XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 5 giugno 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              un sano, equilibrato e completo sviluppo mentale, fisico e morale è un diritto del minore riconosciuto dal complesso dell'ordinamento giuridico nazionale e internazionale e la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo rappresenta senz'altro lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
              la Convenzione sui diritti dell'infanzia riconosce all'articolo 17 la funzione esercitata dai mass media e incoraggia a divulgare informazioni e materiali che abbiano utilità sociale e culturale e che promuovano alte finalità educative. I media devono quindi essere accessibili ai bambini e agli adolescenti, promuovendo il rispetto del diritto alla partecipazione, inoltre devono giocare un ruolo più attivo nell'informare i bambini e i ragazzi, i genitori e l'opinione pubblica in generale sulle iniziative mirate a difendere e promuovere i diritti dei bambini e degli adolescenti, così come contribuire a programmi educativi dell'infanzia;
              in Italia assistiamo ad una crescita costante della diffusione e dell'uso di internet, di telefoni cellulari, di tutti i nuovi media in generale, che dovrebbe però essere maggiormente abbinata a percorsi di studio e di educazione all'uso sicuro della Rete da parte dei bambini e degli adolescenti;
              la suddetta Convenzione, sempre all'articolo 17 (ultimo comma), invita ad elaborare «principi attivi appropriati destinati a proteggere il minorenne dalla informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere», proprio in virtù del fatto che le potenzialità di internet e di altre tecnologie di comunicazione hanno in qualche modo contributi ad aumentare il rischio di sfruttamento sessuale e di altre forme di violenza ai danni dei bambini;
              l'articolo 31 della Costituzione italiana impegna la comunità nazionale, in tutte le sue articolazioni, a proteggere l'infanzia e la gioventù;
              il codice di autoregolamentazione tv e minori, approvato il 29 novembre 2002 (e successivamente ridenominato nel 2007 codice di autoregolamentazione media e minori), nasce da un impegno delle imprese televisive per migliorare la qualità delle trasmissioni dedicate ai minori, per aiutare le famiglie ed il pubblico più giovane ad un uso corretto della televisione e per sensibilizzare chi produce i programmi al rispetto delle esigenze dei minori;
              l'articolo 34 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n.  177, il testo unico della radiotelevisione, ha sancito sul piano normativo l'obbligo per le emittenti televisive ed i fornitori di contenuti di osservare le disposizioni a tutela dei minori previste dal codice: in caso di violazione di questi obblighi, sono previste sanzioni amministrative che vanno da 25.000 a 350.000 euro, nonché, nei casi più gravi, la sospensione dell'efficacia della concessione o dell'autorizzazione per un periodo da 3 a 30 giorni;
              anche l'Unione europea riconosce nella protezione dei minori da contenuti nocivi per il loro sviluppo psichico e morale un interesse pubblico fondamentale, nel cui rispetto deve esplicarsi il diritto alla libertà di espressione; tale obiettivo deve essere perseguito dagli Stati membri con l'adozione di adeguate misure, come stabilito dalla direttiva cosiddetta «Televisione senza frontiere» (89/522/CEE) e come confermato dalla direttiva «servizi Media e Audiovisivi» (2007/65/CEE);
              nel campo specifico della tutela dei minori nei media la Commissione ha adottato il 10 marzo 2010 la «Direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi)». Si tratta di un atto normativo di grande rilievo, in quanto estende le norme di protezione dei minori, precedentemente riservate ai programmi televisivi, ai servizi di media audiovisivi a richiesta in rapida espansione, in particolare su internet;
              la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha avviato nell'ottobre 2008 un'indagine conoscitiva sul rapporto tra minori e sistema dei media, con particolare riguardo alla diffusione dei nuovi media finalizzata ad individuare forme di tutela dei minori e degli adolescenti laddove sussistano rischi di violazione o lesione dei loro diritti per via mediatica, o siano presenti rischi per il loro benessere psicofisico e per una loro armoniosa crescita. L'indagine si è avvalsa di un'ampia serie di audizioni di soggetti pubblici e privati per coprire l'ampia tipologia dei problemi che il sistema dei media, tradizionali e nuovi, comporta. Ciò anche allo scopo di consegnare agli adulti, a cominciare dai familiari, dagli educatori, dai rappresentanti delle Istituzioni preposte a garantire e tutelare i diritti dei minori e degli adolescenti, elementi di conoscenza e indicazioni utili a esercitare con maggiore efficacia il proprio ruolo in questo ambito;
              la Commissione ha audito: il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Corrado Calabrò; il Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico e comunicazioni Paolo Romani; la Società italiana di pediatria (Luigi Cataldi e Maurizio Tucci); il presidente della Mentoring USA/Italia Onlus Matilda Raffa Cuomo; il dipartimento della sicurezza nei sistemi informatici dell'università di Tor Vergata professor Gianluigi Me; il presidente del Consiglio nazionale degli utenti Luca Borgomeo; il direttore scientifico del centro studi minori e media Isabella Poli; il presidente della terza commissione per la censura cinematografica Maria Pia Baccari Vari; il segretario generale dell'Associazione editori software videoludico italiana (AESVI) Thalita Malagò; il direttore dei rapporti istituzionali di Microsoft Italia Pier Luigi Dal Pino; la coordinatrice del comitato tecnico-scientifico dell'osservatorio per il contrasto della pedofilia e pornografia minorile Cinzia Grassi; il presidente del comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori Franco Mugerli; il presidente dell'associazione telefono Arcobaleno; il presidente del centro studi e intervento infanzia violata Patrizia Pes; il direttore del servizio di polizia postale Domenico Vulpiani; il responsabile del settore politiche culturali del Censis Elisa Manna; il direttore del Progetto SOS ragazzi Guido Vignelli; l'ex-vicepresidente del Consiglio nazionale degli utenti e del comitato tv e minori Paolo Bafile; il professore di psicologia dello sviluppo e dell'educazione alla LUMSA di Roma Tonino Cantelmi, il Ministro dell'interno, Roberto Maroni, il presidente dell'associazione «Meter Onlus», Don Fortunato Di Noto, il capo struttura programmi bambini/ragazzi di Raitre, Maria Mussi Bollini, il vice direttore generale per il coordinamento dell'offerta della RAI, Antonio Marano, l'associazione Save The Children;
              l'indagine ha effettuato una disamina dei seguenti mezzi di comunicazione: la televisione con particolare riguardo al ruolo del servizio pubblico, internet e la rete globale con specifici approfondimenti relativi alla pedopornografia on line e ai social network, la telefonia mobile e i videogiochi. Ed è emerso come dato significativo che l'attuale sviluppò tecnologico consente una crescente diffusione di nuovi strumenti comunicativi, rispetto ai quali le fasce di età dell'infanzia e dell'adolescenza risultano particolarmente sensibili;
              per quanto riguarda la tv è emerso un elevato grado di diffusività e di accessibilità del mezzo televisivo tra i minori, (si parla anche di 40 ore settimanali trascorse davanti alla tv). In alcuni casi la tv svolge una funzione di accompagnamento o babysitting che favorisce l'isolamento fra i membri della famiglia e spesso costituisce un ostacolo allo sviluppo emotivo e relazionale del bambino, accentuato inoltre dall'alto grado di passività e di insufficiente protezione della fascia di programmazione riservata ai minori che caratterizza la fruizione della tv generalista. Inoltre la rappresentazione gratuita della violenza, che si riscontra non solo nei contenuti dei film e della cosiddetta fiction televisiva, ma anche nella cronaca nera e giudiziaria, così come il degrado culturale di alcuni programmi, un eccesso di erotismo o di turpiloquio rappresentano un grave pericolo a cui sono esposti i minori nella fruizione dei programmi televisivi. Un ulteriore gruppo di problematiche nasce dai modelli alimentari che la televisione propone direttamente (attraverso la moda, il cinema, le trasmissioni di intrattenimento) o indirettamente (nel caso dei messaggi pubblicitari, frequentissimi anche nella fascia oraria protetta per i minori);
              il web incide sul processo di formazione e di educazione dei bambini e degli adolescenti. È infatti all'uso – o per meglio dire all'abuso – della rete globale che si riconducono alcune problematiche attinenti alla tutela della salute fisica e psichica dei minori, problematiche che hanno recentemente sollevato la preoccupazione di molti soggetti attivi nel settore della psicologia infantile e della prevenzione degli abusi sui minori, nonché tra le associazioni di genitori: un uso improprio da parte di bambini (e adolescenti) dell'informazione fornita in rete; un forte e indiscriminato impatto sui minori della pubblicità presente in internet; la nota questione dell'incontrollato livello qualitativo dei contenuti della rete; ma soprattutto la quotidiana consumazione in rete di crimini a danno dei minori che si realizza attraverso il mercato della pedopornografia via internet. Un altro aspetto degno di nota è la costruzione di un'identità sociale e personale attraverso la rete o i social network: alcuni ragazzi si rifugiano su internet – e in particolare nei social network – per recuperare una dimensione affettiva e un senso di appartenenza di cui evidentemente avvertono la mancanza nella realtà familiare o anche scolastica;
              anche la telefonia mobile e i videogiochi, modificando i tempi della comunicazione interna alla famiglia e inducendo i minori a cercare nuove aree di comunicazione e di svago, in campi che i genitori spesso non sono in grado di dominare (internet, videogiochi, terminali di videofonia e messaggistica), sono potenzialmente in grado di danneggiare la salute psichica e il benessere generale del minore. Alcune recenti ricerche hanno infatti evidenziato che un uso massiccio e continuo dei cellulari da parte dei minori induce disturbi nella loro vita relazionale, distrae l'attenzione a scuola e riduce il livello di concentrazione nelle applicazioni scolastiche più complesse;
              recenti ricerche dimostrano però che, se ben utilizzate, le nuove tecnologie sono in grado di potenziare le capacità del bambino (linguistiche, cognitive e relazionali), laddove un uso eccessivo e incontrollato e l'esposizione a contenuti inadeguati (violenza, razzismo, sesso) possono favorire percorsi di crescita disadattivi, caratterizzati da aggressività, insuccesso scolastico e isolamento sociale,

impegna il Governo:

          ad esercitare con efficacia il proprio ruolo anche nel campo della comunicazione riguardo la chiarezza delle norme, la lotta all'illegalità, il rigore nell'applicazione delle leggi esistenti, il controllo efficace sui contenuti mass mediatici e sulle agenzie educative anche assumendo iniziative normative che assicurino condanne severe per i trasgressori della legge;
          ad assumere iniziative normative dirette a:
              a) inasprire le sanzioni attualmente previste a carico dei fornitori di servizi media audiovisivi che violano i divieti di pubblicità per minori o le regole che disciplinano la cosiddetta fascia protetta per i minori nella programmazione televisiva;
              b) prevedere espressamente in questi casi la sanzione dell'oscuramento o – in alternativa – una sanzione pecuniaria molto elevata che produca un sicuro effetto deterrente;
              c) obbligare l'emittente a dare notizia dell'applicazione della sanzione nella fascia oraria di massimo ascolto;
              d) far sì che il telespettatore possa denunciare eventuali violazioni dei codici di autoregolamentazione ad un numero dedicato presso il comitato media e minori;
          ad assumere iniziative dirette a razionalizzare le norme attualmente previste a tutela dei minori nei mezzi di comunicazione al fine di configurare un vero e proprio codice di tutela dei minori, che, oltre ad includere tutta la normativa esistente in materia, introduca norme sulla partecipazione dei minori ai programmi radiotelevisivi e disposizioni che vietino il coinvolgimento dei minori in forme di pubblicità indiretta;
          ad attuare integralmente quanto disposto dalla direttiva europea sui servizi di media audiovisivi (direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 marzo 2010 assumendo le necessarie iniziative, anche normative, per assicurare il pieno rispetto dei principi di cui all'articolo 34, comma 4, del testo unico della radiotelevisione, stabilendo, in particolare opportuni strumenti di tutela e sanzionatori che evitino qualsiasi possibilità discrezionale di estensione dell'accesso televisivo per le trasmissioni gravemente nocive per i minori anche considerati gli orientamenti, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo del tutto insoddisfacenti, assunti in materia dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
          a richiamare anche in sede di rinnovo del Contratto di servizio pubblico radiotelevisivo, il servizio pubblico radiotelevisivo ad un maggior rigore e ad una progressiva eliminazione degli spot pubblicitari dalla fascia oraria di programmazione destinata ai minori ed affinché perché siano opportunamente regolamentate le trasmissioni di cronaca nera e giudiziaria e i programmi di genere reality in modo che non rechino danno alla sviluppo psicofisico e al benessere dei minori;
          a mettere in atto iniziative, se del caso normative, rivolte al settore della telefonia mobile che sanzionino chi invia messaggi telefonici nocivi e che obblighino i gestori di telefonia mobile ad eliminare dal menù di accesso del telefono cellulare i servizi a contenuto sensibile, o in alternativa a criptarli e ad indicare nei contratti rivolti ai consumatori i servizi adatti solo ad un'utenza adulta;
          a provvedere a disciplinare il settore dei videogiochi, classificando i prodotti secondo i livelli di tutela dei minori e individuando un organo cui deferire funzioni di controllo e sanzione in materia;
          a promuovere, ai fini di un efficace lotta alla pedopornografia e agli abusi dei minori via internet, l'introduzione anche in ordinamenti stranieri, attraverso le idonee sedi internazionali ed europee, dei reati di grooming, di turismo sessuale, di uso di minori per produzione di materiale pedopornografico, di pedofilia culturale; a promuovere la costituzione di coordinamenti interforze fra polizie del maggior numero possibile di Paesi che dispongano di una banca dati internazionale e di mezzi idonei a promuovere la sicurezza dei minori in rete e nei nuovi mezzi di comunicazione;
          ad indirizzare il ruolo delle istituzioni educative, compreso il servizio pubblico radiotelevisivo, a preparare i giovani a fruire dei media; ad innovare la didattica in modo tale che i nuovi strumenti di comunicazione potenzino l'attrattiva e l'efficacia dell'apprendimento, la capacità critica nei confronti dell'informazione e delle tecniche pubblicitarie palesi e subliminali; a formare, a tal fine, i docenti ed offrire momenti formativi a genitori ed educatori.
(1-01069) «Zampa, Pagano, Capitanio Santolini, Di Giuseppe, Polledri, Mussolini, De Torre, Brandolini, Mattesini, Schirru, Sbrollini».


      La Camera,
          premesso che:
              lo sviluppo delle imprese cooperative è stato una delle caratteristiche portanti dell'affermazione dei sistemi economici e produttivi moderni;
              il fenomeno è connaturato alle origini stesse delle democrazie industriali e di quelle liberali in particolare;
              già nel 1760, in Inghilterra, alcuni contadini diedero vita ad un mulino cooperativo e nel 1815, sempre in Inghilterra, sorse un primo forno cooperativo; mentre in Francia, nel 1831, nasceva una prima cooperativa di produzione che pubblicava il giornale cooperativo L'Europeo;
              la storia del fenomeno cooperativo porta con sé l'impronta di forti valori e valenze sociali, tanto che, sintetizzando, si potrebbe affermare che essa rappresenta la volontà di affermare un sistema di produzione di impresa partecipato;
              la prima vera cooperativa nacque nel 1844 a Rochdale, sobborgo di Manchester, in Inghilterra, per iniziativa di un gruppo di operai tessili che già allora diedero vita ad uno statuto, espressione degli obiettivi cooperativi, le cui finalità di fondo ancora oggi costituiscono un punto di riferimento per milioni di cooperatori in tutto il mondo;
              in Italia, nel 1854, per contrastare gli effetti di una grave carestia agricola ed il conseguente rincaro dei prezzi, la Società degli operai di Torino apre la prima cooperativa italiana, il Magazzino di previdenza. Due anni dopo, a Savona, verrà costituita la prima cooperativa italiana di produzione e lavoro, l'Associazione artistico vetraria di Altare. Promosse da liberali e repubblicani mazziniani, le cooperative trovarono vasto consenso, diventando un efficace strumento di coesione sociale, il mezzo per permettere alle classi meno abbienti dei lavoratori di inserirsi nel tessuto produttivo in modo non conflittuale;
              non a caso fu un Governo liberale, quello di Giovanni Giolitti, a puntare sul sistema cooperativo come strumento organico dello sviluppo economico e produttivo del Paese. In ottica liberale, la cooperazione diventa il punto di incontro e di sintesi tra capitale e forza lavoro, ma significative furono anche, per essa, l'ispirazione cattolica e quella socialista;
              la cooperazione, dunque, sin dalle origini unitarie del nostro Paese, coinvolge ed è supportata dalle tre grandi idee che ne sostengono l'esistenza stessa: quella mazziniana e liberale, quella cattolica e quella socialista, le tre grandi culture che hanno attraversato ed unito l'intera storia italiana;
              il nostro Costituente era ben consapevole dell'importanza e della peculiarità del fenomeno. Non a caso, l'articolo 45 della Costituzione della Repubblica italiana specifica che: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità»;
              nel periodo repubblicano, il sistema cooperativo ha saputo svilupparsi e crescere, diventando una delle realtà produttive peculiari del sistema Italia. Fortemente radicate sul territorio, le cooperative crescono con la comunità locale di riferimento, non delocalizzano, non esportano ricchezza e, per loro natura, sono capaci di funzionare sintetizzando profitto e solidarietà;
              la realtà della cooperazione rappresenta oggi, dunque, un settore sul quale investire con convinzione, al fine di farne uno dei principali strumenti per affrontare e superare la crisi. Per il rilancio dello sviluppo economico e la tenuta sociale del Paese, il sistema cooperativo rappresenta una grande risorsa;
              l'impresa cooperativa rappresenta la forma più avanzata di democrazia economica, capace di riunire nelle stesse mani capitale e lavoro nella figura del socio lavoratore;
              purtroppo, pur non essendo in discussione la rilevanza delle imprese cooperative dal punto di vista economico, sociale ed occupazionale, non si dispone, però, di informazioni di dettaglio omogenee e costantemente aggiornate, tali da consentirne un monitoraggio ed una definizione puntuali. Tale carenza è probabilmente all'origine della scarsa conoscenza delle performance di tali imprese, della loro importanza in termini di contributo al prodotto interno lordo e del loro considerevole apporto ai fini dello sviluppo delle comunità di riferimento. Certamente, ciò rappresenta un fattore penalizzante per la cooperazione tutta;
              soprattutto, si è in presenza di una scarsa considerazione in termini di sostegno normativo;
              per inquadrare il movimento cooperativo italiano appare opportuno prendere in considerazione i dati relativamente recenti ed organizzati intorno ai parametri più significativi come il numero di imprese (ripartite per settore e territorio), il valore della produzione, di occupati (soci lavoratori e dipendenti), riportati da tre importanti fonti di informazione: il bollettino del Ministero dello sviluppo economico pubblicato come supplemento alla Rivista della cooperazione n.  4/2009; il primo rapporto Euricse «La Cooperazione in Italia» edito nel novembre 2011, ed infine «I fabbisogni professionali e formativi delle imprese cooperative per il 2011» predisposto da Unioncamere nell'ambito del sistema informativo Excelsior;
              i dati riportati nei primi due testi citati sono comparabili, in quanto prendono entrambi a riferimento il 2008-2009; relativamente al terzo elaborato appaiono indicative le schede previsionali, nelle quali, sulla base delle serie storiche delle statistiche occupazionali per gli anni 2001-2010, vengono costruiti scenari di prospettiva che tengono conto anche della crisi nel frattempo sopraggiunta ed ancora tutt'altro che superata;
              il totale delle imprese iscritte all'Albo delle società cooperative, è di 79.400 suddivise nei vari settori, tra i quali le cooperative di produzione e lavoro sono 31.378 pari al 39,52 per cento quelle sociali 14.139 pari al 17,81 per cento quelle edilizie e di abitazione 11.861 pari al 14,94 per cento, solo per citare le percentuali maggiori;
              per quanto riguarda, invece, la loro ripartizione geografica: al Nord sono 27.676 pari al 34,86 per cento; al Centro 17.581 pari al 22,14 per cento e al Sud 21.383 pari al 26,93 per cento, mentre nelle isole 12.720 pari al 16,07 per cento;
              proseguendo l'esame, un dato interessante presente nel bollettino è quello relativo al trend fatto registrare dalle imprese cooperative nel triennio 2006-2008, che mostra come le migliori performance siano riconducibili alle cooperative di lavoro e sociali;
              spostando poi l'attenzione sul versante occupazionale, secondo il rapporto Euricse, gli occupati – soci lavoratori e dipendenti – nelle cooperative attive sono, comprendendo sia le cooperative che le cooperative sociali 1.55.290 di cui il 28,3 per cento risulta occupato al Nord il 28,4 per cento al Nord-est, il 21 per cento al Centro ed il 14,4 per cento al Sud, mentre nelle isole gli occupati sono il 7,7 per cento;
              sempre secondo il rapporto Excelsior: «In termini di diffusione imprenditoriale, a metà 2011 il mondo cooperativo rappresenta – considerando le imprese attive, cioè in condizione di normale funzionamento – circa l'1,6 per cento dell'imprenditoria italiana (circa 82.300 imprese). Tale quota sale però all'8,5 per cento se si considerano gli occupati dipendenti, data l'elevata dimensione media delle unità produttive del settore cooperativo»;
              ancora: «Nel 2008 si contavano in Italia oltre 40 mila imprese cooperative con personale alle dipendenze. Dal punto di vista occupazionale si stima, sulla base delle indicazioni dell'indagine Excelsior, che nelle imprese cooperative già attive nel 2008 siano impiegati a fine 2010 oltre 994 mila dipendenti, una quota preponderante dei quali (oltre l'88 per cento del totale) si concentra nei servizi»;
              sempre grazie alle fonti citate, si conoscono anche due altre importanti caratteristiche del fenomeno cooperativo: la prima è la maggiore concentrazione dell'occupazione nel Nord Italia (circa il 60 per cento del totale); la seconda riguarda la netta prevalenza, al loro interno, delle imprese di grandi dimensioni (circa il 70 per cento del totale dell'occupazione dipendente si concentra infatti nelle imprese con almeno 50 dipendenti);
              significativa appare anche la consapevolezza della loro capacità di internazionalizzazione e della loro spiccata propensione all'innovazione;
              si è, dunque, in presenza di una realtà produttiva complessa, molto ramificata sul territorio, fondata su principio democratico e sul metodo della mutualità. «Una cooperativa è un'associazione autonoma di individui che si uniscono volontariamente per soddisfare i propri bisogni economici, sociali e culturali e le proprie aspirazioni attraverso la creazione di una società di proprietà comune e democraticamente controllata»: questa è la definizione di cooperativa contenuta nella «dichiarazione di identità cooperativa» approvata dal XXXI congresso dell'Alleanza cooperativa internazionale, a Manchester, nel 1995. Le cooperative sono dunque basate sui valori dell'autosufficienza, dell'autoresponsabilità, della democrazia, dell'eguaglianza, dell'equità e della solidarietà;
              il sistema cooperativo sta dimostrando con i numeri la propria capacità di assicurare risposte concrete alla crisi; occorre quindi sostenerne lo sviluppo, attraverso tutte le azioni e gli strumenti possibili ed opportuni;
              l'articolo 45 della Costituzione italiana – nel quale, come detto, si sancisce che la cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata deve essere promossa e tutelata in virtù della sua funzione sociale – è ad oggi sostanzialmente disapplicato, anche perché le agevolazioni fiscali inizialmente previste si sono assottigliate progressivamente fino quasi a scomparire,

impegna il Governo:

          ad acquisire, nel più breve tempo possibile, con le modalità e tramite le collaborazioni che riterrà più opportune, informazioni di dettaglio omogenee e costantemente aggiornate sull'intera realtà cooperativa italiana, tali da consentirne un monitoraggio ed una definizione puntuali;
          a sviluppare un piano di interventi specifici, tra i quali anche l'individuazione di misure fiscali mirate a sostegno della realtà cooperativa, fermo restando il rispetto della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato e la giurisprudenza delle Corti europee, puntando strategicamente su tale realtà quale fondamentale leva su cui investire in un'ottica di rilancio dello sviluppo economico del Paese;
          a ricercare insieme all'associazionismo cooperativo le formule più utili e funzionali ai fini dell'attuazione del dettato costituzionale come sopra richiamato, favorendo il concreto riconoscimento della funzione sociale della cooperazione;
          a sancire, anche con eventuali iniziative normative, la peculiarità del modello cooperativo di impresa, che lo rende meritevole, a pieno titolo, di trattamenti particolari rispetto alle altre tipologie imprenditoriali;
          a promuovere lo sviluppo delle imprese cooperative in quanto direttamente collegato allo sviluppo delle comunità nelle quali le stesse operano, individuando allo scopo gli strumenti adeguati a consentire una maggiore competitività del sistema imprenditoriale cooperativo;
          a garantire la necessaria tutela delle imprese cooperative nell'ambito delle regole della competizione sui mercati nazionale ed internazionali;
          ad assumere iniziative normative per fissare a carico dei fondi pensione un obbligo di investimento (in misura percentuale rispetto ai versamenti annuali complessivi delle imprese cooperative) che – attraverso la sottoscrizione di capitale di rischio e/o di credito (anche obbligazionario) garantito dai consorzi fidi cooperativi e/o dai fondi mutualistici delle stesse associazioni – consenta di dotare dei capitali necessari tutte le iniziative meritevoli dal punto di vista occupazionale (e, in primis, le cooperative tra giovani non occupati e le cooperative di lavoro costituite dai lavoratori delle imprese fallite che si propongono di assumere in affitto le strutture aziendali oggetto di procedure concorsuali nelle more di un loro ricollocamento sul mercato);
          ad individuare le modalità di facilitazione dell'accesso al credito da parte delle imprese cooperative (anche con il sostegno dei fondi mutualistici delle stesse associazioni e con la garanzia dei consorzi fidi cooperativi).
(1-01070) «Ossorio, Nucara, Brugger».


      La Camera,
          premesso che:
              il patrimonio immobiliare degli enti previdenziali è costituito da oltre 100.000 unità immobiliari di cui il 90 per cento circa ad uso abitativo. Il 60 per cento di questo patrimonio è situato a Roma;
              la normativa che ha governato il regime di locazione degli immobili di proprietà pubblica non prevedeva, in origine, in caso di alienazione, il diritto di prelazione da parte degli inquilini. Tale strumento giuridico è stato introdotto, successivamente, con la legge n.  104 del 1996 in occasione dell'inserimento della possibilità che gli enti previdenziali pubblici potessero procedere alla dismissione degli immobili di loro proprietà;
              in effetti il decreto legislativo n.  509 del 1994 ha trasformato in persone giuridiche private gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza, quali: Onaosi, Inpgi, Inpdai, Enpaia, Enpav, Enpaf, Enpam, Enpaci, Enasarco, Cassa nazionale di previdenza e assistenza avvocati e procuratori legali, Cassa di previdenza tra dottori commercialisti, Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali, Cassa nazionale di previdenza e assistenza geometri, Cassa nazionale previdenza e assistenza ingegneri ed architetti e liberi professionisti, Cassa nazionale del notariato, fondi di previdenza per gli impiegati delle imprese di spedizione e agenzie marittime;
              gli enti suindicati sono stati trasformati quindi, a decorrere dal 1o gennaio 1995, in associazioni o in fondazioni, con deliberazione dei competenti organi di ciascuno di essi, adottata a maggioranza qualificata dei due terzi dei propri componenti, a condizione che non usufruissero più di finanziamenti o altri ausili pubblici di carattere finanziario (articolo 1 del decreto legislativo n.  509 del 1994);
              detti enti privatizzati, così come disposto dal decreto suindicato, «...continuano a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumono la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi dell'articolo 12 (...) rimanendo titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni....», ed «...hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta...». Per la natura pubblica dell'attività svolta, inoltre, sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell'economia e delle finanze, oltre che a quella dei Ministeri specifici, competenti per ciascun ente;
              in relazione a tale processo di privatizzazione la giurisprudenza costituzionale ha sancito che l'organizzazione giuridica della previdenza sociale, pur presentando una sensibile varietà di sistemi, comunque conserva la prevista contribuzione obbligatoria, che concretandosi in un'erogazione di denaro necessitata ex lege, realizza lo schema del finanziamento pubblico dell'ente, ancorché non nell'esclusivo interesse di questo, ma comunque finalizzato a soddisfare esigenze solidaristiche, quali sono quelle sottese ai tipi di trattamenti e di prestazioni erogabili agli iscritti;
              in questo quadro si deve considerare che il diritto di prelazione succitato è stato confermato anche con la legge n.  410 del 2001 con la quale si è proceduto alle cosiddette «cartolarizzazioni». Anche in questo caso, come detto, è stato confermato l'istituto della prelazione per l'intero iter amministrativo di dismissione degli immobili pubblici;
              le procedure di dismissione di immobili pubblici consentono, dunque, una serie di tutele per gli inquilini più deboli;
              per effetto della privatizzazione e di una successiva norma contenuta nella legge n.  243 del 2004 (articolo 1, comma 38) gli enti privatizzati hanno proceduto alla vendita o alla rinegoziazione dei canoni di affitto, facendo anche ricorso a richieste di sfratto, in deroga a quanto previsto in materia dalla legge n.  104 del 1996 che imponeva agli enti pubblici condizioni e modalità di locazione ed alienazione degli immobili a tariffe calmierate;
              si deve tenere presente che gli stessi enti avevano acquisito il patrimonio immobiliare anche in virtù di agevolazioni e sgravi fiscali e che – nella sostanza – gli immobili sono stati utilizzati come ampliamento del patrimonio disponibile per l'edilizia convenzionata;
              il decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» (poi convertito dalla legge n.  122 del 2010), all'articolo 8, comma 15, prevede che «Le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti pubblici e privati che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rivenienti dall'alienazione degli immobili o delle quote di fondi immobiliari, sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali»;
              la citata norma del decreto-legge ha una finalità apparentemente di natura contabile, senza avere riguardo, tuttavia, alla fondamentale funzione sociale degli immobili pubblici che finora ha consentito e che deve seguitare a consentire alle predette categorie di poter condurre un'esistenza dignitosa senza aggravi sul bilancio familiare dovuti a canoni locativi elevati e rimessi all'arbitrio dei proprietari privati;
              con la costituzione di due Scip, oramai liquidate con un pesante deficit di bilancio, sono stati «cartolarizzati», ovvero venduti più di 90.000 appartamenti di proprietà degli enti previdenziali, ma dal 2008, epoca della dismissione della seconda Scip, il patrimonio residuo, circa 15.000 appartamenti (di cui più di 10.000 a Roma) è tornato in possesso degli enti che ora vorrebbero disfarsi degli alloggi a prezzo di mercato;
              con il decreto-legge n.  201 del 2011 cosiddetto «Salva Italia» l'attuale Governo, all'articolo 27, ha stabilito i criteri della dismissione del patrimonio pubblico tramite fondi immobiliari a capitale privato;
              appare evidente che la materia è stata oggetto di una continua sovrapposizione normativa ed il quadro si complica anche in virtù di specifici interventi comunitari, quali ad esempio la direttiva 2004/18/CE, allegato III (modificabile solo seguendo la procedura all'uopo stabilita), che nell'elencare, in via non limitativa, gli organismi e le categorie di organismi di diritto pubblico, include espressamente in tale novero tutti gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza;
              appare quindi necessario un tempestivo intervento normativo volto, da un lato, a chiarire il quadro generale della materia e, dall'altro, a garantire agli inquilini maggiori tutele, maggiori garanzie, maggiore trasparenza, maggiore controllo e prezzi più equi sia nelle vendite che negli affitti;
              tale intervento è necessario anche per evitare che si realizzi una disparità di trattamento tra gli inquilini, a seconda che questi, abbiano, ab origine, stipulato il contratto locatizio con un ente pubblico o con un ente pubblico poi privatizzato, ma che conserva la sua natura di organismo di diritto pubblico, relativamente alla sua causa e funzione,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, per chiarire il quadro normativo che regola il processo di privatizzazione degli enti previdenziali ed, in particolare, le procedure di dismissione degli immobili pubblici a questo correlato;
          ad adottare ogni iniziativa di competenza nel più breve tempo possibile, – alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale, per la quale l'organizzazione giuridica della previdenza sociale, pur presentando una sensibile varietà di sistemi, comunque conserva la prevista contribuzione obbligatoria, che concretandosi in un'erogazione di denaro necessitata ex lege, realizza lo schema del finanziamento pubblico dell'ente, ancorché non nell'esclusivo interesse di questo, ma comunque finalizzato a soddisfare esigenze solidaristiche, quali sono quelle sottese ai tipi di trattamenti e di prestazioni erogabili agli iscritti, – affinché vengano eliminati eventuali profili di incostituzionalità nelle procedure di dismissione in atto;      
          ad intervenire parimenti affinché tali procedure di dismissione non si pongano in contrasto con la normativa europea che, come ricordato in premessa, nell'elencare, in via non limitativa, gli organismi e le categorie di organismi di diritto pubblico, include espressamente in tale novero tutti gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza;
          ad intervenire per garantire, comunque, agli inquilini maggiori tutele, maggiori garanzie, maggiore trasparenza, maggiore controllo e prezzi più equi sia nelle vendite che negli affitti, in particolare rafforzando concretamente il principio del loro diritto di prelazione sancito anche con la legge n.  410 del 2001, in modo che tale diritto sia effettivamente praticabile;
          a sospendere, fino a quando il quadro normativo non sia stato chiarito, sia in relazione ai suoi profili di costituzionalità che rispetto alle indicazioni europee in materia, le dismissioni delle eventuali unità abitative già regolarmente abitate da conduttori titolati, al fine di garantire il pieno e concreto diritto di prelazione per gli inquilini degli immobili interessati da tali procedure;
          ad intervenire affinché non si proceda, in sede di rinnovo contrattuale, fino a quando il quadro normativo non sia stato chiarito, ad aumenti del canone di locazione, oltre quelli dovuti per il solo aggiornamento connesso alla variazione dell'indice dei prezzi al consumo accertata dall'Istat, ciò anche al fine di evitare alla luce di un quadro normativo particolarmente confuso ed incerto i consequenziali ricorsi amministrativi.
(1-01071) «De Angelis, Corsaro».

Risoluzioni in Commissione:


      Le Commissioni V e VIII,
          premesso che:
              in data 30 maggio 2012, l'Assemblea ordinaria degli azionisti di Cassa depositi e prestiti – società per azioni controllata al 70 per cento dal capitale sociale del Ministero dell'economia e delle finanze ed al 30 per cento da un nutrito gruppo di fondazioni di origine bancaria – ha approvato il bilancio relativo all'esercizio finanziario 2011;
              nel corso dell'assemblea è stato, inoltre, presentato il bilancio consolidato che aggrega anche i risultati del gruppo TERNA e delle altre società controllate;
              l'anno 2011, stando a quanto spiegato da una nota diffusa dalla stessa Cassa depositi e prestiti, si è chiuso con un utile netto pari a 1.612 milioni di euro e tale risultato consentirà di distribuire dividendi per ben 371 milioni di euro: dividendi che, per una quota pari a 259,7 milioni di euro, spettano direttamente al Ministero dell'economia e delle finanze;
              i drammatici eventi sismici che hanno colpito l'Emilia Romagna il 20 e il 29 maggio 2012 hanno complessivamente provocato centinaia di feriti e la morte di 23 persone, nonché ingentissimi danni a immobili, chiese ed edifici storici. Tali eventi impongono, quindi, un immediato impegno, anche di carattere finanziario, per sostenere le popolazioni colpite;
              il Parlamento, con l'articolo 16 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, è già intervenuto per disciplinare i dividendi delle società a partecipazione pubblica,

impegnano il Governo

ad adottare con urgenza ogni iniziativa, anche normativa, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, volta a destinare una congrua quota dei citati dividendi di spettanza del Ministero dell'economia e delle finanze, in favore delle amministrazioni competenti in via ordinaria a coordinare gli interventi conseguenti ai danni provocati dagli eventi sismici e dalle calamità naturali del 20 e del 29 maggio 2012 per la ricostruzione, nonché per il sostegno alle popolazioni e alle attività produttive ed economiche delle zone interessate.
(7-00890) «Borghesi, Piffari, Mura».


      La V Commissione,
          premesso che:
              l'articolo 33, comma 1, della legge di stabilità 2012 ha incrementato di 100 milioni di euro per l'anno 2012 le risorse del fondo di cui all'articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n.  5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n.  33, riservandole al finanziamento di interventi urgenti finalizzati al riequilibrio socio-economico, ivi compresi interventi di messa in sicurezza del territorio, e allo sviluppo dei territori e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali di cui all'articolo 1, comma 40, quarto periodo, della legge 13 dicembre 2010, n.  220 (riequilibrio socio-economico e allo sviluppo dei territori, alle attività di ricerca, assistenza e cura dei malati oncologici e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali);
              la medesima disposizione ha altresì rifinanziato con 50 milioni di euro, per l'anno 2013, l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 13, comma 3-quater, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133 (fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio);
              risulterebbero, inoltre, disponibili per l'anno 2011, a seguito dei rifinanziamenti previsti dal decreto-legge 29 dicembre 2010, n.  225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n.  10, e al netto dei relativi utilizzi, ulteriori 60.100.000 euro destinati, con la risoluzione n.  8-00157 approvata dalla Commissione bilancio nella seduta del 21 dicembre 2011, al finanziamento di interventi urgenti finalizzati al riequilibrio socio-economico e allo sviluppo dei territori;
              pertanto, tenuto conto delle quote relative alle diverse annualità, le risorse residue da assegnare risultano pari a 160 milioni di euro per il 2012 e a 50 milioni di euro per il 2013,

impegna il Governo

a destinare le risorse di cui in premessa, secondo le rispettive annualità, al finanziamento di interventi urgenti di ricostruzione delle infrastrutture pubbliche nelle amministrazioni comunali interessate da eventi calamitosi e per le quali è stato dichiarato, con ordinanza, lo stato di emergenza.
(7-00889) «Ciccanti, Occhiuto, Calgaro, Libè, Lusetti, D'Ippolito Vitale, Poli, De Poli, Compagnon».


      La VII Commissione,
          premesso che:
              il decreto legislativo n.  1277/48 introduce nel comparto istruzione italiano il profilo dell'insegnante tecnico pratico (ITP) il cui titolo di accesso all'insegnamento è rappresentato dal diploma quinquennale;
              ai sensi dell'articolo 5 della legge n.  124 del 1999 viene riconosciuta al profilo dell'insegnante tecnico pratico piena autonomia e completa priorità di voto sia in sede di valutazione sia nelle operazioni di scrutinio, dotando lo stesso di registro personale, al pari degli altri docenti;
              al profilo dell'insegnante tecnico pratico viene affidata la responsabilità di conduzione delle attività di laboratorio nelle istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado, dapprima in piena autonomia e successivamente, con ore parziali, in compresenza riconoscendogli, giuridicamente ed economicamente, il ruolo e la dignità di «docente»;
              le attività didattiche cosiddette «tecnico-pratiche», ancorché in compresenza, si svolgono nei laboratori alla presenza di un assistente tecnico di laboratorio, non appartenente al profilo docente ma al personale ATA (ausiliari, tecnici, amministrativi), al quale spetta provvedere alla preparazione del materiale e degli strumenti per le esperienze didattiche e per le esercitazioni pratiche nonché il riordino e la conservazione del materiale e delle attrezzature tecniche. La conduzione dell'attività didattica è esclusiva competenza dell'insegnante tecnico pratico nella sua funzione e ruolo di docente;
              il profilo di insegnante tecnico pratico opera in sinergia, e mai in subordine né gerarchico né funzionale, col docente teorico condividendo con questo strumenti, criteri ed obiettivi sia didattici che valutativi;
              l'insegnante tecnico pratico in virtù dei livelli operativi succitati, si configura come un profilo appartenente al ruolo docente e non va confuso con la figura dell'assistente di cattedra soppressa fin dal 1999, o con quella dell'assistente tecnico, appartenente al ruolo ATA (ausiliari, tecnici, amministrativi);
              agli aspetti suindicati si aggiunge il portato dei regolamenti di riordino dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali emanati dal Presidente della Repubblica in data 15 marzo 2010 che ha comportato una riduzione del quadro orario delle ore di laboratorio determinando dei riflessi critici in capo a questa categoria di insegnanti con la conseguenza di condizionare notevoli esuberi nel personale di ruolo e precludendo ogni possibilità di accesso ai docenti della tabella C che da anni vengono arruolati con contratto a tempo determinato;
              il riordino del sistema dell'istruzione secondaria superiore ha previsto che gli istituti professionali, così come gli istituti tecnici e i licei, possano rilasciare esclusivamente diplomi di istruzione secondaria superiore al termine di un percorso di 5 anni, in questo scenario ciascuna regione ha definito un nuovo sistema regionale di istruzione e formazione professionale (IeFP) al fine di consentire agli studenti di conseguire una qualifica professionale in un percorso triennale;
              il suindicato IeFP in alcune realtà territoriali risulta inefficace ai fini di una svolta significativa dell'attività di laboratorio atta a salvaguardare il ruolo e la dignità degli insegnanti tecnico pratici;
              è opportuno evidenziare che la ricollocazione del personale a classe di concorso in esubero, appartenente a tale categoria negli uffici tecnici previsti nell'istruzione tecnica e professionale, ai sensi della circolare ministeriale n.  63 del 13 luglio 2011 avente ad oggetto «Anno scolastico 2011/2012 – adeguamento degli organici di diritto alle situazioni di fatto», non è sufficiente a garantire e salvaguardare il posto di lavoro;
              ai sensi del comma 81 dell'articolo 4 della legge n.  183 del 2011 è previsto che «negli istituti di secondo grado ove sono presenti insegnanti tecnico pratici in esubero, è accantonato un pari numero di posti di assistente tecnico» declassando, di fatto, tale figura professionale indirizzandola verso un'area e un profilo che non gli compete e in evidente conflitto con lo status giuridico dell'insegnante tecnico pratico, la cui funzione docente è ampiamente evidenziata nei riferimenti normativi citati in premessa;
              pur condividendo quanto disposto dal decreto direttoriale n.  7 del 16 aprile 2012 (istituzione e regolamentazione dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati al personale docente in esubero – anno scolastico 2012/2013), tali disposizioni si configurano soltanto come una prima risposta tesa a rinnovare la configurazione professionale dei docenti tecnico pratici,

impegna il Governo:

          a consentire, attraverso specifiche disposizioni, il mantenimento e l'estensione degli incarichi in compresenze presso tutti gli istituti con indirizzi liceali, professionali e dell'istruzione e formazione tecnica superiore, anche mantenendo le risorse di organico funzionale nella scuola di titolarità;
          ad adottare misure atte ad estendere l'obbligatorietà dell'ufficio tecnico negli indirizzi per i quali tale obbligo non sussiste;
          a promuovere una riformulazione della legge n.  183 del 2011, anche attraverso l'abrogazione dell'articolo 4, comma 81, il cui portato mortifica la disciplina vigente per l'intera categoria dei docenti ITP, alimentando una evidente e deleteria contraddizione normativa;
          a predisporre ogni opportuna iniziava volta ad affrontare in maniera risolutiva le problematiche afferenti la categoria di docenti ITP che attende da anni risposte concrete.
(7-00888) «Granata, Di Biagio, Barbaro, Muro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          la gestione del presidente dell'autorità portuale di Bari, signor Francesco Palmiro Mariani, è stata caratterizzata da evidenti irregolarità e da una conclamata incapacità amministrativa, che ha prodotto continue e crescenti perdite finanziarie tali da condurre, oggi, l'Ente al dissesto economico;
          difatti, l'esercizio 2010 dell'autorità portuale di Bari è stato chiuso con un disavanzo di gestione di euro 622.665,73;
          nel bilancio dell'esercizio 2009 e in quello dell'esercizio 2010 sono state commesse gravi irregolarità, in quanto sono state illegittimamente imputate, tra le entrate, somme non certe e non esigibili, rispettivamente pari ad euro 1.325.462,18 e circa euro 600.000, relative a presunti crediti stabiliti unilateralmente dall'Autorità portuale e pretesi ai danni della concessionaria Bari Porto Mediterraneo Srl tutt'oggi oggetto di contenzioso dinanzi al giudice ordinario, avendo il Consiglio di Stato, con recente sentenza del 19 gennaio 2012, dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;
          pertanto, eliminando dai bilanci 2009 e 2010 tali somme illegittimamente imputate, gli stessi bilanci presentano in realtà disavanzi di gestione rispettivamente di circa euro 500.000 e di circa euro 1.200.000;
          con il decreto ministeriale n.  357 del 13 ottobre 2011 dei Ministeri delle infrastrutture e trasporti e dell'economia, l'autorità portuale di Bari è stata l'unica in Italia ad aver subito la revoca di circa 86 milioni di euro, ossia di tutti i finanziamenti di cui disponeva per la realizzazione delle infrastrutture portuali, per non aver bandito le gare né realizzato progetti cantierabili nel corso degli ultimi cinque anni, proprio quelli in cui l'autorità portuale è stata gestita dal signor Mariani;
          anche il bilancio 2011, approvato nella seduta del comitato portuale del 24 aprile 2012, presenta secondo l'interpellante elementi di dubbia regolarità per quanto attiene alla valutazione dei crediti riferiti alla procedura fallimentare in corso ai danni della Bari Porto Mediterraneo – la cui valutazione appare all'interpellante in contrasto con l'articolo 43 del Regolamento di amministrazione e contabilità della stessa autorità portuale, in relazione alla verifica dell'esistenza dei residui attivi e passivi;
          infatti, il tribunale di Bari, con sentenza n.  52 del 28 marzo 2012, ha dichiarato il fallimento della società di Bari Porto Mediterraneo S.r.l., a seguito di istanza di fallimento presentata dal liquidatore professore avvocato Francesco Macario, nominato dallo stesso tribunale di Bari, in cui ne ha attribuito le responsabilità esclusivamente all'Autorità portuale ed ai suoi comportamenti;
          nonostante che tale evento si sia verificato prima dall'approvazione del bilancio 2011 e del quale l'autorità portuale, il suo presidente ed il collegio dei revisori dei conti ne fossero a piena conoscenza, non se n’è fatto nel bilancio e nessuna conseguenza se n’è apportata nello stesso bilancio, avendo lasciato invariati i residui attivi da riaccertare per il 2012, che per la sola partecipata Bari Porto Mediterraneo ammontano in bilancio ad euro 3.562.399,75;
          peraltro, tale credito a quanto risulta all'interpellante è effettivamente pari a circa euro 1.500.000, in quanto, come già detto, per i circa 2.000.000 di euro che si rinvengono dai bilanci 2009 e 2010 non esiste alcun titolo esecutivo, essendo tuttora oggetto di contenzioso tra l'autorità portuale e la Bari Porto Mediterraneo;
          a modo, del credito imputato nel bilancio 2011 di euro 3.562.399,75, ai sensi del citato articolo 43 del regolamento di amministrazione e contabilità e dei citati articoli del codice civile, a causa del fallimento della Bari Porto Mediterraneo, se ne sarebbe dovuta operare la cancellazione, essendo lo stesso di sicura inesigibilità;
          per di più, anche l'ulteriore somma nel bilancio 2011 di euro 375.000, pari al valore nominale della quota di partecipazione dell'autorità portuale nella Bari Porto Mediterraneo, è rimasta in esso immutata ed invece, anche di questa, per gli stessi motivi, se ne sarebbe dovuta effettuare la cancellazione;
          inoltre, nella relazione del presidente signor Mariani sul rendiconto generale 2011, è stato affermato che «non si è operata la svalutazione dei crediti»;
          infine, nella relazione del collegio dei revisori dei conti allegata al bilancio 2011 viene affermato che, per effetto della citata revoca dei finanziamenti per le opere infrastrutturali, l'avanzo di amministrazione «risulta attualmente pari ad euro 4.770.048,76 a seguito del versamento di euro 21.182.049,70 effettuato dall'ente in favore dell'erario in data 5 marzo 2012, in ottemperanza a quanto disposto dalla legge 26 febbraio 2011, n.  10 nonché dal decreto ministeriale 357 del 2011»;
          in effetti, depurando l'avanzo di amministrazione al 31 dicembre 2011 – riportato nel bilancio 2011 pari a euro 25.952.098,46 – delle somme vincolate indisponibili, pari ad euro 25.489.156,19 (di cui come già detto sono già stati restituiti all'erario, euro 21.182.049,70 in applicazione del decreto ministeriale 357 del 2011), e dei crediti inesigibili nei confronti della Bari Porto Mediterraneo, pari ad euro 3.562.399,75, la complessiva situazione amministrativa presenta, oggi, un disavanzo finanziario di Euro 3.099.457,48;
          inoltre, la situazione economica, come si evince dalla relazione del collegio dei revisori dei conti allegata al bilancio 2011, al netto di una mera operazione contabile di euro 895.714,52, presenta in sostanza una perdita pari ad euro 630.756,14 «di entità pressoché analoga a quella dell'esercizio 2010», potendosi affermare che la gestione economica dell'ente è oramai caratterizzata da un cronico squilibrio economico;
          dal bilancio 2011 si rileva un'allarmante irrisoria disponibilità di cassa al 31 dicembre 2011, pari appena ad euro 264.958,38;
          nel bilancio di previsione 2012, approvato nella seduta del Comitato portuale del 31 ottobre 2011, si evince un disavanzo di competenza per l'anno 2012 pari ad euro 4.108.523;
          i rilievi mossi ai bilanci 2009, 2010 e 2011 dell'autorità portuale non sembra siano stati adeguatamente considerati dal collegio dei revisori dei conti, peraltro nominato da codesto Ministero interpellato;
          di fatto, oggi, l'autorità portuale, per effetto della gestione del suo presidente signor Mariani, versa in una disastrosa situazione economica e gestionale, essendo stata compromessa la realizzazione delle infrastrutture portuali ed avendo prodotto l'impossibilità di funzionamento dell'ente;
          tale situazione è stata preconizzata, e pertanto è oggi certificata, dallo stesso presidente dell'autorità portuale di Bari signor Mariani, il quale, a proposito della revoca dei finanziamenti di cui al decreto ministeriale n.  357 del 2001, nella nota protocollo n.  3123 del 31 marzo 2011 inviata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha dichiarato che «È di tutta evidenza che, qualora la ricognizione mettesse in discussione i fondi necessari alla realizzazione dei Piani triennali delle Opere, che formano parte integrante dell'avanzo di amministrazione, ci troveremmo, di fatto, dinanzi ad una profonda alterazione degli equilibri finanziari stabiliti con Bilanci già approvati dal Ministero competente compromettendo così la funzionalità dell'Ente»;
          per quanto detto, l'attuale presidente dell'autorità portuale di Bari, signor Francesco Palmiro Mariani, è, secondo l'interpellante, il responsabile del depauperamento delle ingenti risorse finanziarie di cui disponeva l'autorità portuale e della conseguente «situazione fallimentare» in cui versa l'ente, divenuta tale da aver praticamente reso impossibile perfino la semplice gestione ordinaria dell'autorità portuale barese;
          l'attuale Governo è fortemente impegnato nel risanamento e nel rilancio economico del Paese e nella rimozione di quelle situazioni di chiara e conclamata «mala gestio»  –:
          se il Governo attualmente in carica, mantenendo fede alla mission tracciata dal Presidente del Consiglio e posta alla base del mandato conferitogli, intenda prendere seri e rapidi provvedimenti in merito alla gravissima situazione economica e gestionale dell'autorità portuale di Bari, prodotta dal suo Presidente signor Francesco Palmiro Mariani;
          se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con solerzia e tempestività, intenda effettuare il commissariamento dell'autorità portuale di Bari, al fine di dotarla di una guida qualificata e competente per risanare il bilancio dell'ente, riattivare la realizzazione delle opere infrastrutturali e la qualificazione dei servizi, nonché per rilanciare l'immagine internazionale dello scalo barese.
(2-01525) «Tassone, Galletti».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
          dalla mattina di domenica 20 maggio fino ad oggi un susseguirsi di terremoti devastanti continua a colpire l'area delle province di Ferrara, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo;
          sono stati distrutti edifici pubblici e privati e sono crollate chiese e monumenti; sono ingenti i danni agli edifici storici e di culto e alle case coloniche; sono state devastate una serie di aziende agricole e sono crollati molti edifici industriali e capannoni, provocando morti e feriti soprattutto tra gli operai;
          l'accavallarsi delle scosse ha creato un ingente numero di sfollati, superiore a 15.000, molti dei quali hanno trovato rifugio in alloggi di fortuna, roulotte o tende di proprietà privata;
          da notizie riportate nei mass media e dalla viva voce degli sfollati riportata dai telegiornali, sembra che per l'allaccio di tali alloggi di fortuna ai servizi essenziali, ed in particolare alla rete elettrica, i gestori richiedano cifre esorbitanti, che, in alcuni casi si aggirerebbero intorno ai 400 euro per ciascun allaccio  –:
          se tali notizie rispondano al vero e quali interventi immediati il Governo intenda porre in essere, per sollevare da tali oneri gli sfollati delle zone interessate dagli eventi sismici.
(2-01527) «Rainieri, Dozzo, Alessandri, Lanzarin, Dussin, Togni, Fava, Polledri, Pini, Munerato, Torazzi, Comaroli, Bitonci, Bragantini, Goisis, Martini, Montagnoli, Negro, Callegari, Dal Lago, Fabi, Forcolin, Gidoni, Stefani, Allasia, Bonino, Buonanno, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio».

Interrogazioni a risposta scritta:


      MIOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 2 giugno 2012, il Fatto Quotidiano ha reso note alcune notizie sulle quali necessita un rapido chiarimento, riguardanti i contenuti del trattamento tributario sui giochi d'azzardo:
              il successo delle slot machine realizzato nel 2011 con 29,7 miliardi di euro raccolti, porterebbe nelle tasche dei concessionari un rimborso di 133 milioni di euro (di cui metà già erogati titolo di acconto), grazie ad una norma che consentirebbe di abbassare l'aliquota del 12,6 per cento al 12,15 per cento in presenza di aumento del gettito, quindi con una progressività rovesciata;
              un secondo premio ai concessionari sarebbe erogato per un importo di 223 milioni di euro, in quanto verrebbe riconosciuto «un premio produttività» per il raggiungimento dei livelli di servizio collegati agli investimenti telematici nelle slot distribuite nelle centinaia di migliaia di siti sul territorio nazionale: il premio è commisurato allo 0,5 per cento della raccolta;
          il decreto di individuazione delle linee di azione per la prevenzione, contrasto e recupero di fenomeni di ludopatia in attuazione dell'articolo 1, comma 70, della legge n.  220 del 2010 è bloccato per l'assenza della necessaria copertura finanziaria ipotizzata nella misura dello 0,5 per cento delle somme giocate  –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere per modificare le norme fiscali che premiano i concessionari all'aumento delle somme giocate secondo un principio ad avviso dell'interrogante paradossale: più guadagni, meno paghi;
          quali iniziative il Governo intenda porre in essere per evitare di premiare i concessionari per una incombenza connessa all'atto di concessione che impone il collegamento delle «macchinette» alla SOGEI ai fini dei necessari controlli;
          quali iniziative siano state poste in essere per reperire le risorse necessarie a contrastare le ludopatie e curare le persone che cadono nella dipendenza patologica da gioco e che potrebbero essere utilmente reperite da provvedimenti «premiali» che stridono, a giudizio dell'interrogante, con le esigenze diffuse di contenimento della spesa;
          se il commissario alla spending review abbia preso in considerazione i dossier sui giochi d'azzardo che evidenziano le anomalie denunciate dall'organo di stampa di cui in premessa. (4-16413)


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riporta un articolo pubblicato da Il Mattino di Padova del 5 giugno dal titolo «Rischiano di saltare gli impianti irrigui», a causa del recente terremoto che ha colpito l'Emilia, gli impianti idrovori di Mondine e San Benedetto (nel modenese) sono compromessi e lesionati e rischiano con l'arrivo dell'autunno o comunque in caso di piogge intense, di allagare migliaia di ettari di campagna mettendo in crisi migliaia di aziende agricole emiliane;
          in particolare, l'impianto di Mondine che assicura lo scolo di un territorio che va dall'Enza al Secchia a Nord della via Emilia è praticamente fermo e si sta provvedendo all'irrigazione con una struttura provvisoria e resta il problema della sicurezza idraulica;
          quanto all'impianto di San Siro che ha 8 idrovore che scolano 80 mila litri d'acqua al secondo, è anch'esso lesionato e i terreni e le aziende agricole sono a rischio e questo nonostante non si sia provveduto al controllo dei tremila chilometri di canali che accompagnano la pioggia fino al mare;
          dall'articolo si apprende che per quanto riguarda i duecento chilometri di argini del fiume Po, di seconda categoria nel reggiano e altrettanti nel ferrarese, presentano piccoli incrementi critici della contro chiavica di Sermide e di Revere  –:
          se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
          quali azioni si intendono promuovere per assicurare la tenuta degli argini del Po e per ripristinare la sicurezza idraulica per terreni ed aziende. (4-16430)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          dal primo maggio 2012 il ciclo della raffineria Tamoil di Cremona è terminato e una parte del sito della raffineria è diventato deposito di carburanti;
          il servizio di sorveglianza, stando alle notizie diffuse a mezzo stampa, non è più garantito 24 ore su 24 dalle guardie giurate competenti, ma viene attuato con l'utilizzo di telecamere e periodici passaggi di controlli;
          nelle ultime settimane si sono già avute – come denunciato dal quotidiano telematico Il Vascello, anche con formale documento alla Polizia di Stato – almeno due intrusioni dimostrative senza che i lavoratori incaricati del controllo si accorgessero di alcunché;
          la raffineria Tamoil – di proprietà libica e fino a pochi mesi fa sotto il controllo diretto della famiglia Gheddafi – costituisce tuttora un obiettivo strategico e ad altissimo rischio. E ci sono forze, non scomparse con la eliminazione di Gheddafi, che potrebbero decidere – è solo una ipotesi, ma assolutamente realistica – di scatenare proprio a Cremona, una azione che avrebbe vastissima eco internazionale e che sarebbe agevolata dalla estrema facilità di accesso al deposito di carburanti  –:
          quale sia il quadro della situazione all'interno della raffineria, in particolar modo riguardo la dismissione degli impianti e l'occupazione dello spazio destinato al deposito;
          quale sia la situazione dal punto di vista della sicurezza dell'impianto e l'esito delle verifiche disposte dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, organismo istituito presso la prefettura di Cremona;
          se il personale che di volta in volta viene coinvolto nell'attività di sorveglianza sia formato e preparato e con quale professionalità e quali titoli inerenti la sicurezza. (4-16431)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


      DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          già con precedenti atti (interrogazione a risposta immediata in Commissione n.  5-04957, interrogazione a risposta in Commissione n.  5-00228, risoluzione in Commissione n.  7-00531) sono state evidenziate le criticità ed i possibili profili ostativi che fanno giudicare non fattibile il progetto di realizzazione del deposito di gas a Rivara, nella regione Emilia-Romagna;
          il drammatico evento sismico, che dal 20 maggio 2012 sta colpendo l'area emiliana e lombarda compresa nelle province di Ferrara, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo, ha purtroppo dimostrato come gli allarmi e i pericoli per la sicurezza delle popolazioni, causati dalla delicatezza geologica del territorio, peraltro già chiaramente sottolineati negli atti sopra menzionati, siano concreti ed ora anche assolutamente incontrastabili;
          le infrastrutture di stoccaggio del gas svolgono un ruolo strategico per il Paese ai fini della garanzia della sicurezza delle forniture, sia in caso di eventi climatici eccezionali, sia in caso di rischi di interruzione delle importazioni;
          tuttavia, il progetto per la realizzazione del deposito di gas a Rivara, nella regione Emilia-Romagna, diversamente da tutti gli altri casi sopra richiamati di realizzazione di depositi sotterranei nel territorio nazionale in trappole naturali già originariamente sedi di giacimenti di gas, prevede lo stoccaggio di gas in un acquifero profondo con permeabilità per fatturazione naturale, ad una profondità di circa 2.500-2.800 metri, in una parte del territorio ove il gas non c’è mai stato ovvero, qualora vi fosse stato in anni remoti, l'attuale assenza dimostra la non tenuta della trappola;
          il progetto è stato presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare già nel 2006, ai fini della procedura di valutazione di impatto ambientale, che si è conclusa con un esito «interlocutorio negativo»; successivamente, nel 2010, il progetto è stato ripresentato al medesimo Ministero, con una serie di integrazioni ai fini di una nuova valutazione;
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha inteso fino ad oggi approvare il progetto, ritenendo indispensabili ulteriori approfondimenti e indagini, per i quali, secondo la legislazione vigente (titolo II, articolo 3, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 21 gennaio 2011 e successivo decreto attuativo n.  50918 del 4 febbraio 2011), è richiesta l'autorizzazione dal Ministero dello sviluppo economico, d'intesa con la regione Emilia-Romagna;
          il progetto riscontra la contrarietà di tutti gli enti locali competenti e della regione Emilia-Romagna;
          le problematiche principali connesse all'esercizio degli stoccaggi in acquifero sono riconducibili al rischio di fughe di gas, in quando non si può prescindere dal superamento delle pressioni iniziali della formazione;
          peraltro, nel caso di Rivara la diversità di pressione emersa nelle indagini e nei progetti fino ad ora elaborati, tra gli strati inferiori e superiori della trappola del gas, rende possibili movimenti tettonici della roccia, che verrebbero accentuati dalle attività di pressione e decompressione del metano iniettato;
          pertanto, esistono fondate, ed ora dimostrate, ragioni di tipo sismologico che fanno ritenere non fattibile in sicurezza il deposito di gas a Rivara, ragioni che, in particolare, sono dovute al fatto che:
              a) la struttura geologica, in cui si intende immettere il gas, genera già spontaneamente frequenti terremoti, sia alla sua estremità orientale, dove sono risultati addirittura catastrofici (nel 1500 la città di Ferrara fu semidistrutta), sia alla sua estremità occidentale, dove sono piuttosto energici (l'ultimo episodio risale ad una decina d'anni fa con epicentro nel basso reggiano), mentre nella parte centrale dove si vuole costruire il deposito, a pochi chilometri di distanza dal sito prescelto, si trovano gli ipocentri di sismi, uno di intensità 5o-6o grado della scala Mercalli con ipocentro proprio a Rivara, nel 1987, altri d'intensità più modesta, uno dei quali recentemente è risultato posto alla profondità in cui si vuole immagazzinare il gas;
              b) i depositi di gas generano sempre sismicità indotta e non esistono attualmente al mondo modelli (supportati da basi sperimentali a scala reale e convalidati da una considerevole casistica storica) che prevedano l'intensità dei terremoti, in una struttura che già spontaneamente genera terremoti, che possono essere provocati dalla compressione e dalla decompressione di miliardi di metri cubi di metano che in essa vengono iniettati ed estratti con frequenza semestrale;
          oltretutto in provincia di Modena esistono due grandissimi giacimenti, rispettivamente a Spilamberto ed a Novi, in via d'esaurimento, uno dei quali, quello di Novi, è posto a solo una decina di chilometri da Rivara per cui, se la posizione di Rivara è ritenuta «strategica» per il Governo, lo è altrettanto quella di Novi e non si discosta molto quella di Spilamberto;
          come apparso nelle agenzie di stampa di qualche giorno fa, tutte le organizzazioni produttive del territorio emiliano interessato dal progetto di deposito del gas a Rivara, tra cui la Coldiretti, lanciano l'allarme sugli effetti alla stabilità del territorio provocati dal sisma del mese di maggio 2012 e sostengono la contestuale proposta del Ministro interrogato di un piano per mettere in sicurezza il suolo, chiedendo il rigetto definitivo della richiesta del centro di stoccaggio gas di Rivara –:
          se il Ministro interrogato, alla luce degli eventi sismici in atto, non intenda rivedere la posizione incerta fino ad oggi assunta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulla realizzabilità del deposito di gas a Rivara e prendere una decisione esplicita, dichiarando definitivamente la non fattibilità del progetto, anche in considerazione degli effetti di sismicità indotta che potrebbero derivare dalla realizzazione del citato deposito. (3-02312)


      CATONE e RAZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la complessa vicenda del porto di Pescara rischia di aggravarsi e rimanere irrisolta, con gravi danni economici per l'intero territorio interessato;
          il mancato intervento sui fondali dello scalo pescarese ne ha praticamente determinato il blocco totale;
          alle numerose sollecitazioni arrivate da più parti sulla necessità di un intervento immediato da parte del Governo, stante il ritardo negli interventi, si è risposto, a parere degli interroganti, in maniera non soddisfacente, anche sotto il profilo della competenza, promettendo un «formale» interessamento;
          appare, al contrario, necessario un ruolo diretto da parte dei Ministeri interessati al fine di sbrogliare questa situazione e arrivare al più presto ad una soluzione unanime sui tempi e sui modi per risolvere questa annosa questione;
          il commissario straordinario al drenaggio, il presidente della provincia Guerino Testa, ha deciso di rimettere il proprio mandato, stante l'impossibilità ad esercitare fattivamente tale compito, e la situazione, se possibile, si è ancor di più ingarbugliata;
          la regione ha devoluto circa 1,8 milioni di euro agli operatori della pesca del porto di Pescara, che hanno dovuto subire un anticipo di quattro mesi sul fermo pesca, vista l'impossibilità di operare;
          uno degli elementi centrali che impedisce l'intervento è la mancanza di adeguate risorse finanziarie e dei necessari accertamenti tecnici che definiscano in materia attendibile la qualità del materiale da dragare;
          tutto ciò è inconcepibile e, giustamente, non può essere più sopportato dai cittadini e dagli operatori del porto di Pescara, che aspettano inutilmente da anni che vi sia un intervento risolutivo su un problema che rischia di mettere definitivamente in ginocchio il più grande scalo marittimo della regione Abruzzo e, conseguentemente, una parte importante dell'economia locale;
          in una recente conferenza stampa tutte le autorità locali (il comandante della direzione marittima, il rappresentante della marineria, il direttore generale dell'Arta – Agenzia regionale tutela ambiente, il presidente di Confindustria Pescara, il presidente della camera di commercio di Pescara) hanno denunciato con forza il rimpallo di responsabilità tra le varie autorità competenti e la mancata soluzione del problema;
          il risultato di tutto ciò sarà la perdita di posti di lavoro e un ennesimo colpo al turismo, che dovrebbe rappresentare un punto di forza in quel territorio –:
          se e quando il Governo, stante la forte rilevanza sociale della questione, intenda promuovere la convocazione di un tavolo operativo (con tutte le istituzioni, le parti sociali e gli enti locali coinvolti), al fine di trovare una soluzione rapida e i fondi necessari per determinare il ripristino del più grande scalo marittimo della regione Abruzzo. (3-02313)


      TOMMASO FOTI e BALDELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il terremoto che ha colpito a più riprese l'Emilia-Romagna, provocando numerose vittime ed evidenti danni all'intero tessuto economico e produttivo della regione, ripropone nuovamente la questione irrisolta per il nostro Paese della messa in sicurezza del territorio;
          il Ministro interrogato ha sostenuto che per l'attuazione del piano nazionale per la sicurezza del territorio, che potrebbe essere sostenuto «sia con risorse pubbliche che con investimenti privati agevolati» e che sarebbe in grado di fornire adeguate garanzie e piena sostenibilità in caso di eventi sismici o fenomeni idrogeologici, occorrono almeno 15 anni e un costo complessivo pari a 41 miliardi di euro;
          lo stesso Ministro interrogato ha, inoltre, affermato che il medesimo piano potrebbe, peraltro, includere un programma straordinario per l'occupazione giovanile nei settori delle tecnologie ambientali, permettendo la creazione di almeno 60 mila nuovi posti di lavoro per giovani laureati da impiegare nelle imprese che operano nel settore della manutenzione e della gestione della sicurezza del territorio, delle tecnologie energetiche pulite, dell'auto elettrica, della gestione sostenibile delle risorse idriche –:
          se il Governo intenda specificare i contenuti del piano nazionale per la sicurezza del territorio esposto in premessa e, in particolare, quali siano le misure che verranno prese per la tutela e il riassetto del territorio delle zone dell'Emilia-Romagna colpite dagli ultimi eventi sismici. (3-02314)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MURGIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'amianto rappresenta una delle principali minacce per la salute dei cittadini residenti in zone a forte contaminazione;
          un cittadino rinveniva sulla spiaggia del Poetto di Cagliari dei frammenti verosimilmente appartenenti a dei manufatti realizzati in eternit;
          le analisi delle autorità regionali preposte alla protezione ambientale confermavano i sospetti certificando la presenza di materiale in amianto sotto la sabbia della spiaggia cagliaritana;
          si ordinavano ulteriori verifiche atte ad individuare con precisione l'area contaminata e la quantificazioni dei rifiuti pericolosi;
          un sopralluogo dell'interrogante permetteva di rinvenire, nei pressi dello stabilimento balneare della Aeronautica militare, una discreta quantità di scaglie di eternit di varia grandezza sulla sabbia;
          lo sbriciolamento e l'azione degli agenti atmosferici sui suddetti resti favorisce il liberarsi nell'atmosfera delle fibre di asbesto responsabili dell'insorgere di fibrosi polmonari e mesotelioma pleurico;
          la bonifica di una delle più importanti spiagge urbane del territorio nazionale non può non interessare il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          la legge sull'amianto, promulgata nel 1992, rimane sfortunatamente inattuata in diverse sue parti  –:
          se il Ministro, ove richiesto, intenda intervenire fattivamente nelle eventuali attività di bonifica della spiaggia del Poetto;
          se il Dicastero non ritenga necessario, ove richiesto, condividere le proprie competenze ed i propri tecnici con i comuni di Cagliari e Quartu Sant'Elena, la provincia di Cagliari e la regione autonoma della Sardegna;
          se il Ministero non ritenga urgente effettuare delle analisi in merito alla presenza di amianto sul demanio marittimo nazionale;
          se l'Amministrazione disponga di fondi adeguati per il monitoraggio e la bonifica di zone di importanza fondamentale per l'equilibrio dell'ecosistema marino;
          se il Ministero non ritenga doveroso farsi promotore di una campagna di informazione utile a sensibilizzare la popolazione e le amministrazioni locali in merito alla necessità di addivenire allo smaltimento di strutture e manufatti realizzati con amianto. (4-16412)


      JANNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          raccogliere energia direttamente dal mare, sfruttando il calore delle acque tropicali per attivare delle centrali termoelettriche nell'oceano. Un progetto che a prima vista può sembrare semplice, se non fosse che una centrale sottomarina efficiente richiede la costruzione di un'enorme sistema di pompaggio largo alcuni metri e che si estende per oltre un chilometro di profondità. L'equivalente della costruzione di un tunnel della metropolitana per poi immergerlo verticalmente negli abissi marini per una profondità pari a tre grattacieli come l'Empire State Building. Una sfida tecnologica molto ambiziosa, ma che secondo gli ingegneri della Lockheed Martin potrebbe essere realizzabile in pochi anni. Come discusso recentemente anche su Popular Science, l'azienda americana nota a tutti per la sua attività nel campo aeronautico sta lavorando ad un prototipo di centrale capace di sfruttare il calore degli oceani tropicali e convertirlo in energia elettrica. Il prototipo, che dovrebbe produrre 10 megawatt, dovrebbe essere completata entro quest'anno, e potrebbe rappresentare una svolta nel campo delle energie rinnovabili;
          esistono diversi metodi per produrre energia a spese delle acque dell'oceano, sfruttando ad esempio le maree o il moto ondoso per mettere in moto turbine e generare elettricità. Ma il metodo studiato dai tecnici della Lockheed Martin si basa su un principio diverso, che non utilizza il movimento delle masse d'acqua. La centrale sviluppata dagli americani utilizza invece l'energia talassotermica (o mareotermica), cioè sfrutta la differenza di temperatura fra l'acqua in superficie ed in profondità per attivare i generatori elettrici. Le centrali a conversione di energia termica dell'oceano, o OTEC (Ocean Thermal Energy Conversion) in inglese, sono sofisticate macchine termiche nelle quali un fluido scorre in un circuito e scambia calore con l'acqua a diverse temperature. Nelle centrali a ciclo chiuso, come quella che stanno studiando alla Lockheed Martin, un fluido con punto di ebollizione basso (ad esempio ammoniaca) entra in uno scambiatore di calore dove a contatto con acqua calda evapora. La pressione del vapore fa ruotare le pale di una turbina collegata ad un generatore di corrente elettrica. Successivamente il vapore arriva ad un altro scambiatore di calore, nel quale entra in contatto con l'acqua fredda e condensa in liquido, che viene immesso nuovamente nel ciclo;
          esistono poi sistemi a ciclo aperto, nei quali è l'acqua stessa dell'oceano che viene fatta evaporare in recipienti a bassa pressione, e successivamente fatta condensare dopo che il vapor d'acqua ha attivato le turbine. Un terzo tipo di centrali OTEC è di tipo ibrido, in cui in un primo tempo l'acqua è fatta evaporare ed il vapore è poi utilizzato per far evaporare il fluido. Questo tipo di procedimento può essere applicato con successo negli oceani tropicali, dove la temperatura superficiale può raggiungere i 30oC mentre nelle zone più profonde può arrivare a 6oC. Tra le varie forme di conversione dell'energia marina, quella talassotermica sembra essere una delle più promettenti, sebbene il rendimento teorico sia relativamente basso e possa raggiungere il 7 per cento. Inoltre, ogni giorno i mari tropicali assorbono una quantità di energia solare pari all'energia prodotta da 250 miliardi di barili di petrolio. Infine, oltre a produrre energia pulita senza scorie, questo tipo di centrali hanno anche interessanti impieghi secondari. Per esempio l'acqua fredda può essere utilizzata per alimentare sistemi di aria condizionata, oppure gli impianti possono essere anche impiegati per desalinizzare l'acqua di mare in maniera molto rapida;
          l'idea di sfruttare il calore dell'oceano per realizzare centrali elettriche non è però così nuova. Fu nel 1881 che il fisico francese Jacques Arsene d'Arsonval propose per primo di sfruttare l'energia termica degli oceani. Grazie a Georges Claude, uno degli studenti di d'Arsonval, venne poi costruita la prima centrale OTEC nel 1930 a Cuba, che poteva generare 22 kilowatt. Nei decenni successivi l'interesse crebbe, e negli anni Settanta anche il Giappone e gli Stati Uniti avviarono specifici programmi per sviluppare questo tipo di risorse energetiche. La Tokyo Elecfric Power Company 3 costruì una prima centrale OTEC che divenne operativa nell'isola di Nauru agli inizi degli anni Ottanta, producendo 120 kilowatt. Gli Stati Uniti inaugurarono nel 1974 il Laboratorio per l'Energia Naturale delle Hawaii (Nelha 4), che sviluppò nel 1979 una prima centrale da 50 kilowatt. Presso i laboratori del Nelha vengono tuttora condotti esperimenti e messi alla prova nuovi impianti. Grazie alle particolari condizioni climatiche ed alla enorme disponibilità di acqua, le isole hawaiane sono il sito ideale per questo genere di tecnologie, ed è proprio laggiù che verrà installata la nuova centrale a cui stanno lavorando i tecnici della Lockheed Martin, Nel 2009 infatti l'azienda ha ricevuto dalla Marina degli Stati Uniti un finanziamento di 12 milioni e mezzo di dollari per sviluppare impianti di nuova generazione, che potranno servire sia le comunità delle isole che le basi militari dislocate in zona;
          la sfida principale per questo tipo di centrali sottomarine è la competitività rispetto alle fonti energetiche tradizionali. I calcoli hanno mostrato che, a parità di volume d'acqua impiegato, una centrale OTEC che opera su differenze di temperatura di 20oC produce la stessa energia di una centrale idroelettrica con un dislivello di circa 30 metri. «Per produrre una quantità ragguardevole di energia, gli impianti per la conversione dell'energia termica dell'oceano dovranno muovere fiumi d'acqua» ha commentato Laurie Meyer, capo tecnologo alla Lockeed Martin.  Infatti è necessario portare in superficie l'acqua fredda dalle profondità dell'oceano, e per muoverne una grande quantità, le simulazioni hanno mostrato che servirà un enorme tubo del diametro di dieci metri e profondo un chilometro. Non è pensabile costruire una simile infrastruttura e trasportarla successivamente, ed è per questo motivo che gli ingegneri hanno sviluppato una serie di sistemi per costruire il tubo direttamente in loco. Per farlo, hanno adattato un sistema attualmente usato per costruire gli aerei, basato su uno stampo iniziale di materiale fuso, che viene successivamente lasciato raffreddare;
          anche il materiale del tubo, un composto di resina e fibra di vetro, è stato sviluppato appositamente anche se i dettagli non sono stati rivelati dall'azienda americana per ovvie ragioni di mercato. Nello sviluppo di questo super-tubo, i ricercatori sono stati attenti ad ogni minimo dettaglio, cercando di ottimizzarlo anche in base ad aspetti decisamente curiosi. Ad esempio si è cercato di limitare la velocità con cui l'acqua viene pompata nel tubo, per evitare che l'impianto possa risucchiare pesci ed altre specie marine che abitano nelle profondità dell'oceano. Si tratta senza dubbio di una sfida tecnologica di tutto rispetto, ma i ricercatori americani sono fiduciosi, soprattutto perché il prototipo da 10 megawatt che verrà completato quest'anno, un tubo del diametro di quattro metri, sarà un ottimo banco di prova per la costruzione di una centrale da 100 megawatt. Sarà sicuramente un ottimo modo per capire la distanza fra le previsioni e la realizzazione concreta di questi impianti. Perché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. In questo caso, addirittura l'oceano  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di incentivare progetti di ricerca che studino la possibilità di estrapolare energia dai fondali marini ed oceanici. (4-16423)


      RAZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il porto di Pescara è una struttura realizzata ad avviso dell'interrogante prescindendo dalle buone regole di costruzione;
          alla base dei problemi attuali non solo c’è il mancato dragaggio del porto di Pescara, giunto ormai al punto da precluderne la navigabilità a tutte le imbarcazioni dotate di un pescaggio non minimale; lungo le sponde del fiume Pescara sgorga una quantità enorme di acque nere oltre alla confluenza del depuratore, il più grande d'Abruzzo;
          questo stato di cose provoca il progressivo ridimensionamento degli stock ittici, il caro gasolio, l'elevato livello dell'imposizione fiscale, la maggiorazione costi diretti e indiretti;
          queste imbarcazioni infatti, circa 60, non possono effettuare in sicurezza le operazioni di attracco e ormeggio, rifornimento, sbarco del pescato, entrata ed uscita dal porto canale, a causa di fondali sempre meno profondi e di banchi sabbiosi sempre più estesi e irregolari;
          l'Abruzzo perde dopo 46 anni le rotte per l'Est; adesso le partenze si fanno solo da Ancona Porto, dando l’«addio» a 41 mila passeggeri. La Snav conferma che sono stati cancellati i collegamenti estivi con la Croazia con perdita conseguente di decine di posti di lavoro;
          questa estate, Pescara e l'Abruzzo rimarranno isolati: l'intera regione non avrà collegamenti marittimi con l'altra sponda dell'Adriatico;
          lo scalo pescarese non può svolgere alcuna funzione, sia essa commerciale o di collegamento; non sono raggiungibili per acqua lo scalo di alaggio e i punti di rifornimento;
          molti pescatori sono fermi, letteralmente arenati in porto, e dunque si ritrovano senza reddito, ma è anche vero che un'altra parte della flotta pescarese si è spostata altrove, per esempio ad Ortona, dove hanno potuto continuare a pescare;
          occorrono risposte immediate alle sollecitazioni del sistema economico imprenditoriale, legato alle attività del porto, anche per scongiurare rischi di tenuta sul piano della sicurezza del sistema idraulico;
          è indubbio che si è in ansia ed angosciati da tanta inerzia e dalle pesanti ripercussioni di un mancato e deciso intervento sul porto di Pescara;
          sono pronti 40 milioni di euro mai utilizzati  –:
          in quali tempi e con quali iniziative intenda agevolare, per quanto di competenza, una soluzione definitiva ed anche sufficientemente rapida della situazione di cui in premessa, vista la grande importanza sociale, occupazione, lavoro, turismo ed economica che riveste il porto di Pescara nell'economia del Paese e nel quadro congiunturale complessivo nel breve e lungo periodo. (4-16429)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          un bollino verde, chiamato Edison Green Movie, che certifica l'impatto ambientale delle riprese e che attesta, in percentuale, il risparmio ottenuto dalle pellicole che seguono le indicazioni del neonato protocollo ambientale. Da quelle per i set, da allestire con materiali riciclati, al noleggio dei generatori di ultima generazione per risparmiare sull'illuminazione. Fino ai cestini dei catering, per attori e operatori, da riempire solo con cibi reperiti a chilometro zero. A presentarlo, nei giorni del Festival di Cannes, i portavoce e gli ideatori della nuova certificazione, nata dall'incontro della Edison, la più antica società energetica italiana, e Tempesta, tra le più giovani case di produzione cinematografica. Al loro fianco, anche due testimonial d'eccezione: gli attori Isabella Ferrari e Alessandro D'Alatri, venuti dall'Italia per schierarsi a favore della battaglia ambientale;
          centrale, del resto, nella società il ruolo della stella cinematografica per diffondere modelli di comportamento. Negli ultimi anni, in special modo, a livello salutare. E ora anche per quelli che riguardano l'inquinamento. «È ora», afferma Isabella Ferrari, «che il cinema faccia la sua parte per contribuire al rispetto del pianeta. Mi rispecchio nelle indicazioni del protocollo non solo come attrice, ma anche come donna perché cerco di applicare queste regole di buon senso anche nel privato». Un vero e proprio coinvolgimento per le tematiche verdi che coinvolge anche il testimonial maschile, Alessandro D'Alatri. «Bisogna cominciare a riflettere», dice l'attore-regista, «su cosa il cinema può fare per la società. Visto che spesso, soprattutto quello italiano, si è rivelato per determinate tematiche molto più avanti dell'Italia stessa. Ci sono purtroppo abitudini radicate di cattivo comportamento, come ad esempio sprecare, che sono difficili da sconfiggere ma che con piccoli gesti possiamo sconfiggere. Infine», auspica D'Alatri, «spero tanto che questa svolta verde del cinema italiano possa anche diventare uno stimolo, non solo per gli altri Paesi, ma anche per le istituzioni»;
          piccoli gesti che però darebbero vita a un grande risultato se tutte le produzioni seguissero le indicazioni del protocollo ambientale. Visto che si contano quasi 600 mila giornate di riprese, ogni anno solo in Italia. E che applicando le regole si può calcolare una riduzione delle emissioni pari a 1.120 tonnellate di CO2, ossia l'equivalente prodotto in media da una città con 10 mila abitanti. Risparmi resi possibili, monitorando l'intera filiera cinematografica e adottando accorgimenti per limitarne l'impatto ambientale. Tra raccolta differenziata, allestimenti bio e l'uso di mezzi ecologici, come i treni al posto degli aerei. Tra i pionieri del cinema verde anche il regista Ermanno Olmi, legato alla società energetica non solo da ragione biografiche, infatti il suo primo lavoro prima di incrociare la macchina da presa fu proprio alla Edison, ma anche per quello che riguarda la sensibilità verso i temi ambientali. «Edison Green Movie», conclude Andrea Prandi, direttore comunicazione di Edison, «è la conferma del nostro impegno per diffondere la cultura della sostenibilità andando oltre al business dell'energia. Edison, infatti, è storicamente vicina al mondo del cinema grazie al legame con il maestro Olmi. Ed è anche grazie a lui che adesso promuoviamo nell'interno dell'industria cinematografica l'attenzione per un uso consapevole dell'energia»  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di favorire un «codice verde» anche per l'industria cinematografica. (4-16422)

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


      MONDELLO, CICCANTI, COMPAGNON, NARO, RAO, VOLONTÈ, TASSONE, OCCHIUTO, LIBÈ, DELFINO, PEZZOTTA e MANTINI. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          secondo il Forum nazionale per il servizio civile nel 2013 resteranno fondi per non più di 4.000 volontari;
          i tagli, che sono stati effettuati al fondo nazionale per il servizio civile, hanno creato non poche difficoltà al sistema, costringendo l'ufficio nazionale a dilazionare l'avvio in servizio dei 20.000 giovani selezionati con il bando di settembre 2011;
          a causa di questa scelta è molto probabile un collasso del sistema: vi saranno disagi per gli enti che hanno progettato le attività e per i ragazzi, molti dei quali non sanno ancora quando prenderanno il via i progetti cui sono stati assegnati;
          in dieci anni di esistenza del servizio civile, ben 284.596 giovani (tra i 18 e 28 anni) hanno fatto questa esperienza attraverso associazioni o enti iscritti all'albo nazionale o a quelli regionali. Si sono impegnati in vari campi: il servizio alle persone, l'assistenza, la protezione civile, l'ambiente, il patrimonio artistico e culturale, la promozione sociale; senza un impegno finanziario del servizio civile risulterebbero vani gli sforzi delle organizzazioni;
          anche in occasione del recente tragico evento calamitoso in Emilia-Romagna, i volontari del servizio civile nazionale hanno prestato e stanno prestando il loro prezioso servizio in favore delle popolazioni colpite –:
          quali iniziative intenda adottare al fine di evitare le criticità citate in premessa ed impedire che l'intero sistema del servizio civile possa essere compromesso a causa dell'esigua disponibilità di fondi assegnati. (3-02315)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


      MIGLIORI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il Governo ha prodotto uno schema di decreto legislativo di riorganizzazione dell'Associazione italiana della croce rossa italiana (CRI), che si trova in fase di approvazione (atto del Governo n.  424);
          è necessaria l'attuazione dall'articolo 2, della legge n.  183 del 2010, con «criteri e principi direttivi della semplificazione e snellimento, dell'economicità, efficacia e efficienza dell'azione amministrativa, della razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, della ridefinizione del rapporto di vigilanza» e dunque anche una fase di profonda ristrutturazione e conseguente riorganizzazione del CRI;
          il Corpo Militare della croce rossa italiana in Italia esiste da 147 anni ed insieme al Corpo delle infermiere volontarie che ne ha più di cento, è componente ausiliaria delle forze armate, con le quali, nei vari teatri operativi, si impegna e coadiuva da sempre sia sul territorio nazionale ed internazionale che in missioni umanitarie ed anche con un importante ruolo sociale nella nostra nazione, tutto in ottemperanza delle Convezioni di Ginevra e dei principi da essa espressi;
          molte altre nazioni europee e non, hanno corpi militari, corpi come guardia nazionale, corpi di sanità pubblica che rappresentano quella indipendenza, evocata appunto nelle Convenzioni di Ginevra, che solo un corpo dello Stato in una nazione con basi democratiche può esprimere senza commistioni e nella indipendenza della funzione pubblica come ente;
          la bozza di riforma oltre ad evidenziare, in talune parti, contraddizioni e vulnus, dimostra una carenza di attenzione, se così definitivamente adottata, non solo verso la prosecuzione di una tradizione storico-culturale e dunque nello snaturamento della stessa Croce rossa italiana, ma anche nei confronti del personale a tempo determinato ed indeterminato, non approntando le dovute garanzie di reimpiego, generando così un numero ragguardevole di possibili disoccupati;
          si riscontra inoltre poca chiarezza su chi andrà a svolgere le funzioni e mansioni finora svolte dalla Croce rossa italiana per le forze armate ed anche da quale Ministero dovranno essere sostenute economicamente, evidenzia dunque il rischio di vedere sì ridotta la spesa pubblica in un Ministero, ma contemporaneamente vederla lievitare nell'altro;
          a seguito di una precedente interrogazione parlamentare del 23 giugno 2011 (4-12444) a risposta scritta al Ministero della difesa, avanzata dal sottoscritto e con risposta del 10 gennaio 2012 (pubblicata nell'allegato B della seduta n.  567), il Ministro, rassicurando, rispondeva: «... quanto al personale della Croce rossa italiana appartenente alle due componenti ausiliarie delle Forze armate, assicuro che il Dicastero si farà carico di vigilare perché siano salvaguardate anche per il futuro, in sede di riforma della Croce rossa italiana, secondo quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, della legge n.  183 del 2010, la loro militarità ed il loro rapporto di ausiliarietà»  –:
          se non si intenda, in tale senso, fornire adeguate assicurazioni circa il mantenimento dell'attuale assetto organizzativo del corpo militare e del corpo delle infermiere volontarie della Croce rossa italiana ed in ogni caso il rispetto degli impegni presi nella risposta all'interrogazione e se si intenda tutelare il patrimonio dell'alta professionalità espresso dal personale militare della Croce rossa italiana dagli addetti affinché non venga disperso e con quali modalità si continueranno a garantire i servizi finora svolti dal corpo militare della Croce rossa italiana e dall'associazione. (4-16419)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro rappresenta un'assoluta priorità per il Paese, che con l'approvazione definitiva nel luglio 2009 del decreto «correttivo» (decreto legislativo 3 agosto 2009, n.  106) al testo unico n.  81 del 2008, ha equiparato l'Italia agli standard normativi internazionali ed europei;
          la strategia, in tema di prevenzione dei rischi lavorativi promossa dalla rinnovata normativa, privilegia l'adozione di misure condivise volte a promuovere la prevenzione e la sicurezza sul lavoro attraverso la formazione, l'informazione e la sorveglianza. L'efficacia dell'attuale sistema di prevenzione passa inevitabilmente per una effettiva collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro, in un contesto di competenze precisamente definite della normativa vigente;
          affinché il sistema di prevenzione risulti efficace i lavoratori devono essere consapevoli di avere il diritto irrinunciabile ad un luogo di lavoro rispettoso delle norme, ma anche il dovere di partecipare attivamente alla formazione e di seguire tutte le norme dettate dal datore di lavoro; il datore di lavoro ha il dovere di considerare la salute e la sicurezza del lavoratore importante quanto la produzione, di valutare il rischio e prevenirlo con soggetti e strutture di supporto: medico competente e servizio di prevenzione e protezione; il datore di lavoro deve, conseguentemente alle attività di valutazione dei rischi da lavoro, attuare le misure di prevenzione degli infortuni previste dalla legge, senza eccezioni o ritardi;
          presso l'Amministrazione della difesa la normativa a tutela della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro è stata recepita con decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90, Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare. Nell'ambito della Marina militare la pubblicazione SMM 1062, attuazione delle norme di legge in materia di prevenzione, protezione, sicurezza ed igiene del lavoro, ha reso attuativi i dettami del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni, al contesto militare e navale, stabilendo gli obblighi e i doveri di tutte le figure che concorrono alla sicurezza sui luoghi di lavoro, compreso quelli del «medico competente» (specialista in medicina del lavoro);
          secondo quanto dettato dalla normativa nazionale, recepito altresì dalla pubblicazione SMM 1062, il medico competente collabora con il datore di lavoro alla valutazione dei rischi, programma, ove necessario, la sorveglianza sanitaria, predispone l'attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, svolge attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori (per la parte di competenza), organizza il servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro, sottoscrive il documento di valutazione dei rischi (DVR), partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria, compila la cartella sanitaria e di rischio, effettua sopralluoghi negli ambienti di lavoro e valuta i dispositivi di protezione individuale (DPI);
          il 25 maggio 2012 veniva data la notizia sui principali media nazionali della morte del nocchiere di terza classe Alessandro Nasta, 29 anni di Brindisi. Il graduato, imbarcato dal gennaio 2011 sulla Nave Amerigo Vespucci, è morto cadendo dall'albero più alto della nave e, a seguito di un volo di circa quindici metri, malgrado i soccorsi sanitari, è morto all'ospedale di Civitavecchia dove è stato trasportato in elicottero dall'unità navale, che si trovava in viaggio da La Spezia verso Civitavecchia. Come riportato sul giornale La Nazione di La Spezia del 25 maggio 2012, Alessandro Nasta è morto dopo essere precipitato dall'albero di maestra, quello centrale e più alto. Il graduato, dopo aver ultimato una manovra alle vele, alle 11:38 stava rientrando sul ponte di coperta quando, all'altezza della prima coffa, mentre si sosteneva al passamano — (tientibene) — ha perso la presa ed è caduto da una altezza di circa 15 metri urtando la testa sul ponte di coperta, trauma che è risultato letale (ricostruzione della dinamica dell'incidente rilasciata con una nota dalla Marina militare)  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della pregressa valutazione del rischio lavorativo del militare deceduto da parte del medico competente designato per l'unità navale Vespucci e se il medesimo medico abbia mai adempiuto alle attività di pertinenza stabilite dalla normativa vigente;
          se il Ministro interrogato sia in grado di quantificare il numero dei sopralluoghi finora effettuati dai medici competenti designati per le unità navali della Marina militare (sedi di La Spezia, Taranto, Augusta) e la percentuale delle cartelle sanitarie compilate per la valutazione dei rischi lavorativi dei militari imbarcati appartenenti alle singole giurisdizioni;
          se il Ministro interrogato sia in grado di stabilire su quale turno di guardia di navigazione fosse impiegato il graduato Alessandro Nasta, quante ore di riposo gli venivano garantite dal comando di bordo prima di essere impiegato alla manovra alle vele e se il personale preposto aveva valutato preventivamente che il militare indossasse i dispositivi di protezione individuale anti-caduta (cintura con imbracatura, cordino d'aggancio) e fosse indottrinato sul loro corretto utilizzo. (4-16428)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


      BORGHESI, MURA, EVANGELISTI e PIFFARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in data 30 maggio 2012, l'assemblea ordinaria degli azionisti di Cassa depositi e prestiti – società per azioni controllata al 70 per cento dal capitale sociale del Ministero dell'economia e delle finanze ed al 30 per cento da un nutrito gruppo di fondazioni di origine bancaria – ha approvato il bilancio relativo all'esercizio finanziario 2011;
          nel corso dell'assemblea è stato, inoltre, presentato il bilancio consolidato che aggrega anche i risultati del gruppo Terna e delle altre società controllate;
          l'anno 2011, stando a quanto spiegato da una nota diffusa dalla stessa Cassa depositi e prestiti, si è chiuso con un utile netto pari a 1.612 milioni di euro e tale risultato consentirà di distribuire dividendi per ben 371 milioni di euro: dividendi che, per una quota pari a 259,7 milioni di euro, spettano direttamente al Ministero dell'economia e delle finanze;
          i drammatici eventi sismici che hanno colpito l'Emilia-Romagna il 20 e il 29 maggio 2012 hanno complessivamente provocato centinaia di feriti e la morte di 23 persone, nonché ingentissimi danni a immobili, chiese ed edifici storici. Tali eventi impongono, quindi, un immediato impegno, anche di carattere finanziario, per sostenere le popolazioni colpite;
          occorre considerare che il Parlamento, con l'articolo 16 del decreto legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, è già intervenuto per disciplinare i dividendi delle società a partecipazione pubblica –:
          se il Governo non intenda adottare con urgenza ogni iniziativa, anche normativa, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, volta a destinare una congrua quota dei citati dividendi di spettanza del Ministero dell'economia e delle finanze, in favore delle amministrazioni competenti in via ordinaria a coordinare gli interventi conseguenti ai danni provocati dagli eventi sismici e dalle calamità naturali del 20 e del 29 maggio 2012 per la ricostruzione, nonché per il sostegno alle popolazioni e alle attività produttive ed economiche delle zone interessate. (3-02317)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


      LO MONTE, BRUGGER e ZELLER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge provinciale 9 aprile 1996, n.  8, come modificato dall'articolo 22, comma 1, della legge provinciale 21 dicembre 2007, n.  14, per «assistenza domiciliare all'infanzia» s'intende l'attività delle persone collegate alle istituzioni private senza scopo di lucro «che assistono professionalmente nelle proprie abitazioni uno o più bambini di altre famiglie, svolgendo un compito educativo connotato da familiarità, valorizzazione della quotidianità, con caratteristiche di flessibilità e personalizzazione, per rispondere al meglio alle esigenze delle famiglie, nel rispetto dei ritmi, delle abitudini e del percorso di crescita di ogni bambino»;
          il servizio, valevole per un numero massimo di 6 bambini seguiti contemporaneamente da ciascuna assistente/Tagesmütter, compresi eventualmente i propri, se di età inferiore ai 10 anni, è rivolto esclusivamente a bambini di età compresa tra 3 mesi e 3 anni, anche già compiuti, che non frequentino ancora la scuola per l'infanzia e si svolge presso l'abitazione della Tagesmütter che, secondo quanto previsto dal decreto del presidente della giunta provinciale 23 maggio 1977, n.  22, deve rispecchiare i parametri di superficie minima e sottostare a ben determinati standards igienico-sanitari;
          in base al disposto dell'articolo 2, del decreto del presidente della giunta provinciale 30 dicembre 1997, n.  40, il servizio di assistenza domiciliare all'infanzia, attuato nell'ambito privato con criteri e modi di intervento ispirati a fini sociali, si pone in rapporto di alternatività e di complementarietà con il servizio degli asili nido, nell'ambito dell'aiuto e del sostegno alla famiglia;
          ai sensi dell'articolo 70, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n.  448 (legge finanziaria 2002), costituiscono asili nido le strutture dirette a garantire la formazione e la socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i tre anni ed a sostenere le famiglie e i genitori;
          il decreto del presidente della provincia 20 luglio 2011, n.  28, che modifica il decreto del presidente della giunta provinciale 11 agosto 2000, n.  30, in materia di assistenza economica e sociale e tariffe nei servizi sociali, prevede che, per il pagamento della tariffa del servizio in questione, le famiglie utenti, rivolgendosi al distretto sociale della comunità comprensoriale competente per territorio, possano richiedere un'agevolazione tariffaria sulla base della quale la quota che resta a carico della famiglia varia a seconda delle entrate, del patrimonio, delle uscite e del numero dei componenti del nucleo familiare stesso;
          il comma 335 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n.  266 (legge finanziaria 2006) ha introdotto uno strumento fiscale finalizzato al sostegno alle famiglie, concernente le spese sostenute dai genitori per il pagamento delle rette relative alla frequenza di asili nido, prevedendo in particolare, per le rette pagate nel 2005, una detrazione fino ad un massimo di 632 euro dall'imposta sul reddito delle persone fisiche, nella misura del 19 per cento delle spese sostenute per la frequenza dell'asilo nido da parte dei figli, ai sensi dell'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917, e successive modificazioni;
          lo stesso comma 335 richiamato in precedenza, come precisato anche dalla circolare n.  6, del 13 febbraio 2006, dell'Agenzia delle entrate, non contiene alcuna indicazione specifica riguardo alle caratteristiche tipologiche dell'asilo, potendo gli utenti fruire del beneficio fiscale in relazione alle somme versate a qualsiasi asilo nido, pubblico o anche privato;
          l'articolo 2, comma 6, della legge 22 dicembre 2008, n.  203 (legge finanziaria 2009), ha in ultimo stabilito che le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 335, della legge 23 dicembre 2005, n.  266, si applichino, oltre che per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2008, anche per i periodi d'imposta successivi  –:
          se il servizio di assistenza domiciliare all'infanzia sopra descritto, diretto a garantire la formazione e la socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i tre armi, possa essere assimilato, ai fini dell'avvalimento del beneficio fiscale a sostegno delle famiglie introdotto dalla legge finanziaria per il 2006, alla tipologia di servizio offerto da un qualsiasi asilo nido, sia pubblico sia privato. (5-07001)


      BERNARDO e SANTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in tema di applicazione dell'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.  131, si sono verificati costantemente casi in cui l'Agenzia delle entrate a quanto consta agli interroganti:
              1)      non motiva adeguatamente la propria pretesa fiscale, nei propri avvisi di liquidazione dell'imposta e di irrogazione delle sanzioni;
              2)      sottopone a tassazione fatti o atti per i quali la tassabilità è prescritta;
              3)      reitera la tassazione, sia con riferimento all'evento del quale è stata omessa la registrazione, sia con riferimento ad una sua successiva enunciazione, ad esempio in sentenze di tribunale;
          quanto al punto 1), avviene di frequente che dal contenuto e dalle motivazioni riportate nell'avviso di liquidazione, non è possibile ricostruire l’iter logico normativo seguito dall'Ufficio per determinare sia l'obbligo tributario sia l'ammontare dell'imposta; in tema di motivazione degli atti della pubblica amministrazione, l'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n.  241, impone a questa di spiegare, in fatto ed in diritto, le ragioni di qualsiasi atto di rilevanza esterna, e cioè idoneo a incidere su posizioni di diritto soggettivo di terzi; tale obbligo riguarda anche gli atti ed i provvedimenti dell'Amministrazione finanziaria e delle sue articolazioni, ai sensi dell'articolo 7 dello Statuto del contribuente (legge 27 luglio 2000, n.  212); giova ricordare che, per giurisprudenza costante della Cassazione, un atto impositivo è nullo non solo nella mancanza totale di motivazione, ma anche quando la motivazione sia sommaria o generica e quindi tale da pregiudicare il diritto alla difesa del contribuente;
          quanto al punto 2), l'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.  131, prevede espressamente un limite di decadenza quinquennale dei termini di accertamento per gli atti soggetti a registrazione sia per gli atti per i quali avrebbe dovuto essere richiesta la registrazione, sia per il verificarsi dei fatti che legittimano la registrazione d'ufficio; tale impostazione è confermata dalla stessa amministrazione finanziaria (risoluzione 17 luglio 1992, n.  260069);
          quanto al punto 3), relativo alla reiterazione di tassazione, giova ricordare che sull'argomento la Commissione tributaria centrale, nella decisione 30 ottobre 2002, n.  7877, ha chiaramente esplicitato che i fatti oggetto di registrazione «devono essere tassati una sola volta, ancorché la sua enunciazione venga reiterata»  –:
          se non intenda emanare direttive chiarificatrici sui punti esposti in premessa, anche al fine di evitare il proliferare di un contenzioso che si configura come dannoso per l'erario. (5-07002)


      FUGATTI e CAVALLOTTO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446, il presupposto impositivo dell'IRAP consiste nell’«esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi»;
          la formulazione generica di tale disposizione normativa ha determinato negli ultimi anni l'insorgenza di diverse controversie tra l'Amministrazione finanziaria ed i contribuenti sulla particolare questione della verifica del presupposto impositivo per i contribuenti che svolgono un'attività economica «senza organizzazione», con la conseguente emanazione di numerose pronunce giurisprudenziali;
          in merito la Corte costituzionale, nella sentenza 21 maggio 2001, n.  156, ha affermato che «mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo... nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui», con la conseguente inapplicabilità dell'IRAP per mancanza di presupposto;
          mentre di fatto, dunque, per gli esercenti un'attività d'impresa, come evidenziato nella citata sentenza, «l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa», per i lavoratori autonomi si pone la necessità di individuare, caso per caso, la presenza o meno di un'autonoma organizzazione al fine di determinare l'assoggettamento ad IRAP;
          la Corte di cassazione a Sezioni Unite, nel 2009, con le sentenze nn.  12108, 12109, 12110 e 12111 in merito all'attività svolta dagli agenti di commercio e promotori finanziari, ha sentenziato che anche per tali soggetti, pur svolgendo un'attività che ai fini delle imposte dirette è considerata produttiva di reddito d'impresa, è necessario verificare, analogamente a quanto previsto per i lavoratori autonomi, l'esistenza o meno di un'autonoma organizzazione; inoltre la stessa Corte ha sostenuto che «è evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione risulterà mancante il presupposto stesso dell'IRAP... con la conseguente inapplicabilità dell'imposta»;
          il tema, insomma, è particolarmente controverso e, soprattutto per gli agenti di commercio, si presta a innumerevoli interpretazioni, tanto da giustificare, a parere dell'interrogante, un intervento del Governo o dell'Agenzia delle entrate che chiarisca concretamente cosa si debba intendere per organizzazione autonoma  –:
          se il Governo intenda intervenire, anche attraverso un provvedimento dell'Agenzia delle entrate, per definire in maniera precisa quali siano gli elementi che configurano, ai fini dell'imposizione IRAP, la cosiddetta «organizzazione autonoma» per la categoria degli agenti di commercio, per i promotori finanziari e per le altre categorie di lavoratori autonomi. (5-07003)


      STRIZZOLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il castello di Udine fu costruito dopo il terremoto del 1511, nell'arco di un cinquantennio fra il 1517 e il 1567, con onere sostenuto per circa due terzi direttamente dalla popolazione della città di Udine;
          nei secoli successivi, il castello fu destinato ad usi militari dai veneziani, dagli austriaci e, dopo la terza guerra d'indipendenza, dallo Stato italiano che lo iscrisse, quale bottino di guerra, nel demanio militare;
          dopo la riunificazione con l'Italia, l'amministrazione della città inoltrò al re, per il tramite delle sue più alte e rappresentative istituzioni, un'istanza ufficiale e formale affinché il colle ed il castello sovrastante, considerati come i simboli più significativi della città e dell'intero Friuli in quanto sede storica del Parlamento friulano, fossero ad essa riconsegnati in virtù dei diritti storici, etici e territoriali acquisiti e non disconoscibili;
          il re, nel corrispondere alle giuste sollecitazioni della città, il 18 luglio del 1899 cedette il castello monumentale, le sue pertinenze e le sue adiacenze al comune di Udine in uso perpetuo;
          da allora il castello ha rappresentato, in ogni momento, la massima espressione della vita politica amministrativa artistica e culturale della città;
          in tutti questi anni, il Comune di Udine si è fatto carico delle spese di manutenzione e restauro, garantendo la fruibilità del compendio alla cittadinanza, anche successivamente al luttuoso evento sismico del 1976, mediante ingenti opere di conservazione, riqualificazione e valorizzazione facendo conseguire al bilancio dello Stato ingenti risparmi;
          ciononostante, pur a fronte della chiarissima volontà che emerge dallo spirito e dall'inequivocabile senso letterale del testo dell'atto di cessione in uso perpetuo alla città, a causa di una non condivisibile lettura giuridico-amministrativa del documento – in base alla quale l'uso perpetuo sarebbe assimilabile al regime del diritto reale dell'usufrutto introdotto dal vigente codice civile – allo stato attuale il bene, di fatto e di diritto, non risulta più appartenere al Comune di Udine;
          lo Stato, che giuridicamente ne rivendica la proprietà, chiede al Comune la corresponsione di onerosi canoni di concessione calcolati sulla base della stima dell'immobile a mero valore venale, non corrispondente alla sua effettiva utilizzazione;
          tale stato di cose non ha lasciato insensibili la città e le massime istituzioni della provincia e della regione che ripetutamente hanno sollecitato la restituzione – alla città di Udine e al Friuli – della proprietà del castello;
          in data 27 dicembre 2007 è stato sottoscritto, fra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Friuli Venezia Giulia, un protocollo d'intesa che, all'articolo 9, anticipa, di fatto, lo spirito e l'indirizzo che presiedono alla odierna formulazione del federalismo demaniale, prevedendo la possibilità, per il Governo, di concordare, attraverso i singoli Ministeri, intese finalizzate alla valorizzazione e/o l'eventuale trasferimento di alcuni beni di particolare significato culturale e simbolico come – a titolo esemplificativo – il Castello di Udine;
          il decreto legislativo 28 maggio 2010, n.  85, in materia di federalismo demaniale, che prevede l'attribuzione ai comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, stabilisce all'articolo 5, comma 2, l'esclusione del trasferimento tra l'altro, dei beni oggetto di accordo o intese con gli enti territoriali antecedenti alla data di entrata in vigore del decreto;
          la risoluzione 7-00504, approvata il 24 marzo 2011 dalla Commissione Finanze della Camera, impegna il Governo ad interpretare il citato comma 2, dell'articolo 5, del decreto legislativo n.  85 del 2010, nel senso che sono esclusi dal trasferimento i soli beni oggetto di accordi perfezionati e non anche quelli indicati in atti integranti, di fatto, semplici dichiarazioni di intenti;
          il trasferimento della proprietà del castello di Udine, citato nell'intesa sottoscritta nel 2007, sembra coerente con i provvedimenti legislativi riguardanti il federalismo fiscale, anche alla luce della necessità di estendere la disciplina, in materia di trasferimento dei beni demaniali, agli enti locali compresi nelle regioni a statuto speciale;
          in data 21 giugno 2011, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n.  9/4357/-A/133 a prima firma del sottoscritto interrogante, con cui la Camera dei deputati «impegna il Governo a procedere, anche con atti normativi, al trasferimento della proprietà del compendio del Castello di Udine all'Amministrazione comunale»;
          in sede di commissione paritetica Stato-Regione Friuli-Venezia Giulia è stato avviato lo scorso mese di maggio l'approfondimento del problema del trasferimento del castello di Udine, acquisendo – ancora nel corso del 2011 – i pareri favorevoli del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero dell'economia e delle finanze  –:
          quali siano le ragioni per le quali ancora non è stato dato corso al trasferimento della proprietà del compendio del castello di Udine alla città di Udine. (5-07004)


      BARBATO e MESSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il meccanismo del prelievo erariale unico (PREU) applicato sulle giocate degli apparecchi e congegni da gioco leciti prevede un articolato sistema di aliquote, decrescenti al crescere della raccolta rispetto a quella registrata nel 2008;
          in particolare, l'articolo 30-bis, comma 1, del decreto-legge n.  185 del 2008, ha disposto che: «a decorrere dal 1o gennaio 2009, il prelievo erariale unico di cui all'articolo 39, comma 13, del decreto-legge 30 settembre 2003, n.  269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n.  326, e successive modificazioni, è determinato, in capo ai singoli soggetti passivi d'imposta, applicando le seguenti aliquote per scaglioni di raccolta delle somme giocate:
              a) 12,6 per cento, fino a concorrenza di una raccolta pari a quella dell'anno 2008;
              b) 11,6 per cento, sull'incremento della raccolta, rispetto a quella del 2008, pari ad un importo non superiore al 15 per cento della raccolta del 2008;
              c) 10,6 per cento, sull'incremento della raccolta, rispetto a quella del 2008, pari ad un importo compreso tra il 15 per cento e il 40 per cento della raccolta del 2008;
              d) 9 per cento, sull'incremento della raccolta, rispetto a quella del 2008, pari ad un importo compreso tra il 40 per cento e il 65 per cento della raccolta del 2008;
              e) 8 per cento, sull'incremento della raccolta, rispetto a quella del 2008, pari ad un importo superiore al 65 per cento della raccolta del 2008»;
          l'articolo 30-bis, comma 2, del predetto decreto-legge n.  185, ha disposto altresì che «fermo quanto disposto dall'articolo 39, comma 13-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n.  269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n.  326, e successive modificazioni, e dai relativi decreti direttoriali di applicazione, gli importi dei versamenti periodici del prelievo erariale unico dovuti dai soggetti passivi di imposta in relazione ai singoli periodi contabili sono calcolati assumendo un'aliquota pari al 98 per cento di quella massima prevista dal comma 1, lettera a), del presente articolo»;
          la raccolta conseguita nell'anno 2011 nel settore degli apparecchi da gioco con vincita in denaro di cui all'articolo 110, comma 6a) del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in base alle comunicazioni acquisite dai concessionari per il tramite del partner tecnologico SOGEI, è stata pari ad euro 29.729.195.804,33;
          sull'incremento della raccolta rilevata per l'anno 2011 (euro 29.729.195.804,33) rispetto a quella per l'anno 2008 (euro 21.465.761.265,97), pari ad euro 8.253.434.538,36, sono dunque applicate le aliquote ridotte del prelievo erariale unico indicate dal citato decreto-legge n.  185 del 2008;
          ferma restando l'aliquota del 12,60 per cento sulla parte di raccolta fino all'ammontare rilevato nel 2008, calcolando i diversi importi su cui applicare le percentuali relative ai singoli scaglioni, si ottiene un importo complessivo pari a 3.612.808.622,48 euro, con un aliquota pari complessivamente al 12,1524 per cento;
          in forza di tale normativa ed a seguito del decreto direttoriale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) del 12 marzo 2012, l'erario dovrà rimborsare una cifra compresa tra 62 e 133 milioni di euro ai concessionari dei giochi per anticipi d'imposta sul fatturato dei giochi calcolati con l'aliquota del 12,60 per cento;
          inoltre, secondo quanto riportato in un articolo del Fatto Quotidiano, a tale somma, già esorbitante, si aggiungerebbe un secondo esborso dello Stato in favore dei concessionari, pari a 223 milioni di euro, legata ad un ulteriore meccanismo premiale previsto in favore di quei concessionari che abbiano investito nella rete per il collegamento in via telematica degli apparecchi da gioco, per un totale variabile in una cifra, comunque sbalorditiva, tra i 285 e i 356 milioni di euro;
          una quota consistente di tali rimborsi, pari al 24,3 per cento del totale, andrà a favore della società BPlus, riconducibile al signor Francesco Corallo, nei cui confronti la magistratura milanese ha emesso un mandato di cattura per associazione a delinquere e che risulta al momento latitante;
          appare dunque del tutto paradossale che, nell'attuale difficilissima situazione economico-finanziaria, che ha indotto il Governo ad incrementare notevolmente la pressione fiscale, giungendo persino ad aggravare fortemente il prelievo sulla prima casa, si continui ad applicare un regime tributario di favore nei confronti di una categoria, quella dei concessionari dei giochi, i quali hanno visto negli ultimi anni aumentare enormemente il proprio fatturato e che, peraltro, sono stati anche oggetto di pesanti rilievi da parte della Corte dei conti (la quale ha condannato i concessionari ad una sanzione pecuniarie di circa 2,5 miliardi di euro) per irregolarità gravi concernenti il mancato collegamento in rete con la SOGEI degli apparecchi da gioco;
          in tale contesto risulta secondo gli interroganti scandaloso il fatto che si giunga addirittura a rimborsare i concessionari per le imposte da questi pagate, sottraendo in tal modo risorse preziose che dovrebbero essere invece utilizzate per iniziative di rilancio dell'economia nazionale, per far fronte alle esigenze di quelle fasce di popolazione messe in difficoltà dalla crisi economica, nonché per consentire il pagamento dell'enorme massa di debiti che le pubbliche amministrazioni hanno nei confronti dei propri fornitori di beni e servizi;
          ciò appare ancora più sconvolgente laddove si consideri che lo Stato incontra enormi difficoltà ad individuare le risorse per finanziare i provvedimenti a favore dei lavoratori cosiddetti «esodati» e ha dovuto disporre l'ennesimo aumento dell'accisa sui carburanti per finanziare gli interventi di emergenza a favore delle popolazioni coinvolte dal recente terremoto che ha colpito la regione Emilia-Romagna;
          è dunque impellente l'esigenza di modificare al più presto la normativa sul prelievo erariale unico, per sanare una stortura che suona offensiva nei confronti dei contribuenti, e, soprattutto, di tutti quei cittadini e quegli imprenditori che, a causa della crisi economica, si vedono nell'impossibilità di far fronte alle proprie esigenze vitali o di continuare nella propria attività lavorativa  –:
          quali iniziative intenda assumere per modificare la normativa sul prelievo erariale unico, al fine di evitare di restituire ai concessionari dei giochi le somme anticipate ai fini del pagamento di tale tributo, unificando le aliquote per il computo del prelievo unico erariale per lo meno al 12,60 per cento e destinando le maggiori entrate alle finalità citate in premessa. (5-07005)

Interrogazione a risposta scritta:


      RAZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le norme relative all'IMU presentano, a detta di molti, dei profili di dubbia costituzionalità, con specifico riferimento agli articoli 3, 47, 53;
          Egidio Pedrini sindaco del comune di Zeri ha sollevato alcune tematiche giuridiche e pratiche relativa all'IMU indirizzata ai membri del parlamento e del Governo;
          una norma che presenta dubbi di costituzionalità, evidenzi risvolti di compressione dell'autonomia locale, palesi contrasti con i principi del federalismo fiscale e conclamati aspetti di profonda iniquità, dovrebbe essere rivista;
          la seconda casa, molto spesso, (ed in particolare nei piccoli comuni) non è la seconda casa indice di una certa agiatezza ma la casa del ricordo, dell'attaccamento al territorio per un paese di alta emigrazione. È la radice. Ricordi chi lo abbia dimenticato come sia stato riconosciuto il voto agli italiani all'estero proprio per far sì di mantenere legami stretti con le loro origini; ma contraddittoriamente però dovremmo mettere i nostri concittadini in condizione di dovere abbandonare i legami col loro paese lasciando le case modeste ereditate dai loro bisnonni e trisavoli;
          case abbandonate o abitate e le «pertinenze», come per esempio lamenta il sindaco Egidio Pedrini di cui una sola può essere presa in considerazione, trattandosi di vere e proprie baracche: baracche della miseria dove in una c’è un po’ di legna e in un'altra c’è qualche attrezzo per contadini pensionati, che forse sono obbligati a trovare in sé soli la forza di aiutarsi per trarre qualche sostanza dalla terra per far fronte alle necessità quotidiane, non potendo far conto sulle loro già misere pensioni, immiserite ancor di più dai recenti provvedimenti normativi;
          Stati membri delle Nazioni Unite hanno affermato che l'abitazione è una componente essenziale dei diritti fondamentali e il diritto all'abitazione è una pre-condizione per la fruizione di molti altri diritti fondamentali dell'individuo, al pari della libertà di espressione del pensiero o del diritto alla salute;
          la nostra Costituzione evidenzia l'esistenza di un interesse pubblico a che tale diritto venga tenuto in considerazione dal legislatore ordinario. L'articolo 47 mostra infatti di favorire lo sviluppo del risparmio «popolare», avendo quindi un occhio di riguardo per i piccoli risparmiatori i quali finalizzino l'attività di risparmio all'acquisizione dell'abitazione, vista come un bene che soddisfa appunto una delle necessità primarie dell'individuo. Per la occhiuta vigilanza del fisco è più importante ritenere che una casa possa avere una redditività teorica e sottoporla alla relativa tassazione, piuttosto che effettuare caso per caso una valutazione;
          il Costituente con l'articolo 53 della Costituzione, statuì che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» ed è questo un sacrosanto principio;
          le parole contenute nell'articolo 3 della Costituzione italiana, che sancisce l'uguaglianza dei cittadini, restano prive di portata se non vengono coordinate con l'articolo 53 della Costituzione che delinea il cittadino quale contribuente;
          la Corte costituzionale, con pronuncia 97/1969, ha escluso che l'obbligo tributario possa sorgere dove una capacità contributiva manchi del tutto, appunto in applicazione dell'articolo 53 della Costituzione: il legislatore non può andare oltre le possibilità effettive del contribuente. «Non ha pertanto alcun significato rifarsi al criterio oggettivo in base al quale ciascun immobile, e quindi anche la casa di abitazione, è di per sé produttivo di reddito, in quanto tale reddito non va considerato oggettivamente e astrattamente, ma con riferimento al soggetto che ne beneficia per determinare se esso, in relazione a ciascuna fattispecie concreta, possa considerarsi un reddito tassabile. Il reddito fondiario della casa di abitazione non è pertanto, di per sé, indice di capacità contributiva, ma solo di quella economica» (ROSSI-La casa-Torino 1998, pagina 557);
          la normativa speciale ha agevolato dunque l'acquisto e la gestione economica della prima casa, allargando de facto l'ambito di riferimento dell'articolo 47 della Costituzione a tutti i cittadini non possessori di una casa di abitazione, indipendentemente dalla loro posizione reddituale, almeno fino al 1992, quando il decreto legislativo n.  504 del 1992 introdusse l'Imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), destinata a ridursi fino a scomparire, per poi riapparire in vesti nuove e più insidiose;
          la manovra «Salva Italia» ha profondamente modificato la natura della nuova imposta rendendola di fatto una nuova ICI sulle abitazioni principali ed anticipandone l'applicazione dal 2014 al 2012. A causa dei molteplici dubbi emersi in sede applicativa, in sede di conversione del decreto-legge n.  16 del 2012, sono stati approvati degli emendamenti che incidono se risibilmente sulla normativa IMU;
          a seguito alle recenti modifiche normative apportate, l'abitazione principale è definita come «l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente». Per pertinenze, sempre secondo il decreto, si intendono «esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di una unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitative»;
          con il decreto-legge n.  16 del 2012 è stato stabilito che «i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n.  99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola, purché dai medesimi condotti, sono soggetti all'imposta. Non solo non viene esplicitata una norma precisa di esenzione totale di pensionati «agricoli» ma anzi si lascia spazio a provvedimenti iniqui e non sopportabili. Il sempre presente «bizantinismo» del legislatore torna ad essere un sicuro segnale della rapacità del fisco, tanto più avido quanto più cieco;
          un semplice raffronto fra la struttura e le finalità dell'ICI rispetto alla nuova IMU e le rispettive «rese» economiche lasciano intravedere un'operazione di asservimento del singolo bilancio comunale alle esigenze di bilancio statuale, laddove l'autonomia dei comune venga utilizzata (e svilita) come mera longa manus dello Stato per contribuire ad impinguare le entrate per «salvare» l'Italia (se sono veri i dati che parlano di quasi quattro miliardi dalla sola IMU sulla prima casa);
          con buona pace della normativa di progresso che dal 1982 a oggi aveva favorito il sorgere ed il consolidarsi della «piccola proprietà abitativa»  –:
          se non ritenga il Ministro interrogato di accogliere l'invito di intraprendere azioni comuni al fine di poter avere maggiore forza tutti insieme per difendere i diritti costituzionali e con decisione determinare un sistema più giusto, difendere le condizioni di vita dei settori più deboli ed assumere iniziative normative tese ad eliminare disposizioni non certamente eque, anzi ingiuste e non sopportabili. (4-16417)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MOSCA e RENATO FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il tribunale di Desio, sezione distaccata del tribunale di Monza, risulterebbe rientrare nelle misure del Governo come una delle sedi distaccate dei tribunali a rischio chiusura, con accorpamento delle funzioni alla sede principale del tribunale di Monza. Questo, ai fini di una razionalizzazione delle spese e dei servizi;
          la prospettiva della chiusura del tribunale di Desio sta procurando forti preoccupazioni tra gli operatori del tribunale e tra i cittadini che rientrano nel comprensorio delle sue attività. Infatti, il servizio offerto dal tribunale di Desio (8 giudici togati e 4 giudici onorari), che copre un'area di 20 comuni, circa 400.000 abitanti, con più di 5.500 procedimenti civili, 1.000 procedimenti penali, oltre alle oltre 1.500 procedure esecutive mobiliari e con la pubblicazione dei decreti ingiuntivi lo stesso giorno della firma del giudice, risulta essere uno dei tribunali più efficienti d'Italia;
          un'eventuale chiusura del tribunale di Desio e l'accorpamento delle sue funzioni alla sede centrale di Monza, non sarebbe garanzia di un miglioramento del servizio e neanche di razionalizzazione dei costi;
          il tribunale di Monza, se avesse accorpate a se le funzioni della sede distaccata di Desio avrebbe in carico una enorme mole di lavoro (62 comuni, oltre 1.100.000 cittadini nella sua area di competenza) che, allo stato attuale dell'organico sarebbe impossibilitato a gestire garantendo i livelli di produttività offerti oggi almeno dalla sede di Desio e si correrebbe il rischio un ingolfamento dell'attività del tribunale di Monza, con prolungamento dei termini processuali procurando e un grave disagio anche economico ai cittadini  –:
          quali siano le intenzioni del Governo in merito al paventato accorpamento della sede distaccata di Desio al tribunale di Monza;
          quali azioni il Governo intenda promuovere al fine di garantire un miglioramento del servizio dell'organizzazione giudiziaria ai cittadini che rientrano attualmente nell'area di competenza del tribunale di Desio. (5-06993)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la casa di lavoro di Saliceta San Giuliano (Modena) è ubicata all'interno di un vecchio edificio, un tempo adibito a convento delle suore;
          le forti scosse di terremoto che nelle scorse settimane hanno reiteratamente funestato la zona dell'Emilia Romagna, si sono fatte sentire anche all'interno della predetta struttura sebbene al momento la stessa non presenti evidenti segni di danneggiamento  –:
          quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro al fine di verificare in tempi brevi la piena agibilità della casa di lavoro in questione e quali provvedimenti intenda adottare al fine di mettere in sicurezza gli internati e il personale.
(4-16414)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 26 maggio 2012, l'interrogante ha visitato il carcere di Bari accompagnata dai locali esponenti radicali Pasquale Marino e Donato Volpicella;
          i detenuti presenti erano in totale 523, di cui 504 uomini e 19 donne; a tale proposito occorre tenere presente che secondo il sito internetwww.giustizia.it, la capienza regolamentare dell'istituto è di 292 posti, ma non è dato sapere se in tale cifra siano compresi anche i posti della II sezione che è chiusa;
          il 25 per cento dei reclusi è tossicodipendente e per tale categoria l'assistenza psichiatrica del SERT è del tutto insufficiente, in quanto le visite sono previste solo per due giorni a settimana anziché, come sarebbe necessario, per cinque;
          l'istituto è sede di centro clinico di 20 posti letto che ospita detenuti con gravi patologie provenienti anche da altre regioni essendo uno dei pochi disponibili in Italia; la singolarità sta nel fatto che detenuti con salute gravemente compromessa trasferiti nel carcere di Bari proprio per la presenza del Centro, nella realtà dei fatti, vivano nelle celle disagiatissime, sovraffollate e igienicamente carenti delle sezioni per mancanza di posti disponibili nel nosocomio carcerario; d'altra parte è bene sottolineare che i venti posti disponibili non sono destinati tutti ai malati per il semplice fatto che, essendo molti dei degenti totalmente disabili, hanno bisogno di un piantone che li assista 24 ore su 24;
          quanto al personale presente in Istituto risultano carenti gli organici degli agenti del Corpo di polizia penitenziaria (venti in meno), gli educatori (due in meno rispetto alla pianta organica), gli psicologi (figura che sta del tutto scomparendo nelle carceri italiane); con il passaggio della sanità penitenziaria alle asl non sono state via via rimpiazzate le figure professionali che in precedenza prestavano la loro opera; in particolare, si registra la necessità di stabilizzare figure come quella della fisioterapista che, pur lavorando da circa vent'anni nell'istituto, ancora non ha visto regolarizzata la sua posizione lavorativa;
          in generale, le condizioni igieniche sono così degradate da rendere il sovraffollamento ancora più insopportabile della grave prostrazione umana che in genere determina sia per i detenuti che per il personale che è costretto a subirlo; nella sala colloqui c’è ancora il vietatissimo muretto divisorio; i detenuti segnalano che i loro congiunti fanno la fila dalle 5 di mattina; nell'istituto non è presente l'area verde per i colloqui dei detenuti con i figli minori;
          nella sezione «accoglienza», dove dovrebbero essere appoggiati i detenuti nell'attesa di essere assegnati in sezione, la delegazione ha incontrato persone che lì si trovavano da diversi mesi in attesa di sistemazione; nella cella n.  1, di 33 metri quadrati, dove i letti a castello arrivano fino a 4 piani, sono ristrette 13 persone: 8 georgiani, 3 rumeni, 1 bulgaro e un italiano; un rumeno afferma di essere in sciopero della fame perché senza avvocato, un altro stentatamente dice di non aver mai visto l'avvocato d'ufficio e di non aver potuto leggere le carte, perché non sa né leggere né scrivere; N.P.M. che è lì da 1 mese e tre giorni con una condanna definitiva a 8 mesi e 25 giorni, lamenta il fatto che non gli sia stata ancora consegnata la borsa con i suoi vestiti e di non essere stato posto nelle condizioni di parlare al telefono con i familiari; da segnalare che nella cella oltremodo fatiscente e igienicamente compromessa, i 13 detenuti hanno a disposizione solo due sgabelli;
          la direttrice e il comandante – che raggiungono la delegazione proprio nel corso della visita alla cella n.  1 della sezione accoglienza – spiegano che per casi particolari come quelli dei rumeni, nell'istituto operano «mediatori culturali volontari»; inoltre, precisano che – quanto alle telefonate – c’è spesso un problema di accertamento delle utenze perché i consolati dei Paesi di riferimento non rispondono;
          nella cella n.  7 (24 metri quadrati) della «media sicurezza» si trovano 11 detenuti sistemati in due letti a castello 2 da 4 piani e uno da tre; aprire e chiudere la finestra risulta impresa piuttosto complicata perché nel poco spazio disponibile occorre spostare uno dei due letti a castello; i ristretti – tranne due lavoranti – passano in cella 20 delle 24 ore e fra loro ci sono sia detenuti definitivi che in attesa di giudizio; alla domanda se il magistrato di sorveglianza avesse mai potuto constatare direttamente le loro condizioni di detenzione, un detenuto ha risposto «sono qui dal 2010 e non è mai venuto a visitare la nostra cella»; R.I. fa presente che da due mesi chiede inutilmente di andare al centro clinico, perché è malato di cirrosi epatica e in cella non riesce a seguire correttamente la terapia che faceva prima di entrare in carcere;
          nella cella n.  6 (24 metri quadrati) ci sono 11 detenuti tutti di Bari, cinque definitivi e sei in attesa di giudizio; alcuni di loro sono giovanissimi, un diciannovenne è lì da otto mesi; un detenuto ha gravi difficoltà di movimento perché è senza una gamba ma non ha le stampelle «perché il medico non le ha prescritte»; rischia moltissimo soprattutto quando fa la doccia; manca uno sgabello e non ci sono le «bilancette» per tutti; tre di loro lavorano, uno fa lo scopino e due prestano i loro servizi in cucina; le graduatorie scorrono ogni tre mesi;
          nella cella n.  5 (24 metri quadrati) ci sono 9 albanesi, due definitivi e sette in attesa di giudizio;
          nella cella n.  4 (24 metri quadrati) sono in 11 di cui 2 definitivi; un detenuto di 67 anni ha già scontato 4 mesi dei 12 che deve scontare; tre mesi fa ha presentato l'istanza per accedere alla detenzione domiciliare secondo quanto previsto dalla legge n.  199 del 2010, ma ancora non ha ricevuto risposta; un invalido con stampelle per una lesione al midollo è senza piantone e racconta di essere già scivolato in bagno dove non ci sono i maniglioni per appoggiarsi; un altro invalido alla gamba destra con gravi difficoltà di deambulazione si lamenta per l'assenza di fisioterapia di cui avrebbe un estremo bisogno; i materassi sono in condizioni indecenti: «sono sottilette», dice un detenuto;
          nella cella n.  3 A.B. ha 75 anni e deve ancora scontare tre anni, è cardiopatico e dice di stare molto male; sta portando avanti uno sciopero della fame per essere curato;
          la delegazione incontra i reclusi dell'alta sicurezza nel cortile del passeggio; affermano che anche lì le celle sono 33 metri quadrati, bagno incluso e che esse sono occupate dalle 10 alle 11 persone;
          G.S. 74 anni, è stato mandato dal carcere di Palmi a quello di Bari perché l'istituto di Palmi è privo di centro clinico in grado di seguire adeguatamente le gravi patologie di cui l'anziano detenuto è affetto; G.S. lamenta il fatto che, considerato il sovraffollamento del carcere di Bari e l'impraticabilità del centro clinico che è riservato solo a pochi degenti, con il trasferimento, alla sofferenza del suo gravissimo stato di salute e delle indecenti condizioni di detenzione, si è aggiunta la lontananza di centinaia di chilometri dai suoi familiari;
          V.Z. sofferente di diabete mellito e operato al cuore, tutti i giorni viene portato all'esterno per essere sottoposto a dialisi; è in attesa di giudizio: «rischio di morire in carcere prima del processo», dice;
          S.V. è affetto da varie patologie; ha chiesto di essere trasferito vicino a Napoli per fare i colloqui con i familiari; «nella stanza non si può vivere», dice;
          F.A. è assistito da un piantone per le sue gravi condizioni di salute; racconta di aver fatto un lungo sciopero della fame e di essere stato trasferito dal centro clinico di Torino a quello di Bari, ma la sua famiglia è di Torino per cui in un anno ha potuto fare solo un colloquio con i suoi congiunti;
          S.S. è anoressico e pesa 40 chili, ma è costretto a stare in cella al 4o piano del letto a castello perché i piani sottostanti sono riservati agli anziani patologici; ha fatto richiesta di trasferimento a Napoli perché non fa colloqui per la distanza e ha tre figli tutti minori;
          in tutto l'Istituto non sono disponibili scalette per raggiungere i piani superiori dei letti a castello: i detenuti mostrano alla delegazione come sono costretti ad arrampicarsi;
          G.M. è un detenuto di Napoli che sta in carrozzella ed è in attesa di giudizio da 13 mesi; racconta di essere entrato in carcere che pesava 115 chili e ora ne pesa 50 (cachessia); vive in cella (non al centro clinico) e la carrozzella è troppo larga per entrare dalla porta e d'altra parte, considerato il sovraffollamento, sarebbe impossibile muoversi con la carrozzina in quegli spazi limitati; G.M. fa presente di avere a disposizione il piantone per un'ora al giorno e che per andare in bagno deve superare un gradino e fare la doccia è oltremodo rischioso; G. M. da quando sta in carcere ha tentato il suicidio due volte;
          V.P. ha 42 anni ed è trapiantato di fegato; è stato un mese al centro clinico ed ora è in sezione con altri 9 detenuti; afferma che per le precarie condizioni di detenzione rischia infezioni e fa presente che al centro clinico non abbiano i farmaci anti-rigetto che gli debbono arrivare da fuori;
          G.T. ha 28 anni, è di Napoli ed è padre di due bambine piccolissime; per regolamento potrebbe fare 6 ore di colloqui al mese ma ne fa solo 4 perché la famiglia non può venire tre volte; identico problema per L.I. che ha 27 anni, è di Napoli ed ha una bambina di sei anni; G.T. e L.I. hanno avanzato richieste di trasferimento che sono state rigettate «per sovraffollamento delle carceri campane»;
          A.O. è nel carcere di Bari per il processo ma è assegnato a Spoleto; ha fatto richiesta al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di essere assegnato definitivamente a Bari, ma il dipartimento non ha risposto; stesso discorso per A.P. assegnato al carcere di Teramo; A.P. ha tre figli di 4, 10 e 18 anni;
          P.C. ha avuto due ischemie cerebrali e due ernie del disco; qui a Bari vive in cella con altre 8 persone; non fa colloqui perché soffre di claustrofobia e vorrebbe essere trasferito nel centro clinico di Secondigliano per stare vicino alla famiglia;
          V.A. è della provincia di Napoli assegnato al carcere di Frosinone; si trova a Bari per varie patologie tra le quali una grave ipertensione; il problema, anche per lui, è che però non sta al centro clinico, ma in cella; vorrebbe tornare a Frosinone (perché la moglie non può fare lunghi viaggi) o ad un centro clinico dove possa essere effettivamente ricoverato e curato;
          F.L.G. è di Napoli e appellante in Cassazione; ha fatto richiesta di trasferimento per avvicinamento colloqui ma non ha ricevuto risposta dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
          il 2 giugno 2012, la sezione provinciale (di Bari) della Federazione italiana medici di famiglia ha diramato un comunicato stampa in cui, fra l'altro, si legge «Con provvedimento regionale il Carcere di Bari è stato considerato fra le “unità operative semplici” eppure in questo istituto penitenziale è attivo uno dei dieci centri clinici italiani con annesso reparto di medicina interna e uno due raparti presenti in Italia per il trattamento dei para/tetraplegici dove affluiscono detenuti affetti da importanti e gravi patologie, provenienti dagli Istituti Penitenziari regionali e nazionali. Il SAPPE, sindacato autonomo polizia penitenziaria, ha già denunciato che presso “il carcere di Bari vengono inviati detenuti da altre carceri con gravissime patologie che non trovano posto nel centro clinico per mancanza di posti, per cui sono costretti a vivere nelle normali celle con gravissimi rischi per la propria e altrui salute”»;
          inoltre, si legge nel comunicato stampa, il segretario nazionale della FIMMG, dottor Giacomo Milillo, ha inviato una lettera al Ministro Balduzzi e agli assessori regionali invitandoli ad «una maggiore attenzione alle problematiche del personale medico operante nelle carceri, avendo cura di assicurare omogeneità di trattamento economico e normativo, garantendo il posto di lavoro e tenendo conto sul piano economico e normativo della peculiare condizione di rischio personale e professionale». Ha chiesto, inoltre, «l'avvio di un tavolo che, senza oneri di spesa, definisca la figura e il ruolo del medico penitenziario che sia di riferimento per tutte le realtà regionali al fine di prospettare una medicina penitenziaria che sia uguale in tutte le Regioni annullando di fatto le diversità attuali»;
          sempre recentemente, il vicesegretario generale nazionale dell'OSAPP Domenico Mastrilli, ha chiesto l'apertura di un'indagine conoscitiva sulle criticità igienico-sanitarie del carcere di Bari anche per chi nel carcere ci lavora. In particolare, Mastrilli ha sottolineato un aspetto che riguarda il personale dipendente femminile: «da tempo non risulta che sia stato sottoposto a visite di routine e di controllo, o invero, sottoposte ad esami clinici e di laboratorio né, risulta a chi scrive, la presenza mensile nei reparti dove lavorano i dipendenti del medico del lavoro così come richiede la legge»  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere di Bari;
          se e quando si intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se e quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
          se siano stati previsti adeguati finanziamenti per la messa a norma dell'istituto, per assicurare l'igiene dei luoghi, per intraprendere iniziative trattamentali che consentano ai detenuti attività lavorative, scolastiche, sportive e culturali indirizzate alle finalità rieducative della pena previste dalla nostra Costituzione;
          in che tempi si intenda rimuovere il muretto divisorio della sala colloqui che umilia i detenuti nei loro incontri con i familiari, soprattutto se minori; se si intenda istituire l'area verde di cui è privo il carcere di Bari;
          se si intenda intervenire immediatamente per separare i detenuti con pena definitiva da coloro che sono in attesa di giudizio;
          in che modo si intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          cosa si intenda fare affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
          quale sia il motivo dei trasferimenti di detenuti dalle carceri sovraffollate di alcune regioni nell'altrettanto sovraffollato carcere di Bari, atteso che, per molti ristretti, alla pena di condizioni di detenzione indecenti si aggiunge quella della lontananza dai familiari, in particolare, figli minori;
          quale sia la ragione dei trasferimenti di detenuti gravemente malati da altre regioni nel carcere di Bari, atteso che essi non potranno essere ospitati nel centro clinico, che è dotato di posti limitati, e che dovranno, come purtroppo gli interroganti hanno potuto constatare, essere destinati a celle superaffollate con letti a castello a tre e quattro piani;
          in che modo intendano rispondere, per quanto di competenza, ai rilievi evidenziati dalla sezione provinciale (di Bari) della Federazione italiana medici di famiglia, soprattutto sotto il profilo del trattamento del personale medico operante nelle carceri;
          quali provvedimenti di competenza si intendano assumere per tutelare i diritti del personale dipendente femminile in merito alla mancate visite sanitarie di routine e di controllo e se corrisponda al vero la mancata presenza mensile nei reparti del carcere di Bari del medico del lavoro;
          cosa intendano fare per assicurare l'incolumità dei detenuti disabili nel momento in cui accedono a celle, wc e docce del tutto inadeguate alle loro infermità;
          cosa intenda fare il Ministro della giustizia per i detenuti stranieri che necessitino di un mediatore culturale per conoscere i propri diritti e i propri doveri nel corso della detenzione, atteso che i volontari, come è stato possibile constatare nel carcere di Bari, sono del tutto insufficienti;
          quali iniziative di competenza si intendano assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
          se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Bari, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
          quali iniziative di competenza ritenga opportuno adottare al fine di modificare radicalmente le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Bari, così da garantire finalmente il rispetto dei diritti alla dignità, alla salute, allo studio, alla tutela dei rapporti familiari dei detenuti e di quanto prescritto dall'articolo 27 della Costituzione riguardo alle finalità rieducative della pena. (4-16416)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel febbraio 2011, il signor Angelo Massaro – condannato in primo grado per omicidio premeditato – viene assolto dalla corte di assise d'appello di Taranto;
          avverso la predetta sentenza di assoluzione, la procura generale fa ricorso in Cassazione;
          il processo in Cassazione si celebra il 4 maggio 2012; l'udienza termina alle ore 12.00 circa ed i giudici si ritirano in camera di consiglio per emettere la sentenza di cui danno lettura verso le ore 16.00;
          i giudici di legittimità accolgono il ricorso della procura generale e annullano con rinvio la sentenza di assoluzione;
          il giorno precedente alla celebrazione dell'udienza in Cassazione, ossia in data 3 maggio 2012, sul quotidiano TarantoOggi compare l'articolo di Vittorio Ricapito intitolato: «Delitto di mala, nuovo processo d'appello». L'articolo – che si occupa del processo in Cassazione che sarà celebrato il giorno successivo nei confronti di Angelo Massaro – presenta il seguente incipit: «La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio a nuova udienza davanti alla Corte d'Assise d'Appello la sentenza di assoluzione del febbraio 2011 (...)»;
          il giornalista era dunque a conoscenza della decisione presa dai giudici di legittimità prima ancora che si celebrasse il processo innanzi alla suprema corte;
          il signor Angelo Massaro, nato a Fragagnano (Taranto) in data 17 giugno 1966, ed ivi residente, fino a poco tempo fa si trovava recluso presso la casa circondariale di Melfi (Potenza), mentre ora è stato trasferito presso il carcere di Catanzaro;
          i familiari del signor Angelo Massaro si sono rivolti al Difensore civico dei diritti delle persone private della libertà dell'Associazione Antigone esponendo la seguente situazione del loro congiunto;
          detenuto sin dal 15 maggio 1996, il signor Massaro ha subito diversi trasferimenti, presso la casa circondariale di Foggia, presso quella di Carinola, poi di Taranto e Melfi e da ultimo, come menzionato, nel carcere di Catanzaro;
          salvo un periodo di due mesi trascorso nella casa circondariale di Taranto nel 2008, questi ha sempre trascorso il periodo detentivo lontano dalla residenza familiare;
          tale circostanza e, in particolare, la lontananza dai due figli minori, rispettivamente di 13 e 15 anni, entrambi residenti in provincia di Taranto, implica l'impossibilità di vederli con indubbie conseguenze sia rispetto al recupero e reinserimento sociale del Massaro, sia rispetto alle ripercussioni sullo sviluppo emotivo e relazionale dei bambini;
          l'impossibilità delle visite, e dunque degli spostamenti della famiglia da Fragagnano (Taranto) a Melfi (Potenza) prima ed a Catanzaro ora, oltre ad avere motivazioni economiche (i risparmi della famiglia, infatti, sono stati pressoché tutti impiegati per la vicenda giudiziaria), ha purtroppo anche un'altra ragione da ricercarsi nel cattivo stato di salute di entrambi i figli del detenuto;
          il più piccolo, infatti, soffre di chinetosi e di gravi stati di ansia al punto che, anche nel periodo di assegnazione provvisoria del signor Massaro al carcere di Taranto dal 19 maggio 2008 al 22 luglio 2008, che si trova a soli 15 chilometri dal luogo di residenza della famiglia, lo stesso bambino, nello spostamento per far visita al padre, aveva difficoltà e malori, seppur a fronte di un tragitto limitato;
          le visite specialistiche hanno evidenziato ed attestato l'impossibilità del figlio piccolo a viaggiare (certificato del 24 marzo 2009);
          non è esente da problemi di salute il figlio più grande, colpito da depressione al pari del fratellino sempre a causa della lontananza dal padre, e dal non averlo incontrato per un lunghissimo periodo di tempo, come accertato dal tribunale dei minorenni di Taranto;
          nel provvedimento datato 28 dicembre 2007 del tribunale dei minorenni si stabiliva la necessità di un apporto psicologico da parte dei servizi sociali consultoriali in favore dei figli «(...) in quanto versano in uno stato di depressione a causa dello stato di detenzione del padre che, ristretto in un carcere lontano, non possono incontrare (...);
          il signor Massaro, infatti, dall'aprile 2006 al maggio 2008 si trovava nella casa circondariale di Carinola, e in tal periodo non ha potuto incontrare la sua famiglia per le difficoltà evidenziate: periodo al quale il tribunale dei minorenni fa risalire l'insorgere dei problemi psicologici dei figli;
          allo stato, sono quasi due anni che i figli e la moglie del Massaro non hanno la possibilità di far visita al loro congiunto;
          la grave situazione di salute in cui versano i figli del Massaro, ha creato anche problemi di salute (e in particolare di depressione «secondaria») alla madre, la moglie del signor Massaro, già seriamente provata da tutta la vicenda giudiziaria del marito;
          vi è da segnalare che il signor Massaro, come riportato nelle relazioni di osservazione e trattamento ed anche nelle numerose istanze presentate dallo stesso per il trasferimento presso l'istituto di pena di Taranto – e, in primis, per comprendere le reali motivazioni del suo trasferimento da Taranto a Melfi del 2008 – ha sempre tenuto un comportamento corretto e, in ogni caso, nel pieno rispetto delle regole del carcere di Taranto, nel quale era recluso (come riportato nel rapporto informativo del 5 agosto 2008, inviato dalla direzione della casa circondariale di Taranto all'ufficio di Sorveglianza di Potenza);
          proprio in relazione all'ottimo comportamento avuto durante la reclusione, il detenuto in questione ha ottenuto la concessione della liberazione anticipata per un totale di 1.080 giorni (alla data di aprile 2009) ed ha terminato di scontare il regime di alta sicurezza (A.S.) da quattro anni;
          il magistrato di sorveglianza di Potenza ha negato peraltro i permessi di visita alla famiglia ex articolo 30 della legge sull'ordinamento penitenziario al signor Massaro in quanto, anche in riferimento al figlio più piccolo, il più grave, seppur afflitto da depressione e sofferenza, non verserebbe in pericolo imminente di vita, né di situazione di eccezionale gravità;
          in relazione al caso Massaro, e per favorire il trasferimento del medesimo nella casa circondariale di Taranto, il sindaco del comune di Fragagnano (Taranto), luogo di residenza della famiglia del detenuto, in data 9 aprile 2009 ha scritto una lettera di sensibilizzazione al Ministero della giustizia, al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, all'associazione «Antigone» e all'associazione «Bambini senza Sbarre»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della situazione riportata in premessa;
          se intenda attivare i propri poteri ispettivi al fine di verificare come sia potuto accadere che la decisione della Suprema Corte nei confronti del signor Angelo Massaro sia stata resa nota dalla stampa prima ancora della celebrazione del giudizio di Cassazione e della conseguente lettura del dispositivo;
          se intenda far trasferire al più presto, e finalmente, il signor Massaro nella casa circondariale di Taranto, in tal modo rendendo possibili le visite da parte dei suoi familiari e in particolare dei figli e della moglie, afflitti da gravi problemi psicologici a causa della lontananza del loro congiunto;
          quali siano, in caso di diniego del trasferimento, le precise motivazioni dello stesso, ivi comprese le ragioni per le quali il signor Massaro sia stato trasferito dal carcere di Taranto alla casa circondariale di Melfi (prima) e al carcere di Catanzaro (dopo), il tutto peraltro dopo appena due mesi di permanenza nel carcere pugliese;
          quali provvedimenti intenda adottare per dare piena e concreta attuazione al principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, anche al fine di poter garantire tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza. (4-16433)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


      IANNACCONE, BELCASTRO e PORFIDIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          sul Bollettino ufficiale della regione Campania n.  35 del 14 maggio 2012 è stata pubblicata la delibera della giunta regionale n.  87 del 6 marzo 2012, avente per oggetto «Approvazione dello schema di protocollo di intesa tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero per la coesione territoriale, regione Campania e Rete ferroviaria italiana spa per il congiunto coordinamento ai fini della direttrice ferroviaria Napoli-Bari. Con allegati»;
          da tale protocollo di intesa si evince che la regione Campania ha proposto, in relazione alla tratta «Apice-Orsara», di tornare alla prima soluzione, ovvero un tracciato diretto, in massima parte interrato, al fine di ridurre i tempi di percorrenza, i costi ed i tempi di realizzazione;
          qualora la richiesta della regione Campania venisse accolta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, così come si evince a pagina 10 del protocollo di intesa, tutta la zona dell'Irpinia verrebbe tagliata fuori proprio quando si discute del piano di sviluppo provinciale, che trova le basi dalla creazione di una piattaforma logistica strettamente legata alla stazione dell'Irpinia dell'alta capacità;
          vale la pena ricordare che il territorio dell'Irpinia vive una situazione di alta criticità con ben 80.000 disoccupati, con aziende che chiudono quasi giornalmente e con una economia che stenta a decollare;
          inoltre, appare chiaro che, perdendo questa occasione, tutta la provincia di Avellino rimarrebbe esclusa definitivamente dal sistema del collegamento veloce, causando un'ulteriore penalizzazione di un territorio già fortemente provato;
          in precedenza, la Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati ha approvato all'unanimità la risoluzione n.  8-00001, con cui esortava a non lasciare fuori nessuna provincia campana dal sistema dell'alta capacità, documento che è stato, secondo gli interroganti, disatteso con questo protocollo di intesa –:
          se non si intenda procedere, con celerità, al rigetto della proposta di variante avanzata dalla regione Campania ed avviare un tavolo di confronto che, coniugando le varie esigenze di carattere economico, elabori la soluzione più efficace e non tagli fuori dal tracciato un'intera provincia. (3-02316)


      TOTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la Corte dei conti, nella relazione che è seguita al controllo effettuato sulla gestione finanziaria della società Ferrovie dello Stato italiane s.p.a. per gli esercizi 2009 e 2010, afferma al capitolo terzo, paragrafo 3, relativo al servizio universale del trasporto ferroviario merci, che esiste un mercato concorrenziale per il trasporto merci sostanzialmente solo nel Nord Italia, mentre al Sud il servizio è gestito esclusivamente da Ferrovie dello Stato italiane s.p.a. Tale servizio, che è in perdita, continua ad essere sovvenzionato attraverso i proventi delle attività a mercato, poiché dovrebbe garantire un servizio di natura universale;
          la magistratura contabile, nella stessa relazione, dichiara: «In questo contesto, la produzione di servizi in perdita, “sovvenzionati” attraverso i proventi delle attività cosiddette a mercato – peraltro, in diminuzione per effetto della concorrenza – è ritenuta ingiustificata dal punto di vista industriale. È necessario, pertanto, definire con precisione quale sia il perimetro dei servizi di trazione merci ritenuti “di natura universale”, espletati in funzione di contratti di servizio certi, e di durata congrua»;
          l'interrogante, in relazione alle attività di Trenitalia s.p.a. – divisione cargo, gruppo Ferrovie dello Stato italiane s.p.a., ha presentato due interrogazioni a risposta in Commissione, rispettivamente la n.  5-04121 e la n.  5-04554, alle quali rispondeva il Sottosegretario Giachino nel febbraio 2011 e nel luglio 2011. In entrambe le risposte si confermava l'elargizione di un contributo pari a 128 milioni di euro da parte dello Stato in favore di Trenitalia s.p.a. – divisione cargo, affermandosi, altresì, che non si trattava di trasferimenti pubblici a «fondo perduto», ma di pagamenti – che, peraltro, risultano inferiori al costo delle prestazioni fornite – per effettuare attività di trasporto ferroviario in aree a scarsa domanda, dove nessun'altra impresa ferroviaria considera conveniente investire;
          entrambe le risposte lasciarono l'interrogante insoddisfatto, a fronte delle generiche informazioni fornite;
          la stessa Corte dei conti, nella relazione citata, chiede maggiore chiarezza e trasparenza nelle procedure e nel conferimento delle risorse per il servizio, affermando che «l'Autorità dei trasporti dovrà fungere da organismo di regolazione del settore, anche attraverso l'emanazione di direttive per assicurare la trasparenza, la disaggregazione e la separazione contabile e gestionale delle imprese regolate, anche in modo da distinguere costi e ricavi riguardanti le attività di servizio pubblico»;
          il Ministro interrogato, in merito alla posizione dell'Italia relativamente all'istituzione di uno spazio ferroviario unico europeo durante il Consiglio europeo sui trasporti, le telecomunicazioni e l'energia, tenutosi il 12 dicembre 2011 a Bruxelles, ha espresso un orientamento «assolutamente favorevole», confermando per il nostro Paese la scelta di voler imboccare la strada delle liberalizzazioni nel settore dei trasporti ferroviari;
          lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti, il 15 marzo 2012, nel corso di un'audizione dinanzi alle Commissioni attività produttive, commercio e turismo e finanze della Camera dei deputati sul cosiddetto decreto liberalizzazioni, pur sottolineando la necessità di non creare squilibri nel settore e di «evitare che chi entra sulla rete (operatore nazionale o estero) possa scremare i benefici delle rotte di qualità ad alta redditività, lasciando all'operatore ex monopolista tutti gli oneri che derivano dal servire i cosiddetti “rami secchi”, ha ribadito l'importanza di incentivare la concorrenza nel settore del trasporto ferroviario merci;
          sembrerebbe che la stessa cifra – circa 130 milioni di euro – sia stata confermata dalla direzione generale del trasporto ferroviario, anche per l'anno 2012 come contributo in favore di Trenitalia s.p.a. – divisione cargo –:
          se il conferimento del contributo di cui sopra in favore di Trenitalia s.p.a. – divisione cargo sia previsto anche per l'anno 2012, a quanto ammonti effettivamente e se Trenitalia s.p.a. – divisione cargo, nell'attività in regime di «servizio universale», ossia «non a mercato», fornisca o meno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un rendiconto dettagliato dei servizi effettuati. (3-02318)

Interrogazione a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il dipartimento di infrastrutture e progettazione del Politecnico di Milano ha presentato il progetto «VenTo»: una pista ciclabile elaborata in un anno di studi da tre giovani ricercatori Alessandro Giacomel, Diana Giudici e Luca Tomasini. Il direttore scientifico è Paolo Pileri, docente del politecnico e il costo del progetto è stato sostenuto non solo dall'ateneo, ma anche da Blm Group e dalla regione Lombardia con una borsa di studio. Il sogno è che la pista sia realizzata in tempo per Expo 2015. «Il progetto è pronto e la ciclabile costerebbe solo 80 milioni di euro. Un impegno di spesa più che sostenibile, se diviso fra tutte le Regioni, Province e amministrazioni interessate», ha detto Pileri. «A questo punto manca un impegno concreto. È una questione politica e noi chiediamo ai politici di impegnarsi». Sulla cartina elaborata dai ricercatori, si parte dal Lido di Venezia e dopo due tratti di traghetto si arriva a Chioggia, poi al Polesine e si raggiunge il canale di Burana. Da lì si prosegue sul Po fino all'altezza di Pavia, dove si devia sulla ciclabile del Naviglio Pavese e con questa si arriva a Milano, dove le vie d'acqua di Expo (sperando siano realizzate per tempo) consentirebbero una visita ai padiglioni dell'esposizione universale. Poi il tracciato prevede che si ritorni sul Po e si prosegua in terra piemontese, fino a Torino. Tra i comuni toccati, Pavia, Cremona, Ferrara, Piacenza, Chivasso, Casale Monferrato. E poi centri minori come Guastalla, Bondeno, Revere, Frassineto Po, Sermide, e altri ancora. «Lungo il tracciato si scoprono località che hanno una miriade di potenzialità. Si vede un paesaggio agricolo straordinario e un immenso patrimonio rurale che potrebbe essere valorizzato anche per la ricettività. E poi le ville venete, le centinaia di piccole chiese distribuite lungo l'argine e molto altro», sottolinea Giacomel. Lungo il tracciato ci sono trecento tra alberghi, locande e bed & breakfast (escludendo Milano, Venezia e Torino) e 14 mila aziende agricole. Un punto di forza è anche la vicinanza alle stazioni ferroviarie: ce ne sono a decine e sono distanti al massimo otto chilometri dalle piste;
          in sella alle loro biciclette, usando una videocamera, i ricercatori hanno percorso l'intero tracciato. E hanno scoperto che per 102 chilometri, ovvero il 15 per cento del totale, la ciclabile già esiste e ha adeguati standard di sicurezza. Altri 284 chilometri diventerebbero ciclabili con un cambio delle regole d'uso di argini, strade vicinali, sentieri o strade ormai non più utilizzate e per altri 148 chilometri basterebbero piccoli interventi di manutenzione o riadattamento. Solo per 145 chilometri, che a oggi non sono pedalabili ci vorrebbe un investimento cospicuo. Ma grazie al fatto che, in larga parte, questa pista già esiste, il costo finale dell'opera sarebbe contenuto: circa 80 milioni di euro, circa 118 euro al metro. «Tante ciclabili del nord Europa sono cominciate da tratti già esistenti, ad esempio quella sulla Drava, lunga 350 chilometri e che collega Brunico a Maribor, in Slovenia», precisa Pileri. Tra i problemi maggiori da affrontare, l'attraversamento dei ponti sul Po e sui suoi affluenti, che sono 44. Per farlo basterebbe costruire mensole a sbalzo, simili a quelle che sono state costruite per la pista ciclabile sul ponte di Piacenza. Un altra questione è quella degli sbarramenti: lungo il percorso s'incontrano 102 sbarramenti e recinzioni che spesso non permettono di chiudere l'anello della ciclabile. Ma anche in questo caso basterebbe una semplificazione dei regolamenti d'uso sugli argini o sulle strade vicinali;
          quanto all'accoglienza della politica e degli enti che governano il Po, al dibattito del Politecnico tale accoglienza è stata abbastanza tiepida, ma d'altronde, la maggior parte degli amministratori aveva delegato al proprio posto dei dirigenti di settore, che quindi non hanno espresso pareri. L'unica presenza politica era il consigliere del comune di Milano, Carlo Monguzzi (centrosinistra), che invece lo ha definito «un progetto strepitoso e di grande risparmio. Gli investimenti già in corso per nuove strade e autostrade sono 30 mila milioni di euro e questa pista ne costerebbe solo 80. Il Comune di Milano sostiene questo progetto, lo esamineremo entro due settimane in commissione mobilità». Monguzzi ha poi suggerito agli autori di pensare a un modello simile al bike sharing, che a Milano ha più di 6 mila utenti. Aldo Colombo, vice direttore della direzione generale infrastrutture e mobilità della regione Lombardia, ha ricordato che «sui collegamenti fra Torino e Venezia sono in corso anche altri progetti, fra cui il tentativo di rendere navigabile il Po e poi l'alta velocità e la superstrada BreBeMi». Riguardo alla proposta di rendere pedalabili le alzaie di fiumi e canali, il dirigente ha ricordato come ciò sia diventato più complicato, dopo che una delle piste più belle del Milanese, ovvero quella del Naviglio Grande, è stata chiusa perché il tribunale di Milano ha condannato l'ente gestore, il Parco del Ticino, a pagare 250 mila euro di danni dopo che una donna era caduta nel canale a seguito di un piccolo scontro con la bicicletta di un ragazzo di 13 anni. Anche la famiglia del bambino è stata condannata a pagare 250 mila euro  –:
          quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di incentivare la costruzione di piste ciclabili, sul modello di quanto proposto dai ricercatori del Politecnico, anche per realizzare metropoli più vivibili e sostenibili dal punto di vista ambientale. (4-16425)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      VITALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sulla strada statale 7 Brindisi-Lecce, nei pressi di Latiano (Brindisi) poco dopo le 7 di venerdì 1° giugno, due furgoni portavalori sono stati assaltati stamani da un commando di banditi, i quali, dopo aver bloccato la strada con alcune auto e aver sparato numerosi colpi d'arma da fuoco, hanno forzato le lamiere corazzate di uno degli automezzi e si sono impossessati di alcuni plichi contenenti denaro in contante;
          secondo le testimonianze delle guardie giurate in servizio sui due furgoni portavalori, i banditi erano almeno una quindicina, alcuni dei quali armati con fucili a pompa e a canne mozze. I rapinatori sono riusciti a portare via una parte del carico in denaro del primo furgone, dopo aver forzato le pareti blindate con un attrezzo elettrico specialistico;
          dopo l'attentato del 19 maggio a Brindisi davanti alla scuola Morvillo Falcone, si parlò dell'imminente varo di un piano per la sicurezza chiamato «modello Brindisi»; l'assalto avvenuto stamani a un furgone portavalori in un paese del brindisino dimostra tale decisione è ben lontana dall'essere attuata; dimostra infatti assoluta padronanza del territorio, conoscenza dei movimenti delle forze dell'ordine e addirittura personale ridondante (oltre 15 rapinatori) rispetto alle esigenze;
          i parlamentari eletti in Puglia da anni sottolineano l'insufficiente risposta del Governo alla crescita della criminalità organizzata nell'intera regione ed in particolare in provincia di Brindisi; secondo i dati appena pubblicati dal Censis, il 43 per cento dei comuni in Puglia risulta affetto da infiltrazioni criminali e addirittura il 77 per cento della popolazione vive accanto ad attività criminali, anche quelle riconducibili alle organizzazioni malavitose;
          le rappresentanze sindacali delle forze di polizia segnalano l'impossibilità sia diurna che notturna, ad assicurare il completo pattugliamento delle diverse aree, sia per la scarsità di personale, sia per il fatto che solo il 50 per cento degli addetti è destinato al controllo del territorio;
          il 21 maggio 2012, dopo l'attentato di Brindisi, un gruppo di parlamentari dell'area brindisina, hanno posto all'attenzione del Ministro Cancellieri i segnali di pesante ripresa di attività criminale nell'area brindisina, proponendo una serie di misure per recuperare uomini da spendere per la prevenzione e il contrasto alla criminalità, quali ad esempio la disponibilità di altri poliziotti dalla chiusura del Centro di identificazione ed espulsione o l'utilizzo per la lotta alla criminalità degli oltre 400 finanzieri mandati in sovrannumero all'epoca dell’«operazione primavera». Il Ministro aveva assicurato la sua attenzione  –:
          quali urgenti provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per assicurare l'ordine pubblico e riaffermare la presenza dello Stato nelle aree del brindisino afflitte dalla presenza della criminalità organizzata. (4-16418)


      RAZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Ministro dell'interno starebbe per redigere un testo di riforma della carta delle autonomie degli enti locali;
          questa riforma riguarderebbe soprattutto le autonomie locali che rappresentano la storia e le esigenze concrete e quotidiane dei cittadini;
          il testo riguarderebbe aspetti istituzionali;
          la provincia dovrà continuare a svolgere una funzione importante per gestire competenze complicate e delicate;
          l'ente provincia così com’è va riorganizzato, unitamente all'intero sistema istituzionale del Paese;
          la crisi economica che sta mettendo a dura prova il Paese impone un forte impegno nella capacità pianificazione politica sul territorio;
          i limiti ed i vincoli della legislazione statale da rispettare sono impliciti nella stessa articolazione delle diverse realtà istituzionali che costituiscono la Repubblica di cui all'articolo 114 della Costituzione;
          vanno considerate l'importanza e la portata di una tale riforma le cui ripercussioni a livello nazionale potrebbero rivelarsi decisive  –:
          se sia vero che questo testo potrebbe essere presentato alle Camere sotto forma di decreto-legge e in tal caso sulla base di quali presupposti. (4-16427)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MURGIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è tenuto a contribuire ad una larga parte delle spese sostenute dalle autonomie scolastiche italiane;
          negli ultimi tempi diversi dirigenti scolastici hanno lamentato di essere creditori nei confronti del Ministero di somme spesso corrispondenti a diverse migliaia di euro;
          il totale di questi crediti sfiorerebbe i due miliardi di euro;
          le risorse citate sono state impiegate anche per corrispondere gli stipendi dei supplenti e per il pagamento degli onorari dei commissari nominati per lo svolgimento degli esami di Stato;
          gli istituti si vedono costretti ad anticipare delle cifre che dovrebbero gravare interamente sul bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
          le attività didattiche delle scuole sono mortificate da una situazione finanziaria precaria aggravata dall'incertezza relativa all'effettivo pagamento di questi debiti da parte del Ministero;
          un dirigente della Presidenza del Consiglio dei ministri, nelle vesti di rappresentante dei genitori di un istituto superiore romano, intervenendo ad una trasmissione televisiva trasmessa sulle frequenze di «La7», riferiva di un provvedimento emanato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in cui si invitavano i dirigenti scolastici e responsabili amministrativi a rinunciare a «crediti vantati verso terzi»;
          il provvedimento in esame era quindi idoneo a sancire la definitiva cancellazione dei crediti vantati dalla singola autonomia nei confronti del dicastero di viale Trastevere;
          tale documento stride con quelli che dovrebbero essere i principi di una pubblica amministrazione efficace, efficiente e rispettosa del principio di legalità  –:
          se il Ministero sia in grado di quantificare ufficialmente l'ammontare dei suoi debiti nei confronti delle scuole italiane;
          se il Ministero intenda addivenire ad una liquidazione di tali somme con una tempistica chiara e precisa;
          come mai per lunghi anni non si siano effettuati trasferimenti necessari al pagamento di spese obbligatorie per il personale supplente;
          quale sia stata la ratio ispiratrice alla base del provvedimento di cui sopra in merito alla cancellazione dei debiti dell'amministrazione;
          se l'amministrazione sia in grado di garantire investimenti in materia di ricerca, formazione e cultura, nonostante la presenza di queste somme nei propri documenti finanziari. (5-07000)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          la Sigma Tau, azienda leader nel settore farmaceutico, con più di cinquant'anni di attività alle spalle e sei società che impiegano un totale di 2.500 lavoratori in tutta Italia (di cui 1.500 nel sito di Pomezia) ha acquisito nel 2011 la società americana Enzon specializzata in orfan drugs (farmaci orfani) per 300 milioni di dollari grazie ad una linea di intervento aperta da Banca Intesa (che possiede il 5 per cento di Sigma Tau finanziaria spa);
          il 13 giugno 2011, ad una settimana dalla scomparsa del fondatore del gruppo, Cesare Cavazza, i figli hanno inviato una lettera a tutto il personale rassicurandolo sugli scenari futuri e preannunciandone l'imminente quotazione in borsa;
          il nuovo presidente del consiglio di amministrazione Andrea Montevecchi, insediatosi dopo la pausa estiva, ha firmato la richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore per 12 mesi per un numero massimo di 569 dipendenti, a decorrere dal 27 dicembre 2011. La lista, che riguarda 112 quadri, 401 impiegati e 56 operai, colpisce due linee di informatori farmaceutici di indubbia eccellenza, e la procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria prevede l'abbandono di alcuni progetti di ricerca e la riduzione della ricerca di base. Inoltre, a dicembre sono state messe in liquidazione due associate della Sigma Tau, la Prassis di Milano (30 addetti) e la Tecnogen di Caserta (70 addetti). Unitamente alla procedura l'azienda ha comunicato alle organizzazioni sindacali la disdetta di tutti gli accordi a partire dal 1o gennaio 2012;
          i motivi della richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria, a detta dell'azienda consistono «nell'effetto combinato della crisi economica mondiale e nelle modificazioni strutturai del mercato farmaceutico che impongono una profonda revisione della struttura aziendale e del modello di business, certificata del resto dalla perdita di 20 milioni di euro a fine 2010»;
          i sindacati hanno contestato immediatamente i presupposti contabili e industriali della richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria. Infatti il taglio sullo stabilimento di Pomezia, che fornisce servizi agli altri poli della corporate, sembra poco funzionale alla «diversificazione» invocata dal management aziendale, così come l'investimento sulla Enzon e la contestuale eliminazione delle biotecnologie e della ricerca cardiovascolare, ovvero i due settori di attività strategiche svolti da Prassis e Tecnogen.  In sostanza il Piano industriale, preciso sui tagli al personale, risulta inconsistente sul piano delle scelte produttive e strategiche del gruppo: la riduzione della ricerca di base e il ridimensionamento delle attività svolte nel sito di Pomezia alimentano ad oggi il sospetto di una lenta delocalizzazione;
          la trattativa sulla procedura, iniziata presso la regione Lazio, su richiesta delle organizzazioni sindacali è approdata al Ministero dello sviluppo economico, per poi tornare alla regione e concludersi con mancato accordo. Il 18 gennaio 2012 sono arrivate le prime 350 lettere in cui si comunicava la cassa integrazione guadagni straordinaria, e sono state annunciate 108 esternalizzazioni, 69 per cessione di ramo d'azienda e 39 per affidamento di alcuni servizi all'esterno del perimetro aziendale;
          da lunedì 6 febbraio 2012 l'azienda ha convocato a più riprese i sindacati, che hanno posto questioni come la rotazione della cassa integrazione guadagni straordinaria, la riconferma degli accordi pregressi, l'integrazione salariale alla cassa integrazione guadagni straordinaria e l'apertura per la procedura della mobilità incentivata volontaria senza addivenire ad oggi ad alcuna intesa, con evidente nocumento per le condizioni materiali dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte;
          l'inchiesta giornalistica sulla Sigma Tau trasmessa da «Presadiretta» su Raitre domenica 20 febbraio 2012 ha individuato in alcune operazioni di transfer pricing l'origine dello stato di crisi dichiarato dal gruppo. Come testimonia il «Processo verbale di constatazione» redatto dall'Agenzia delle entrate nel luglio 2010, Sigma Tau avrebbe trasferito quote di valore ad una consociata portoghese, la Defiante, con sede a Madeira, che acquista licenze e brevetti per poi rivenderli a prezzi differenti. Gli ispettori hanno quantificato in 11,55 milioni di euro i minori ricavi che il gruppo ha contabilizzato in Italia: dunque minori ricavi con un patrimonio che è diminuito da 123 a 34 milioni di euro, mentre la società Defiante ha incrementato il proprio, da 31 a 310 milioni di euro. Il tutto in costanza di un regime fiscale particolarmente vantaggioso a Madeira (aliquote al 3 per cento. Iva al 13 per cento contro il 21 per cento vigente in Italia). Ci sono tutti i presupposti per verificare se i minori ricavi sono strumentali al fine di evadere o eludere il fisco italiano  –:
          quali verifiche intenda promuovere in ordine alla legittimità dei presupposti di carattere contabile sui quali Sigma Tau ha incardinato la procedura di cassa integrazione, in considerazione delle contestazioni mosse dall'Agenzia delle entrate ai bilanci del gruppo;
          quali iniziative intenda attivare per recuperare la trattativa, rimuovendo da tale negoziazione i rilevanti elementi di opacità riscontrati dalle organizzazioni sindacali, riaprendo insieme all'azienda, alle organizzazioni sindacali, ai rappresentanti dei lavoratori e all'istituzioni territoriali interessate un percorso di rilancio dello stabilimento di Pomezia all'interno del perimetro della corporate anche con il concorso di un rinnovato investimento da parte del Governo nel settore della ricerca e della produzione farmaceutica al fine di dare certezze ai lavoratori di Sigma Tau.
(2-01526) «Di Pietro, Donadi, Paladini».

Interrogazione a risposta immediata:


      DAMIANO, GNECCHI, LENZI, RUBINATO, MURER, BELLANOVA, BERRETTA, BOBBA, BOCCUZZI, CODURELLI, GATTI, MADIA, MATTESINI, MIGLIOLI, MOSCA, RAMPI, SANTAGATA, SCHIRRU, MARAN, QUARTIANI e GIACHETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il susseguirsi di continue segnalazioni e denunce evidenzia i tanti limiti e problemi che si sono aperti a seguito del varo della riforma previdenziale di cui all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214;
          già durante l'esame del predetto provvedimento in sede parlamentare si è provveduto a limitarne gli aspetti più critici e contraddittori, obiettivo portato avanti, con qualche risultato, anche in occasione dell'esame del decreto-legge «mille proroghe», in particolare tentando di offrire risposte concrete e risolutive ai tanti lavoratori che rischiano di trovarsi senza stipendio, senza ammortizzatori sociali e senza la possibilità di accedere al regime previdenziale nei termini e nei tempi previsti dalla disciplina previgente;
          la soluzione, seppure ancora parziale, a tali problematiche dovrebbe essere rappresentata dal decreto interministeriale di cui all'articolo 24, comma 15, del citato decreto-legge n.  201 del 2011. Tuttavia, le prime anticipazioni di stampa sui contenuti di detto provvedimento e le prime valutazioni di fonte sindacale delineano uno scenario non rassicurante che rischia di escludere ancora un'ampia platea di lavoratori dall'accesso al trattamento pensionistico e di mantenere una più generale incertezza sulle prospettive previdenziali di decine di migliaia di lavoratori;
          in particolare, sulla base di notizie di stampa relative alle disposizioni dell'emanando decreto, suscita maggiore preoccupazione e allarme l'ipotesi dell'introduzione di ulteriori e restrittivi requisiti – non previsti dalla disposizione del richiamato comma 14 dell'articolo 24 – per il riconoscimento della contribuzione volontaria, prevedendo l'obbligo di aver versato almeno un contributo volontario, accreditato o accreditabile alla data del 6 dicembre 2011. Tale vincolo esclude dalla platea dei derogati tutti i lavoratori che, pur avendo ottenuto l'autorizzazione entro la data del 4 dicembre 2011, si trovano nell'impossibilità di effettuare il versamento, in quanto percettori dell'indennità di mobilità o di disoccupazione. Per di più, si prevede l'obbligo di non aver svolto alcuna attività lavorativa successivamente all'autorizzazione alla prosecuzione volontaria della contribuzione;
          l'articolo 1, comma 8, della legge n.  243 del 2004, come modificata dalla legge n.  247 del 2007, prevede che le disposizioni in materia di pensionamenti di anzianità, vigenti prima della data di entrata in vigore della legge, continuano ad applicarsi ai lavoratori che, entro il 20 luglio 2007, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione; tale norma risulta ancora vigente e le circolari Inps nn.  149 del 2004 (paragrafo 4) e 60 del 2008 (quarta parte), che disciplinano gli autorizzati alla prosecuzione volontaria, non sono disapplicate, poiché non risulta che l'Inps le abbia mai espressamente considerate superate; il tenore letterale della circolare Inps n.  35 del 2012 (relativa alle novità introdotte dal decreto-legge n.  201 del 2011) prevede che le vecchie regole continuano ad applicarsi ai soggetti che sono stati autorizzati alla prosecuzione volontaria prima del 4 dicembre 2011; di norma, chi era stato autorizzato entro il 20 luglio 2007 si riteneva rientrasse nella fattispecie derogatoria e, quindi, che potesse andare in pensione con 57 anni di età, 35 di contributi più la finestra, visto che le norme che prevedono tali garanzie non sono mai state abrogate;
          infine, molti temono che anche gli autorizzati alla prosecuzione volontaria prima del 20 luglio 2007 siano conteggiati nella platea delle 10.250 persone salvate dalle nuove regole della «riforma Fornero», visto che il decreto messo a punto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede la deroga solo per coloro che matureranno i requisiti entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  201 del 2011;
          analogamente, anche per coloro che, ai sensi dell'articolo 6, comma 2-ter del decreto-legge n.  216 del 2011, hanno risolto il proprio rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011, in ragione di accordi individuali o collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, si introduce il vincolo di non aver svolto successiva occupazione in qualsiasi altra attività lavorativa. Tale condizione, prevista anche per la prosecuzione della contribuzione volontaria, finisce per escludere anche chi ha prestato un solo giorno di attività lavorativa regolarmente registrata, colpendo chi ha rispettato le leggi e, di fatto, favorendo chi è ricorso al «nero»;
          anche per quanto concerne i lavoratori titolari della prestazione straordinaria dei fondi di solidarietà, risulta che il decreto in via di emanazione introduce un'ulteriore e penalizzante requisito, alzando a 62 anni di età il limite anagrafico entro cui i lavoratori interessati debbono restare a carico dei fondi medesimi. Tale innalzamento rischia di determinare un vuoto di copertura che può arrivare anche a due anni, laddove si consideri che il tetto massimo di prestazione dei fondi è comunque fissato in 60 mesi complessivi;
          il decreto ministeriale dovrebbe dare attuazione alle disposizioni di legge, non individuare limiti aggiuntivi non previsti dalla fonte sovraordinata, come la richiesta di un versamento effettuato, quando la legge parla solo di autorizzazione alla prosecuzione volontaria, o l'esclusione di chi abbia avuto un lavoro di qualunque tipo dopo l'autorizzazione. È un principio consolidato che l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria sia valida per tutto l'arco della vita lavorativa e, pertanto, appare del tutto legittimo che gli interessati abbiano successivamente cercato una nuova occupazione o forma di lavoro, così come è altrettanto legittimo che ogni singola persona attenda il periodo più prossimo alla pensione per versare gli eventuali contributi mancanti; le ulteriori limitazioni introdotte dall'annunciato decreto interministeriale non tengono conto della normativa generale sulla prosecuzione volontaria;
          da prime stime e dalla nutrita casistica che si sta delineando, anche a seguito di numerosissime segnalazioni dei diretti interessati e delle organizzazioni sindacali, il combinato disposto delle citate norme del decreto-legge n.  201 del 2011, del decreto-legge n.  216 del 2011, così come tradotte nell'emanando decreto interministeriale – almeno nelle versioni sin qui circolate – finisce per escludere dall'applicazione della deroga al nuovo regime pensionistico ancora molte migliaia di lavoratori, che risulterebbero così privi di qualsiasi forma di reddito, così determinando un'inaccettabile ingiustizia e un motivo di grave allarme sociale;
          giova ricordare che, per ovviare alle più evidenti incongruenze della nuova disciplina, il gruppo del Partito democratico ha presentato appositi ordini del giorno, condivisi da tutte le forze politiche e approvati dalla Camera dei deputati, che ora trovano riscontro nella proposta di legge atto Camera n.  5103, attualmente all'esame della competente commissione parlamentare –:
          qualora dovessero trovare riscontro le anticipazioni di stampa sommariamente evidenziate in premessa, anche al fine di scongiurare l'inevitabile insorgere di un vasto contenzioso giudiziario, quali iniziative urgenti intenda assumere allo scopo di evitare un'ingiustificata sperequazione a danno dei lavoratori che avrebbero diritto ad accedere al trattamento previdenziale previgente, ma se ne troverebbero esclusi in base agli ulteriori criteri individuati dall'emanando decreto interministeriale, tenendo in ogni caso in considerazione la circostanza che le stesse disposizioni di cui ai citati articoli 24 del decreto-legge n.  201 del 2011 e 6 del decreto-legge n.  216 del 2011 determinano comunque l'ingiusta esclusione di una vastissima platea di lavoratori, nell'ordine di diverse decine di migliaia, dalle deroghe previste. (3-02319)

Interrogazione a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il rapporto annuale dell'Istat rileva come il nostro sia un Paese in cui appena il 20,3 per cento dei figli degli operai è arrivato all'università, contro il 61,9 per cento dei figli delle classi agiate, della generazione nata negli anni ’80. Dove il 30 per cento dei figli degli operai abbandona le scuole superiori contro appena il 6,7 per cento dei figli di dirigenti, imprenditori, liberi professionisti. Ma è soprattutto ora, con la crisi, che le disuguaglianze si sono ampliate a livelli insopportabili per un Paese civile. Un Paese civile le colma attraverso la scuola e i servizi sociali. In Italia la scuola prende atto della disuguaglianza appena si conclude il ciclo obbligatorio, e i servizi sociali aumentano a dismisura le disparità tra Nord e Sud, uomini e donne, garantiti e atipici, giovani e anziani. Che l'ascensore sociale si fosse bloccato da oltre 50 anni non ce ne siamo accorti inizialmente per via dei cambiamenti nella struttura dell'occupazione che, a partire dal dopoguerra, ricorda l'Istat, hanno interessato in misura massiccia il settore agricolo, che si è via via ridimensionato a favore degli altri settori produttivi. E così «si sono spostati 9 figli di operai agricoli e poco meno di nove figli dei coltivatori diretti e piccoli proprietari terrieri su 10», e «la quota degli operai agricoli sul totale degli occupati si è ridotta considerevolmente, passando dal 7,7 per cento all'1,6 per cento»;
          però, al netto di questo movimento, «la classe sociale di origine influisce in misura rilevante sul risultato finale, determinando rilevanti disuguaglianze nelle opportunità offerte agli individui: al netto degli effetti strutturali, tutte le classi (in particolare quelle poste agli estremi della scala sociale) tendono a trattenere al loro interno buona parte dei propri figli e i cambiamenti di classe sono tanto meno frequenti quanto più grande è la distanza che le separa». Il fisco, rileva l'Istat, dovrebbe avere un effetto redistributivo. E in effetti le detrazioni Irpef pari a 1.230 euro in media per i contribuenti a basso reddito si riducono a 720 euro per chi ha un reddito tra i 28.000 e i 55.000 euro per poi annullarsi, e anche le detrazioni per i familiari a carico vanno a vantaggio dei redditi più bassi. Però «gli abbattimenti e le deduzioni dell'imponibile, invece, favoriscono particolarmente le famiglie ad alto reddito e riducono la progressività». Infatti sono massime (circa 5.700 euro) per i contribuenti che dichiarano più di 75.000 euro e minime (880 euro) per chi dichiara meno di 15.000 euro. Per gli incapienti (coloro che non arrivano al reddito minimo tassabile) non è previsto alcun beneficio. Inoltre le detrazioni favoriscono le famiglie con due o più percettori di reddito, contro quelle in cui a lavorare è solo uno;
          nei Paesi scandinavi le coppie in cui la donna non percepisce un reddito da lavoro sono meno del 4 per cento in Francia il 10,9 per cento, in Spagna il 22,8 per cento nella Ue27 il 19,8 per cento. In Italia il 33,7 per cento delle donne tra i 25 e i 54 anni non percepisce alcun reddito, dato che ci fa precipitare in fondo alla classifica europea per il contributo della donna ai redditi della donna. È interessante capire come vivono queste donne a carico dei mariti. L'Istat ce ne riporta un ritratto di sapore medievale, che vale la pena di riportare per intero. «Nelle coppie in cui la donna non lavora (30 per cento del totale) è più alta la frequenza dei casi in cui lei non ha accesso al conto corrente (47,1 per cento contro il 28,6 per cento degli uomini); non è libera di spendere per sé stessa (28,3 per cento), non condivide le decisioni importanti con il partner (circa il 20 per cento); non è titolare dell'abitazione di proprietà». Inoltre le moglie separate o divorziate sono più esposte al rischio di povertà a fronte dei mariti nella stessa situazione: 24 per cento contro 15,3 per cento;
          i dati Istat sulle disuguaglianze a sfavore dei lavoratori atipici dovrebbero far riflettere chi esalta i pregi della flessibilità. Il peso degli occupati atipici (cioè dipendenti a tempo determinato, collaboratori o prestatori d'opera occasionali) sul totale degli occupati è in aumento tanto che è entrato nel mondo del lavoro da atipico il 31,1 per cento dei nati negli anni ’70, ma il 44,6 per cento dei nati dagli anni ’80 in poi. Non sempre quest'ingresso dà l'accesso a un'occupazione stabile. Anche qui, la classe sociale di provenienza gioca pesantemente il suo ruolo: «Il passaggio a lavori standard è più facile per gli appartenenti alla classe sociale più alta, mentre chi ha iniziato come operaio in un lavoro atipico, dopo dieci anni, nel 29,7 per cento dei casi è ancora precario e nell'11,6 per cento ha perso il lavoro»;
          nel Mezzogiorno va peggio per tutti: per gli operai, per i giovani, per le donne. Ma quello che colpisce è il viaggio che l'Istat ha compiuto nei servizi sociali. I servizi sociali, proprio come la scuola, dovrebbero attuare il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione: mettere i cittadini svantaggiati nelle medesime condizioni di partenza di quelli privilegiati. E invece là dove l'economia è depressa, e dove è più importante il ruolo dei servizi sociali pubblici, si spende meno e male. Qualche dato: nel 2010 il Servizio sanitario nazionale ha speso 1833 euro pro capite, che vanno dai 2.191 della provincia di Bolzano ai 1.690 della Sicilia. Le strutture residenziali per anziani offrono in media 37 posti letto ogni 1000 anziani residenti nel Nord, e appena 10 al Sud. I livelli più alti di soddisfazione per i servizi ospedalieri si riscontrano in Piemonte, Valle d'Aosta, Trento, Veneto, Emilia Romagna e Toscana, i più bassi in Campania e Sicilia. La spesa sociale nel 2009 in seguito alla crisi è diminuita dell'1,5 per cento nel Mezzogiorno, ma è aumentata del 6 per cento nel Nord-Est, del 4,2 per cento nel Nord-Ovest e del 5 per cento al Centro. Per i servizi sociali i comuni calabresi spendono 26 euro a persona, quelli della provincia autonoma di Trento 280 euro. Per i disabili i comuni del Sud spendono otto volte meno di quelli del Nord. I nidi pubblici sono presenti nel 78 per cento dei comuni del Nord-Est ma nel 21 per cento di quelli del Sud  –:
          quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di ridurre le differenze sociali ed economiche sorte nei vari strati della società, anche a seguito della grave crisi economica che si sta vivendo. (4-16424)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XIII Commissione:


      PAOLO RUSSO e BECCALOSSI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          nell'ultima settimana si sono registrate fortissime grandinate, accompagnate da intense precipitazioni, in estese zone della Campania, in particolare nelle province di Caserta e Napoli, che hanno colpito superfici coltivate;
          risulta che il fenomeno si è manifestato con una notevole violenza e ha portato alla distruzione in taluni casi della intera produzione aziendale;
          i danni riguardano la produzione frutticola, molto diffusa nelle aree interessate, e in modo particolare albicocche e pesche precoci, ad uno stato di maturazione finale e pronte per la raccolta e l'avvio alla commercializzazione;
          gli effetti negativi per le imprese agricole colpite sono praticamente irreversibili, comportando la perdita totale del reddito atteso alla fine del ciclo produttivo;
          le produzioni danneggiate rivestono un'importanza fondamentale per l'economia dei territori interessati, anche sotto il profilo dell'apporto all'esportazione di prodotti ortofrutticoli, considerato che l'Italia è il primo produttore europeo e che il saldo fra import ed export della frutta fresca evidenzia un saldo positivo del 68 per cento;
          dall'analisi delle performance economiche degli orientamenti produttivi effettuata dall'INEA, le imprese frutticole risultano essere caratterizzate dalla maggiore richiesta di manodopera per la realizzazione del ciclo produttivo, per cui i danni registrati a causa dei ricordati eventi naturali catastrofici avranno un impatto pesantissimo anche sull'occupazione;
          sono grandemente diminuiti gli stanziamenti destinati agli interventi assicurativi del fondo di solidarietà, che dispone di soli 16,7 milioni di euro per il 2012 ed è totalmente privo di copertura per gli anni 2013 e 2014;
          in tale situazione finanziaria le imprese agricole risultano senza adeguate prospettive di copertura di costi che devono comunque affrontare per rimanere sul mercato e per affrontare una concorrenza internazionale sempre più agguerrita, e non sono incentivate a coprire gli inevitabili danni da calamità naturali;
          si registrano con sempre maggiore frequenza e gravità perdite di reddito dovute ai cambiamenti climatici, che non sono controllabili dagli imprenditori, come rilevato anche dalla Commissione europea;
          è interesse di tutti i cittadini italiani mantenere adeguati livelli di reddito e di vivibilità dell'agricoltura, che garantisce valore aggiunto, sostenibilità ambientale dei territori, occupazione, tutela del made in Italy  –:
          quali iniziative urgenti intenda adottare per sostenere i redditi delle imprese agricole gravemente danneggiate dagli eventi catastrofali che hanno colpito le province di Caserta e Napoli e per ridurre i costi assicurativi al fine di incentivare un maggior ricorso alle polizze agevolate delle produzioni e del reddito in agricoltura.
(5-07006)


      CALLEGARI, FOGLIATO, NEGRO e RAINIERI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo n.  26 del 2007, recante attuazione della direttiva 2003/96/CE in materia di tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, ha disposto l'esenzione dall'accisa per gli oli vegetali non modificati chimicamente impiegati in lavori agricoli, orticoli, in allevamento, nella silvicoltura e nella florovivaistica;
          la suddetta agevolazione, subordinata alla preventiva autorizzazione della Commissione europea come previsto dalla normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, veniva comunicata a Bruxelles con il provvedimento di notifica n.  529/2008, ai fini della verifica della compatibilità dell'aiuto richiesto con il mercato comune;
          dopo significativi ritardi nell'approvazione dell'aiuto da parte dell'Esecutivo comunitario, anche a seguito di solleciti e chiarimenti richiesti dal primo firmatario del presente atto ai Ministri competenti con atto n.  4-06189 del febbraio 2010, la Commissione europea nel 2011, dopo 4 anni dall'emanazione del decreto legislativo n.  26 del 2007 comunicava, con decisione C(2011) 6466 del 12 settembre 2011, la compatibilità dell'aiuto n.  529/2008 con il mercato comune, autorizzando l'esenzione dell'accisa per gli oli vegetali chimicamente non modificati per l'utilizzo nei motori agricoli;
          ad oggi, giugno 2012, non è stata data alcuna evidenza pubblica alla decisione della Commissione europea e l'Agenzia delle dogane non ha ancora provveduto ad emanare alcuna disposizione applicativa affinché l'utilizzo di olio vegetale, in regime di esenzione di accisa, sia effettivamente autorizzato attraverso il meccanismo della assegnazione di carburante agevolato;
          in risposta all'interrogazione n.  5-06951, presentata in Commissione VI e sottoscritta dagli interroganti, il Sottosegretario per l'economia e le finanze Vieri Ceriani ha riferito che, a seguito dell'emanazione della decisione della Commissione C(2011) 6466, l'Agenzia delle dogane attende di essere interessata dal competente Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ai fini dell'attuazione della menzionata decisione e che solo successivamente sarà in grado di dare corso, nei limiti della propria competenza, all'adozione di iniziative utili a consentire l'avvio del regime di esenzione  –:
          di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti riportati in premessa e, anche in considerazione di quanto riferito dal Sottosegretario per l'economia e le finanze, se non intenda provvedere con urgenza, in quanto di sua competenza, ad interessare l'Agenzia delle dogane, affinché possa disporre l'esenzione fiscale per gli oli vegetali per impieghi agricoli. (5-07007)


      DELFINO e NARO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          quasi centomila ettari di terreno compresi tra Modena, Bologna, Ferrara e Mantova sono senza acqua a causa dei danni provocati dalle scosse di terremoto agli impianti idraulici che garantiscono la sicurezza del territorio;
          servono interventi per decine di milioni di euro nell'immediato per garantire l'irrigazione ed evitare che l'arrivo di forti piogge possa provocare alluvioni nelle campagne, ma anche nelle principali città emiliane;
          il fenomeno della liquefazione delle sabbie che emergono dal terreno, rubando spazio alla terra coltivata, e che provocano numerose crepe a case e magazzini è solo l'effetto più evidente del dissesto idrogeologico provocato dal sisma che ha spaccato terreni nelle aree urbane ed agricole e messo in pericolo la stabilità del territorio;
          il terremoto ha provocato danni agli impianti idraulici e frane in alcuni alvei che pregiudicano il regolare deflusso delle acque;
          una prima conseguenza è stata la sospensione del servizio di irrigazione che è necessario far ripartire per preservare, nell'emergenza, una delle agricolture più floride della pianura padana: ortofrutta, viticoltura, riso, parmigiano reggiano in particolare i settori a rischio;
          l'80 per cento della produzione di pere made in Italy si concentra proprio nell'area compresa tra la provincia di Modena, di Ferrara e una parte di Bologna e la loro raccolta è ora a rischio;
          danni diffusi alle opere idrauliche, pur non tali da impedirne la funzionalità, sono segnalati anche nei comprensori del consorzio di bonifica dell'Emilia Centrale e del Consorzio Canale Emiliano Romagnolo;
          per superare la fase di emergenza ed avviare speditamente la ricostruzione, le imprese agricole delle aree terremotate devono avere una corsia preferenziale di accesso al credito;
          occorre costruire canali di fiducia per quelle aziende che, proprio perché disastrate, con le abitazioni ed i fabbricati strumentali distrutti, non hanno adeguate garanzie da offrire per l'accesso al credito, che è fondamentale per la fase di soccorso e per la ripresa in tempi celeri  –:
          se non ritenga opportuno assumere iniziative volte a prevedere garanzie finanziarie e possibilità di accesso al credito per la ricostruzione di molte imprese agricole che vogliono e sentono l'urgenza di ripartire subito. (5-07008)


      MARCO CARRA, OLIVERIO, FRANCESCHINI, ZUCCHI, AGOSTINI, BRANDOLINI, CENNI, CUOMO, DAL MORO, FIORIO, MARROCU, MARIO PEPE (PD), SANI, SERVODIO, TRAPPOLINO, LENZI, BENAMATI, LA FORGIA, MARCHIGNOLI, VASSALLO, ZAMPA, BRATTI, GHIZZONI, MIGLIOLI, SANTAGATA, MARCHI, CASTAGNETTI e COLANINNO. —Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il terremoto che ha coinvolto le province di Bologna, Modena, Ferrara e Mantova il 20 maggio 2012 e in maniera ancora più devastante, nella giornata del 29 maggio, ha determinato una situazione emergenziale di evidente gravità sia per il numero di vittime che per il sistema economico e produttivo dell'area geografica interessata;
          nella zona colpita dal terremoto, ad alta vocazione agricola, si segnalano gravissimi danni per una parte vitale del sistema agroalimentare italiano, in particolare per le imprese di rilevanza nazionale di produzione del parmigiano reggiano, del grana padano, dell'aceto balsamico di Modena, del prosciutto di Parma, fino alle imprese di produzione vinicola e ortofrutticola; nelle sole province di Ferrara, Modena e Mantova si realizza il 5 per cento del valore della produzione agricola nazionale;
          è fondamentale uno specifico intervento del Governo che sostenga le imprese per una veloce ripresa della produzione, messa in discussione dal fatto che sono stati duramente colpiti caseifici, stabilimenti di lavorazione della frutta, magazzini di stagionatura, case rurali, stalle, fienili, con macchinari distrutti e animali morti, con danni stimabili in circa 500 milioni di euro;
          senza uno specifico intervento del Governo, la produzione agroalimentare andrà persa con pesanti ricadute economiche causate dal crollo dei prezzi; a tal fine risulterebbe di grande efficacia un intervento dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) per sostenere il mercato dei prodotti danneggiati, in questa prima fase di emergenza;
          al riguardo sarebbe importante anche uno specifico intervento per agevolare l'accesso al credito delle imprese agroalimentari che, mediante l'ISMEA, potrebbe fornire le garanzie necessarie per gli interventi di ricostruzione fondamentali per la ripresa produttiva  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere per sostenere, anche mediante interventi specifici dell'AGEA, le produzioni agroalimentari duramente colpite dal sisma e per agevolare, per quanto di propria competenza, l'accesso al credito per le imprese del settore agroalimentare, al fine di sostenere la ripresa dell'attività produttiva ed evitare dannose delocalizzazioni. (5-07009)


      DI GIUSEPPE. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          i fitofarmaci sono per la massima parte costituiti da sostanze bioaccumulabili, sia nel terreno che nel nostro corpo. I fitofarmaci siano essi insetticidi, acaricidi, molluschicidi, nematocidi, rodenticidi, fumiganti, fungicidi, diserbanti e fertilizzanti chimici si ritrovano in circa la metà della frutta e della verdura, fortunatamente entro soglie accettabili di limite massimo di residuo (LMR) ed assunzione giornaliera accettabile (ADI), e contaminano diffusamente l'ambiente, comprese le acque di fiumi, di laghi, di sorgenti e di falda;
          un'indagine dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha identificato nelle acque italiane ben 131 di queste sostanze, compresi inquinanti vietati da molto tempo, e ha dimostrato che il 36,6 per cento dei campioni di acqua analizzati nel nostro Paese è contaminato da pesticidi in quantità superiore ai limiti di legge;
          la Commissione europea DG Agricoltura aggiorna costantemente l'elenco relativo alle sostanze attive di cui all'allegato I della direttiva 91/414/CEE, per cui alcune molecole non sono state più autorizzate ad essere immesse in commercio, in quanto considerate pericolose per la salute umana e per l'ambiente, altre risultano sospese e poi riammesse periodicamente ed altre istituite di nuovo ed autorizzate dall'Istituto superiore di sanità. Attualmente su 1.000 principi attivi disponibili, l'agricoltura italiana dispone di sole 350 sostanze attive per la lotta fitopatologia;
          i limiti massimi di residui, espressi in mg/kg di sostanza attiva di prodotto vegetale, vengono fissati al momento dell'autorizzazione con criteri internazionalmente condivisi, al fine di garantire un'esposizione accettabile da parte dei consumatori. Il corretto impiego dei prodotti fitosanitari secondo le modalità riportate nelle etichette autorizzate assicura il rispetto di tali limiti. I limiti massimi di residui sono oggi disciplinati in Italia dal decreto ministeriale 27 agosto 2004, e successivi aggiornamenti, che contiene i valori armonizzati a livello comunitario e, ove non disponibili, i valori fissati a livello nazionale;
          dalle segnalazioni di diversi agricoltori operanti nella cosiddetta Terra di Bari – ma il problema riguarda tutto il territorio nazionale – si apprende che le coltivazioni di erbe aromatiche destinate alla vendita in vaschette nella grande distribuzione organizzata (GDO), a seguito di analisi di laboratorio risultano contenenti un residuo di principio attivo contenuto in fitofarmaci, tra i quali il pendimetalin, erbicida selettivo ad azione sistemica che controlla diverse malerbe annuali inibendone la germinazione dei semi e lo sviluppo dei germinelli, il propizamide, erbicida selettivo che esplica la sua azione per assorbimento radicale distruggendo le malerbe nella prima fase del loro sviluppo, e il propamocarb, un fungicida sistemico appartenente alla classe chimica degli azotorganici-carbammati, impiegato contro fitomiceti che attaccano le colture alle radici, al colletto e alla parte aerea di ortaggi e piante ornamentali;
          i valori residuali riscontrati nel campione analizzato, pur essendo entro i limiti di legge previsti dal regolamento (CEE) n.  149/2008 e successive modifiche, risultano contenenti principi attivi di impiego non autorizzati in Italia sulla coltura di erbe fresche;
          ci si potrebbe compiacere per il regolamento restrittivo a tutela della salute pubblica italiana, ma in realtà gli stessi principi attivi sono ammessi in Italia, entro certi limiti, sulle insalate e su tutte le altre verdure consumate crude, mentre sulle cosiddette erbe fresche (rosmarino, salvia, menta e altro) sono vietati ed anche a livello comunitario gli stessi principi attivi sono ammessi sempre entro certi limiti;
          nell'Unione europea le derrate agricole, sottoposte a trattamenti con prodotti fitosanitari e destinate al consumo umano, sono regolate da limiti massimi dei residui (LMR) dei prodotti fitosanitari. I limiti massimi dei residui, stabiliti per ciascuna combinazione sostanza attiva/prodotto, sono fissati e valutati in modo tale da non costituire un rischio per la salute del consumatore;
          il regolamento n.  396/2005, e suoi successivi aggiornamenti, raccoglie ed armonizza in un unico testo i limiti massimi di residuo che si applicano a differenti prodotti di origine vegetale ed animale;
          è plausibile che alcuni fitofarmaci che contengono i principi attivi di cui sopra, utilizzati su altre colture della zona, potrebbero essere stati portati nei campi a causa di abbondanti piogge; le colture di erbe fresche, così inquinate, risultano non vendibili, causando notevoli perdite economiche ai coltivatori, e penalizzano un contesto già fortemente provato come l'agricoltura;
          a rigor di logica non si capisce perché gli stessi principi attivi, nei limiti consentiti, tollerati sulle insalate siano invece vietati sulle erbe aromatiche  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritenga necessario attivarsi perché anche la coltivazione delle erbe fresche aromatiche sia ricondotta alla stessa normativa valida per le coltivazioni di insalate, uniformando l'applicazione del regolamento CEE n.  149/2008. (5-07010)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il decreto direttoriale Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali n.  13718 del 23 maggio 2012 del D.G. dottor Francesco Saverio Abate, che ha sancito per i pescatori professionisti il divieto «di effettuare catture accessorie (by-catch) di tonno rosso, a decorrere dal giorno successivo alla data di affissione del presente provvedimento all'albo delle Autorità Marittime che devono provvedervi entro e non oltre le ore 13,00 del giorno 24 maggio 2012» stante che la campagna di pesca al tonno rosso è attualmente aperta, e disponibili le relative quote del contingente assegnato dell'Unione europea all'Italia;
          l'attuazione immediata di un decreto non pubblicato in Gazzetta Ufficiale, dovrebbe prevedere la necessaria tolleranza per quelle imbarcazioni impegnate in battuta di pesca di lunga durata, che facessero ritorno in porto nei giorni immediatamente successivi alla affissione all'albo delle autorità marittime, così da evitare pesanti sanzioni a incolpevoli pescatori, che sconoscendo la portata del provvedimento sbarcassero più di un esemplare di tonno rosso quale «cattura accessoria»;
          il significato stesso di «cattura accessoria», indica un concetto di indipendenza dalla volontà, per cui detto divieto sembrerebbe di difficile applicazione pratica, stante che a tal proposito il vigente regolamento (CE) 302/2009, vincolante per tutti gli Stati membri dell'Unione europea compresa l'Italia, al comma 2, dell'articolo 11 recita testualmente «Le catture accessorie sono detratte dal contingente assegnato allo Stato membro di bandiera. Quando è aperta la pesca del tonno rosso è vietato rigettare in mare gli esemplari morti delle catture accessorie di cui al paragrafo 1, che devono essere imputati al contingente delle Stato membro di bandiera»;
          la disponibilità attuale del contingente assegnato all'Italia e le relative attività di pesca autorizzate regolarmente aperte, l'applicazione pratica del Decreto Direttoriale comporterebbe il rigetto in mare delle «catture accessorie», in contrasto con il 2o comma dell'articolo 11 regolamento CE 302/2009 e con i princìpi della politica comune europea, per ridurre e/o eliminare i rigetti in mare di esemplari catturati morti;
          non sembra, attenuare la portata del provvedimento neppure il comma 3 dell'articolo unico del decreto direttoriale citato, in quanto le imbarcazioni impegnate in battute di pesca di lunga durata non possono assolutamente prevedere né tantomeno limitare volontariamente, le catture «accessorie» ad un unico esemplare per battuta di pesca, con la conseguenza che gli esemplari catturati morti in eccedenza al primo finirebbero gettati in mare, senza la possibilità di essere detratti dal contingente italiano;
          i pescatori nel regolare svolgimento della loro attività di pesca, nel caso di «catture accessorie», dovrebbero comunque violare una delle due norme:
              a) il regolamento UE 302/2009 rigettando in mare gli esemplari catturati morti;
              b) il decreto direttoriale, issandoli abbordo e consegnandoli alle autorità marittime competenti come previsto dal regolamento UE 302/2009  –:
          quali provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per assicurare l'adozione di misure compatibili con il dettato comunitario in materia (regolamento 302/2009), ritirando il decreto direttoriale n.  13718 del 23 maggio 2012 relativamente al divieto di effettuare catture accessorie. (5-06995)


      RAINIERI, CALLEGARI e NEGRO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 8-quinquies, comma 10, del decreto-legge n.  5 del 10 febbraio 2009, convertito, con modificazioni, in legge n.  33 del 9 aprile 2009, è espressamente previsto che nei casi di mancata tempestiva presentazione della richiesta di rateizzazione, in quelli di decadenza dal beneficio della dilazione, nonché in caso di interruzione del pagamento anche di una sola rata, l'AGEA provveda alla riscossione coattiva del prelievo supplementare esigibile imputato agli allevatori ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n.  639;
          nel mese di settembre 2010, l'allora presidente di AGEA, professor Dario Fruscio, dichiarava che: «... nel rispetto della legge, AGEA è ormai nelle condizioni di dover consegnare ad Equitalia gli elenchi dei produttori di latte che, destinatari di multe, non hanno aderito alla rateizzazione prevista dalla legge n.  33 del 2009 e che, in questi casi, Equitalia procede attraverso decreti già esecutivi. L'agenzia che rappresento è un ente estremamente tecnico e di tipo operativo e in quanto tale non possiede né titolo, né interesse per imbarcarsi in pareri e valutazioni su norme, direttive e regolamenti nazionali e comunitari. Essa non ha altro compito che operare secondo osservanza e attuazione pedisseque del quadro disciplinare che regola la sua attività. Di conseguenza a noi non resta che procedere applicando le norme vigenti ...»;
          a seguito di quanto riportato sopra, il presidente di AGEA dava avvio, tramite Equitalia, ai procedimenti di riscossione a mezzo ruolo al fine di procedere al recupero dei prelievi supplementari dagli allevatori che non avevano pagato e non avevano richiesto la rateizzazione di cui alla legge n.  33 del 2009;
          in una serie di interventi e comunicati stampa il presidente di AGEA ha più volte ribadito che era atto dovuto dare avvio alle procedure esecutive attraverso Equitalia, ed ha altresì imputato anche e soprattutto a tale sua presunta volontà legalitaria la sua intenzione di lasciare la presidenza dell'Agenzia;
          le cartelle esattoriali emesse da AGEA venivano impugnate dagli allevatori destinatari davanti al Tar del Lazio;
          nel corso dei giudizi amministrativi, a fronte delle contestazioni dei produttori in merito alla legittimità dell'operato dell'Agenzia, in contrasto con una precisa disposizione di legge, AGEA si è limitata a dichiarare quanto segue: «in riferimento ... alla richiesta di iscrizione a ruolo dei debiti per i quali non erano già state attivate le procedure esecutive, la Società di riscossione (ossia Equitalia, n.d.r.) ha proceduto alla formazione dei ruoli/notifica cartelle. (...)»;
          Equitalia, pure convenuta nel giudizio amministrativo, si è limitata a sostenere che, a fronte dell'iscrizione a ruolo di AGEA, essa è tenuta a darvi attuazione, senza entrare nel merito della legittimità di detta iscrizione;
          in alcune sentenze del 29 marzo 2012 (tra cui la sentenza n.  2980/2012) il Tar del Lazio ha dichiarato che la procedura di riscossione tramite ruoli, avviata da AGEA dopo l'entrata in vigore dell'articolo 8-quinquies del decreto-legge 10 febbraio 2009, n.  5, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009 n.  33, è illegittima, ed ha, di conseguenza, annullato le cartelle esattoriali emesse da Equitalia sui ruoli formati da AGEA;
          è noto che Equitalia per ogni cartella emessa, ha diritto di ricevere un aggio pari al 4,65 per cento sull'importo richiesto con la cartella/avviso nel caso in cui il pagamento avvenga nel termini di 60 giorni, e del 9 per cento nel caso in cui avvenga in ritardo  –:
          di quali ulteriori elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione ai fatti espressi in premessa e se non ritengano opportuno chiarire le implicazioni derivanti dalle suddette sentenze del TAR Lazio in ordine ai costi che l'amministrazione dovrà sostenere, anche nei confronti di Equitalia, per le illegittime emissioni delle cartelle esattoriali nei confronti dei produttori di latte vaccino al fine del recupero dei prelievi supplementari;
          se e quali provvedimenti disciplinari intendano assumere nei confronti del Presidente dell'AGEA professor Fruscio ove ne sussistano i presupposti. (5-06999)

Interrogazione a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          un patto d'intesa, firmato nei giorni scorsi a Roma da Enea (l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile) e Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), per coinvolgere il sistema agricolo e agroalimentare verso la produzione e l'utilizzo di energia pulita. Implementando le tecnologie per l'accumulo energetico e intervenendo su processi produttivi e risorse agricole. «L'agricoltura», afferma Carlo Alberto Campiotti, responsabile del servizio agricoltura dell'unità efficienza energetica dell'Enea, «per quello che riguarda le rinnovabili è un settore pieno di potenzialità. Non solo per il risparmio, ma anche per la produzione vera e propria dell'energia». «In Italia», prosegue Campiotti, «questa è la prima volta che si tenta uno sviluppo sostenibile del settore agricolo in maniera totale. Con azioni pratiche che mirano alla riduzione delle emissioni e a valorizzare le fonti agro-energetiche». Uno sviluppo che passa dal recupero energetico dei residui zootecnici e vegetali, ma anche dalla diversificazione e dalla tracciabilità dei prodotti agroalimentari. E, tra i passi più importanti, la produzione di biogas. «In futuro», sottolinea Giuseppe Alonzo, commissario del Cra, «l'uso delle biomasse a fini energetici è il settore strategico su cui concentrare le attività di ricerca e sviluppo tecnologico. Il biogas agricolo, infatti, rappresenta per l'agricoltura la più grande opportunità di sostenibilità energetica ed economica. Ed è per questo motivo», afferma il professore, «che è necessario aiutare le aziende troppo piccole ad affrontare al meglio il mercato energetico. Incentivandone l'unione, ai fini di costruire impianti comuni per la produzione di metano»;
          in più, a condurre le aziende agricole verso la trasformazione verde, non solo la produzione di biogas, ma anche l'introduzione di nuove certificazioni per semplificare l'accesso agli incentivi. «Sono molti i punti», puntualizza il responsabile di Enea, «su cui si dovrà intervenire per migliorare l'efficienza energetica del settore. Facilitando i protagonisti a investire in risparmio e innovazione». Tra gli aiuti, l'utilizzo per la prima volta nel settore dei cosiddetti certificati bianchi. Titoli d'efficienza energetica un tempo all'appannaggio esclusivo di industria ed edilizia. «Stiamo preparando», conclude Campiotti, «schede tecniche specifiche per il settore agricolo. In particolare, per l'uso della biomassa solida nel riscaldamento delle serre, per l'uso di biogas nelle imprese agricole, per la riduzione di energia nell'irrigazione e per l'impiego della bioplastica e dell'agricoltura organica». A tracciare la strada da seguire per ottenere i certificati bianchi, il primo prototipo di impresa agricola totalmente sostenibile. «Come esempio per le altre aziende», anticipa Alonzo, «abbiamo scelto un'impresa zootecnica di Monterotondo, in provincia di Roma. Si tratta di un allevamento di bovini già molto avanti sul fronte della sostenibilità. Un circolo quasi chiuso, visto che produce già in loco tutto il mangime necessario e utilizza gli escrementi per la produzione di biogas. E che presto verrà dotata di impianti fotovoltaici sui tetti delle stalle e di sistemi per il riciclo dell'acqua sanitaria. Infine», conclude il Commissario del Cra, «per renderla completamente a zero emissioni anche la possibilità di limitare l'anidride carbonica prodotta dalle coltivazioni. Per questo, stiamo inserendo nel suolo del biochar (carbone vegetale per arricchire i suoli, ndr), materiale che trattiene la CO2»;
          centrale, del resto, il dibattito oramai aperto in tutto l'emisfero per l'utilizzo e lo sfruttamento delle energie naturali all'interno dell'agricoltura. Tra i più recenti appuntamenti, le tre giorni svedese che si è svolta dal 29 al 31 maggio a Jönköping per la sesta edizione del World Bioenergy. Dove, fra escursioni nei campi e sessioni tematiche, si potranno vedere a 360 gradi tutti i possibili utilizzi delle biomasse. Anche grazie a uno dei maggiori eventi mondiali sul tema, il World Pellets 2012. Oppure, per seguire l'esempio delle campagne olandesi e scoprire come far fruttare al meglio l'utilizzo di biomasse, una buona occasione è non perdere ad Amsterdam (28-29 novembre) la seconda edizione di bioenergy commodity, una serie di eventi e conferenze per collocare in maniera redditizia l'energia verde sul mercato  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare, al fine di incentivare il completo sviluppo sostenibile delle attività relative al comparto agricolo in Italia. (4-16420)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


      PEDOTO. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il comma 5 dell'articolo 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n.  1 concernente: «Potenziamento del servizio di distribuzione farmaceutica, accesso alla titolarità delle farmacie, modifica alla disciplina della somministrazione dei farmaci e altre disposizioni in materia sanitaria», convertito, con modificazioni, dalla legge n.  27 del 2012, così prevede:
              «5. Ciascun candidato può partecipare al concorso per l'assegnazione di farmacia in non più di due regioni o province autonome, e non deve aver compiuto i 65 anni di età alla data di scadenza del termine per la partecipazione al concorso prevista dal bando. Ai fini della valutazione dell'esercizio professionale nel concorso straordinario per il conferimento di nuove sedi farmaceutiche di cui al comma 3, in deroga al regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1994, n.  298:
                  a) l'attività svolta dal farmacista titolare di farmacia rurale sussidiata, dal farmacista titolare di farmacia soprannumeraria e dal farmacista titolare di esercizio di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n.  248, è equiparata, ivi comprese le maggiorazioni;
                  b) l'attività svolta da farmacisti collaboratori di farmacia e da farmacisti collaboratori negli esercizi di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n.  248, è equiparata, ivi comprese le maggiorazioni.»;
          la mancata previsione della categoria dei farmacisti ospedalieri e dei servizi farmaceutici delle Aziende Sanitarie nelle diverse posizioni (quanto alla lettera a) dirigente farmacista del Servizio sanitario nazionale direttori di struttura complessa, dal direttore di farmacia ospedaliera accreditata; quanto alla lettera b): dirigente farmacista del Servizio sanitario nazionale, dal farmacista collaboratore di farmacia ospedaliera accreditata) determina una gravissima quanto ingiustificata disparità di trattamento al punto da creare un vulnus all'interno delle disposizioni che, sia pure in via eccezionale, disciplinano l'acceso ai concorsi alle sedi farmaceutiche;
          tale discriminazione è tanto più grave se si considera il percorso formativo di un farmacista dirigente del Servizio sanitario nazionale e le funzioni che gli competono;
          quanto all'aspetto formativo del farmacista dirigente ospedaliero o del Servizio sanitario nazionale, va ricordato che la specializzazione in farmacia ospedaliera, necessaria per accedere al profilo professionale, è compresa nell'area sanitaria, sottoarea dei servizi clinici organizzativi della sanità pubblica, all'interno della quale è stata individuata specificamente l'area farmaceutica;
          la durata del corso è di 4 anni a numero chiuso. È necessario superare una severa selezione iniziale che consiste in una prova scritta, spesso sotto forma di test a risposta multipla ed una prova orale. Vengono valutati anche altri aspetti, come il voto di laurea, la tesi e il possesso di ulteriori titoli scientifici. La scuola di specializzazione comporta la frequenza di lezioni e di un tirocinio formativo di 25 ore settimanali per 40 ore settimane presso una farmacia ospedaliera;
          in altri termini, il 70 per cento dei crediti formativi universitari devono essere ottenuti svolgendo tirocinio pratico all'interno dei servizi farmaceutici, ospedalieri e territoriali e che i 4 anni di corso si articolano su 240 crediti formativi universitari, di cui almeno 168 devono essere svolti tramite tirocinio pratico;
          per quanto compete invece l'aspetto professionale, vanno riconosciute le numerose attività gestionali e manageriali che i farmacisti dirigenti del Servizio sanitario nazionale svolgono presso le Farmacie ospedaliere e servizi farmaceutici territoriali dove, oltre ad un costante rapporto con i pazienti nell'ambito della distribuzione diretta (farmaci A-PHT, farmaci H esitabili, farmaci consegnati alla dimissione dall'ospedale – primo ciclo terapeutico), gestiscono medicinali di fascia A, C ed H di esclusivo impiego ospedaliero, dispositivi medici, diagnostici, radiofarmaci. I farmacisti ospedalieri preparano prodotti galenici sterili e non sterili per singolo paziente, in particolare farmaci antiblastici, in laboratori ad elevato livello tecnologico;
          a ciò aggiungasi la vigilanza sulle farmacie private/convenzionate, parafarmacie e grossisti di medicinali; la vigilanza e controllo dell'appropriatezza prescrittiva dei farmaci in ospedale e sul territorio; il controllo della spesa farmaceutica convenzionata; la programmazione delle forniture di beni sanitari attraverso la predisposizione dei prontuari terapeutici aziendali e la stesura dei capitolati speciali di acquisto;
          ai sensi e per gli effetti dell'articolo 8 del decreto-legge 18 settembre 2001, n.  347, convertito, con modificazioni dalla legge n.  405 del 2001 recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria è assicurata «l'erogazione diretta da parte delle aziende sanitarie dei medicinali necessari al trattamento dei pazienti in assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale» e «al fine di garantire la continuità assistenziale, che la struttura pubblica fornisca direttamente i farmaci, limitatamente al primo ciclo terapeutico completo, sulla base di direttive regionali, per il periodo immediatamente successivo alla dimissione dal ricovero ospedaliero o alla visita specialistica ambulatoriale»;
          in questa logica le farmacie ospedaliere e i servizi farmaceutici territoriali delle aziende sanitarie rappresentano un ponte tra l'ospedale ed il territorio dal momento che un punto centrale è dell'attività del farmacista dirigente del Servizio sanitario nazionale è il trasferimento delle indicazioni di terapia farmacologica dall'ospedale alle cure domiciliari;
          per tale ragione i servizi delle farmacie ospedaliere e dei servizi farmaceutici territoriali delle aziende sanitarie sono finalizzati alla identificazione ed alla somministrazione di specifici schemi terapeutici contribuendo ad offrire migliori possibilità di cura;
          in relazione alle nuove funzioni ascritte alle farmacie ospedaliere e ai servizi farmaceutici delle aziende sanitarie in riferimento alla continuità terapeutica da queste garantita anche attraverso l'erogazione diretta di medicinali sul territorio (farmaci A-PHT, farmaci H esitabili, farmaci orfani), si è determinata anche sotto questo profilo, una analogia delle farmacie ospedaliere e dei servizi farmaceutici con le farmacie territoriali convenzionate;
          in tal senso appare irrazionale e discriminatoria la deteriore assegnazione dei titoli professionali dei dirigenti farmacisti del Servizio sanitario nazionale ai fini concorsuali prevista dall'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  298 del 1994, rispetto ai farmacisti che operano nelle farmacie convenzionate sul territorio;
          tale irrazionalità e discriminazione è oltre modo aggravata a seguito della equiparazione dei farmacisti che operano nelle farmacie convenzionate a quella dei farmacisti titolari di un negozio di vicinato (parafarmacia) o di un corner farmaceutico della grande distribuzione organizzata prevista dalle recenti disposizioni normative in materia di accesso ai concorsi per l'assegnazione di farmacie di nuova istituzione di cui all'articolo 11, comma 5, del decreto-legge n.  1 del 2012;
          in conseguenza di tale equiparazione la valutazione del punteggio relativo all'esercizio professionale dei farmacisti ospedalieri e dei servizi farmaceutici territoriali delle aziende sanitarie dunque non soltanto rispetto ai colleghi operanti nelle farmacie convenzionate aperte al pubblico, ma anche rispetto ai titolari di un negozio di vicinato (parafarmacia) o di un corner farmaceutico della grande distribuzione organizzata;
          di conseguenza, con le disposizioni sopracitate viene sostanzialmente preclusa ai farmacisti ospedalieri e dei servizi farmaceutici territoriali delle aziende sanitarie la possibilità di vedersi assegnata una della farmacie di nuova assegnazione  –:
          quale sia la ratio ovvero il fondamento logico prima ancora che giuridico, del comma 5 dell'articolo 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, laddove espressamente discrimina i dirigenti farmacisti del Servizio sanitario nazionale, rispetto alle altre categorie nella valutazione del percorso professionale ai fini della partecipazione al concorso per l'assegnazione di farmacie di nuova istituzione ed eventualmente se e quali iniziative il Ministro della salute intenda adottare al fine di sanare questa evidente quanto macroscopica ed irrazionale disparità di trattamento. (3-02311)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MATTESINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          con l'articolo 33 della legge 29 novembre 2007 n.  222 e con l'articolo 2, commi 361 e 362, della legge 24 dicembre 2007, n.  244, si è disposto lo stanziamento di fondi per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, emofilici, emotrasfusi occasionali e da vittime di vaccinazioni, danneggiati da lesivi trattamenti, sanitari, che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni, nei confronti del Ministero della salute, tuttora pendenti;
          dall'approvazione delle citate leggi sono trascorsi, ad oggi, oltre 4 anni senza che il Ministero della salute abbia ottemperato a quanto stabilito (risarcimento danni) da precise norme di legge;
          in Italia, i danneggiati da sangue infetto sono oggi oltre 70.000, quasi 3.000 sono le persone decedute e 7.356 sono le persone emo-danneggiate che attendono ormai da anni di essere risarcite  –:
          quanti siano alla data attuale i ricorsi pendenti e quelli già risolti con sentenza passata in giudicato promossi da persone danneggiate da sangue infetto contro lo Stato italiano;
          quanto tempo, in media, intercorra tra la sentenza che aggiudica l'indennizzo e il suo pagamento e se tutte le persone che si sono viste riconoscere i loro diritti con una sentenza d'indennizzo siano state risarcite e se ciò non sia avvenuto, quali siano i motivi di tali ritardi. (5-06994)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'acufene è una patologia, rappresentata da una sensazione uditiva, da un suono continuo e costante, da rumori fastidiosi come fischi, ronzii, suoni di tipo pulsante o intermittente che possono essere percepiti in assenza di stimolazione sonora esterna, da uno o da entrambi gli orecchi;
          questa patologia, che spesso viene definita semplicemente come un «disturbo fastidioso», è in realtà una malattia decisamente invalidante che affligge il 10 per cento della popolazione priva di difetti uditivi e si stima che in Italia i portatori siano oltre 5 milioni;
          le reazioni di chi soffre di questa malattia portano ad uno stato invalidante che coinvolge l'assetto psicologico ed emozionale, il ritmo sonno-veglia, la vita sociale, nonché le attitudini lavorative e il livello di attenzione e concentrazione, causando effetti diretti sulla qualità della vita e generando nel paziente uno stato di disagio e di agitazione continuo accompagnato da stanchezza e altri disturbi fisici e in casi gravi può provocare anche disordini cognitivi che spesso si manifestano in una situazione di disadattamento sociale e familiare;
          a tutt'oggi, nonostante la gravità della patologia appena descritta, la ricerca scientifica in questo senso è praticamente nulla  –:
          se il Ministro interrogato intenda intervenire in merito, sollecitando l'avvio di studi e ricerche finalizzati ad individuare le cause e le eventuali cure di tale grave malattie;
          se intenda inserire questa patologia nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti, ai sensi del regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998 n.  124, di cui al decreto ministeriale 28 maggio 1999, n.  329. (5-06996)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in data 10 gennaio 2011 il Ministero della salute ha sottoposto alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano il «Piano oncologico nazionale»;
          il 2 febbraio 2011 le regioni e le province autonome hanno espresso parere favorevole sul documento, considerando che l'incidenza della patologia tumorale è in progressivo aumento, anche per effetto dell'innalzamento della età della popolazione italiana;
          i decessi per tumore costituiscono il 30 per cento di tutti i decessi; le malattie oncologiche hanno un notevole impatto sociale ed economico; i tumori costituiscono una priorità che il complesso delle istituzioni sanitarie e sociali è chiamato ad affrontare, sia per migliorare la risposta del Servizio sanitario nazionale, sia per contribuire a ridurre le diseguaglianze;
          si rende necessario dotare il sistema-Paese di un documento pianificatorio di indirizzo, anche in ottemperanza dell'impegno assunto in ambito europeo di definizione di strategie e piani per contrastare i tumori (si veda il «Council conclusions on reducing the burden of cancer» del 10 giugno 2008 del Consiglio dell'Unione europea);
          il successivo 10 febbraio 2011 la Conferenza Stato-regioni ha approvato il Piano oncologico nazionale sotto forma di «Atto d'intesa concernente il “Documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro – Anni 2011-2013”»;
          in occasione della celebrazione della VII giornata nazionale del malato oncologico, preso atto dei risultati del quarto rapporto dell'osservatorio permanente sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, dal quale risulta che le indicazioni del Documento tecnico di indirizzo sono rimaste a tutt'oggi inapplicate da parte delle regioni, che pure tali indicazioni avevano all'unanimità condiviso ed approvato, e da parte dello stesso Governo, che non ha provveduto a nominare, come previsto, entro il 31 dicembre 2011 i gruppi di lavoro incaricati di completare il documento stesso con le linee guida per l'implementazione delle reti oncologiche e per l'uso delle risorse di sistema;
          va preso altresì atto dallo stesso rapporto che, nonostante quanto dichiarato nell'atto di intesa sopra citato, e cioè che i tumori costituiscono una priorità che il complesso delle istituzioni è chiamato ad affrontare sia per migliorare la risposta assistenziale, sia per contribuire a ridurre le diseguaglianze, permangono tuttora rilevanti difformità tra regioni per quanto concerne la tempestiva messa a disposizione dei malati di cancro dei farmaci innovativi salvavita, o incidenti in maniera determinante sul tempo di sopravvivenza e sulla qualità di vita dei malati stessi, dopo la loro approvazione a livello europeo a cura dell'EMA e l'autorizzazione alla loro messa in commercio, a prezzi ritenuti congrui, con connessa eventuale somministrazione a carico del Servizio sanitario nazionale, in Italia, da parte dell'AIFA;
          in quattro regioni (Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Marche) e nella provincia autonoma di Bolzano i farmaci innovativi oncologici sono messi a disposizione dei malati di cancro immediatamente dopo l'approvazione dell'AIFA, mentre nelle altre regioni ciò avviene con ritardi anche fino a 50 mesi;
          tali difformità dipendono dall'inessenziale ripetizione costituita da un terzo livello di valutazione nelle regioni dotate di un proprio prontuario terapeutico farmaceutico, ad opera di commissioni localmente costituite, la cui competenza scientifica e completezza di documentazione non possono certo essere superiori a quelle della Commissione europea EMA e dell'Agenzia nazionale AIFA (dove pure le regioni sono presenti con propri esponenti scientifici e istituzionali);
          tale inessenziale valutazione di terzo livello determina, nelle regioni dove è vigente, ritardi pregiudizievoli per la salute dei malati di tumore ed è in palese contrasto con l'atto d'intesa, con il quale le regioni si sono impegnate a ridurre le diseguaglianze;
          la difformità di trattamento rappresenta secondo gli interroganti una violazione del principio contenuto nell'articolo 32, primo comma, della Costituzione, che garantisce la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, in forza del quale i malati di tumore hanno diritto, data la gravità della malattia, a ricevere sempre, ed ovunque residenti, la migliore assistenza possibile, in condizioni di uniformità nazionale;
          è plausibile che il differimento nella concedibilità dei farmaci – non giustificabile in termini scientifici – possa dipendere da ragioni economiche, di contenimento delle spese, stante la grave situazione economica del Paese, delle regioni e del Servizio sanitario nazionale;
          nel prendere netta posizione contro tale possibile giustificazione, sia per ragioni connesse con la gravità della patologia, definita nell'atto d'intesa Stato-regioni una priorità che il complesso delle istituzioni è chiamato ad affrontare, sia per la circostanza, documentata dal rapporto dell'Osservatorio, che le famiglie dei malati di tumore già sostengono «in proprio», per spese dirette e indirette, un onere annuo pari ad oltre 36 miliardi di euro (ammontare che equivale, come entità complessiva a due manovre finanziarie), questo pesante gravame sulle famiglie rappresenta esso stesso un'ulteriore difformità di trattamento in danno dei malati oncologici, rispetto a quanti, parimenti assistiti dal Servizio sanitario nazionale, non devono sostenere affatto, o in misura grandemente inferiore, oneri sociali di pari entità  –:
          se il Governo intenda intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, affinché le indicazioni del «documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro», trovino effettiva e sollecita applicazione in tutto il territorio nazionale;
          se intenda intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, affinché l'effettiva disponibilità dei nuovi farmaci antitumorali sia garantita in tutte le regioni immediatamente dopo la loro registrazione da parte dell'AIFA – a garanzia dell'uniformità assistenziale sancita dalla Carta costituzionale – dato che si tratta di presidi farmaceutici che hanno già ricevuto una valutazione positiva, a livello sia europeo sia nazionale. (5-06997)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il CEM (Centro d'educazione motoria) di Roma gestito dal comitato provinciale CRI di Roma della Croce rossa italiana (CRI) in accreditamento con la regione Lazio, risulta essere tra i più importanti in Italia per la tipologia di assistenza rivolta anche a persone con handicap molto gravi che accoglie nella palazzina donata dalla fondazione Mario Riva a tale scopo negli anni sessanta, la stessa è suddivisa in diversi reparti suddivisi ed attrezzati per rispondere al diverso grado di disabilità e alla necessaria mobilizzazione delle persone che hanno bisogno d'assistenza completa e continua. Il corpo centrale della palazzina accoglie 50 utenti, al quale va aggiunta una struttura sempre all'interno del parco, che ospita un centro diurno frequentato da 14 utenti in attesa che venga autorizzata dalla regione, per attivare una «casa famiglia», per alcuni ospiti non più sostenuti dalle famiglie. Le strutture sono dotate, inoltre, di diversi servizi quali laboratori, palestra, salone per le feste ed un ampio parco;
          la struttura si trova oggi ad avere un forte disavanzo finanziario, pari a circa 4 milioni di euro, e questo si ripercuote anche su un'adeguata assistenza da parte del personale sanitario soprattutto durante i periodi di ferie. Inoltre, a seguito della ristrutturazione che da tempo coinvolge Croce rossa italiana è molto forte il rischio che il Centro venga chiuso per mancanza di fondi  –:
          se il Governo sia al corrente della situazione che si potrebbe verificare a danno di queste persone altamente disabili;
          se, in considerazione del livello di eccellenza della struttura, alla quale fanno riferimento anche molte famiglie, non si ritenga necessario aprire un tavolo di confronto con le parti interessate della CRI e della regione Lazio al fine di trovare la soluzione migliore per evitare la chiusura del centro. (5-06998)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PALOMBA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          recenti notizie di stampa hanno riportato il vivo allarme suscitato da un presunto aumento dei casi di tumore negli ex lavoratori delle fabbriche di Ottana. In particolare, ne hanno parlato la televisione regionale Videolina in un servizio in data 22 settembre 2010, il quotidiano L'Unione Sarda in un lungo articolo del 15 aprile 2012 ed un approfondito servizio di radio radicale dal titolo «Le morti bianche di Ottana: interviste a Gisella Serra e Luigi Porcu» in data 18 maggio 2012;
          sono d'altra parte numerose le prove che la letteratura scientifica ha evidenziato sul reale pericolo dell'esposizione ad agenti inquinanti prodotti dalle industrie e sulla mancanza di adeguate norme di prevenzione negli ambienti di lavoro, soprattutto negli anni di espansione industriale;
          studi recenti, commissionati dall'assessorato regionale della sanità, riguardanti lo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da poli industriali, minerari e militari, della regione Sardegna, hanno già documentato i danni alla salute che si sono verificati in quei siti, fra i quali è ricompreso anche il polo industriale di Ottana, in provincia di Nuoro, come risulta dalla ricerca contenuta nel rapporto pubblicato come supplemento al numero 1 del 2006 di «Epidemiologia e Prevenzione», senza che però negli anni successivi si sia dato corso ai necessari approfondimenti;
          in tale ambito i segnalati eccessi di mortalità per tumore e di aumentata incidenza di tumori suscitano forte preoccupazione in relazione al ruolo di fattori ambientali, che possono aver interessato sia i lavoratori impiegati in tali industrie per il contatto, spesso inconsapevole, con sostanze nocive, sia la popolazione in generale per una loro esposizione a sostanze tossiche e cancerogene  –:
          se siano a conoscenza della gravissima situazione esposta;
          se ritengano necessario – nell'ambito delle proprie prerogative – disporre ulteriori accertamenti, in raccordo anche con il registro tumori di Nuoro, che da tempo segue dal punto di vista epidemiologico l'incidenza, la mortalità e la sopravvivenza in rapporto ai tumori riscontrati in tutta la provincia di Nuoro e dell'Ogliastra;
          quali altre iniziative di competenza intendano comunque porre in essere al fine di appurare il reale stato di inquinamento dell'area di Ottana, che comprende anche i paesi limitrofi di Bolotana, Noragugume, Orani, Sarule, Sedilo, Olzai;
          quali iniziative di competenza il Governo intende assumere qualora venissero confermate le notizie allarmanti riportate da mettere in relazione con l'esposizione professionale degli ex lavoratori del polo industriale di Ottana per gli eventuali riconoscimenti previdenziali ed assicurativi. (4-16415)


      MIOTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Il Fatto quotidiano del 2 giugno 2012 ha segnalato che le concessionarie del gioco sono state condannate a pagare una somma di circa 2,5 miliardi di euro per non aver adempiuto agli obblighi di trasparenza negli anni 2004-2006 e, contemporaneamente alle stesse, l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato starebbe per erogare l'ennesimo premio per aver adempiuto agli obblighi imposti dalla concessione;
          la Corte dei Conti con sentenza n.  214 del 2012 ha condannato, dopo una annosa querelle, le concessionarie di slot machine che non avrebbero collegato gli apparecchi alla Sogei al fine di consentire gli opportuni controlli da parte dell'Amministrazione dei monopoli di stato, nella misura che segue: Bplus ltd.: euro 845 milioni; Cirsa: euro 120 milioni; Sisal: euro 245 milioni; Lottomatica: euro 100 milioni; Gmatica: euro 150 milioni; Codere: euro 115 milioni; Hbg: euro 200 milioni; Gamenet: euro 235 milioni; Cogetech: euro 255 milioni; Snai: euro 210 milioni;
          ai quali si aggiungono le condanne a Giorgio Tino (ex DG dei Monopoli di Stato) per 4,8 milioni di euro e ad Antonio Tagliaferri (azienda Monopoli di Stato) per 2,6 milioni di euro;
          la sentenza è stata impugnata e la sua efficacia sospesa, ma nel frattempo l'Amministrazione dei monopoli di Stato si appresta a corrispondere alle medesime concessionarie 223 milioni di euro quale riconoscimento del livello di servizi raggiunto e cioè per aver collegato le «macchinette mangiasoldi» alla Sogei, come previsto nella concessione  –:
          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative per sospendere l'erogazione del «premio» ai concessionari che avrebbero l'unico merito di aver adempiuto agli impegni contrattuali, in presenza di un contenzioso per le inadempienze accertate negli anni pregressi;
          quali iniziative urgenti si intendano assumere per ottenere dal gettito per le giocate una aliquota stimata nella misura dello 0,5 per cento, indispensabile per finanziare le misure contro la ludopatia, malattia sociale assai diffusa determinata dalla dipendenza da gioco patologico.
(4-16426)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nel corso della puntata del programma «Ballarò», trasmesso il 29 maggio 2012 su Rai 3, ha partecipato il commissario straordinario della Croce rossa italiana, avvocato Francesco Rocca, indossando la maglia rossa dei volontari del soccorso con il simbolo dell'Associazione;
          il compenso annuo lordo corrisposto al commissario straordinario è di euro 229.489,43  –:
          se vi sia o meno una disposizione sull'utilizzo della maglia che contraddistingue i volontari della Croce Rossa.
(4-16432)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le imprese continuano a fare i conti con la crisi. E con esse le casse dello Stato che vedono ridursi le entrate provenienti dalle aziende: Ires (imposta sul reddito delle società) e Irap (imposta regionale del reddito delle attività produttive). Sono sempre più le imprese che chiudono o che riducono il proprio giro di affari. E la recessione sta colpendo indiscriminatamente dal Nord al Sud, con le zone più svantaggiate, ovviamente, a subire sofferenze in misura maggiore. Ma il conto della crisi sembra, tutto sommato, uguale per tutti. Secondo gli ultimi dati disponibili, ossia quelli relativi all'anno di imposta 2009, c’è stato un forte incremento delle dichiarazioni presentate da società in situazione di fallimento (+61,67 per cento) o estinte (+52,08 per cento). Un fenomeno coerente con una profonda crisi economica, che ha determinato una sensibile riduzione del Pil reale (-5,1 per cento) e nominale (-3,1 per cento). Nel primo trimestre del 2012 le entrate tributarie registrate dal dipartimento, delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze si sono attestate a quota 87,979 miliardi di euro, in crescita dello 0,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011. In particolare, è proprio l'Ires a far registrare un evidente incremento, pari al 3 per cento (+34 milioni di euro);
          anche il gettito derivante dall'Iva si mantiene sostanzialmente stabile a quota 22,024 miliardi di euro con una minima flessione dello 0,1 per cento (-25 milioni di euro) rispetto al primo trimestre del 2011, alimentato in gran parte dal prelievo sulle importazioni (+7,7 per cento), a compensare la flessione della componente relativa agli scambi interni (-1,9 per cento), effetto diretto della crisi. Il mondo delle partite Iva ha risentito del ciclo economico negativo e nel 2011 ha registrato una riduzione delle aperture, anzi una flessione, del 4,8 per cento rispetto all'anno prima. Ma qualche spiraglio si inizia a vedere: nel mese di marzo c’è stata un'inversione di tendenza sia rispetto a marzo 2011 (+7,4 per cento) sia rispetto a febbraio 2012 (+12,4 per cento). Nel 2011 ne sono state aperte circa 535 mila, soprattutto nel settore dei servizi pubblici e privati e dagli under 35, solo a marzo di quest'anno ne sono state aperte 62.284. La speranza è che il trend continui anche nei prossimi mesi pur con una congiuntura internazionale sfavorevole;
          ad alimentare in modo consistente il gettito dell'Erario è stata anche l'intensa attività di controlli e lotta all'evasione fiscale, che ha portato l'Agenzia delle entrate a recuperare nel 2011 12,7 miliardi (+15,5 per cento rispetto al 2010). Non solo, tra il 2009 e il 2010 è aumentato anche il livello di adempimento spontaneo in materia di Iva, riducendo il tax gap con il resto dell'Europa, passando dal 31,6 per cento del 2008 al 27,7 per cento del 2010. Da notare come a fronte di una diminuzione del numero di accertamenti — che passano dai quasi 706 mila del 2010 ai circa 697 mila del 2011 — la maggiore imposta accertata è cresciuta del 9,3 per cento superando la quota di 30,4 miliardi, contro i 27,8 del 2010. Positivi anche i dati di inizio 2012, con il gettito del primo trimestre derivante dai ruoli (tributi versati a seguito dell'emissione da parte dell'erario di un titolo esecutivo) che si è attestato sui 1.618 milioni (+77 milioni di euro sul 2011, pari a +5,0 per cento): 1.031 milioni di euro (+99 milioni di euro, pari a +10,6 per cento) dalle imposte dirette e 587 milioni di euro (-22 milioni di euro, pari –3,6 per cento) dalle indirette. Nei prossimi mesi è comunque in arrivo una boccata d'ossigeno per oltre 11 mila aziende che riceveranno rimborsi Iva per 2,2 miliardi di euro, resi disponibili dal Ministero dell'economia e delle finanze. A beneficiarne saranno imprese, artigiani e professionisti che riceveranno da subito 400 milioni, mentre 1,8 miliardi verranno pagati a partire dalla seconda metà del mese di maggio. Con questa nuova iniezione di liquidità, la somma complessiva rimborsata nel 2012 a impresa e artigiani e professionisti arriverà a 3,1 miliardi di euro, a fronte dei 2,7 miliardi erogati nello stesso periodo del 2011, con un incremento di circa il 14 per cento  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di ridurre il carico fiscale nei confronti delle imprese, compensandolo con i risultati ottenuti dal controllo dell'evasione fiscale effettuato capillarmente sul territorio nazionale. (4-16421)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Di Pietro n.  5-06274 del 27 febbraio 2012;
          interrogazione a risposta in Commissione Toto n.  5-06499 del 27 marzo 2012;
          interpellanza Iannaccone n.  2-01499 del 16 maggio 2012;
          interpellanza Tassone n.  2-01513 del 28 maggio 2012;
          interrogazione a risposta scritta Cavallotto n.  4-16273 del 28 maggio 2012.