupazione giovanile e femminile;
a valutare l'opportunità di prevedere l'opportunità di intraprendere azioni a favore delle imprese del Sud, anche attraverso misure che garantiscano maggiori possibilità di accesso al credito e sgravi fiscali;
ad avviare con estrema urgenza un piano di interventi strutturali e infrastrutturali a sostegno della crescita e dello sviluppo dell'intera regione meridionale.
(1-00941)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Versace, Fabbri, Mosella, Pisicchio, Tabacci, Vernetti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
l'economia mondiale nel biennio 2008-2009 è stata colpita da una grave recessione con effetti pesanti anche per l'economia nazionale, in particolar modo nei confronti dei redditi delle famiglie e dell'occupazione nelle regioni del Mezzogiorno;
nel corso del 2010 si è manifestata una ripresa che, però, si è subito interrotta nel 2011, evidenziando come il percorso di fuoriuscita dalla crisi, già debole e difficile al Nord, diventi nullo per le regioni del Mezzogiorno d'Italia;
le prime valutazioni effettuate dalla Svimez ipotizzano per il 2012, in un quadro di recessione, un ampliamento del divario tra Nord e Sud del Paese, con un differenziale negativo di circa mezzo punto al Sud rispetto alla media nazionale che dovrebbe far segnare una flessione del prodotto interno lordo di oltre l'1 per cento;
nella crisi italiana, quindi, il Sud si trova in particolare difficoltà con una caduta dell'occupazione particolarmente grave e prospettive di investimento negative;
in questa fase congiunturale si acuiscono i tratti strutturali della grave situazione del lavoro nel meridione, con un tasso di disoccupazione pari nel primo semestre del 2011 al 13,2 per cento contro il 5,5 per cento nel Nord; un tasso di disoccupazione giovanile pari al 39 per cento contro il 6 per cento nel Centro-Nord; un tasso di occupazione femminile pari al 30,7 per cento contro il 55,4 per cento nel Centro-Nord e un peso dell'occupazione irregolare su quella regolare pari al 19 per cento;
nonostante le innumerevoli potenzialità il Sud non riesce ad intraprendere uno sviluppo economico serio e ben strutturato ad eccezione di alcune oasi felici;
vi è un evidente divario strutturale tra le due aeree del Paese, sostanzialmente immutato da un cinquantennio;
al divario strutturale e in termini di redditi, come indicato dal Ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca nella relazione alle Commissioni bilancio della Camera dei deputati e del Senato, si aggiungono divari profondi connessi alle condizioni di vita dei cittadini in termini di qualità ed efficacia di servizi collettivi fondamentali, quali istruzione, giustizia, sicurezza, cura per gli anziani, cura per i bambini, servizi sanitari, reti e società digitali, reti ferroviarie e trasporto locale su ferro, servizio idrico integrato, gestione dei rifiuti urbani, servizi alle imprese;
difatti, secondo la classifica del Sole 24 Ore, che misura la qualità della vita delle 107 province italiane, le province del Meridione occupano gli ultimi posti;
diventa più che mai necessario individuare le soluzioni più idonee per colmare la differenza tra le due parti del Paese, un problema reso oggi ancora più difficile dalla dimensione globale in cui ci si trova a vivere e da cui il Meridione d'Italia potrebbe rimanerne completamente isolato, senza dimenticare che la situazione è aggravata dalla forte crisi economica in corso e dal debito pubblico che pesa come un macigno sul Paese e limita le prospettive per il futuro;
è da apprezzare la scelta del Presidente del Consiglio dei ministri Monti di promuovere la nomina di un Ministro per la coesione territoriale, evidentemente al fine di attuare tutti gli interventi per il riequilibrio economico e sociale, a differenza di quanto avvenuto nel passato Governo;
bisogna acquisire la consapevolezza che il riavvio di una crescita dell'economia italiana passa anche, se non soprattutto, per la riattivazione di energie inutilizzate, soprattutto i giovani qualificati e le donne presenti in misura principale nelle regioni del Mezzogiorno;
infatti, il tasso di occupazione nella fascia di età 15-34 anni, pari al 45 per cento in Italia, un valore già decisamente inferiore ai livelli medi europei, scende al 30 per cento circa nelle regioni meridionali, per scendere a poco più del 20 per cento per le giovani donne;
la risorsa principale su cui puntare per riavviare l'economia italiana deve essere rappresentata dal capitale umano delle nuove generazioni e delle donne, risorse oggi largamente sottoutilizzate, specialmente nel Mezzogiorno;
l'ottica dalla quale partire è, quindi, quella di fare del Sud il protagonista della rinascita, in virtù del fatto che esso è, oggi, materialmente l'area a massima vocazione ove può realizzarsi questa necessaria inversione di tendenza;
sicuramente ostativa ad un riequilibrio tra le due parti del Paese è la drammatica situazione dei collegamenti da e per il Meridione;
le Ferrovie dello Stato italiane spa continuano a discriminare il Meridione, gestendo il servizio dei trasporti con una concentrazione degli investimenti solo nelle aree del Paese considerate più produttive;
all'alta velocità del Nord, si contrappone un trasporto nel Sud in totale stato di abbandono, in particolare la velocità media di percorrenza sui treni non regionali sulle grandi linee Napoli-Bari, Napoli-Reggio Calabria, Messina-Catania, Messina-Palermo e Cagliari-Sassari è rispettivamente di 89 chilometri orari, 119 chilometri orari, 73 chilometri orari, 99 chilometri orari e 88 chilometri orari, contro un valore medio di 136 chilometri orari sull'insieme delle Napoli-Genova, Napoli-Milano-Torino, Bologna-Bolzano e Bologna-Trieste, acuendo così l'immagine di un Paese a «due velocità»;
il grado di penetrazione di internet nel Mezzogiorno è ancora molto basso, sia per un marcato deficit infrastrutturale che per una cultura delle aziende private e pubbliche ancora poco propensa all'innovazione tecnologica nei processi organizzativi e produttivi: secondo i dati Svimez, ad esempio, solo il 25,5 per cento delle imprese meridionali usa internet per la gestione dei rapporti con i clienti, contro il 46,2 per cento del resto d'Italia;
di recente la Commissione europea ha varato una modifica alle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti produttivi nelle aree sottoutilizzate, concedendo all'Italia di abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento;
la possibilità concessa dalla Commissione europea all'utilizzo dei fondi strutturali per la copertura dei crediti d'imposta per l'occupazione al Mezzogiorno consente di destinare i fondi europei al finanziamento di strumenti di fiscalità di sviluppo che possano stimolare gli investimenti produttivi delle aziende meridionali;
è, altresì, importante che da Bruxelles si è ritenuto di impegnare al più presto una parte dei fondi sbloccati per dare impulso a specifiche politiche occupazionali nelle aree a più bassa occupazione giovanile;
i provvedimenti previsti dal Governo Monti - in particolare, la deduzione dell'Irap maggiorata al Sud per giovani e donne e la previsione, nonostante la scarsità di risorse, di un fondo di 3 miliardi di euro complessivi nel prossimo triennio per la copertura di eventuali sforamenti del patto di stabilità per effetto del cofinanziamento nazionale dei fondi europei - sembrano andare nella giusta direzione;
sono assolutamente condivisibili, nella prospettiva di uno sviluppo del Mezzogiorno, le proposte elaborate dalla Svimez: una politica infrastrutturale e logistica al servizio di una strategia attenta alla valorizzazione di un'opzione mediterranea; una coordinata politica per le energie tradizionali e rinnovabili, finalizzata allo sfruttamento tecnologico e sostenibile delle risorse naturali e ambientali e all'efficientamento e risanamento delle grandi aree urbane ed interconnessa ad una rinnovata politica industriale selettiva e di filiera; l'accesso al credito per il sostegno finanziario al tessuto di piccole e medie imprese,

impegna il Governo:

ad assumere una strategia finalizzata alla ripresa economica con la consapevolezza che il Sud rappresenta una leva importante della strategia complessiva di rilancio e riposizionamento dell'intera economia italiana;
ad attuare politiche per il Sud finalizzate ad aumentare le dimensioni medie delle imprese mediante la formazione di vere e proprie «reti», a favorire un maggiore e più facile accesso al credito e ad investire sulle attività di ricerca ed innovazione tecnologica, con la formazione di veri e propri distretti tecnologici che creino occupazione per tutti quei giovani qualificati di origine meridionale che si formano nelle università meridionali, ma anche in quelle centro-settentrionali ed estere, che rappresentano una grande risorsa inutilizzata;
ad investire su un'economia sostenibile e competitiva, soprattutto nei settori energetico, delle risorse naturali, agro-ambientale, turistico e dei beni culturali, attraverso la valorizzazione del patrimonio storico e paesaggistico meridionale, elementi catalizzatori della catena di connessione ricerca-innovazione-produzione, in grado di dare piena espressione alle potenzialità del sistema universitario e di ricerca e al patrimonio territoriale e culturale del Mezzogiorno, favorendo così l'attrazione di nuovi capitali ed evitando la «fuga» dei giovani meridionali;
a favorire gli investimenti privati, anche attraverso iniziative volte ad introdurre misure di defiscalizzazione, nelle reti di banda larga di ultima generazione e a promuovere un maggior grado di concorrenza nel trasporto ferroviario interregionale e locale, aereo e navale;
ad assumere iniziative per implementare, compatibilmente con la normativa comunitaria, misure di fiscalità di vantaggio per gli investimenti privati nazionali ed esteri sull'intero territorio delle regioni meridionali, sostitutive di forme di sussidio ed incentivo all'attività economica.
(1-00972)
«Briguglio, Della Vedova, Barbaro, Bocchino, Bongiorno, Consolo, Giorgio Conte, Di Biagio, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Menia, Moroni, Muro, Angela Napoli, Paglia, Patarino, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto».

La Camera,
premesso che:
mettere al centro dell'azione politica nazionale la coesione territoriale e il superamento delle diseguaglianze sia il modo per contribuire a far uscire il Paese dalla crisi in cui si trova;
partire dalle zone deboli significa rilanciare anche le zone forti del Paese e così avere uno sviluppo equilibrato, come è stato detto nelle più alte sedi istituzionali, «affrontare il loro sviluppo è un dovere della comunità nazionale e un impellente interesse comune per garantire all'Italia un più alto livello di sviluppo e di competitività»,

impegna il Governo:

a puntare sullo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno come motore dell'intero Paese, e di aiuto allo sviluppo dell'Europa, nell'ambito della politica economica nazionale e di quella realizzata con i fondi regionali, comunitari e nazionali, accelerando la spesa e accrescendone la qualità;
a riprogrammare le risorse disponibili mantenendole integralmente al Mezzogiorno, ivi incluse quelle derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale;
a promuovere la qualità dei servizi pubblici nel Mezzogiorno attraverso un'accelerata perequazione della sua dotazione infrastrutturale e un più efficiente loro utilizzo;
a ridurre il gap di servizi di mobilità con il resto del Paese, con particolare attenzione al trasporto ferroviario, avviando concretamente la realizzazione degli interventi contenuti nella delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011, anche con l'applicazione dello strumento del contratto di sviluppo, attraverso il quale realizzare una modalità di cooperazione istituzionale rafforzata e fortemente responsabilizzata sui risultati;
a indirizzare interventi adeguati nelle agglomerazioni produttive vitali, industriali e agricole, del Mezzogiorno allo scopo di rafforzare soprattutto il contesto territoriale nelle aree, in particolare quelle metropolitane, capaci di esportare e di cogliere così i benefici della domanda mondiale;
a compensare i maggiori costi unitari delle imprese nel Mezzogiorno e le loro difficoltà nell'accesso al credito sia rilanciando lo strumento del Fondo di garanzia, sia sbloccando i contratti di sviluppo, sia rifinanziando gli strumenti volti al sostegno dell'imprenditoria giovanile, sia infine, ricorrendo, previa intesa con la Commissione europea, ai crediti d'imposta per l'occupazione e gli investimenti destinando una quota significativa di risorse;
a rafforzare le azioni a favore dei giovani e della conoscenza (scuola, formazione, università) anche avviando concretamente la realizzazione degli interventi previsti nella delibera CIPE n. 78/2011 e in linea con gli indirizzi dati dalla Commissione europea soprattutto per i paesi con elevata disoccupazione giovanile;
a rafforzare i servizi per la cura dell'infanzia e degli anziani non autosufficienti, ambito nel quale gli interventi possono migliorare significativamente la condizione dei cittadini specie in una fase di forte compressione del reddito disponibile dalle famiglie;
a garantire che le azioni sopra descritte siano condotte elevando il livello di attenzione ai risultati e rafforzando, quindi, le attività di monitoraggio e valutazione, che, fornendo strumenti per rafforzare e indirizzare la voce dei cittadini, creano un forte effetto incentivante per i soggetti attuatori laddove non si procederà alla stipula dei contratti istituzionali di sviluppo;
a contrastare con forza le interferenze della criminalità organizzata, anche nell'impiego dei fondi regionali, rafforzando le iniziative in essere e adottando nuove azioni prototipali;
ad assegnare nel più breve tempo possibile alle regioni del Mezzogiorno le risorse residue del Fondo per lo sviluppo e la coesione valutabili in oltre 6,7 miliardi di euro;
ad adottare nel più breve tempo possibile il decreto del ministro dell'economia e delle finanze, di concerto col ministro del lavoro e delle politiche sociali e il ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale, al fine di rendere immediatamente esecutivo il credito di imposta per il lavoro stabile nel Mezzogiorno;
a dar seguito all'applicazione dell'articolo 2-bis del decreto-legge 70 del 2011 che prevede l'uso del credito di imposta per gli investimenti nelle aree sottoutilizzate attraverso l'utilizzo dei fondi strutturali europei;
a tenere conto e reintegrare nell'ambito del riparto e della programmazione 2014-2020 delle risorse comunitarie e del fondo sviluppo e coesione le risorse che il Mezzogiorno ha perduto negli ultimi anni.
(1-00976)
«D'Antoni, Fitto, Occhiuto, Briguglio, Ossorio».

TESTO AGGIORNATO AL 29 MARZO 2012

MOZIONI DI STANISLAO ED ALTRI N. 1-00781, GIDONI ED ALTRI N. 1-00861, PORFIDIA ED ALTRI N. 1-00862, MOFFA ED ALTRI N. 1-00907, MISITI ED ALTRI N. 1-00908, RUGGHIA ED ALTRI N. 1-00909, CICU ED ALTRI N. 1-00920, PEZZOTTA, SARUBBI ED ALTRI N. 1-00943 E PAGLIA, BOSI, VERNETTI ED ALTRI N. 1-00963 SULLA RIDUZIONE E RAZIONALIZZAZIONE DELLE SPESE MILITARI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL BLOCCO DEL PROGRAMMA PER LA PRODUZIONE E L'ACQUISTO DEI CACCIABOMBARDIERI JOINT STRIKE FIGHTER (JSF) F-35

Mozioni

La Camera,
premesso che:
il problema della spesa militare italiana diventa ancor più di primaria importanza se inserito nello scenario della crisi finanziaria internazionale che ha rimesso in discussione il ruolo della spesa pubblica nei Paesi dell'Unione europea e dell'area euro. In questo contesto anche Governi di centrodestra non hanno esitato ad intervenire sulla riduzione delle spese militari;
tutto questo si verifica mentre in Italia le proposte del Governo, mirate a ridurre la spesa pubblica, contemplano tagli al sociale, alla scuola, alle imprese, alla ricerca, alla giustizia e a ogni cosa di cui un Paese dovrebbe avere cura, senza preoccuparsi minimamente dei tagli alle spese militari;
le manovre del Governo non hanno mai messo in discussione la struttura del sistema difesa e sicurezza, che riesce a superare la scure dei tagli con meno danni di altri;
con i soli due decreti-legge emessi tra luglio e settembre 2011 (decreto-legge del 2011, n. 98, convertito dalla legge n. 111 del 2011 e decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge n. 148 del 2011) la manovra complessiva ha raggiunto quasi i 60 miliardi di euro di correzione del saldo a regime nel 2014;
il Parlamento è in procinto di vagliare la nuova manovra anti crisi del Governo, nella quale non si prevede alcun provvedimento che vada in tal senso;
i settori maggiormente penalizzati sono sempre le politiche sociali, la sanità e le politiche industriali a sostegno delle piccole e medie imprese;
è stato presentato recentemente uno studio del Forum Ania-Consumatori in collaborazione con l'università di Milano, dal quale emerge come siano notevolmente peggiorate soprattutto le condizioni di vita dei bambini e dei minori che pagano il prezzo più alto della crisi. Sono 10 milioni e 229 mila i minori in Italia, il 16,9 del totale della popolazione: uno su cinque (24,4 per cento) è a rischio di povertà, il 18,3 per cento vive in povertà (1.876.000 minori, in famiglie che hanno una capacità di spesa per consumi sotto la media), il 18,3 è per cento in condizione di deprivazione materiale e il 6,5 per cento (653.000 ragazzi) è in condizione di povertà assoluta, privo dei beni essenziali per il conseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile;
anche Save the children nel secondo «Atlante dell'infanzia a rischio» dichiara che, dal 2008 ad oggi, sono proprio le famiglie con minori ad aver pagato il prezzo più alto della recessione mondiale: negli ultimi anni la percentuale delle famiglie a basso reddito con un minore è aumentata dell'1,8 per cento e tre volte tanto (5,7 per cento) quella di chi ha due o più figli;
con la crisi economica, che ha toccato tutti i settori e ha ridotto in maniera drastica la qualità della vita di tutti i cittadini, le famiglie, ed in particolare i minori, hanno subito maggiormente le conseguenze con maggiori e gravi difficoltà ad andare avanti;
ad oggi, l'Italia investe in maniera residuale e poco incisiva sulle politiche sociali ed in particolare sulle famiglie, aspetto che, invece, dovrebbe essere al primo posto nell'agenda di ogni Governo che punti ad un reale rilancio dell'economia e del Paese. Il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli record e le piccole e medie imprese sono al collasso;
in tale contesto, l'Italia è l'ottavo Paese al mondo per spese militari, con 20.556,9 milioni di euro per il 2010, con un incremento per il 2011, a causa dei fondi destinati agli acquisti per i nuovi armamenti, dell'8,4 per cento pari a quasi 3 miliardi e mezzo di euro, ovvero 266 milioni di euro in più rispetto al 2010. Le spese per l'esercizio, invece, hanno visto una riduzione del 18 per cento rispetto al precedente esercizio finanziario e sono destinate alla formazione e all'addestramento, alla manutenzione e all'efficienza di armi, ai mezzi e alle infrastrutture, al mantenimento delle scorte e, in generale, alla capacità e alla prontezza operativa dello strumento militare;
vanno poi aggiunti i circa 3 miliardi di euro provenienti dai bilanci di altri Ministeri che prevedono aperte finalità militari. Il Ministero dell'economia e delle finanze stanzia 754,3 milioni di euro per il fondo di riserva per le spese derivanti dalla proroga delle missioni internazionali di pace, il Ministero dello sviluppo economico stanzia 1.483 milioni di euro destinati ad interventi agevolativi per il settore aeronautico, 510 milioni di euro destinati ad interventi per lo sviluppo e l'acquisizione delle unità navali della classe Fremm (fregata europea multimissione) e una percentuale ormai altissima del budget del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca viene destinata a progetti in ambito spaziale e satellitare delle Forze armate;
la nota aggiuntiva di previsione per la difesa per l'anno 2012 stanzia 21.342 milioni di euro;
dal punto di vista dell'attività produttiva in Italia, il settore è in piena espansione con un fatturato record da 3,7 miliardi di euro alla fine del 2008; come si è appreso nel 2010, l'Italia ha superato la Russia, divenendo il secondo esportatore mondiale di armamenti, dopo gli Stati Uniti. E proprio l'export militare italiano è divenuto un settore estremamente complesso e delicato con forti interessi da parte di banche e industrie belliche e armiere, inversamente proporzionali ai controlli e alla trasparenza che vengono sempre meno e che, invece, necessitano di un maggiore rafforzamento;
la recente legge di stabilità ha confermato, inoltre, la cosiddetta mini naja con uno stanziamento di 7,5 milioni di euro per il 2012 e di un milione di euro per il 2013. Il corso di formazione ha il compito di trasmettere e rafforzare nei giovani i valori presenti all'interno delle Forze armate. Un progetto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, inutile che, in questo momento storico, non ha alcun motivo di essere finanziato;
sul bilancio dello Stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d'arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026;
da un lato, c'è un comparto già fortemente penalizzato dal punto di vista dei tagli alle risorse, degli stipendi del personale, della formazione, dell'addestramento, dell'esercizio, dall'altro, non c'è il minimo intento di diminuire le ingenti spese militari, bensì, persiste ancora l'inutile e costosissimo programma per l'acquisto di 131 cacciabombardieri F-35-JSF;
il tema in questione è fortemente sentito dall'opinione pubblica che vede nell'aumento dell'investimento in armi uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico e sociale del Paese, al punto che, il 19 maggio 2009, inizia la campagna «Caccia al caccia! Diciamo NO agli F35»; il 24 novembre 2010, durante il convegno «Volano gli aerei o i costi?», per la prima volta il Ministero della difesa ammette ufficialmente che sono sorti dei dubbi sull'acquisto di tutti i caccia previsti; il 12 aprile 2011 i promotori della campagna scrivono ai presidenti di gruppo della Camera dei deputati chiedendo una discussione in merito al progetto F-35 e il 21 settembre 2011 parte la seconda fase della campagna, denominata ora «Taglia le ali alle armi!». Nella prima fase sono state raccolte 19.900 adesioni on line, 16.000 firme cartacee e 388 adesioni di organizzazioni. Molti Paesi hanno rinunciato a tale programma e gli stessi Usa hanno tagliato drasticamente le spese militari;
il 13 novembre 2011 le tre organizzazioni Rete disarmo, Sbilanciamoci e Tavola della pace hanno rinnovato l'invito al Governo affinché accolga e porti avanti concretamente le richieste della società civile in tema di difesa e di scelte militari;
ai conti attuali, l'acquisto dei 131 aerei F35-JSF comporterebbe per l'Italia una spesa di oltre 18 miliardi di euro, a cui bisognerebbe aggiungere i costi dei propulsori;
occorre, altresì, cambiare il rapporto tra difesa e industria per evitare che gli interessi personali ed economici si sovrappongano in maniera deleteria ai reali interessi del comparto e del Paese;
è evidente e sempre più urgente l'esigenza di una nuova revisione dell'amministrazione della difesa e dello stesso «modello di difesa», che dovrebbe concentrarsi essenzialmente sull'acquisto di tecnologie e mezzi atti più a garantire la sicurezza dei soldati italiani nelle missioni all'estero che l'acquisizione di armamenti atti all'offesa. Un modello di difesa incentrato sulla formazione e sull'addestramento dei nostri soldati;
le gravi carenze di bilancio e l'assenza di un chiaro dibattito pubblico sulle opzioni realmente aperte in questa direzione rendono il tutto decisamente più complesso;
mancano, tra l'altro, in Italia la volontà o la capacità di affrontare congiuntamente, almeno sul piano dell'analisi, i complessi problemi, tra loro correlati, del settore della sicurezza e di quello della difesa, e la nuova, essenziale dimensione delle operazioni miste civili-militari, che invece stanno assumendo una rilevanza sempre maggiore a livello comune europeo ed atlantico;
il rischio è, quindi, di disporre di armi nuove e sofisticate, ma di non avere le risorse per gestirle; mancano, ad esempio, i fondi per riparare i mezzi, danneggiati in Afghanistan, e il carburante per i jet e le navi, inclusa la nuova portaerei Cavour;
l'Italia deve prepararsi ad affrontare nuove sfide e nuovi costi. È un processo già iniziato senza essere accompagnato da un vero e ampio dibattito politico interno che coinvolga pienamente il Parlamento e consenta la fondazione di uno stabile consenso, premessa necessaria per una mobilitazione delle risorse necessarie;
occorre un dibattito aperto a tutte le voci della società e non ad una campagna propagandistica e manipolatoria, un dibattito che restituisca al Parlamento la sua centralità costituzionale;
bisogna condividere una visione realistica della politica e applicare, anche a questo settore della spesa pubblica, gli stessi criteri che si pretende di imporre a tutti gli altri ambiti essenziali dello Stato, come la salute e l'istruzione. Tutta la spesa pubblica è sotto esame ed è giusto che lo sia anche la spesa militare. Si discute di riforma delle pensioni, della scuola, della sanità e di mille altri settori strategici della vita del paese. È giusto (e indispensabile) che si discuta anche della riforma delle Forze armate come accade in tutti i Paesi democratici;
l'opinione pubblica è attiva e coinvolta in maniera massiccia in campagne di informazione tutte finalizzate alla richiesta di riduzione delle ingenti risorse stanziate per gli armamenti. Tanti sono gli appelli e migliaia sono le firme dei cittadini e non è accettabile che il Governo non ne tenga conto;
il 7 luglio 2010 si è conclusa la discussione congiunta di sei mozioni concernenti una migliore qualità e razionalizzazione della spesa militare. Nello specifico, la mozione n. 1-00403, ha impegnato il Governo a: dare la piena disponibilità per un approfondito confronto in sede parlamentare sul nuovo modello di difesa; a proseguire il lavoro per una migliore qualità e di una razionalizzazione della spesa militare, accentuando la dimensione interforze dello strumento militare a livello nazionale e realizzando le migliori sinergie nel settore industriale e negli asset operativi a livello europeo, soprattutto nell'ottica della nascente difesa europea; ad avviare una profonda revisione del sistema difesa, soprattutto attraverso una necessaria e urgente operazione di efficientamento e riorganizzazione di tutto l'apparato militare;
l'auspicio di tutti i presentatori era di sensibilizzare il Governo e spostare l'attenzione nella direzione di avviare un cambiamento sostanziale nella gestione di tali risorse, ma gli impegni assunti sono tuttora disattesi;
occorre dare risposte concrete e segnali forti ai cittadini e alle Forze armate, sempre più abbandonate a se stesse, senza risorse e senza formazione, e garantire che finalmente la difesa unitamente al welfare tornino ad essere al centro della vita democratica e siano gestite con consapevolezza da parte dello Stato;
è necessario attivare un virtuoso investimento in termini di riqualificazione, addestramento e formazione del personale del comparto e avviare un percorso che punti a finanziamenti selettivi, attraverso i quali si definiscano le priorità e le reali necessità del comparto. È necessario investire minori risorse e meglio mirate al fine di portare l'Italia in linea con gli altri Paesi europei e non solo,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte a bloccare, in via definitiva, il programma per la produzione e l'acquisto dei 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter e a valutare la reale possibilità di utilizzare tali risorse per il rilancio dell'economia e il sostegno all'occupazione giovanile;
ad assumere iniziative volte a cancellare i finanziamenti previsti per il 2012 per la produzione dei 4 sommergibili Fremm, dei cacciabombardieri F-35, delle due fregate «Orizzonte» con un risparmio previsto intorno ai 783 milioni di euro;
a rivalutare e a ridimensionare gli accordi tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero della difesa, al fine di reperire le necessarie risorse da destinare per la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei durante l'anno accademico 2011-2012 e per gli anni accademici successivi;
a bloccare, in via definitiva il progetto, della mini naja «Vivi le Forze armate» con un risparmio immediato da destinare alle politiche sociali, con particolare riferimento alle famiglie e ai minori che vivono in condizioni di povertà;
ad assumere iniziative finalizzate a rivedere gli stanziamenti che interessano la difesa presenti nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, comparto strategico e fondamentale per il reale rilancio dell'economia e del Paese, valutando la possibilità dell'impiego di tali risorse in ambiti di maggiore urgenza e necessità;
a rivedere il quadro complessivo delle spese militari prevedendo una razionalizzazione delle risorse e destinando parte di esse, stanziate per armamenti, alla formazione, all'addestramento e alla riqualificazione del personale del comparto.
(1-00781)
«Di Stanislao, Di Pietro, Donadi».

La Camera,
premesso che:
il problema della spesa militare italiana diventa ancor più di primaria importanza se inserito nello scenario della crisi finanziaria internazionale che ha rimesso in discussione il ruolo della spesa pubblica nei paesi dell'Unione europea e dell'area euro;
per fronteggiare gli effetti di questa grave crisi economica occorrono misure immediate ed efficaci, unitamente a politiche rigorose di riqualificazione di ogni settore dello Stato;
anche l'amministrazione della difesa, a fronte di una sempre più crescente carenza di risorse sul proprio bilancio, non può sottrarsi, quindi, alla impellente necessità di ridimensionare le proprie spese;
il bilancio della difesa è stato di 20.364,4 milioni di euro per il 2010, con un incremento per il 2011, a causa dei fondi destinati agli acquisti per i nuovi armamenti, dell'8,4 per cento pari a quasi 3 miliardi e mezzo di euro, ovvero 266 milioni in più rispetto al 2010. Le spese per l'esercizio, invece, hanno visto una riduzione del 18 per cento rispetto al precedente esercizio finanziario, e sono destinate alla formazione e all'addestramento, alla manutenzione e all'efficienza di armi, ai mezzi e alle infrastrutture, al mantenimento delle scorte e, in generale, alla capacità e alla prontezza operativa dello strumento militare;
vanno poi aggiunti i circa 3 miliardi di euro provenienti dai bilanci di altri Ministeri che prevedono aperte finalità militari. Il Ministero dell'economia e delle finanze stanzia 754,3 milioni di euro per il fondo di riserva per le spese derivanti dalla proroga delle missioni internazionali di pace, il Ministero dello sviluppo economico stanzia 1.483 milioni di euro destinati ad interventi agevolativi per il settore aeronautico, 510 milioni di euro destinati ad interventi per lo sviluppo e l'acquisizione delle unità navali della classe Fremm (fregata europea multimissione);
la nota aggiuntiva di previsione per la difesa per l'anno 2012 stanzia 19,962,1 milioni di euro;
si è oramai consolidata una situazione di forte squilibrio nella ripartizione delle risorse assegnate ai tre settori del personale, dell'esercizio e dell'investimento della cosiddetta «Funzione difesa»; in particolare la spesa percentuale per il settore del personale, pari a circa il 70 per cento è largamente superiore a quella dell'esercizio, che con il 12 per cento risulta il più penalizzato, con conseguenti ripercussioni per la formazione e l'addestramento;
la difficile congiuntura economica internazionale e lo stato critico dei conti pubblici, impongono, pertanto, la necessità di rivedere le spese militari, rimodulando e riconsiderando conseguentemente anche il piano degli investimenti, con particolare riguardo al programma di acquisizione dei 131 F-35;
il ministro della difesa ha recentemente preannunciato, durante le audizioni nelle Commissioni riunite Difesa Camera e Senato, di ridurre, a fronte delle risorse disponibili, l'ordinativo dei 131 velivoli JSF di 40 unità ritenendo ciò sostenibile sotto il profilo operativo nonché funzionale a perseguire una più efficace razionalizzazione delle spese per gli investimenti;
il ministro della difesa ha confermato i numeri circolanti da anni a proposito del progetto industriale legato all'acquisto dei caccia bombardieri JSF35, 10.000 posti di lavoro in più. Il ministro ha dichiarato «quel programma significa crescita operativa, tecnologica e occupazionale notevole: parliamo di 10mila posti di lavoro in 40 aziende», con particolari effetti positivi sulla base militare di Cameri, in provincia di Novara. Si prende atto di quanto detto dal ministro, ma i firmatari del presente atto di indirizzo restano scettici fino a quanto non è chiaro il piano industriale e occupazionale;
è evidente e sempre più urgente, come sottolineato dallo stesso ministro della difesa nell'ambito dell'illustrazione delle linee programmatiche del suo Dicastero, l'esigenza di una nuova revisione dell'amministrazione della difesa e dello stesso «strumento militare» che dovrebbe assicurare le necessarie capacità operative garantendo, nel contempo, un livello sempre maggiore di sicurezza dei nostri soldati nelle missioni all'estero. Uno strumento militare incentrato anche sulla formazione e sull'addestramento dei nostri soldati;
la revisione dello strumento militare - che il ministro della difesa intende realizzare - per l'ampiezza della sua portata e più in particolare per le notevoli implicazioni anche sotto il profilo legislativo non può non avvenire con il pieno coinvolgimento del Parlamento, in relazione alla necessaria e preventiva assunzione di responsabilità in materia di politica di difesa e sicurezza del Paese;
bisogna condividere una visione realistica della politica. E applicare anche a questo settore della spesa pubblica, gli stessi criteri che si pretende di imporre a tutti gli altri ambiti essenziali dello Stato;
il 7 luglio 2010 si è conclusa la discussione congiunta di sei mozioni concernenti una migliore qualità e razionalizzazione della spesa militare. Nello specifico, la mozione n. 1-00403, ha impegnato il Governo a: dare la piena disponibilità per un approfondito confronto in sede parlamentare sul nuovo modello di difesa; a proseguire il lavoro per una migliore qualità e di una razionalizzazione della spesa militare, accentuando la dimensione interforze dello strumento militare a livello nazionale e realizzando le migliori sinergie nel settore industriale e negli asset operativi a livello europeo, soprattutto nell'ottica della nascente difesa europea; ad avviare una profonda revisione del sistema difesa, soprattutto attraverso una necessaria e urgente operazione di efficientamento e riorganizzazione di tutto l'apparato militare;
l'auspicio di tutti i presentatori era di sensibilizzare il Governo e spostare l'attenzione nella direzione di avviare un cambiamento sostanziale nella gestione di tali risorse, ma gli impegni assunti sono tuttora disattesi;
inoltre la Commissione difesa ha recentemente approvato all'unanimità una risoluzione che ha impegnato il Governo a presentare in Parlamento le linee guida di un'eventuale riforma dello strumento militare che rappresentino il punto di vista dell'esecutivo al fine di consentire un'ampia discussione parlamentare e assumere in quella sede le decisioni necessarie;
in conclusione, occorre dare risposte concrete e segnali forti ai cittadini e alle Forze armate, sempre più abbandonate a se stesse, senza risorse e sempre di più in formazione e garantire che finalmente la difesa unitamente al welfare tornino ad essere al centro della vita democratica e siano gestite con consapevolezza da parte dello Stato;
è necessario attivare un virtuoso investimento in termini di riqualificazione, addestramento e formazione del personale del comparto e avviare un percorso che punti a finanziamenti selettivi, attraverso i quali si definiscano le priorità e le reali necessità del comparto. È necessario investire minori risorse e meglio mirate al fine di portare l'Italia in linea con gli altri paesi europei e non solo,

impegna il Governo:

ad avviare un ampio dibattito e ad intraprendere le necessarie iniziative anche normative per giungere all'elaborazione di un nuovo modello di difesa e sicurezza nazionale compatibile con le risorse economiche del nostro Paese oltre che funzionale alle sue esigenze;
a rivedere, nell'ambito di tale processo, il quadro complessivo delle spese militari prevedendo una razionalizzazione delle risorse e destinando parte di esse, alla formazione, addestramento e riqualificazione del personale del comparto;
a rivedere drasticamente la partecipazione dell'Italia al programma per la produzione e l'acquisto dei 131 cacciabombardieri joint strike fighter e a valutare la possibilità di uscire definitivamente dal programma e di utilizzare tali risorse per il rilancio dell'economia e il sostegno all'occupazione giovanile;
a valutare la possibilità di rivedere gli stanziamenti che interessano la difesa presenti nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, comparto strategico e fondamentale per il reale rilancio dell'economia e del Paese.
(1-00781)
(Nuova formulazione). «Di Stanislao, Di Pietro, Donadi».

Proposte emendative riferite alla mozione Di Stanislao ed altri n. 1-00781

Nella premessa, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla riduzione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011,.
1-00781/1. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nella premessa, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla rimodulazione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011,.
1-00781/1.(testo modificato nel corso della seduta) Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.
(Approvato)

Nel dispositivo, sostituire il primo capoverso con il seguente: a sospendere il programma pluriennale di A/R SMD n. 02/2009 relativo all'acquisizione del sistema d'arma Joint strike fighter e alla realizzazione dell'associata linea FACO/MRO&U per un periodo di tre anni, a decorrere dal 2012, e nel contempo ad avviare ogni possibile azione per la riduzione, anche graduale, nella misura del 50 per cento dell'importo complessivo di spesa del medesimo programma e conseguentemente destinare i maggiori risparmi di spesa ottenuti per il rilancio dell'economia e il sostegno all'occupazione giovanile;.
1-00781/2. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nel dispositivo, al secondo capoverso, sopprimere le parole: dei cacciabombardieri F-35,.
1-00781/3. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nel dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dall'unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00781/4. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
la situazione in cui versano le finanze pubbliche costituisce da mesi oggetto di preoccupazioni crescenti, in ragione delle pressioni esercitate dai mercati sui titoli del debito sovrano italiano;
tale condizione esige obiettivamente l'adozione di misure straordinarie, in linea con il carattere prioritario assunto dall'esigenza di restaurare la fiducia dei mercati e delle maggiori istituzioni internazionali nei confronti del nostro Paese;
uno dei settori sui quali sembra possibile incidere, tenendo conto di quanto stanno facendo i principali alleati del nostro Paese, è quello della difesa, dove appare necessaria un'azione di compressione degli sprechi, che tuttavia salvaguardi la futura operatività dello strumento militare;
non appare opportuno colpire gli investimenti, che rappresentano l'avvenire tecnologico delle Forze armate ed un patrimonio per lo sviluppo complessivo del Paese;
è allo stesso modo sconsigliabile apportare ulteriori tagli alle spese di funzionamento, poiché ciò equivale a sacrificare funzioni essenziali, come l'addestramento del personale e la manutenzione dei mezzi, da cui dipende in ultima analisi la sicurezza dei soldati che vengono inviati sui teatri di crisi;
il modo più opportuno di ottenere la riduzione della spesa è quello che passa per il ridimensionamento il numero degli effettivi alle armi;
a questo proposito, il più consistente intervento militare oltremare mai intrapreso dalla Repubblica è quello attualmente in corso in Afghanistan, dove sono schierati poco più di 4 mila uomini delle Forze armate italiane;
al picco dei suoi impegni, a cavallo tra il 2003 ed il 2008, lo strumento militare nazionale non ha mai impiegato all'estero più di 11mila persone; si tratta di numeri che, anche computando il ciclo degli avvicendamenti delle truppe, non possono essere espansi oltre la soglia dei 30mila uomini all'anno;
alla luce dei dati sopracitati, risulta incomprensibile, anche considerando il più generoso dei supporti tecnico-amministrativi e logistici, il mantenimento in linea di 190 mila militari o anche dei 170 o 140 mila di cui si è parlato più recentemente;
in un recente contributo apparso su una nota testata nazionale, il generale Fabio Mini, già comandante della Kfor, ha evidenziato come persino voci provenienti dal mondo militare ammettano senza imbarazzo che cambiare e razionalizzare è possibile;
va stigmatizzata, in particolare, la circostanza che esistano circa 500 ufficiali generali ed ammiragli in servizio, cosa che implica che ce n'è uno ogni 356 militari alle armi;
sono in servizio circa 57 mila marescialli ed equiparati, poco meno di un terzo della forza organica;
tali storture sono in parte riconducibili alla progressione automatica delle differenti carriere, che procedono automaticamente secondo il modello dell'avanzamento «normalizzato», probabilmente ormai inadeguato ad un contesto dove proprio gli impegni militari sui teatri di crisi dovrebbero permettere una più rigorosa selezione basata sul merito;
i firmatari del presente atto di indirizzo esprimono dubbi sull'effettiva necessità di confermare il programma noto come mini naja, in quanto fonte di un'oggettiva dispersione di risorse,

impegna il Governo:

a ridurre l'ampiezza delle prossime campagne di arruolamento e ad incentivare l'esodo del personale in esubero, anche predisponendo percorsi di mobilità verso amministrazioni che risultino carenti di personale con profili compatibili, in modo tale da avvicinare progressivamente gli organici delle Forze armate italiane a quota 100 mila unità;
a confermare la riduzione quantitativa dell'esperienza della cosiddetta mini naja;
a porre allo studio iniziative normative che tendano a ridurre drasticamente il numero degli ufficiali generali, colonnelli e tenenti colonnelli in servizio, che risultano in sensibile soprannumero, sia ricorrendo al collocamento in aspettativa per riduzione quadri che alla mobilità verso posizioni compatibili esistenti in altre amministrazioni dello Stato dove si siano verificate carenze di personale;
a valutare l'opportunità di ridurre progressivamente, con gli stessi metodi, la consistenza organica del ruolo marescialli, con un obiettivo ideale a medio-lungo termine del 30 per cento in meno rispetto agli attuali numeri;
ad intervenire sui meccanismi di progressione delle carriere, ponendo finalmente in discussione gli automatismi previsti dal cosiddetto sistema di avanzamento normalizzato e valorizzando il merito;
a confermare la partecipazione nazionale a tutti i più importanti programmi multinazionali di progettazione, sviluppo e produzione di armamenti suscettibili di avere ripercussioni occupazionali e ricadute tecnologiche sul nostro Paese, oltreché sul livello di operatività dello strumento militare italiano.
(1-00861)
«Gidoni, Chiappori, Molgora, Bitonci, D'Amico, Polledri, Simonetti, Lussana, Fogliato, Montagnoli, Fedriga, Fugatti».

La Camera,
premesso che:
la situazione in cui versano le finanze pubbliche costituisce da mesi oggetto di preoccupazioni crescenti, in ragione delle pressioni esercitate dai mercati sui titoli del debito sovrano italiano;
tale condizione esige obiettivamente l'adozione di misure straordinarie, in linea con il carattere prioritario assunto dall'esigenza di restaurare la fiducia dei mercati e delle maggiori istituzioni internazionali nei confronti del nostro Paese;
uno dei settori sui quali sembra possibile incidere, tenendo conto di quanto stanno facendo i principali alleati del nostro Paese, è quello della difesa, dove appare necessaria un'azione di compressione degli sprechi, che tuttavia salvaguardi la futura operatività dello strumento militare;
non appare opportuno colpire gli investimenti, che rappresentano l'avvenire tecnologico delle Forze armate ed un patrimonio per lo sviluppo complessivo del Paese;
è allo stesso modo sconsigliabile apportare ulteriori tagli alle spese di funzionamento, poiché ciò equivale a sacrificare funzioni essenziali, come l'addestramento del personale e la manutenzione dei mezzi, da cui dipende in ultima analisi la sicurezza dei soldati che vengono inviati sui teatri di crisi;
il modo più opportuno di ottenere la riduzione della spesa è quello che passa per il ridimensionamento il numero degli effettivi alle armi;
a questo proposito, il più consistente intervento militare oltremare mai intrapreso dalla Repubblica è quello attualmente in corso in Afghanistan, dove sono schierati poco più di 4 mila uomini delle Forze armate italiane;
al picco dei suoi impegni, a cavallo tra il 2003 ed il 2008, lo strumento militare nazionale non ha mai impiegato all'estero più di 11mila persone; si tratta di numeri che, anche computando il ciclo degli avvicendamenti delle truppe, non possono essere espansi oltre la soglia dei 30mila uomini all'anno;
alla luce dei dati sopracitati, risulta incomprensibile, anche considerando il più generoso dei supporti tecnico-amministrativi e logistici, il mantenimento in linea di 190 mila militari o anche dei 170 o 140 mila di cui si è parlato più recentemente;
in un recente contributo apparso su una nota testata nazionale, il generale Fabio Mini, già comandante della Kfor, ha evidenziato come persino voci provenienti dal mondo militare ammettano senza imbarazzo che cambiare e razionalizzare è possibile;
va stigmatizzata, in particolare, la circostanza che esistano circa 500 ufficiali generali ed ammiragli in servizio, cosa che implica che ce n'è uno ogni 356 militari alle armi;
sono in servizio circa 57 mila marescialli ed equiparati, poco meno di un terzo della forza organica;
tali storture sono in parte riconducibili alla progressione automatica delle differenti carriere, che procedono automaticamente secondo il modello dell'avanzamento «normalizzato», probabilmente ormai inadeguato ad un contesto dove proprio gli impegni militari sui teatri di crisi dovrebbero permettere una più rigorosa selezione basata sul merito;
i firmatari del presente atto di indirizzo esprimono dubbi sull'effettiva necessità di confermare il programma noto come mini naja, in quanto fonte di un'oggettiva dispersione di risorse,

impegna il Governo:

a ridurre l'ampiezza delle prossime campagne di arruolamento e ad incentivare l'esodo del personale in esubero, anche predisponendo percorsi di mobilità verso amministrazioni che risultino carenti di personale con profili compatibili, in modo tale da ridurre progressivamente e significativamente gli organici delle Forze armate italiane;
a confermare la riduzione quantitativa dell'esperienza della cosiddetta mini naja;
a porre allo studio iniziative normative che tendano a ridurre coerentemente con l'obiettivo programmatico di dimensionamento complessivo dello strumento il numero degli ufficiali generali, colonnelli e tenenti colonnelli in servizio, che risultano in sensibile soprannumero, sia ricorrendo al collocamento in aspettativa per riduzione quadri che alla mobilità verso posizioni compatibili esistenti in altre amministrazioni dello Stato dove si siano verificate carenze di personale;
a valutare l'opportunità di ridurre progressivamente, con gli stessi metodi, la consistenza organica del ruolo marescialli, con un obiettivo ideale a medio-lungo termine coerentemente con l'obiettivo programmatico di una significativa riduzione degli organici;
ad armonizzare le progressioni di carriera del personale con il suddetto ridimensionamento degli organici;
a confermare la partecipazione nazionale a tutti i più importanti programmi multinazionali di progettazione, sviluppo e produzione di armamenti suscettibili di avere ripercussioni occupazionali e ricadute tecnologiche sul nostro Paese, oltreché sul livello di operatività dello strumento militare italiano.
(1-00861)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Gidoni, Chiappori, Molgora, Bitonci, D'Amico, Polledri, Simonetti, Lussana, Fogliato, Montagnoli, Fedriga, Fugatti».

Proposta emendativa riferita alla mozione Gidoni ed altri n. 1-00861

Nel dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dall'unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00861/1. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
il nostro Paese è impegnato in un progetto per la realizzazione di 2.700 cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35 sostenuto dagli Stati Uniti a cui partecipano altri 8 Paesi: Regno Unito al primo livello, Italia ed Olanda al secondo livello, Turchia, Canada, Australia Norvegia e Danimarca al terzo livello. La ditta capo-commessa del progetto è l'americana, Lockheed Martin Aeronauticus e l'azienda italiana maggiormente coinvolta è Alenia Aeronautica che partecipa allo sviluppo ed alla produzione second source dell'ala. Sono poi coinvolte in modo minore un'altra ventina di aziende del comparto nazionale;
il costo complessivo di tale progetto è stimato in 250 miliardi di dollari, ma non è in alcun modo possibile fare stime sui costi finali reali, tanto che, per un singolo aereo, le recenti stime statunitensi (marzo 2010) parlano di un costo finale di acquisto di circa 110 milioni di dollari;
per la fase di produzione dell'aereo (successiva alle fasi di progettazione già completata) l'Italia ha ipotizzato di impegnarsi all'acquisto di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter al costo totale - solo per l'aereo senza armamenti - di oltre 12 miliardi di euro seguendo le ultime stime (cifra spalmata fino al 2026) ed alla realizzazione a Cameri (Novara) di un centro europeo di manutenzione al costo di 605,5 milioni di euro, da consegnare entro il 2012;
per la fase dello sviluppo e per quella di pre-industrializzazione, l'Italia ha sottoscritto dei memorandum of understanding che la impegnano a destinare al progetto 158,2 milioni di dollari dal 2007 al 2011, ed altri 745 milioni di dollari dal 2012 al 2046;
in un momento di grossa crisi economica come quella che sta attraversando il Paese sarebbe auspicabile un'attenzione maggiore del Governo anche nei riguardi delle spese inerenti al comparto della difesa, anche al fine di stimolare la ripresa dell'economia ed affrontare meglio la crisi di questo periodo che sta attaccando in maniera forte l'occupazione e i risparmi, senza dover procedere agli ipotizzati tagli alla scuola, alla sanità e al welfare del nostro Paese;
anche gli Stati Uniti, con la nuova presidenza di Barack Obama, hanno deciso di effettuare importanti tagli sui sistemi d'arma considerati sovradimensionati ed inutili nelle nuove prospettive strategiche per investire sulla componente umana,

impegna il Governo:

a procedere in tempi rapidi ad una attenta ridefinizione del modello di difesa che sia rispondente al dettato costituzionale ed alla politica estera italiana, oltre che alla vocazione del nostro Paese all'integrazione europea e al ruolo di peacekeeping delle Forze armate italiane;
a dare piena disponibilità per un approfondito confronto in sede parlamentare sul nuovo modello di difesa e a proseguire il lavoro per una migliore qualità e una razionalizzazione della spesa militare, accentuando la dimensione interforze dello strumento militare a livello nazionale e realizzando le migliori sinergie nel settore industriale e negli asset operativi a livello europeo, soprattutto nell'ottica della nascente difesa europea;
ad assumere iniziative finalizzate a rivedere gli stanziamenti che interessano la difesa presenti nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, comparto strategico e fondamentale per il reale rilancio dell'economia e del Paese, valutando la possibilità dell'impiego di tali risorse in ambiti di maggiore urgenza e necessità;
a rivedere il quadro complessivo delle spese militari, prevedendo una razionalizzazione delle risorse e destinando parte di esse, stanziate per armamenti, alla formazione, all'addestramento e alla riqualificazione del personale del comparto.
(1-00862)
«Porfidia, Iannaccone, Belcastro, Brugger».

La Camera,
premesso che:
il nostro Paese è impegnato in un progetto per la realizzazione di 2.700 cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35 sostenuto dagli Stati Uniti a cui partecipano altri 8 Paesi: Regno Unito al primo livello, Italia ed Olanda al secondo livello, Turchia, Canada, Australia Norvegia e Danimarca al terzo livello. La ditta capo-commessa del progetto è l'americana, Lockheed Martin Aeronauticus e l'azienda italiana maggiormente coinvolta è Alenia Aeronautica che partecipa allo sviluppo ed alla produzione second source dell'ala. Sono poi coinvolte in modo minore un'altra ventina di aziende del comparto nazionale;
il costo complessivo di tale progetto è stimato in 250 miliardi di dollari, ma non è in alcun modo possibile fare stime sui costi finali reali, tanto che, per un singolo aereo, le recenti stime statunitensi (marzo 2010) parlano di un costo finale di acquisto di circa 110 milioni di dollari;
per la fase di produzione dell'aereo (successiva alle fasi di progettazione già completata) l'Italia ha ipotizzato di impegnarsi all'acquisto di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter al costo totale - solo per l'aereo senza armamenti - di oltre 12 miliardi di euro seguendo le ultime stime (cifra spalmata fino al 2026) ed alla realizzazione a Cameri (Novara) di un centro europeo di manutenzione al costo di 605,5 milioni di euro, da consegnare entro il 2012;
per la fase dello sviluppo e per quella di pre-industrializzazione, l'Italia ha sottoscritto dei memorandum of understanding che la impegnano a destinare al progetto 158,2 milioni di dollari dal 2007 al 2011, ed altri 745 milioni di dollari dal 2012 al 2046;
in un momento di grossa crisi economica come quella che sta attraversando il Paese sarebbe auspicabile un'attenzione maggiore del Governo anche nei riguardi delle spese inerenti al comparto della difesa, anche al fine di stimolare la ripresa dell'economia ed affrontare meglio la crisi di questo periodo che sta attaccando in maniera forte l'occupazione e i risparmi, senza dover procedere agli ipotizzati tagli alla scuola, alla sanità e al welfare del nostro Paese;
anche gli Stati Uniti, con la nuova presidenza di Barack Obama, hanno deciso di effettuare importanti tagli sui sistemi d'arma considerati sovradimensionati ed inutili nelle nuove prospettive strategiche per investire sulla componente umana,

impegna il Governo

a procedere ad un ribilanciamento delle risorse destinate ai settori del personale, nell'esercizio degli investimenti, che persegua la sostenibilità delle spese militari e la disponibilità di capacità operative, rispondenti al dettato costituzionale ed alla politica estera italiana, oltre che alla vocazione del nostro Paese all'integrazione europea e al ruolo delle Forze armate nei contesti multinazionali e multidisciplinari.
(1-00862)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Porfidia, Iannaccone, Belcastro, Brugger».

Proposta emendativa riferita alla mozione Porfidia ed altri n. 1-00862

Nel dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dall'unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00862/1. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
l'Italia è impegnata da tempo in numerose operazioni militari, fuori area e non, di rilevante importanza strategica e complessità, mirate alla pacificazione di vaste aree geografiche;
le Forze armate, sui diversi scenari geopolitici, fronteggiano situazioni operative assai complesse, sia di tipologia tradizionale che asimmetrica;
sul territorio nazionale permane il rischio di azioni terroristiche, a cui si è aggiunto, negli ultimi anni, il cosiddetto rischio cibernetico, che potrebbe mettere a repentaglio l'intero tessuto delle infrastrutture critiche del Paese;
tale rischio, se non fossero previste adeguate risposte attuative, potrebbe manifestarsi nel corso di eventi di risonanza mondiale che l'Italia si troverà ad ospitare nei prossimi anni, il più prossimo quello dell'Expo 2015, che si terrà a Milano fra soli tre anni;
con la crescita qualitativa e quantitativa di tali minacce vanno adeguatamente protetti cittadini, le Forze armate tutte e le infrastrutture del Paese;
le Forze armate e le forze di polizia del Paese necessitano, per la corretta effettuazione dei compiti loro assegnati, di mezzi e materiali per combattere la minaccia con cui debbono confrontarsi;
la consistente riduzione delle spese del Ministero della difesa, nel prossimo futuro, potrebbe avere conseguenze sull'operatività delle Forze armate e sulla capacità di dotarsi di consoni mezzi di protezione;
in tal guisa, è prioritario mantenere adeguati livelli di spesa, sia di investimento che di esercizio, per garantire operatività e sicurezza delle Forze armate stesse;
in tale contesto, potrebbero essere favorite aziende estere che beneficiano di una politica industriale nazionale e di un sostegno a loro favorevole per esportare in Italia;
in alcuni ben identificati casi è necessario, per ragioni di sicurezza nazionale, il pieno e costante controllo di mezzi ed informazioni utilizzati da parte delle Forze armate italiane, tale cioè da non dipendere in alcun modo da vincoli esterni di qualsiasi genere essi siano;
il Paese possiede un'industria del settore riconosciuta ed apprezzata nel mondo per la sua competitività e livello tecnologico;
per mantenere competitività e presenza sul mercato è necessario perseguire nel tempo l'eccellenza progettuale e realizzativa, investendo con continuità risorse finanziarie ed umane, coerenti con la qualità e le prestazioni dei manufatti realizzati;
l'Europa della difesa, come sancito dal trattato di Lisbona, è sì un obiettivo strategico cui tendere, ma ancora necessita di un lungo e complesso periodo di rodaggio. Cionondimeno è prioritario che il sistema Italia possa giocare al meglio le sue competenze e la sua storia in questo settore così strategico per il futuro dell'Europa stessa;
le positive esperienze dei programmi multinazionali europei, in grado di generare importanti effetti sinergici in quanto ad operatività, economie di scala, diminuzione dei rischi correlati alla realizzazione di manufatti di alta tecnologia e comuni politiche di difesa ed industriali sono, di fatto, ferme agli anni '90, con poche, puntuali, eccezioni;
le recenti iniziative dell'Agenzia europea della difesa, in termini di condivisione e messa a fattor comune di mezzi, attività, servizi, tecnologie, stanno cominciando solo ora a generare proposte attuative;
solo in una dimensione veramente europea, il sistema Italia potrà avere un futuro e con esso l'industria italiana del settore, con i tecnici, i lavoratori, i giovani che in essa vi lavorano e vi lavoreranno;
lo sviluppo di tale settore, uno dei pochi ad alta tecnologia che vede ancora il Paese protagonista, permette, in alcuni casi, un comune uso di competenze e tecnologie, sia in ambito civile che militare;
tali competenze e realizzazioni hanno generato nel tempo ritorni economici ben superiori agli investimenti allocati, sotto forma di vendite estere e di pagamento di imposte dirette ed indirette, e, proprio per tali ragioni, in una situazione economico-finanziaria di grave sofferenza, vanno previste misure governative che stimolino la ripartenza ed il rafforzamento del posizionamento competitivo,

impegna il Governo

ad adottare specifiche iniziative affinché:
a) nel nuovo piano in elaborazione presso il Ministero della difesa e relativo all'assegnazione delle risorse fino alla fine della legislatura si trovino adeguate risposte alle istanze sopra evidenziate, anche prevedendo un significativo incremento delle risorse già allocate;
b) sia lanciata un'articolata iniziativa italiana, atta a promuovere il varo di nuovi programmi realizzativi europei, per favorire la nascita di quell'Europa della difesa, già prevista nel trattato di Lisbona, ma ad oggi attuata in modo marginale;
c) siano oggetto di verifica quei programmi di acquisto che vedano pagamenti e/o risorse finanziarie veicolate verso l'estero, senza adeguato ritorno industriale;
d) qualsiasi nuovo programma di acquisizione e/o sviluppo, strategico per il Paese, veda il prioritario coinvolgimento dell'industria e dei lavoratori italiani, specie in quelle tecnologie e/o applicazioni dove è più alto il livello di sicurezza che il sistema Paese deve poter ottenere;
e) siano progettati o rifinanziati strumenti operativi di rapido rilascio per accrescere competenze e tecnologie, mirate, da un lato, ad aumentare l'utilizzo di prodotti e sistemi italiani da parte delle Forze armate e, dall'altro, a favorire la competitività dell'impresa nazionale sui segmenti a maggiore valore aggiunto e a maggior tasso di sviluppo, tenuto conto che in tale contesto la messa a fattor comune di risorse già allocate per l'innovazione tecnologica nei diversi ministeri potrebbe ottimizzare nei tempi e nei modi quanto evidenziato.
(1-00907)
«Moffa, Guzzanti, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
l'Italia è impegnata da tempo in numerose operazioni militari, fuori area e non, di rilevante importanza strategica e complessità, mirate alla pacificazione di vaste aree geografiche;
le Forze armate, sui diversi scenari geopolitici, fronteggiano situazioni operative assai complesse, sia di tipologia tradizionale che asimmetrica;
sul territorio nazionale permane il rischio di azioni terroristiche, a cui si è aggiunto, negli ultimi anni, il cosiddetto rischio cibernetico, che potrebbe mettere a repentaglio l'intero tessuto delle infrastrutture critiche del Paese;
tale rischio, se non fossero previste adeguate risposte attuative, potrebbe manifestarsi nel corso di eventi di risonanza mondiale che l'Italia si troverà ad ospitare nei prossimi anni, il più prossimo quello dell'Expo 2015, che si terrà a Milano fra soli tre anni;
con la crescita qualitativa e quantitativa di tali minacce vanno adeguatamente protetti cittadini, le Forze armate tutte e le infrastrutture del Paese;
le Forze armate e le forze di polizia del Paese necessitano, per la corretta effettuazione dei compiti loro assegnati, di mezzi e materiali per combattere la minaccia con cui debbono confrontarsi;
la consistente riduzione delle spese del Ministero della difesa, nel prossimo futuro, potrebbe avere conseguenze sull'operatività delle Forze armate e sulla capacità di dotarsi di consoni mezzi di protezione;
in tal guisa, è prioritario mantenere adeguati livelli di spesa, sia di investimento che di esercizio, per garantire operatività e sicurezza delle Forze armate stesse ove il livello di finanziamento da parte dello Stato fosse insufficiente, l'industria nazionale subirebbe una progressiva riduzione di capacità tecnologica e competitività, a tutto favore dell'industria estera concorrente;
in alcuni ben identificati casi è necessario, per ragioni di sicurezza nazionale, il pieno e costante controllo di mezzi ed informazioni utilizzati da parte delle Forze armate italiane, tale cioè da non dipendere in alcun modo da vincoli esterni di qualsiasi genere essi siano;
il Paese possiede un'industria del settore riconosciuta ed apprezzata nel mondo per la sua competitività e livello tecnologico;
per mantenere competitività e presenza sul mercato è necessario perseguire nel tempo l'eccellenza progettuale e realizzativa, investendo con continuità risorse finanziarie ed umane, coerenti con la qualità e le prestazioni dei manufatti realizzati;
l'Europa della difesa, come sancito dal trattato di Lisbona, è sì un obiettivo strategico cui tendere, ma ancora necessita di un lungo e complesso periodo di rodaggio. Cionondimeno è prioritario che il sistema Italia possa giocare al meglio le sue competenze e la sua storia in questo settore così strategico per il futuro dell'Europa stessa;
le positive esperienze dei programmi multinazionali europei, in grado di generare importanti effetti sinergici in quanto ad operatività, economie di scala, diminuzione dei rischi correlati alla realizzazione di manufatti di alta tecnologia e comuni politiche di difesa ed industriali sono, di fatto, ferme agli anni '90, con poche, puntuali, eccezioni;
le recenti iniziative dell'Agenzia europea della difesa, in termini di condivisione e messa a fattor comune di mezzi, attività, servizi, tecnologie, stanno cominciando solo ora a generare proposte attuative;
solo in una dimensione veramente europea, il sistema Italia potrà avere un futuro e con esso l'industria italiana del settore, con i tecnici, i lavoratori, i giovani che in essa vi lavorano e vi lavoreranno;
lo sviluppo di tale settore, uno dei pochi ad alta tecnologia che vede ancora il Paese protagonista, permette, in alcuni casi, un comune uso di competenze e tecnologie, sia in ambito civile che militare;
tali competenze e realizzazioni hanno generato nel tempo ritorni economici ben superiori agli investimenti allocati, sotto forma di vendite estere e di pagamento di imposte dirette ed indirette, e, proprio per tali ragioni, in una situazione economico-finanziaria di grave sofferenza, vanno previste misure governative che stimolino la ripartenza ed il rafforzamento del posizionamento competitivo,

impegna il Governo

ad adottare specifiche iniziative affinché:
a) nel nuovo piano in elaborazione presso il Ministero della difesa e relativo all'assegnazione delle risorse fino alla fine della legislatura si trovino adeguate risposte alle istanze sopra evidenziate, anche prevedendo un significativo incremento delle risorse già allocate;
b) sia lanciata un'articolata iniziativa italiana, atta a promuovere il varo di nuovi programmi realizzativi europei, per favorire la nascita di quell'Europa della difesa, già prevista nel trattato di Lisbona, ma ad oggi attuata in modo marginale;
c) vengano attivamente promossi i ritorni industriali dei programmi che vedono pagamenti o risorse finanziarie veicolati verso l'estero, indirizzandoli allo sviluppo di capacità del comparto industriale nazionale cui sia stata attribuita la valenza di capacità strategica chiave;
d) qualsiasi nuovo programma di acquisizione e/o sviluppo, strategico per il Paese, veda il prioritario coinvolgimento dell'industria e dei lavoratori italiani, specie in quelle tecnologie e/o applicazioni dove è più alto il livello di sicurezza che il sistema Paese deve poter ottenere;
e) siano progettati o rifinanziati strumenti operativi di rapido rilascio per accrescere competenze e tecnologie, mirate, da un lato, ad aumentare l'utilizzo di prodotti e sistemi italiani da parte delle Forze armate e, dall'altro, a favorire la competitività dell'impresa nazionale sui segmenti a maggiore valore aggiunto e a maggior tasso di sviluppo, supportando con convinzione la recente iniziativa dei Ministeri degli affari esteri, della difesa e dello sviluppo economico, finalizzata a strutturare il supporto istituzionale alle vendite all'estero, indispensabile per la stabilità finanziaria del settore industriale, nonché a razionalizzare l'offerta di prodotti acquisendo sin dalla concezione dei sistemi, sulla base dei requisiti delle Forze armate nazionali, le caratteristiche che li rendono appetibili per il mercato internazionale.
(1-00907)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Moffa, Guzzanti, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

Proposta emendativa riferita alla mozione Moffa ed altri n. 1-00907

Nel dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dall'unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00907/1. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
la condizione delle finanze pubbliche del nostro Paese è oggetto di preoccupazioni per le pressioni esercitate dai mercati sui titoli del debito italiano;
tale situazione implica un intervento volto ad accogliere misure straordinarie, al fine di consolidare la fiducia dei mercati e delle maggiori istituzioni internazionali nei confronti dell'Italia;
il settore della difesa è il settore sul quale è possibile incidere, in quanto sono necessarie una razionalizzazione degli investimenti e una riduzione degli eventuali sprechi, che consentano di salvaguardare la futura operatività dello strumento militare, senza escludere quindi investimenti, secondo le possibilità del Paese, nelle Forze armate, garantendo in questo modo lo sviluppo tecnologico e un sensibile incremento italiano;
le spese di funzionamento che garantiscono il mantenimento nel tempo di capacità operative essenziali per lo strumento militare, come l'addestramento del personale e la manutenzione dei mezzi, devono essere salvaguardate;
l'adesione al programma Joint Strike Fighter si ritiene necessaria, in quanto ad uno strumento militare serio non può mancare la componente aerea, senza trascurare il fatto che la dotazione attuale va ammodernata e la scelta dell'F35 viene ritenuta tecnologicamente, operativamente e industrialmente valida;
il numero degli effettivi alle armi va dimensionato e collegato alle possibilità di spesa del nostro Paese;
il più consistente intervento militare oltremare mai intrapreso dall'Italia è quello in Afghanistan, dove è impegnato un contingente militare di circa 4 mila uomini;
le eventuali storture che emergeranno vanno eliminate attraverso una politica militare italiana basata, soprattutto, sulla preferenza al merito rispetto all'anzianità,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di:
a) contenere l'ampiezza delle prossime campagne di arruolamento e predisporre la mobilità verso amministrazioni che risultino carenti di personale con profili compatibili, in modo tale da avvicinare progressivamente gli organici delle Forze armate italiane a quote ritenute corrispondenti alla situazione economica del Paese;
b) prevedere la partecipazione nazionale a tutti i più importanti programmi multinazionali di progettazione, sviluppo e produzione di mezzi strumentali, suscettibili di avere ripercussioni occupazionali e sviluppi scientifici e tecnologici nel nostro Paese, oltre che nell'operatività dello strumento militare italiano;
c) confermare la riduzione della commessa per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri, secondo quanto annunciato dal Ministro della difesa, e cioè procedere all'acquisto di 90 F-35 in luogo dei 131 inizialmente previsti dal programma.
(1-00908)
«Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Miccichè, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova, Mario Pepe (Misto-R-A)».

Proposta emendativa riferita alla mozione Misiti ed altri n. 1-00908

Nel dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dall'unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00908/1. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
il quadro geopolitico che orienta le scelte del nostro Paese dal punto di vista della sicurezza nazionale ed internazionale si è caratterizzato negli ultimi anni per i profondi cambiamenti intervenuti, riassumibili nell'emergere di nuovi soggetti in grado di mutare gli equilibri politici ed economici precedenti e nelle grandi difficoltà finanziarie ed economiche che stanno attraversando il mondo occidentale;
sulla base di questi fattori si rende necessario rivedere dimensioni, quantità e qualità del nostro strumento militare, tenendo conto delle risorse finanziarie disponibili e mettendo in relazione gli aspetti prettamente militari con quelli di politica internazionale, di politica economica, sociale e di carattere industriale;
la difficile congiuntura economica internazionale e lo stato critico dei conti pubblici italiani impongono serie politiche di rigore e di riqualificazione in ogni settore dello Stato e, quindi, anche per la quota di risorse destinata alla funzione della difesa;
tali risorse sono andate riducendosi in misura consistente nel corso degli ultimi anni, in ragione dei tagli lineari imposti al settore, mettendo a dura prova la sostenibilità dell'attuale modello organizzativo delle Forze armate, come lo stesso Ministro della difesa, in occasione della presentazione delle linee di indirizzo programmatico del suo ministero, ha apertamente dichiarato;
si è, quindi, di fronte alla necessità di pervenire ad una ridefinizione degli obiettivi e degli strumenti in materia di sicurezza e di difesa nazionale. Necessità rappresentata al Consiglio supremo di difesa, presieduto da Giorgio Napolitano, nella seduta dell'8 febbraio 2012 e in quella sede approfondita, nel pieno rispetto del carattere consultivo del Consiglio stesso;
si tratta, quindi, di avviare in Parlamento una seria discussione sui compiti che sono chiamate ad assolvere le nostre Forze armate e su quale possa essere lo strumento militare più adeguato per assicurare i livelli di operatività che Governo e Parlamento dovranno definire insieme, attraverso una puntuale corrispondenza tra obiettivi e risorse;
il quadro di riorganizzazione delle nostre Forze armate delineato dal Ministro della difesa presenta molte difficoltà e altrettanti aspetti al momento tutt'altro che risolti, a partire dalle modalità con cui affrontare una così impegnativa riduzione di personale senza venir meno al dovere di riconoscergli la professionalità, la dedizione e l'impegno con cui ha fin qui adempiuto ai compiti che è stato chiamato a svolgere, considerando, al di là degli eventuali risparmi di spesa, il costo sociale derivante da una così ampia riduzione dei reclutamenti e gli effetti che può determinare in una fase di recessione;
per quanto riguarda il settore degli investimenti sui sistemi d'arma, assume rilevanza il programma Joint Strike Fighter che, aldilà della sua connotazione tecnologicamente avanzata, deve comunque superare ancora alcune criticità funzionali, nonché quelle relative ai costi, che non risultano ancora definiti, e alle ricadute economiche per le nostre imprese del settore;
negli stessi Stati Uniti, per effetto delle misure di riduzione delle spese militari che non hanno risparmiato questo programma, sono stati ridimensionati gli ordinativi da parte delle Forze armate statunitensi, che risultano nel triennio fortemente ridotti. Inoltre, il Dipartimento della difesa degli Usa ha posto una riserva per un'ulteriore riduzione del numero dei velivoli, da sciogliere soltanto dopo il 2017;
anche il Governo italiano, prima ancora di assumere decisioni vincolanti, ha, molto opportunamente, annunciato, per ragioni di compatibilità economica, una riduzione di 40 velivoli rispetto alle ipotesi di previsione iniziale, in coerenza con il più ampio disegno di revisione dello strumento militare;
per l'assolvimento dei compiti di difesa e di partecipazione alle missioni internazionali, a fronte delle esigenze operative prevedibili per i prossimi 30-40 anni, sono stati individuati l'Eurofighter thypoon (Efa) e il Joint Strike Fighter;
la realizzazione dell'Eurofighter thypoon è affidata a un consorzio europeo, nel quale il ruolo significativo delle nostre industrie interessate consente la piena sovranità operativa sul velivolo e consistenti ritorni occupazionali ed economici, che non possono essere ignorati dal committente pubblico nazionale più importante nel settore militare,

impegna il Governo:

ad affrontare le questioni indicate in premessa, che riguardano funzioni fondamentali per il nostro Paese, attraverso un percorso da sviluppare in maniera del tutto trasparente in sede parlamentare;
a rendere, preliminarmente, noto in Parlamento il piano degli investimenti che il Governo intende sostenere nel breve-medio termine, alla luce delle disponibilità finanziarie a legislazione vigente, così come risulta dagli interventi di contenimento della spesa pubblica;
a mantenere aperta e costante nel tempo una valutazione trasparente sull'opportunità di ulteriori riduzioni della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter, considerando anche le modalità adottate dall'amministrazione Usa di non confermare un numero definitivo di velivoli da ordinare fino al 2017, in modo da poter valutare, attraverso un confronto parlamentare, sia le reali esigenze del nostro strumento militare, sia lo stato di avanzamento della risoluzione delle criticità tecniche del programma ed il conseguente impegno degli altri partner internazionali, sia le condizioni economico-finanziarie internazionali, con particolare riguardo alla situazione di bilancio del nostro Paese;
ad adottare tutte le iniziative necessarie per superare le difficoltà connesse alla realizzazione di una difesa comune europea, che tenga conto anche degli aspetti correlati allo sviluppo dell'industria europea della difesa;
ad individuare forme di collaborazione o di integrabilità dello strumento militare con altri Paesi alleati;
a dare impulso a tutte le possibili iniziative utili a realizzare la progressiva integrazione multinazionale delle Forze armate nell'ambito della politica di sicurezza e difesa comune (psdc) europea, considerandola un passaggio ormai ineludibile nel processo di riorganizzazione e di potenziamento delle capacità di intervento del nostro strumento militare;
a sostenere, con attiva partecipazione, lo sforzo internazionale per il disarmo, in primo luogo quello nucleare, la non proliferazione nucleare e il sostegno a misure di cooperazione e di fiducia anche nei settori convenzionali.
(1-00909)
«Rugghia, Garofani, Giacomelli, Gianni Farina, Fioroni, La Forgia, Laganà Fortugno, Letta, Migliavacca, Mogherini Rebesani, Recchia, Rosato, Rigoni, Villecco Calipari, Tempestini, Vico, Lulli, Rampi».

La Camera,
premesso che:
il quadro geopolitico che orienta le scelte del nostro Paese dal punto di vista della sicurezza nazionale ed internazionale si è caratterizzato negli ultimi anni per i profondi cambiamenti intervenuti, riassumibili nell'emergere di nuovi soggetti in grado di mutare gli equilibri politici ed economici precedenti e nelle grandi difficoltà finanziarie ed economiche che stanno attraversando il mondo occidentale;
sulla base di questi fattori si rende necessario rivedere dimensioni, quantità e qualità del nostro strumento militare, tenendo conto delle risorse finanziarie disponibili e mettendo in relazione gli aspetti prettamente militari con quelli di politica internazionale, di politica economica, sociale e di carattere industriale;
la difficile congiuntura economica internazionale e lo stato critico dei conti pubblici italiani impongono serie politiche di rigore e di riqualificazione in ogni settore dello Stato e, quindi, anche per la quota di risorse destinata alla funzione della difesa;
tali risorse sono andate riducendosi in misura consistente nel corso degli ultimi anni, in ragione dei tagli lineari imposti al settore, mettendo a dura prova la sostenibilità dell'attuale modello organizzativo delle Forze armate, come lo stesso Ministro della difesa, in occasione della presentazione delle linee di indirizzo programmatico del suo ministero, ha apertamente dichiarato;
si è, quindi, di fronte alla necessità di pervenire ad una ridefinizione degli obiettivi e degli strumenti in materia di sicurezza e di difesa nazionale. Necessità rappresentata al Consiglio supremo di difesa, presieduto da Giorgio Napolitano, nella seduta dell'8 febbraio 2012 e in quella sede approfondita, nel pieno rispetto del carattere consultivo del Consiglio stesso;
si tratta, quindi, di avviare in Parlamento una seria discussione sui compiti che sono chiamate ad assolvere le nostre Forze armate e su quale possa essere lo strumento militare più adeguato per assicurare i livelli di operatività che Governo e Parlamento dovranno definire insieme, attraverso una puntuale corrispondenza tra obiettivi e risorse;
il quadro di riorganizzazione delle nostre Forze armate delineato dal Ministro della difesa presenta molte difficoltà e altrettanti aspetti al momento tutt'altro che risolti, a partire dalle modalità con cui affrontare una così impegnativa riduzione di personale senza venir meno al dovere di riconoscergli la professionalità, la dedizione e l'impegno con cui ha fin qui adempiuto ai compiti che è stato chiamato a svolgere, considerando, al di là degli eventuali risparmi di spesa, il costo sociale derivante da una così ampia riduzione dei reclutamenti e gli effetti che può determinare in una fase di recessione;
per quanto riguarda il settore degli investimenti sui sistemi d'arma, assume rilevanza il programma Joint Strike Fighter che, aldilà della sua connotazione tecnologicamente avanzata, deve comunque superare ancora alcune criticità funzionali, nonché quelle relative ai costi, che non risultano ancora definiti, e alle ricadute economiche per le nostre imprese del settore;
negli stessi Stati Uniti, per effetto delle misure di riduzione delle spese militari che non hanno risparmiato questo programma, sono stati ridimensionati gli ordinativi da parte delle Forze armate statunitensi, che risultano nel triennio fortemente ridotti. Inoltre, il Dipartimento della difesa degli Usa ha posto una riserva per un'ulteriore riduzione del numero dei velivoli, da sciogliere soltanto dopo il 2017;
anche il Governo italiano, prima ancora di assumere decisioni vincolanti, ha, molto opportunamente, annunciato, per ragioni di compatibilità economica, una riduzione di 40 velivoli rispetto alle ipotesi di previsione iniziale, in coerenza con il più ampio disegno di revisione dello strumento militare;
per l'assolvimento dei compiti di difesa e di partecipazione alle missioni internazionali, a fronte delle esigenze operative prevedibili per i prossimi 30-40 anni, sono stati individuati l'Eurofighter thypoon (Efa) e il Joint Strike Fighter;
la realizzazione dell'Eurofighter thypoon è affidata a un consorzio europeo, nel quale il ruolo significativo delle nostre industrie interessate consente la piena sovranità operativa sul velivolo e consistenti ritorni occupazionali ed economici, che non possono essere ignorati dal committente pubblico nazionale più importante nel settore militare,

impegna il Governo:

ad affrontare le questioni indicate in premessa, che riguardano funzioni fondamentali per il nostro Paese, attraverso un percorso da sviluppare in sede parlamentare;
a rendere, preliminarmente, noto in Parlamento il piano degli investimenti che il Governo intende sostenere nel breve-medio termine, alla luce delle disponibilità finanziarie a legislazione vigente, così come risulta dagli interventi di contenimento della spesa pubblica;
a mantenere aperta e costante nel tempo una valutazione trasparente, attraverso i previsti passaggi parlamentari, sulla partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter, riconsiderando il numero effettivo di velivoli da acquisire, così come stanno facendo gli altri Paesi coinvolti nel progetto, in primis gli Stati Uniti, in modo da poter valutare nel tempo l'esigenza del nostro strumento militare, lo stato di avanzamento del progetto e del costo ad esso collegato;
ad adottare tutte le iniziative necessarie per superare le difficoltà connesse alla realizzazione di una difesa comune europea, che tenga conto anche degli aspetti correlati allo sviluppo dell'industria europea della difesa;
ad individuare forme di collaborazione o di integrabilità dello strumento militare con altri Paesi alleati;
a dare impulso a tutte le possibili iniziative utili a realizzare la progressiva integrazione multinazionale delle Forze armate nell'ambito della politica di sicurezza e difesa comune (psdc) europea, considerandola un passaggio ormai ineludibile nel processo di riorganizzazione e di potenziamento delle capacità di intervento del nostro strumento militare;
a sostenere, con attiva partecipazione, lo sforzo internazionale per il disarmo, in primo luogo quello nucleare, la non proliferazione nucleare e il sostegno a misure di cooperazione e di fiducia anche nei settori convenzionali.
(1-00909)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rugghia, Garofani, Giacomelli, Gianni Farina, Fioroni, La Forgia, Laganà Fortugno, Letta, Migliavacca, Mogherini Rebesani, Recchia, Rosato, Rigoni, Villecco Calipari, Tempestini, Vico, Lulli, Rampi».

Proposte emendative riferite alla mozione Rugghia ed altri n. 1-00909

Nella premessa, premettere il seguente capoverso: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla riduzione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011;.
1-00909/1. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nella premessa, premettere il seguente capoverso: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla rimodulazione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011;.
1-00909/1.(Testo modificato nel corso della seduta)Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.
(Approvato)

Nel dispositivo, sostituire il quarto capoverso con il seguente: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dall'unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00909/2. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
il quadro geopolitico mondiale è caratterizzato da un profondo mutamento dei consolidati equilibri e da difficoltà finanziarie ed economiche che limitano fortemente gli spazi di manovra della spesa pubblica;
il nostro Paese, nel più ampio rispetto degli impegni internazionali e compatibilmente con le risorse disponibili, sta provvedendo a rendere il proprio strumento militare pienamente interoperabile ed integrabile con quello degli alleati;
tale processo è focalizzato sulle crescenti necessità delle Forze armate italiane di operare in sicurezza e sulla ricaduta in termini di potenziale tecnologico, industriale ed occupazionale;
il Ministro della difesa, nel corso delle audizioni presso le Commissioni difesa del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati del 15 e 29 febbraio 2012, ha preannunciato, in ragione delle risorse disponibili, l'intendimento di ridimensionare il programma dei sistemi d'arma e, in particolare, di quello denominato Joint Strike Fighter (JSF), ritenendo possibile diminuire di 41 unità, rispetto alle 131 inizialmente previste, l'ordinativo dei velivoli stessi, pur mantenendo in essere l'acquisizione di circa 90 Eurofighter, il cui acquisto è già stato approvato, e che sono il frutto del lavoro di un consorzio di imprese europee (Regno Unito, Italia, Germania e Spagna),

impegna il Governo:

a presentare in Parlamento il piano di investimenti che intende sostenere, con una prospettiva di medio-lungo termine, tenendo conto delle disponibilità finanziarie a legislazione vigente;
a riconsiderare, così come stanno facendo gli altri Paesi coinvolti nel progetto Joint Strike Fighter, in primis gli Stati Uniti, il numero effettivo di velivoli da ordinare, subordinando le decisioni alle esigenze operative, allo stato di avanzamento del progetto stesso ed ai costi ad esso collegati.
(1-00920)
«Cicu, Baldelli, Ascierto, Barba, Cannella, De Angelis, Gregorio Fontana, Holzmann, Mazzoni, Moles, Petrenga, Luciano Rossi, Sammarco, Speciale, Antonio Martino».

Proposte emendative riferite alla mozione Cicu ed altri n. 1-00920

Nella premessa, dopo il terzo capoverso, aggiungere il seguente: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla riduzione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011;.
1-00920/1. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nella premessa, dopo il terzo capoverso, aggiungere il seguente: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla rimodulazione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011;.
1-00920/1.Testo modificato nel corso della seduta) Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.
(Approvato)

Nel dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dalla unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00920/2. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
la difficile congiuntura economica internazionale e lo stato critico dei conti pubblici italiani impongono serie politiche di rigore e di riqualificazione in ogni settore dello Stato e, quindi, anche per la quota di risorse destinata alla funzione difesa;
il Ministro della difesa, in occasione della presentazione delle linee di indirizzo programmatico del suo Ministero, ha apertamente dichiarato la necessità di pervenire ad una ridefinizione degli obiettivi e degli strumenti in materia di sicurezza e di difesa nazionale, riducendo progressivamente la spesa per il personale, al fine di riorientare le risorse così ottenute a vantaggio dei settori dell'operatività e degli investimenti in alta tecnologia;
l'obiettivo indicato dal Governo, per quanto riguarda gli investimenti nel settore dell'alta tecnologia, individua nel programma Joint Strike Fighter uno dei punti di maggiori impegno, sia finanziario che operativo;
in questo quadro è necessario avviare in Parlamento una seria discussione sui compiti che sono chiamate ad assolvere le Forze armate italiane e su quale possa essere lo strumento militare più adeguato per assicurare i livelli di operatività che Governo e Parlamento dovranno definire insieme attraverso una puntuale corrispondenza tra obiettivi e risorse;
dimensioni, quantità e qualità dello strumento militare debbono essere ridefinite tenendo conto delle risorse finanziarie disponibili e di quei mutamenti sopravvenuti a livello geopolitico che incidono sui temi della sicurezza nazionale e internazionale, mettendo in relazione gli aspetti prettamente militari con quelli di politica internazionale, di politica economica e sociale e di carattere industriale;
per quanto riguarda il programma F-35 e la sua sostenibilità, va tenuto presente, che aldilà della sua connotazione tecnologicamente avanzata, si tratta di un programma che deve ancora superare alcune criticità incontrate negli stessi Stati Uniti, che ne hanno ridimensionato gli ordinativi da parte delle proprie Forze armate, rinviando, inoltre, al 2017 decisioni quantitativamente più impegnative,

impegna il Governo:

ad assicurare la piena disponibilità ad approfondire il quadro delle scelte sommariamente enunciate dal Ministro della difesa, scelte che riguardano funzioni fondamentali per il nostro Paese, che possono essere formalizzate soltanto con decisioni assunte in Parlamento e non possono essere delegate a sedi di carattere tecnico-amministrativo;
a rinviare qualunque decisione relativa all'assunzione di impegni per nuove acquisizioni nel settore dei sistemi d'arma, sino al termine del processo di ridefinizione degli assetti organici, operativi e organizzativi dello strumento militare italiano;
a dare impulso a tutte le iniziative utili a realizzare la progressiva integrazione delle Forze armate nell'ambito europeo della politica di sicurezza e difesa comune, considerandola un passaggio ormai ineludibile nel processo di riorganizzazione dello strumento militare italiano.
(1-00943)
«Pezzotta, Sarubbi, Marco Carra, Enzo Carra, De Pasquale, Bossa, Ruvolo, Giovanelli, Castagnetti, Fogliardi, Graziano, Rubinato, Delfino, Lucà, Marchioni, Bobba, Mattesini, Tassone, Codurelli, Gasbarra, Giulietti, Nicco, Colombo, De Torre, Rossa, D'Antona, Binetti e Calgaro».

Proposte emendative riferite alla mozione Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00943

Nella premessa, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla riduzione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011,.
1-00943/1. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nella premessa, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla rimodulazione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011,.
1-00943/1.(Testo modificato nel corso della seduta) Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.
(Approvato)

Nel dispositivo, sostituire il secondo capoverso con il seguente: a sospendere il programma pluriennale di A/R SMD n. 02/2009 relativo all'acquisizione del sistema d'arma Joint strike fighter e alla realizzazione dell'associata linea FACO/MRO&U per un periodo di tre anni, a decorrere dal 2012, e nel contempo ad avviare ogni possibile azione per la riduzione, anche graduale, nella misura del 50 per cento dell'importo complessivo di spesa del medesimo programma e conseguentemente destinare i maggiori risparmi di spesa ottenuti per il rilancio dell'economia e il sostegno all'occupazione giovanile;.
1-00943/2. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nel dispositivo, sostituire il terzo capoverso con il seguente: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dall'unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00943/3. Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
i mutamenti del quadro geopolitico globale, in cui alla relativa stabilità dell'area atlantica corrisponde la crescente instabilità di aree di rilevante interesse strategico in Asia e Africa e la significativa riduzione della presenza militare statunitense in Europa, impongono nuove e crescenti responsabilità al sistema di difesa, che è chiamato a potenziare la propria autonomia ed efficienza operativa all'interno delle severe compatibilità dettate dagli obiettivi di finanza pubblica;
il Ministro della Difesa, nelle audizioni presso le Commissioni difesa di Camera e Senato, ha presentato un progetto di riforma dello strumento militare, sia in termini strutturali che funzionali, per assicurarne il bilanciamento e la convergenza verso un modello più flessibile e rispondente alle esigenze della difesa e dell'impegno internazionale del Paese, pur nel quadro di disponibilità economiche che, sia in termini assoluti che in rapporto al prodotto interno lordo, sono e rimarranno sensibilmente inferiori a quelle medie dell'Unione europea e, in misura più accentuata, dei maggiori Paesi europei;
la contrazione prevista dei volumi di organico, attraverso forme di accelerazione degli ingressi e di incentivo alla mobilità, comporta l'adozione di strumenti negoziali, che favoriscano l'adesione su base volontaria del personale e l'utilizzo dei risparmi di spesa per migliorare l'efficienza delle unità operative, anche con incentivi retributivi e di carriera coerenti con la diversa impostazione dello strumento militare;
la riconversione dello strumento militare - che il Ministro ritiene doversi realizzare nell'arco del prossimo decennio - per le sue evidenti implicazioni legislative non è materia estranea alla competenza delle Camere e implica un'assunzione di responsabilità dei gruppi politici rispetto alle esigenze strategiche e di sicurezza legate alle scelte sul dimensionamento delle forze militari e dei sistemi d'arma;
in questo quadro, la modernizzazione della componente aerotattica costituisce un'esigenza obiettiva del sistema di difesa euro-atlantica; sul punto il Governo ha espresso l'obiettivo programmatico di ridurre di una quarantina di unità l'ordinativo dei velivoli F35 rispetto ai 131 inizialmente previsti nel programma pluriennale, su cui si espressero con parere favorevole le commissioni parlamentari competenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica nell'aprile 2009;
il programma Joint Strike Fighter, cui partecipano insieme all'Italia altri nove Paesi, offre all'industria italiana un ritorno tecnologico e occupazionale di significativo valore ed è destinato a sostituire circa 250 velivoli (Tornado, Amx, Harrier), attualmente impiegati dalle Forze armate, la cui dismissione è inevitabile per obsolescenza e limiti strutturali,

impegna il Governo:

a presentare in Parlamento il progetto di revisione dello strumento militare italiano e, con esso, il programma degli investimenti che ritiene si debbano realizzare, nel breve e nel medio periodo, per assicurare una più efficiente integrazione dello strumento militare italiano nel sistema di difesa euro-atlantica, anche con riferimento alla componente aerotattica;
a valutare, in questo quadro, come gli altri Paesi coinvolti nel progetto Joint Strike Fighter, il numero di F35 da acquisire, subordinato alle varie fasi di sviluppo del progetto, ai costi e alle esigenze operative, in linea con le disponibilità economiche del sistema di difesa italiano.
(1-00963)
«Paglia, Bosi, Vernetti, Giorgio Conte, Di Biagio, Divella, Lamorte, Menia, Patarino, Toto».

Proposte emendative riferite alla mozione Paglia, Bosi, Vernetti ed altri n. 1-00963

Nella premessa, premettere il seguente capoverso: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla riduzione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011;.
1-00963/1. Maurizio Turco, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nella premessa, premettere il seguente capoverso: le intenzioni del Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, in merito alla rimodulazione delle spese militari per gli armamenti, in particolare al programma relativo all'acquisizione di 131 caccia multiruolo F-35, rese note anche al termine del Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio 2012, sembrano voler concretamente dare attuazione all'ordine del giorno n. 9/4829/61 presentato dai deputati radicali e accolto dal Governo il 16 dicembre 2011;.
1-00963/1.(Testo modificato nel corso della seduta) Maurizio Turco, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.
(Approvato)

Nel dispositivo, sostituire il secondo capoverso con il seguente: a sospendere il programma pluriennale di A/R SMD n. 02/2009 relativo all'acquisizione del sistema d'arma Joint strike fighter e alla realizzazione dell'associata linea FACO/MRO&U per un periodo di tre anni, a decorrere dal 2012, e nel contempo ad avviare ogni possibile azione per la riduzione, anche graduale, nella misura del 50 per cento dell'importo complessivo di spesa del medesimo programma e conseguentemente destinare i maggiori risparmi di spesa ottenuti per il rilancio dell'economia e il sostegno all'occupazione giovanile;.
1-00963/2. Maurizio Turco, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Nel dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: a promuovere un'iniziativa formale in sede di Consiglio europeo volta alla realizzazione di una difesa comune europea a partire dalla unificazione delle forze armate e dello sviluppo dell'industria europea della difesa.
1-00963/3. Maurizio Turco, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti.

Risoluzione

La Camera,
udito il dibattito e viste le indicazioni della mozione n. 1-00943,

impegna il Governo:

ad assicurare la piena disponibilità ad approfondire il quadro delle scelte sommariamente enunciate dal Ministro della difesa, scelte che riguardano funzioni fondamentali per il nostro Paese, che possono essere formalizzate soltanto con decisioni assunte in Parlamento e non possono essere delegate a sedi di carattere tecnico-amministrativo;
a subordinare qualunque decisione relativa all'assunzione di impegni per nuove acquisizioni nel settore dei sistemi d'arma, al processo di ridefinizione degli assetti organici, operativi e organizzativi dello strumento militare italiano;
a dare impulso a tutte le iniziative utili a realizzare la progressiva integrazione delle Forze Armate nell'ambito europeo della Politica di Sicurezza e Difesa Comune considerandola un passaggio ormai ineludibile nel processo di riorganizzazione dello strumento militare italiano.
(6-00105)
«Pezzotta, Sarubbi, Marco Carra, Enzo Carra, De Pasquale, Bossa, Ruvolo, Giovanelli, Castagnetti, Fogliardi, Graziano, Rubinato, Delfino, Lucà, Marchioni, Bobba, Mattesini, Tassone, Codurelli, Gasbarra, Giulietti, Nicco, Colombo, Rao, Calgaro, Binetti, De Torre, D'Antona, Siragusa, Narducci, Pes, Realacci, Samperi».