XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 19 giugno 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre le tradizionali categorie a rischio anche a fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
              tale situazione è resa particolarmente acuta dai caratteri del mercato immobiliare italiano dove l'offerta di abitazioni private – con costi molto alti ed inaccessibili per un numero sempre maggiore di famiglie e di giovani coppie – supera largamente l'offerta pubblica scesa progressivamente, negli ultimi anni, ad una quota pari a circa l'1 per cento della produzione edilizia totale;
              occorre prendere atto di una assenza di iniziativa delle autorità pubbliche che nonostante la crescita della crisi abitativa, la sollecitazione delle forze sociali e di vari organismi parlamentari non è stato in grado, negli ultimi anni, di varare una organica politica per la casa che, intrecciata con innovative politiche di governo del territorio, fosse in grado di rilanciare la produzione di edilizia a fini sociali o di carattere pubblico con il recupero urbano ed il contenimento del consumo di suolo nelle città;
              la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno, in questo quadro, segnalato, l'inopportunità di provvedimenti «tampone» – soprattutto in materia di proroga delle ordinanze di sfratto – che ledono il libero dispiegarsi del diritto alla proprietà, in assenza di azioni organiche e complessive capaci di dare una risposta d'insieme ai vari aspetti che riguardano il problema dell'emergenza abitativa in Italia e che d'altro canto si deve tenere presente che il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa sono sancite dall'articolo 47 della Costituzione;
              parte essenziale della crisi abitativa è legata alla dismissione del patrimonio abitativo degli enti previdenziali pubblici e privatizzati; processo che ancora oggi – dopo le alienazioni concluse negli anni precedenti – riguarda circa 100 mila famiglie, in gran parte concentrato nella Capitale d'Italia;
              in questo ambito gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati vivono una condizione di particolare disagio con aumenti consistenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione e con proposte di acquisto dell'alloggio da parte degli enti con prezzi a valore praticamente di mercato;
              la condotta degli enti privatizzati per i rinnovi contrattuali e le vendite è regolata da una serie di provvedimenti succedutisi nel tempo – decreto-legge n.  509 del 1994, legge 104 del 1996, legge 243 del 2003, articolo l comma 38, decreto-legge n.  78 del 2010, decreto-legge n.  201 del 2011, direttiva europea 2004/18/CE – che creano molte incertezze e dubbi normativi sulla piena legittimità oltre che sostenibilità sociale delle procedure in atto e che la stessa Corte di Cassazione si è incaricata di segnalare con sentenza a sezioni a sezioni unite del 22 giugno del 2006 n.  20322 e da una eterogeneità di situazioni tra ente ed ente che rischia di creare situazioni di iniquità di trattamento;
              la situazione dei conduttori degli immobili degli enti previdenziali pubblici non appare meno preoccupante alla luce della interruzione del processo di alienazione e della scadenza dei contratti che mette sia i conduttori con titolo che le tante famiglie di occupanti «sine titulo» in una condizione di angoscia e incertezza tanto più assurda in presenza di una legge – la 410 del 2001 – che ha fissato con chiarezza le condizioni e le prerogative con cui agire per la vendita del patrimonio degli enti previdenziali pubblici;
              in questo specifico caso, va ricordato che già il 90 per cento del patrimonio abitativo è stato alienato ai conduttori con le prerogative della suddetta legge e attraverso l'azione di specifici soggetti societari all'uopo costituiti – SCIP 1 e SCIP 2, dopo lo scioglimento, dei quali il patrimonio residuo è entrato integralmente in possesso dell'INPS;
              l'INPS stesso, più volte sollecitato sul tema, ha inviato – anche con specifica lettera del presidente Mastropasqua – ai Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali – vigilanti sull'Istituto – richiesta di chiarimento sul da farsi, in ragione anche della sopravvenuta norma sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico presente all'articolo 27 del cosiddetto «decreto Salvaitalia» n.  201 del dicembre 2011;
              appare pertanto urgente un pronunciamento degli organi parlamentari e del Governo sulle modalità con cui affrontare in un quadro di sostenibilità economica dello Stato e gli enti sopra richiamati ma anche e soprattutto di tutela e garanzia sociale delle famiglie interessate il processo di alienazione degli immobili del patrimonio abitativo degli enti pubblici e privatizzati evitando il rischio di accentuare l'emergenza abitativa, in particolare a Roma,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative nel più breve tempo possibile, per chiarire il quadro normativo che regola il processo di alienazione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e dei vari enti previdenziali privatizzati;
          ad intervenire per garantire, comunque, agli inquilini tutele e garanzie di controllo sui prezzi di vendita da parte degli enti e sull'entità dei canoni di affitto in rinnovo di locazione traendo prioritario riferimento da quanto stabilito dalla legge 410 del 2001 e dagli accordi sindacali in materia, in modo che i diritti in essa stabiliti siano effettivamente praticabili;
          ad intervenire presso gli enti previdenziali pubblici ed in particolare presso l'INPS – come da esso stesso richiesto – affinché vengano adottate con chiarezza e celerità tutte le procedure necessarie per la ripresa del processo di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'INPS stesso con le tutele, il prezzo e le garanzie stabilite dalla legge n.  410 del 2011;
          ad aprire, in ogni caso, da subito un tavolo di confronto tecnico e sindacale con le organizzazioni sindacali, dell'inquilinato, con gli enti locali interessati riguardanti sia il patrimonio degli enti previdenziali pubblici che quello degli enti previdenziali privatizzati, per individuare le soluzioni più rapide e socialmente efficaci per raggiungere gli obbiettivi sopra richiamati e per la regolarizzazione dei «sine titulo» o delle assegnazioni irregolari negli alloggi degli enti previdenziali pubblici anche al fine di prevenire situazioni esplosive di disagio sociale e per favorire l'accesso al credito delle famiglie con reddito medio basso, con mutui sostenibili e finalizzati all'acquisto;
          a impartire per quanto riguarda gli enti previdenziali pubblici, precise disposizioni affinché nelle more dei provvedimenti da assumere venga differita l'esecuzione degli sfratti o sgomberi pendenti nelle aree urbane e la sospensione delle aste riguardanti le unità immobiliari ad uso residenziale che non risultino effettivamente libere;
          a prevedere in attesa di un rapido chiarimento sulle procedure da adottare derivante dagli esiti del suddetto tavolo tecnico, una moratoria delle procedure di alienazione degli immobili e degli aumenti dei canoni connessi ai rinnovi contrattuali, nonché delle procedure di sfratto in corso per gli enti previdenziali privatizzati tenuto conto che l'VIII Commissione della Camera dei deputati ha già approvato all'unanimità nel 2010 la Risoluzione n.  C. 7/00384 (a firma Braga e altri) che dà mandato al Governo di convocare un tavolo tecnico e sindacale sui temi suddetti.
(1-01086) «Morassut, Argentin, Braga, Iannuzzi, Margiotta, Meta, Motta, Realacci, Touadi, Tullo».


      La Camera,
          premesso che:
              tra le principali problematiche, connesse all'attuale fase congiunturale che stanno preoccupando i cittadini, la questione abitativa, per il suo impatto e per le dimensioni che sta assumendo, si sta configurando come una vera e propria emergenza;
              in tale ambito la situazione in cui versano gli inquilini degli immobili di proprietà degli enti previdenziali privatizzati è sempre più preoccupante per le conseguenze e le drammatiche implicazioni di carattere sociale che potrebbero derivarne;
              si tratta di una condizione che vede coinvolti migliaia di cittadini, per lo più residenti nella città di Roma, che detiene circa il 60 per cento del patrimonio immobiliare di tali enti previdenziali;
              tutto origina dall'entrata in vigore del decreto legislativo 30 giugno 1994, n.  509, che ha trasformato gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, in persone giuridiche private, portando quindi alla privatizzazione numerosi enti previdenziali pubblici, tra i quali l'Enpaia, l'Enasarco, l'Enpam, l'Enpaf, l'Enpav, la Fimit, la Cassa forense, e altri;
              nelle intenzioni del legislatore gli effetti del decreto legislativo n.  509 del 1994 dovevano essere mitigati dal decreto-legge n.  41 del 2004, convertito dalla legge n.  104 del 2004, che fissava, quali termini di riferimento per la determinazione del prezzo degli immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione e di locazione, i valori di mercato rilevati nel mese di ottobre 2001;
              successivamente, per effetto di una discussa norma di interpretazione autentica, introdotta dal comma 38 dell'articolo 1 della legge n.  243 del 2004, gli enti effettivamente privatizzati, hanno disapplicato la norma contenente l'obbligo di vendita e di fissazione di canoni di affitto ai valori del 2001;
              l'assenza di obblighi di locazione ed alienazione degli immobili a tariffe calmierate ha prodotto un aumento dei canoni di locazione dall'80 al 100 per cento con conseguenti rischi di sfratto per tutti gli inquilini non disposti ad accettare i nuovi canoni;
              inquilini dell'Enasarco, della Sara Assicurazioni, dell'Enpaia, per citare solo i casi più numerosi, hanno denunciato la dismissione degli alloggi a prezzi speculativi e aumenti dei canoni a prezzi insostenibili per moltissimi di loro che presto saranno costretti a lasciare gli alloggi locati da decenni;
              è opportuno ricordare che l'utenza interessata da questi rincari è composta in prevalenza da soggetti anziani, pensionati, monoreddito, disabili e categorie disagiate varie e nell'attuale contesto e nelle condizioni economiche in cui versano tali soggetti, gli aumenti rappresenterebbero l'anticamera certa dello sfratto,

impegna il Governo:

          a procedere ad una attenta verifica della situazione e all'attivazione di un tavolo tecnico che coinvolga tutti i soggetti interessati al fine di individuare le soluzioni idonee a eliminare le criticità di cui in premessa;
          ad assumere iniziative normative per prevedere una sospensione immediata delle procedure di sfratto in corso e una moratoria degli aumenti dei canoni o dei prezzi di vendita imposti alle circa 60 mila famiglie (di cui 40 mila solo a Roma) che alloggiano negli immobili di proprietà degli enti previdenziali, al fine di scongiurare una vera e propria emergenza sociale, nelle more delle risultanze provenienti dal citato tavolo.
(1-01087) «Dionisi, Cesa, Poli, Galletti, Rao, Enzo Carra, Capitanio Santolini, Anna Teresa Formisano, Compagnon, Ciccanti, Naro, Volontè».


      La Camera,
          premesso che:
                  il 28 e 29 giugno 2012 si riunisce il Consiglio europeo che dovrebbe prendere decisioni, tra le altre in materia di: a) misure di stabilizzazione dell'eurozona; b) iniziative in materia di crescita; c) rafforzamento dell'Unione europea e ulteriore integrazione politica dell'Unione; d) quadro finanziario pluriennale 2014-2020;
              a quattro anni dalla crisi del 2008 la situazione si è aggravata, in quanto non è stata circoscritta agli interessi privati ma si è estesa a quelli pubblici, non si è limitata alle banche ma ha colpito violentemente gli Stati;
              la crisi ha prodotto negli Stati un effetto da esplosione a catena di fenomeni che possono diventare inarrestabili e che hanno messo in luce il fallimento dell'architettura europea, figlia di un meccanismo che è partito dal mercato unico per giungere alla moneta unica;
              l'Unione europea fondata sul monetarismo come elemento strategico ha mostrato tutta la sua fragilità, in quanto non può esistere una moneta senza Stati e una moneta europea senza uno spazio politico europeo;
              appare evidente che la trasmissione politica monetaria nell'Eurozona non ha funzionato e il motivo sta tutto nel fatto che questa non ha impattato con l'economia reale; gli stessi interventi a sostegno delle banche hanno finanziato esclusivamente la tenuta del sistema creditizio senza alcuna ricaduta sulle imprese, in particolare piccole e medie, e sulle stesse famiglie;
              all'esclusivo sostegno del sistema creditizio si è associata l'azione di smantellamento della democrazia stessa; il principio democratico non stato solo accantonato dal Consiglio dell'Unione europea ma anche dalla Commissione e il Parlamento europeo in tale contesto non è stato in grado di assolvere alla sua funzione;
              è necessario modificare le regole del Trattato per costruire una Europa diversa, una Europa dei popoli che sia in grado di coniugare rigore, crescita e sviluppo, con azioni sinergiche che siano contestuali e coordinate tra loro;
              il primo intervento di modifica al Trattato è prevedere che la Banca centrale europea sia una banca che agisce da banca e non da supporto o aiuto ai processi speculativi;
              le liquidità straordinarie messe a disposizione dalla Banca centrale europea per prestiti triennali alle banche sono pari a mille miliardi di euro, una somma che coincide per entità con i debiti delle banche dell'area euro che scadono nel triennio 2012-2014; queste risorse, appare evidente, saranno utilizzate per rimborsare i bond bancari in scadenza dal 2012 e nulla andrà alle imprese e alle famiglie, nulla al sostegno allo sviluppo e alla crescita;
              tra le priorità deve figurare l'accelerazione dell'entrata in vigore della modifica dell'articolo 136 del Trattato che ha istituito il meccanismo permanente europeo di stabilità (ESM); questi deve diventare operativo già dal mese di luglio 2012 per far si che esso si possa cumulare con l'intervento del Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF); questo consentirebbe nella seconda metà del 2012 una capacità di prestito combinata pari a 700 miliardi di euro;
              è altresì necessario e improcrastinabile procedere alla creazione di un'unione bancaria dei Paesi aderenti all'Unione europea che si basi su: a) un sistema comune di garanzia dei depositi; b) un fondo europeo di risoluzione dei fallimenti bancari; c) una centralizzazione della vigilanza bancaria;
              in un contesto di crisi recessiva è fondamentale ricorrere a eurobond e project bond, tenuto conto che il ricorso a project bond è già previsto nell'abito delle proposte della Commissione europea per il Quadro di finanza pubblica 2014-2020 e sarà avviato in via sperimentale già nel prossimo biennio;
              la Commissione europea il 28 settembre 2011 ha presentato una proposta di direttiva che riguarda l'istituzione di una imposta sulle transazioni finanziarie;
              il Governo italiano in tale ambito deve adoperarsi affinché questa sia oggetto di una condivisione tra gli Stati dell'Unione, affinché tale proposta sia efficace e produca effetti positivi, che verrebbero meno senza una condivisione sinergica dei Paesi aderenti;
              al fine di sostenere la crescita e lo sviluppo è necessario prevedere lo scomputo dal calcolo del deficit dei singoli Stati di una quota significativa della spesa pubblica per investimenti,

impegna il Governo:

          ad attivarsi con adeguate iniziative al superamento dell'attuale Unione europea fondata esclusivamente sul monetarismo e unificata dai mercati, una impostazione che è alla base della crisi recessiva, affinché si costruisca una Unione europea dei popoli, politica e solidale, che risponda alle esigenze di crescita e di sviluppo delle imprese e delle famiglie;
          a sostenere e favorire la modifica dei Trattati con l'obiettivo di prevedere che la Banca centrale europea divenga il sostegno agli Stati e ai programmi di crescita e sviluppo, in qualità ai prestatore di ultima istanza;
          ad adoperarsi affinché i flussi di credito erogati dalla Banca centrale europea al sistema creditizio siano utilizzati da quest'ultimi per il sostegno all'economia reale e alle famiglie, anche attraverso forme effettive ed efficaci di monitoraggio delle liquidità fornite dalla Banca centrale europea alle banche;
          a superare la fase sperimentale dei project bond allo scopo di attivarli come modalità di sostegno strutturale alle imprese la realizzazione di progetti infrastrutturali e a sostenere con decisione l'attivazione di eurobond e stability bond in tempi brevi, sollecitando gli Stati europei a stabilire criteri condivisi;
          a proporre in sede di Unione europea la possibilità dello scomputo dal calcolo del deficit dei singoli Stati di una quota significativa della spesa pubblica per investimenti;
          a sostenere la proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea il 28 settembre 2011 in merito all'istituzione di una imposta sulle transazioni finanziarie, favorendo la condivisione di tale proposta tra gli Stati dell'Unione europea, condizione imprescindibile per l'efficace applicazione dell'imposta.
(1-01088) «Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».


      La Camera,
          premesso che:
              la crisi finanziaria che attanaglia quasi tutta l'Europa è a tutti gli effetti una crisi economica che, inevitabilmente, porta con se effetti sociali dirompenti e in alcuni casi drammatici;
              la progressiva finanziarizzazione dell'economia, che si è sviluppata fin dagli anni ottanta del secolo scorso, ha provocato effetti che ora mostrano le loro drammatiche controindicazioni. Le banche sono diventate delle società finanziarie attive su scala globale operanti a 360 gradi sui mercati finanziari di tutto il mondo: così facendo hanno perso la loro originale funzione che resta, almeno dovrebbe restare, quella di garanzia del credito per sostenere l'economia, gli investimenti, lo sviluppo. In virtù di questa loro finalità hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista;
              allontanare la finanza dall'economia creando una entità virtuale separata dal valore reale dei beni ha creato una frattura difficile da ricomporre il cui prezzo si sta rivelando altissimo;
              contemporaneamente, a partire dalla crollo del muro di Berlino, si è affermata la cosiddetta globalizzazione, un fenomeno che ha di fatto rivelato un mondo nuovo molto più grande del precedente, nel quale la dimensione nazionale è divenuta rapidamente insufficiente a governare il presente. Il destino del cittadino non si sviluppa più esclusivamente all'interno dello stato nazionale, ma è influenzato direttamente da avvenimenti e realtà anche molto distanti, che un tempo non avrebbero influito in maniera così diretta sulla sua condizione;
              se si pensa all'allargamento dell'Unione europea verso i Paesi dell'est Europa, ebbene, solo pochi anni fa questi erano al centro di profondi conflitti interni, oggi, invece, sono diventati mercati appetibili per gli investimenti e le installazioni di aziende e multinazionali: molte aziende italiane hanno dislocato in quella regione le proprie produzioni;
              lo stesso fenomeno con molta probabilità avverrà – in tempi più brevi – nei paesi arabi del Mediterraneo, coinvolti lo scorso anno dalla cosiddetta «Primavera Araba». Appare, cioè, evidente che oggi, a differenza di ieri, quello che accade al Cairo o a Belgrado ha una ricaduta immediata sull'Italia e, quindi, sulla vita quotidiana dei nostri concittadini. La globalizzazione finanziaria ha preceduto e forse accelerato questo percorso ma non ha delineato, perché non è il suo compito, una forma di governo di questa nuovo mondo globale. Governare, infatti, è compito della politica;
              la politica deve, dunque, riappropriarsi del proprio ruolo. Il processo di unificazione europea nato certamente sotto la spinta di necessità finanziarie ed economiche deve essere governato politicamente;
              si devono precisare i luoghi deputati alle decisioni sovranazionali e le istituzioni predisposte a farlo. Devono, cioè, essere chiarite le responsabilità e soprattutto deve essere definito con la massima decisione ed urgenza dove ed in capo a chi risieda la sovranità;
              si è detto e si continua a dire Europa, ma non può essere il Fondo monetario internazionale né la Banca centrale europea ha delineare le scelte politiche dell'Unione. Urgono, perciò, scelte politiche assunte in comune dalle istituzioni preposte a delineare una politica comune. La rivendicazione di questo principio è il primo ma inevitabile passo verso la possibilità concreta di affrontare la crisi, che non è solo finanziaria né solo economica ma anche sociale e dunque politica;
              spesso si è detto e si è auspicato che l'Europa deve riuscire a parlare con una sola voce. Ad oggi questo pare essere più che altro un augurio. Solo pochi giorni fa Bernard Cazeneuve, Ministro francese agli affari comunitari, ha dichiarato che gli eurobond non sono uno strumento per aggiungere debito a debito o per mutualizzare il deficit dei singoli Paesi, bensì solo un mezzo per assicurare il risanamento, che garantirà la crescita e posti di lavoro. Aggiunge anche che «senza solidarietà» finanziaria, per l'Europa non c’è avvenire. Contemporaneamente Wolfgang Schaenble ha dichiarato che prima degli eurobond all'Europa serve una reale unione fiscale, ribadendo pochi giorni dopo che a prescindere da come finiranno le elezioni in Grecia questa dovrà onorare fino in fondo il suo debito. E mentre dalla Spagna si invocavano fondi europei per le banche del Paese, dall'Olanda si ribadiva il rifiuto ad uno schema di garanzie europeo sui depositi. È evidente che una situazione del genere non può che creare dubbi e confusione e facilitare ogni tentativo di speculazione;
              il risultato delle elezioni in Grecia rappresenta un segnale molto importante per il futuro non solo di quel Paese, ma dell'intero continente. A dimostrazione che la crisi greca non era e non è solo una crisi nazionale. Fino ad oggi, si è voluto affrontare ogni crisi come se fosse un caso singolo e nazionale e non – come invece dovrebbe essere – la crisi di un pezzo d'Europa; il prossimo Consiglio d'Europa è l'occasione per certificare un chiaro cambio di rotta in questo senso;
              anche lo Stato più forte tra quelli europei, se rimanesse da solo, nella malaugurata ipotesi di un crollo dell'Europa, si troverebbe ad essere una piccola realtà nel panorama globale. Un'Europa veramente unita è l'unica possibilità di rilancio di ogni sua singola nazione appartenente, dalla più forte alla più debole;
              l'Europa è una soluzione difficile quanto ambiziosa. Ma resta inevitabile. Ovviamente, comporta dei costi per tutti, si tratta di dover declinare la sovranità nazionale, inevitabilmente perdendone una parte consistente, come dall'altra parte sta già comunque avvenendo. Ciò sarà inevitabile, ma è impensabile che i Paesi deboli chiedano di distribuire il proprio debito a scapito di quelli più forti. Troppi Paesi, finora, compreso l'Italia, hanno vissuto per troppi anni al di sopra delle proprie possibilità;
              il sacrificio deve, dunque, essere collettivo. Solo così il debito e la compartecipazione al debito, possono diventare una leva per futuri investimenti. Essi in particolare dovranno essere finalizzati e puntati allo sviluppo delle aree più depresse del vecchio continente;
              il Mediterraneo, alla luce dei rivolgimenti avvenuti sulla sua sponda meridionale, deve diventare la frontiera del nuovo sviluppo e dei nuovi investimenti europei è questa l'area strategica dove investire per creare una Europa più forte e competitiva;
              allo stato attuale, molti cittadini europei subiscono le gravi conseguenze della crisi, che come detto, è anzitutto una crisi politica perché sono mancate decisioni politiche comuni e strategiche;
              appare, dunque, necessario affrontare definitivamente la prospettiva di una vera Unione federale, democratica e solidale al suo interno, ed il prossimo Consiglio Europeo deve dare risposte adeguate nel merito di questo sviluppo;
              l'Italia sta facendo la propria parte. L'Unione europea deve fornire risposte politica adeguate finalizzate a forme di investimento solidale. È, quindi, necessario che gli strumenti di intervento, soprattutto nei mercati finanziari, siano potenziati e messi in grado di agire senza eccessivi ritardi. In questa ottica occorre prevedere forme di integrazione dei debiti pubblici nazionali ed anche di emissione di titoli di debito pubblico europeo perché i soli obiettivi del rigore finanziario e della riduzione del debito pubblico non esauriscono l'orizzonte della risposta europea alla crisi;
              appare necessario vagliare con attenzione l'ipotesi avanzata per la creazione di un fondo europeo, il cosiddetto «european redemption pact», nel quale potrebbe confluire la parte eccedente il 60 per cento del Pil dei debiti dei Paesi europei che a loro volta si impegnerebbero a ripagare le passività con le loro entrate fiscali. Una soluzione complessa e forse tecnicamente impraticabile al momento, vista la profonda disomogeneità dei vari sistemi fiscali nazionali, ma che coglie, comunque, l'aspetto più profondo del problema andando nella direzione di una gestione condivisa del debito, al prezzo della perdita di una parte di sovranità da parte dei singoli Stati;
              si è chiamati a costruire una vera e propria Federazione europea, capace di garantire un equilibrio democratico alla rappresentanza di Stati e popoli e di assicurare il principio di responsabilità del governo dell'Unione di fronte ai cittadini d'Europa. Le difficoltà che abbiamo di fronte sono l'occasione, l'opportunità per rilanciare l'Europa come realtà politica prima che finanziaria ed economica;
              alla luce di quanto esposto in premessa ed in vista del prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno,

impegna il Governo:

          a perseguire in sede comunitaria il rafforzamento del metodo comunitario, quale strumento centrale del processo di integrazione europea, riducendo il peso eccessivo del metodo intergovernativo e rilanciando, quindi, la prospettiva di un'Europa federale;
              ad assumere le necessarie iniziative in sede europea affinché l'adozione di politiche di rigore di bilancio e di riduzione del deficit siano necessariamente contestuali al delinearsi di precisi impegni di investimento strutturale in chiave di sviluppo comune, collegando, quindi, l'azione di risanamento a quella per la crescita e ponendo distinzione delle due;
              ad assumere iniziative per affermare la necessità di una sempre più stretta integrazione economica all'interno dell'Unione, in particolare con programmi specifici per l'avvio, nel breve periodo, di titoli di debito pubblico comuni dell'area euro;
              a prevedere che si possa investire sulle grandi infrastrutture trans-europee attraverso il ricorso a specifici europroject finanziati da eurobond creando debiti europei per investimenti europei;
              a prevedere la creazione di un fondo europeo di garanzia sui depositi bancari un sistema di sorveglianza comune sugli istituti di credito e un'agenzia europea di rating;
              a promuovere una modifica dello statuto della BCE inserendo tra i suoi compiti anche quello di sostenere e promuovere politiche di investimento e sviluppo, sul modello della Federal Reserve, e di assolvere al ruolo di prestatrice di ultima istanza;
              farsi promotore, infine, presso le istituzioni europee di un coordinamento dei diversi sistemi fiscali, allo scopo di poter contare su parametri di politica fiscale omogenei in tutta l'Unione.
(1-01089) «Nucara, Ossorio, Brugger».


      La Camera,
          premesso che:
              nel 1995 la città bosniaca di Srebrenica, è stata proclamata zona protetta dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 16 aprile 1993 n.  819;
              l'11 luglio del 1995 le milizie serbe, guidate dal generale Ratko Mladić e sotto la direzione dell'allora Presidente della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina Radovan Karadžić, entrarono nella città di Srebrenica perpetrando in meno di tre giorni una pulizia etnica di inaudita violenza ed atrocità nei confronti della popolazione bosniaca musulmana concentrata nella città e violando la succitata risoluzione;
              il 13 luglio 1995 migliaia di profughi musulmani, sopravvissuti al massacro, raggiungevano Tuzla, l'unica città che riuscì a mantenere una posizione di relativa neutralità nel corso del conflitto;
              molti civili, sopravvissuti all'eccidio perpetrato dai serbi riuscirono a raggiungere la città di Potocari, dove era stata fissata la base delle truppe dell'UNPROFOR;
              l'eccidio – dichiarato atto di genocidio dal tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia – è avvenuto in una zona di sicurezza, consumatosi in tre giorni dinanzi agli occhi dell'Onu, della NATO e della comunità internazionale ferme nel loro drammatico immobilismo, si configura pertanto come il «simbolo dell'impotenza della comunità internazionale ad intervenire nel conflitto» come evidenzia la Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2009;
              il numero di sparizioni conseguente al genocidio ammonta a circa 25.000 persone di contro soltanto 7000 sono stati i corpi rinvenuti dall'International commission for missing persons (ICMP) nell'area circostante le due città di Srebrenica e Zepa, e si sta ancora lavorando per scoprire le fosse comuni e individuali e per esumare e identificare i corpi delle vittime, anche al fine anche di consentire la ricostruzione completa degli eventi di quei drammatici giorni;
              gli accordi di pace di Dayton del novembre 1995 hanno ufficializzato la fine del conflitto, cristallizzando la contrapposizione dei partiti nazionalisti e consentendo la definizione di una struttura statale della Bosnia-Erzegovina alquanto complessa sotto il profilo politico, amministrativo, organizzativo e culturale che attualmente compromettono il processo di riconciliazione in Bosnia;
              nel contesto bosniaco il suddetto processo di riconciliazione si snoda su tre importanti fronti: quello interno che coinvolge i tre gruppi etnico-religiosi bosniaci, musulmani, cristiani e ortodossi; quello dei Balcani Occidentali, che coinvolge i rapporti tra il governo centrale bosniaco e i Paesi confinanti, Serbia e Croazia; quello internazionale che coinvolge i Paesi occidentali, la cui configurazione al tempo del conflitto è stata rappresentata delle forze delle Nazioni Unite (UNPROFOR) e della NATO e dal loro immobilismo;
              il principale accusato del genocidio è il generale Ratko Mladić, ricercato ufficialmente dal 1995 è stato arrestato nel luglio 2011. Nel maggio 2012 si è aperto il processo nei suoi confronti presso il tribunale penale internazionale dell'Aja con l'accusa di due genocidi, cinque crimini contro l'umanità e quattro crimini di guerra, per un totale di 11 capi di accusa;
              la cattura e l'apertura del processo rappresentano la realizzazione dell'auspicio europeo, definito nella risoluzione del 2009 «non può esservi vera pace senza giustizia»; questo evento rappresenta l’incipit per il percorso di completamento e di costruzione della pace. Dinanzi alla giustizia che diviene esecutiva e non si limita ad essere vagheggiata, si polarizza la sensibilità della società civile europea, che può certamente avvertire questo senso di completamento e di giustizia;
              a distanza di anni dalla tragedia di Srebrenica è chiara la consapevolezza che uno dei tasselli più rilevanti del suddetto processo di riconciliazione nella regione è rappresentato dal percorso di autocoscienza storica della società civile europea rispetto agli eventi del 1995;
              proprio in questo scenario il Parlamento europeo il 15 gennaio del 2009, ha approvato la risoluzione P6-TA (2009) 0028 Srebrenica con cui «invita il Consiglio e la Commissione a commemorare degnamente l'anniversario del genocidio di Srebrenica-Potocari, sostenendo la proposta del Parlamento di proclamare l'11 luglio giorno di commemorazione del genocidio di Srebrenica nell'intera Unione europea ed invita tutti i paesi dei Balcani occidentali a fare altrettanto»;
              la suddetta risoluzione «sottolinea l'importanza della riconciliazione come parte del processo di integrazione europea; evidenzia l'importante ruolo delle comunità religiose, dei media e del sistema scolastico in questo processo, affinché i civili di tutti i gruppi etnici possano superare le tensioni del passato ed iniziare una pacifica e sincera coesistenza tesa ad una pace, una stabilità e una crescita economica durature; esorta tutti i paesi a compiere ulteriori sforzi per cominciare ad accettare un passato difficile e travagliato»;
              quanto riconosciuto nella suddetta risoluzione si configura come il tentativo di dare una svolta al processo di riconciliazione sul fronte regionale ed internazionale della Bosnia-Erzegovina;
              la risoluzione intende valorizzare la memoria di un evento drammatico come strumento di ricostruzione sociale, culturale e politica non solo per la regione balcanica ma per l'intera regione europea;
              la risoluzione ha rappresentato quindi un tassello importante nel percorso di emancipazione storica dell'Europa rispetto all'evento e allo strascico storico, politico e culturale che questo ha determinato. Con una consapevolezza chiara definita di ciò che l'evento di Srebrenica è stato e cosa esso può rappresentare: tutto questo si configura proprio come un momento molto importante per una società progredita e civile come quella europea che ha serie e articolate ambizioni politiche;
              la risoluzione traccia un percorso di autodeterminazione storica che parte dunque da un invito alla responsabilità e alla vigilanza per coloro che si trovano alla guida dei popoli. Un ulteriore merito di questo atto è quello di porre Srebrenica, come un monito, per le generazioni presenti e per le generazioni future. Infatti le vittime di Srebrenica e di tutte le stragi che si consumano ancora oggi in tanti Paesi del mondo, invitano a riflettere, a mettersi in discussione, a valutare in maniera opportuna il peso delle scelte che gli uomini di potere operano e che i popoli pagano;
              l'Italia non ha ancora dato seguito alla risoluzione P6-TA (2009) 0028, pur mostrando sensibilità ed attenzione alla commemorazione della tragedia di Srebrenica: negli ultimi anni nelle più alte sedi istituzionali sono state promosse diverse iniziative commemorative con l'obiettivo di creare una cornice entro cui scambiare informazioni, esperienze e creare sensibilizzazione coinvolgendo l'opinione pubblica su un drammatico evento ancora troppo lontano dalla memoria della società civile europea;
              l'Italia deve giocare un ruolo fondamentale in questo percorso di riconciliazione, in virtù del suo ruolo non trascurabile di interlocutore della regione, trovando gli strumenti per creare memoria, analisi e confronto su un evento drammatico della storia recente dell'Europa e per creare una coscienza civile, che non può prescindere anche da una chiara volontà delle istituzioni, di far prevalere la verità e la giustizia e di operare in questo senso,

impegna il Governo:

ad assumere le iniziative di competenza al fine di dare attuazione alla risoluzione del Parlamento europeo P6-TA (2009) 0028, con cui si chiede ai Governi europei il riconoscimento ufficiale dell'11 luglio come giornata della memoria della strage di Srebrenica.
(1-01090) «Di Biagio, Della Vedova».

Risoluzioni in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              il nuovo IMAIE, nato per effetto dell'articolo 7 della legge n.  100 del 2010, tutela i diritti degli artisti interpreti o esecutori, salvaguardando gli interessi mutualistici dell'intera categoria artistica, costituita per la maggior parte da comprimari del settore musicale e audiovisivo, ovvero da artisti commercialmente meno noti, rappresentati dall'Istituto indipendentemente dal conferimento di un mandato diretto;
              per effetto del disposto normativo suddetto, e in linea con quanto previsto dagli ordinamenti degli Stati membri, l'istituto opera sotto la vigilanza congiunta della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per l'informazione e l'editoria, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tenuti ad approvare lo statuto ed i regolamenti attuativi sulla gestione operativa dell'ente;
              con il decreto-legge n.  1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  27 del 2012, articolo 39, commi 2 e 3, l'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi degli artisti è libera. Un provvedimento che costituisce un unicum nel panorama europeo e internazionale, posto che non esiste un solo Paese in Unione europea in cui vi siano più collecting di artisti, in competizione tra di loro, per la gestione di un medesimo diritto;
              la legge de quo prevede l'adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previo parere dell'autorità garante della concorrenza e del mercato, per stabilire «nell'interesse dei titolari aventi diritto, i requisiti minimi necessari ad un razionale e corretto sviluppo del mercato degli intermediari di tali diritti connessi»;
              tale intervento normativo sui diritti connessi non incide sulle funzioni di legge riguardo al ruolo pubblicistico di Nuovo IMAIE, che esula evidentemente dall'obiettivo della riforma; le finalità della riforma, e quindi oggetto di libera concorrenza, sono le attività riferibili ai diritti spettanti al singolo artista che avrà dato mandato ad una specifica società di collecting e quindi in relazione a costi, tempi e modalità di corresponsione dei diritti individuali; a tal riguardo, nel corso dell’iter di conversione del decreto-legge al Senato si è soppresso la seguente disposizione: «Tutte le disposizioni incompatibili con il presente articolo sono abrogate», inducendo a ritenere che il legislatore abbia appunto inteso far salve tutte le norme vigenti, non incompatibili con il principio liberalizzatore, e volte a garantire le funzioni mutualistiche e pubblicistiche previste dalla legge n.  100 del 2010;
              in ossequio al nuovo scenario giuridico, introdotto dalla legge n.  27 del 2012, risulta giocoforza necessario, a tutela degli artisti interpreti esecutori, definire nell'emanando decreto del Presidente Consiglio dei ministri un quadro regolamentare certo ed esaustivo al fine di evitare di ingenerare incertezza normativa presso la categoria, paralizzare l'azione di riscossione e distribuzione dei compensi per gli aventi diritto e penalizzare gli artisti che non conferiranno mandato ad alcun intermediario;
              appare opportuno ricordare che è in procinto di essere adottata dalla Commissione europea la direttiva quadro in materia di gestione collettiva dei diritti, che andrà a disciplinare, tra l'altro, la governance delle società di gestione collettiva dei diritti, stabilendo principi e regole comuni in relazione alla trasparenza, allo status giuridico, alla supervisione delle attività di gestione e alle modalità di ripartizione dei compensi,

impegna il Governo:

          tenuto conto del quadro normativo descritto in premessa, a tenere in considerazione, in relazione all'emanando decreto attuativo previsto dall'articolo 39 della legge n.  27 del 2012, i seguenti principi, che dovrebbero costituire la base per il funzionamento del nuovo regime liberalizzato:
              a) salvaguardare le prerogative riconosciute ex lege in ordine ad attività di stampo pubblicistico e mutualistico in capo al Nuovo IMAIE, in particolare la rappresentanza degli artisti che non conferiscono mandato ad alcun soggetto, la determinazione dei compensi spettanti agli artisti in relazione alla diffusione di opere audiovisive (articolo 84 della legge 633 del 1941), la gestione collettiva dei compensi spettanti agli artisti per la copia privata (articolo 71-septies e seguenti della legge 633 del 1941), nonché la gestione dei fondi destinati al sostegno della categoria (articolo 7 della legge 93 del 1992);
              b) garantire a tutti gli operatori pari condizioni di competizione per operare nella intermediazione dei diritti, con criteri minimi adeguati allo scenario europeo, segnatamente prevedendo obbligatoriamente un regime di ripartizione analitica per la quantificazione individuale del compenso; una riserva pari al 50 per cento dei compensi maturati per gli artisti comprimari a garanzia delle fasce più deboli; la partecipazione degli artisti alla gestione e agli organismi amministrativi;
              c) fare salvi i contratti perfezionati dal Nuovo IMAIE in costanza della normativa previgente e sino alla loro naturale scadenza, nonché riconoscere all'istituto le prerogative ad esso attribuite ai sensi della predetta normativa per periodo di competenza sino alla entrata in vigore dell'emanando decreto;
          ad informare preventivamente il Parlamento dei contenuti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
(7-00914) «De Biasi, Carlucci, Barbieri, Bossa, Pes, Lenzi, Rosato, Farinone, D'Incecco».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              con il 2015 si concluderà il regime delle quote-latte ed anche se l'Italia è riuscita ad attestarsi con la propria produzione di latte vaccino al di sotto della soglia ad essa posta come quantitativo globale nazionale, e non è quindi incorsa nell'inconveniente del «prelievo supplementare» né nella campagna lattiera 2009/2010 né in quella 2010/2011, permane la necessità di superare ogni dubbio circa l'affidabilità dei dati quantitativi forniti da produttori e primi acquirenti, alla base del sistema dell'organizzazione del mercato lattiero-caseario;
              ripetutamente è stata avvertita la necessità di interventi conoscitivi straordinari, in primo luogo con l'istituzione di commissioni apposite e indagini a vari livelli di cui le più recenti sono la Relazione di approfondimento del Comando carabinieri politiche agricole del 15 aprile 2010 con le successive integrazioni da parte del Ministero delle politiche agricole e del commissario straordinario presso l'AGEA su specifici aspetti;
              la continua rincorsa alla acquisizione di dati affidabili rende pienamente evidente l'inadeguatezza, percepita sul fronte interno ma anche, o, soprattutto, da parte degli organismi dell'Unione, dell'attuale sistema di informazione, verifica e controllo nello specifico settore; infatti lo scorso 14 ottobre, la Commissione europea ha annunciato una proposta di rettifica nei confronti dell'Italia per gli esercizi finanziari 2005-2007 per controlli tardivi nel settore dei prodotti lattiero-caseari per quasi 71 milioni di euro; appare quindi necessario che per il futuro ci sia un rafforzamento delle verifiche per confermare una piena affidabilità dei dati;
              è importante sottolineare poi che di recente le politiche nazionali si sono orientate al mantenimento o alla introduzione di meccanismi premiali a vantaggio di quei soggetti che non hanno rispettato le regole; infatti, come rilevato dalla Corte dei conti nella propria relazione sul «Prelievo supplementare nel settore lattiero caseario» del mese di febbraio scorso, «sia attraverso l'avvenuta restituzione del prelievo, sia attraverso l'attribuzione della titolarità di ulteriori quote resesi disponibili, la posizione di coloro che si sono resi responsabili ripetutamente di una produzione eccedentaria è stata “premiata” rispetto a quella degli allevatori che, anche ricorrendo all'acquisizione onerosa di quote, hanno, spesso faticosamente, agito nel rispetto delle regole»;
              come giustamente denunciato dalla Corte dei conti «è del tutto insostenibile, sia per i principi comunitari ostativi agli aiuti di Stato, sia per le considerazioni di politica economica interna generali e relative alla congiuntura attuale, mantenere a carico dello Stato, e quindi della collettività, gli oneri derivanti dal comportamento contra legem di alcuni ben individuati operatori del settore lattiero-caseario»;
              pertanto, il Governo è chiamato ad assumere iniziative risolutive e di maggior forza chiarendo quale sia il nuovo quadro giuridico entro cui agire per il pieno recupero delle somme dovute da chi non ha aderito alla rateizzazione del prelievo supplementare del latte;
              l'articolo 39, comma 13, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, aveva previsto che, entro il 31 dicembre 2011, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze fossero stabilite le modalità per il trasferimento, anche graduale, delle attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea o coattiva, di entrate erariali, diverse da quelle tributarie e per contributi previdenziali e assistenziali obbligatori, da Equitalia spa nonché dalle società per azioni dalla stessa partecipate, ad enti e organismi pubblici muniti di idonee risorse umane e strumentali. Si disponeva inoltre che, con il medesimo decreto, tali enti e organismi pubblici potevano essere autorizzati a svolgere l'attività di riscossione con le modalità di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n.  639;
              in tale contesto, rientra anche il trasferimento delle competenze per la riscossione delle cosiddette «multe» relative all'applicazione del regime comunitario del prelievo supplementare sul latte bovino da Equitalia ad altro ente, presumibilmente Agea;
              poiché il citato decreto del Ministro dell'economia e delle finanze non è stato ancora adottato Equitalia dovrebbe essere ancora titolare dell'attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea o coattiva, di entrate erariali;
              infatti le procedure che l'ente subentrante ad Equitalia, potrebbe applicare per la riscossione del credito dovrebbero essere quelle di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n.  639 che non prevedono l'esecutività della procedura coattiva; il procedimento inizia con l'ingiunzione su cui il debitore può fare ricorso d'opposizione e l'autorità adita ha la facoltà di sospenderlo; in pratica con un semplice ricorso e con un semplice decreto in calce al ricorso si può sospendere il pagamento, cosa ben diversa dalla procedura coattiva di Equitalia a cui si può opporre ricorso solo dopo aver pagato il debito;
              lo scorso mese di maggio, in occasione di una audizione in commissione agricoltura, lo stesso Presidente di Agea ha confermato che «l'Agea è strutturata per l'erogazione dei contributi, non lo è per operare la riscossione esattoriale che richiede una articolata presenza sul territorio»;
              in tale percorso l'azione del Governo può riconoscere quali nuovi punti di forza le prime pronunce penali di condanna in materia (tribunale Milano, 19 settembre 2011, che segue quella del tribunale Saluzzo del luglio 2009) e quelle per danno erariale (per tutte, valga la recente corte dei conti, Sez. giur. Reg. Friuli V. G. 138/2010);
              è chiaro quindi che non può più essere in alcun modo rimandato l'immediato recupero degli importi del prelievo non coperti dal regime di pagamento rateizzato e che sono oggetto di un'azione legale davanti alle giurisdizioni italiane,

impegna il Governo:

          a garantire l'efficienza nell'attuazione della riscossione coattiva degli importi del prelievo supplementare delle quote latte non coperti dal regime di pagamento rateizzato assumendo specifiche iniziative normative per conferire ampiezza ed efficacia alle attività di riscossione in forme coattive e mediante strumenti di compensazione su eventuali crediti di contribuzioni delle aziende del settore;
          a chiarire, con urgenza e in via definitiva, quale sia lo strumento e la struttura più idonea al raggiungimento degli obiettivi sopra richiamanti ovvero se il compito della riscossione possa essere affidato ad Agea o, in ultima analisi, se non sia più efficiente mantenere l'attività di riscossione delle multe nel settore del latte ad Equitalia.
(7-00912) «Zucchi, Marco Carra, Fiorio, Oliverio, Agostini, Brandolini, Cenni, Dal Moro, Marrocu, Mario Pepe (PD), Cuomo, Sani, Servodio».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              in Italia le competenze nella materia agricola sono ripartite fra vari organismi: Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, regioni, organismi pagatori (esempio AGEA, ARTE per la regione Toscana, AGREA per la regione Emilia Romagna, AVEPA per la regione Veneto e altri). L'Agea è un organismo pagatore, ma in Italia ce ne sono anche altri regionalizzati. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali svolge attività di coordinamento nei confronti degli organismi responsabili dei pagamenti riguardanti aiuti diretti, aiuti di mercato e aiuti per lo sviluppo rurale. È altresì, competente alla gestione dei rapporti con la Commissione europea, in seno al comitato FEAGA-FEASR, afferente al monitoraggio dell'evoluzione della spesa per il finanziamento della politica agricola comune nonché per le fasi successive alla decisione di liquidazione dei conti, come previsto dal comma 1-bis dell'articolo 3 del decreto legislativo n.  165 del 1999, così come integrato dalla legge n.  441 del 2001;
              il riconoscimento degli organismi pagatori avviene ad opera degli Stati membri, i quali designano, a tale scopo, un'autorità a livello ministeriale. Il compito degli Stati membri, tuttavia, non si esaurisce nel riconoscimento di tali organismi, ma essi devono attuare una supervisione costante sulla loro attività, comunicando alla Commissione i risultati conseguiti. Qualora vengano riscontrate delle carenze o delle irregolarità nel rispetto dei criteri di riconoscimento, lo Stato membro deve adottare tutte le misure necessarie a porvi rimedio, pena il ritiro del riconoscimento nei confronti dell'organismo pagatore. Qualora lo Stato membro non ritira il riconoscimento dell'organismo pagatore in caso di necessità, la Commissione può imporgli delle rettifiche finanziarie nell'ambito della procedura di verifica delle conformità;
              l'agenzia per le erogazioni in agricoltura è un ente di diritto pubblico non economico istituito con il decreto legislativo 27 maggio 1999, n.  165, e successive modificazioni. Dal 16 ottobre 2000 essa è subentrata, in tutti i rapporti attivi e passivi, nonché nella qualifica di organismo pagatore, all'AIMA (azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo) costituita nel 1982 con la legge n.  610 e successive modificazioni;
              l'AGEA è competente a dare i pareri in merito ai requisiti tecnici necessari al fine del riconoscimento degli organismi pagatori da parte del Ministero nonché a segnalare al Ministero e alle regioni tutti «i casi di inerzia od inadempienza nell'esercizio delle funzioni» da parte dell'organismo pagatore;
              l'Agenzia, svolge la propria attività istituzionale nel settore dell'agricoltura italiana principalmente attraverso il finanziamento della politica agricola comunitaria che si concretizza nell'erogazione di aiuti diretti agli agricoltori e di contributi per lo sviluppo rurale, svolge i controlli sulla legittimità delle erogazioni secondo le leggi e i regolamenti comunitari, esplica le sue attività mediante le sue proprie strutture, ma anche mediante enti strumentali di cui la stessa Agenzia detiene il controllo, primariamente e determinatamente, la SIN spa e l'Agecontrol spa;
              l'Agea distribuisce 7 miliardi di euro di fondi che, ogni anno, l'Europa eroga all'Italia. I contributi sono pagati sulla base dei dati gestiti dalla Sin, società informatica posseduta al 51 per cento dalla stessa Agea, mentre delle verifiche si occupa l'Agecontrol, che ha 25 sedi periferiche dalla Sicilia al Veneto e risulta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo paradossalmente, controllata dalla stessa Agea, cioè dal soggetto che eroga i contributi;
              la società Sin srl è stata istituita il 29 novembre 2005, ai sensi della legge n.  231 del 2005, con il compito di gestire e sviluppare il sistema informativo agricolo nazionale, quale sistema di servizi complesso ed interdisciplinare a supporto delle competenze istituzionali del comparto agricolo, agroalimentare, forestale e della pesca;
              la SIN è partecipata al 51 per cento dall'AGEA, Agenzia per le erogazioni in agricoltura, e al 49 per cento dai soci privati (Agriconsulting spa, Agrifuturo, Almaviva spa, Auselda AED Group, Cooprogetti, IBM Italia spa, Telespazio a seguito di fusione per incorporazione di ISAF srl e Sofiter spa) scelti a seguito dell'apposita procedura di gara prevista dalla legge istitutiva. Nell'assemblea dei soci del 25 agosto 2011 è stata deliberata la trasformazione della SIN in società per azioni, con conseguente modifica dello statuto sociale;
              dalla relazione finale del commissario Agea, dottor Iannelli, si evince che risultano gravissime carenze e continue, reiterate insufficienze della Sin, più volte evidenziate dalle regioni, dalle organizzazioni agricole e dai produttori, che hanno visto l'erogazione degli aiuti effettuata sulla base di dati, istruttorie e procedure errate, ovvero in ritardo;
              Ageacontrol spa, è una società per azioni con personalità di diritto pubblico istituita ai sensi del comma 9 dell'articolo 18 della legge 22 dicembre 1984, n.  877 (legge finanziaria per il 1985); Ageacontrol spa, ai sensi dell'articolo 3 dello statuto, provvede allo svolgimento dei controlli e delle azioni previste per le filiere del settore agroalimentare, agricolo, dell'allevamento e forestale dai regolamenti comunitari e da altre disposizioni nazionali in materia; opera sotto il controllo e la vigilanza di Agea a cui spetta anche l'indirizzo generale dell'attività dell'agenzia. Il 29 marzo 2004, con il decreto legislativo n.  99 la proprietà di Agecontrol è stata integralmente trasferita all'AGEA, mediante l'assegnazione alla stessa anche delle partecipazioni azionarie precedentemente tenute dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dall'Istituto nazionale di economia agraria (INEA). Con la legge 29 aprile 2005, n.  71, l'Agenzia è stata incaricata di dar corso al sistema dei controlli istituzionali previsti nel comparto ortofrutticolo;
              in Italia si ravvisa in primo luogo l'esigenza di una profonda riorganizzazione del sistema che oggi supporta il settore agricolo e agroalimentare, delle politiche ambientali e territoriali e della sicurezza alimentare, sia a livello dell'amministrazione centrale che a livello regionale, per adeguarli ai nuovi compiti. Appare certamente fattibile rivedere, con immediatezza, determinazione e intelligente gradualità, l'assetto organizzativo esistente delle strutture vigilate dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
              il mondo agricolo lamenta le lungaggini burocratiche, ritenendo che il problema sia solo nelle procedure che vengono ideate e non nell'assetto arcaico della pubblica amministrazione italiana, in cui prevale la forma e mai la sostanza, l'adempimento in sé e mai il risultato. Eppure, si tratterebbe di riforme facilmente realizzabili. Ad esse si oppongono, ad avviso dei firmatari del presente atto, coloro che hanno rendite di posizione da conservare o politici che pensano di continuare ad utilizzare le diverse strutture a fini di parte;
              in audizione presso la Commissione agricoltura il dottor Dario Fruscio ha affermato che questo sistema plurimo di pagatori nazionali non funziona;
              il gruppo Italia dei Valori ha più volte affrontato attraverso atti di sindacato ispettivo problematiche relative a una verifica dell'efficienza, efficacia, utilità effettiva di tali enti, chiedendo necessità di riordino e trasparenza, al fine di affrontare le ulteriori sfide di globalizzazione promosse dall'Unione europea;
              in data 31 maggio 2012, è stata discussa un'interpellanza urgente, che chiedeva al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali di approfondire e riscontrare la legittimità dell'operato degli attuali vertici di Agea e delle società controllate, anche magari dando un incarico ad un competente organismo di controllo chiaramente al di fuori della stessa Agea. In tale occasione, il Ministro Catania ha riferito che a seguito delle interpellanze parlamentari e delle criticità da più parti sollevate riguardo alla gestione di Agea e della controllata Sin, ha deciso di istituire una commissione di indagine amministrativa che, nell'ambito delle attività di vigilanza proprie del Ministero, avrà il compito di valutare ogni profilo dell'intera vicenda Agea/Sin, analizzando il periodo di gestione dell'ente relativo almeno agli ultimi 18 mesi con riguardo sia alla gestione ordinaria sia a quella commissariale,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative al fine di prevedere la riorganizzazione dell'AGEA e degli enti vigilati senza sovrapposizioni di poteri che rendono la distribuzione delle competenze inefficaci e poco chiare, creando un coordinamento centrale organizzato;
              ad attivarsi al fine di intraprendere un'efficiente gestione e controllo dei flussi finanziari derivanti dalla politica agricola comune, scorporando ogni altra funzione, mediante l'adozione di scelte organizzative meno onerose, e rendendo AGECONTROL, cui sono attribuite le funzioni di controllo, effettivamente organo terzo.
(7-00913) «Di Giuseppe, Messina, Rota».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          in data 19 maggio 2012 nelle librerie italiane è andato in distribuzione il libro «Sua Santità – Le carte segrete di Benedetto XVI» di Gianluigi Nuzzi edito da Chiarelettere;
          in tale libro vengono pubblicati documenti privati del Santo Padre che oltre ad essere il Pastore Universale della Chiesa Cattolica è il Capo di Stato della Città del Vaticano;
          tale pubblicazione non rappresenta più una discutibile iniziativa giornalistica ma assume, secondo gli interpellanti, i connotati di un vero e proprio atto criminoso in quanto sia il Santo Padre che diversi suoi collaboratori, ivi compresi i mittenti di tali missive hanno visto violati i loro diritti personali di riservatezza e di libertà di corrispondenza;
          pur essendo stato compiuto l'atto in territorio straniero sia la stesura che la pubblicazione di tali materiali è avvenuta in territorio italiano e questo potrebbe avere ripercussioni di carattere internazionale  –:
          se non ritenga opportuno procedere con immediatezza al rafforzamento, nei nostri codici, della tutela contro simili abusi così da scoraggiare e rendere inefficaci tali improvvide iniziative;
          se e quali iniziative per quanto di competenza intenda intraprendere per far sì che pubblicazioni analoghe non abbiano a ripetersi nel futuro.
(2-01552) «Iannaccone, Belcastro, Porfidia».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          la gestione del presidente dell'autorità portuale di Bari, signor Francesco Palmiro Mariani, è stata caratterizzata da evidenti irregolarità e da una conclamata incapacità amministrativa, che ha prodotto continue e crescenti perdite finanziarie tali da condurre, oggi, l'Ente al dissesto economico;
          difatti, l'esercizio 2010 dell'autorità portuale di Bari è stato chiuso con un disavanzo di gestione di euro 622.665,73;
          nel bilancio dell'esercizio 2009 e in quello dell'esercizio 2010 sono state commesse gravi irregolarità, in quanto sono state illegittimamente imputate, tra le entrate, somme non certe e non esigibili, rispettivamente pari ad euro 1.325.462,18 e circa euro 600.000, relative a presunti crediti stabiliti unilateralmente dall'Autorità portuale e pretesi ai danni della concessionaria Bari Porto Mediterraneo Srl tutt'oggi oggetto di contenzioso dinanzi al giudice ordinario, avendo il Consiglio di Stato, con recente sentenza del 19 gennaio 2012, dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;
          pertanto, eliminando dai bilanci 2009 e 2010 tali somme illegittimamente imputate, gli stessi bilanci presentano in realtà disavanzi di gestione rispettivamente di circa euro 500.000 e di circa euro 1.200.000;
          con il decreto ministeriale n.  357 del 13 ottobre 2011 dei Ministeri delle infrastrutture e trasporti e dell'economia, l'autorità portuale di Bari è stata l'unica in Italia ad aver subito la revoca di circa 86 milioni di euro, ossia di tutti i finanziamenti di cui disponeva per la realizzazione delle infrastrutture portuali, per non aver bandito le gare né realizzato progetti cantierabili nel corso degli ultimi cinque anni, proprio quelli in cui l'autorità portuale è stata gestita dal signor Mariani;
          anche il bilancio 2011, approvato nella seduta del comitato portuale del 24 aprile 2012, presenta secondo gli interpellanti elementi di dubbia regolarità per quanto attiene alla valutazione dei crediti riferiti alla procedura fallimentare in corso ai danni della Bari Porto Mediterraneo, la cui valutazione appare agli interpellanti in contrasto con l'articolo 43 del regolamento di amministrazione e contabilità della stessa autorità portuale, in relazione alla verifica dell'esistenza dei residui attivi e passivi;
          infatti, il tribunale di Bari, con sentenza n.  52 del 28 marzo 2012, ha dichiarato il fallimento della società di Bari Porto Mediterraneo S.r.l., a seguito di istanza di fallimento presentata dal liquidatore professore avvocato Francesco Macario, nominato dallo stesso tribunale di Bari, in cui ne ha attribuito le responsabilità esclusivamente all'Autorità portuale ed ai suoi comportamenti;
          nonostante che tale evento si sia verificato prima dall'approvazione del bilancio 2011 e che di esso l'autorità portuale, il suo presidente ed il collegio dei revisori dei conti fossero a piena conoscenza, non se n’è fatta menzione nel bilancio e nessuna conseguenza ha avuto sullo stesso bilancio, avendo lasciato invariati i residui attivi da riaccertare per il 2012, che per la sola partecipata Bari Porto Mediterraneo ammontano in bilancio ad euro 3.562.399,75;
          peraltro, tale credito a quanto risulta agli interpellanti è effettivamente pari a circa euro 1.500.000, in quanto, come già detto, per i circa 2.000.000 di euro che si rinvengono dai bilanci 2009 e 2010 non esiste alcun titolo esecutivo, essendo tuttora oggetto di contenzioso tra l'autorità portuale e la Bari Porto Mediterraneo;
          del credito imputato nel bilancio 2011 di euro 3.562.399,75, ai sensi del citato articolo 43 del regolamento di amministrazione e contabilità e dei citati articoli del codice civile, a causa del fallimento della Bari Porto Mediterraneo, se ne sarebbe dovuta operare la cancellazione, essendo lo stesso di sicura inesigibilità;
          per di più, anche l'ulteriore somma nel bilancio 2011 di euro 375.000, pari al valore nominale della quota di partecipazione dell'autorità portuale nella Bari Porto Mediterraneo, è rimasta in esso immutata ed invece, anche di questa, per gli stessi motivi, se ne sarebbe dovuta effettuare la cancellazione;
          inoltre, nella relazione del presidente signor Mariani sul rendiconto generale 2011, è stato affermato che «non si è operata la svalutazione dei crediti»;
          infine, nella relazione del collegio dei revisori dei conti allegata al bilancio 2011 viene affermato che, per effetto della citata revoca dei finanziamenti per le opere infrastrutturali, l'avanzo di amministrazione «risulta attualmente pari ad euro 4.770.048,76 a seguito del versamento di euro 21.182.049,70 effettuato dall'ente in favore dell'erario in data 5 marzo 2012, in ottemperanza a quanto disposto dalla legge 26 febbraio 2011, n.  10, nonché dal decreto ministeriale n.  357 del 2011»;
          in effetti, depurando l'avanzo di amministrazione al 31 dicembre 2011 – riportato nel bilancio 2011 pari a euro 25.952.098,46 – delle somme vincolate indisponibili, pari ad euro 25.489.156,19 (di cui come già detto sono già stati restituiti all'erario euro 21.182.049,70 in applicazione del decreto ministeriale n.  357 del 2011), e dei crediti inesigibili nei confronti della Bari Porto Mediterraneo, pari ad 3.562.399,75, la complessiva situazione amministrativa presenta, oggi, un disavanzo finanziario di euro 3.099.457,48;
          inoltre, la situazione economica, come si evince dalla relazione del collegio dei revisori dei conti allegata al bilancio 2011, al netto di una mera operazione contabile di euro 895.714,52, presenta in sostanza una perdita pari ad euro 630.756,14 «di entità pressoché analoga a quella dell'esercizio 2010», potendosi affermare che la gestione economica dell'ente è oramai caratterizzata da un cronico squilibrio economico;
          dal bilancio 2011 si rileva un'allarmante irrisoria disponibilità di cassa al 31 dicembre 2011, pari appena ad euro 264.958,38;
          nel bilancio di previsione 2012, approvato nella seduta del comitato portuale del 31 ottobre 2011, si evince un disavanzo di competenza per l'anno 2012 pari ad euro 4.108.523;
          i rilievi mossi ai bilanci 2009, 2010 e 2011 dell'autorità portuale non sembra siano stati adeguatamente considerati dal collegio dei revisori dei conti, peraltro nominato Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
          di fatto, oggi, l'autorità portuale, per effetto della gestione del suo presidente signor Mariani, versa in una disastrosa situazione economica e gestionale, essendo stata compromessa la realizzazione delle infrastrutture portuali ed avendo prodotto l'impossibilità di funzionamento dell'ente;
          tale situazione è stata preconizzata, e pertanto, è oggi certificata, dallo stesso presidente dell'autorità portuale di Bari signor Mariani, il quale, a proposito della revoca dei finanziamenti di cui al decreto ministeriale n.  357 del 2001, nella nota protocollo n.  3123 del 31 marzo 2011 inviata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha dichiarato che «È di tutta evidenza che, qualora la ricognizione mettesse in discussione i fondi necessari alla realizzazione dei piani triennali delle opere, che formano parte integrante dell'avanzo di amministrazione, ci troveremmo, di fatto, dinanzi ad una profonda alterazione degli equilibri finanziari stabiliti con bilanci già approvati dal Ministero competente compromettendo così la funzionalità dell'Ente»;
          per quanto detto, l'attuale presidente dell'autorità portuale di Bari, signor Francesco Palmiro Mariani, è, secondo gli interpellanti, il responsabile del depauperamento delle ingenti risorse finanziarie di cui disponeva l'autorità portuale e della conseguente «situazione fallimentare» in cui versa l'ente, divenuta tale da aver praticamente reso impossibile perfino la semplice gestione ordinaria dell'autorità portuale barese;
          l'attuale Governo è fortemente impegnato nel risanamento e nel rilancio economico del Paese e nella rimozione di quelle situazioni di chiara e conclamata «mala gestio»  –:
          se il Governo attualmente in carica, mantenendo fede alla mission tracciata dal Presidente del Consiglio e posta alla base del mandato conferitogli, intenda prendere seri e rapidi provvedimenti in merito alla gravissima situazione economica e gestionale dell'autorità portuale di Bari, prodotta dal suo presidente, signor Francesco Palmiro Mariani;
          se il Ministro interpellato con solerzia e tempestività, intenda effettuare il commissariamento dell'autorità portuale di Bari, al fine di dotarla di una guida qualificata e competente per risanare il bilancio dell'ente, riattivare la realizzazione delle opere infrastrutturali e la qualificazione dei servizi, nonché per rilanciare l'immagine internazionale dello scalo barese.
(2-01554) «Tassone, Adornato, Binetti, Bonciani, Bosi, Calgaro, Capitanio Santolini, Carlucci, Enzo Carra, Cera, Ciccanti, Compagnon, Delfino, Dionisi, D'Ippolito Vitale, Anna Teresa Formisano, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ria, Ruggeri, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Zinzi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          su La Repubblica del 20 settembre 2007 a pagina 51 è apparso un articolo dal titolo «Chiesa e quattrini» in cui è scritto che il 10 luglio 2007 il banchiere Giampiero Fiorani, di fronte ai magistrati milanesi, Francesco Greco, Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, ha tra l'altro affermato che «I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara, quando ho comprato la Cassa Lombarda, m'ha chiesto di dargli trenta miliardi delle vecchie lire possibilmente su un conto estero, non sul conto del Vaticano». All'epoca a capo della Popolare di Lodi c'era Angelo Mazza e Fiorani era il suo braccio destro. A metà degli anni ’90 l'istituto lodigiano rileva il 30 per cento della Cassa Lombarda, la banca della famiglia Trabaldo Togna guidata oggi da Giuseppe Spadafora (ex Bnp Paribas), una partecipazione tenuta in portafoglio fino al 2001. «Quando abbiamo comprato la Cassa Lombarda, una quota era del Vaticano, dell'Apsa». Il passaggio avviene con un giro di acquisti intermedi: «La quota l'hanno intestata a una società della Bsi di Lugano, Bsi ha venduto, poi ha venduto, e le chiese han venduto a Trabaldo Togna e poi Trabaldo Togna ha venduto a noi». I soldi però vengono in parte dirottati su un conto estero della Bsi, la banca della Svizzera italiana, ora in mano alle Generali. «Noi abbiamo dichiarato un valore troppo basso – dice il cardinale Castillo Lara secondo la ricostruzione di Fiorani – paghiamo troppe plusvalenze, allora facciamo un'operazione estero su estero». Fiorani riporta a Mazza, il quale dà l'autorizzazione al pagamento. E parte un bonifico bancario su un conto della Bsi. Perché in quella banca «ci sono tre conti del Vaticano che era, penso, non esagero dai due ai tre miliardi di euro»;
          dall'annuario Pontificio 2007 risulta che il cardinale Castillo Lara Rosalio José è Presidente emerito sia dell'Apsa, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e della Pontificia Commissione per lo Stato Città del Vaticano;
          rispondendo all'interrogazione a risposta scritta 4-00692 dell'interrogante, la sottosegretaria Marcella Lucidi affermava che «Al novero degli enti centrali appartengono indubbiamente gli uffici e gli organismi costituenti la Curia romana, che danno vita all'organizzazione che, operando in nome e per autorità del Romano Pontefice (cf. can.  360 CIC), gestisce in via ordinaria gli affari della Chiesa universale. Detti uffici ed organismi sono elencati dalla costituzione apostolica di Giovanni Paolo II Pastor bonus (28 giugno 1988). Fra questi, l'articolo 172 enumera l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), a cui spetta «amministrare i beni di proprietà della Santa Sede, destinati a fornire fondi necessari all'adempimento delle funzioni della Curia romana». Non può, per tanto, mettersi in dubbio che all'APSA, in quanto ufficio facente parte della Curia romana, si applichi il disposto dell'articolo 11 del Trattato del Laterano. Mentre «La tipizzazione dello IOR quale ente della Chiesa Cattolica è stata riconosciuta con pronuncia della Corte penale di cassazione, Sezione quinta, 1° aprile 1987, n.  3932.»;
          l'articolo 1 della Costituzione apostolica di Giovanni Paolo II Pastor bonus (28 giugno 1988) recita che «La Curia romana è l'insieme dei dicasteri e degli organismi che coadiuvano il romano Pontefice nell'esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari, esercizio col quale si rafforzano l'unità di fede e la comunione del Popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo.»;
          l'articolo 307 della versione consolidata del Trattato che istituisce la Comunità europea recita che: «le disposizioni del presente trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall'altra. Nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili col presente trattato, lo Stato o gli Stati membri interessati ricorrono a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. Ove occorra, gli Stati membri si forniranno reciproca assistenza per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta;
          nell'applicazione delle convenzioni di cui al primo comma, gli Stati membri tengono conto del fatto che i vantaggi consentiti nel presente trattato da ciascuno degli Stati membri costituiscono parte integrante dell'instaurazione della Comunità e sono, per ciò stesso, indissolubilmente connessi alla creazione di istituzioni comuni, all'attribuzione di competenze a favore di queste ultime e alla concessione degli stessi vantaggi da parte di tutti gli altri Stati membri»  –:
          se dagli atti depositati presso il Ministero della giustizia risulti una richiesta di rogatoria internazionale della procura di Milano volta a chiarire i fatti verbalizzati il 10 luglio 2007 e quali siano stati in tal caso gli atti assunti dal Ministero;
          se, chi, quando e con quali risultati, ha valutato la compatibilità del Trattato del Laterano con il diritto comunitario.
(5-07117)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano La Padania del 9 luglio 1998 apparve il seguente articolo dal titolo «I soldi di Riina riciclati in Vaticano – Lo Ior – dichiara Marino Mannoia – incassò i miliardi di Cosa Nostra»: «Francesco Marino Mannoia non è un pentito qualsiasi e non fu nemmeno un mafioso qualsiasi. La sua collaborazione con la giustizia avvenne in epoche non sospette. Era il 1984 quando questo boss intimo di Stefano Bontate, morto da tre anni per mano di sicari di Riina, decise di rompere il muro dell'omertà per confessare a Giovanni Falcone ciò che sapeva di Cosa Nostra. La sua testimonianza fu preziosa nel primo maxi processo. Grazie a Mannoia – le cui dichiarazioni furono oggetto di dettagliatissimi riscontri dei pool di Caponnetto – alcuni padrini vennero condannati all'ergastolo, moltissimi mafiosi a pesanti pene detentive. Ebbene, due giorni fa a Palermo proprio Mannoia, interrogato in video-conferenza dagli Stati Uniti ove si trova sotto protezione federale, nell'ambito del processo a Marcello Dell'Utri, ha dichiarato: «Licio Gelli investiva il denaro dei Corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano (lo Ior – ndr)». Poi ha aggiunto che questa notizia la apprese dal suo capo di allora, Bontate, che gli raccontò come Pippo Calò e i Madonia fossero in affari con Gelli che riciclava i loro capitali usando lo Ior. Mannoia, infine, ha concluso la deposizione dicendo: «Come Bontate e Inzerillo avevano Sindona, gli altri avevano Gelli». Questa tremenda ricostruzione fatta dall'ex braccio destro del capo dei capi della mafia siciliana offre una spiegazione – fra l'altro – alle auto-bomba fatte esplodere dalla mafia a Roma davanti a due chiese nell'estate del 1993. Papa Wojtyla, ricorderete, aveva da poco pronunciato in Sicilia un vibrante atto d'accusa contro Cosa Nostra scagliando la scomunica sui mafiosi. Ma come, si saranno detti i boss. Prima incassate i nostri soldi, poi ci bollate in eterno? No! Vendetta! Quando si osserva, in ultimo, che una delle esplosioni devastò la basilica dei cardinale Ugo Poletti, tutti i tasselli vanno al loro posto  –:
          se siano stati acquisiti elementi tramite richieste di rogatoria internazionale e quali ne siano stati gli eventuali esiti.
(5-07119)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di febbraio 2004, con atto del Ministro per i beni e le attività culturali, è stata costituita Arcus, società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo spa, ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n.  291. Il capitale sociale è interamente sottoscritto dal Ministero dell'economia e delle finanze, mentre l'operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal Ministro per i beni e le attività culturali – che esercita altresì i diritti dell'azionista – di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Arcus può altresì sviluppare iniziative autonome;
          sia nel 2005 che nel 2006 tra i contraenti/destinatari di fondi dell'Arcus spa vi è stata la «Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli» per la realizzazione del progetto Piazza di Spagna (Rm) – restauro del palazzo di Propaganda Fide e realizzazione di una pinacoteca per un importo totale di euro 5.000.000 (cinquemilioni);
          il soggetto destinatario, «Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli» è un dicastero della Curia romana della Santa sede;
          tra i consultori – «nominati tra i chierici o gli altri fedeli che si distinguono per scienza e prudenza» (articolo 8 Costituzione apostolica «Pastor Bonus») – della Congregazione vi sono dal 1° ottobre, tra gli altri, il dottor Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici (nominato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) e il dottor Pasquale De Lise, presidente aggiunto del Consiglio di Stato, già presidente del Tar Lazio;
          tra la Repubblica italiana e la Santa sede sono in essere un trattato e un concordato; nel trattato è specificato che «per assicurare alla Santa Sede l'assoluta e visibile indipendenza, garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana»  –:
          se il dottor Balducci e il dottor De Lise abbiano comunicato ovvero abbiano chiesto l'autorizzazione per far parte di un dicastero della Curia Romana della Santa sede;
          se risulti se il dottor Balducci e il dottor De Lise nell'espletamento dei doveri d'ufficio si siano occupati di questioni inerenti alla Santa sede o enti dipendenti e collegati alla stessa;
          quali siano le società che hanno realizzato i lavori, per il restauro del palazzo di Propaganda Fide e per la realizzazione della pinacoteca di cui in premessa, come siano state selezionate e da chi, chi abbia controllato la congruità delle offerte e i lavori eseguiti;
          se prima di concedere il contributo sia stato visionato il «bilancio» ovvero sia stata appurata la consistenza del patrimonio della «Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli»;
          se risulti che la pinacoteca sia accessibile al pubblico. (5-07120)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 4 febbraio 2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la «Convenzione monetaria tra l'Unione europea e lo Stato della Città del Vaticano (2010/C 28/05)» che all'articolo 5 recita:
          «1. Le monete in euro emesse dallo Stato della Città del Vaticano sono coniate dall'Istituto poligrafico e zecca dello Stato della Repubblica italiana»  –:
          se l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato della Repubblica italiana percepisca un compenso e, in caso affermativo, quale ne sia l'entità e, se non lo percepisce, quali siano le disposizioni di legge che permettono di coniare le monete a titolo gratuito.
(5-07121)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 4 febbraio 2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la «Convenzione monetaria tra l'Unione europea e lo Stato della Città del Vaticano (2010/C 28/05)» che al considerando 7 recita:
          viene istituito un comitato misto composto da rappresentanti dello Stato della Città del Vaticano, della Repubblica italiana, della Commissione e della BCE con il compito di esaminare l'applicazione della presente convenzione, decidere il massimale annuo per le emissioni di monete, esaminare l'adeguatezza della proporzione minima di monete da introdurre al valore facciale e valutare le misure adottate dallo Stato della Città del Vaticano per l'attuazione della normativa UE in materia  –:
          se il Comitato sia stato costituito e in caso affermativo chi siano i membri;
          con quali criteri siano stati o saranno scelti i membri italiani;
          se siano previsti oneri a carico dello Stato e in caso affermativo quale sia l'entità dei medesimi. (5-07122)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 4 febbraio 2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la «Convenzione monetaria tra l'Unione europea e lo Stato della Città dei Vaticano (2010/C 28/05)» che all'articolo 9 recita: Gli istituti finanziari aventi sede nello Stato della Città del Vaticano possono avere accesso ai sistemi di regolamento interbancario e ai sistemi di pagamento e di regolamento dell'area euro a condizioni adeguate fissate dalla Banca d'Italia, in accordo con la Banca centrale europea  –:
          se risulti al Governo quali siano gli istituti finanziari aventi sede nello Stato Città del Vaticano che si avvalgono della facoltà di cui in premessa e quali siano in concreto le modalità con le quali accedono ai sistemi di regolamento interbancario.
(5-07123)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 4 febbraio 2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la «Convenzione monetaria tra l'Unione europea e lo Stato della Città del Vaticano (2010/C 28/05)»;
          al considerando 6 recita:
              La presente convenzione non impone alla BCE e alle banche centrali nazionali l'obbligo di includere gli strumenti finanziari dello Stato della Città del Vaticano negli elenchi dei valori mobiliari oggetto delle operazioni di politica monetaria del sistema europeo delle banche centrali;
          al considerando 7 tra l'altro recita:
              «viene istituito un comitato misto composto da rappresentanti dello Stato della Città del Vaticano, della Repubblica italiana, della Commissione e della BCE con il compito di esaminare l'applicazione della presente convenzione»  –:
          se all'atto della stipula della Convenzione fosse chiaro a quali strumenti finanziari ci si intendesse riferire. (5-07124)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 4 febbraio 2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la «Convenzione monetaria tra l'Unione europea e lo Stato della Città del Vaticano (2010/C 28/05)»;
          al considerando 7 tra l'altro recita: «viene istituito un comitato misto composto da rappresentanti dello Stato della Città del Vaticano, della Repubblica italiana, della Commissione e della BCE con il compito di esaminare l'applicazione della presente convenzione»;
          all'articolo 8 recita: «1. Lo Stato della Città del Vaticano si impegna ad adottare tutte le misure appropriate, mediante il recepimento diretto o azioni equivalenti, per attuare gli atti giuridici e le norme UE elencati nell'allegato alla presente convenzione, in materia di: (...); b) prevenzione del riciclaggio di denaro, della frode e della falsificazione di mezzi di pagamento in contante e diversi dal contante, medaglie e gettoni e i requisiti in materia di comunicazione statistica. Se e quando un settore bancario verrà creato nello Stato della Città del Vaticano, l'elenco di atti giuridici e di norme di cui all'allegato verrà integrato per includervi la normativa UE in materia bancaria e finanziaria e gli atti giuridici e le norme della BCE, in particolare i requisiti in materia di comunicazione statistica, - che detta Convenzione entra in vigore il 1° gennaio 2010 (articolo 13);
          la Corte di Cassazione con sentenza 17 luglio 1987, Sez. V penale n.  3932 ha affermato doversi ritenere l'Istituto per le opere di religione «ente centrale» della Chiesa cattolica;
          l'articolo 11 del Trattato lateranense – stipulato tra lo Stato italiano e la Santa Sede l'11 febbraio 1929 e reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929 n.  810 – recita che «gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali) nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili»  –:
          se risulti al Governo, in virtù della Convenzione quali siano allo stato attuale le misure in vigore adottate dallo Stato Città del Vaticano, in materia di prevenzione del riciclaggio di denaro, della frode e della falsificazione di mezzi di pagamento in contante e diversi dal contante e i requisiti in materia di comunicazione statistica;
          se risulti al Governo, sempre in virtù della Convenzione, se le misure che lo Stato Città del Vaticano si è impegnato ad adottare siano riferibili anche alle attività riconducibili alla Santa Sede. (5-07125)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di febbraio 2004, con atto del Ministro per i beni e le attività culturali, è stata costituita Arcus, società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo spa, ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n.  291. Il capitale sociale è interamente sottoscritto dal Ministero dell'economia e delle finanze, mentre l'operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal Ministro per i beni e le attività culturali – che esercita altresì i diritti dell'azionista – di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Arcus può altresì sviluppare iniziative autonome;
          relativamente ai progetti, ai contraenti e agli importi necessari per realizzarli nel periodo 2004-2012 sul sito della società vi è un aggiornamento datato «maggio 2010» dal quale si evince che tra i contraenti/destinatari di fondi dell'Arcus spa vi è la «Pontificia Università Gregoriana» che ha ricevuto finanziamenti nel periodo 2005/2006 per 2.800.000 euro a cui si aggiungono 1.500.000 euro per il periodo 2010/2012 per il restauro dei «Palazzi Lucchesi e Frascara»;
          il soggetto destinatario, «Pontificia Università Gregoriana» è una istituzione culturale della Santa Sede;
          tra la Repubblica italiana e la Santa Sede sono in essere un trattato e un concordato; nel trattato è specificato che «per assicurare alla Santa Sede l'assoluta e visibile indipendenza, garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana»  –:
          se risulti al Governo quali siano le società che hanno realizzato i lavori per il restauro dei «Palazzi Lucchesi e Frascara della Pontificia Università Gregoriana», come siano state selezionate e da chi, chi abbia controllato la congruità delle offerte e dei lavori eseguiti;
          se prima di concedere il contributo sia stato visionato il «bilancio» ovvero sia stata appurata la consistenza del patrimonio della «Pontificia Università Gregoriana». (5-07126)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di febbraio 2004, con atto del Ministro per i beni e le attività culturali, è stata costituita Arcus, società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo spa, ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n.  291. Il capitale sociale è interamente sottoscritto dal Ministero dell'economia e delle finanze, mentre l'operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal Ministro per i beni e le attività culturali – che esercita altresì i diritti dell'azionista – di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Arcus può altresì sviluppare iniziative autonome;
          relativamente ai progetti, ai contraenti e agli importi necessari per realizzarli nel periodo 2004-2012 sul sito della società vi è un aggiornamento datato «maggio 2010» dal quale si evince che tra i contraenti/destinatari di fondi dell'Arcus spa vi è la «Basilica Papale di San Paolo Fuori le Mura» che è nell’«Elenco degli interventi ammessi al finanziamento nel triennio 2010-2012» per un importo di 1.000.000 di euro per «progetti, consolidamenti, restauri, manutenzione» della Basilica Papale di San Paolo Fuori le Mura;
          il soggetto destinatario, «Basilica Papale di San Paolo Fuori le Mura» è di proprietà della Santa sede e gode della extraterritorialità;
          tra la Repubblica italiana e la Santa sede sono in essere un trattato e un concordato; nel trattato è specificato che «per assicurare alla Santa Sede l'assoluta e visibile indipendenza, garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana»  –:
          se risulti al Governo a che punto siano i lavori ovvero se siano state selezionate e con quali procedure le società che realizzeranno i diversi interventi («progetti, consolidamenti, restauri, manutenzione»);
          se nella concessione del contributo sia stata presa in considerazione l'effettiva necessità del medesimo anche considerate l'entità delle risorse e la consistenza del patrimonio della «Città del Vaticano» e della «Santa Sede». (5-07127)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di febbraio 2004, con atto del Ministro per i beni e le attività culturali, è stata costituita Arcus, società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo spa, ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n.  291. Il capitale sociale è interamente sottoscritto dal Ministero dell'economia e delle finanze, mentre l'operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal Ministro per i beni e le attività culturali – che esercita altresì i diritti dell'azionista – di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Arcus può altresì sviluppare iniziative autonome;
          relativamente ai progetti, ai contraenti e agli importi necessari per realizzarli nel periodo 2004-2012 sul sito della società vi è un aggiornamento datato «maggio 2010» dal quale si evince che tra i contraenti/destinatari di fondi dell'Arcus spa vi è la «Basilica di Pompei» per un totale di 5.000.000 di euro (1.000.000 sull’«Aggiornamento piano interventi D.I. 16/3/2007»; 1.000.000 sull’«Aggiornamento piano interventi D.I. 09/04/2008 (Progetti deliberati e contrattualizzati)»; 3.000.000 inseriti nell’«Elenco degli interventi ammessi al finanziamento nel triennio 2010-2012») per la realizzazione di generici «progetti di restauro» della «Basilica di Pompei»;
          il soggetto destinatario, «Basilica di Pompei» è una prelatura territoriale della Santa sede;
          tra la Repubblica italiana e la Santa sede sono in essere un trattato e un concordato; nel trattato è specificato che «per assicurare alla Santa Sede l'assoluta e visibile indipendenza, garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana»  –:
          se ed eventualmente quali siano gli edifici di proprietà dello Stato gestiti dal «fondo edifici di culto» del Ministero dell'interno che abbisognano di interventi, se il Ministero abbia presentato dei progetti ed eventualmente se e quali non siano stati approvati;
          se risulti al Governo a che punto siano i lavori ovvero se siano state selezionate e con quali procedure le società che hanno realizzato o realizzeranno i diversi interventi necessari al restauro;
          se nella concessione del contributo sia stata presa in considerazione l'effettiva necessità del medesimo, anche considerate l'entità delle risorse e la consistenza del patrimonio della «Città del Vaticano» e della «Santa Sede». (5-07128)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di febbraio 2004, con atto del Ministro per i beni e le attività culturali, è stata costituita Arcus, società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo spa, ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n.  291. Il capitale sociale è interamente sottoscritto dal Ministero dell'economia e delle finanze, mentre l'operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal Ministro per i beni e le attività culturali – che esercita altresì i diritti dell'azionista – di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Arcus può altresì sviluppare iniziative autonome;
          relativamente ai progetti, ai contraenti e agli importi necessari per realizzarli nel periodo 2004-2012 sul sito della società vi è un aggiornamento datato «maggio 2010» dal quale si evince che tra i contraenti/destinatari di fondi dell'Arcus spa vi è l’«Abbazia di Montecassino» inserita nell’«Aggiornamento piano interventi D.I. 9 aprile 2008 (Progetti deliberati in attesa di contrattualizzazione)» per un importo di 1.000.000 di euro per la realizzazione del progetto «Allestimento del Museo dell'Abbazia di Montecassino»;
          il soggetto destinatario, «Abbazia di Montecassino» è una abbazia territoriale della Santa Sede;
          tra la Repubblica italiana e la Santa Sede sono in essere un trattato e un concordato; nel trattato è specificato che «per assicurare alla Santa Sede l'assoluta e visibile indipendenza, garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana»  –:
          se ed eventualmente quali siano gli edifici di proprietà dello Stato gestiti dal «fondo edifici di culto» del Ministero dell'interno che abbisognano di interventi, se il Ministero abbia presentato dei progetti ed eventualmente se e quali non siano stati approvati;
          se risulti al Governo a che punto siano i lavori ovvero se siano state selezionate e con quali procedure le società che hanno realizzato l’«Allestimento del Museo dell'Abbazia di Montecassino»;
          se nella concessione del contributo sia stata presa in considerazione l'effettiva necessità del medesimo, anche considerate l'entità delle risorse e la consistenza del patrimonio della «Città del Vaticano» e della «Santa Sede». (5-07129)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          dal «documento concernente i dati statistici relativi alle operazioni di rimpatrio ovvero di regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all'estero» presentato dal Ministro dell'economia e delle finanze e trasmesso alla Presidenza della Camera il 18 giugno 2010 risulta che tra i Paesi di provenienza delle richieste di rimpatrio e regolarizzazione vi è la «Città del Vaticano»;
          in particolare, nel citato documento i dati statistici riferiti alla Città del Vaticano concernenti il numero dei soggetti coinvolti nelle operazioni di emersione e il valore delle attività emerse risultano indistintamente inclusi nella voce «Altri Paesi»;
          il 25 gennaio 2010 nel fascicolo n.  66 del Senato della Repubblica è stata pubblicata una risposta scritta data dal Ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito nella quale, tra l'altro, affermava che «L'Istituto per le opere di religione (IOR), istituito presso lo Stato della Città del Vaticano nel 1942, con personalità di diritto canonico, ha come mandato quello di provvedere alla custodia e all'amministrazione dei beni mobili ed immobili trasferiti o affidati all'istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione o di carità. L'Istituto, come evidenziato anche dalla Corte penale di Cassazione, Sezione quinta, nella sua pronuncia del 1° aprile 1987, n.  3932, è da ritenersi nella specie “ente centrale” della Chiesa cattolica. Esso, infatti, è “costituzionalmente rilevante nell'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica in quanto avente: personalità giuridica; autonomia patrimoniale; competenza funzionale universale, cioè estesa a tutto l'ordinamento per il raggiungimento dello scopo ad esso connaturalmente essenziale; collocazione al centro territorialmente proprio dell'universalità”. In quanto ente centrale della Chiesa cattolica, pertanto, lo IOR, ai sensi dell'articolo 11 del Trattato del Laterano, reso esecutivo nell'ordinamento italiano dalla legge 27 maggio 1929, n.  810, è “esente da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili”. L'indicazione dell'obbligo di non ingerenza, che si traduce ”nell'esenzione da ogni ingerenza trattandosi di soggetti di diritto internazionale, non può che avere riferimento e quindi regolare le rispettive relazioni, nell'ambito delle rispettive sfere di sovranità. Nel senso che l'una sovranità, e nel caso dello Stato italiano, in tutte le sue esplicazioni pubbliche di poteri, potestà, funzioni, e quindi anche l'esercizio della giurisdizione, non può invadere la sfera dell'altra, nell'organizzazione e nell'azione di detti enti centrali della Chiesa cattolica” (si veda la sentenza citata), fra cui rientra l'Istituto per le opere di religione»;
          nella XV legislatura, rispondendo all'interrogazione a risposta scritta 4-00692 dell'interrogante, la sottosegretaria Marcella Lucidi affermava che «Al novero degli enti centrali appartengono indubbiamente gli uffici e gli organismi costituenti la Curia romana, che danno vita all'organizzazione che, operando in nome e per autorità del Romano Pontefice (cf. can.  360 CIC), gestisce in via ordinaria gli affari della Chiesa universale. Detti uffici ed organismi sono elencati dalla costituzione apostolica di Giovanni Paolo II Pastor bonus (28 giugno 1988). Fra questi, l'articolo 172 enumera l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), a cui spetta “amministrare i beni di proprietà della Santa Sede, destinati a fornire fondi necessari all'adempimento delle funzioni della Curia romana”. Non può, per tanto, mettersi in dubbio che all'APSA, in quanto ufficio facente parte della Curia romana, si applichi il disposto dell'articolo 11 del Trattato del Laterano”. Mentre “La tipizzazione dello IOR quale ente della Chiesa Cattolica è stata riconosciuta con pronuncia della Corte penale di cassazione, Sezione quinta, 1° aprile 1987, n.  3932»  –:
          se confermino la validità giuridica dell'affermazione secondo la quale gli enti centrali della Chiesa cattolica sono quelli elencati nella Costituzione apostolica della Santa sede (Pastor bonus) del 28 giugno 1988 posto che la disposizione secondo la quale l'ente centrale della chiesa cattolica è «esente da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili» risale al 27 maggio 1929; ovvero se qualora dovessero essere aggiunti nuovi enti all'elenco della Costituzione apostolica della Santa sede questi sarebbero immediatamente soggetti all'articolo 11 del Trattato del Laterano;
          se confermano la validità giuridica dell'affermazione secondo la quale «La tipizzazione dello IOR quale ente della Chiesa Cattolica è stata riconosciuta con pronuncia della Corte penale di cassazione, Sezione quinta, 1° aprile 1987, n.  3932», anche alla luce del fatto che successivamente a detta pronuncia, il 28 giugno 1998, è stata promulgata una nuova Costituzione apostolica della Santa sede (Pastor bonus) ma tra gli enti centrali della Chiesa cattolica non è compreso lo IOR;
          se risulti al Governo quale sia l'importo delle operazioni di rimpatrio ovvero di regolarizzazione provenienti dalla Città del Vaticano perfezionate nei periodi dal 15 settembre al 15 dicembre 2009 e dal 1° marzo al 30 aprile 2010;
          se risulti al Governo quante siano le richieste di rimpatrio fisico, rimpatrio giuridico ovvero di regolarizzazione provenienti dalla Città del Vaticano perfezionate nei periodi dal 15 settembre al 15 dicembre 2009 e dal 1° marzo al 30 aprile 2010;
          se risulti al Governo quale sia l'ente della «Città del Vaticano» presso cui erano depositati i fondi rimpatriati ovvero regolarizzati. (5-07130)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          i principali quotidiani (ad esempio Libero) hanno pubblicato l'elenco estremamente dettagliato degli altri nominativi presenti nella «lista Anemone», il documento sequestrato nel 2009, dalla Guardia di finanza, dal computer dell'imprenditore ritenuto al centro della «cricca» che gestiva gli appalti, relativamente agli anni che vanno dal 2004 al 2008;
          come riporta un articolo del quotidiano la Repubblica di Corrado Zunino, «il rapporto tra il provveditore Angelo Balducci e il costruttore Diego Anemone era di privilegio assoluto» con «422 milioni di euro di lavori pubblici ottenuti da Anemone in dieci anni, dal 1999 al 2008»;
          in particolare, come si legge nell'articolo sopra citato, «nel 1999, la prima stagione presa in esame dalla Procura, il provveditore alle Opere pubbliche del Lazio Angelo Balducci offrì all'Impresa Anemone costruzioni srl il primo lavoro al ministero dei Lavori pubblici: un impegno (riportato alla moneta di oggi) da 846 mila euro, l'unico della stagione. Nel 2000, che pure è l'anno del Giubileo di Roma, non ci sono assegnazioni individuate dal Nucleo di polizia tributaria di Roma, ma le stazioni appaltanti per quel grande evento furono soprattutto il Governo e il comune di Roma. Nel 2001 il “fatturato Balducci” del gruppo Anemone sale a 12,6 milioni con l'assegnazione del secondo appalto per i lavori pubblici e il primo di 17 per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Nel 2002 i volumi concessi sono risibili, nel 2003 modesti e nel 2004 tornano a 24 milioni con quattro lavori vinti da Anemone sotto la supervisione di Balducci. Gli importi salgono nel 2006 a 44 milioni e nel 2008, con la messa a punto dell'attività emergenziale della Protezione civile, esplodono. Con le “strutture di missione” (G8, vertici Nato, carceri) insediate in via della Ferratella, il provveditore viene liberato dai lacciuoli degli appalti pubblici ordinari: grazie ai “grandi eventi” il Governo può dargli la patente di commissario e affidargli totale discrezionalità nella scelta delle ditte da far lavorare. Il 2008 è un anno decisivo per comprendere la strategia di Anemone e la nuova libertà di movimento dell'ingegner Balducci. L'imprenditore edile di Grottaferrata in quella stagione prende 10 appalti decisivi: 320 milioni il loro valore, tre volte quello che aveva ottenuto nei precedenti 9 anni. La crescita accelerata si spiega con l'evoluzione degenerata della Protezione civile: 80 milioni più altri 21 più altri 48 arrivano dalla Presidenza del Consiglio per opere per i 150 anni dell'Unità d'Italia e poi assegni da 58, 12,8 e 59 milioni vengono staccati per il G8 della Maddalena e i Mondiali di nuoto di Roma. Sovrintende sempre Balducci, le emergenze hanno liberato gli affari. Nel grande business del 2008 resta una vecchia opera ministeriale da 171 mila euro, ma i fatturati generosi, che consentiranno al Gruppo Anemone di diventare una delle prime imprese edili del paese, arrivano solo con la turboProtezione. La tesi degli investigatori è che Angelo Balducci abbia favorito da sempre Diego Anemone, abbia costruito un rapporto con lui basandosi – da provveditore delle Opere pubbliche del Lazio, poi da presidente del Consiglio superiore – su piccole commesse ministeriali. Quando Guido Bertolaso ha iniziato a prendere su di sé poteri senza controllo, il suo commissario operativo Balducci ha potuto liberare risorse pubbliche ingenti per il costruttore utile e fedele. Tra l'altro, delle 541 ordinanze firmate dal Governo Berlusconi in sette anni (Prodi ne licenziò 46 in due stagioni), solo il 22 per cento quantificava il valore dell'intervento. Il lavoro della Procura di Perugia per far emergere i volumi degli appalti, oggi, si sta rivelando complesso. Le nuove carte della Finanza sottolineano come in due occasioni, l'11 giugno 2001 e il 17 maggio 2006, Balducci ha assegnato un cantiere ad Anemone nel giorno in cui il governo in forza cadeva. È accaduto con l'Amato bis e poi con il Prodi bis. È come se, ragionano gli inquirenti, il funzionario pubblico temesse che con il cambio di esecutivo potesse variare la struttura operativa dei Lavori pubblici mettendo in discussione il “sistema di privilegio”. Ma i Governi Berlusconi non hanno mai limitato il ruolo di Balducci, offrendogli anzi, con il varo della Superprotezione, un potere assoluto»;
          il procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara, precisa agli organi di stampa «che la cosiddetta “lista Anemone”, relativa ai soggetti che hanno usufruito di prestazioni da parte delle imprese riferibili all'imprenditore, non è mai stata trasmessa, comunicata o comunque portata a conoscenza della procura della Repubblica di Roma» (Ansa 14 maggio 2010 alle ore 13,21 dal titolo: Inchiesta G8: Procura Roma, Lista Anemone a noi sconosciuta);
          tuttavia, in un articolo pubblicato il 18 maggio 2010 dal quotidiano La Repubblica a firma di Francesco Viviano dal titolo: «La lista Anemone insabbiata – così sparì nel porto delle nebbie», occhiello «La Guardia di Finanza: fu consegnata al procuratore aggiunto di Roma Achille Toro, adesso indagato a Perugia per abuso d'ufficio e corruzione», si può leggere tra l'altro: «“Adesso basta, siamo stanchi di passare per insabbiatori, qualche mela marcia nel nostro Corpo c’è ma la stragrande maggioranza di noi rispetta il giuramento fatto allo Stato. Il libro mastro di Anemone, quella lista con i 412 nomi, era stato consegnato nel 2008 in Procura a Roma”. Come dire: è lì che la lista si è fermata, riposta in qualche cassetto e dimenticata. E così, dal fitto riserbo della Guardia di finanza trapela un'accusa pesante, che sarà presto verificata dai pubblici ministeri di Perugia e Firenze, pronti a interrogare generali ed ufficiali delle Fiamme Gialle: ad insabbiare quell'elenco che ha provocato un vero e proprio terremoto politico-giudiziario, sarebbe stata la procura di Roma. Quell'elenco sarebbe stato consegnato nel 2008 al procuratore aggiunto della capitale, Achille Toro. Il magistrato si è dimesso dall'ordine giudiziario nel febbraio scorso dopo essere stato indagato con l'accusa di essere la talpa del gruppo di cui facevano parte i funzionari pubblici Angelo Balducci, Fabio De Santis, Mauro Della Giovampaola e l'imprenditore Diego Anemone. È a lui, secondo quanto trapela dall'interno della Guardia di Finanza, che l'elenco fu consegnato. Le Fiamme Gialle lo avevano appena ritrovato tra il materiale sequestrato negli uffici di Anemone. Dentro, 412 nomi di vip che avrebbero ricevuto omaggi e favori, per ristrutturare case (anche se molti hanno dimostrato di avere pagato regolarmente) o addirittura per comprarle (vedi i 900 mila euro girati da Anemone a Scajola per l'acquisto della casa con vista sul Colosseo). Solo che quell'elenco poi è sparito: i pubblici ministeri romani coordinati da Achille Toro, così hanno sostenuto in un recente interrogatorio a Perugia, non lo hanno mai visto. “Controllo operato il giorno 14 ottobre 2008 nei confronti delle imprese di Anemone Diego e del fratello Daniele” è scritto nel lungo rapporto dei Ros di Firenze che hanno indagato sui Grandi eventi, dal G8 ai Mondiali di nuoto alla Scuola dei marescialli di Firenze. Quel giorno, alle ore 10,33, annotano i carabinieri del Ros, Daniele Anemone informa il fratello Diego che si trovava alla Maddalena per seguire da vicino i lavori per il G8, che la Guardia di finanza era negli uffici romani del gruppo Anemone ed anche in quelli del commercialista Stefano Gazzani»;
          secondo notizie di stampa sarebbero almeno 15 le rogatorie partite per il Lussemburgo, la Svizzera, il Belgio, la Francia, San Marino, e persino la Tunisia, perché proprio lì, nel Nord dell'Africa, secondo il racconto dell'ex autista di Angelo Balducci, Laid Ben Hidri Fathi, il suo datore di lavoro e i soci potrebbero aver investito, e molto;
          quello che per i magistrati si presenta come il principale nodo da risolvere è riuscire a ottenere informazioni dalla Città del Vaticano, e in particolare dalla sua banca, lo Ior. I pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavernesi avrebbero già pronta una rogatoria per lo Stato oltretevere, perché ritengono che il deus di tutta questa operazione, ovvero Balducci, grazie ai buoni uffici ed alla carica di «Gentiluomo del Papa», possa aver trasferito proprio in quelle casseforti buona parte delle sue rendite. È stato lui stesso, infatti, a parlare di un conto corrente di sua proprietà allo Ior. Lo ha fatto con il pubblico ministero Henry John Woodcock, mentre questo indagava a Potenza su uno strano affare immobiliare che coinvolgeva massoni internazionali e servizi segreti;
          secondo notizie di stampa, ed in particolare l'articolo dei Il Messaggero del 17 maggio 2010, «Dalla ricostruzione fatta dal pubblico ministero, i cui atti sono stati acquisiti dalla procura umbra, il ruolo di intermediario in questa vicenda venne assunto da monsignor Franco Camaldo, prelato d'onore di Sua Santità e cerimoniere pontificio, che divenne poi – sempre secondo l'accusa – il beneficiario di un pagamento di 380 mila euro che sarebbe stato «offerto» per coprire i debiti derivati dall'acquisto di una villa dove avrebbe dovuto avere sede un nuova loggia massonica. Un affare mai realizzato che sembra potersi ricollegare a un assegno dello stesso importo, che avrebbe avuto uguale finalità, che è stato individuato su un conto corrente della Deutsche bank, datato Merano e intestato a una società del posto»;
          sembra ormai «un fatto certo» che la procura voglia puntare sulla banca vaticana, anche «perché buona parte dei lavori eseguiti per i Grandi eventi fanno riferimento a immobili e beni dello Stato pontificio. La risposta a una rogatoria è attesa anche per la posizione di don Evaldo Biasini, il quale potrebbe risultare prestanome e custode all'estero di altri conti.» (quest'ultimo è stato soprannominato «il prete bancomat») L'articolo prosegue inoltre: «Come si vogliono conoscere i movimenti di denari su eventuali banche estere del coordinatore del Pdl, Denis Verdini. Il suo nome compare nelle dieci pagine di rogatorie inviate dalle procure di Perugia e Firenze in Lussemburgo. Insieme con il parlamentare compaiono l'ex procuratore aggiunto della Capitale, Achille Toro, suo figlio Camillo, Fabio De Santis, Riccardo Fusi, Guido Cerruti e alcuni altri personaggi che farebbero parte della «cricca». Sono tanti i soldi che gli inquirenti stanno cercando di rintracciare nei 1.143 rapporti bancari. Di questi, 263 sono ricollegabili a Balducci, Anemone, e a loro amici e parenti. E almeno trenta sono quelli intestati alla segretaria del costruttore, Alida Lucci. L'ex provveditore ai lavori pubblici risulta intestatario di un conto presso il Bank Julius di Zurigo, grazie ai prestanome Roberto Di Mario e Maria Letizia Confronte. Mentre non si sa ancora molto di un conto a San Marino, riferibile alla famiglia dell'ex Commissario per i mondiali di nuoto, Claudio Rinaldi e a sua madre Mimma Giordani. Le autorità bancarie del Lussemburgo hanno già comunicato che Balducci e Rinaldi hanno chiuso due conti presso l'Unicredit Luxembourg Sa, grazie allo Scudo fiscale. Ne rimangono aperti due a nome «Cordusio Spa», intestati sempre a loro, il primo contenente 3 milioni di euro, e il secondo oltre due. A Rinaldi appartiene anche un conto svizzero all'Ubs. Inoltre, è stato segnalato un passaggio di titoli azionari dal conto dell'ex Commissario a quello di Balducci per oltre 900 mila euro. L'Unità di informazione finanziaria delegata ai rapporti con l'esterno ha segnalato anche altri versamenti «anomali» effettuati in contanti, a distanza di poche ore. Rinaldi, ad esempio, riceve 300 mila euro il 2 aprile del 2003. Il giorno dopo Balducci ne versa 738 mila in contanti sul suo conto. La coincidenza si ripete in più di una circostanza: il 25 marzo del 2003 a Balducci vengono accreditati 526 mila euro, e lo stesso giorno Rinaldi riceve sul suo conto 250 mila euro  –:
          se il Governo non ritenga necessario che non vengano in alcun modo ostacolate le 15 rogatorie richieste dai magistrati di Perugia e partite per il Lussemburgo, la Svizzera, il Belgio, la Francia, San Marino, la Tunisia e lo Ior, la banca del Vaticano, per ottenere documentazione e tracciabilità bancaria, anche finalizzata a rintracciare i 1.143 rapporti bancari, dei quali 263 sono ricollegabili a Balducci, Anemone, a loro amici e parenti ed almeno 30 sono intestati alla segretaria del costruttore, Alida Lucci, mentre l'ex provveditore ai lavori pubblici risulta intestatario di un conto presso il Bank Julius di Zurigo, grazie ai prestanome Roberto Di Mario e Maria Letizia;
          se risulti che la cosiddetta «cricca degli appalti», che sembra aver esportato i soldi all'estero tramite i normali canali bancari ed essersi avvalsa del terzo scudo fiscale per ripulire i proventi di attività illecite, non abbia altresì trovato ausilio indiretto nelle larghe maglie dei controlli di vigilanza, e, infine, se il Governo, anche sulla base del rapporto trasmesso dall'Unità di informazione antiriciclaggio della Banca d'Italia (Uif) al Ministro dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo n.  231 del 2007, sia a conoscenza di quante segnalazioni in merito all'attività di antiriciclaggio siano state effettuate da parte della citata Unità di informazione, preposta alle attività di prevenzione, e quanti rapporti siano stati effettuati da parte della stessa Uif alla magistratura penale, posto che, in alcuni casi più gravi e controversi, gli ispettori di via Nazionale riferiscono al Governatore della Banca d'Italia invece che all'autorità giudiziaria. (5-07131)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere se non ritengano doveroso fornire l'elenco storico delle richieste di rogatoria internazionale nei confronti dello Stato Città del Vaticano e/o della Santa Sede, le ragioni della richiesta e le relative risposte. (5-07132)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 22 settembre 2010 sul quotidiano della Santa Sede – L'osservatore romano – è stato pubblicato il seguente «Comunicato della Segreteria di Stato»;
          «È nota la chiara volontà, più volte manifestata da parte delle autorità della Santa Sede, di piena trasparenza per quanto riguarda le operazioni finanziarie dell'Istituto per le Opere di Religione (Ior). Ciò richiede che siano messe in atto tutte le procedure finalizzate a prevenire terrorismo e riciclaggio di capitali. Per questo le autorità dello Ior da tempo si stanno adoperando nei necessari contatti e incontri, sia con la Banca d'Italia sia con gli organismi internazionali competenti – Organization for Economic Cooperation and Development (Oecd) e Gruppo di azione finanziaria internazionale contro il riciclaggio di capitali (Gafi) – per l'inserimento della Santa Sede nella cosiddetta White List. La Santa Sede manifesta perciò perplessità e meraviglia per l'iniziativa della Procura di Roma, tenendo conto che i dati informativi necessari sono già disponibili presso l'ufficio competente della Banca d'Italia, e operazioni analoghe hanno luogo correntemente con altri istituti di credito italiani. Quanto poi agli importi citati si fa presente che si tratta di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior. La Santa Sede tiene perciò a esprimere la massima fiducia nel presidente e nel direttore generale dello Ior.»  –:
          se, nell'ambito delle proprie relazioni diplomatiche, intenda chiedere alla Santa Sede se trovi applicazione anche nei confronti dello IOR la «Convenzione monetaria tra l'Unione europea e lo Stato della Città del Vaticano», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 4 febbraio 2010 (2010/C 28/05). (5-07133)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          in data 6 ottobre 2010 il vicepresidente iraniano Mohammad Reza Mirtajoddin, ricevuto da Benedetto XVI al termine dell'udienza generale, gli consegnava una lettera da parte del presidente della repubblica iraniana Mahmud Ahmadinejad con la quale propone una «collaborazione fra religioni divine» per fermare «il secolarismo, l'umanesimo estremista occidentale e la crescente tendenza dell'uomo a concentrarsi solo sulla vita materiale». Obiettivo «terreno» è quello di «cambiare le strutture tiranniche che governano il pianeta»;
          in data 22 ottobre 2010, il quotidiano della Santa Sede L'Osservatore romano ha pubblicato un articolo scritto dal Ministro degli affari esteri, onorevole Franco Frattini, dal titolo la libertà di promuovere la pace;
          in tale articolo il Ministro scriveva: «I cristiani dovranno essere consapevoli anche di ricercare con i musulmani un'intesa su come contrastare quegli aspetti che, al pari dell'estremismo, minacciano la società. Mi riferisco all'ateismo, al materialismo e al relativismo. Cristiani, musulmani ed ebrei possono lavorare per raggiungere questo comune obiettivo. Credo che occorra un nuovo umanesimo per contrastare questi fenomeni perversi, perché soltanto la centralità della persona umana è un antidoto che previene il fanatismo e l'intolleranza;
          tale articolo è stato ripreso integralmente sul sito internet del Ministero e segnalato in home page;
          ad avviso degli interroganti tali dichiarazioni costituiscono una pesante denigrazione dei circa dieci milioni di italiani che non si identificano in alcuna religione;
          sempre ad avviso degli interroganti le parole del Ministro Frattini si pongono in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione sull'uguaglianza di tutti i cittadini, l'articolo 19 della stessa Costituzione sulla libertà religiosa (che la Corte costituzionale ha esteso, con sentenza n.  117/1979, alla «libertà di coscienza dei non credenti»), nonché con il supremo principio costituzionale della laicità dello Stato;
          tali affermazioni trasmettono il messaggio che i cittadini non credenti devono invece essere considerati titolari di diritti inferiori rispetto ai cittadini credenti;
          tali frasi possono creare secondo gli interroganti un clima intimidatorio nei confronti dei cittadini non credenti;
          nel rilevare che «solo l'Italia tra i Paesi fondatori dell'Unione europea ha sottoscritto il ricorso» contro la sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha stabilito che la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche costituisce una violazione della libertà religiosa, secondo gli interroganti, la politica religiosa del governo è troppo ossequiosa delle gerarchie della Chiesa cattolica, tanto da spingere a dichiarazioni in contrasto con la libertà di coscienza riconosciuta nelle convenzioni internazionali sottoscritte dallo Stato italiano;
          appare inopportuno che il Ministro degli affari esteri italiano scriva articoli di questo tipo sul quotidiano ufficiale di un altro Stato, e di quella stessa confessione religiosa verso cui vanno le attenzioni del Governo a cui appartiene;
          appare altresì preoccupante la consonanza delle parole del presidente iraniano e del Ministro degli esteri italiano su una materia così delicata  –:
          se le dichiarazioni rese dal Ministro degli affari esteri siano state concordate con il Presidente del Consiglio dei ministri come previsto dall'articolo 5, comma 2, lettera d), della legge n.  400 del 1998;
          se vi siano effettivamente in corso iniziative politiche comuni volte al raggiungimento del comune obiettivo, delineato dal Ministro degli affari esteri.
(5-07135)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          a Roma, in via Filippo Baldelli nelle immediate adiacenze della Basilica di San Paolo, è in corso l'edificazione di un imponente complesso edilizio, composto da una pluralità di costruzioni, variabili da due a quattro piani fuori terra per alcuni centinaia di metri di lunghezza;
          l'area su cui si sta edificando è di grande interesse storico e culturale: in epoca romana era infatti occupata da un vasto cimitero subdiale, in uso costante dal I secolo a.C. al III secolo d.C. ma sporadicamente riutilizzato, soprattutto per la costruzione di mausolei, fino alla tarda antichità. Era un cimitero esteso e comprendeva diverse tipologie di tombe, dai colombari di famiglia a piccole cappelle funerarie spesso affrescate e decorate con stucchi. La quasi totalità di quest'area sepolcrale è ancora sepolta (per la gran parte sotto il livello del vicino Tevere), ed è stimata estendersi sotto tutta l'area della basilica e della zona circostante. Una minima ma significativa parte di essa è visibile lungo la Via Ostiense, appena fuori del transetto nord della basilica;
          l'edificio in costruzione contrasta in maniera abnorme con i vincoli urbanistici, ambientali e paesaggistici previsti dalle normative nazionali nonché con le disposizioni a tutela dei beni culturali: l'area interessata, infatti, deve ritenersi particolarmente protetta per la presenza nelle adiacenze della Basilica di San Paolo fuori le mura, la cui figura è coperta proprio dall'edificio in costruzione;
          in data 27 maggio, il segretario di Radicali Italiani Mario Staderini ha presentato un esposto ed una richiesta di intervento all'Ufficio antiabusivismo edilizio presso il comune di Roma, all'U.O. 11 gruppo della polizia municipale di Roma, al Direttore generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanea, al sovrintendente speciale per il patrimonio artistico, storico della città di Roma, al Ministro per i beni culturali;
          in data 5 agosto 2010 il signor Mario Staderini ha presentato un esposto alla procura di Roma relativo ai fatti in oggetto;
          in data 29 settembre è stato trasmesso sulle emittenti Mediaset un servizio de Le Iene da cui si evinceva che gli edifici in costruzione erano commissionati da enti appartenenti al Vaticano in assenza delle previste autorizzazioni, come dichiarato dal presidente del Municipio Roma XI e poi confermato con suo esposto in procura, e che nell'ambito dei lavori erano stati ritrovati importanti e numerosi reperti archeologici;
          in data 30 settembre il signor Staderini ha scritto al Ministro degli affari esteri chiedendo di intervenire coinvolgendo il corpo diplomatico nonché, trattandosi di un episodio non isolato (episodio analogo si è verificato lo scorso anno con riferimento al palazzo del Vicariato sito a pochi metri dal Pantheon, quando gli agenti di polizia municipale inviati dal sindaco di Roma per verificare la legittimità di una sopraelevazione furono respinti dalle autorità vaticane), chiedendo di valutare la possibilità di denunciare la violazione dell'articolo 16 del Trattato lateranense, essendo venuto meno l'affidamento da parte dello Stato italiano nelle nobili tradizioni artistiche della Chiesa cattolica;
          in data 4 ottobre 2010 la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, con nota prot. MBAC-DR-LAZ- n.  0016322, ha comunicato al signor Staderini che «in seguito alla sua segnalazione questa Direzione sulla base delle verifiche effettuate dalle preposte Sovrintendenze, ha riscontrato quanto segue. Le soprintendenze informano che agli atti in archivio non risultano richieste di parere o comunicazioni in merito alle opere in argomento, segnalando comunque che l'erigenda costruzione risulta ricadere in un area di proprietà della Santa sede apostolica e della Basilica patriarcale di San Paolo, con privilegio di extraterritorialità ai sensi del Concordato tra la Repubblica italiana e la Santa Sede»;
          la Basilica di San Paolo rientra in quanto previsto agli articoli 15 e 16 del Trattato Lateranense;
          l'area della Basilica di San Paolo è inserita dall'Unesco tra i patrimoni dell'umanità, definizione che rischia di perdere a causa dell'edificazione in corso;
          la Basilica di San Paolo non è definibile come extraterritoriale, ricadendo pienamente nel territorio italiano, bensì ai sensi dell'articolo 15 del Trattato gode esclusivamente delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri;
          tra le immunità garantite non v’è certo la libertà di edificare, essendo notorio nel diritto internazionale che le sedi diplomatiche debbano comunque sottostare alle disposizioni nazionali in materia di sicurezza, edilizia e sanità. L'articolo 15 del Trattato, infatti opera un rinvio alle norme tanto pattizie che consuetudinarie, che regolano il diritto diplomatico, estendendone l'ambito di applicazione oggettivo. In particolare, viene qui in rilievo la Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche, convenzione di cui sono parte tanto l'Italia che la Santa Sede e che è generalmente ritenuta costituire una puntuale codificazione del diritto internazionale generale in materia. La Convenzione è chiara nel porre a carico della missione diplomatica e dei suoi membri l'obbligo generale di rispettare le leggi ed i regolamenti dello Stato ospite (articolo 41, 1) salvo le eccezioni espressamente previste, tra le quali non rientra la deroga alla legislazione urbanistica ed edilizia. Tale regola generale conforma anche i rapporti tra Stato italiano e Santa Sede. Non solo infatti la lettera dello stesso trattato del Laterano, nel momento in cui riconosce uno status particolare ad alcuni immobili, ne riconosce l'appartenenza al territorio italiano e dunque la sottoposizione alla legge italiana; ma tale applicabilità trova anche conferma in una prassi costante, nonostante i tentativi esperiti dalla Santa Sede di recuperare in più occasioni la nozione superata di extraterritorialità; si vedano da ultimo i processi relativi alle responsabilità per l'inquinamento elettromagnetico prodotto dagli impianti di Radio Vaticana (anch'essi soggetti in base ad un ulteriore accordo bilaterale al regime previsto dal Trattato del Laterano) in cui l'eccezioni volte ad escludere l'applicazione della normativa italiana in materia o la giurisdizione italiana sono state ad oggi integralmente rigettate, tanto dalle corti di merito che dalla corte di Cassazione;
          le facoltà riconosciute dal Trattato, dunque, non fanno riferimento alla libertà di edificare, ma esclusivamente all'assetto (a cubature invariate) degli immobili già esistenti e non certo a nuove costruzioni, rimanendo in ogni caso in vigore le norme urbanistiche ed a tutela del paesaggio dell'ordinamento italiano;
          la previsione dell'articolo 16 del Trattato lateranense, il quale prevede che «È in facoltà della Santa Sede di dare a tutti i suddetti immobili, indicati nel presente articolo e nei tre articoli precedenti, l'assetto che creda, senza bisogno di autorizzazioni o consensi da parte di autorità governative, provinciali e comunali Italiane, le quali possono all'uopo fare sicuro assegnamento sulle nobili tradizioni artistiche che vanta la Chiesa Cattolica», ricomprende dunque gli interventi in manutenzione ordinaria e straordinaria sugli edifici elencati espressamente nel Trattato ma non anche l'edificazione di nuovi volumi, considerato che le norme cui rinvia l'articolo 16 operano un elenco puntuale dei singoli edifici (più che dei terreni) riconosciuti in proprietà alla Santa Sede e sottoposti al regime convenzionale;
          in risposta all'interrogazione 4-01256 presentata dall'onorevole Maurizio Turco, il Governo ha affermato che, con riferimento a quanto previsto all'articolo 16 del Trattato, «per quanto poi concerne la locuzione “è in facoltà della Santa Sede dare a questi immobili l'assetto che creda”, la Santa Sede – pur nella sua autonomia di gestione nella sistemazione degli immobili come affermato negli articoli citati – è chiamata appunto alle sue “nobili tradizioni artistiche”»;
          il riferimento alle «nobili tradizioni artistiche della Chiesa Cattolica» costituisce in ogni caso un limite alla facoltà riconosciuta alla Santa Sede, e dunque in mancanza di rispetto – ad esempio in presenza di un palese scempio edilizio – rimarrebbe aperta la possibilità per lo Stato italiano di contestare l'inadempimento di controparte e di procedere dunque con le ordinarie vie diplomatiche per richiedere il pieno rispetto degli impegni assunti. In tali casi gli strumenti tipici previsti dal diritto internazionale dei trattati e della responsabilità vanno dalla sospensione dell'accordo in funzione di contromisura all'estrema ratio della sua denuncia  –:
          quali reperti archeologici siano stati ritrovati durante i lavori di edificazione e se agli stessi lavori abbiano assistito funzionari delle Soprintendenze preposte;
          quali iniziative sono state assunte o verranno assunte dal Governo italiano nei confronti dello Stato Città del Vaticano in virtù della violazione dell'articolo 15 del Trattato, nella parte in cui non consente nuove edificazioni in violazione assoluta delle norme in materia urbanistica, ambientale e paesaggistica, e in ogni caso alla luce dell'evidente mutamento del paesaggio e danneggiamento di beni culturali siti in territorio italiano;
          se non ritenga che le ripetute condotte dello Stato Città del Vaticano, ad avviso degli interroganti, in spregio non solo alle norme ma anche alle «nobili tradizioni artistiche della Chiesa cattolica» rendano necessario che lo Stato italiano contesti attraverso le vie diplomatiche l'inadempimento delle norme pattizie, sospendendo almeno in parte de qua il Trattato. (5-07136)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          da un'inchiesta del quotidiano La Repubblica di Fabio Tonacci e Francesco Viviano si apprende:
              a) che in data 16 dicembre 2011 il sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Luca Tescaroli, con lettera inoltrata al direttore dell'Ufficio II, della direzione affari generali del Ministero della giustizia, ha sollecitato l'evasione di tre richieste di commissione rogatoria «de quibus» del 20 novembre 2008, 23 gennaio 2004, 28 novembre 2002 in relazione al procedimento relativo all'omicidio di Roberto Calvi, indispensabili per ricostruire il flusso di denaro della mafia transitato, a scopo riciclaggio, su alcuni conti segreti dello Ior, l'Istituto per le Opere di Religione;
              b) nel maggio del 2010 la procura di Roma apre un'indagine sui rapporti sospetti tra lo Ior e dieci banche italiane, tra cui figurano i colossi Unicredit e Intesa San Paolo, oltre a realtà più modeste come la Banca del Fucino. L'istituto vaticano viene accusato di usare in modo cumulativo, senza fornire i dati per identificare i soggetti che vi facevano transitare i soldi, un conto corrente aperto nella filiale 204 dell'ex Banca di Roma (oggi Unicredit) in via della Conciliazione, a ridosso delle mura Leonine. Violando così la normativa antiriciclaggio. In due anni su quel conto sono passati 180 milioni di euro. Il sospetto della magistratura è che soggetti con residenza fiscale in Italia abbiano usato o usino tuttora lo Ior come «schermo» per nascondere i soldi dell'evasione fiscale o i proventi di truffe. Ma tutto si ferma perché i pubblici ministeri italiani non hanno competenza a indagare sullo Ior senza una rogatoria internazionale, a causa della sua natura formalmente estera. Il 20 settembre 2010 ancora la procura della capitale, su segnalazione della Banca d'Italia, dispone il sequestro preventivo (non eseguito) di 23 milioni di euro depositati su un conto presso la filiale romana del Credito Artigiano spa intestato allo Ior. Il sospetto è che anche in questo caso venga violata la norma antiriciclaggio; nel mirino dei pubblici ministeri due operazioni di trasferimento di 20 milioni di euro alla JP Morgan di Francoforte e di altri tre milioni alla Banca del Fucino. Vengono indagati il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, e il direttore generale Paolo Cipriani;
          «La Santa Sede – sottolinea il Vaticano – manifesta perplessità per l'iniziativa della procura di Roma, i dati informativi necessari sono già disponibili presso l'ufficio competente della Banca d'Italia. Quanto agli importi citati, si tratta di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior»;
          sul sito dello Stato Città del Vaticano:
              c) alla voce «Organi dello Stato» si legge che «La forma di governo è la monarchia assoluta. Capo dello Stato è il Sommo Pontefice, che ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario»; ad avviso degli interroganti un Paese con tali caratteristiche non potrebbe oggettivamene dare le garanzie richieste per ottemperare alle normative internazionali antiriciclaggio (www.vaticanstate.va/IT/Stato–e–Governo/OrganidelloStato/);
              d) alla voce «Organigramma dello Stato» risulta a tutt'oggi presente tra i Consiglieri dello Stato il professor Massimo Vari (http://www.vaticanstate.va/ IT/Stato–e–Governo/StrutturadelGovernatorato/Organigramma/organigramma–stato.htm);
              e) che in particolare sulle questioni relative al riciclaggio è da rilevare che – in relazione alla domanda della Santa sede di far parte del gruppo Moneyval del Consiglio d'Europa, presso il quale la Santa sede ha lo status di osservatore dal 7 marzo 1970 – il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha accolto «la domanda della Santa sede (compreso lo Stato Città del Vaticano)»;
          gli interroganti hanno presentato su argomenti analoghi diverse interrogazioni alle quali il precedente Governo non ha reso risposta; si tratta in particolare dell'interrogazione 4-00070 del 29 aprile 2008 la cui risposta è stata sollecita 28 volte, dell'interrogazione 4-05327 del 9 dicembre 2009 la cui risposta è stata sollecitata 16 volte, dell'interrogazione 4-07270 del 19 maggio 2010 la cui risposta è stata sollecitata 11 volte, dell'interrogazione 4-08077 del 19 luglio 2010 la cui risposta è stata sollecitata 11 volte dell'interrogazione 4-08905 del 5 ottobre 2010 la cui risposta è stata sollecitata 10 volte  –:
          sul punto a) se e quali iniziative intenda prendere e, nel caso le prendesse e non dovesse ricevere risposta, quali ulteriori iniziative la Repubblica italiana potrebbe assumere;
          sul punto b) se risulti a che punto sia la procedura giudiziaria;
          sul punto c) se il Governo intrattenga rapporti con altri Paesi retti da una monarchia assoluta;
          sul punto d) se il Sottosegretario allo sviluppo economico, professor Massimo Vari, continui a svolgere le funzioni di Consigliere dello stato Città del Vaticano e, se del caso, quali iniziative intenda assumere;
          sul punto e) se non ritenga che la mancata risposta alle richieste di rogatoria da parte dello Stato Città del Vaticano consenta di rivolgersi alla Santa sede, con la quale la Repubblica italiana ha concordato in essere. (5-07137)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 31 gennaio 2012 sul quotidiano il fatto quotidiano è stato pubblicato un articolo di Marco Lillo «Norme antiriciclaggio: è la Santa sede a imporre le sue condizioni all'Italia» dal quale si evince che:
              a)    il quotidiano è entrato in possesso di un documento riservato – «Memo sui rapporti IOR-AIF» – dal quale emerge il rifiuto del Vaticano a dare informazioni allo Stato per le vicende antecedenti al primo aprile 2011, ovvero da quando è entrato in vigore il nuovo organismo per la trasparenza finanziaria voluto da Papa Benedetto XVI;
              b) il Governo Monti dovrebbe fare la voce grossa e ottenere il rispetto degli impegni assunti in materia di antiriciclaggio, ma c’è un piccolo particolare: il Ministro della giustizia, che dovrebbe essere in prima linea in questa battaglia, è stato l'avvocato del presidente della banca vaticana (lo IOR) Ettore Gotti Tedeschi;
              c)    il «Memo sui rapporti IOR-AIF» ed è un documento «confidenziale» e «riservato» circolato negli uffici del Papa e della segreteria di Stato e annotato a penna da una mano che – secondo gli esperti di cose Vaticane – potrebbe essere quella di monsignor Georg Ganswein, il segretario di Benedetto XVI. È stato scritto da un personaggio molto in alto che si può permettere di sottoporre la sua analisi ai vertici del Vaticano. Al di là di chi sia l'autore, il «memo» dimostra che il Papa, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, il presidente dello AIF, l'autorità di controllo antiriciclaggio, Attilio Nicora e i vertici dello IOR sono tutti a conoscenza della linea sul fronte antiriciclaggio che si può sintetizzare così: non si deve collaborare con la giustizia italiana per tutto quello che è successo allo IOR fino all'aprile 2011;
              d) il «memo», come dimostrano le note appuntate a penna dalla segreteria del Santo Padre, è stato «Discusso con SER (Sua Eminenza Reverendissima) il Cardinale Bertone il 3 novembre» 2011. L'autore della nota, favorevole a una maggiore apertura verso Bankitalia e le Procure, aggiunge: Bertone «si è trovato d'accordo sulle mie considerazioni ! Incontrerà SER il cardinale Attilio Nicora (Presidente dell'AIF) e il direttore AIF (Francesco Ndr) De Pasquale». Il memo, così annotato, è stato poi girato, al presidente dello IOR e al direttore dell'AIF. Basta scorrere il testo per capire la rilevanza della partita in gioco: «Dall'entrata in vigore della legge vaticana anti-riciclaggio, avvenuta il primo aprile 2011, si sono tenuti numerosi incontri tra lo IOR e l'AIF (Autorità creata dalla nuova legge del Vaticano, ndr), rivolti da una parte a dimostrare alla nuova Autorità le iniziative intraprese per l'adeguamento delle procedure interne alle misure introdotte dalla legge...»,
          in questa prima parte il memo ripercorre la vicenda del mutamento della normativa antiriciclaggio, intervenuto sotto la spinta dell'indagine della procura di Roma. Il pubblico ministero Stefano Rocco Fava e il procuratore aggiunto Nello Rossi – a settembre del 2010 – avevamo sequestrato 23 milioni di euro che stavano per essere trasferiti dal conto dello IOR presso il Credito Artigiano alla Jp Morgan di Francoforte (20 milioni di euro) e alla Banca del Fucino (3 milioni) e aveva indagato il presidente IOR, Ettore Gotti Tedeschi e il direttore Cipriani. Secondo i pubblici ministeri, lo IOR si era rifiutato di dire «le generalità dei soggetti per conto dei quali eventualmente davano esecuzioni alle operazioni». Cioè chi era il reale proprietario dei soldi;
          dalle indagini della Guardia di finanza emergeva un quadro inquietante: lo IOR mescolava sul suo conto al Credito Artigiano i 15 milioni di euro provenienti dalla CEI, e frutto dell'8 per mille dei contribuenti italiani, con fondi di soggetti diversi. Non solo: da altre operazioni emergeva che lo IOR funzionava come una fiduciaria e i suoi conti erano stati usati per schermare persino i proventi di una presunta truffa allo Stato italiano realizzata dal padre e dallo zio (condannato per fatti di mafia) di don Orazio Bonaccorsi;
          di fronte a un simile scenario, i pubblici ministeri romani si erano opposti al dissequestro dei 23 milioni di euro nonostante le dotte motivazioni dell'avvocato del presidente dello IOR, il professor Paola Severino. Il Ministro ora ha lasciato lo studio e si è cancellato dall'Albo, anche se non ha comunicato alla procura chi la sostituirà nella difesa di Gotti Tedeschi. A sbloccare la situazione comunque non fu l'avvocato Severino ma il Papa in persona. Con una lettera apostolica per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario il 30 dicembre 2010, Benedetto XVI ha istituito l'Autorità di informazione finanziaria (AIF), per il contrasto del riciclaggio. I pubblici ministeri romani motivarono così il loro parere favorevole al dissequestro nel maggio 2011: «L'AIF ha già iniziato una collaborazione con l'UIF fornendo informazioni adeguate su di un'operazione intercorsa tra IOR e istituti italiani e oggetto di attenzione»;
          peccato che, un minuto dopo essere rientrato in possesso dei suoi 23 milioni di euro, lo IOR ha cambiato completamente atteggiamento. Tanto che in procura non si nasconde il disappunto per quel dissequestro «sulla fiducia». Ora si scopre che la giravolta vaticana è una scelta consapevole delle gerarchie, come spiega lo stesso «memo» discusso dai cardinali Nicora e Bertone e dallo stesso Gotti Tedeschi. «L'AIF (...) ha inoltrato allo IOR alcune richieste di informazioni relative a fondi aperti presso l'Istituto, cui quest'ultimo ha corrisposto, consentendo tra l'altro lo sblocco dei fondi sequestrati dalla Procura di Roma (...) Ultimamente, tuttavia la Direzione dell'Istituto ha ritenuto di riscontrare le richieste dell'AIF – relative ad operazioni sospette o per le quali sono in corso procedimenti giudiziari – fornendo informazioni soltanto su operazioni effettuate dal primo aprile 2011 in avanti. Nel corso dell'ultimo incontro tra IOR e AIF del 19 ottobre u.s. tale posizione è stata sostenuta dall'avvocato Michele Briamonte (dello studio Grande Stevens, ndr), sulla base di un generale principio di irretroattività della legge, per il quale le misure introdotte dalla legge antiriciclaggio, (...) non possono valere che per l'avvenire»;
          questa linea interpretativa, ovviamente, ostacola enormemente il lavoro degli investigatori italiani e l'AIF ne è consapevole tanto che, come si evince dal «memo», ha ribadito «il proprio diritto/dovere ad accedere a tutti i dati e le informazioni in possesso dello IOR (...) motivando tale posizione con argomentazioni attinenti alla lettera e alla ratio della legge, al rispetto degli standard internazionali cui la Santa Sede ha aderito, allo svuotamento dell'effettività della disciplina appena introdotta, al rischio di una valutazione negativa dell'organismo internazionale chiamato a esaminare il sistema Vaticano di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo». Purtroppo l'operazione trasparenza, secondo quanto appare agli interroganti, era solo uno specchietto per le allodole. Nel frattempo il Vaticano ha spostato la sua operatività dalle banche italiane alla JP Morgan, soprattutto a Francoforte. La banca americana ha però un solo sportello (non accessibile alla clientela comune) a Milano, che è già finito, da quello che risulta al Fatto, nel mirino dell'attività ispettiva della Banca d'Italia. E così il 25 gennaio 2012 è stato pubblicato un decreto pontificio che ha ratificato tre convenzioni contro il riciclaggio. Sembra ci sia anche un articolo sull'obbligo di «adeguata verifica» prima del fatidico primo aprile. In procura però stavolta non si fidano;
          tutte le valutazioni relative allo status internazionale della Santa sede sono state già fatte presenti nella interrogazione a risposta scritta 4-14439 –:
          quali iniziative intenda prendere di fronte a quello che appare agli interroganti un sostanziale tentativo di eludere le leggi italiane. (5-07138)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 9 febbraio la sala stampa della Santa sede, riferendosi ad alcune affermazioni fatte nella trasmissione «Gli Intoccabili» di La7 condotta dal giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del famoso bestseller Vaticano spa, ha rilasciato un comunicato stampa nel quale tra l'altro si sostiene che:
              1. l'affermazione che lo I.O.R. è una banca non corrisponde a verità; lo I.O.R. è una Fondazione di diritto sia civile che canonico regolata da un proprio statuto; non mantiene riserve e non concede prestiti come una banca. Tanto meno è una «banca off-shore». (...) Lo I.O.R. si trova all'interno di una giurisdizione sovrana e opera in un quadro normativo e regolamentare, che comprende anche la legge antiriciclaggio vaticana. Quest'ultima, la legge CXXVII, è stata adottata proprio per essere in linea con gli standard internazionali;
              2. L'insinuazione che le normative vaticane non consentirebbero le indagini o i procedimenti penali relativi a periodi precedenti all'entrata in vigore della legge CXXVII (1o aprile 2011), non corrisponde a verità. (...) Per quanto riguarda la cooperazione tra lo I.O.R. e l'A.I.F., lo I.O.R. ha cooperato nel fornire informazioni su transazioni avvenute anche prima di tale data. Le affermazioni fatte durante la trasmissione non corrispondono quindi a verità: secondo la normativa vaticana in materia di antiriciclaggio l'Autorità giudiziaria vaticana ha il potere di indagare anche transazioni sospette avvenute in periodi precedenti al 1o aprile 2011, e ciò anche nel quadro della cooperazione internazionale con i giudici di altri Stati, inclusa l'Italia;
              3. i rapporti dello I.O.R. con banche non italiane sono sempre stati attivi e, a differenza di quanto è stato affermato, è stata ridotta solo limitatamente l'attività con le banche italiane. Lo I.O.R., così come fanno anche gli enti finanziari italiani, si avvale dei servizi di banche estere (italiane e non) quando essi sono più efficienti e a minor costo. Tutti i movimenti in contanti, poi, sono certificati con documenti doganali. Come prassi, tutti i movimenti di denaro sono regolarmente tracciati ed archiviati;
              4. per quanto riguarda la norma che regola il movimento di denaro contante, è importante precisare che lo I.O.R. controlla e controllava anche i movimenti frazionati (cosiddetto step transactions) per un totale di 15.000 nei dieci giorni consecutivi. Per di più, l'articolo 28, comma 1, lettera b), del nuovo testo della Legge CXXVII, modificato per decreto del presidente del Governatorato il 26 gennaio 2012, stabilisce che i soggetti sottoposti agli obblighi della medesima legge (tra i quali lo I.O.R.) devono eseguire «gli obblighi di adeguata verifica: ...quando eseguono transazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore ad euro 15.000, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una transazione unica o con più transazioni collegate»;
              5. l'affermazione del magistrato Luca Tescaroli secondo la quale il Vaticano non avrebbe dato risposta alle rogatorie riguardanti il caso Banco Ambrosiano-Calvi non corrisponde a verità. In merito si precisa che la rogatoria del 2002 non risulta pervenuta in Vaticano. Anche all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, dopo una prima ricerca effettuata negli archivi, la richiesta di rogatoria internazionale presentata dal tribunale di Roma nel 2002 non risulta mai pervenuta. Alle altre due è stato fornito regolare riscontro, indirizzato all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede. Come affermato nella dichiarazione dell'8 febbraio, la Santa Sede e le autorità del Vaticano hanno doverosamente cooperato con la magistratura e le altre autorità italiane e ciò risulta dalla documentazione accessibile agli ufficiali sia della Santa Sede sia della Repubblica Italiana;
          relativamente al punto 1 è comunque da rilevare che nessuna contestazione fu fatta dalla Nunziatura apostolica presso l'Unione europea quando: a) fu pubblicata nel bollettino ufficiale dell'Unione europea GU C 78 E del 27 marzo 2004 (pagina 182) la risposta alla interrogazione P-2864/03 data dal Commissario europeo Bolkestein a nome della Commissione il 16 ottobre 2003 nella quale si affermava che «non esiste attualmente un settore finanziario commerciale nel territorio dello Stato della Città del Vaticano (l'unica banca è l'IOR, Istituto per le Opere di Religione, che funge anche da Banca centrale)»; b) fu pubblicata nel bollettino ufficiale dell'Unione europea GU C 92 E del 17 aprile 2003 (pagina 117) la risposta alla interrogazione E-1913/2002 data dal Commissario europeo Solbes Mira a nome della Commissione il 17 settembre 2002 nella quale si affermava che «Nessuna banca ubicata in Vaticano ha accesso diretto a Target. Solo l'Istituto di Opere di Religione è un partecipante indiretto (è partecipante indiretto un istituto bancario che non dispone di un proprio conto in un sistema nazionale di regolamento lordo in tempo reale (RLTR), che è però riconosciuto da un sistema RLTR nazionale e soggetto alle sue norme, e cui è possibile accedere direttamente all'interno di Target. Tutte le operazioni di un partecipante indiretto vengono regolate sul conto di un partecipante che ha accettato di rappresentare il partecipante indiretto) e dispone di due accessi, l'uno tramite una grande banca tedesca, l'altro tramite una grande banca italiana, a loro volta collegate al sistema. Dato che ai controlli imposti dalle autorità bancarie sono soggetti solo gli enti finanziari che dispongono di un accesso diretto, il problema della compatibilità tra il diritto comunitario e l'articolo 11 del trattato del Laterano non si pone;
          relativamente al punto 2 vi è da rilevare che la cooperazione tra lo IOR e l'AIF non può essere paragonata a quella tra una banca (o un «Fondazione di diritto sia civile che canonico» come preferiscono qualificarla) e un ente indipendente di controllo in quanto i dirigenti della banca e dell'organo deputato a controllarla sono nominati dalla stessa persona e, sempre dalla stessa persona, possono essere rimossi in qualsiasi momento  –:
          se, per quanto risulta al Governo, corrispondano al vero i dati diffusi dalle autorità vaticane in ordine agli esiti delle rogatorie citate in premessa;
          se non si intenda aprire con la massima urgenza una verifica al fine di appurare chi e perché avrebbe impedito che giungesse al Vaticano la richiesta presentata dal tribunale di Roma nel 2002 di una rogatoria sul caso Banco Ambrosiano-Calvi. (5-07139)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il quotidiano Il Fatto Quotidiano con due distinti articoli del giornalista Marco Lillo ha posto una questione di interpretazione giuridica relativa alle nuove norme della Santa sede relative alla lotta al riciclaggio e alla trasparenza finanziaria in relazione al fatto se le autorità antiriciclaggio vaticane e italiane abbiano o meno il diritto di indagare fatti accaduti prima dell'aprile 2011;
          sul primo articolo – pubblicato il 31 gennaio – è stata presentata dai sottoscritti l'interrogazione 4-14853 relativa, in particolare, al documento riservato («Memo Ior-AIF») pubblicato integralmente sul sito de Il Fatto, dal quale si comprendeva che stava vincendo la linea «non collaborativa» e che il presidente dello IOR e dell'AIF avevano tentato di coinvolgere il Segretario di Stato Tarcisio Bertone e il segretario del Papa, George Gaenswein, per convincere il Governo Vaticano a collaborare con l'autorità giudiziaria italiana. Quando dopo 8 giorni il documento fu oggetto di un intervento del giornalista Gianluigi Nuzzi sul canale televisivo La7, la Santa Sede – il 9 febbraio – aveva emanato un comunicato per affermare che «Non emerge la resistenza dello IOR a collaborare in caso di indagini o procedimenti penali su fatti precedenti al primo aprile 2011». Comunicato stampa sul quale i sottoscritti hanno presentato l'interrogazione 4-14897;
          il secondo articolo, del 15 febbraio dà notizia di due documenti;
          il primo è firmato dal presidente del tribunale vaticano Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, professore di diritto e magnifico rettore della Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta) oltre che membro del consiglio direttivo dell'AIF. Si tratta di un parere legale richiesto dalla Segreteria di Stato alla massima autorità consultiva in materia giuridica nel Vaticano. In pratica il cardinale Tarcisio Bertone chiedeva a Dalla Torre di stabilire quale fosse la giusta interpretazione da dare alla nuova normativa antiriciclaggio introdotta da Papa Benedetto XVI nel dicembre del 2010 ed entrata in vigore nell'aprile scorso. Il parere di Dalla Torre spiega perché i magistrati della procura di Roma non stanno ricevendo le informazioni né per via di rogatoria, come raccontato in tv dal pm Luca Tescaroli, né tramite l'AIF, come è successo nel caso dei pm Nello Rossi e Stefano Fava che indagano il presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi e il direttore generale Cipriani per violazione delle norme in materia di antiriciclaggio. Il parere di Dalla Torre dimostra che si tratta di una scelta voluta. Alla domanda di Bertone, se lo IOR debba rispondere all'AIF anche per le operazioni avvenute prima dell'aprile del 2011, la risposta del presidente del tribunale è infatti un no tondo: la legge «non permette all'AIF l'accesso alle operazioni e ai rapporti intercorsi prima dell'entrata in vigore della legge». Esattamente l'opposto di quanto affermato nel comunicato della sala stampa della Santa Sede del 9 febbraio. Il parere di Dalla Torre risale al 15 ottobre del 2011 e delinea la linea che poi sarà attuata nel decreto del Presidente del Governatorato Vaticano del 25 gennaio 2012. Il decreto dell'arcivescovo Bertello, priva l'AIF dei poteri di ispezione, rimessi a successivi regolamenti da emanare. Con la conseguenza che le indagini bancarie e giudiziarie dello Stato italiano in materia si fermeranno;
          il secondo documento è del cardinale Nicora, capo dell'AIF, autorità di informazione finanziaria della Santa Sede e già presidente dell'Apsa, l'amministrazione del patrimonio della sede apostolica che spiega il senso della scelta effettuata con il decreto del presidente del governatorato vaticano del 25 gennaio 2012;
          il cardinale Nicora, in quanto presidente dell'autorità di informazione finanziaria scrive una lettera il 12 gennaio 2012, trasmessa il giorno dopo dall'avvocato De Pasquale dell'autorità di informazione finanziaria per mail al presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi e precedentemente inviata al segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il documento è la dimostrazione che lo Stato Vaticano ha arretrato, dopo l'approvazione della legge del dicembre del 2011 che ha rappresentato certamente un primo importante passo verso l'apertura alla trasparenza bancaria. Anche se l'intero impianto soffre del fatto che nello Stato Città del Vaticano «La forma di governo è la monarchia assoluta. Capo dello Stato è il Sommo Pontefice, che ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario». Ed è quindi improprio parlare di indipendenza e autonomia, per esempio, dell'autorità di informazione finanziaria. Peccato che come segnala Nicora in neretto: «Non va trascurato l'aspetto attinente ai profili di opportunità verso l'esterno e al rischio reputazionale a cui può andare incontro la Santa Sede». Insomma, l'AIF ad avviso degli interroganti è oggi poco più che uno specchietto per le allodole, privata dei poteri. Un'autorità depotenziata che ha perso la sua guerra con la linea di chiusura sposata dal segretario di Stato Bertone, perché evidentemente si era mostrata troppo collaborativa con le autorità italiane. Questo è segnalato proprio dal cardinale Attilio Nicora quando si vede sottoporre la prima bozza del decreto (poi pubblicato il 25 gennaio) il 9 gennaio e che è divenuta un decreto – da convertire entro 90 giorni – che prevede la drastica riduzione dei poteri dell'AIF di ispezione nei conti dello IOR;
          sempre il 15 febbraio l'agenzia Ansa, in merito ai documenti di cui sopra, ha interpellato il professor Ranieri Razzante, presidente dell'Aira, l'Associazione italiana responsabili antiriciclaggio e docente di legislazione antiriciclaggio all'università di Bologna, il quale afferma: «Per i poteri che gli conferisce la legge, l'Aif, l'Autorità di controllo vaticana, può richiedere e avere accesso alle informazioni finanziarie. E se, per fare un esempio, volesse chiedere informazioni in merito ai movimenti di denaro oggetto dell'inchiesta che coinvolge lo Ior, aperta nel settembre 2010 e di cui tuttora si sta occupando la Procura di Roma, potrebbe assolutamente farlo. La retroattività a mio avviso qui non c'entra»;
          l'Ansa scrive anche che «Fonti vicine all'Aif confermano che lo scenario descritto dal quotidiano è nella sostanza “abbastanza realistico”, al di là di “qualche imprecisione”». E ricorda che «Al centro della vicenda c’è anche l'inchiesta della Procura di Roma per due operazioni disposte dallo Ior con la movimentazione di 20 milioni destinati alla JP Morgan e di 3 milioni alla Banca del Fucino». Fatto rispetto al quale il professor Razzante chiosa «Benché avviata nel settembre 2010, prima dell'entrata in vigore della legge quell'inchiesta è aperta. Quindi, anche la questione della retroattività o meno della legge vaticana mi sembra del tutto relativa: l'Aif, a mio avviso, può chiedere informazioni su quelle operazioni. Più in generale ritengo che l'Aif sia ancora un soggetto monco sotto il profilo procedurale, perché a quasi un anno dall'emanazione della legge mancano i regolamenti attuativi che indicano come si fa la segnalazione di operazioni sospette o come si trasmettono i dati: questo rende la norma stessa non applicabile in alcune sue parti e depotenzia l'Aif. Ci sono poi altri aspetti da modificare, come quello che i pagamenti in contanti non vengono censiti sotto la soglia dei 15 mila euro. Ritengo, quindi, che il Vaticano sia ancora lontano dalla white list dell'Ocse che riunisce i paesi virtuosi dal punto di vista delle regole antiriciclaggio e che il percorso da fare sia ancora lungo»  –:
          se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
          se e quali iniziative possa o intenda assumere e in particolare se non intenda adottare ogni iniziativa sul piano diplomatico perché lo Stato vaticano offra la più ampia collaborazione all'autorità giudiziaria italiana. (5-07140)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 26 gennaio 2012 la trasmissione «gli intoccabili» in onda sulla rete La7 condotta dal giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del famoso bestseller Vaticano spa, ha fatto vedere una lettera confidenziale scritta 30 settembre 2011 dal presidente dello IOR, Ettore Gotti Tedeschi al segretario di Stato del Vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone nella quale delinea la strategia concordata con il Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Giulio Tremonti per limitare i danni per Italia e Vaticano dall'azione europea sul fronte dell'Ici. Successivamente non hanno reagito né il Ministro pro tempore Tremonti né la Santa Sede la quale ha invece reso pubblico il 9 febbraio un lungo comunicato in relazione alla puntata de «gli intoccabili» del giorno precedente peraltro oggetto dell'interrogazione 4-14897 del 14 febbraio;
          il contenuto della lettera è il seguente:
              «RISERVATO E CONFIDENZIALE – SINTESI DEL PROBLEMA ICI (Memoria per SER il Card. Tarcisio Bertone, suggeritami riservatamente dal Ministro del Tesoro). Su denuncia del mondo radicale (2005) la Comunità Europea viene spinta a contestare l'esenzione ICI sugli immobili della Chiesa non utilizzati per fini religiosi, pertanto quelli “commerciali”, cioè scuole, collegi, ospedali, eccetera... (esclusi quelli che ricadono sotto il Trattato dei patti Lateranensi). Nel 2010 la CE avvia una procedura contro lo Stato italiano per “aiuti di stato” non accettabili alla Chiesa Cattolica. Detta procedura evidenzia oggi una posizione di rischio di condanna per l'Italia e una conseguente imposizione di recupero delle imposte non pagate dal 2005. Dette imposte deve pagarle lo Stato italiano che si rifarà sulla CEI (si suppone), ma non è chiaro con chi per Enti e Congregazioni. Poiché la Commissione Europea non sembra disponibile a cambiare posizione, ci sono tre strade percorribili:
                  abolire le agevolazioni ICI (Tremonti non lo farà mai);
                  difendere la normativa passata limitandosi a fare verifiche sulle reali attività commerciali e calcolare il valore “dell'aiuto di Stato” dato (non è sostenibile);
                  modificare la vecchia norma che viene contestata dalla Comunità Europea (articolo 7, comma bis, decreto-legge n.  203 del 2005, che si applicava ad attività che avessero “esclusivamente” natura commerciale). Detta modifica deve produrre una nuova norma che definisca una CATEGORIA per gli edifici religiosi e crei un CRITERIO di classificazione e definizione della natura commerciale (secondo superficie, tempo di utilizzo e ricavo).
              Si paga pertanto ICI al di sopra di un determinato livello di superficie usata, di tempi di utilizzo, di ricavo. In funzione cioè di parametri accettati che dichiarano che un edificio religioso è commerciale o no. A questo punto la Cei (e chi altri?) accetta la nuova procedura. Detta accettazione fa decadere le richieste pregresse (dal 2005 al 2011) e la Comunità Europea (Almunia) deve accettarle. Il tempo disponibile per interloquire è molto limitato. Il responsabile della Cei che finora si è occupato della procedura è mons. RIVELLA. Ci viene suggerito di incoraggiarlo ad accelerare un tavolo di discussione conclusiva dopo aver chiarito la volontà dei vertici della Santa Sede. L'interlocutore all'interno del Ministero delle Finanze è Enrico Martino (nipote del Cardinale Martino). Io posso suggerire come interloquire con il Commissario Almunia affinché ci possa lasciare un po’ di tempo (fino a fine novembre) e non acceleri la conclusione della procedura. (Ettore Gotti Tedeschi – 30 settembre 2011)»;
          il 19 febbraio 2012 sul quotidiano Il fatto quotidiano è stato pubblicato l'articolo «Santa ICI: il nipote del Cardinale» di Marco Lillo il quale, in relazione alla lettera di cui sopra, fa le seguenti considerazioni:
              nella lettera si legge che «L'interlocutore all'interno del Ministero delle Finanze è Enrico Martino (nipote del Cardinale Martino)» il quale, scrive Marco Lillo, «è il direttore generale per i rapporti internazionali del Dipartimento Finanze, cioè l'uomo che dovrebbe curare gli interessi dello Stato italiano nella partita dell'Ici sugli immobili della Chiesa. Questo 46enne esperto di fisco però è anche il nipote del cardinale Renato Raffaele Martino, fino al 2009 Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dal 2010 Gran Priore del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. Martino jr ovviamente non cura solo le questioni fiscali tra Italia e Santa Sede ma tutte le trattative tra il nostro Paese e quelli stranieri»;
              scrive ancora Marco Lillo, «Il banchiere spiega poi a Bertone quali sono le mosse concordate con Tremonti (allora Ministro) per evitare che Stato italiano chieda indietro l'Ici sugli anni 2005-2011: “Modificare la vecchia norma che viene contestata dalla Comunità Europea per produrre una nuova norma che definisca una categoria per gli edifici religiosi e crei un criterio di classificazione e definizione della natura commerciale (secondo superficie, tempo di utilizzo e ricavo)”»;
          in pratica Gotti Tedeschi perora un compromesso onorevole che eviti guai peggiori. La rinuncia concordata al regime attuale più favorevole frutterebbe alla Santa Sede una sorta di sanatoria per il periodo che va dal 2005 al 2011  –:
          se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e se e quali iniziative intenda assumere. (5-07141)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 16 febbraio 2012 si è svolto presso la Palazzina di Pio IV o Borromeo, il consueto incontro per festeggiare l'anniversario dei patti lateranensi sottoscritti tra lo Stato italiano e la Santa Sede, da Benito Mussolini e dal cardinale Pietro Gasparri  –:
          da chi fosse composta la delegazione italiana, da chi sia stata selezionata e, fatto salvo per i membri del Governo, con quali criteri e a chi sia stato esteso l'invito a parteciparvi e se qualcuno lo abbia declinato. (5-07142)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          dall'articolo «La procura di Roma indaga sul conto dello IOR in Germania» apparso su Il fatto quotidiano del 21 marzo a firma di Marco Lillo si apprende che:
              il 6 settembre del 2010 lo IOR (Istituto per le Opere di religione) presieduto da Ettore Gotti Tedeschi ha ordinato al Credito Artigiano di trasferire 23 milioni alla Jp Morgan di Francoforte (20 milioni) e alla Banca del Fucino per 3 milioni. Lo IOR pretendeva che la banca omettesse le comunicazioni previste dalla normativa antiriciclaggio italiana;
              per questa ragione la procura chiese il sequestro e da allora indaga il presidente e il direttore generale dello IOR. Per sbloccare i fondi c’è voluto di fatto un motu proprio del Papa del dicembre del 2010. La nuova legge creava l'AIF, l'Autorità di informazione finanziaria che avrebbe dovuto collaborare con l'UIF italiano utilizzando propri poteri di ispezione sullo IOR e gli altri enti vaticani;
              inizialmente sembrava filare tutto liscio: la prima richiesta di informazioni inoltrata dall'UIF ottenne una risposta a tempo di record dall'AIF, presieduta da un cardinale autorevole come Attilio Nicora. Per premiare il cambio di direzione i pm romani nel giugno del 2011 diedero il loro parere favorevole al dissequestro dei 23 milioni. Da quel momento però la collaborazione non ha più dato risultati;
              lo IOR non ha più fornito informazioni all'AIF sulle informazioni relative a rapporti precedenti all'aprile del 2011, data di entrata in vigore della legge della Santa Sede. Poi il 25 gennaio un secondo colpo di scena: con un decreto il Vaticano, su input del Segretario di Stato Tarcisio Bertone, ingrana la retromarcia: l'AIF perde i poteri di ispezione che tornano sotto il dominio della Segreteria di Stato;
              nel frattempo la Banca d'Italia impone agli istituti italiani di chiedere allo IOR il nome del reale titolare dei soldi movimentati e con una serie di bonifici per decine e decine di milioni di euro i soldi del Vaticano lasciano le banche italiane, come l'Unicredit ex Banca di Roma, e volano a Francoforte alla banca Jp Morgan;
              lo IOR, per effettuare i suoi bonifici milionari che alimentano l'attività delle Congregazioni usa un conto acceso presso l'unico sportello della banca americana Jp Morgan in Italia. Il conto 1365 presso la filiale di Milano però si muove in modo particolare: in forza di una clausola contrattuale il saldo di fine giornata deve essere sempre riportato a zero e il suo contenuto refluisce sul conto IOR a Francoforte;
              di fatto è il cavallo di Troia attraverso il quale lo IOR opera in Italia: i movimenti nell'arco di un anno e mezzo superano il miliardo e mezzo. Nell'ottobre 2011, la Procura di Roma scopre l'inghippo e chiede all'UIF – l'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia – di intervenire;
              gli ispettori della Banca d'Italia chiedono informazioni sui reali intestatari dei soldi movimentati dallo IOR. Jp Morgan gira le richieste allo IOR che risponde negativamente. Il 15 febbraio, per evitare guai, Jp Morgan comunica a IOR la chiusura definitiva del conto a far data dal 30 marzo 2012;
              i pm romani vogliono conoscere tutti i movimenti del conto corrente dello IOR presso la Jp Morgan di Francoforte e quindi hanno inoltrato una prima richiesta di rogatoria internazionale alle autorità tedesche tramite il Ministero della giustizia;
              quattro mesi fa però le autorità federali tedesche hanno negato la loro collaborazione con una risposta cortese ma ferma, ispirata probabilmente più da ragioni politiche che tecniche. I magistrati romani non si sono dati per vinti e stanno tentando di ottenere il medesimo risultato utilizzando un canale alternativo: l'UIF, cioè l'Ufficio di informazione finanziaria della Banca d'Italia, che ha già inoltrato la sua richiesta al corrispondente organismo tedesco –:
          se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
          se e quali iniziative possa o intenda assumere e in particolare se non intenda adottare ogni iniziativa sul piano diplomatico perché da una parte lo Stato Vaticano e, per altro verso quello tedesco, offrano la più ampia collaborazione all'autorità giudiziaria italiana. (5-07143)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          dal giorno 23 maggio il signor Paolo Gabriele è ristretto in una cella dello Stato Città del Vaticano;
          la notizia è stata data sabato 26 maggio dal direttore della Sala stampa della Santa sede che ha dichiarato per la prima volta ufficialmente: «Confermo che la persona arrestata mercoledì sera per possesso illecito di documenti riservati, rinvenuti nella sua abitazione in territorio vaticano, è il signor Paolo Gabriele, che rimane tuttora in stato di detenzione»;
          nello stesso giorno, non appena appresa detta notizia il primo firmatario del presente atto, a mezzo fax, scriveva al direttore centrale per i servizi agli italiani all'estero del Ministero degli affari esteri, Francesco Saverio Nisio e all'ambasciatore della Repubblica italiana presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco, segnalando che da notizie di stampa si era appreso che un cittadino italiano era stato arrestato e si invitavano «pertanto ad agire con la massima urgenza al fine di rendere visita al detenuto», comunicazione rimasta senza riscontro alcuno;
          la comunicazione era dettata anche dal fatto che nello Stato della Città del Vaticano «La forma di governo è la monarchia assoluta», che il «Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario» e che «In qualunque causa civile o penale ed in qualsiasi stadio della medesima, il Sommo Pontefice può deferirne l'istruttoria e la decisione ad una particolare istanza, anche con facoltà di pronunciare secondo equità e con esclusione di qualsiasi ulteriore gravame.» (articoli 1 e 16 della nuova legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano)  –:
          se sia confermato che il signor Paolo Gabriele abbia la cittadinanza italiana e se abbia una seconda cittadinanza;
          se ed eventualmente quando lo Stato Città del Vaticano, nei modi e nelle forme previste, abbia informato le autorità italiane dell'arresto di un cittadino italiano;
          quali iniziative di competenza abbia assunto il direttore centrale per i servizi agli italiani all'estero del Ministero degli affari esteri, e/o l'ambasciatore della Repubblica italiana presso la Santa Sede. (5-07144)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel volume «Sua Santità» scritto dal giornalista Gianluigi Nuzzi, alle pagine 131-134, viene riportata la notizia di un pedinamento avvenuta il 21 aprile 2008 da parte di personale dello Stato Città del Vaticano in territorio italiano ai danni dell'ingegner Pier Carlo Cuscianna  –:
          se le autorità vaticane abbiano informato le autorità italiane di una azione investigativa a carico dell'ingegner Cuscianna, ovvero se abbiano chiesto l'autorizzazione a pedinarlo;
          se le autorità italiane abbiano gli strumenti per evitare intercettazioni indebite sul territorio italiano da parte del Vaticano;
          di fronte ad attività investigative o di intercettazione abusive sul territorio italiano da parte di uno Stato estero quale sia la procedura che viene seguita;
          quali iniziative intendano prendere per appurare se quanto narrato in premessa corrisponde al vero e, in caso affermativo, quali iniziative intendano assumere. (5-07145)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la «Direzione dei servizi di sicurezza e protezione civile» dello Stato della Città del Vaticano è diretta dal signor dottor Cavaliere di gran croce Domenico Giani e il vice direttore è il signor dottor grand'ufficiale Raoul Bonarelli;
          Raoul Bonarelli è noto anche per essere stato l'unico indagato nella vicenda di Emanuela Orlandi. Finito sotto inchiesta per depistaggio, Bonarelli, prima di recarsi in procura, come risulta da una intercettazione, viene «consigliato» di non rivelare quanto accadeva in Vaticano dopo la scomparsa di Emanuela;
          il 29 maggio 2012 sul quotidiano La Repubblica è apparso un articolo di Corrado Zunino dal titolo «Hacker e controlli sulle mail così gli 007 del Vaticano vanno a caccia dei corvi. Nei sotterranei sale hi-tech e centri d'ascolto». Nell'articolo è tra l'altro scritto che «Giani, 50 anni (...), nella precedente vita civile è stato finanziere, collaboratore del Sisde, i servizi segreti interni, dirigente dell'amministrazione penitenziaria, addetto alla sicurezza di una presidenza del Consiglio. Tredici anni fa Domenico Giani è entrato nel corpo di vigilanza dello Stato straniero, ha contribuito a trasformarlo, nell'attuale Gendarmeria e dal 2006, quando ne è diventato ispettore generale, ha avviato una riforma radicale seguendo due princìpi: la segretezza necessaria a uno Stato così ricco e influente merita una intelligence da nazione evoluta e, secondo, la filiera del controllo deve restare in due sole mani. Le sue. Come tutti in Vaticano, Giani si muove «sotto protezione». La sua è inattaccabile: Tarcisio Bertone. Lo tutela e gli suggerisce le strategie. Non è un caso che Bertone il 22 giugno 2006, diciannove giorni dopo la promozione del poliziotto di Arezzo a ispettore generale, sia diventato Segretario di Stato. In sei stagioni Giani ha avocato a sé tutti i servigi di sicurezza del governatorato: Protezione civile, vigili del fuoco, le operazioni di gendarmeria. Ha stretto rapporti con i gruppi speciali dei carabinieri, i Gis. (...) Il comandante Giani ha specializzato le sue squadre nel pedinamento e ha creato sottogruppi come il Gir, intervento rapido, e l'Unità antisabotaggio. (...) ha fatto costruire un ufficio per le intercettazioni telefoniche e ambientali e un secondo per il monitoraggio della posta elettronica e dei siti internet ostili. Quest'ultimo, (...) è stato affidato a un giovane hacker. (...) Domenico Giani è al corrente dei segreti di fondo del Vaticano, collabora con monsignor Novacek che in via dei Cherubini 32 guida l'Istituto gesuitico di studi vaghi, il contro-spionaggio ecclesiale (...)»;
          nello Stato Città del Vaticano «La forma di governo è la monarchia assoluta»;
          il «Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario» e che «In qualunque causa civile o penale ed in qualsiasi stadio della medesima, il Sommo Pontefice può deferirne l'istruttoria e la decisione ad una particolare istanza, anche con facoltà di pronunciare secondo equità e con esclusione di qualsiasi ulteriore gravame» (articoli 1 e 16 della nuova legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano)  –:
          se risponda al vero che il direttore dei servizi di sicurezza dello Stato Città del Vaticano, Aldo Giani, nato ad Arezzo il 16 agosto 1962, abbia prestato servizio presso la Repubblica italiana in qualità di finanziere, collaboratore del Sisde, i servizi segreti interni, dirigente dell'amministrazione penitenziaria, addetto alla sicurezza di una presidenza del Consiglio e, se del caso, in quali periodi e con quali mansioni;
          se risulti se vi siano state attività di controllo provenienti dallo Stato della Città del Vaticano relative allo Stato italiano, aziende, associazioni, siti o cittadini italiani;
          se il signor Aldo Giani abbia ottenuto il nulla osta di sicurezza (NOS), in che data e, se del caso, fino a quando;
          se risponda al vero e, se del caso, quali siano i rapporti dal punto di vista formale ed operativo con i gruppi di intervento speciale (G.I.S.) dei Carabinieri;
          se risulti l'esistenza di un «Istituto gesuitico di studi vaghi» a Roma ed eventualmente se il Governo sia a conoscenza di quali attività svolga. (5-07146)

Interrogazione a risposta scritta:


      RAZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riporta l'agenzia di stampa aeronautica AvionewsWorld aeronautical press agency, in Canada sarebbe in corso un'indagine a carico di soggetti canadesi in merito a presunte tangenti pagate da AgustaWestland ad una società di eliambulanza per favorire l'acquisto di 12 elicotteri;
          secondo quanto riporta Avionews sembrerebbe che AgustaWestland abbia pagato circa 6,7 milioni di dollari per attività di consulenza e marketing a soggetti legati da rapporti di parentela o affettivi con i titolari della Ornge, che avrebbe poi acquistato i 12 elicotteri dell'Agusta;
          al momento vi è, però, solo un ampio dibattito nella stampa canadese sulle indagini in corso che riportano dichiarazioni di esponenti politici locali e dei soggetti interessati/inquisiti;
          quello che lascia perplessi a parere dell'interrogante è che AgustaWestland avrebbe pagato milioni di dollari a dei canadesi per attività di consulenza e marketing svoltasi in Arabia Saudita ed in Brasile;
          mentre si svolgeva l'attività di consulenza, la società canadese di eliambulanze acquistava da AgustaWestland elicotteri per un valore di 144 milioni di dollari;
          occorrerebbe chiarire se questa attività, ove venisse confermato il teorema investigativo, fosse improntata ad un interesse generale o ad interessi strategici nazionali da difendere e tutelare o se rimanga solo un giro stratosferico di tangenti del cui destinatario finale non si ha certezza  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per verificare l'operato di tutti i vertici di Finmeccanica, in quanto, ad avviso dell'interrogante, non può essere stata una sola persona ad attuare quanto riportato dai giornali;
          quali e quanti dirigenti di vertice di Finmeccanica abbiano curato le pratiche riportate dai giornali stranieri e riprese da Avionews. (4-16655)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 6-ter del decreto-legge 23 maggio 2008, n.  90 (Misure straordinarie per fronteggiate l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n.  123, come modificato dalla legge n.  28/12 recante: «Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale», ai rifiuti derivanti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani, effettuato presso un numero definito di impianti campani – precisamente Caivano (NA), Tufino (NA), Giugliano (NA), Santa Maria Capua Vetere (CE), Avellino-località Pianodardine, Battipaglia (SA) e Casalduni (BN) – è stata applicata la disciplina dei rifiuti codificati come speciali (codice CER 191212) che, pertanto, come tali, sarebbero oggetto di libero mercato e potrebbero essere trasportati e smaltiti fuori regione;
          tuttavia, tale disciplina è stata prevista strettamente per il periodo di emergenza, quale normativa derogatoria, peraltro in parziale contraddizione con la stessa normativa speciale sull'emergenza rifiuti della Campania;
          infatti, l'articolo 4-octies del decreto-legge n.  97 del 2008, convertito in legge n.  129 del 2008 (Disposizioni in materia di trasferimento e smaltimento dei rifiuti nella regione Campania), che ha integrato e precisato quanto stabilito dalle precedenti disposizioni emergenziali di cui al decreto-legge n.  263 del 2006 e al decreto-legge n.  90 del 2008, prevede che, fino alla cessazione dello stato di emergenza (intervenuta il 31 dicembre del 2009), vige anche per la regione Campania il divieto di smaltimento extraregionale dei rifiuti urbani, salvo accordo interregionale, esclusi i rifiuti della raccolta differenziata inviati presso impianti per il riutilizzo, il riciclo o il recupero di materia;
          in ogni caso, la formale cessazione al 31 dicembre 2009 dello stato di emergenza rifiuti in Campania, dovrebbe avere inciso sulla possibilità di trasferimento fuori regione dei rifiuti urbani campani e sulle deroghe stabilite dalla normativa speciale per i rifiuti tritovagliati, riavviando, il divieto di trasferimento fuori regione dei rifiuti urbani previsto dalla disciplina ordinaria dall'articolo 182, comma 3, del decreto legislativo n.  156 del 2006;
          secondo quanto si evince dalla nota prot. GAB 14963 del 2009 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, inviata a tutte le regioni, e da una nota dell'ufficio legislativo dello stesso Ministero, in risposti ad un quesito della regione Toscana (GAB 13256 del 2008), sembra che l'orientamento del Ministero sia quello di considerare alla pari dei rifiuti urbani i rifiuti derivanti dalle semplici attività di trattamento meccanico dei rifiuti urbani (tritovagliati);
          tuttavia, i rifiuti campani, contraddistinti con codice CER 191212, da tempo arrivano presso impianti della regione Lombardia, in particolare presso l'impianto Rea di Dalmine, essendo considerati speciali dalla normativa sopraccitata, ex 6-ter del decreto-legge 23 maggio 2008, n.  90, e mettono in serio pericolo il principio di autosufficienza provinciale e regionale;
          la regione Lombardia, in base a un sistema ecosostenibile, sta puntando con decisione al principio di prossimità nello smaltimento dei rifiuti, al fine di ridurre le distanze dai luoghi di produzione;
          le istituzioni del territorio lombardo, a vari livelli, si sono responsabilizzate nella gestione dei Rifiuti Solidi urbani, adottando una politica, talvolta impopolare ma comunque sempre lungimirante, che ha portato all'autorizzazione e realizzazione di 13 termovalorizzatori che oggi consentono l'autosufficienza regionale;
          gli indirizzi dell'Unione europea prevedono in tema di rifiuti il principio della prossimità;
          il Consiglio di Stato ha chiesto (con ordinanza 28 dicembre 2011 n.  6932) al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di acquisire una relazione tecnico-scientifica in base alla quale possa valutarsi l'attuale situazione dei rifiuti derivanti da tritovagliatura alla luce del sistema complessivo della normativa comunitaria e nazionale, specificandosi in particolare se essi siano da considerarsi rifiuti speciali ovvero urbani  –:
          se il Ministro, anche allo scopo di evitare erronee interpretazioni della normativa vigente, non intenda adottare le opportune iniziative normative ai fini della abrogazione dell'articolo 6-ter del decreto-legge 23 maggio 2008, n.  90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n.  123, e successive modificazioni, e, comunque, se non intenda chiarire, nell'immediato, l'avvenuta cessazione degli effetti del sopra citato articolo.
(2-01553) «Stucchi, Consiglio, Vanalli, Dozzo, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Fedriga, Fogliato, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Lussana, Maggioni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Montagnoli, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Togni, Torazzi, Volpi».

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta immediata:


      BALDELLI e DISTASO. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
          nel corso del 2011 è stato costruito un proficuo rapporto di cooperazione istituzionale rafforzata tra il Governo e le regioni, che ha consentito di avviare a realizzazione il piano nazionale per il Sud, approvato il 26 novembre 2010, e di accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati 2007-2013, scongiurando il rischio di disimpegno delle risorse comunitarie al 31 dicembre 2011;
          il Governo italiano ha assunto, in sede europea, l'impegno ad attuare una serie di misure di politica economica volte a sostenere la crescita dell'economia, individuando tra queste la revisione strategica dei programmi – nazionali e regionali – cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 che determini una maggiore concentrazione sugli investimenti, in grado di determinare effetti diretti sulla competitività e la crescita del Paese ed un maggior orientamento delle politiche ai risultati;
          la delibera CIPE n.  62 del 3 agosto 2011, registrata alla Corte dei conti il 21 dicembre 2011 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2011, ha disposto il finanziamento, a valere sulle risorse del fondo di sviluppo e coesione di competenza regionale, di interventi prontamente cantierabili riguardanti le grandi opere strategiche nazionali e regionali ferroviarie e viarie, essenziali per ricucire Nord e Sud del Paese;
          in particolare, la citata la delibera assegna 1,6 miliardi di euro a favore di interventi strategici nazionali e 5,8 miliardi di euro a favore di 128 infrastrutture di rilievo interregionale e regionale, riguardanti non soltanto strade e ferrovie, ma anche schemi idrici, porti e interporti, aree d'insediamento produttivo, banda larga;
          la delibera CIPE n.  78 del 30 settembre 2011, registrata alla Corte dei conti il 9 gennaio 2012 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 gennaio 2012, e successivamente modificata dalla delibera 20 gennaio 2012, registrata alla Corte dei conti il 17 aprile 2012 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 23 aprile 2012, ha approvato un programma di investimenti nel sistema universitario delle regioni del Mezzogiorno che assegna, a valere sulle risorse del fondo di sviluppo e coesione di competenza regionale, 1.027 milioni di euro, di cui circa 84 milioni di euro a favore di due poli di ricerca di eccellenza in Calabria/Sicilia e Puglia e 943 milioni di euro in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia per il finanziamento di infrastrutture, quali laboratori didattici e di ricerca, biblioteche, mense, attrezzature tecnologiche e informatiche, case dello studente, ristrutturazioni e nuove costruzioni di edifici universitari;
          il Cipe nella seduta del 23 marzo 2012, con delibera n.  41 registrata alla Corte dei conti il 7 giugno 2012, ha previsto che, ai fini dell'attuazione degli interventi previsti nelle delibere Cipe n.  62 del 2011 e 78 del 2011, si procede attraverso lo strumento del contratti istituzionali di sviluppo, nelle ipotesi nelle quali i soggetti attuatori siano costituiti da concessionari di pubblici servizi di rilevanza nazionale;
          in tutti gli altri casi si procede mediante la stipula di specifici accordi di programma quadro;
          complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n.  62 del 3 agosto 2011 ammontano a circa 7,5 miliardi di euro, che consentono di attivare un volume di investimenti di circa 30 miliardi di euro;
          complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n.  78 del 30 settembre 2011 ammontano a circa 1 miliardo di euro, che consente di attivare un volume di investimenti di circa 1,2 miliardi di euro –:
          quali siano le cause del ritardo nella stipula dei contratti istituzionali di sviluppo o degli accordi di programma quadro, atteso che le due delibere Cipe nn.  62 del 2011 e 78 del 2011, e successive modifiche, risultavano da tempo perfezionate anche con il previsto parere della Corte dei conti e in quali tempi si procederà alla stipula dei contratti istituzionali di sviluppo o degli accordi di programma quadro, al fine di far partire concretamente le opere e dare un impulso molto importante all'economia del Mezzogiorno.
(3-02352)

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


      LUSETTI, GALLETTI, CAPITANIO SANTOLINI, BINETTI, VOLONTÈ, COMPAGNON, RAO, CICCANTI, NARO e CALGARO. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi il Governo ha varato il piano nazionale per la famiglia, concludendo un percorso iniziato nel 2007 e atteso da quanti operano a favore della famiglia;
          nel piano nazionale per la famiglia sono indicate le linee di indirizzo in materia di politiche familiari e sono individuate le priorità su cui intervenire con maggiore urgenza (esigenze abitative, aiuto alla disabilità e alla non autosufficienza, congedi parentali, servizi alla prima infanzia);
          tuttavia, sembrerebbero non contemplate tra le priorità del piano quelle riguardanti i minori senza famiglia, il cui numero in Italia è cresciuto in modo esponenziale in questi ultimi anni, e le adozioni;
          a riguardo si registra una forte crisi dell'adozione – sia nazionale che internazionale – che rischia di decimare le adozioni fino all'estinzione, prevedibile entro il 2020. A conferma di questo trend progressivo ci sono i dati ufficiali, relativi al calo dei decreti di idoneità (49 per cento, registrato tra il 2006 e il 2011) e al calo delle domande di disponibilità da parte delle coppie (35 per cento per l'adozione nazionale e 32 per cento per l'internazionale, tra il 2006 e il 2010);
          secondo l'associazione Ai.Bi.-Amici dei bambini, si tratta di un'emergenza cui occorre rimediare attraverso un pacchetto di riforme a «costo zero che sarebbe opportuno inserire nel piano per la famiglia, che prevedono: riforma dell'adozione, con abbattimento dei costi, snellimento delle procedure e un cambiamento culturale; riforma dell'affido, con ingresso del privato sociale nella gestione degli affidi familiari; attivazione della banca dati dei minori fuori famiglia, per consentire l'adozione di centinaia di bambini residenti in Italia, oggi costretti a vivere nel “limbo” delle comunità educative; riconoscimento giuridico per le case famiglia, per sviluppare finalmente questa forma di accoglienza che è la vera alternativa alle comunità educative, nonché l'unica in grado di riattivare la relazione familiare per i minori fuori famiglia –:
          se non ritenga di inserire nel piano nazionale per la famiglia le priorità indicate in premessa. (3-02347)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


      RUGGHIA e SIRAGUSA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in data 12 luglio 2011 è scomparso da Palermo un ragazzo di vent'anni di nome Marcello Volpe; il ragazzo è uscito alle 8,00 circa del mattino da casa, a Palermo, dicendo al fratello che sarebbe rientrato dopo un paio d'ore. Da allora, se ne sono perse le tracce;
          le indagini in atto sulla scomparsa del ragazzo sono condotte dalla procura della Repubblica di Palermo e delegate alla polizia di Stato, squadra mobile di Palermo;
          il telefono cellulare in uso al ragazzo, posto sotto controllo su disposizione degli inquirenti, è risultato irraggiungibile fino a domenica 17 luglio, quando è stato acceso per breve tempo. La cella telefonica è stata localizzata presso un porticciolo turistico nel quartiere Arenella di Palermo, che dista circa un chilometro dall'abitazione della famiglia Volpe. A seguito di ciò sono state effettuate ulteriori verifiche seguendo le tracce del ragazzo da casa sua al suddetto porticciolo turistico. Sono risultate vane le ricerche condotte dai sommozzatori nello specchio d'acqua antistante il porticciolo, nell'ipotesi che il ragazzo fosse caduto in mare;
          a poche centinaia di metri dall'abitazione della famiglia Volpe si trova un presidio delle Forze armiate, più precisamente il 6o reggimento lancieri d'Aosta (caserma Cascino), ed è possibile che tale presidio e la zona circostante siano posti sotto il controllo di postazioni satellitari  –:
          se il Ministro non intenda, al fine di agevolare le indagini, chiarire se in data 12 luglio 2011 sulla zona indicata in premessa esistano immagini registrate che potrebbero risultare utili ai fini delle indagini. (5-07114)


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          da quanto si apprende da notizie di stampa, la gara per la dismissione delle caserme del Ministero della difesa ha subìto uno stop;
          entro il 30 maggio 2012, infatti, il Ministero avrebbe dovuto inviare una lettera d'invito alle società di gestione del risparmio (SGR) preselezionate dopo la prima fase di manifestazione di interesse mentre è stata comunicata la formale sospensione della gara per sei mesi, dovuta, a quanto pare, alla mancanza, allo stato attuale, di un piano definito di valorizzazione delle caserme;
          verso la fine del 2011, il Ministero interrogato aveva avviato una procedura per cercare una o più società di gestione del risparmio a cui affidare la gestione di 1,325 miliardi di patrimonio immobiliare in grado di generare commissioni fino a un massimo di 65,2 milioni di euro;
          dei sei lotti individuati dal Ministero interrogato, quello in stato più avanzato risulta essere quello di Roma (con un valore stimato in 480 milioni di euro), ma, da quanto risulta all'interrogante, non sembra si sia andati oltre la firma di un protocollo con il comune di Roma, ovviamente non vincolante; gli altri lotti risultano essere a Milano (per un totale di 620 milioni di euro), a Torino (per 128 milioni di euro), in Emilia e Triveneto (per 74 milioni di euro) e in Sicilia (23 milioni di euro);
          Idea Fimit, Bnp Paribas Reim, Prelios, Fabrica, Investire Immobiliare, Hines Italia, Sorgente e Beni Stabili Gestioni erano i principali operatori del settore interessati alla citata gara, primo vero tentativo di procedere alla dismissione di immobili pubblici;
          il vero obiettivo di questa operazione era quello di riqualificare magazzini, ex conventi e diverse caserme ancora in uso (per fare qualche esempio a Roma: «Gandin» di Pietralata, «Piccinini» di San Vito al Tagliamento, «Ruffo» sulla Tiburtina) per un totale di 82 ettari e 1,5 milioni di metri cubi da trasformare e riqualificare;
          in questi mesi il comune di Milano sta cercando di attivarsi per far fruttare i suoi due lotti riguardanti ex caserme in gran parte vuote e molto «corteggiate» da diversi operatori ma, come detto, è stato deciso di prendere tempo in attesa dell'approvazione della riforma dello strumento militare  –:
          quali siano i reali intendimenti del Governo in relazione a quanto evidenziato in premessa. (5-07115)


      PORFIDIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il drone è un aeromobile a pilotaggio remoto denominato «APR», che viene pilotato da un equipaggio che opera da una stazione remota di comando e controllo. Il nome deriverebbe dall'italianizzazione del termine inglese drone, che significa ronzio per via del rumore prodotto;
          questi mezzi possono essere completamente automatizzati (cioè seguire un profilo di volo pre-programmato) o essere comandati a distanza da una stazione fissa o mobile;
          a lungo i droni sono stati considerati solo un sistema di addestramento per piloti o utilizzati come operatori di batterie antiaeree e operatori radar. Con l'evolversi delle tecnologie implementate hanno fatto la loro comparsa anche i cosiddetti APR tattici, aerei senza pilota con strumenti di elevata intelligenza elettronica e macchine fotografiche o telecamere per il controllo del territorio;
          gli Stati Uniti d'America utilizzano da tempo i droni Predator per azioni militari, operando veri e propri bombardamenti nelle varie zone di guerra nelle quali sono impegnate le loro truppe, in particolare Afghanistan e Pakistan, ma sono stati utilizzati anche nelle recenti operazioni libiche e si presume che qualora dovesse esplodere la situazione siriana verrebbero utilizzati;
          da recenti notizie stampa si apprende che l'amministrazione statunitense vorrebbe armare la flotta italiana di sei droni Reaper in nostra dotazione. Secondo il Wall Street Journal la decisione farebbe dell'Italia il primo Paese, oltre alla Gran Bretagna, ad avere droni statunitensi armati con missili e bombe a guida laser. L'Italia, prosegue il quotidiano statunitense citando fonti ufficiali americane, potrebbe impiegare i droni per la protezione delle proprie truppe in Afghanistan  –:
          se tali notizie trovino fondamento nella strategia di difesa e in caso affermativo quali siano i presumibili costi dell'operazione. (5-07116)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          sta arrivando in questi giorni a numerosi contribuenti, una lettera datata 28 maggio 2012, sottoscritta dal direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera, ma redatta dall'ufficio persone fisiche della direzione centrale accertamento, con la quale si richiede a ciascun contribuente interpellato di giustificare talune spese, giudicate dall'ufficio non congrue con i redditi dichiarati;
          si richiede al contribuente di dimostrare che la quota di spese eccedenti per almeno un quinto il reddito complessivo dichiarato nel 2011 (e quindi relativo all'anno 2010) sia stata finanziata con redditi diversi da quelli dichiarati sul modello Unico e cioè con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile;
          in sostanza i dati delle dichiarazioni del contribuente, confrontati con gli altri dati che lo riguardano, derivanti dall'esame dei conti correnti, dei contratti registrati, delle utenze, dei contributi previdenziali; o di somme ad altro titolo pagate, non risultano congrui; di conseguenza l'ufficio, in presenza di spese superiori del 20 per cento al reddito dichiarato, procede all'accertamento sintetico del reddito complessivo e alla conseguente maggiorazione delle imposte (più sanzioni, interessi ed aggio), salvo ravvedimento operoso;
          è praticamente inutile osservare, in questa fase economica, che la pervasività dell'attuale sistema dei controlli automatici in ambito fiscale non ha eguali in ambito penale; tuttavia, è una stortura a cui occorrerà porre rimedio se non si vuole che le tensioni sociali, contro un sistema fiscale che la gran parte dei cittadini considera opprimente, sfocino in aperta ribellione;
          ciò premesso, è assolutamente corretto che il fisco chieda conto al contribuente di spese non congruenti con il reddito dichiarato; tuttavia la lettera in titolo, per come è redatta e per la logica che la sottende, manifesta secondo gli interpellanti una volontà intimidatoria e prevaricatoria, una logica più da gabelliere medioevale che da moderno sistema impositivo, una logica in aperta violazione dello statuto del contribuente;
          a riprova di questo, si osserva quanto segue:
              a) la lettera inizia con un tono cortese e colloquiale, affermando addirittura che la «comunicazione ha finalità esclusivamente informative e pertanto non è necessaria da parte sua alcuna risposta», salvo poi affermare verso la fine che «nel caso in cui (il contribuente ndr.) non fosse in grado di dimostrare la compatibilità delle spese... l'Ufficio potrà procedere all'accertamento sintetico del reddito»; delle due, l'una: o è un'informativa o è una richiesta di documentazioni; mescolare i due aspetti assume connotati secondo gli interpellanti intimidatori e in violazione del principio della leale collaborazione fissato dallo statuto. Salvo che non si voglia dedurre un comportamento ben peggiore, e cioè che l'ufficio preferisce che il contribuente non risponda, in modo da procedere senz'altro all'accertamento sintetico;
              b) la lettera dichiara che «per tutelare la sua riservatezza nel prospetto non è precisato l'ammontare delle spese rilevate». Da tempo si osserva che il concetto di privacy è utilizzato come alibi per comportamenti di scarsa trasparenza verso l'utente e soperchierie. Nel caso in questione si parla del tutto impropriamente di privacy con riferimento a una comunicazione privata di un ufficio che è titolato a sapere sul contribuente più del contribuente stesso ed è il titolare delle informazioni coperte da riservatezza. Non essendoci alcun rischio di diffusione a soggetti terzi dei dati, questi non solo possono, ma devono essere comunicati. Da un lato si osserva che desta perplessità il fatto che si richiami alla privacy un ufficio al quale della privacy del contribuente è, secondo gli interpellanti, sempre importato poco, tanto da pubblicare on line le dichiarazioni dei redditi o farsi promotore della «gogna fiscale». Dall'altro, fatto ancora, più grave in quanto altera totalmente i princìpi delle norme sulla gestione dei dati personali, si utilizza il concettosi privacy per non comunicare al titolare dei dati, i dati che lo riguardano, aggravando e confermando quelle che agli interpellanti appaiono la natura intimidatoria della missiva e la riserva mentale di chi l'ha scritta;
              c) prosegue la lettera: «Nel caso in cui rilevi errori o incongruenze nel prospetto allegato, può comunque segnalarli inviando una mail e altro...» Il prospetto allegato è una scarna ed incongrua sommatoria di spese voluttuarie (acquisto di barche), obbligatorie (mutui, assicurazioni e contributi) e spese di famiglia (spese per studi), con delle «X» nelle caselle dove l'ufficio fiscale ritiene vi siano delle incongruenze; non si comprende come dovrebbe rispondere il contribuente, se non con un moto di panico; giova ricordare che lo Statuto del contribuente richiede la contestazione puntuale degli addebiti che si rivolgono al contribuente; qui non si conoscono nemmeno le somme complessive e non si sa se si è pagato di più o di meno (ad esempio, in merito ai contributi previdenziali). Anche in questo caso l'oscurità del documento ha ad avviso degli interpellanti carattere vessatorio ed intimidatorio;
          esiste un modo per effettuare le stesse richieste in modo corretto, senza né fronzoli, né intimidazioni, ed è quello di effettuare contestazioni puntuali e documentate sulle quali si applicano i princìpi di garanzia, parità, leale collaborazione e confronto tra le parti enunciati dallo statuto del contribuente;
          viceversa il metodo adottato dall'Agenzia delle entrate altro non fa che alimentare risentimento, recriminazione e desiderio di rivalsa in una popolazione già assediata dalla crisi economica, oltre che favorire una volontà di resistenza, che non fa riemergere l'economia sommersa, ma sommerge ancora di più quella sommersa e ne crea di nuova;
              l'Agenzia delle entrate non è nuova a lettere di tenore analogo per comunicare con i contribuenti. Da qui secondo gli interpellanti si desume che l'Agenzia esprime una cultura opposta ai principi dello statuto del contribuente, una cultura di disparità di rapporti, intimidatoria, vessatoria e prevaricatoria, che si sostanzia nell'approssimazione degli atti, nella superficialità delle comunicazioni e nell'utilizzo improprio di presunzioni che appaiono arbitrarie; questi fatti sono ampiamente avvertiti da gran parte della popolazione italiana  –:
          se non ritenga opportuno ritirare, ai fini delle indagini fiscali, il documento descritto in premessa, sostituendolo con altro documento rigorosamente redatto secondo i principi e le norme dello statuto del contribuente;
          se non ritenga opportuno impartire adeguate istruzioni al direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera, chiarendo che lo statuto del contribuente è norma fondamentale di attuazione della Costituzione e che contiene inderogabili linee guida sui rapporti tra uffici fiscali e contribuenti, anche al fine di evitare la riproposizione di documenti come quelli illustrati in premessa, nonché di tutta una serie di comportamenti ad avviso degli interroganti vessatori ed erroneamente presuntivi nei confronti dei cittadini, dei quali esiste ormai amplissima bibliografia.
(2-01556) «Marinello, Gioacchino Alfano, Pagano, Brunetta, Germanà, Baldelli, Garagnani, Romele, Mantovano, Marsilio».

Interrogazione a risposta immediata:


      D'ANNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nella versione attualmente vigente, l'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  602, prevede che i creditori – tra gli altri enti – delle aziende sanitarie locali per somministrazione, forniture e appalti possano accedere al beneficio della compensazione con somme eventualmente dovute all'erario e iscritte a ruolo;
          la possibilità di accedere all'anzidetto beneficio, tuttavia, è condizionata al rilascio della certificazione di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge n.  185 del 2008, ma, anche e soprattutto, all'individuazione delle modalità di attuazione della norma attraverso l'adozione di uno specifico decreto da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
          l'articolo 31, comma 1-bis, del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, precisa che, in ogni caso, relativamente ai crediti «maturati nei confronti degli enti del servizio sanitario nazionale» si applica comunque quanto previsto dal comma 1-ter, secondo periodo, dello stesso articolo 31;
          le anzidette norme, dunque, in carenza dei decreti ministeriali attuativi, non possono trovare applicazione;
          i crediti vantati nei confronti degli enti del servizio sanitario nazionale, pur non essendo onorati, generano un reddito aziendale che impone il pagamento di imposte. A sua volta, l'impossibilità di fare fronte al pagamento di tali imposte, conseguente alla morosità delle aziende sanitarie locali, determina l'iscrizione a ruolo delle relative somme;
          a ciò si aggiunga che, ai sensi dell'articolo 11, comma 2, del decreto-legge n.  78 del 2010 e dell'articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n.  220, nell'ambito delle regioni già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari «non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2011», termine poi prorogato fino al 31 dicembre 2012 dall'articolo 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111;
          da un lato, dunque, l'amministrazione intesa in senso lato non onora i suoi debiti e, in determinate contesti, ne impedisce finanche il recupero coattivo; dall'altro, è libera di iscrivere a ruolo le somme relative a imposte generate da un reddito solo virtuale, poiché conseguente a crediti da essa stessa non pagati;
          in tali condizioni è, dunque, evidente che l'attuazione di quanto stabilito dal citato articolo 31, commi 1-bis e 1-ter, del decreto-legge n.  78 del 2010 rappresenta l'unico contraltare in grado di riequilibrare, almeno in parte, il sistema;
          nelle ultime settimane i decreti attuativi erano stati preannunciati, ma, a tutt'oggi, non si ha notizia della loro effettiva adozione –:
          se sia a conoscenza di tali fatti e se ritenga necessario assumere ogni iniziativa di competenza per l'attuazione delle suddette norme. (3-02351)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      VENTUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi mesi la stampa ha dato risalto alle notizie relative ai circa 400 risparmiatori italiani che hanno subito perdite per circa 26 milioni di euro a seguito del fallimento della società di intermediazione mobiliare GForex;
          in particolare, tale società avrebbe raccolto presso i clienti italiani fondi che avrebbero dovuto essere investiti presso la piazza finanziaria di Dubai attraverso la piattaforma telematica ed i servizi di trading finanziario forniti dalla società GTL Trading, con sede a Dubai, riconducibile al cittadino pachistano Mahmood Riaz;
          la predetta società GTL Trading, mediante complessi meccanismi speculativi, prometteva, in sostanza, rapidi ed ingenti guadagni attraverso attività di arbitraggio sui cambi delle monete;
          secondo le notizie riportate dalla stampa, i fondi raccolti presso la clientela dalla predetta società GForex sarebbero transitati, attraverso una complessa architettura societaria, prima in Svizzera, quindi a Dubai, e successivamente trasferiti in una società con sede nelle Virgin Island;
          secondo quanto asserito dagli amministratori della società GForex, prima della sua messa in liquidazione, il dissesto sarebbe stato causato da inadempimenti da parte della società GTL, la quale, a partire dal 18 marzo 2011, avrebbe impedito a GForex di accedere alla suddetta piattaforma telematica e di compiere le operazioni trading, in tal modo impedendo alla GForex di recuperare le somme trasferite presso la GTL, con conseguente perdita, da parte dei risparmiatori italiani, delle somme da loro investite;
          a seguito di tale inadempimento la società GForex ha intrapreso un'azione legale nei confronti della GTL, presentando una denuncia presso la magistratura di Dubai ed una presso la procura della Repubblica di Milano;
          in tale contesto il suddetto Mahmood Riaz avrebbe fatto pervenire al curatore fallimentare della GForex una proposta transattiva del tutto insoddisfacente, proponendo la restituzione solo di una piccolissima parte delle somme investite;
          la dinamica di tale dissesto risulta tuttora oscura, sia per quanto riguarda la tempistica, sia per quanto riguarda le ragioni che l'hanno determinato;
          non appaiono inoltre chiare, in tale contesto, le responsabilità della società italiana GForex, che, nel settembre 2010, sarebbe stata oggetto di un'ispezione in vista della sua trasformazione in società di intermediazione mobiliare (SIM);
          in ogni caso, si deve sottolineare la gravità della vicenda, che costituisce l'ennesimo esempio di truffa perpetrata ai danni di risparmiatori ignari, i quali, incentivati dalla promessa di importanti tassi di investimento, rischiano ora di perdere i propri risparmi, ponendo numerose famiglie in una condizione di grave difficoltà;
          in particolare risulta assai inquietante che sia stato possibile raccogliere risparmi presso il pubblico indistinto, per destinarli ad attività finanziarie speculative del tutto opache, operato attraverso società estere, probabilmente ubicate in paradisi fiscali, senza che intervenissero per tempo i meccanismi di vigilanza preposti alla garanzia della trasparenza ed alla tutela dei risparmiatori;
          la questione ha già costituito oggetto dell'interrogazione a risposta scritta n.  4-14974 a prima firma Marinello, con la quale si chiedeva al Ministro degli affari esteri ed al Ministro dell'economia e delle finanze, un intervento diplomatico presso il Governo degli Emirati Arabi Uniti;
          in risposta a tale atto di sindacato ispettivo, il Sottosegretario per gli Affari esteri Dassù informava, in data 26 aprile 2012, che la questione era stata portata all'attenzione dell'ambasciata italiana ad Abu Dhabi, e che l'ambasciatore italiano aveva portato, con propria lettera, la questione all'attenzione del Ministro dell'economia degli Emirati Arabi Uniti, sottolineando la delicatezza del problema e l'esigenza di tutelare i diritti dei cittadini italiani colpiti  –:
          quali ulteriori informazioni possa fornire in merito, anche attraverso la CONSOB, e quali iniziative intenda assumere, anche nella sua qualità di presidente del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, al fine di assicurare adeguata tutela ai diritti dei risparmiatori italiani coinvolti ed ottenere la restituzione dei capitali da loro investiti, nonché al fine di evitare che in futuro possano ripetersi vicende analoghe. (5-07147)


      FUGATTI, CHIAPPORI, FORCOLIN, COMAROLI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  201 del 2011 anticipa al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), prevista dal decreto legislativo n.  23 del 2011 rivedendo diversi aspetti dell'imposta medesima, a partire dal 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito IMU sugli immobili diversi dall'abitazione principale, alla tassazione sulla prima abitazione;
          lo stesso decreto-legge prevede altresì che vengono ridotte in misura proporzionale le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e destinate al singolo ente qualora quest'ultimo incassi dall'applicazione dell'IMU un gettito maggiore rispetto a quanto introitato dall'ICI del 2010, mentre oggi i comuni, in fase di predisposizione dei bilanci previsionali per l'esercizio 2012 e a seguito delle ultime modifiche normative, iscrivono a bilancio il gettito derivante dall'applicazione dell'IMU ad aliquote ordinarie sulla base dei valori stimati dal Ministero dell'interno;
          in numerosissimi casi, la differenza tra il gettito atteso dallo Stato e quello stimato dai comuni che avevano già predisposto le proprie proiezioni, è estremamente elevata, tale da apparire non credibile o comunque estremamente anomala, così che sarebbe necessario conoscere con quali criteri e parametri il Ministero abbia elaborato i dati IMU sui quali gli enti locali dovrebbero basare le proprie entrate a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio (FSR);
          l'Istituto per la finanza e l'economia locale ha pubblicato i primi dati sull'ammontare del fondo sperimentale di riequilibrio, che nel complesso ammonterà a 6,8 miliardi di euro, con una riduzione di 4,2 miliardi di euro rispetto all'ammontare del fondo nel 2011 a causa della compensazione dell'IMU definita dall'articolo 13, comma 17, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, e la pubblicazione dei dati evidenzia come le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio destinate a ciascun ente siano nettamente inferiori rispetto all'anno precedente, e che tale diminuzione sarebbe dovuta principalmente proprio alla variazione compensativa dell'IMU;
          è emerso come in alcuni casi, soprattutto riferibili a comuni di tipo turistico, di fronte ad un taglio così incisivo al fondo sperimentale di riequilibrio, i comuni non siano in grado di recuperare il gettito dell'imposta municipale propria previsto dal Ministero, con evidenti problemi di liquidità per gli enti locali;
          secondo le prime proiezioni del Ministero dell'interno, ad esempio, oggi il comune di Diano Marina (Imperia), in virtù dei tagli effettuati al fondo sperimentale di riequilibrio e della detrazione IMU operata con il procedimento sopra descritto, si vedrebbe non solo azzerati i trasferimenti erariali, ma, addirittura, dovrebbe rendere allo Stato oltre 460 mila euro per incapienza di risorse, in quanto il taglio effettuato al fondo sperimentale di riequilibrio è maggiore delle risorse al comune oggi spettanti  –:
          quali iniziative intenda assumere per verificare le stime di gettito IMU del Ministero e quali intendimenti proponga di adottare al fine di evitare che gli enti locali, come il comune di Diano Marina, siano costretti, in virtù delle riduzioni di trasferimenti, ad aumentare l'imposizione fiscale. (5-07148)


      CERA, POLI e RUGGERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto attuativo della normativa sulla detassazione dei premi di produttività, per l'anno 2012, annunciato dal Vice ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli, rispondendo all'interrogazione, n.  3-02302, presentata dal primo firmatario del presente atto, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 maggio 2012, sancisce che, per il periodo dal 1o gennaio 2012 al 31 dicembre 2012, sono prorogate le misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro previste dall'articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge 27 maggio 2008, n.  93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n.  126;
          tali misure trovano applicazione entro il limite di importo complessivo di 2.500 euro lordi, con esclusivo riferimento al settore privato e per i titolari di reddito di lavoro dipendente non superiore, nell'anno 2011, a 30.000 euro, al lordo delle somme assoggettate nel medesimo anno 2011 all'imposta sostitutiva di cui all'articolo 2 del decreto-legge n.  93 del 27 maggio 2008;
          dopo cinque mesi di ritardo si dà atto al Governo di aver adottato tale decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale così come annunciato; tuttavia, le misure in esso contenute limitano la portata del provvedimento, in quanto risultano abbassati sia la soglia di reddito che il limite massimo di importo agevolabile; senza risorse adeguate il tanto atteso decreto attuativo sulla detassazione dei premi di produttività resta un provvedimento privo di ogni significato  –:
          se non ritenga urgente adottare le iniziative necessarie affinché vengano ripristinati al più presto i fondi per la detassazione dei redditi derivanti da premi di produttività a partire dal 1o gennaio 2012, restituendo quanto prima a questo strumento di incentivazione utile ed efficace quella capacità di sostenere tanti lavoratori come avvenuto anni fa, per impedire che questi ultimi vengano penalizzati. (5-07149)


      FLUVI, CENNI e ALBINI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il «circolo Due Ponti» è una struttura, ubicata a Siena, in prossimità del centro cittadino, nata nel 1908 come associazione di mutuo soccorso (denominata «Il Risorgimento ai Due Ponti»), realizzata da privati cittadini con lo scopo di svolgere «funzioni di ricreazione per il corpo sociale e di reciproca assistenza in caso di malattia»;
          l'obiettivo di tale associazione, come risulta dalla documentazione storica e fondativa, è quello di garantire con i finanziamenti derivanti dalle erogazioni volontarie, un punto di riferimento e di sostegno solidale ed economico, in particolare alle classi popolari di contadini, operai e famiglie meno abbienti;
          nel 1910 fu acquistato dal presidente del circolo, in nome e per conto della società stessa, l'appezzamento di terreno, ad uso abitativo, dove sorgono tutt'oggi i locali della struttura;
          il circolo, nel 1942, fu requisito dal partito fascista e divenne una «casa del fascio»;
          dopo la caduta del regime, nel 1944, tutti i beni che il partito fascista aveva acquisito arbitrariamente e quindi anche il «circolo Due Ponti» (temporaneamente rinominato «Società di mutuo soccorso Benito Mussolini»), vengono devoluti al demanio pubblico;
          successivamente, lo Stato italiano, in considerazione della valenza di uso sociale e collettivo del bene, affittò l'edificio alla società Due Ponti, che aveva nel frattempo ripreso la sua funzione e le sue attività originarie, per una cifra simbolica;
          risulta pertanto, per le ragioni illustrate, evidente come tale edificio, nonostante fosse stato realizzato attraverso i finanziamenti ed il lavoro manuale di privati cittadini, sia stato di fatto espropriato per essere poi destinato al demanio pubblico;
          nel corso dei decenni successivi il «circolo Due Ponti» (anche in virtù della sua disposizione logistica ben integrata con il tessuto cittadino) divenne un centro plurifunzionale di riferimento per la comunità locale e per le associazioni territoriali di molteplice finalità e tipologia: di volontariato, di movimenti politici, di comunità religiose, di associazioni sportive, ricreative, culturali e sociali;
          la società Due Ponti aderì, successivamente, all'Arci che nel 1967 ottenne il riconoscimento ministeriale del carattere assistenziale delle finalità perseguite, iniziando così un nuovo periodo per l'associazione ed i suoi circoli;
          con la legge 13 maggio 1978, n.  208, venne abrogata la prima (secondo comma dell'articolo 38 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n.  159) che aveva comunque permesso alla società Due Ponti di mantenere la gestione delle attività sociali ed assistenziali: cessò, così, il diritto di prelazione per «servizi pubblici o a scopi di interesse generale» a favore degli enti locali in caso di alienazione dell'edificio, il cui prezzo di vendita o di affitto viene d'ora in avanti definito in relazione alle quotazioni di mercato;
          anche grazie all'impegno degli enti e delle istituzioni locali e della comunità cittadina, nel 2005 fu stipulato un contratto tra il circolo Due Ponti e la società demaniale dello Stato (della durata di 6 anni, fino al 31 dicembre 2010, e comunque prorogabile) ad un prezzo di affitto pari ad un decimo del valore di mercato (circa 3.500 euro annui), ai sensi della legge 11 luglio 1986, n.  390, che prevedeva agevolazioni per immobili utilizzati per lo svolgimento di scopi sociali, ricreativi, culturali ed umanitari: si trattava quindi di un affitto sostenibile per i soci, che riconosceva e salvaguardava il ruolo centenario e l'attività mutualistica e assolutamente volontaria (priva di alcun tipo di finalità commerciale) offerta quotidianamente dalla struttura alla cittadinanza;
          il decreto del Presidente della Repubblica 13 settembre 2005, n.  296, «Regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato» ha abrogato la citata legge n.  390 del 1986 e, conseguentemente, sono venute meno le agevolazioni previste per concessioni a canone agevolato;
          nei mesi scorsi è stata attivata, dall'Agenzia del demanio, la rinegoziazione del canone di affitto, giunto a scadenza, con il circolo Due Ponti ad un prezzo definito di mercato;
          dai primi contatti intercorsi con l'Agenzia del demanio, risulterebbe informalmente una ipotesi di rinnovo della locazione ad un canone di circa 8 volte superiore all'ammontare dell'ultimo contratto si tratterebbe inevitabilmente di una cifra che, proprio in virtù delle finalità espresse e della natura non commerciale delle attività effettuate e programmate, il circolo Due Ponti non potrebbe più sostenere;
          risulta evidente che, qualora non fosse presa in considerazione dall'Agenzia del demanio qualsiasi tipologia di canone agevolato, la struttura sarebbe presto adibita ad altro utilizzo e la comunità locale dovrebbe rinunciare ad un importante centro di aggregazione e di promozione sociale;
          in questo contesto si ritiene utile sottolineare come il circolo Due Ponti abbia, nel corso degli anni, finanziato o eseguito direttamente anche opere di ammodernamento e ristrutturazione dei locali utilizzati per le attività delle associazioni, contribuendo di fatto ad un suo più elevato valore di mercato;
          l'Agenzia del demanio, come si evince anche nel sito internet dell'ente, persegue il soddisfacimento dell'interesse pubblico, adottando, nella gestione del patrimonio immobiliare dello Stato, oltre a «criteri di economicità e di creazione di valore economico» anche indirizzi di carattere «sociale»  –:
          quali iniziative intenda intraprendere affinché il nuovo contratto di locazione fra l'Agenzia del demanio ed il circolo Due Ponti preveda un canone agevolato, rispetto ai valori di mercato, proprio in virtù del ruolo di centro di aggregazione e di promozione sociale rivestito da decenni a servizio della comunità locale e del fatto che l'edificio stesso è stato realizzato e ristrutturato con finanziamenti di privati cittadini e solo successivamente assegnato al demanio pubblico, anche considerando, per tale ragione, la possibilità di riconsegnare alla comunità, con trasferimento gratuito, la struttura realizzata con finanziamenti di privati cittadini e solo successivamente, in conseguenza di appropriazione avvenuta durante il periodo fascista, assegnati al demanio pubblico. (5-07150)


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          i cittadini italiani sono stati appena chiamati a versare la prima rata dell'IMU 2012;
          risultano tuttavia innumerevoli casi di esenzione dal pagamento dell'IMU 2012, i quali rappresentano in molti ipotesi un vero e proprio privilegio in favore dei proprietari di diverse categorie di abitazioni; come risulta dal servizio «IMU in fumo» trasmesso nella puntata del 12 giugno 2012 della trasmissione Ballarò su Rai 3, nonché da un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano del 3 giugno 2012 dal titolo «Più valgono, meno pagano: esentati 50 mila palazzi (Ruspoli, Torlonia). Nessuna tassa sugli edifici storici affittati a peso d'oro a Bulgari o Vuitton». In particolare, i proprietari di palazzi storici, pur incassando cifre stratosferiche per gli affitti di negozi locati ad importanti marchi o utilizzati direttamente nelle zone di pregio di Roma, ad esempio tra piazza di Spagna e dintorni, come pure in altri comuni, godono di un trattamento speciale e di privilegio;
          infatti, tali soggetti, dopo aver beneficiato per oltre venti anni della norma di cui all'articolo 11, comma 2, della legge n.  413 del 1991, finalmente abrogata dall'articolo 4, comma 5-quater, del decreto-legge n.  16 del 2012, ai sensi della quale, ai fini delle imposte sui redditi «il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'articolo 3 della legge 1o giugno 1939, n.  1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l'applicazione della minore delle tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato», nonché dopo aver beneficiato della sostanziale esenzione dell'ICI, in forza dell'articolo 2, comma 5, del decreto-legge n.  16 del 1993, ora abrogato dall'articolo 4, comma 5-ter, del decreto-legge n.  16, secondo il quale la base imponibile ICI era determinata applicando «la tariffe d'estimo di minore ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è sito il fabbricato», godono tuttora di un trattamento privilegiato ai fini IMU, in quanto, in forza dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge n.  201 del 2011, come recentemente modificato dall'articolo 4, comma 5, lettera b), del decreto-legge n.  16 del 2012, la base imponibile ai fini di tale imposta è ridotta del 50 per cento per tali fabbricati;
          per effetto del perpetuarsi di tale vera e propria sperequazione, i proprietari delle case più belle, importanti, preziose e storiche di Roma, Venezia, Milano, Firenze, pagano le stesse tasse dei cittadini proprietari di case di valore infimo; a causa di tale trattamento privilegiato, dopo l'introduzione dell'IMU, lo Stato continuerà a rinunciare, con insopportabile ingiustizia, ad un importante gettito fiscale, quantificabile in diverse centinaia di milioni, atteso che il patrimonio di immobili vincolati si aggirerebbe intorno alle 50.000 unità;
          con l'interrogazione a risposta immediata n.  5-06800, a firma del presentatore della presente interrogazione, svolta presso la Commissione Finanze il 9 maggio 2012, era stato inoltre sollevato il caso degli immobili del fondo immobili pubblici (FTP), gestito da una società di gestione del risparmio collegata a banche, assicurazioni, finanziarie ed altri investitori nazionali ed esteri, che, pur intascando un fitto dallo Stato di circa 250 milioni di euro annui, ha goduto della totale esenzione dell'ICI, e sarà a sua volta esentata dal pagamento dell'IMU per tali immobili;
          analogamente, le 88 fondazioni bancarie italiane, pur vantando un patrimonio di circa 50 miliardi di euro, sono esonerate dall'IMU, perché, secondo il Governo, sono istituzioni no-profit, malgrado la Corte di Cassazione abbia stabilito il contrario nel 2009: pertanto, anche tali enti non pagheranno 1 euro di IMU, malgrado il loro patrimonio sia impiegato solo nella misura del 2 per cento per attività benefiche no-profit;
          a ciò si aggiunge che, in forza del dettato dell'articolo 91-bis, comma 2, del decreto-legge n.  1 del 2012, l'eliminazione dell'esenzione, già prevista per l'ICI in favore degli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici aventi finalità non esclusivamente commerciali, esplicherà i suoi effetti solo a partire dal 1o gennaio 2013, consentendo in tal modo a tali enti di non pagare l'IMU per il 2012;
          nell'attuale, gravissima fase di crisi, nella quale il Governo sta chiedendo pesantissimi sacrifici ai contribuenti onesti, colpendo anche le fasce più deboli della popolazione, che già sono poste in una situazione di profonda difficoltà dalla negativa congiuntura economica, tali privilegi, già di per sé inaccettabili, risultano ancor più insopportabili;
          è dunque urgente che il Governo proceda ad una profonda revisione dei regimi di esenzione attualmente vigenti in materia  –:
          quali iniziative intenda assumere al fine di procedere, in tempi brevissimi, ad una complessiva rivisitazione del regime dell'IMU, che ha già mostrato notevoli elementi di criticità e di sperequazione, in primo luogo eliminando, già a partire dal 2012, le scandalose esenzioni richiamate in premessa, nonché di venire incontro alle esigenze di quei contribuenti che non hanno potuto ottemperare in tempo ad un obbligo tributario spesso molto gravoso, assumendo iniziative per consentire il versamento della prima rata dell'IMU anche oltre il termine del 18 giugno 2012, senza applicazione di alcuna sanzione o interesse. (5-07151)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di stampa si apprende che «Da mesi la Banca d'Italia era preoccupata perché lo IOR, pur avendo promesso di conformarsi a un trattato fra Vaticano e Unione europea (ultima scadenza il 31 dicembre prossimo) non rispettava ancora le norme sulla trasparenza e contro il riciclaggio. Da gennaio, a norma di una legge italiana del 2007, lo IOR va considerato una “banca extracomunitaria” con obblighi rafforzati di verifica. Nella primavera scorsa, pare, le autorità vaticane erano state garbatamente avvertite che in assenza di novità lo Stato della Chiesa rischiava di essere assimilato a un “paradiso fiscale”. Le novità non sono arrivate e il 9 settembre 2010 la Banca d'Italia ha inviato a tutte le aziende di credito una circolare dove si precisava che le banche extracomunitarie devono identificare tutti i clienti, e se questo non avviene occorre segnalare i casi sospetti. Il Credito Artigiano ha subito rispettato le indicazioni. Il 15 l'Uif intervenuto d'urgenza fermando i due bonifici, uno di 20 milioni alla JP Morgan Chase filiale di Francoforte, un altro di 3 alla Banca del Fucino»  –:
          se, nell'ambito delle sue competenze, conosca come veniva considerato lo IOR prima che entrasse in vigore il decreto legislativo 21 novembre 2007, n.  231 «Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  290 del 14 dicembre 2007 – supplemento ordinario n.  268/L;
          se sia noto se prima del 9 settembre 2010 le banche extracomunitarie avessero un obbligo di identificazione di tutti i clienti e come le aziende di credito operassero prima della stessa data nei rapporti con le banche extracomunitarie che non identificavano tutti i clienti.
(5-07134)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata:


      DI PIETRO e PALOMBA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sono passati vent'anni dalla stagione delle stragi di mafia culminate con la morte dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: ma la piena ed integrale verità è ancora oscurata da una ragnatela di collusioni, silenzi e comportamenti omertosi;
          quella stagione non può assolutamente essere archiviata in nome e nel rispetto di molte vittime di tanta barbarie, della nostra storia e dei principi tracciati dai nostri padri costituenti;
          la magistratura, attraverso diverse procure della Repubblica, pur tra molte difficoltà, sta meritoriamente indagando se ci fu una trattativa tra Stato e mafia e quali ne furono i contorni, tema in merito al quale è vitale per la nostra democrazia conoscere gli eventuali responsabili;
          altrettanto essenziale per la nostra democrazia è sapere se c’è chi vuole mantenere quella pagina di storia ancora oscura, sia omettendo di dare le informazioni, sia frapponendo ostacoli alle indagini;
          da notizie di stampa, e segnatamente da Il Fatto quotidiano, si apprende anche che il procuratore della Repubblica di Palermo, dottor Messineo, ha rifiutato di assentire gli atti dei sostituti procuratori incaricati dello svolgimento delle indagini in questa materia, così «lasciandoli soli», come ha commentato parte della stampa;
          un Paese può considerarsi libero e democratico quando non ha segreti e quando le istituzioni concorrono alla ricerca della verità, affinché i cittadini possano sapere e capire tutto ciò che è accaduto nella loro storia. Ciò tanto più vale trattandosi di un tema così grave come la mafia, che insanguina il Paese e accumula risorse sottraendole all'economia pulita, organizzazione criminale che potrebbe essere accostata allo Stato solo per la spietata lotta e non per trattative e collusioni;
          quindi, la verità deve poter essere cercata senza guardare in faccia nessuno, neppure i potenti passati o presenti, per il debito che lo Stato ha verso se stesso, verso la giustizia e verso quei servitori delle istituzioni che persero la vita in quei primi mesi del 1992, anche affinché il loro sacrificio non sia stato vano –:
          se non intenda avviare iniziative ispettive per verificare se la situazione in premessa giustifichi l'eventuale esercizio dei poteri di competenza. (3-02346)

Interrogazione a risposta scritta:


      GARAVINI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dalla relazione 2011 dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata emerge che gli immobili in gestione sono 3.364 e di questi 2.590 sono gravati da una o più criticità;
          le criticità numericamente più significative sono così ripartite: presenza di ipoteche (1.556), beni aziendali (1.352), procedure giudiziarie in corso (443);
          per oltre la metà dei beni in confisca il principale ostacolo alla loro destinazione a finalità sociali o istituzionali è rappresentato dall'esistenza di gravami ipotecari in favore di istituti bancari;
          il codice antimafia ha affrontato, sia pure in modo parziale ed insufficiente, il problema della verifica dei crediti ipotecari sin dalla fase del sequestro, ma nulla è stato disposto per la fase successiva alla confisca definitiva;
          in particolare, risulta indispensabile attivare le procedure di incidente d'esecuzione innanzi alle competenti autorità giudiziarie al fine di accertare la buona fede e l'incolpevole affidamento delle banche nel momento in cui hanno proceduto con la concessione, in favore di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, di mutui garantiti da ipoteche sui beni di seguito confiscati e acquisiti al patrimonio dello Stato;
          questa tecnica di indebitamento ha fatto sì che i mafiosi venissero in possesso di somme liquide di denaro facilmente occultabili, lasciando all'azione repressiva della magistratura beni obiettivamente inutilizzabili per le finalità sociali ed istituzionali previste dalle legge;
          non risulta agli interroganti che l'Agenzia nazionale per i patrimoni di mafia abbia intrapreso alcuna azione sistematica per procedere all'accertamento della buona fede e dell'incolpevole affidamento delle banche nei 1.556 casi sopra ricordati;
          si tratta di azioni giudiziarie particolarmente complesse e lunghe, il cui ulteriore ritardo pregiudica la possibilità di utilizzazione di ingenti cespiti patrimoniali  –:
          quali iniziative normative intenda adottare il Ministro della giustizia, anche in sede di decreti correttivi del codice antimafia, per agevolare l'accertamento giudiziario sui crediti ipotecari sopra ricordati, relativamente ai beni in confisca definitiva;
          quali direttive intenda impartire il Ministro dell'interno, nel suo potere di vigilanza, affinché l'Agenzia attivi le procedure di cui sopra. (4-16651)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


      PROIETTI COSIMI, TOTO e DI BIAGIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 18 giugno 2012 gli interroganti hanno effettuato un sopralluogo di accertamento presso la stazione Ostiense di Rema;
          si è riscontrato che di fatto la cancellata oggetto di contestazioni impedisce il passaggio dei passeggeri dall'area «Casa Italo», dove sono situate la biglietteria e il centro servizi di Ntv, alla banchina di accesso ai treni;
          sono state rilevate, inoltre, ulteriori ed evidenti anomalie: su un'area di pertinenza pubblica antistante «Casa Italo», una barriera metallica recentemente posizionata, ostruisce visibilmente il transito attraverso un ingresso preesistente, di essenziale funzionalità per l'accesso alla zona della stazione di mezzi d'emergenza, in totale contrasto con il buonsenso e il principio di responsabilità;
          il blocco dell'accesso descritto causa inoltre problematiche rispetto all'intervento delle forze di polizia competenti per zona e della polizia ferroviaria;
          su indicazione del personale interno alla stazione si è potuto constatare il cattivo funzionamento degli impianti di servizio (scale mobili, passamaneria e ascensori) e la quasi totale inagibilità dei servizi igienici;
          il cattivo funzionamento degli ascensori e delle scale mobili causa notevoli difficoltà per la mobiliti degli utenti diversamente abili  –:
          se i Ministri interrogati intendano assumere decisioni e iniziative sull'urgente bisogno di ripristinante condizioni di pieno rispetto della normativa vigente di concorrenza e di sicurezza all'interno dell'area della stazione Ostiense e se intendano, inoltre, accertare i motivi dell'impiego di risorse pubbliche per «elevare barriere» anziché per garantire all'utenza servizi accettabili. (4-16654)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          il dipartimento nazionale della protezione civile ha recentemente ritenuto opportuno mettere mano alla dislocazione delle strutture antincendio presenti sul territorio della regione Sardegna;
          in particolare la protezione civile ha deciso modificare radicalmente l'organizzazione operativa che da oltre vent'anni prevede lo schieramento di 4 Canadair CL415 di stanza e un elicottero S-64 ad Olbia e un S64 su Cagliari Elmas;
          tale decisione, presa senza nessun coordinamento con gli organi istituzionali della regione Sardegna, sembra addurre a motivo di tale cambiamento il fatto che lo scorso anno si è registrata una diminuzione dell'incidenza degli incendi nel nord della Sardegna con un lieve incremento nei sud della regione;
          un altro punto a sostegno della decisione della protezione civile riguarda i venti di maestrali tipici del territorio della Gallura che, soffiando di traverso oltre i 22 nodi, comporterebbero, secondo gli esperti, delle forzate ore non operative per i velivoli che, invece, con il trasferimento a Cagliari si potrebbero evitare;
          a ciò è stato aggiunto che con questo nuovo schieramento dei Canadair sarebbe più veloce un intervento, ove necessario, nella vicina Sicilia;
          le polemiche che sono sopraggiunte da parte degli esponenti della regione, in particolare dallo stesso presidente della regione Sardegna, quanto degli amministratori locali, non sono valse ad incidere sulla posizione irremovibile della protezione civile che, anzi, ha risposto alle rimostranze locali dicendosi eventualmente disposta a posizionare un ulteriore Canadair ad Olbia ma soltanto qualora la regione si facesse carico di parte delle spese;
          l'ispettorato forestale di Tempio-Pausania ha messo in evidenza ha messo in evidenza la fallace convinzione maturata dalla protezione civile in merito all'invasività degli incendi. I dati concreti degli ultimi decenni dimostrano che solo nel periodo 2002/2011 la Gallura ha gestito circa 3 mila incendi e i danni non sono stati devastanti proprio grazie all'intervento tempestivo degli aerei dislocati ad Olbia che hanno effettuato, nel medesimo periodo di riferimento, oltre 255 interventi;
          se la stagione del 2011 ha evidenziato una minore invasività dei territori colpiti da incendi, non si possono dimenticare gli incendi che nel 1982, 1989, 1993, 1994, 2005, 2007, 2009 hanno devastato la Gallura come in nessuna altra parte della regione, facendo registrare anche ben 28 vittime che hanno perso la vita tra le fiamme  –:
          se la decisione presa dalla protezione civile sia sostenuta da argomentazioni che, a fronte dei dati, giustificano questo repentino cambiamento posto che esse appaiono difficilmente dimostrabili considerato il lungo periodo di servizio dei Canadair ad Olbia, che ha permesso di evitare disastrose conseguenze non solo sul piano paesaggistico ma anche umano;
          su quali basi il dipartimento della protezione civile sia pervenuto a tali risultati;
          se il Ministro non ritenga opportuno, prima di rendere operativa questa decisione a partire dal 26 di giugno 2012, di esaminare con attenzione e cautela le probabili conseguenze che potrebbero presentarsi a fronte di questa scelta, non solo nel territorio della Gallura ma in tutta la regione Sardegna purtroppo da sempre duramente colpita dagli incendi;
          se non ritenga di dover adeguatamente coinvolgere le istituzioni regionali e locali per valutare, se esistano i presupposti per dei cambiamenti strategici.
(2-01555) «Nizzi, Vella, Malgieri, Pili, Minasso, Mannucci, Landolfi, Garofalo, Minardo, Pianetta, Murgia, Torrisi, Iannarilli, Vitali, Luciano Rossi, Porcu, Stradella, Centemero, Speciale, Frassinetti, Milanese, Piso, Massimo Parisi, Gottardo, Baccini, Cassinelli, Osvaldo Napoli, Stanca, Aracu, Girlanda, Leo, Vincenzo Antonio Fontana, Simeoni, Laffranco, Palmieri, Crolla, Cossiga, Biancofiore».

Interrogazione a risposta immediata:


      GRANATA e MURO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Arzano già nel 2008 è stato colpito da un decreto di scioglimento per condizionamento camorristico;
          dal 2010 vi è una nuova amministrazione che sta adottando dei provvedimenti che meritano controllo ed approfondimento:
          il sindaco, dott. Giuseppe Antonio Fuschino, il 14 marzo 2012 ha dato parere favorevole ad una proposta di edilizia residenziale sociale ad opera di una cooperativa denominata Mi.Ru. per la realizzazione di 150 appartamenti su un suolo di trentacinquemila metri quadrati, in palese contraddizione con le reali esigenze del territorio in quanto dall'elaborazione del piano regolatore generale, peraltro bocciato, Arzano conta un esubero di circa 7.000 vani, come da interrogazione all'assessore regionale del consigliere regionale Luciano Schifone, con prot.gen. 2011.0031736/A del 24 novembre 2011:
          da fonti di stampa risulterebbe che dietro a questa cooperativa, proponente il progetto, vi sia il clan dei casalesi che ne sarebbe il finanziatore occulto e che vi sarebbero legami tra alcuni componenti della cooperativa, come Michele Russo, noto imprenditore di San Cipriano di Aversa, e il boss Michele Zagaria, anche se di recente il citato presidente della cooperativa è stato sostituito con Enzo Marrazzo;
          si evidenzia che il dirigente, l'ingegner Aldo Grimaldi, nel consiglio comunale del febbraio 2011 forniva una relazione contro il progetto, ma successivamente il dirigente comunale palesava che forse poteva esserci la possibilità della realizzazione del progetto se il comune avesse aumentato i propri standard e, infine, il 14 marzo 2012 il sindaco esprimeva parere positivo, senza peraltro adempiere a tutte le procedure;
          per quanto concerne l'affidamento della gestione dei servizi di igiene urbana, risulta agli atti la delibera in cui si approva un capitolato di appalto per poi revocarlo dopo due mesi per le tante illegittimità presenti, deliberando una terza proroga all'attuale ditta con un incremento del 100 per cento delle spettanze come da capitolato;
          la ditta beneficiaria della proroga, denominata Ecologia Falzarano, ha subito varie contestazioni dagli stessi dipendenti, in quanto manchevole nella gestione basilare, come la mancanza di automezzi come da capitolato, del capo vestiario, la totale mancanza igienico-sanitario dei locali, un deposito parzialmente sequestrato dall'azienda sanitaria locale di competenza per aver accantonato dei rifiuti speciali all'interno del deposito, la mancanza dei versamenti del trattamento di fine rapporto agli enti preposti e la mancanza dei versamenti alle finanziarie per prestiti accesi dai dipendenti anche se dalla busta paga erano sottratte le varie somme, circostanze queste a conoscenza del sindaco per le segnalazioni degli stessi dipendenti;
          infine, la riscossione della tarsu affidata alla società SO.GE.R.T., società già citata nel decreto di scioglimento, affidamento questo, che come si legge nella relazione del collegio dei revisori dei conti, protocollo 10859 del 15 maggio 2012, avvenuto senza il rispetto di quanto previsto dalle norme di legge, che prevedono la possibilità di proroga entro i termini previsti, senza alcuna procedura di evidenza pubblica per le sole convenzioni già in essere; nel caso del comune di Arzano il contratto con la SO.GE.R.T. era cessato nel 2007 e, pertanto, il nuovo affidamento non si configura quale proroga di contratto;
          a ciò deve aggiungersi che in due anni di amministrazione il sindaco ha nominato circa 15 assessori, ha visto dimissionari anche alcuni dirigenti di nomina sindacale, tanto da nominare anche se provvisoriamente, ma già da tre mesi, dirigente all'urbanistica il ragioniere capo, ha modificato la pianta organica, approvata solo qualche mese prima, per poter affidare al dirigente della polizia municipale il settore ambiente, ritornando così, a parere degli interroganti, all'anomalia che il controllato e il controllore sono la stessa persona;
          si sono dimessi, senza che ne siano stati resi noti i motivi, due assessori con delega alla legalità, si è dimesso l'assessore al bilancio venti giorni prima dell'approvazione del bilancio di previsione in data 10 giugno 2011, con una lettera che evidenzia la manipolazione e la strumentalizzazione subita –:
          se il Ministro interrogato intenda disporre accertamenti per verificare se sussistano dei condizionamenti della criminalità organizzata nell'amministrazione comunale di Arzano, traendone nel caso le doverose conseguenze. (3-02353)

Interrogazione a risposta scritta:


      GARAVINI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna il 5 maggio 2011 ha approvato la legge recante «Misure per l'attuazione coordinata delle politiche regionali a favore della prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile»;
          detta legge individua una cornice di cooperazione e collaborazione istituzionale che deve essere immediatamente attivata per impedire che si realizzino pericolose infiltrazioni mafiose nei lavori conseguenti ai gravi eventi sismici che hanno colpito quella regione;
          a seguito di quell'iniziativa, il Ministero dell'interno ha provveduto, nei giorni scorsi, a rendere operativa in Bologna una sezione del centro DIA di Firenze, in modo da assicurare un punto di collegamento informativo ed investigativo in una regione che da tempo viene segnalata dagli organi competenti come a rischio di infiltrazione mafiosa;
          a seguito degli accennati gravi eventi sismici, aree cospicue dell'Emilia Romagna saranno interessate da imponenti lavori nel settore delle costruzioni e dell'edilizia industriale e per civile abitazione;
          proprio questi settori costituiscono, da sempre, i campi d'azione delle più agguerrite consorterie della ’ndrangheta e della camorra, non solo in quella regione, ma nell'intero Centro-nord, come hanno dimostrato anche le indagini svolte dalla procura della Repubblica de L'Aquila per la ricostruzione successiva al sisma del 2009;
          la necessità di avviare immediatamente i lavori di ricostruzione delle abitazioni e degli stabilimenti danneggiati o distrutti dal sisma del mese di maggio 2012 sconsiglia di adottare soluzioni, come le white list, che varrebbero solo a ritardare le procedure amministrative, senza alcun reale beneficio per il controllo di legalità  –:
          se non ritenga assumere iniziative per assicurare – fin da questa fase e per coloro i quali vorranno accedere alle sovvenzioni pubbliche, statali o locali erogate per la ricostruzione – l'immediata tracciabilità dei pagamenti verso le imprese private interessate a tutti i lavori nell'area del sisma, secondo quanto già previsto per la ricostruzione «privata» in Abruzzo in ossequio alle ultime linee guida del comitato di alta sorveglianza sulle grandi opere (CASGO) e secondo quanto regolato dal decreto legislativo n.  159 del 2011 e successive modificazioni. (4-16649)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          al fine di razionalizzare il procedimento per la formazione delle classi scolastiche, il nostro ordinamento prevede l'assegnazione di un numero minimo di studenti frequentanti ogni classe, ponendo a fondamento del sistema scolastico una struttura organizzativa che si vorrebbe fondata anche sui principi di efficienza, efficacia ed economicità;
          esistono casi in cui questi principi vengono derogati, come nel caso dell'insegnamento della religione cattolica, a causa di una eccezione fondata sui meri fatti, poiché al docente di religione si consente di impartire la propria opera educativa ad un numero indefinito di studenti. Ciò è possibile, ovviamente, solo per l'individuazione del numero minimo, dipendente dal numero di studenti effettivamente optanti per la frequenza di tale materia poiché il numero massimo è coincidente con quello degli alunni frequentanti la classe stessa. Da ciò deriva una conseguenza logica: il docente di religione può impegnare la sua ora di insegnamento anche per il beneficio di un unico studente;
          il numero minimo di alunni necessario per formare una classe, in riferimento alle scuole di ogni ordine e grado, è indicato principalmente nel decreto ministeriale n.  331 del 24 luglio 1998, di cui si riportano le disposizioni in dettaglio: scuola materna: 15 alunni (articolo 14), scuola elementare (ora denominata scuola primaria) 10 alunni, per le pluriclassi è prevista una deroga che porta il numero minimo a 6 alunni (articolo 15); Scuola media (ora denominata istruzione secondaria di primo grado): 15 alunni (articolo 16) Possono eventualmente essere costituite classi uniche, per ciascun anno di corso, con un numero di alunni inferiore ai valori minimi, ma non inferiore a 10, nelle scuole e nelle sezioni staccate funzionanti nei comuni montani, nelle piccole isole, in zone a rischio di devianza minorile, nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche, nonché in relazione alla presenza di alunni con particolari difficoltà di apprendimento e di scolarizzazione (articolo 16, comma 3); Scuola superiore (ora denominata istruzione secondaria di secondo grado): 25 alunni. Le prime classi degli istituti e scuole d'istruzione secondaria di secondo grado sono costituite, di regola, con non meno di 25 allievi (articolo 18); le prime classi di sezioni staccate, scuole coordinate, sezioni di diverso indirizzo o di specializzazione funzionanti con un solo corso devono essere costituite con un numero di alunni di norma non inferiore a 20 (articolo 18 comma 4). Sono previste alcune deroghe giustificate dall'esistenza di elementi obiettivi di valutazione che rendono necessaria la costituzione di classi iniziali con meno di 25 alunni (a causa delle limitate dimensioni di aule e laboratori, per la necessità di utilizzazione di strumenti tecnici particolarmente voluminosi o di macchine e materiali pericolosi per l'incolumità fisica e la salute degli studenti) ed in questo caso si devono esprimere le motivazioni del provvedimento di autorizzazione al funzionamento delle singole classi, che non potranno, di regola, essere costituite con meno di 20 alunni (articolo 18, comma 5); le classi intermedie sono costituite in numero pari a quello delle corrispondenti classi inferiori funzionanti nell'anno scolastico corrente, purché siano formate con un numero medio di alunni non inferiore a 20 (articolo 19 comma 1);
          al fine di assicurare la massima possibile coincidenza tra le classi previste ai fini della determinazione dell'organico di diritto e quelle effettivamente costituite all'inizio di ciascun anno scolastico, è consentito derogare, in misura non superiore al 10 per cento, al numero massimo e minimo di alunni per classe previsto, di regola, per ciascun grado di scuola, dai successivi articoli (articolo 9);
          quanto al numero massimo esso, di norma, è costituito da 25 alunni, derogabili fino a 28. In casi particolari, tale limite può raggiungere i 30 alunni;
          l'articolo 6 del decreto interministeriale 21 marzo 2005 (relativo alle dotazioni organiche dei docenti per l'anno scolastico 2004-2005) ha poi disposto che le prime classi nelle sezioni staccate, scuole coordinate, sezioni di indirizzo diverso, anche sperimentali, delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado siano costituite con un numero di alunni non inferiore a 20, da elevare a 27 in caso di classi iniziali articolate in gruppi di diversi indirizzi (di almeno 12 alunni ciascuno);
          è stato inoltre previsto l'accorpamento delle classi intermedie e finali qualora se ne preveda il funzionamento con un numero ridotto;
          l'articolo 1, comma 605, lettera a), della legge finanziaria 2007 ha prescritto la revisione dei parametri per la formazione delle classi e l'innalzamento del valore medio del rapporto alunni/classe dello 0,4 (da 20,6 a 21 alunni per classe) dall'anno scolastico 2007/2008 (tale adempimento è affidato ad un decreto del Ministro della pubblica istruzione di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze);
          con la circolare n.  19 del 1° febbraio 2008 il ministro della pubblica istruzione ha trasmesso agli uffici scolastici regionali lo schema di decreto interministeriale concernente gli organici dei docenti per l'anno scolastico 2008-2009, inoltrato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.»;
          per quanto riguarda le norme concernenti l'insegnamento della religione cattolica, si riportano cronologicamente ed in dettaglio quelle di riferimento: legge n.  449 dell'11 agosto 1984, articolo 9, «La Repubblica italiana, nell'assicurare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, materne, elementari, medie e secondarie superiori, riconosce agli alunni di dette scuole, al fine di garantire la libertà di coscienza di tutti, il diritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso per loro dichiarazione, se maggiorenni, o altrimenti per dichiarazione di uno dei loro genitori o tutori. Per dare reale efficacia all'attuazione di tale diritto, l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento religioso e ogni eventuale pratica religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in occasione dell'insegnamento di altre materie, e secondo orari che abbiano per i detti alunni effetti comunque discriminanti,»;
          decreto del Presidente della Repubblica n.  751 del 16 dicembre 1985, articolo 2.1. a) «il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica assicurato dallo Stato non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi, alla durata dell'orario scolastico giornaliero e alla collocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle lezioni;
          b) la scelta operata su richiesta dell'autorità scolastica all'atto dell'iscrizione ha effetto per l'intero anno scolastico cui si riferisce e per i successivi anni di corso nei casi in cui è prevista l'iscrizione d'ufficio, fermo restando, anche nelle modalità di applicazione, il diritto di scegliere ogni anno se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica»;
          circolare ministeriale n.  368 del 20 dicembre 1985, articolo 1. «Ciascuna scuola di ogni ordine e grado (...) dovrà informare, in tempo utile per l'iscrizione, i genitori dei propri alunni o chi esercita la patria potestà o gli alunni stessi se maggiorenni per aver già compiuto il 18° anno di età, circa le norme che sono a base delle procedure previste per l'esercizio di tale diritto. A tal fine, onde assicurare univoci criteri, le scuole faranno pervenire alle famiglie, tramite gli stessi alunni, o direttamente agli alunni se maggiorenni, l'allegato modulo nonché copia della presente circolare. L'allegato modulo, da riproporre, per gli anni successivi non conterrà la parte relativa alla prima applicazione. Il modulo dovrà essere compilato e restituito alla segreteria della scuola all'atto dell'iscrizione. La scelta operata su richiesta dell'autorità scolastica all'atto dell'iscrizione ha effetto per l'intero anno scolastico cui riferisce e per i successivi anni di corso nei casi in cui è prevista l'iscrizione di ufficio, fermo restando, anche per le diverse modalità di applicazione, il diritto di scegliere ogni anno se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. Pertanto, il capo dell'istituto, nell'approssimarsi dei termini di scadenza stabiliti, è tenuto a far pervenire agli aventi diritto il modulo prescritto perché possano esercitare il diritto di scelta di avvalersi o non avvalersi,». Articolo 2, «La scelta in ordine all'insegnamento della religione cattolica non deve in alcun modo interferire o condizionare, o costituire comunque criterio per la composizione delle classi. Il rispetto del pluralismo, oltre a essere un valore peculiare della nostra Costituzione, deve costituire un principio educativo fondamentale del nostro sistema scolastico. La scelta di avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non deve quindi dar luogo a nessuna forma diretta o indiretta di discriminazione (...) Il rispetto dell'anzidetto principio implica che la scuola, e per essa il capo di istituto e il collegio dei docenti ai quali compete la responsabilità complessiva della programmazione educativa e didattica ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1974, n.  416, assicura agli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica ogni opportuna attività culturale e di studio, con l'assistenza degli insegnanti, escluse le attività curriculari comuni a tutti gli allievi.»;
          circolare ministeriale n.  131 del 3 maggio 1986, «Al fine di assicurare agli studenti, ai loro genitori o a chi esercita la potestà la completa conoscenza della nuova disciplina in materia di insegnamento della religione cattolica e delle attività culturali e di studio assicurate dalla scuola per gli studenti che non si avvalgono di detto insegnamento, si dispone quanto segue:
              entro il 10 giugno 2008 devono essere consegnate agli studenti:
                Allegato A, quale modulo per l'esercizio del diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica da allegare alla domanda di iscrizione;
                Allegato 13, quale scheda informativa relativa alle attività culturali e di studio per gli studenti che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica;
          le attività di cui all'allegato B) sono programmate dal Collegio dei docenti tenuto conto delle proposte degli studenti, entro il primo mese dall'inizio delle lezioni, conformemente a quanto esplicitato nello stesso allegato. Dette attività sono svolte dai docenti, nell'ambito dell'orario di servizio, con esclusione delle venti ore. Le ore eventualmente eccedenti sono da remunerarsi secondo le norme contenute nell'articolo 88 – quarto comma – del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n.  417, fermo restando il carattere non obbligatorio dell'utilizzazione dei docenti oltre il normale orario di servizio. La partecipazione alle attività culturali e di studio programmate non è obbligatoria e agli studenti che non se ne avvalgono è comunque assicurata dalla scuola ogni opportuna disponibilità per attività di studio individuale;
          Allegato B. Agli studenti delle scuole secondarie superiori che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica la scuola assicura attività culturali e di studio programmate dal Collegio dei docenti, tenuto conto delle proposte degli studenti stessi. Al fine di rendere possibile l'acquisizione di tali proposte, il Collegio dei docenti programma lo svolgimento di tali attività entro il primo mese dall'inizio delle lezioni. Fermo restando il carattere di libera programmazione, queste attività culturali e di studio devono concorrere al processo formativo della personalità degli studenti. Esse saranno particolarmente rivolte all'approfondimento di quelle parti dei programmi, in particolare di storia, di filosofia, di educazione civica, che hanno più stretta attinenza con i documenti del pensiero e dell'esperienza umana relativi ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile.»;
          circolare ministeriale n.  211 del 24 luglio 1986, «Tra i problemi che le SS.LL. hanno qui evidenziato si ritengono meritevoli di prioritaria considerazione quelli le cui soluzioni consentano di assicurare il rispetto delle scelte operate dalle famiglie e dagli studenti e nel contempo siano idonee a garantire il diritto di tutti gli allievi a fruire, con riferimento ai singoli ordini e gradi di istruzione frequentati, di un uguale tempo scuola. Allo scopo di realizzare tale effettiva parità di posizioni si sottolinea la necessità che i collegi dei docenti, tenuto conto delle proprie competenze in ordine alla programmazione delle attività previste per gli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica o delle attività educative di religione cattolica (per la scuola materna) acquisiscano – secondo le modalità già previste dalle precedenti circolari n.  128-129-130 e 131 del 3 maggio 1986 e dalla circolare n.  211 del 24 luglio 1986 – concrete proposte, nell'ambito dell'azione programmatoria in parola, anche da parte di coloro che comunque non abbiano dichiarato di avvalersi nel menzionato insegnamento o delle predette attività educative di religione cattolica. Al riguardo, è appena il caso di precisare come la programmazione delle attività per gli alunni che comunque non abbiano dichiarato di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, costituendo momento integrante della più generale funzione di programmazione dell'azione educativa attribuita alla competenza dei collegi dei docenti dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n.  416 del 1974, venga a configurarsi con i caratteri di prestazione di un servizio obbligatorio posto a carico dei collegi dei docenti medesimi. Di conseguenza, qualora tale puntuale adempimento non sia stato ancora compiuto dal collegio dei docenti, sarà cura dei capi d'istituto intervenire perché subito l'organo collegiale predetto vi provveda, onde rendere possibile l'immediato avvio delle attività in parola. Relativamente alla scuola elementare e media, le attività formative da offrire agli alunni che comunque non abbiano dichiarato di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica rientrano, come esplicitate in precedenti circolari, tra quelle integrative da realizzarsi nel quadro di quanto previsto dagli articoli 2 e 7 della legge 4 agosto 1977 n.  517.»;
          legge n.  281 del 18 giugno 1986, articolo 1. 1. «Gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all'atto dell'iscrizione, a richiesta dell'autorità scolastica, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. 2. Viene altresì esercitato personalmente dallo studente il diritto di scelta in materia di insegnamento religioso in relazione a quanto previsto da eventuali intese con altre confessioni. 3. Le scelte in ordine a insegnamenti opzionali e a ogni altra attività culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente. 4. I moduli relativi alle scelte di cui ai precedenti commi devono essere allegati alla domanda di iscrizione. 5. La domanda di iscrizione a tutte le classi della scuola secondaria superiore di studenti minori di età – contenente la specifica elencazione dei documenti allegati di cui ai commi 1, 2 e 3 – è sottoscritta per ogni anno scolastico da uno dei genitori o da chi esercita la potestà, nell'adempimento della responsabilità educativa di cui all'articolo 147 del codice civile;
          circolare ministeriale n.  9 del 18 gennaio 1991, «La Corte ha chiarito che per quanti decidono di non avvalersi dell'insegnamento di religione cattolica, lo schema logico non è quello dell'obbligazione alternativa: per i predetti si determina “uno stato di non-obbligo”. Ha, quindi, ritenuto che i moduli organizzativi predisposti dall'amministrazione scolastica per corrispondere al non obbligo, consistenti in:
              a) attività didattiche e formative;
              b) attività di studio e/o ricerca individuale con assistenza di personale docente;
              c) «nessuna attività» intesa come libera attività di studio e/o ricerca senza assistenza di personale docente, non siano per il momento esaustivi residuando il problema se lo “stato di non-obbligo” possa avere tra i suoi contenuti anche quello di non presentarsi o allontanarsi dalla scuola. (...) Ne consegue, come sottolinea la Corte, che “alla stregua dell'attuale organizzazione scolastica è innegabile che lo stato di non-obbligo può comprendere, tra le altre possibili, anche la scelta di allontanarsi o di assentarsi dall'edificio della scuola”.»;
          decreto legislativo n.  297 del 16 aprile 1994, articolo 310 (Diritto degli studenti delle scuole di ogni ordine e grado di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica). « 1. Ai sensi dell'articolo 9 dell'accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato con la legge 25 marzo 1985, n.  121, nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno, nelle scuole di ogni ordine e grado, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. 2. All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori esercitano tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione. 3. Il diritto di avvalersi o di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola materna, elementare e media è esercitato, per ogni anno scolastico, all'atto dell'iscrizione, dai genitori o da chi esercita la potestà nell'adempimento della responsabilità educativa di cui all'articolo 147 del codice civile. 4. Gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all'atto dell'iscrizione, per ogni anno scolastico, a richiesta dell'autorità scolastica, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica;
          non essendo previste esplicite deroghe desumibili dalle norme su riportate nella pratica attuazione delle norme è invalsa la consuetudine di considerare non tanto il numero effettivo degli studenti che in ogni classe frequentano l'ora di religione, bensì il numero potenziale, coincidente con il numero complessivo degli studenti componenti la classe;
          per questa via si aggirano le disposizioni aventi ad oggetto il numero minimo di alunni necessario per formare una classe, potendo verificarsi il caso limite di un insegnante impiegato per fare lezione a pochissimi studenti o, addirittura, ad uno solo;
          il mancato accorpamento di studenti, misura necessaria per consentire la frequenza della lezione ad un numero congruo di essi, produce delle disuguaglianze di trattamento (oltre a quelle esplicitamente previste dal nostro ordinamento per l'immissione in ruolo dei docenti di religione, effettuata dal vescovo non per concorso bensì intuitu personae, e per le diverse e migliori retribuzioni previste in loro favore rispetto a quelle percepite, a parità di ore lavorative, dai colleghi insegnanti altre materie), tra i docenti di religione e tutti gli altri. Ciò è possibile poiché, per ottenere la retribuzione completa sulla base del CCNL prevista per il comparto, il docente deve effettuare almeno 18 ore settimanali effettive di docenza, non oltrepassando il numero massimo di 24, così come previsto dall'articolo 22 comma 4 della legge n.  448 del 2001. Nel caso in cui non si raggiunga tale monte ore, quello che viene definito il cosiddetto completamento cattedra, egli sarà retribuito sulla base delle ore di insegnamento effettivo, dividendo per diciotto la retribuzione settimanale, moltiplicando poi il risultato per le ore di effettivo insegnamento;
          poiché l'insegnante di religione può tenere la lezione anche ad un solo studente, risulta evidente che egli potrà raggiungere con maggiore facilità il cosiddetto completamento cattedra, risultando professionalmente ed economicamente avvantaggiato rispetto ai colleghi che devono insegnare ad un numero maggiore di alunni o, nel caso non raggiungano le 18 ore settimanali di insegnamento, percependo una retribuzione inferiore  –:
          se sia a conoscenza dei fatti, nell'eventualità positiva, se essi corrispondano a verità e se, ed eventualmente quali provvedimenti normativi secondari intenda assumere al fine di interrompere la sperequazione ed il privilegio professionale ed economico a vantaggio docenti di religione. (5-07118)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta immediata:


      PISICCHIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni gli importanti rapporti Svimez e Irpet hanno messo in luce la dimensione statistica della drammatica crisi italiana: oltre 200 mila famiglie hanno scoperto il triste spettro della disoccupazione negli ultimi 4 anni;
          la dimensione più inquietante è quella della disoccupazione giovanile: sulle 436.000 unità espulse dal mercato del lavoro tra il 2008 e il 2010, il 70 per cento ha meno di 35 anni; è, inoltre, il reddito dei più giovani ad aver subito la contrazione più forte: -10,3 per cento;
          i dati offerti dagli istituti di ricerca dimostrano, peraltro, come nel contesto di crisi si allarghi la già forte diseguaglianza territoriale: a Nord la perdita netta per ogni famiglia è stata nel 2008-2010 di 735 euro annue, a Sud di 880 euro, a fronte di un reddito medio che per i cittadini del Sud e delle Isole è stato di oltre il 40 per cento minore di quello dei cittadini del Nord –:
          quali urgenti e concreti interventi in termini di welfare il Governo intenda porre in essere per alleviare la condizione di grave difficoltà in cui versano le famiglie italiane. (3-02350)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DAMIANO, GNECCHI, BELLANOVA, GATTI, RAMPI e SCHIRRU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il «protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l'equità e la crescita sostenibili», più noto come «protocollo welfare», firmato il 23 luglio 2007 dal Governo Prodi e dalle parti sociali, si poneva l'obiettivo di promuovere una crescita economica duratura, equilibrata e sostenibile, sia dal punto di vista finanziario che sociale, da utilizzare per interventi miranti a sviluppare una maggiore competitività del sistema Paese, generare occupazione di qualità, assicurare equità e pari opportunità per tutti i cittadini;
          in tale protocollo ha inoltre trovato spazio, dopo un dibattito più che ventennale, la prima affermazione organica e definita del principio dei lavori usuranti, successivamente recepita dalla legge n.  247 del 2007, «norme di attuazione del protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e di previdenza sociale», che, all'articolo 3, comma 1, delegava il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, al fine di concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori particolarmente usuranti, che avessero maturato i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2008, la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti;
          la caduta del Governo Prodi aveva comportato il superamento del termine per l'esercizio della delega, il quale è stato riaperto dall'articolo 1 della legge n.  183 del 2010, che ha consentito l'emanazione del decreto legislativo n.  67 del 2011; tale provvedimento contiene: la lista dei lavoratori addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, per i quali si applicano le deroghe pensionistiche suddette; le modalità di presentazione della domanda per l'accesso al beneficio; il meccanismo di salvaguardia; le modalità attuative; gli obblighi di comunicazione; le disposizioni sanzionatone; la copertura finanziaria;
          la severa riforma pensionistica adottata dal Governo in carica – non esente da ingiustizie e storture, immediatamente denunciate dal Partito democratico, che sta agendo in tutte le sedi al fine di porvi rimedio – ha purtroppo irrigidito, ritardandoli, anche per i soggetti impiegati nei lavori «usuranti» i requisiti di accesso al pensionamento, penalizzando una categoria di lavoratori già ampiamente provata dalla dura fatica quotidiana;
          appare indispensabile conoscere i dati ufficiali relativi al numero di soggetti rientranti nella categoria di lavoratori impiegati in lavori particolarmente usuranti e faticosi – così come determinata dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n.  67 del 2011 – allo scopo di meglio comprendere la dimensione, ancor oggi non del tutto chiara, del fenomeno, e capire quanti siano stati i beneficiari delle disposizioni (i cui effetti sono stati attenuati dall'entrata in vigore della recente riforma pensionistica) che consentono il ricorso al pensionamento anticipato rispetto alla generalità dei lavoratori  –:
          quali siano i dati relativi al numero di soggetti rientranti nelle categorie di lavoratori addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, di cui al decreto legislativo n.  67 del 2011, nonché quanti lavoratori rientranti in dette categorie abbiano effettivamente avuto accesso anticipato al trattamento pensionistico.
(5-07112)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MIGLIORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          sono sorti dubbi interpretativi e dunque operativi circa la possibilità dei cittadini romeni di riunificare i diritti pensionistici maturati in patria e successivamente in Italia;
          il regolamento (CE) n.  883/2004 circa i sistemi di sicurezza sociale e il regolamento (CE) n.  987/2009 rappresentano la cornice entro la quale governare la materia pensionistica per i lavoratori comunitari con contribuzione personale versata a due o più Paesi  –:
          quali iniziative si intendano assumere per garantire, in termini di chiarezza e trasparenza, i diritti pensionistici complessivi ai lavoratori romeni in Italia, circa la possibilità di ricollegare unitariamente i loro versamenti contributivi. (4-16647)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 18 giugno 2012 un operaio di 53 anni, il signor Salvatore Carbone, è morto cadendo da un'impalcatura di un cantiere edile alla periferia di Foggia;
          secondo le prime, frammentarie storie, il signor Carbone avrebbe messo un piede in fallo, cadendo nel vano ascensore mentre preparava la malta assieme ad altri colleghi  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se le norme relative alla sicurezza sul lavoro siano state rispettate. (4-16650)


      PORFIDIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in data mercoledì 13 luglio 2011 l'interrogante ha presentato all'attenzione del Ministro interrogato un'interrogazione riguardante la società Festa Srl controllata da Snai in merito al comportamento tenuto nei confronti di alcuni dipendenti che non avevano accettato la modifica contrattuale proposta dall'azienda;
          nel novembre 2011 il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali pro tempore Luca Bellotti rispondeva all'interrogazione riferendo appunto che, a seguito dell'emanazione di due sentenze del tribunale civile di Roma che condannavano l'azienda Festa Snai per comportamento antisindacale, si sarebbe provveduto al reintegro dei lavoratori;
          da recenti notizie di stampa si apprende che Festa SNAI ha dichiarato la crisi e messo in cassa integrazione 11 persone, abolendo alcuni settori della propria struttura. Il punto è che sono interessate al provvedimento quelle stesse persone che un anno fa non avevano accettato la modifica contrattuale;
          ad oggi dunque, otto lavoratori sono in cassa integrazione a zero ore, altri due sono in cassa integrazione a rotazione, un lavoratore ha presentato le dimissioni;
          l'interrogante tiene a sottolineare che il settore in questione, cioè quello dei giochi e delle scommesse è uno dei pochi che non sembra risentire della crisi economica che sta investendo il Paese, anzi è uno dei settori che riscuote più attenzione dai comportamenti collettivi dei consumatori, e lo dimostra anche il fatto che il fisco sta per rimborsare ai concessionari dei giochi una cifra pari a 233 milioni di euro, il cui 7 per cento dovrebbe andare a Snai; per cui non si comprende come si possano di fatto aggirare le sentenze del tribunale semplicemente dichiarando la crisi, quando questa di fatto non è presente, e lo dimostra anche il fatto che Festa SRL sta comunque continuando ad assumere personale per la propria azienda di Roma  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e quali iniziative di competenza intenda assumere per salvaguardare il diritto al lavoro dei dipendenti segnalati. (4-16656)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


      BERTOLINI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          a Piandelagotti, una località del comune di Frassinoro (Modena), è ubicata la stazione alpeggio con circa 80 ettari di terreno ed un borgo (composto da case coloniche, stalle e fienili), derivante dalla sezione di Modena dell'istituto sperimentale di zootecnia fondata nel 1925;
          l'incarico di questa stazione era di mantenere in allevamento gruppi scelti di riproduttori di bovini, ovini e suini a scopo di studio, selezione e miglioramento delle razze;
          la stazione fu attivamente utilizzata per 30 anni, fino agli anni settanta, quando la sezione di Modena focalizzò gli studi solo sulle razze suine presso l'azienda Beccastecca di San Cesario (Modena), iniziando così l'abbandono dell'Alpeggio di Piandelagotti;
          a partire dagli anni ottanta la struttura, di proprietà del Ministero delle politiche agricole, gestita dal CRA (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione agricola) è rimasta in disuso ed è in uno stato di totale abbandono, malgrado la richiesta di acquisto avanzata da un'azienda locale e la messa in vendita attraverso un'asta (per un valore di euro 1.070.000,00), naturalmente andata deserta;
          nel 2011 a seguito di tale procedura, conclusasi con un nulla di fatto come era prevedibile, il CRA chiese ai soggetti interessati di presentare una «dimostrazione di interesse» per l'acquisto dell'area, che puntualmente arrivò, ma alla quale non è seguita alcuna risposta;
          gli allevatori della bassa modenese, duramente colpiti dal terremoto, per poter accudire gli armenti chiedono agli agricoltori o allevatori dei paesi limitrofi di ospitarli e quel borgo, se fosse stato conservato con diligenza, sia da parte del Ministero che del CRA, oggi avrebbe potuto ospitare oltre 300 capi di bestiame;
          questo caso è uno dei tanti che rappresentano il grande spreco di beni pubblici che, a causa dell'inerzia della macchina pubblica, danneggiano economicamente l'intera collettività  –:
          se sia a conoscenza di tale caso;
          se sia in grado di fornire ulteriori informazioni in merito al caso specifico, in particolar modo di chiarire quali sono i motivi per cui il Ministero e il CRA non abbiano ancora dato risposta all'azienda interessata all'acquisto;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare, per salvare dal degrado il borgo, o in alternativa per velocizzare le procedure di vendita;
          quante siano e che valore abbiano le aree di proprietà del Ministero, gestite dal CRA, che potrebbero essere vendute a privati, o recuperate e riutilizzate;
          se esista un registro di beni immobili pubblici abbandonati come quello segnalato, o, se non c’è, non si intenda procedere ad un censimento e all'immediata vendita di tali beni. (4-16652)

RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazioni a risposta immediata:


      DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
          l'ordinanza del Capo dipartimento n.  2 del 2 giugno 2012, relativa alle «procedure per la valutazione della sicurezza e dell'agibilità degli edifici ad uso produttivo in conseguenza agli eventi sismici nelle province di Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo di maggio 2012», stabilisce che il titolare dell'attività produttiva, che è responsabile della sicurezza secondo il decreto legislativo n.  81 del 2008, deve acquisire la certificazione di agibilità sismica a seguito della verifica di sicurezza prevista dalle norme sismiche vigenti, fatta da un professionista abilitato, e deve depositarla nel comune territorialmente competente. Il provvedimento viene applicato nei comuni interessati dagli eventi sismici dal 20 maggio 2012. Tale ordinanza, in sostanza, impone al datore di lavoro di verificare l'agibilità sismica dei capannoni e, dunque, costringe ad acquisire la relativa certificazione;
          tale disposizione è stata pedissequamente riportata nel comma 7 dell'articolo 3 del decreto-legge n.  79 del 2012, che dispone che, al fine di favorire la rapida ripresa delle attività produttive e delle normali condizioni di vita e di lavoro in condizioni di sicurezza adeguate nei comuni interessati dai fenomeni sismici iniziati il 20 maggio 2012, il titolare dell'attività produttiva deve acquisire la certificazione di agibilità sismica rilasciata, a seguito di verifica di sicurezza effettuata, ai sensi delle norme tecniche vigenti (capitolo 8 - costruzioni esistenti del decreto ministeriale del 14 gennaio 2008), da un professionista abilitato, e depositare la predetta certificazione al comune territorialmente competente;
          le disposizioni in questione, seppure ispirate alla volontà di velocizzare le procedure tecniche ed amministrative per consentire la ripresa delle attività produttive delle aree colpite dal sisma, si stanno dimostrando meno efficaci e ad ogni modo più complesse di quanto auspicato e tra i professionisti abilitati sorgono dubbi e incertezze su quali criteri si debbano seguire per rilasciare una certificazione fino a prima non richiesta per quelle opere e secondo una definizione, quella di agibilità sismica, che non sembra essere prevista negli atti a disposizione dell'ordine degli ingegneri;
          in effetti, operando sulla base di un semplice esame visivo e, quindi, basando il giudizio sulla presenza di danni significativi a seguito degli eventi sismici, potrebbe verificarsi il paradosso che strutture realizzate nelle zone colpite dal sisma, prima del 2003, quando queste non erano classificate tali e, quindi, non progettate con criteri antisismici, sarebbero certificate agibili. Così si avrebbe l'assurdo che un libero professionista dovrebbe certificare la sicurezza sismica di opere, pur nella consapevolezza che queste non sono state progettate e realizzate per fronteggiare le azioni sismiche;
          per rendere effettivamente efficace ed attuabile la norma in oggetto, sempre rimanendo nell'ambito della sicurezza e dell'osservanza delle vigenti norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e sulla sicurezza sismica degli immobili, sarebbe opportuno creare una task force diretta dalla Protezione civile di competenza nazionale, formata da ingegneri strutturisti, con certificate competenze di ingegneria sismica, provenienti dal sistema delle università e degli enti pubblici di ricerca, cui affidare il compito di esaminare le strutture industriali e le infrastrutture, per una prima ricognizione e classificazione delle tipologie di problematiche da affrontare;
          l'obiettivo dovrebbe essere quello di favorire la rapida ripresa delle attività produttive e delle normali condizioni di vita e di lavoro in condizioni di sicurezza adeguate, nei comuni interessati dalla recente sequenza sismica della pianura padana emiliana, iniziata il 20 maggio 2012. In tali circostanze andrebbero evidenziate:
              a) le strutture già rispondenti agli standard di sicurezza delle norme, da poter dichiarare agibili;
              b) le strutture che potrebbero essere agibili a seguito di interventi alle strutture portanti e alle eventuali scaffalature, da effettuare con urgenza;
              c) le strutture che richiedono interventi più impegnativi, fino alla demolizione e ricostruzione. Per queste, al fine di non bloccare l'attività produttiva, si potrebbero valutare spostamenti temporanei in aree vicine con coperture di rapida realizzazione. L'analisi dovrà riguardare anche eventuali strutture industriali progettate secondo le vigenti norme e dovrà tener conto dei valori effettivi dell'azione sismica, orizzontale e verticale, dei recenti eventi;
          il team di esperti (task force) dovrebbe essere affiancato da tecnici delle amministrazioni locali ed eventualmente da professionisti abilitati, che potrebbero successivamente seguire i lavori necessari e occuparsi delle certificazioni nel futuro  –:
          se, al fine di favorire effettivamente e più celermente la rapida ripresa delle attività produttive e delle normali condizioni di vita e di lavoro in condizioni di sicurezza adeguate nelle aree colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, non intenda attivarsi nelle sedi di competenza affinché sia adottata una specifica ordinanza del Capo dipartimento della Protezione civile volta ad integrare la precedente ordinanza del 2 giugno 2012 di cui in premessa e che preveda l'istituzione di un gruppo di lavoro, nominato dai presidenti delle regioni interessate dall'evento sismico, formato da ingegneri e professionisti strutturisti specializzati nella progettazione antisismica provenienti dalle università delle regioni coinvolte nell'evento sismico, dall'Enea e da altri enti competenti in materia sismica, se del caso associati in reti di laboratori di progettazione antisismica, con il compito di coordinare e supervisionare le verifiche delle strutture, anche sotto forma di esami a campione, e di indicare ai relativi professionisti abilitati, ai sindaci ed ai presidenti delle province interessate le azioni e le misure da adottare per il rilascio delle previste certificazioni di agibilità sismica.
(3-02348)


      PELUFFO, LETTA, BRAGA, MARCO CARRA, CODURELLI, COLANINNO, COLOMBO, CORSINI, DE BIASI, DUILIO, FARINONE, FERRARI, FIANO, MARANTELLI, MISIANI, MOSCA, PIZZETTI, POLLASTRINI, QUARTIANI, SANGA, ZACCARIA, ZUCCHI, MARAN e GIACHETTI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
          dall'assemblea di Assolombarda il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ha annunciato di aver rimesso a disposizione del Presidente del Consiglio dei ministri l'incarico di commissario straordinario di Expo 2015 perché come ha spiegato: «Abbiamo posto e continuiamo a porre questioni che continuano a non avere risposte, anche perché nel Governo non abbiamo un interlocutore ben definito»;
          con l'ordine del giorno 9/1972/86 la Camera dei deputati ha approvato il 14 gennaio 2009 l'impegno al Governo «a relazionare annualmente sulle attività e sullo stato patrimoniale della società di gestione e sullo stato di avanzamento delle opere e delle iniziative collegate per il raggiungimento di Expo 2015» –:
          di quali elementi disponga circa le motivazioni del sindaco di Milano che lo hanno portato a rimettere il mandato di Expo 2015, quali siano le scelte del Governo su Expo 2015 e se non ritenga opportuno ed urgente dar seguito all'impegno di relazionare sullo stato attuale delle attività dell'Esposizione universale, in particolare per ciò che riguarda il timing del completamento di tutte le opere previste dal dossier di candidatura di Expo 2015 e la copertura finanziaria. (3-02349)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI PIETRO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sono ampiamente noti i fatti oggetto di numerose interrogazioni cui ha risposto il Ministro interrogato, inerenti all'annosa e fallimentare gestione del comparto sanità della regione Molise perpetrata dal commissario straordinario, nonché presidente della regione, Michele Iorio – carica sulla quale pende ora l'annullamento del TAR del Molise delle elezioni regionali 2011 che l'hanno decretata;
          il 7 giugno 2012 il Consiglio dei ministri ha nominato il dottor Filippo Basso commissario ad acta per l'adozione e l'attuazione degli obiettivi prioritari del piano di rientro del disavanzo sanitario molisano e dei successivi programmi operativi per il piano di rientro dei disavanzi regionali;
          la decisione del Governo potrebbe essere definita una positiva novità nella drammatica vicenda della sanità molisana – in particolare dei cittadini e delle imprese, che ne pagano le conseguenze – se non fosse che il commissario ad acta, a distanza di oltre 8 giorni dalla nomina, non ha ricevuto la notifica del provvedimento e non si è ancora insediato;
          il Governo non ha provveduto a chiarire la posizione del nuovo commissario ad acta, i margini del suo mandato e delle sue competenze, in particolare in ordine al rapporto con il commissario straordinario, che era e continua ad essere Michele Iorio;
          ad avviso dell'interrogante il ritardo assume contorni gravissimi a fronte del fatto che è in via di approvazione il piano di rientro sanitario regionale per gli anni 2012-2014 che rischia di essere firmato ed adottato dal commissario Iorio;
          continuano a non essere del tutto chiari all'interrogante i motivi che ostacolino, in particolare ora, la decisione di revoca del mandato commissariale di Michele Iorio, che cumula in sé, ad avviso dell'interrogante, l'incapacità comprovata di risanare la sanità molisana e l'inopportunità politico-istituzionale della sua permanenza in carica a causa dei numerosi problemi giudiziari e che a breve, scaduti i termini per l'eventuale ricorso in sede di Consiglio di Stato, si troverà ad operare in difetto di legittimità  –:
          se e con quali strumenti intenda garantire a tutti i cittadini molisani una gestione sana del comparto sanità. (4-16653)


      TOTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Agenzia italiana del farmaco, AIFA, garantisce il processo di registrazione dei farmaci codificato da normative di livello europeo che disciplinano procedure nazionali e comunitarie;
          le attività implementate nell'ambito della procedura nazionale «sono finalizzate», tra l'altro «ad assicurare l'unitarietà dell'assistenza farmaceutica su tutto il territorio nazionale». Anche col supporto di esperti interni ed esterni dell'Istituto superiore di sanità (ISS) e della commissione tecnico scientifica (CTS), vengono svolte, su ciascun farmaco di cui è richiesta l'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC), valutazioni chimico-farmaceutiche, biologiche, farmaco-tossicologiche e cliniche per accertarne i requisiti di sicurezza ed efficacia;
          la normativa di riferimento vigente è quella contenuta nel decreto legislativo 24 aprile 2006, n.  219 recante: «Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE» nonché nel decreto legislativo 29 dicembre 2007, n.  274 recante: «Disposizioni correttive al decreto legislativo 24 aprile 2006, n.  219, recante attuazione della direttiva 2001/83/CE relativa ad un codice comunitario concernente medicinali per uso umano»;
          nell'ambito delle procedure tese a supportare le richieste di autorizzazione di immissione in commercio di farmaci (AIC) cosiddetti «generici», svolse un ruolo di attività di studio, ricerca e sperimentazione, il CeSI, centro di scienze dell'invecchiamento, dipartimento della fondazione università Gabriele D'Annunzio, con sede in Chieti;
          l'AIFA, tuttavia, sulla scorta delle disposizioni normative ex decreto legislativo 24 aprile 2006, n.  219 che disciplinano le determinazioni occorrenti, sospese le autorizzazione di immissione in commercio di farmaci rilasciate per quei medicinali, all'esito di ispezione presso il CeSI nel corso della quale si riscontrarono carenze, inadeguatezze e inappropriatezze di natura sia strumentale sia procedurale. Le sospensioni delle AIC determinarono il divieto di vendita e di utilizzazione dei farmaci di cui si trattava e, dunque, il loro ritiro dal commercio;
          a tale evenienza, seguì la citazione per danni dell'università Gabriele D'Annunzio, quantificati in circa un milione di euro, da parte delle aziende farmaceutiche che avevano commissionato e finanziato le attività di studio e ricerca richiamate. I principi attivi oggetto di studio e sperimentazione affidati al CeSI erano, tra gli altri: omeprazolo, lansoprazolo, fluconazolo, amiodarone e le aziende committenti: Finmedical srl, Benedetti spa e D&G srl;
          l'università Gabriele D'Annunzio addebitava le riferite circostanze all'operato e alla condotta del professor, Stefano Martinotti, patologo clinico presso la stessa università, responsabile del settore analitico del centro di ricerca clinica della fondazione università Gabriele D'Annunzio e autore delle attività di studio e sperimentazione nella ricerca in argomento, decretando, in data 14 luglio 2009, la sospensione dell'attività di ricerca del professor Martinotti, citandolo per danni in sede civile, e producendo un esposto, in sede penale, alla competente procura della Repubblica e deferendo alla commissione di disciplina del consiglio universitario nazionale, lo stesso professor Martinotti;
          il docente universitario, dal canto suo, come testimoniato da notizie giornalistiche, oltre alla difesa dell'attendibilità dei risultati scientifici della sua ricerca, evidenziava di non essere stato l'unico soggetto a condurre le sperimentazioni in questione, che avrebbero visto la responsabilità e il coinvolgimento anche di altri, eccependo, in proposito un tentativo di «scarico di responsabilità» a suo danno;
          nelle difese svolte, il docente poneva in rilievo come l'AIFA, in sede ispettiva, non revocasse in dubbio la veridicità dei dati di sperimentazione ma, diversamente, avesse mosso rilievi procedurali contestando, altresì, carenze strumentali delle quali, opponeva il docente, la responsabilità era da ascrivere alla fondazione, ente proprietario dei laboratori di ricerca del CeSI, e, dunque, del suo presidente, il rettore magnifico dell'università, professor Franco Cuccurullo; rilevava, altresì, che egli era stato responsabile del laboratorio solo dalla fine del 2007, ossia a partire da un periodo successivo a quello nel quale furono svolte le sperimentazioni cliniche sanzionate dall'AIFA;
          non risultando che ad altri docenti, ricercatori e allo stesso rettore dell'università, coordinatore dei dottorati di ricerca nonché presidente della fondazione università Gabriele D'Annunzio, da cui proveniva il personale del laboratorio di ricerca, siano stati contestati addebiti o rilievi e neppure al professor Andrea Mezzetti, direttore del centro di ricerca clinica per la sperimentazione dei farmaci, tra i quali afferente alla ricerca «bocciata» dall'AIFA, appare alquanto singolare o, la circostanza dell'incolpazione, per le vicende relative ai sanzionamenti dell'AIFA, del solo professor Martinotti, alla stregua di un capro espiatorio unitamente, al coniuge del professor Martinotti, professoressa associata di patologia generale, la quale fu allontanata dal CeSi con l'inibizione dell'uso dei laboratori di ricerca del centro e di quelli dell'università stessa, senza preavviso e in assenza di comunicazioni per motivare siffatte decisioni;
          il procedimento disciplinare a carico del professor Martinotti innanzi alla commissione di disciplina del consiglio universitario nazionale si concluse con la decisione del 23 giugno 2010, notificata l'8 ottobre successivo, nella quale si censura la procedura disciplinare stessa per vizi temporali e mancanza di linearità;
          in tempi successivi, nella primavera dell'anno seguente, il 2011, l'università Gabriele D'Annunzio sporgeva alla procura della Repubblica di Pescara una denuncia per tentata estorsione contro Tullio Raimondo Faiella, l'imprenditore del settore farmaceutico che, a seguito del diniego opposto dall'AIFA alla commercializzazione di un farmaco, aveva avanzato all'università la richiesta di reintegrarlo delle somme da lui corrisposte per la sperimentazione di quel farmaco, ai fini dell'ottenimento dell'autorizzazione all'immissione in commercio, nei laboratori della fondazione Gabriele D'Annunzio. In effetti, il Faiella, a seguito della comunicazione del diniego, da parte dell'AIFA, dell'autorizzazione all'immissione in commercio del farmaco di cui si trattava, si presentava dal rettore dell'università D'Annunzio, professor Franco Cuccurullo, per reclamare il ristoro delle spese contrattualmente sostenute in relazione all'affidamento della sperimentazione al laboratorio della fondazione, per le società di consulenza che gli sarebbero state presentate, per tasse, assicurazioni e altri costi, e fondando il gravame sui rilievi mossi dall'AIFA che, argomentava il Faiella, «fa riferimento ai mancati requisiti dei laboratori Cesi». In particolare, reclamava il Faiella, i firmatari del contratto per la sperimentazione del suo farmaco, il rettore e presidente della fondazione Gabriele D'Annunzio, professor Cuccurullo, il professor Mezzetti e il professor Martinotti, non potevano ignorare le censure dell'AIFA relative alle carenze o non conformità dei laboratori;
          il direttore del centro di ricerca clinica dov'era stato sperimentato il farmaco, il professor Andrea Mezzetti, intervistato da una testata giornalistica online a proposito delle pretese del Faiella spiegava: «non è così e mi spiace di essere coinvolto in una vicenda in cui le mie responsabilità sono pari allo zero, così come quelle del rettore. Noi due firmiamo i contratti solo per la qualifica e la funzione che rivestiamo: la sperimentazione vera e propria e tutto l'andamento della pratica sono di competenza specifica di chi propone il farmaco da studiare, chiamato sponsor, e del responsabile della ricerca, cioè il principal investigator. E non dico questo per scaricare il problema sul collega o in generale su altri. Se infatti la ricerca non è andata a buon fine, le motivazioni si possono leggere nei documenti ufficiali Aifa: esse sono riconducibili soprattutto allo sponsor in questione, che io tra l'altro ho visto si e no un paio di volte». Circa, poi, le supposte inadeguatezze dei laboratori replicava: «Lo dice appunto Faiella, ma non è così. Ho già detto che sulle sue responsabilità l'Aifa è molto precisa. Aggiungo che fin dal contratto da lui firmato ci sono impegni che non ha rispettato e che sono stati la causa della bocciatura, per esempio non ha nominato un suo responsabile scientifico della ricerca. Senza dire che non ha accertato, come previsto, l'idoneità delle strutture dove si sperimentava il suo farmaco e non ha effettuato controlli attraverso i suoi consulenti. Tutte cose scritte in chiaro, volute dalla legge e mai rispettate. Nei report che affiancano la ricerca e che sono compilati a sua cura mancano documenti importanti, come ad esempio le autorizzazioni per l'azienda che ha preparato il lotto sperimentale del medicinale. Lo dice l'Aifa, non io. E questo è noto a Faiella». Concludeva l'intervista il professor Mezzetti affermando: «In realtà l'Aifa in questi anni ha approvato moltissime sperimentazioni, quindi vuol dire che i laboratori funzionano bene. Potrebbe essere capitato, sul versante delle eventuali responsabilità che vengono attribuite al Cesi, che nel 2007 i laboratori si stavano adeguando ad una serie di prescrizioni, ma questo non ha impedito che altre sperimentazioni, ben fornite di documentazione e di requisiti soggettivi dello sponsor, siano state approvate». Peraltro, l'imprenditore Faiella, a sua volta, negava di aver tentata una estorsione, sostenendo: «ammesso che ci sia stata non mi sembra che si possa tentare un'estorsione con le fatture ed i documenti»;
          la tentata estorsione rinvia a una storia complessa, intricata, con numerosi profili fuorvianti, dietro la quale potrebbero dissimularsi, com’è stata opinione diffusa, vicende soggettive e «corporative» che allungherebbero i tentacoli dell'interesse in ambienti anche esterni all'università D'Annunzio. Sulla scorta dei fatti esposti nella denuncia per tentata estorsione sporta dall'università teatina l'imprenditore Faiella, proprietario dell'azienda Farmaceutici T.S., avrebbe chiesto al rettore stesso la restituzione di somme di denaro in precedenza da lui asseritamente corrisposte a ricercatori della fondazione D'Annunzio per il buon esito della sperimentazione di un farmaco candidato alla commercializzazione poi, tuttavia, negata dall'AIFA. Somme, dunque, elargite oltre e al di fuori di quelle negozialmente dovute per il contratto relativo alla sperimentazione di cui si trattava. Siffatta evenienza avrebbe sospinto il Faiella alla singolare richiesta, ritenendosi egli danneggiato per l'inutile dazione di denaro, e per l'attribuzione delle responsabilità del mancato buon fine della sperimentazione in capo alla fondazione D'Annunzio a causa delle carenze, inadeguatezze e dei difetti di requisiti dei laboratori di ricerca del centro di scienze dell'invecchiamento. Il Faiella, nell'intervista testé richiamata ad una testata giornalistica online puntualizzava le ragioni della decisione di reclamare direttamente al rettore, professor Cuccurullo, la restituzione delle spese complessivamente sostenute per il fallimento della sperimentazione sostenendo: «ma io non sono pazzo... il fatto è che molti altri imprenditori ci hanno rimesso i soldi e stanno zitti, altri ancora si sono rivolti alla magistratura. Io chiedevo tempi più brevi, una specie di transazione per recuperare subito i soldi. Forse il rettore si vuole cautelare, ma con la denuncia si è dato la zappa sui piedi». In particolare, a proposito dell'importo contrattualizzato di ventimila/00 euro per la sperimentazione, l'imprenditore, richiesto di esprimersi sulla congruità del corrispettivo all'epoca della sottoscrizione del contratto, spiegò: «il CeSi mi ha chiesto 20 mila euro e 20 mila ho accettato. Sapevo e so che una sperimentazione costa tra gli 80 e i 100 mila euro. Poi però mi hanno detto di rivolgermi a due società locali di consulenza e se sommiamo questi pagamenti siamo a quei livelli. E questo versamento in parte mi è stato restituito: 18 mila da una società di consulenza e 7 mila da uno dei ricercatori, credo di tasca sua. Totale 25 mila euro. Mancano gli altri». Aggiunse, inoltre, che: «Quando l'AIFA ha detto il suo no, motivandolo con le carenze del laboratorio, mi sono attivato per recuperare i miei soldi. E mi risulta che anche altre società si sono rivolte al tribunale attivando la richiesta danni. Non so se tutti questi problemi dipendono dal CeSi o dal cambio di gestione all'AIFA che oggi fa controlli più stringenti. ”(...)”. Il CeSi e la D'Annunzio sanno bene, per la corrispondenza intercorsa oltre che per i colloqui, che ci sono molte carenze nella sua organizzazione interna e nei suoi laboratori. Basta leggere il documento di preavviso per la bocciatura in data 19 gennaio, la risposta del principal investigator con le controdeduzioni inviata anche a Cuccurullo ed il documento dell'AIFA del 25 marzo scorso, n.  319/2011»;
          la vicenda, evidentemente, soffre di una complessità notevole per le circostanze dalle quali è conformata, così come per gli elementi sussumibili dalle dichiarazioni, pur se di parte, dei soggetti protagonisti e, ancora, per la rete di rapporti, relazioni, attività implementate dal settore della sperimentazione in campo farmaceutico, nonché per le inveterate e note disfunzioni e inefficienze degli apparati della pubblica amministrazione, persino di quelli deputati ai controlli e alle verifiche di sussistenza di requisiti in testa a strutture dedite ad attività che vi soggiacciono, posto che l'esasperante lentezza dei procedimenti non giova alla comprensione delle situazioni, ne consolida di eventualmente illegittime, pregiudica e condiziona diritti, doveri e ambiti di operatività di svariata natura e, in ultima analisi, la credibilità, rectius quel che di essa resta, delle istituzioni. Ciononostante, appare fondamentale assicurare il massimo della trasparenza attorno alle questioni sollevate dai fatti riferiti e approfondire con il massimo dell'impegno e della disponibilità, sul piano amministrativo e su quello delle relazioni tra enti e organismi pubblici, le allusioni, i riferimenti e le circostanze che proietta nuove ombre e dubbi circa profili di discutibile parzialità ed inefficienza. La necessità di chiarire con ogni rigore le circostanze e gli elementi di valutazione che la vicenda pone all'attenzione, scaturisce anche dalla constatazione, da tener ben presente, che essa attiene ad attività riconnesse con la produzione di presidi utilizzati per la cura della salute delle persone che, alla stregua del dettato costituzionale, è un «fondamentale diritto dell'individuo» ma anche «interesse della collettività»;
          l'intera vicenda, le sue possibili propaggini e i suoi eventuali riverberi in ambienti esterni a quelli di laboratorio, sono stati oggetto di un'inchiesta aperta dalla procura della Repubblica di Chieti;
          da una notizia di stampa apparsa il 25 settembre 2011 su un quotidiano, si apprende peraltro che la Guardia di finanza avrebbe consegnato ai magistrati un rapporto riguardante le ricerche e le autorizzazioni sui farmaci derivato dall'esposto avanzato da Faiella e che coinvolgerebbe il rettore dell'università Gabriele D'Annunzio nonché presidente della fondazione universitaria Gabriele D'Annunzio, professor Franco Cuccurullo che risulta, tra l'altro, iscritto nel registro degli indagati per tre ulteriori e diverse vicende  –:
          di quali elementi disponga il Governo in relazione alle problematiche descritte in premessa;
          se risulti al Ministro della salute se i laboratori di ricerca di cui si tratta siano stati, ed eventualmente siano tuttora, inadeguati o carenti, evidentemente sulla scorta della normativa di riferimento, rispetto alle attività di sperimentazione svolte nell'ambito dei processi di autorizzazione all'immissione in commercio di farmaci, intuitivamente rilevanti, delicate e di cospicuo interesse;
          se e in quali circostanze l'AIFA abbia posto in essere interventi volti ad assicurare l'appropriatezza dei laboratori in premessa in relazione alle attività di sperimentazione dei farmaci o a interdirne lo svolgimento, oppure, ancora, a censurarne gli esiti e quali garanzie e tutele siano attive per il rispetto di tutte le normative deputate a regolamentare le suddette attività. (4-16657)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in numerosi comuni della provincia di Matera con il passaggio dal sistema analogico al digitale terrestre non è visibile il canale di Rai3;
          e in molti casi nei quali il segnale è visibile al momento della visione dei tg regionali quello lucano non c’è perché o prevale la Puglia o anche la Calabria o anche la Campania;
          è ovvio che tale disservizio deve essere risolto una volta per tutte  –:
          se e quali iniziative intenda adottare la fine di consentire una visione normale di Rai 3 e del telegiornale regionale della Basilicata per i cittadini della provincia di Matera. (5-07113)

Interrogazione a risposta scritta:


      MARINELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          dal 1989 opera a Sciacca «Radio Torre Macadam», impegnata nella divulgazione di contenuti informativi prevalentemente a carattere locale;
          in seguito all'entrata in vigore della nuova normativa in materia di trasmissioni radiotelevisive, introdotta dal decreto-legge n.  5 del 2001, i titolari dell'emittente hanno cercato, a più riprese, di interloquire con il Ministero dello sviluppo economico (e prima con il Ministero delle comunicazioni) al fine di regolarizzare la propria posizione e poter proseguire la propria attività di emittenza;
          in particolare, nel gennaio 2002, la titolare ha inviato una lettera ai competenti uffici del Ministero, dichiarando la propria disponibilità ad ottemperare alla prescrizione di trasformare la propria ditta da individuale a società cooperativa, non ricevendo, tuttavia, alcuna risposta;
          lo stesso Ministero, invece, attraverso l'ufficio controllo radio frequenze di Trapani del proprio ispettorato territoriale Sicilia centro, ha sottoposto l'emittente in oggetto ad un'ispezione tecnica, tra l'altro non riscontrando alcuna irregolarità;
          a detta visita ispettiva non ha fatto seguito alcuna richiesta di adeguamento fatta ai titolari dell'emittente, creando in loro la convinzione che non vi fossero, a quel punto, ragioni ostative alla operatività dell'emittente;
          ancora, nel 2008, la stessa pubblica amministrazione richiedeva ai titolari dell'emittente il pagamento dei canoni di concessione per il periodo intercorrente dal 2000 al 2006, dovuto «da tutte le emittenti legittimamente operanti»;
          di contro, invece, il 9 febbraio 2012, ai titolari veniva notificata un'ordinanza di disattivazione emessa il 14 novembre 2011 dal dipartimento delle comunicazioni ispettorato territoriale Sicilia del Ministero dello sviluppo economico, e nella stessa data gli assistenti tecnici inviati dal medesimo dipartimento provvedevano alla disattivazione dell'impianto di messa in onda;
          l'ordinanza di disattivazione ha colto di sorpresa i titolari dell'emittente radiofonica, indotti in inganno dall'atteggiamento contraddittorio tenuto dall'amministrazione competente nei loro confronti che li aveva convinti di poter continuare a trasmettere  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza del caso esposto in premessa, e, comunque, quali iniziative intenda assumere al fine di permettere alla radio citata e a numerose altre emittenti che versano nella medesima condizione di tornare a trasmettere, anche al fine di porre rimedio al grave pregiudizio economico che le stesse e i loro titolari stanno subendo.
(4-16648)

Apposizione di firme
a risoluzioni.

      La risoluzione in commissione Carlucci e altri n.  7-00846, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 aprile 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zazzera.

      La risoluzione in commissione Pistelli e altri n.  7-00852, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Evangelisti, Adornato, Mecacci.

      La risoluzione in commissione Crosio e altri n.  7-00903, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Buonanno, Desiderati, Di Vizia.

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in commissione Cavallaro n.  5-07044, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ferranti.

      L'interrogazione a risposta in commissione Codurelli e altri n.  5-07084, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Siragusa.

      L'interrogazione a risposta in commissione Codurelli e altri n.  5-07096, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mattesini, Boccuzzi.

      L'interrogazione a risposta in commissione Tocci n.  5-07102, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bachelet.

Pubblicazione
di testi riformulati.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Di Pietro n.  1-00975, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  612 del 27 marzo 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              nel marzo del 2011 le proteste sono giunte anche in Siria, dopo aver interessato i Paesi del Maghreb e del Mashrek (avvenimenti ormai noti come «primavera araba»);
              tutto è iniziato a Daraa, città nel sud del Paese, quando i residenti si sono riversati in piazza in quello che venne poi ribattezzato il «giorno della rabbia», per chiedere il rilascio di circa 15 studenti arrestati e presumibilmente torturati dopo aver scritto su un muro slogan che riprendevano gli stessi apparsi nel corso delle rivolte in Tunisia ed Egitto;
              attualmente è ancora in atto una dura rivolta contro il regime alawita di Bashar Al Assad, Presidente dal luglio 2000, succeduto al padre, Hafez Al Assad, Presidente ininterrottamente dal 1971 al 2000 (la famiglia Al Assad appartiene alla minoranza islamica degli alawiti, di orientamento sciita, che fornisce la maggior parte dei quadri dirigenti del Ba'ath siriano);
              il Governo di Damasco sta, purtroppo, rispondendo a queste legittime richieste di cambiamento con un uso sproporzionato della forza militare; stando agli ultimi dati diffusi dalle Nazioni Unite, infatti, tale violenta reazione avrebbe provocato finora la morte di oltre 10.000 persone; non è ovviamente possibile avere esatta contezza del numero dei morti ma l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), al 4 aprile 2012, parla di 10.281 persone, di cui 7.432 civili (tra cui 1.110 tra bambini e adolescenti e 232 donne), 2.281 forze militari governative e 568 disertori documentati finora; le persone attualmente arrestate sarebbero circa 21.000, di cui 482 minorenni e 237 donne; il Consiglio nazionale siriano, invece, parla di oltre 12.000 morti, di cui 11.188 civili (870 minori, 761 donne) e 1.081 soldati che si sono rifiutati di eseguire gli ordini;
              si tratta in ogni caso di numeri inaccettabili, ancor più se si pensa che si parla di cifre destinate a crescere giorno per giorno: proprio il 27 maggio 2012, infatti, hanno perso la vita 108 persone, fra cui 49 bambini, in un nuovo, efferato massacro a Hula; il portavoce dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani (Unhcr), Ruper Colville, ha spiegato che solo una ventina dei siriani morti in questo ennesimo eccidio sono stati causati dai colpi dell'artiglieria e dei carri armati; lo stesso ha anche denunciato che «la mancanza di un accordo nel Consiglio di sicurezza dell'Onu sulla Siria sembra aver incoraggiato le autorità di Damasco a portare avanti un massacro ancora più indiscriminato di dissidenti e crimini contro l'umanità»; ma l'ultimo bilancio delle violenze in Siria è del 30 maggio 2012, quando a Deir Ezzor si è verificato un altro massacro con 98 morti, tra cui 61 civili, nove ribelli e 28 soldati governativi; secondo il presidente dell'Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra, Rami Abdel Rahman, «le vittime sono state giustiziate con un proiettile nella testa, secondo le prime informazioni provenienti dalla regione»;
              la Lega araba, nel corso di riunione del 12 febbraio 2012 al Cairo, attraverso i suoi Ministri degli affari esteri, aveva chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu l'avvio di una missione, in sostituzione di quella fallita il 28 gennaio 2012, che prevedesse l'invio in Siria di una forza di pace internazionale mista, composta da rappresentanti arabi e rappresentanti scelti dalle Nazioni Unite, finalizzata a porre fine ai massacri che insanguinano, da ormai un anno, il Paese arabo; nel corso della stessa riunione era stato chiesto ai Paesi arabi di sospendere ogni forma di cooperazione diplomatica con il regime di Damasco e di intensificare le sanzioni economiche e l'apertura di canali di comunicazione con le opposizioni, ancorché divise;
              l'11 aprile 2012 il Governo siriano, dopo un trionfalistico annuncio sulla sconfitta dei «terroristi» e la ripresa totale di controllo del territorio, si era detto pronto ad attuare la tregua a partire dal giorno successivo, mantenendo, peraltro, le truppe pronte a nuovi interventi, ma la stessa veniva rispettata solo parzialmente, poiché nelle 36 ore successive le forze governative uccidevano una trentina di persone, come sempre dopo il consueto venerdì di preghiera;
              dopo l'ennesimo massacro, il 14 aprile 2012 veniva approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu la risoluzione 2042, in cui si consentiva l'invio immediato di una missione esplorativa in Siria, composta da non più di trenta osservatori militari non armati, allo scopo di controllare il rispetto del cessate il fuoco, ma anche degli altri punti del piano di pace sottoposto ad Assad da Kofi Annan, con particolare riguardo al ritiro delle forze militari e degli armamenti pesanti dai centri abitati;
              dopo l'inizio della missione di osservatori dell'Onu, la situazione nel Paese è rimasta difficile e l'Onu ha preso atto che la tregua è stata rispettata solo parzialmente dal regime, il quale, dal canto suo, sempre appoggiato dalla Russia, ne addossava la responsabilità ai combattenti definiti terroristi; di qui la decisione di approvare il 21 aprile 2012 una seconda risoluzione, la 2043, la cui urgenza era stata particolarmente sostenuta dalla Russia, votando all'unanimità l'invio progressivo di un contingente di non più di trecento osservatori militari disarmati, oltre alla necessaria componente civile; dopo l'eccidio di Hula, anche Russia e Cina hanno, infatti, poi sottoscritto la ferma condanna del Consiglio di sicurezza, dopo che per due volte avevano esercitato il potere di veto;
              la missione deliberata (Unsmis, United nations supervision mission in Syria), della durata iniziale di 90 giorni e sulla quale già in precedenza le Nazioni Unite avevano firmato un protocollo d'intesa con il Governo siriano, sarà soggetta a una frequente periodica valutazione da parte del Segretario generale dell'Onu che riferirà al Consiglio, soprattutto in ordine all'effettivo rispetto – finora solo parziale – del cessate il fuoco;
              gli attivisti dei comitati di coordinamento che si oppongono in Siria al regime non hanno nascosto la propria delusione, sostenendo che la missione fallirà il proprio obiettivo, in quanto insufficiente a coprire il vasto territorio siriano, e si risolverà solo in un'ulteriore concessione di tempo al regime di Assad; la perdurante repressione in atto nel Paese e i già menzionati massacri sembrano dare loro ragione;
              il 23 aprile 2012, stante la violazione dell'impegno a cessare il fuoco, nuove sanzioni europee e americane hanno colpito la Siria: in particolare, quelle decise dal Presidente Usa Obama rivolte, soprattutto, verso una serie di tecnologie, con le quali il regime sarebbe in grado di rintracciare e colpire gli oppositori mediante il controllo dei telefoni cellulari e dei social network della rete internet;
              nelle stesse ore la Turchia, preoccupata soprattutto degli effetti destabilizzanti a catena che un'eventuale partizione della Siria potrebbe provocare, ha ventilato la possibilità di portare in sede Nato la situazione di tensione del proprio confine con la Siria;
              nemmeno le elezioni legislative del 7 maggio 2012 hanno segnato una qualche ricomposizione dei contrasti: piuttosto, esse sono state boicottate anche da forze di opposizione moderata non colpite finora dalla repressione, in quanto giudicate solo un'operazione cosmetica del regime, che, invece, le ha ritenute democratiche, in realtà, come poi è stato acclarato, si è trattato di elezioni-farsa;
              l'8 maggio 2012 Kofi Annan ha rilevato come gran parte del suo piano per il cessate il fuoco non sia stato finora attuato, ma ha espresso fiducia nell'azione dei trecento osservatori che entro la fine di maggio 2012 dovrebbero essere tutti al lavoro in Siria, e tra loro vi sono 17 militari italiani (dei quali 5 sono partiti il 15 maggio 2012 alla volta di Damasco), come deciso dal Governo con comunicazione al Parlamento in un'informativa alle Commissioni riunite esteri e difesa della Camera dei deputati il 9 maggio 2012;
              il 13 maggio 2012 il Ministro degli affari esteri Giulio Terzi ha ricevuto a Roma il capo del Consiglio nazionale siriano, Burhan Ghalioun, ma le sue successive e improvvise dimissioni non rappresentano certamente un segnale positivo;
              di fronte alle violenze e alla crisi diplomatica internazionale, il nostro Paese, a lungo uno dei principali partner commerciali della Siria, il 14 marzo 2012 aveva iniziato con la sospensione dell'attività della propria ambasciata a Damasco, rimpatriandone lo staff della sede diplomatica; altri Paesi si erano mossi in tale direzione;
              con l'aggravarsi della situazione, a seguito delle efferate violenze contro la popolazione civile di Mula, ascrivibili alle responsabilità del Governo siriano, e a fronte del fallimento di quanto messo in campo sinora in sede Onu, con le risoluzioni 2042 e 2043, è stato concordato da Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Spagna di provvedere all'espulsione degli ambasciatori della Siria dal territorio nazionale, provvedimento esteso anche ad alcuni funzionari dell'ambasciata; anche gli Stati Uniti, l'Australia, il Giappone, il Canada e la Turchia hanno provveduto in tal senso, mentre la Russia ha, invece, criticato l'espulsione degli ambasciatori siriani, definendola una mossa «controproducente»;
              il Premier turco Recep Tayyip Erdogan, nel condannare l'eccidio di Mula, ha sottolineato che «la pazienza del mondo si sta esaurendo» e ha anche fatto sapere di essere disposto e preparato a ricevere profughi siriani per proteggerli dalle forze armate lealiste e a ospitare le forze armate libere della Siria, escludendo in maniera assoluta un coinvolgimento militare;
              a conferma, comunque, che il conflitto potrebbe estendersi pericolosamente, si è avuta notizia di spari dell'esercito siriano al confine con il Libano che hanno causato la morte di un contadino libanese; intanto l'opposizione siriana fa sapere di essere pronta a prendere il controllo degli arsenali chimici di Assad, non appena il regime crollerà;
              al di là delle inevitabili ripercussioni sugli assetti politico-istituzionali dell'intera area geografica, tale situazione sta generando un forte allarme umanitario per i violenti massacri che da mesi continuano a perpetrarsi ai danni della popolazione civile e che rischia di provocare delle inevitabili e gravi ripercussioni sui già delicati equilibri dell'intero territorio mediorientale, per cui risulta quanto mai urgente e prioritario un decisivo e unanime intervento della comunità internazionale;
              alla luce di una crisi economica e finanziaria che si aggrava sempre più a livello globale, i Governi occidentali restano ancora molto riluttanti a intervenire, avendo anche ben presente il complesso quadro regionale e internazionale in cui si colloca la crisi siriana; inoltre, va tenuto in debita considerazione il fatto che in Siria una delle principali incognite è caratterizzata dalla frammentarietà dell'opposizione al regime, dominata da una maggioranza sunnita sostenuta dai Fratelli musulmani e da Paesi arabi del Golfo e rappresentata da un insieme di gruppi in esilio che si fa chiamare Consiglio nazionale siriano (Cns), con una prevalenza sempre più consistente di movimenti e partiti islamisti sunniti, a fronte della presenza sciita di matrice iraniana; proprio l'Iran, ovviamente, ha dimostrato di essere particolarmente attento a quel che accade in Siria, offrendo innanzitutto l'appoggio alle forze del regime e alla repressione della rivolta nel Paese;
              quella in atto in Siria appare ormai sempre più una guerra civile ampiamente iniziata, piuttosto che qualcosa in procinto di accadere, con conseguenze ancora più devastanti per la popolazione,

impegna il Governo:

          a farsi promotore, nelle opportune sedi internazionali, di iniziative volte a:
          a) favorire un deciso intervento diplomatico, di concerto con le istituzioni europee, per rafforzare la pressione internazionale sul regime siriano, far cessare qualsiasi atto di violenza nei confronti della sua popolazione, assicurare un forte sostegno politico alla già fragile e composita opposizione siriana nella direzione di evitare un'ulteriore degenerazione della situazione;
          b) far sì che il Consiglio di sicurezza dell'Onu si pronunci nel più breve tempo possibile nel senso di:
              1) fornire una più stringente e decisa risposta all'inaccettabile susseguirsi di violenze e repressione in Siria attraverso l'adozione di misure più rigorose, tra cui sanzioni economiche, contro il regime siriano;
              2) valutare la possibilità di avviare una missione di peacekeeping congiunta Onu-Paesi arabi nell'estremo tentativo di dissuasione nei confronti del Presidente siriano;
              3) prevedere l'aumento del numero degli osservatori militari delle Nazioni Unite già previsti dalla risoluzione 2043 e rafforzare il mandato della missione Unsmis;
          ad adoperarsi nelle sedi internazionali per sostenere con forza che la commissione internazionale indipendente d'inchiesta, istituita dal Consiglio Onu dei diritti umani, possa entrare in Siria e verificare le denunce di violazioni commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto;
          ad attivarsi perché vengano celermente avviate le necessarie procedure, previste dall'articolo 5 della legge 3 marzo 1951, n.  178, volte a revocare l'onorificenza concessa al Presidente siriano Bashar Al-Assad.
(1-00975)
(Ulteriore nuova formulazione) «Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao».

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Renato Farina n.  1-01029, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  628 dell'8 maggio 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              ripetuti gravissimi episodi di violenza che hanno di mira le comunità cristiane hanno di nuovo sconvolto nei giorni scorsi la Nigeria. Ormai, dall'inizio dell'anno, ogni domenica è segnata, negli Stati del Nord di questo Paese, dall'aggressione contro inermi fedeli che partecipano alle celebrazioni liturgiche. Secondo fonti autorevoli (si vedano le cifre fornite da Domenico Quirico su La Stampa, 11 giugno 2012) sono più di seicento le vittime mietute nella comunità cristiana nel corso di questa escalation dei terroristi islamici del gruppo Boko Haram, ideologicamente e organizzativamente prossimo ad Al Qaeda. Questa fazione, che nel gennaio 2012 aveva ucciso in un attacco almeno 160 persone a Kano, ha rivendicato gli attacchi susseguitisi con cadenza ininterrotta fino a domenica 17 giugno, ed oggi è congiunta strategicamente con analoghe formazioni che occupano di fatto buona parte del Mali e importanti città della Mauritania, e stanno allargando le loro zone d'influenza nell'Africa sub-sahariana;
              i fatti più recenti illustrano l'infame strategia dei terroristi. Cinque chiese in città diverse sono state assaltate in sequenza. In particolare a Zaria, nello Stato di Kaduna, un commando a colpi di granata ha assassinato quattro bambini che giocavano all'esterno di una chiesa. Gli autori di questo atto orribile sono stati circondati e linciati dalla folla. E la rappresaglia si è estesa coinvolgendo musulmani senza colpa. La logica del Boko Haram, innestandosi anche su divisioni tribali, è proprio quella di esasperare la comunità cristiana, che è una fortissima minoranza, e spingerla all'emigrazione o comunque a reazioni indiscriminate per determinare l'esplosione di una vera e propria guerra civile che esasperi la situazione già tesa per l'imposizione della legge islamica a tutti i cittadini;
              «La Chiesa, specie quella cattolica, è un obiettivo perché, agli occhi dei fanatici di Boko Haram, rappresenta quella cultura e quei valori occidentali che essi affermano di combattere, in particolare l'istruzione occidentale», ha detto il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, monsignor Ignatius Ayau Kaigama;
              a questi casi eclatanti si somma in Paesi del vicino e medio Oriente nonché dell'Asia profonda la quotidiana e progressiva pratica silenziosa di omicidi confessionali e l'induzione all'espatrio dei fedeli delle antiche Chiese apostoliche, determinata oltre che dallo stillicidio cruento, dalla compressione crescente degli spazi di presenza e libertà per le minoranze cristiane in numerosi Paesi dell'Asia;
              non si tratta di episodi isolati, ma di un'aggressione sistematica alla libertà religiosa, «madre di tutte le libertà», come già affermato nella Risoluzione unitaria Mazzocchi ed altri del 12 gennaio 2011. In essa si denunciava la «cristianofobia» e si chiedeva l'intervento ad ogni livello del Governo e delle istanze internazionali per garantire i diritti umani e tra essi specificamente quello della libertà di religione;
              da allora la pratica di omicidi singoli o di massa di cristiani lungi dall'essere abbandonata, è cresciuta di intensità e di qualità. Basti solo segnalare l'omicidio di Shabhaz Bhatti, Ministro per le minoranze in Pakistan, assassinato da un commando di terroristi islamici a Islamabad il 2 marzo del 2011, per la sua strenua difesa in particolare di Asja Bibi, una donna condannata a morte per «blasfemia»;
              in Iraq è in corso una vera e propria pulizia etnica, che si attua con rapimenti e assassini selettivi, così da indurre alla diaspora una comunità che preesisteva all'Islam. Lo stesso rischia di accadere alla comunità copta in Egitto;
              la persecuzione ai danni dei cristiani e ogni persecuzione religiosa sono intollerabili non solo da un punto di vista confessionale, ma soprattutto in ragione della garanzia e della tutela della giustizia e della libertà di tutti;
              occorre assumere iniziative perché queste vittime non siano oltraggiate, oltre che dalla barbara uccisione, anche con il silenzio e l'indifferenza,

impegna il Governo:

          ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché la persecuzione contro i cristiani sia considerata un'emergenza internazionale gravissima in ogni consesso e diventi oggetto di condanna esplicita, e di interventi coordinati ed efficaci da parte delle autorità e delle organizzazioni sovranazionali e internazionali;
          ad intraprendere in particolare, nel caso della Nigeria, una decisa azione nell'ambito dell'Onu, dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa per tutelare, con idonei strumenti di «ingerenza umanitaria», la popolazione civile nei beni supremi della vita e della libertà religiosa.
(1-01029)
«Renato Farina, Pianetta, Baldelli».

Ritiro di documenti
del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Siragusa n.  4-16031 del 14 maggio 2012;
          interpellanza Iannaccone n.  2-01507 del 23 maggio 2012;
          interrogazione a risposta orale Poli n.  3-02320 del 6 giugno 2012;
          interrogazione a risposta immediata in Commissione Barbato n.  5-07071 del 13 giugno 2012.

Trasformazione di documenti
del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-00070 del 29 aprile 2008 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07117;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-00537 del 3 luglio 2008 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07118;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-05327 del 9 dicembre 2009 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07119;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07105 del 6 maggio 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07120;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07124 dell'11 maggio 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07121;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07125 dell'11 maggio 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07122;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07141 dell'11 maggio 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07123;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07458 del 3 giugno 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07124;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07459 del 3 giugno 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07125;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07606 del 15 giugno 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07126;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07735 del 23 giugno 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07127;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07790 del 29 giugno 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07128;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-07791 del 29 giugno 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07129;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-08076 del 19 luglio 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07130;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-08077 del 19 luglio 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07131;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-08905 del 5 ottobre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07132;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-08955 del 7 ottobre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07133;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-08956 del 7 ottobre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07134;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-09175 del 26 ottobre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07135;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-09324 dell'8 novembre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07136;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-14439 dell'11 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07137;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-14853 del 9 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07138;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-14897 del 14 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07139;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-15002 del 20 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07140;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-15113 del 27 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07141;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-15196 del 5 marzo 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07142;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-15447 del 22 marzo 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07143;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-16323 del 29 maggio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07144;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-16352 del 30 maggio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07145;
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n.  4-16353 del 30 maggio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07146.

ERRATA CORRIGE

      Nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  649 del 13 giugno 2012, dalla pagina 31828, prima colonna, alla riga ventinovesima, alla pagina 31832, prima colonna, alla riga ventiseiesima, deve leggersi:

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Montagnoli n.  1-00896, già pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  594 del 28 febbraio 2012:

      La Camera,
          premesso che:
              il sistema delle piccole e medie imprese costituisce il motore dell'intera economia italiana, costituendo il 99 per cento del sistema imprenditoriale, impiegando circa l'80 per cento degli addetti totali e generando quasi il 72 per cento del valore aggiunto complessivo;
              è in corso un drammatico fenomeno di restrizione del credito per tutte le imprese, aggravato dal fatto che quel poco credito erogato ha raggiunto costi altissimi, soprattutto per le piccole e medie imprese; secondo recenti dati forniti dalla Banca d'Italia, il tasso di crescita su base annua del credito al sistema industriale è in forte rallentamento: a maggio 2011 era del 6,1 per cento, a ottobre 2011 del 5,8 per cento, a novembre 2011 del 4,9 per cento, mentre a dicembre 2011 del 3,1 per cento; ma il dato più preoccupante è che, mentre fino a novembre 2011 lo stock di credito erogato alle imprese non finanziarie era comunque aumentato, se pur ad un tasso decrescente, a dicembre 2011, in termini assoluti, ha mostrato una contrazione di circa 20 miliardi di euro; anche per il primo quadrimestre 2012 la situazione è drammatica: da un sondaggio su 130.000 imprese associate ad Unimpresa, risulta che i finanziamenti degli istituti di credito alle aziende siano diminuiti del 50 per cento rispetto al 2011; la stretta è diffusa in tutti i settori industriali, con alcuni picchi in quello dell'edilizia e del commercio; nonostante l'immissione di liquidità nel sistema bancario e il fatto che la Banca d'Italia affermi che l'afflusso di finanziamenti sia cresciuto nel 2012, le piccole imprese continuano a soffrire di mancanza di credito;
              purtroppo, il credit crunch ha radici ormai lontane: è dal 2008, infatti, data nella quale la crisi si è manifestata in tutta la sua drammaticità, che le imprese devono affrontare il tema della restrizione del credito, in una prima fase a causa «soltanto» della crisi del sistema finanziario e bancario, in una seconda fase a causa anche del rallentamento dell'economia reale;
              dall'autunno 2011 la crisi dei debiti sovrani ha ulteriormente penalizzato il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta e la posizione finanziaria, e gli interventi delle autorità bancarie europee hanno definitivamente messo in ginocchio tutto il sistema, rendendo difficile ottenere prestiti dalle banche, ad un prezzo, oltretutto, altissimo: lo spread sull'euribor a tre mesi pagato dalle imprese nel 2007 era pari allo 0,6 per cento, mentre a fine 2011 ha raggiunto il 2,75 per cento; addirittura, le piccole e medie imprese pagano un differenziale pari a 3,6 punti; il costo complessivo delle nuove operazioni può, quindi, raggiungere il 3,8 per cento per le grandi e il 5 per cento per le piccole imprese;
              la restrizione del credito al sistema produttivo comporta, quindi, l'aumento dei margini di interesse, la richiesta di sempre maggiori garanzie reali da parte delle banche, l'accorciamento della durata dei finanziamenti;
              la genesi della pesante crisi economico-finanziaria aveva aperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman brothers di quattro anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
              il Comitato dei governatori delle banche centrali europee ha riscritto l'accordo cosiddetto Basilea 2 per arrivare al «Basilea 3», che mira a rafforzare il patrimonio delle banche, al fine di dare stabilità al sistema finanziario per scongiurare il pericolo di nuove catastrofi finanziarie; il prezzo da pagare, però, è un ulteriore rallentamento dell'economia: già il comitato di Basilea ed il Fondo monetario internazionale avevano stimato che ad ogni punto in più di capitale richiesto corrisponde una riduzione media del prodotto interno lordo pari allo 0,04 per cento;
              successivamente agli accordi di «Basilea 3», l'Eba-European banking authority, nell'autunno 2011, ha imposto requisiti patrimoniali più stringenti per le banche, accrescendone le difficoltà e accelerando il processo di riduzione del proprio indebitamento a seguito della necessità di una forte ricapitalizzazione; l'effetto è stato generalizzato in tutta l'Unione europea, ma in Italia lo è stato ancora di più a causa dell'introduzione dei nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali che prevedono la valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico, superando le disposizioni precedenti che prevedevano la contabilizzazione dei titoli iscritti nel portafoglio bancario al valore di acquisto; il risultato è una pesante crisi di fiducia verso le banche e una forte crisi di liquidità che sta penalizzando, in particolare, le piccole e medie imprese;
              per le piccole e medie imprese il credito bancario rappresenta la principale fonte di finanziamento e Prometeia stima che siano 25.000 le piccole e medie imprese a rischio chiusura proprio per le difficoltà a reperire finanziamenti bancari e per la congiuntura economica negativa;
              la revisione dei requisiti patrimoniali di «Basilea 3» ed Eba sta portando ad un aumento del capitale di vigilanza delle banche pari al 31,25 per cento, con una distribuzione su tutte le posizioni attive bancarie e, quindi, anche sui portafogli crediti erogati alle piccole e medie imprese; secondo Confindustria, però, i portafogli crediti delle piccole e medie imprese risultano sicuramente meno rischiosi rispetto a quelli delle grandi imprese, grazie alla minore correlazione, dimostrata da analisi empiriche, tra gli attivi delle piccole e medie imprese e l'andamento economico generale; sarebbe, perciò, opportuno introdurre meccanismi correttivi, tali da permettere un trattamento prudenziale da parte delle banche meno stringente per le piccole e medie imprese; tali correttivi consentirebbero alle banche di accantonare meno capitale a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese in modo da recuperare liquidità, limitando gli effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese stesse; la proposta di Confindustria, condivisa dalle altre organizzazioni imprenditoriali europee, ha portato la Commissione europea ed Eba a prendere in considerazione l'introduzione di alcuni meccanismi correttivi, impegnandosi a monitorare gli effetti dell'applicazione dell'accordo di «Basilea 3» sulle piccole e medie imprese;
              in questa fase economica, al fine di limitare la prociclicità di «Basilea 3», è necessario vigilare sul livello di credito erogato alle imprese, intervenendo a livello europeo per armonizzare i criteri ed i modelli di valutazione dei rischi, oggi molto diversi tra loro; tali differenze provocano distorsioni della concorrenza tra banche di diversi Paesi e rischiano di vanificare il raggiungimento dell'obiettivo della stabilità del sistema finanziario e, conseguentemente, del sistema industriale; tali criteri penalizzano decisamente gli istituti di credito italiani più concentrati sulle attività tradizionali, che, però, a livello europeo vengono considerate ad alto assorbimento di capitale;
              in Italia, poi, il tema della corretta valutazione del merito del credito verso le imprese ha assunto assoluta importanza; si assiste ad una valutazione sempre più rigida del rating aziendale a scapito della valutazione degli elementi più qualitativi che possono qualificare in positivo l'attività imprenditoriale: affidabilità del management, contratti, organizzazione aziendale sono alcuni degli elementi che le nostre banche potrebbero considerare nell'analisi complessiva dell'affidabilità aziendale;
              non secondario è il tema dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni: attanagliati dalle morse del patto di stabilità, i tempi dei pagamenti delle forniture degli enti locali, delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere si sono allungati all'inverosimile, appesantendo la posizione finanziaria delle piccole e medie imprese; molte sono le imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e se fino a quindici anni fa lavorare per il pubblico era per un'azienda garanzia di affidabilità e solvibilità, oggi è sinonimo di difficoltà finanziaria e di alta esposizione bancaria; una delle proposte della Lega Nord è quella di favorire la compensazione tra debiti e crediti tra le piccole e medie imprese e pubblica amministrazione, includendo non solo quelli commerciali, ma anche e soprattutto quelli tributari; la crisi sta evidenziando molte situazioni nelle quali l'imprenditore non riesce a pagare le imposte, pur avendo presentato nei tempi e nei modi previsti le dichiarazioni fiscali; la compensazione di questi debiti costituirebbe sicuramente una boccata di ossigeno per tutte le piccole e medie imprese; l'alternativa sarebbe quella di garantire una rateazione del debito tributario più lunga e flessibile ad un costo ragionevole per il debitore, in modo da contemperare le esigenze dell'erario con quelle dell'imprenditore;
              l'annosa questione dei ritardi dei pagamenti alle imprese è stata affrontata nel Consiglio dei ministri del 22 maggio 2012, nel quale sono stati adottati quattro decreti che consentirebbero di sbloccare i crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione. In particolare, due decreti interessano la certificazione dei crediti scaduti nei confronti di amministrazioni statali, enti locali, regioni ed enti del servizio sanitario nazionale; un terzo riguarda la compensazione dei crediti con i debiti verso il fisco iscritti a ruolo alla data del 30 aprile 2012; l'ultimo decreto agisce sul fondo centrale di garanzia per agevolare le imprese che intendono cedere i propri crediti presso intermediari finanziari riconosciuti;
              a completamento delle suddette misure, si aggiunge la firma di un accordo tra l'Associazione bancaria italiana e le associazioni imprenditoriali, che istituisce un plafond del valore iniziale di 10 miliardi di euro, riservato allo smobilizzo dei crediti verso lo Stato;
              sono circa centocinquantamila le aziende italiane che lavorano con il settore pubblico per un debito totale, da parte di quest'ultimo, che ammonta a circa 70 miliardi di euro e, sulla base di quanto si apprende dalla stampa, già dalla fine del 2012 dovrebbero essere sbloccati debiti per una cifra compresa tra i 20 e i 30 miliardi di euro, attraverso un meccanismo che, tramite certificazione da parte della pubblica amministrazione, consentirà alle imprese di recarsi in banca per farsi anticipare o cedere i crediti scaduti ed ottenere così la liquidità necessaria per il prosieguo dell'attività;
              circa due terzi del debito nei confronti delle imprese appartiene agli enti pubblici ed è per tale ragione che uno dei due decreti sulla certificazione dei crediti necessita del parere della Conferenza Stato-regioni, la quale non si è ancora espressa. Attualmente, nessuno dei quattro decreti adottati dal Governo è in vigore e quello che rappresenta un provvedimento necessario ed urgente per la crescita delle imprese rischia di rimanere soltanto l'ennesimo annuncio mediatico di questo Governo;
              è ormai indispensabile un decisivo intervento dello Stato nei confronti del sistema bancario italiano che sappia limitare il fenomeno del credit crunch, introducendo innovativi sistemi di garanzia degli affidamenti,

impegna il Governo:

          ad intervenire a livello europeo chiedendo l'attuazione rapida dei correttivi chiesti dalle organizzazioni imprenditoriali alla regolamentazione relativa ai requisiti prudenziali per le banche, al fine di riservare un trattamento meno stringente per le piccole e medie imprese, che possa consentire alle banche di recuperare liquidità da utilizzare per erogare crediti alle piccole e medie imprese stesse, e ad assumere iniziative affinché siano resi omogenei i criteri e le metodologie per ponderare i rischi degli attivi bancari, in modo da garantire effettiva concorrenza tra le banche dei differenti Paesi e da non penalizzare l'attività delle banche italiane, sicuramente meno rischiosa, ma considerata ad alto assorbimento di capitale;
          ad aiutare il sistema creditizio, tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, a cambiare l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese, considerato che l'eccessiva prudenza nell'erogazione del credito rischia di impedire alle imprese di continuare ad operare, con conseguenze drammatiche per l'intero sistema economico;
          ad intervenire rapidamente, nell'ambito delle proprie competenze, per ridurre significativamente i tempi dei pagamenti dello Stato, degli enti locali e delle aziende pubbliche, attivandosi anche a livello europeo per allentare i vincoli del patto di stabilità, posto che gli attuali tempi di pagamento non sono più sostenibili per le piccole e medie imprese e, soprattutto, per le piccole e medie imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e che è necessario favorire linee di credito a basso costo per le imprese che vantano crediti verso la pubblica amministrazione, garantiti direttamente dallo Stato con l'emissione di titoli di Stato o con le proprie riserve auree, ciò sino all'effettivo incasso delle somme stesse, permettendo così ai piccoli e medi imprenditori di poter continuare a sviluppare la propria attività e a pagare lo stipendio dei propri dipendenti, favorendo così un circolo virtuoso nell'economia;
          ad aiutare le piccole e medie imprese nell'assolvimento dei propri debiti tributari e contributivi, introducendo rateazioni più lunghe e più flessibili;
          ad adottare le opportune iniziative affinché vengano resi immediatamente operativi i decreti ministeriali per la disciplina dei rapporti di credito e debito tra pubblica amministrazione ed imprese fornitrici, garantendo a queste ultime la liquidità necessaria da poter investire nella crescita e nello sviluppo.
(1-00896)
(Nuova formulazione) «Montagnoli, Dozzo, Fugatti, Forcolin, Comaroli, Fogliato, Lussana, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».

      e non come stampato.

      L'interrogazione a risposta scritta Barbato n.  4-16640 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  651 del 18 giugno 2012. Alla pagina 31964, prima colonna, dalla riga trentaquattresima alla riga trentacinquesima, deve leggersi: «del comune di Castel Volturno nella persona del dottor Michele Capomacchia:» e non «del comune di Castel Volturno nella persona del dottor Piero Mattei:», come stampato.