XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 28 giugno 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              secondo l'indagine «Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità», realizzata da Fondazione per la sussidiarietà e Politecnico di Milano, in collaborazione con Nielsen Italia, ogni anno in Italia vengono buttati via 12,3 miliardi di euro di cibo, di cui la metà direttamente dai consumatori;
              questa quantità è pari a circa 42 chilogrammi a persona di avanzi non riutilizzati e alimenti scaduti o andati male, per uno spreco pro capite di 117 euro l'anno;
              già oggi quasi 1 miliardo di euro di cibo viene recuperato e l'obiettivo è ora recuperarne altri 6 miliardi, per portare questi alimenti sulla tavola di chi non ne ha a sufficienza;
              secondo gli esperti la ragione principale di tutto questo spreco è «il disallineamento tra domanda e offerta e la non conformità del prodotto a standard di mercato», che si riflette in modo particolare a livello domestico, anche se nell'insieme «le imprese della filiera generano più eccedenza delle famiglie»;
              gran parte dell'eccedenza alimentare non viene recuperata per il consumo umano e solo una piccola parte, poco più del 6 per cento, è donata alle cosiddette «banche del cibo» e ad enti caritativi, per uno spreco a livello nazionale pari a 5,5 milioni di tonnellate all'anno, ossia il 92,5 per cento dell'eccedenza e il 16 per cento dei consumi;
              quasi il 50 per cento delle eccedenze generate nella filiera agroalimentare è recuperabile per l'alimentazione umana con relativa facilità, attivando un circuito virtuoso in cui tutte le aziende della filiera collaborano, in un contesto normativo che tenda a garantire la qualità senza creare inutile burocrazia;
              l'indagine mostra che la collaborazione tra istituzioni, filiera agroalimentare e realtà non profit è fondamentale per rispondere al bisogno alimentare di tante persone indigenti, soprattutto nell'attuale momento di crisi, registrato anche nel settore della vendita dei prodotti alimentari, che nel mese di aprile 2012 è calata del 6 per cento rispetto allo stesso periodo dello stesso anno;
              per ottenere risultati positivi su questo fronte è assolutamente necessario coinvolgere tutti gli attori della filiera agroalimentare, dalle industrie ai distributori, molti dei quali hanno già manifestato una spiccata sensibilità in materia, introducendo meccanismi che stimolino a considerare sempre più strategico e premiante il donare le proprie eccedenze a chi con costanza e continuità quotidianamente combatte la povertà e il disagio sociale attraverso il loro recupero e la redistribuzione,

impegna il Governo

ad assumere immediate iniziative affinché vengano a crearsi condizioni normative e procedurali ottimali al fine di ridurre gli scarti di cibo nella filiera agroalimentare e recuperare così risorse preziose soprattutto nell'attuale momento di crisi economico-finanziaria ed occupazionale.
(1-01104) «Girlanda, Ciccioli, De Luca, Barani, Bocciardo, Giro, Crolla, Mancuso, Castellani, Abelli, Carfagna, Gioacchino Alfano, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Giammanco».

Risoluzioni in Commissione:


      La IX Commissione,
          premesso che:
              lo sviluppo della banda larga riveste un'importanza fondamentale per la crescita economica, favorendo la competitività, l'inclusione sociale, l'attrazione di investimenti dall'estero e la creazione di nuove opportunità di lavoro;
              la strategia «Europa 2020» («EU2020») e l'Agenda digitale europea riconoscono il ruolo decisivo della banda larga all'interno del programma di crescita dell'Unione europea, ponendo obiettivi ambiziosi per la sua capillare diffusione su tutto il territorio dell'Unione al fine di assicurare, proprio entro il 2020, l'accesso a connessioni superiori a 30 Mbit/s per tutti i cittadini europei e l'abbonamento a servizi internet con una velocità di connessione superiore a 100 Mbit/s per almeno la metà delle famiglie europee;
              lo sviluppo della banda larga presuppone investimenti di notevole entità e l'impegno di ingenti quantità di risorse finanziarie pubbliche e private;
              la diffusione della banda larga fa registrare all'Italia un grave ritardo rispetto agli altri Paesi europei, che possono contare su una velocità media di connessione anche quattro volte superiore a quella esistente da noi;
              nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione trasporti della Camera dei deputati, è emersa con chiarezza la necessità di accelerare la realizzazione di un piano di investimenti in questo settore a medio e lungo termine;
              il Governo dovrà favorire e promuovere questo piano di investimenti coinvolgendo tutti gli operatori del settore e tenendo conto delle peculiarità della situazione italiana; la sola eccezione al ritardo nella diffusione della fibra ottica che affligge il nostro Paese è rappresentata dalla città di Milano, esempio di avanguardia a livello europeo; Metroweb, società controllata dal Fondo italiano per le infrastrutture F2i, ha presentato un programma di cablaggio per 30 città italiane, basato proprio sull'esperienza di Milano e aperto a tutti gli operatori a condizioni non discriminatorie e che ha convogliato gli interessi di tutti gli operatori OLO's;
              Telecom Italia ha a sua volta annunciato un piano di investimenti per l'ammodernamento della propria rete e la diffusione della banda ultralarga;
              i due progetti sono assolutamente compatibili e potrebbero anche ottenere risultati complementari; l'Italia non può più perdere tempo nell'affrontare una questione così centrale per lo sviluppo economico del Paese e per superare il digital divide che la separa dagli altri Paesi europei,

impegna il Governo

a istituire e convocare nel più breve tempo possibile un tavolo istituzionale per favorire il raggiungimento di un'intesa tra Telecom Italia, la Cassa depositi e prestiti e il Fondo F2i/Metroweb per avviare la realizzazione di un mirato piano di investimenti su scala nazionale nelle reti NGN, nell'interesse dei cittadini e dell'intero sistema economico e produttivo del nostro Paese.
(7-00932) «Gentiloni Silveri, Rao».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              sulla obbligatorietà di iscrizione dei liberi professionisti o lavoratori esercenti attività autonome alla gestione separata INPS, istituita nel 1996, non vi è mai stata un'univoca interpretazione;
              già a partire dall'anno 2009, l'Inps ha avviato la cosiddetta operazione PoseidOne andando a verificare i redditi conseguiti da tali lavoratori autonomi nel 2004 e corrispondente iscrizione ad una gestione previdenziale professionale;
              con messaggio Inps 20085 del 30 luglio 2010 si stabilisce che verrà iscritto automaticamente alla gestione separata INPS chi nell'anno 2004 ha dichiarato redditi indicandoli nel quadro RE del modello unico 2005 senza versare contributi previdenziali;
              con la cosiddetta operazione PoseidOne 3, l'INPS ha iniziato ad inviare provvedimenti di riscossione, a circa 900.000 soggetti, applicando pesantissime sanzioni, in quanto percettori di reddito professionale, non avevano versato alcun contributo previdenziale su tale entrata;
              applicare a questa fattispecie di soggetti le pesanti sanzioni previste dalla legge n.  388 del 2000 (articolo 116, comma 8, lettera b)), sembra estremamente penalizzante, poiché rappresentano oltre il 70 per cento dell'importo dei contributi dovuti;
              se da un lato è legittimo il principio secondo il quale, ogni prestazione lavorativa e il relativo corrispettivo debba essere soggetto a contribuzione previdenziale, è altrettanto legittimo pensare che nella maggior parte dei casi, si tratta di soggetti vittime del fatto che con l'istituzione della gestione separata, non fu chiarito fin dall'inizio quali fossero i soggetti che dovevano iscriversi obbligatoriamente;
              con il comma 12 dell'articolo 18 del decreto-legge n.  98 del 2011, si è giunti ad una norma di interpretazione autentica dell'articolo 2, comma 26, della legge n.  335 del 1995 che ha delimitato gli ambiti di competenza della Gestione separata e delle altre forme assicurative private e privatizzate, di cui ai decreti legislativi n.  509 del 1994 e n.  103 del 1996, confermando la regola per cui dipende dalla singola cassa professionale la possibilità di iscriversi anche se obbligatoriamente iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria perché lavoratore dipendente o per altra parte di impegno lavorativo;
              ciò ha consentito a molti soggetti di risolvere la questione attraverso le proprie casse di appartenenza (Inps messaggio n.  709 del 12 gennaio 2012) versando la contribuzione omessa, ora per allora, ma senza sanzioni, ottenendo contestualmente l'annullamento dell'accertamento emanato dall'INPS, mentre chi non ha potuto fruire di tale opportunità, è costretto a pagare la sanzione come se si trattasse di evasione contributiva;
              rispetto alle casse, non tutte hanno ritenuto di modificare i propri statuti ed a titolo di esempio citiamo l'Inarcassa, che a tutt'oggi esclude la possibilità di iscrizione e di pagamento del contributo soggettivo gli ingegneri e gli architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di rapporto di lavoro subordinato o, comunque, di altra attività esercitata, anche se iscritti all'Albo ed in possesso di partite IVA,

impegna il Governo

a sospendere i provvedimenti di riscossione emessi dall'INPS a carico degli iscritti alla gestione separata provvisti di un'altra posizione di previdenza obbligatoria, per rivedere le attuali sanzioni previste per questa particolare fattispecie, ed istituire in tempi brevi un tavolo tecnico Ministero-Casse-INPS con lo scopo di risolvere in tempi brevi la contesa vicenda che sta destando una sempre più crescente preoccupazione tra i professionisti interessati, sui quali non possono gravare gli effetti di una normativa non compiutamente chiarita e definita e di differenti valutazioni da parte delle istituzioni interessate.
(7-00929) «Gnecchi, Cazzola, Poli».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              nei prossimi giorni il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Antonio Catricalà costituirà una task-force interministeriale, con la partecipazione dell'amministrazione comunale di Palermo, che si occuperà, oltre che di alcune problematiche legate alle emergenze della città, anche della vicenda relativa alla società Gesip spa, creata dal comune di Palermo, da Italia Lavoro spa e dall'agenzia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per lo sviluppo dei servizi a favore dell'occupazione, con il duplice obiettivo di rispondere alle esigenze di servizio di Palermo e di aprire nuove opportunità d'impiego per le fasce più deboli del mercato del lavoro;
              la SPO srl – servizi per l'occupazione è una società a socio unico GESIP ed è stata ente promotore e gestore, da marzo 2004 ad aprile 2010, del progetto del comune di Palermo denominato «Piano per l'occupabilità dei soggetti svantaggiati dell'area metropolitana di Palermo», con l'utilizzazione di circa 3.200 soggetti (ex Pip) impiegati in attività di supporto in diversi settori della pubblica amministrazione, (tra cui istituzioni scolastiche, presìdi ospedalieri, uffici regionali e assessorati);
              i 90 lavoratori di SPO srl hanno sottoscritto, dal 2004, contratti di collaborazione a progetto senza alcuna interruzione delle attività lavorativa fino al mese di aprile 2010. I Co.Co.pro, però, erano tali sono formalmente poiché i lavoratori venivano utilizzati come dei veri e propri lavoratori dipendenti avendo, ad esempio, l'obbligo di recarsi presso la sede della società secondo un preciso orario di lavoro, di concordare le ferie con l'amministratore unico della stessa o di presentare il certificato medico in caso di malattia;
              la maggior parte dei lavoratori appartenenti a questa categoria ha presentato ricorso al giudice del lavoro avverso la SPO srl per il riconoscimento dello status di lavoratore dipendente a tempo indeterminato e per l'ottenimento del trattamento economico non riconosciuto;
              con una legge della regione Siciliana, votata il 30 aprile 2010, è stato avviato un percorso di stabilizzazione per i 3.200 lavoratori ex Pip (amministrati da SPO), mentre i contratti dei collaboratori a progetto non sono stati oggetto di rinnovo;
              questi ultimi, che avevano garantito la gestione del bacino «emergenza Palermo» fino al 30 marzo 2010, sono stati esclusi ingiustificatamente, a seguito della disposizione contenuta nella legge finanziaria 2010 della regione siciliana, dal transito al soggetto regionale individuato per il bacino, di comune appartenenza, ex Pip;
              il personale di SPO srl ha maturato, nel corso degli anni, una notevole esperienza professionale in vari ambiti e, ad oggi, si ritrova in una situazione di precarietà e nell'impossibilità di rientrare nel mercato del lavoro,

impegna il Governo

a definire, nell'ambito dei lavori della task-force interministeriale, misure concrete al fine di trovare una soluzione adeguata che favorisca il reinserimento nel contesto lavorativo dei 90 soggetti di cui in premessa, adottando gli opportuni provvedimenti ed interventi volti a stabilizzarne la situazione lavorativa.
(7-00931) «Antonino Foti, Marinello, La Loggia, Vincenzo Antonio Fontana, Terranova».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              il problema della cosiddetta disoccupazione in età matura che coinvolge circa 1,5 milioni di italiani con un'età compresa tra i 40 e i 60 anni, è stato relegato nel corso degli anni ad una piaga di nicchia non affrontata in maniera adeguata dalle Istituzioni competenti;
              negli ultimi anni, condizionati da una congiuntura economica complessa che ha messo in crisi il tessuto economico-produttivo del Paese, il numero dei disoccupati maturi è cresciuto notevolmente alimentato dalle dinamiche di licenziamento operate dalle aziende in crisi;
              di contro, alla sussistenza della crisi, dunque alla difficoltà in capo alle imprese di procedere al coinvolgimento di ulteriori risorse umane, si aggiunge anche la sussistenza da parte delle stesse di notevoli pregiudizi nei confronti dei lavoratori maturi tanto da comprometterne l'eventuale reinserimento lavorativo;
              il disegno di legge recante «riforma del mercato del lavoro» introduce «misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione»;
              tra le misure suindicate vi è anche quella volta a favorire «nuove opportunità di impiego ovvero di tutela del reddito per i lavoratori ultracinquantenni in caso di perdita del posto di lavoro»;
              nello specifico il suindicato disegno di legge prevede all'articolo 4 incentivi all'occupazione consistenti nella riduzione, nella misura del 50 per cento, dei contributi di previdenza ed assistenza sociale a carico del datore di lavoro per la durata di 12 mesi a favore dei lavoratori di età non inferiore a cinquanta anni, disoccupati da oltre dodici mesi;
              sebbene il ricorso alle «misure incentivanti» si configuri come l'intervento più immediato sul versante della tutela dei lavoratori citati, cumulandosi con altre formule incentivanti riconosciute ad altre categorie di lavoratori (donne, giovani e altro) si arriverebbe al paradosso dello svilimento e l'annullamento dell'effetto stimolante dell'incentivo perché previsto su troppe fattispecie;
              le difficoltà di re-inserimento dei disoccupati maturi (con un età maggiore di 40/50/60 anni), che si configura come particolarmente variegata e composta da profili di varia formazione e di trascorso professionale, vanno ricercate oltre che nelle criticità attualmente sussistenti in capo alle aziende italiane di certo non facilitate dalla congiuntura economica complessa, anche nella sussistenza di stereotipi legati all'età da parte delle stesse aziende, che di fatto impediscono l'accesso e sviliscono ogni possibilità di un pieno ed operativo coinvolgimento di tali lavoratori rinunciando ad utilizzare a pieno le loro capacità ed esperienze;
              il mancato re-inserimento occupazionale della citata categoria sul breve, medio e lungo periodo determina dei riverberi complessi di tipo economico (mancate entrate e difficoltà di sostenere gli impegni presi), sociale (mancato sostegno ai figli) e assistenziale (mancato sostegno ai genitori, spesso anziani, che dal punto di vista assistenziale, e non solo, dipendono da tali lavoratori) e a tratti drammatici condizionando le dinamiche del nucleo familiare, in considerazione del fatto che tali «ex lavoratori» rappresentano talvolta l'unica fonte sostentamento dell'intera famiglia;
              i disoccupati appartenenti alla suindicata categoria sono «troppo giovani per la pensione» e considerati «troppo vecchi per un nuovo impiego» tanto da essere collocati in un limbo socio-lavorativo statico, nei confronti del quale non vi sono stati interventi fattivi;
              non essendo stati elaborati interventi risolutivi volti alla tutela dei disoccupati maturi, sarebbe ipotizzabile intervenire su altri versanti come il miglioramento delle forme di flessibilità del lavoro, attraverso l'introduzione di una cosiddetta flessibilità tutelata che possa rappresentare un incentivo per il lavoratore maturo inoccupato, oltre che per l'azienda;
              in considerazione della palese discriminazione anagrafica che attualmente di fatto condiziona l'approccio dei datori di lavoro alle dinamiche di reclutamento delle risorse umane, talvolta in aperta violazione di quanto disposto dal decreto legislativo 9 luglio 2003, n.  216, sarebbe auspicabile procedere con un controllo reale, più serrato ed incisivo corredato da eventuali sanzioni più severe in caso di conclamata violazione al fine di esorcizzare la tendenza del mercato del lavoro all'eccessivo schiacciamento su una determinata fascia di età dei candidati,

impegna il Governo

a predisporre in tempi celeri ogni iniziativa – anche di tipo normativo – orientata all'inserimento dei disoccupati over 40, che si collochi ben oltre il riconoscimento degli incentivi di cui in premessa.
(7-00933) «Muro, Di Biagio».


      La XII Commissione,
          premesso che:
              le ulcere cutanee sono delle lesioni – particolarmente dolorose e debilitanti – caratterizzate da una progressiva perdita di sostanza dermo-ipodermica che non dimostra alcuna tendenza alla riparazione spontanea;
              le forme più comuni, generalmente causate da un progressivo arresto della cicatrizzazione, sono: le ulcere venose, le ulcere da piede diabetico, le ulcere da decubito e le ulcere vascolari arteriose;
              si tratta di una patologia cronica invalidante che colpisce principalmente le persone anziane e che ha un notevole impatto socio-economico, sia per il significativo peggioramento della qualità di vita dei pazienti che essa determina (oltre il 45 per cento delle ulcere provoca immobilità o compromissione dell'autonomia individuale), sia in termini di maggiori costi per la collettività (si calcola che per l'assistenza ospedaliera le spese raddoppino rispetto a quelli di una normale degenza e a ciò si aggiungono le ingenti spese – ad esempio, per i necessari prodotti di medicazione – sostenute, anche direttamente, dai pazienti assistiti a domicilio);
              alla luce del progressivo allungamento della vita media e, quindi, della popolazione in età avanzata, con conseguente incremento delle patologie cronico-disabilitanti, i casi di pazienti affetti da tale patologia sono destinati, nel tempo, ad aumentare notevolmente, con inevitabili ricadute soprattutto per la spesa sanitaria complessiva;
              secondo stime ufficiali, ogni anno, dagli ospedali italiani viene dimesso oltre mezzo milione di pazienti con piaghe da decubito. Queste lesioni rappresentano una delle più importanti e temibili complicazioni che possono manifestarsi in occasione di un ricovero, perché circa la metà compare già entro la prima settimana di degenza;
              la cronica carenza di strutture specializzate e di personale qualificato per la cura di tali patologie porta, spesso, i malati a sottoporsi a dei veri e propri «pellegrinaggi»;
              i diversi servizi e presidi attivi in alcune realtà territoriali, benché qualificati, non sempre riescono ad assicurare un trattamento efficace, a causa di molteplici difficoltà e criticità operative (lunghe liste di attesa, inadeguatezza dei locali, risorse umane e finanziarie insufficienti);
              a ciò si aggiunge che la vulnologia (la scienza che si occupa, nello specifico, della prevenzione e del trattamento delle ulcere cutanee e dei meccanismi della riparazione tissutale) non è ancora una specialità medica riconosciuta dalle università italiane;
              mancano, inoltre, sia linee guida nazionali in grado di promuovere e assicurare un trattamento omogeneo di tale patologia nelle diverse regioni italiane sia forme di rimborso dei prodotti e dei trattamenti essenziali per la cura e la medicazione delle ulcere cutanee;
              è evidente, pertanto, che occorre un intervento organico volto ad affrontare in maniera globale e complessiva l'intera problematica connessa a tale patologia,

impegna il Governo:

          ad adottare le necessarie iniziative di competenza volte ad assicurare una adeguata tutela delle persone affette da ulcere cutanee, anche attraverso l'emanazione di apposite linee guida, la definizione e la razionalizzazione di protocolli di cura recanti specifici percorsi diagnostico-terapeutici nonché la realizzazione e l'implementazione di reti territoriali di assistenza omogenee ed uniformi sull'intero territorio nazionale;
          ad adottare specifici programmi di monitoraggio delle criticità riscontrabili all'interno delle unità operative nei diversi contesti di cura (domicilio, ospedale, strutture dedicate), anche al fine di predisporre adeguate misure di prevenzione e di garanzia per una maggiore e più efficace tutela dei pazienti interessati dalle patologie di cui in premessa;
          a promuovere ed implementare la progettazione e la realizzazione di eventi formativi di interesse rivolti principalmente al personale medico ed infermieristico impegnato nell'assistenza dei pazienti affetti da ulcere cutanee;
          a valorizzare l'insegnamento nonché l'acquisizione di conoscenze di anatomia e fisiopatologia specifiche, maturate anche grazie all'esperienza di professionisti che, nel settore, operano da diversi anni con risultati di grande livello, soprattutto al fine di assicurare la formazione di personale medico ed infermieristico specializzato nell'esecuzione di interventi assistenziali clinico-riabilitativi di prevenzione e gestione delle ulcere cutanee.
(7-00930) «Patarino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel maggio 2012, nell'ambito degli obiettivi di spending review, ha disposto la restituzione, alle amministrazioni di provenienza, del personale di prestito cosiddetto «fuori comparto», nei confronti del quale sussiste a carico della Presidenza l'onere totale o parziale di rimborsare gli emolumenti stipendiali;
          in particolare, il termine per il rientro di detto personale alle sedi di appartenenza viene fissato alla data del 1o novembre 2012, per consentire alle strutture interessate di avviare i processi di riorganizzazione dei rispettivi organici;
          il contingente complessivo di questi ultimi è di 132 unità, di cui n.  86 appartenenti alla cat. A e n.  46 appartenenti alla cat. B; l'importo medio pro-capite che la Presidenza rimborsa alle amministrazioni di appartenenza, fatte salve le competenze accessorie che sono comunque a carico della Presidenza medesima, costituisce ad avviso degli interpellanti un'inezia rispetto a voci di spesa di maggiore aggredibilità in un'ottica di contenimento;
          peraltro, nella fattispecie, il provvedimento restitutorio, oltre che essere carente sul piano della motivazione, nella parte in cui, a giudizio degli interpellanti, viola il principio di adeguatezza tra i presupposti ispiratori della determinazione autoritativa del comando (speciale competenza del dipendente in relazione a riconosciute esigenze di servizio – articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica n.  3 del 1957) e il fine posto a presidio del provvedimento di revoca, funzionale alla restituzione (contenimento della spesa pubblica), è censurabile anche sotto il profilo della mancanza di proporzionalità tra il sacrificio imposto a detto personale (raggiungimento per molti di loro di sedi lontane in un quadro reddituale pro-capite ridimensionato) a fronte di un risparmio di spesa, come evidenziato, modesto, che produce il solo effetto di procurare un grave danno socio-economico con impatto su situazioni tendenzialmente consolidate;
          nella prospettiva, poi, della tutela del parametro di efficienza dell'organizzazione delle strutture presidenziali, il provvedimento restitutorio adottato iure imperii e al di fuori di un confronto istituzionale con le organizzazioni sindacali, svilisce in modo inequivocabile il principio di buon andamento (articolo 97 della Costituzione), in quanto la sua adozione non costituisce la naturale conseguenza di una ponderata preventiva valutazione delle risorse e dei fabbisogni delle singole articolazioni, in funzione dei rispettivi obiettivi da conseguire, ma si palesa avulsa da un congruo bilanciamento degli interessi in gioco e da un auspicabile criterio di selezione del personale da mantenere all'interno delle proprie strutture, basato sul merito e sulla professionalità individuale;
          in una logica di ripartizione delle voci di costo da iscrivere in bilancio appare, poi, improprio tracciare una linea di differenziazione tra il bilancio della Presidenza e quello delle amministrazioni «fuori comparto», atteso che lo stesso costo, senza variazioni sostanziali, (di fatto si tratterebbe di «una partita di giro») viene a ricadere nella sfera di un altro soggetto pubblico mediante un trasferimento formale di imputazione all'interno di un unico grande contenitore che è il bilancio dello Stato. In tale ambito, tra l'altro, la distinzione tra soggetti del comparto Ministeri e quelli fuori comparto non è giuridicamente appropriata, in quanto le due categorie istituzionali rappresentano altrettante entità dell'apparato amministrativo tra loro collegate, quanto alla natura giuridica e al fine perseguito, dal connotato della pubblicità e, quanto alla missione attribuita, dal vincolo della vigilanza e del controllo da parte del Ministero di riferimento sui risultati conseguiti. In questo contesto, ad esempio, le Agenzie fiscali – che costituiscono il più consistente serbatoio da cui si è finora attinto per il reclutamento del personale fuori comparto – ancorché dotate di autonoma personalità giuridica, predispongono, in allegato al proprio bilancio, appositi raccordi riguardanti gli schemi di stato patrimoniale e conto economico con i pertinenti capitoli di spesa del bilancio dello Stato;
          con riferimento alle politiche di contenimento della spesa, è utile sottolineare che, già prima dell'insediamento dell'attuale Governo, la Presidenza, al pari delle altre amministrazioni, non è stata esentata dalle riduzioni degli stanziamenti di pertinenza. Infatti, le previsioni iniziali di bilancio del 2011 – già oggetto di diminuzione in adeguamento a disposizioni normative – hanno scontato il taglio lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie riferite alle spese rimodulabili disposte dall'articolo 2, comma 1, del decreto legge n.  78 del 2009, incidendo sensibilmente sia sul capitolo 2115 (fondo di funzionamento della Presidenza), sia sui capitoli pertinenti alle politiche attive, per un totale di circa 57.869.124 milioni di euro;
          in relazione al primo capitolo, in applicazione del decreto legge 112 del 2008, sono stati realizzati risparmi di spesa, attraverso la riduzione del 10 per cento del fondo unico di Presidenza, pari a 1,9 milioni di euro;
          nel corso del 2011, successivi interventi normativi hanno ulteriormente ridotto gli stanziamenti, determinando diminuzioni di spesa per un totale complessivo di 126.066.938 milioni di euro;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o marzo 2011, che ha ridefinito l'assetto ordinamentale delle strutture presidenziali, ha disposto una prima riduzione delle dotazioni organiche dirigenziali di 7 posti di funzione di prima fascia e di 48 unità di seconda fascia per un risparmio complessivo annuo a regime pari a circa 7.130.000 milioni di euro;
          ulteriori tagli, incidenti prevalentemente sulle spese di funzionamento della Presidenza, si sono verificati in applicazione delle norme recate dal citato decreto legge n.  78 del 2009 ed in particolare:
              a) taglio del 5-10 per cento dei trattamenti economici complessivi dei dirigenti per un risparmio a regime pari a 989.411,78 euro;
              b) taglio del 10 per cento delle indennità da corrispondere ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione, per un risparmio pari a circa 96.000 euro, che si innesta nel più generale taglio di 12,2 milioni di euro, stabilito dall'attuale Governo, per effetto della riduzione dei Ministri senza portafoglio e dei relativi Sottosegretari, cui è seguito il ridimensionamento di complessive 241 unità;
              c) risparmi per circa 3 milioni di euro conseguiti per effetto della riduzione dei contingenti assegnati alle strutture di missione;
              d) risparmi per 7,9 milioni di euro, relativi ai nuovi limiti di spesa per organi collegiali, incarichi di studio e consulenza, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, formazione, missioni, acquisto, manutenzioni, noleggio ed esercizio di autovetture; sul punto, vi è da aggiungere che il Governo ha disposto un ulteriore taglio di esperti e consulenti di 99 unità pari a 750.000 euro; in relazione ai tagli in materia di trasporti, poi, è stato conseguito un significativo risparmio di spesa pari a circa 23,5 milioni di euro, su base annua, determinato dalla contrazione dei voli di Stato, non obbligati da ragioni di sicurezza, nella misura del 90 per cento, un risparmio di circa 270.000 euro per un più efficiente uso del servizio automezzi;
          la Presidenza ha conseguito ancora risparmi per 4 milioni di euro sui costi del personale, mediante il blocco del turn over, il congelamento dei contratti e i pensionamenti;
          da ultimo si aggiunge che con recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e stata disposta, con effetto immediato, la riduzione degli organici della Presidenza in misura del 20 per cento dei dirigenti e del 10 per cento del personale di qualifica non dirigenziale;
          è opportuno sottolineare che uno dei principali protagonisti delle politiche di contenimento dei costi della Presidenza, in funzione del precipuo ruolo di coordinamento che a chiamato a svolgere, è il segretario generale della Presidenza, che ha svolto e svolge con lealtà istituzionale generalmente riconosciuta, anche un ruolo tecnico di assoluta garanzia nei confronti degli organi costituzionali e delle pubbliche amministrazioni  –:
          se non sia il caso che il Governo, sulla base del quadro prospettico sopra delineato, che evidenzia un palese squilibrio e disallineamento dei tagli fortemente proiettato sul versante delle risorse umane (spese di funzionamento), orienti la propria azione di contenimento sulle cosiddette politiche attive, ossia sugli interventi e le spese in conto capitale che rappresentano ben il 90 per cento dell'impegno complessivo di spesa del bilancio della Presidenza, a fronte del modesto 10 per cento che costituisce, viceversa, il dato relativo alla spesa per il personale e per i beni e i servizi;
          se, in tale prospettiva, non sia opportuno, anche al fine di evitare un pericoloso contenzioso che sarebbe certamente controproducente dell'immagine della Presidenza, procedere al ritiro del provvedimento restitutorio del personale fuori comparto ed indirizzare gli interventi volti a conseguire (ben più consistenti) risparmi su altre ipotesi di tagli alla spesa, tra le quali, solo per citarne alcune:
              a) eliminazione delle consulenze esterne con contestuale reinternalizzazione dei servizi da affidare a personale interno alla Presidenza dotato di competenze e professionalità adeguate;
              b) affidamento, ove possibile, degli incarichi di vertice degli uffici di gabinetto e dei dipartimenti, nonché delle altre strutture di vertice della Presidenza, a dirigenti della corrispondente fascia dei ruoli della Presidenza medesima;
              c) blocco del reclutamento di ulteriori unità, in regime di prestito, al fine di favorire, in una prospettiva di continuità con l'impegno assunto dal precedente Governo, la graduale stabilizzazione nei ruoli della Presidenza, delle unità già organicamente incardinate nelle articolazioni presidenziali;
          in subordine, solo ove non ritenute adottabili le suindicate misure alternative, se non sia maggiormente rispondente al principio costituzionale di buon andamento rimettere la valutazione degli eventuali esuberi di personale di prestito alla competenza ed alla responsabilità dei titolari delle singole strutture dell'ordinamento presidenziale che provvederanno, se del caso, a rimodulare gli assetti organizzativi di competenza in proporzione del budget loro rispettivamente assegnato e all'esito della ridefinizione delle piante organiche che fotografi le effettive necessità di personale da adibire ai servizi delle singole articolazioni.
(2-01571) «Moffa, Castellani, D'Anna, Ceroni, Lehner, Massimo Parisi, Marmo, Nannicini, Germanà, De Nichilo Rizzoli, Polidori, Taddei, Cazzola, Razzi, Abelli, Cesario, De Corato, De Luca, Luciano Rossi, Girlanda, Barani, Pagano, Iannaccone, Garofalo, Belcastro, Garagnani, Romele, Marinello, Torrisi, Vincenzo Antonio Fontana, Giammanco, Crolla, Gibiino, Antonino Foti, Gioacchino Alfano, Pionati, Gianni».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CONTENTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito dei lavori della Commissione antimafia e, soprattutto, con riferimento al recente libro curato dal professor Nicolò Amato, all'epoca direttore generale dell'amministrazione penitenziaria, è emersa l'esistenza di due documenti attraverso i quali veniva denunciata la situazione in cui versavano i detenuti sottoposti, nel corso del 1993, a regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;
          il primo, datato 17 febbraio 1993, risulta relativo al carcere di Poggioreale, chiede interventi urgenti affinché i detenuti «vengano trattati civilmente e non come carne da macello» e viene trasmesso dal prefetto di Napoli al Ministero dell'interno, via fax, di seguito alla nota inviata, in pari data, da quest'ultimo concernente le manifestazioni di protesta organizzate dai familiari dei reclusi;
          il secondo risulta, invece, pervenuto al Ministero dell'interno il 17 febbraio 1993, trasmesso dal capo della polizia al gabinetto del Ministero di grazia e giustizia con un appunto datato 1o marzo 1993 e riguarda uno scritto anonimo, indirizzato al Presidente della Repubblica – nonché, per conoscenza, ad altre alte istituzioni, ad un giornale e a Maurizio Costanzo e Vittorio Sgarbi – nel quale «un gruppo di familiari di detenuti» sollecita un intervento del Capo dello Stato allo scopo, tra l'altro, di «togliere gli squadristi al servizio del dittatore Amato, dando dignità di detenuti ai detenuti»;
          si tratta di due scritti che, a parere dell'interrogante, hanno una chiara relazione, da un lato, con la conseguente decisione, assunta dal Ministro pro tempore il 21 febbraio 1993, di revocare l'applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis agli istituti di Poggioreale e Secondigliano, regime che era stato applicato il 9 febbraio 1993 dal precedente Ministro nonché, dall'altro, di mettere in discussione il direttore generale dell'amministrazione penitenziaria del tempo che, nel giro di qualche mese, verrà rimosso;
          sempre a parere dell'interrogante, risulta singolare che il documento riferito al professor Nicolò Amato non risulti mai essere stato portato a conoscenza del diretto interessato nonostante sia pervenuto, come detto, al Ministero della giustizia per il tramite di quello dell'interno  –:
          se risulti se e quali accertamenti siano stati disposti per risalire alla provenienza dei due documenti e per accertare, con riferimento soprattutto al secondo documento, a quali destinatari risultino effettivamente essere stati recapitati;
          se risulti, ad esempio, che nell'elenco dei destinatari del secondo documento figuri anche il Ministero della giustizia e se quindi al predetto Ministero risultino essere pervenute due copie del medesimo e cioè quella trasmessa dal Ministero dell'interno e quella autonomamente indirizzata al Ministero della giustizia;
          se il secondo documento risulti trasmesso a qualche altro ministero o a qualche altra istituzione e, se sì, da chi e a quale destinatario;
          se, sempre in base agli accertamenti svolti, risulti l'esistenza di riunioni tra le alte cariche istituzionali che figurano quali destinatarie del secondo documento allo scopo di verificarne la fondatezza ed eventualmente di disporre le opportune iniziative;
          se iniziative di analogo tenore e quali risultino essere state promosse dal Ministero dell'interno e dal Ministero della giustizia in conseguenza dell'avvenuto recapito del documento in esame.
(5-07227)


      GINOBLE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sulla base di un accordo tra ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero della salute con la regione Abruzzo, la giunta regionale, con delibera n.  224 del 13 marzo 2007, approvava il cosiddetto piano di rientro dal disavanzo del settore, che recepiva il citato accordo, contenente gli indirizzi generali per il rientro dal debito del settore sanitario;
          il piano di rientro affidava alla regione Abruzzo, il compito di sanare il disavanzo del settore sanitario – da azzerare entro il 2010 – stabilendo, altresì, che ciò avvenisse ricorrendo agli ordinari strumenti della programmazione regionale e all'adozione di provvedimenti per razionalizzare, tra l'altro, la rete ospedaliera;
          sulla base delle previsioni del piano di rientro, con L.R. n.  5 del 2008, era approvato il piano sanitario regionale, che dettava i criteri per l'organizzazione della rete ospedaliera garantendo il rispetto del diritto alla salute e dei livelli essenziali di assistenza; soprattutto, il piano sanitario, in esecuzione del piano di rientro, stabiliva il numero dei posti letto (peraltro già inferiore allo standard allora previsto);
          con decreto del Consiglio dei ministri dell'11 settembre 2008 era nominato il commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo, nella persona del dottore Gino Redigolo, il quale, a seguito delle sue dimissioni, era sostituito dal presidente pro tempore della regione;
          con delibera del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2009 era nominato commissario straordinario per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo il dottore Giovanni Chiodi; successivamente, con delibera del Consiglio dei ministri del 13 gennaio 2010 era nominata sub-commissario per l'attuazione del medesimo piano di rientro la dottoressa Giovanna Baraldi con il compito di affiancare il commissario ad acta nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale;
          l'articolo 2, comma 88, della legge n.  191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010) ha stabilito che: «Per le regioni già sottoposte ai piani di rientro e già commissariate alla data di entrata in vigore della presente legge restano fermi l'assetto della gestione commissariale previgente per la prosecuzione del piano di rientro, secondo programmi operativi, coerenti con gli obiettivi finanziari programmati, predisposti dal commissario ad acta, nonché le relative azioni di supporto contabile e gestionale. È fatta salva la possibilità per la regione di presentare un nuovo piano di rientro ai sensi della disciplina recata dal presente articolo. A seguito dell'approvazione del nuovo piano cessano i commissariamenti, secondo i tempi e le procedure definiti nel medesimo piano per il passaggio dalla gestione straordinaria commissariale alla gestione ordinaria regionale»;
          in applicazione di tale previsione, il commissario ad acta, con le deliberazioni nn.  44/2010 e 45/2010, adottò il programma operativo per l'anno 2010 prevedendo la completa rimodulazione della rete ospedaliera regionale disponendo il taglio di posti letto, la chiusura di cinque ospedali e gettando le basi della soppressione di numerose unità operative complesse, determinando, quindi, secondo l'interrogante una violazione dei parametri preventivamente stabiliti (numero di posti letto ospedalieri) e una conseguente compressione della tutela della salute dei cittadini;
          il programma operativo venne impugnato da vari comitati e amministrazioni comunali e, nel maggio 2011, con ripetute sentenze (tra le altre la n.  263/2011 e 292/2011) il TAR Abruzzo lo annullò nella parte in cui disponeva la chiusura delle strutture ospedaliere;
          nelle decisioni del giudice amministrativo si mette in evidenza che non è competenza del commissario ad acta incidere, fino a modificarla, nella materia della organizzazione del servizio sanitario regionale poiché il suo unico compito è quello di dare attuazione al piano di rientro; si sottolinea, altresì, che il commissario non può, con propri atti amministrativi, modificare o abrogare previsioni di legge regionale e, poiché il piano sanitario (esecutivo del piano di rientro) è legge regionale, tutte le decisioni del commissario che con esso confliggono debbono essere annullate;
          tale decisione è conforme, peraltro, ad un orientamento costante della Corte costituzionale che, ad esempio, con la sentenza n.  361 del 2010 del 17 dicembre 2010 ha chiarito che la competenza legislativa regionale appartiene al Consiglio regionale;
          le aziende sanitarie locali della regione Abruzzo hanno adottato o stanno adottando provvedimenti organizzativi in esecuzione e in attuazione delle direttive contenute nel programma operativo, come nel caso della ASL di Teramo che, dapprima con ripetute delibere approvative di un assetto organizzativo provvisorio e, poi, con l'adozione dell'Atto aziendale, ha determinato un depauperamento delle dotazioni e della funzionalità del servizio sanitario di quella provincia;
          con particolare riferimento al caso citato, le delibere adottate dalla ASL di Teramo hanno comportato un impoverimento dei servizi erogati dal presidio ospedaliero di Atri tanto che si è reso necessario promuovere ripetuti ricorsi amministrativi davanti al TAR Abruzzo, ad iniziativa del comune di Pineto e con l'intervento di consiglieri comunali di opposizione di Atri e di Silvi, per ottenerne l'annullamento;
          a seguito delle decisioni del giudice amministrativo, il Consiglio dei ministri, ha approvato il decreto-legge n.  98 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, prevedendo, all'articolo 17, comma 4, lettera c) che il programma operativo della regione Abruzzo – in sostanza le delibere 44/2010 e 45/2010 del commissario ad acta, parzialmente annullate dal giudice amministrativo – acquistasse forza di legge, con ciò vanificando i pronunciamenti del giudice amministrativo;
          tale previsione legislativa appare all'interrogante di dubbia costituzionalità, poiché:
              a) appare in contrasto con l'articolo 3, poiché si tratta di norma prevista per la sola regione Abruzzo e non per le altre regioni in regime di piano di rientro;
              b) appare in contrasto con l'articolo 24 nel momento in cui, ledendo il diritto alla difesa e trasformando in legge un atto amministrativo ancora oggetto di giudizio, non rispetta con i princìpi dell'equo processo come anche previsto dall'articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo;
              c) appare in contrasto con l'articolo 117 poiché disciplina con norma statale una materia che è rimessa alla competenza della regione;
              d) appare in contrasto con l'articolo 120 poiché non è in linea con il principio di leale collaborazione;
          lo stesso TAR Abruzzo, con ordinanza n.  115 del 2012, nell'ambito di un giudizio di ottemperanza, ha già sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma rinviando gli atti alla Corte costituzionale;
          il giudizio promosso contro la ASL di Teramo a tutela dell'ospedale di Atri è stato sospeso (ordinanza 272/2012) in attesa della decisione della Consulta sulle questioni di legittimità dell'articolo 17, comma 4, lettera c) del citato decreto-legge n.  98 del 2011, con ciò dimostrandosi che ogni provvedimento organizzativo delle aziende sanitarie abruzzesi è a rischio di annullamento poiché strettamente connesso al programma operativo oggi fortemente sospettato di incostituzionalità; se, infatti, la norma citata fosse dichiarata incostituzionale è chiaro che ne deriverebbe il collasso del servizio sanitario regionale della regione Abruzzo che da quei provvedimenti oggi promana;
          l'erogazione dei servizi sanitari appare fortemente a rischio;
          nonostante il dichiarato pareggio di bilancio, tutte le strutture sanitarie soffrono di carenze di personale e, quindi, i cittadini si trovano in seria difficoltà nell'accesso alle più elementari prestazioni, non solo di tipo ospedaliero;
          in particolare, il taglio di posti letto e di unità operative complesse non ha contribuito al miglioramento del servizio, neanche di quello dell'emergenza-urgenza che si trova a soffrire di gravi carenze e ciò a scapito del diritto alla salute che oggi non viene garantito in egual misura sull'intero territorio regionale;
          proprio a causa dei disservizi creatisi con la gestione commissariale, ci si trova oggi di fronte, soprattutto nelle ASL di confine, ad una sempre crescente mobilità passiva con costi enormi a carico del servizio sanitario e ciò evidentemente mette a rischio anche gli obiettivi finanziari di rientro dal disavanzo  –:
          quali iniziative intenda intraprendere il Governo al fine di rimuovere un'anomalia normativa che colpisce la sola regione Abruzzo a causa della summenzionata «legificazione» di atti commissariali già parzialmente annullati dal giudice amministrativo e sui quali si fonda tutto l'impianto organizzativo delle aziende sanitarie regionali;
          quali iniziative il Ministero della salute intenda avviare, per quanto di competenza, per garantire che sull'intero territorio regionale sia garantito il rispetto del diritto alla salute e vengano garantiti i livelli essenziali di assistenza. (5-07229)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante, in data 2 dicembre 2008, ha presentato l'atto di sindacato ispettivo numero 4-01780, ancora senza risposta, con cui si sollecitava il Governo a intervenire assumendo tutti coloro che superarono il concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area C, posizione economica C1 indetto con P.D.G. 21 novembre 2003 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  30 del 16 aprile 2004;
          dopo ben quattro anni di procedura concorsuale, il 15 dicembre 2008 sul bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n.  23, è stata pubblicata la graduatoria ufficiale definitiva del suddetto concorso e sul bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n.  12 del 30 giugno 2009 è stata avviata la procedura di assunzione soltanto dei primi 86 vincitori del concorso a cui seguirono altri 16 vincitori, come da bollettino ufficiale n.  16 del 31 agosto 2009;
          il 12 aprile del 2010 è avvenuta l'assunzione dell'ultima tranche rimanente, ovvero dei restanti 295 vincitori e in tale data, con qualche aggiunta successiva, sono emerse ben 44 rinunce tra i vincitori che immediatamente avrebbero potuto essere coperte tramite scorrimento della vigente graduatoria;
          solo dal marzo 2012 si è proceduto all'assunzione dei restanti vincitori delle procedure concorsuali – le cui nomine erano sospese da quasi due anni – tra cui i 44 ex educatori C1 e i 32 ex educatori C2 (questi ultimi vincitori del concorso pubblico per esami a 50 posti nell'area C, posizione economica C2, profilo professionale di educatore, indetto con PDG 23 novembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale – «concorsi ed esami» n.  30 del 16 aprile 2004);
          lo scorrimento della graduatoria del concorso C1 è giunto al 471esimo posto; restano altri 416 idonei (in totale sono 887 tra cui 471 vincitori e 416 idonei);
          la legge 26 novembre 2010, n.  199, all'articolo 5, ha previsto un necessario e imprescindibile «adeguamento numerico e professionale della pianta organica del corpo della polizia penitenziaria e del personale civile del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia anche in relazione all'entità numerica della popolazione carceraria e al numero dei posti esistenti e programmati nonché al numero dei condannati in esecuzione penale esterna»;
          stando a quanto emerge da uno studio condotto da Carcere Possibile Onlus, ad oggi il rapporto educatore/detenuti – su una popolazione carceraria di circa 67.000 detenuti – è di circa 1/1000 pertanto le possibilità che un educatore incontri un detenuto si attesta circa ad una all'anno, tempo evidentemente inadeguato per costruire un progetto rieducativo serio, condiviso ed efficace. L'impossibilità di tali interventi, generato da un'insufficienza numerica di educatori, rende, nella maggior parte dei casi, fallimentare l'esperienza carceraria nella sua componente riprogettuale dell'agito del detenuto e del suo corretto reinserimento nel tessuto sociale, disattendendo, per di più, il dettato costituzionale articolo 27 della Costituzione con un danno alla società enorme per gli alti tassi di recidiva;
          allo stato attuale – come da pianta organica aggiornata al 31 gennaio 2012 pubblicata dalla sezione statistica dell'ufficio per lo sviluppo e la gestione del S.I.A. – mancherebbero negli istituti di pena 413 educatori penitenziari (funzionari con professionalità giuridico-pedagogica area III) ossia il 60-65 per cento del personale. Pochi educatori significa poche relazioni da inviare alla magistratura di sorveglianza, udienze rinviate per ottenere i benefici della legge 354 del 1975, impossibilità di attuare il trattamento, inasprimento delle condizioni di detenzioni. Tuttavia un simile adeguamento non sarà mai possibile senza un apposito piano straordinario di assunzioni di nuove unità che ne specifichi i tempi di attuazione e le modalità di finanziamento, escludendo, quindi, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) dalla riduzione della pianta organica e dal blocco delle assunzioni;
          sovraffollamento, carenza di spazi, esiguità degli organici degli operatori penitenziari, comprovano la sussistenza di un collegamento tra le condizioni della vita detentiva e la produzione della violenza negli istituti penitenziari nelle due forme dell'auto e dell'etero aggressività;
          il piano carceri non può ripartire, come sostenuto da più parti, curando soltanto l'aspetto custodiale e strutturale, ma ha il dovere di affiancare immediatamente ad esso il principio costituzionale della rieducazione cominciando dall'assunzione di ulteriori unità di educatori da assorbire dalla graduatoria ancora in vigore per colmare le deficienze del sistema penitenziario per una maggiore vivibilità e umanità dei detenuti ma anche per la salute degli altri colleghi educatori che sono oberati di compiti viste le continue richieste dei detenuti molte volte tardivamente o addirittura non prese in considerazione  –:
          se non intenda procedere a un adeguamento delle piante organiche così da garantire una piena applicazione dell'articolo 27 della Costituzione;
          se non intenda attivare tutti gli adempimenti necessari affinché il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria proceda – nell'ambito delle assunzioni già autorizzate per personale da destinarsi agli uffici giudiziari, per l'anno 2011, e per quelle ancora da autorizzare, in riferimento agli anni a venire – alla prioritaria utilizzazione, partendo dalla posizione n.  471, della graduatoria degli idonei ex educatori C1, del concorso a 397 posti di educatore penitenziario, pubblicata il 15 dicembre 2008 sul bollettino ufficiale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, la cui validità è stata prorogata al 31 dicembre 2012;
          se non ritenga opportuno – in caso di impossibilità riguardo all'assunzione nella qualifica di educatori penitenziari presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – che venga conseguito lo scorrimento della graduatoria in esame con impiego della stessa presso altri dipartimenti del Ministero della giustizia ad esempio inserendo gli educatori penitenziari nell'ambito del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria (DOG) con qualifica di cancellieri all'esecuzione penale vista l'affinità del lavoro svolto e considerata l'esiguità numerica di questa importantissima figura professionale tra l'altro a strettissimo contatto con gli educatori penitenziari, la polizia penitenziaria ed il magistrato di sorveglianza.
(4-16768)


      BUONFIGLIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          dal 1980 la Croce rossa italiana è stata riconosciuta quale ente privato di interesse pubblico e da questa data è stata soggetta a periodi di commissariamento;
          la riorganizzazione della Croce rossa è all'esame del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, Renato Balduzzi e, secondo quanto comunicato dalla Presidenza del Consiglio al termine del Consiglio dei ministri del 26 giugno 2012, ne «– ha rinviato l'approvazione definitiva in attesa di alcuni approfondimenti tecnici»;
          nel 1998, in ragione del nuovo statuto è stato nominato il suo Presidente nazionale, nella persona della dottoressa Maria Pia Garavaglia;
          nel 2003, così come previsto dall'articolo 51 del sopra citato statuto, con decreto dell'allora Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio Berlusconi, su proposta del Ministro della salute, la Croce rossa italiana è stata nuovamente commissariata ed è stato nominato commissario straordinario il dottor Maurizio Scelli, che ha assunto i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione dell'ente medesimo;
          nel 2005, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2005, n.  97, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 8 giugno 2005, è stato approvato il nuovo statuto dell'ente citato in premessa che porta alla nomina di un nuovo presidente nazionale nella persona del dottor Massimo Barra il quale resterà in carica fino al 30 ottobre del 2008;
          con decreto del Presidente del Consiglio, successivamente a tale data è nominato commissario straordinario l'avvocato Francesco Rocca a tutt'oggi in carica;
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 novembre 2009, n.  171, registrato alla Corte dei conti il 26 novembre 2009 Ministeri istituzionali, registro n.  10, foglio n.  161, viene così modificato l'articolo 51 dello Statuto della Croce rossa italiana del 2005 citato in premessa:
              1. Il comma 2 dell'articolo 51 dello statuto della Croce Rossa Italiana, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 maggio 2005, n.  97, è così sostituito:
                  «2. il Commissario Straordinario della Croce Rossa Italiana può essere nominato per non più di ventiquattro mesi entro i quali dovranno essere ricostituiti gli organi statutari»  –:
          per quali ragioni l'attuale commissario straordinario della Croce rossa italiana ricopra, ancora a tutt'oggi dal 2008, il suo ruolo, malgrado quanto recitato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 novembre 2009, n.  171, e successive modificazioni e non si sia proceduto alla ricostituzione degli organi statuari. (4-16769)


      SBROLLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          le società di capitale che svolgono in house i servizi pubblici locali, come, ad esempio il servizio idrico integrato, sono soggette a controlli, come quelli dell'Aato (autorità d'ambito territoriale ottimale) di riferimento, che approva i piani di ambito di intervento per gli investimenti, le strutture tariffarie e le tariffe che devono coprire tutti i costi del servizio, compreso, ovviamente, quello del personale;
          i bilanci di queste società devono essere redatti secondo rigidi criteri contabili; le società in house del servizio idrico integrato, per esempio, sono soggetti anche al controllo di comitati di sindaci delle autorità d'ambito territoriale ottimale, che compiono identiche verifiche e gli stessi controlli fatti sugli enti locali;
          nel caso di risultato economico negativo delle suddette società, le stesse possono essere liquidate e il servizio affidato ad altro gestore; così come, in caso di risultato economico positivo si può produrre un risparmio per l'utenza;
          le società in house, per effetto di recenti normative, si trovano già nella condizioni di dover rispettare tutto il disciplinare previsto per le società di capitale, assieme alla normativa pubblicistica per gli appalti, per il reclutamento del personale, per il rispetto del patto di stabilità;
          alla luce di quanto sopra riportato appare incomprensibile penalizzare le società in house in regola, impedendo alle stesse la sostituzione del personale necessario a garantire buoni standard di servizio unitamente alla penalizzazione dello stesso personale che, con la nuova normativa, si trova con emolumenti inferiori e mancati riconoscimenti prestazionali  –:
          se non intenda, rapidamente, farsi promotore di una iniziativa per procedere, per quanto di competenza, ad una revisione della normativa vigente sui temi sopra menzionati, al fine di stabilire parametri per consentire alle aziende in house che rispettano il pareggio di bilancio e la carta del servizio sono soggette ai controllo delle autorità d'ambito territoriale ottimale, almeno la sostituzione del personale e la loro non penalizzazione sul tema dei riconoscimenti prestazionali. (4-16773)


      ANGELA NAPOLI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante con atti ispettivi presentati fin dal luglio del 2008 ha espresso grosse perplessità in merito alla realizzazione di una centrale a carbone di Saline Joniche (Reggio Calabria), chiedendo l'intervento del Governo sia per verificare i rapporti tra le società Sei e Sipe ed individuare i reali proprietari dell'area ex Liquichimica di Saline, sia un'attenta valutazione sull'eventuale impatto ambientale di uno dei pezzi più belli della costa reggina calabrese;
          le centrali a carbone sono fonti a maggiore emissione specifiche di CO2 per la produzione elettrica e, quindi, nuove costruzioni contribuirebbero in maniera rilevante allo sforamento del Target nazionale di Kyoto ma anche ad un mancato adeguamento agli impegni che l'Unione europea ha assunto per il 2020 con l'approvazione del pacchetto «energia e clima», ribaditi alla Conferenza di Copenaghen nel dicembre 2009;
          se dovessero entrare in funzione in Italia tutti i progetti avviati e ormai conclusi, quelli autorizzati a tutt'oggi o quelli ipotizzati, a regime si produrrebbero in più 39 milioni di tonnellate di CO2 all'anno, mentre il nostro Paese dovrebbe ridurre le sue emissioni di gas serra di 60 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020, proprio secondo gli impegni assunti in sede europea;
          la costruzione della centrale a carbone nell'area ex Liquichimica di Saline creerebbe davvero un danno ambientale in quel pezzo della costa reggina calabrese, che per tanti anni è stato simbolo negativo di scelte miopi e di investimenti falliti e che dovrebbe poter diventare simbolo positivo di uno sviluppo rispettoso della storia e del senso dei luoghi, capace di creare «buona» economia e lavoro pulito e di qualità;
          la comunità grecanica, numerosi comuni del territorio e la provincia si sono espressi contro la costruzione della centrale a carbone nell'area su indicata;
          nei giorni scorsi è apparsa la notizia del «via libera» al progetto della multinazionale svizzera Sei-Repower da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la trasformazione dell'ex struttura della Liquichimica di Saline in una centrale a carbone;
          il no alla centrale è stato espresso anche dal mondo accademico dell'università «Mediterranea», con la quale, tra l'altro nel febbraio del 2011 la Sei è riuscita a stipulare una convenzione per sei borse di studio, sostanzialmente all'insaputa del corpo docente e degli studenti;
          i dati raccolti su centrali a carbone già a regime, sono davvero preoccupanti rispetto all'inquinamento provocato; senza sottovalutare il problema legato alle scorie radioattive che verrebbero disperse attraverso i fumi;
          sono proprio questi preoccupanti impatti ambientali che hanno già spinto altri Paesi ad abbandonare la tecnologia a carbone in favore delle energie rinnovabili;
          tra l'altro la nuova centrale a carbone di Saline non serve al Paese né tanto meno alla Calabria che esporta energia  –:
          se non ritengano, per quanto di competenza, di dover rivedere l'assenso dato alla Sei, al fine di aiutare la Calabria a non continuare ad essere destinataria di «cattedrali nel deserto» e di cantieri aperti e soprattutto a non umiliare quella regione, offuscando e deturpando le sue risorse naturali e le sue bellezze, utili al reale sviluppo del territorio. (4-16777)


      MARINELLO e LA LOGGIA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          nei prossimi giorni il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Antonio Catricalà costituirà una task-force interministeriale, con la partecipazione dell'amministrazione comunale di Palermo, che si occuperà, oltre che di alcune problematiche legate alle emergenze della città, anche della vicenda relativa alla società Gesip spa, creata dal comune di Palermo, da Italia Lavoro SpA e dall'agenzia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per lo sviluppo dei servizi a favore dell'occupazione, con il duplice obiettivo di rispondere alle esigenze di servizio di Palermo e di aprire nuove opportunità d'impiego per le fasce più deboli del mercato del lavoro;
          la SPO srl – servizi per l'occupazione è una società a socio unico GESIP ed è stata ente promotore e gestore, da marzo 2004 ad aprile 2010, del progetto del comune di Palermo denominato «Piano per l'occupabilità dei soggetti svantaggiati dell'area metropolitana di Palermo», con l'utilizzazione di circa 3.200 soggetti (ex Pip) impiegati in attività di supporto in diversi settori della Pubblica Amministrazione, (tra cui istituzioni scolastiche, presìdi ospedalieri, uffici regionali e assessorati);
          i 90 lavoratori di SPO srl hanno sottoscritto, dal 2004, contratti di collaborazione a progetto senza alcuna interruzione delle attività lavorativa fino al mese di aprile 2010. I Co.Co.pro, però, erano tali sono formalmente poiché i lavoratori venivano utilizzati come dei veri e propri lavoratori dipendenti avendo, ad esempio, l'obbligo di recarsi presso la sede della società secondo un preciso orario di lavoro, di concordare le ferie con l'amministratore unico della stessa o di presentare il certificato medico in caso di malattia;
          la maggior parte dei lavoratori appartenenti a questa categoria ha presentato ricorso al giudice del lavoro avverso la SPO srl per il riconoscimento dello status di lavoratore dipendente a tempo indeterminato e per l'ottenimento del trattamento economico non riconosciuto;
          con una legge della regione Sicilia, votata il 30 aprile 2010, è stato avviato un percorso di stabilizzazione per i 3.200 lavoratori ex Pip (amministrati da SPO), mentre i contratti dei collaboratori a progetto non sono stati oggetto di rinnovo;
          questi ultimi, che avevano garantito la gestione del bacino «emergenza Palermo» fino al 30 marzo 2010, sono stati esclusi ingiustificatamente, a seguito della disposizione contenuta nella legge finanziaria 2010 della regione siciliana, dal transito al soggetto regionale individuato per il bacino, di comune appartenenza, ex Pip;
          il personale di SPO srl ha maturato, nel corso degli anni, una notevole esperienza professionale in vari ambiti e, ad oggi, si ritrova in una situazione di precarietà e nell'impossibilità di rientrare nel mercato del lavoro  –:
          se non ritenga necessario ed opportuno inserire la problematica relativa ai lavoratori della SPO srl tra le questioni urgenti che saranno definite dal tavolo tecnico interministeriale;
          quali siano i tempi per la definizione, nell'ambito dei lavori della task-force interministeriale, di misure concrete al fine di trovare una soluzione adeguata che favorisca il reinserimento nel contesto lavorativo dei soggetti rappresentati in premessa, adottando gli opportuni provvedimenti, urgenti ed improcrastinabili, ed interventi volti a stabilizzarne la situazione lavorativa. (4-16783)


      BURTONE, CUOMO, GRAZIANO, GRASSI, BOCCI, MARCO CARRA e PISICCHIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel maggio 2012, nell'ambito degli obiettivi di spending review, ha disposto la restituzione, alle amministrazioni di provenienza, del personale di prestito cosiddetto «fuori comparto», nei confronti del quale sussiste a carico della Presidenza l'onere totale o parziale di rimborsare gli emolumenti stipendiali;
          in particolare, il termine per il rientro di detto personale alle sedi di appartenenza viene fissato alla data del 1o novembre 2012, per consentire alle strutture interessate di avviare i processi di riorganizzazione dei rispettivi organici;
          il contingente complessivo di questi ultimi è di 132 unità, di cui n.  86 appartenenti alla categoria A e 46 appartenenti alla categoria B; l'importo medio pro-capite che la Presidenza rimborsa alle amministrazioni di appartenenza, fatte salve le competenze accessorie che sono comunque a carico della Presidenza medesima, costituisce un'inezia rispetto a voci di spesa di maggiore aggredibilità in un'ottica di contenimento;
          peraltro, nella fattispecie, il provvedimento restitutorio, oltre che essere carente sul piano della motivazione, nella parte in cui viola il principio di adeguatezza tra i presupposti ispiratori della determinazione autoritativa del comando (speciale competenza del dipendente in relazione a riconosciute esigenze di servizio – articolo n.  56 del decreto del Presidente della Repubblica n.  3 del 1957) e il fine posto a presidio del provvedimento di revoca, funzionale alla restituzione (contenimento della spesa pubblica), è censurabile anche sotto il profilo della mancanza di proporzionalità tra il sacrificio imposto a detto personale (raggiungimento per molti di loro di sedi lontane in un quadro reddituale pro-capite ridimensionato) a fronte di un risparmio di spesa, come evidenziato, modesto, che produce il solo effetto di procurare un grave danno socio-economico con impatto su situazioni tendenzialmente consolidate;
          nella prospettiva, poi, della tutela del parametro di efficienza dell'organizzazione delle strutture presidenziali, il provvedimento restitutorio adottato iure imperii e al di fuori di un confronto istituzionale con le organizzazioni sindacali, svilisce in modo inequivocabile il principio di buon andamento (articolo n.  97 della Costituzione), in quanto la sua adozione non costituisce la naturale conseguenza di una ponderata, preventiva valutazione delle risorse e dei fabbisogni delle singole articolazioni, in funzione dei rispettivi obiettivi da conseguire, ma si palesa avulsa da un congruo bilanciamento degli interessi in gioco e da un auspicabile criterio di selezione del personale da mantenere all'interno delle proprie strutture, basato sul merito e sulla professionalità individuale;
          in una logica di ripartizione delle voci di costo da iscrivere in bilancio appare, poi, improprio tracciare una linea di differenziazione tra il bilancio della Presidenza e quello delle amministrazioni «fuori comparto», atteso che lo stesso costo, senza variazioni sostanziali, (di fatto si tratterebbe di «una partita di giro») viene a ricadere nella sfera di un altro soggetto pubblico mediante un trasferimento formale di imputazione all'interno di un unico grande contenitore che è il bilancio dello Stato. In tale ambito, tra l'altro, la distinzione tra soggetti del comparto Ministeri e quelli fuori comparto non è giuridicamente appropriata, in quanto le due categorie istituzionali rappresentano altrettante entità dell'apparato amministrativo tra loro collegate, quanto alla natura giuridica e al fine perseguito, dal connotato della pubblicità e, quanto alla missione attribuita, dal vincolo della vigilanza e del controllo da parte del Ministero di riferimento sui risultati conseguiti. In questo contesto, ad esempio, le Agenzie fiscali – che costituiscono il più consistente serbatoio da cui si è finora attinto per il reclutamento del personale fuori comparto – ancorché dotate di autonoma personalità giuridica, predispongono, in allegato al proprio bilancio, appositi raccordi riguardanti gli schemi di stato patrimoniale e conto economico con i pertinenti capitoli di spesa del bilancio dello Stato;
          con riferimento alle politiche di contenimento della spesa, è utile sottolineare che, già prima dell'insediamento dell'attuale Governo, la Presidenza, al pari delle altre amministrazioni, non è stata esentata dalle riduzioni degli stanziamenti di pertinenza. Infatti, le previsioni iniziali di bilancio del 2011 – già oggetto di diminuzione in adeguamento a disposizioni normative – hanno scontato il taglio lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie riferite alle spese rimodulabili disposte dall'articolo 2, comma 1, del decreto legge n.  78 del 2009, incidendo sensibilmente sia sul capitolo 2115 (fondo di funzionamento della Presidenza), sia sui capitoli pertinenti alle politiche attive, per un totale di circa 57.869.124 milioni di euro;
          in relazione al primo capitolo, in applicazione del decreto legge n.  112 del 2008, sono stati realizzati risparmi di spesa, attraverso la riduzione del 10 per cento del fondo unico di presidenza, pari a 1,9 milioni di euro;
          nel corso del 2011, successivi interventi normativi hanno ulteriormente ridotto gli stanziamenti, determinando diminuzioni di spesa per un totale complessivo di 126.066.938 milioni di euro;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2011, che ha ridefinito l'assetto ordinamentale delle strutture presidenziali, ha disposto una prima riduzione delle dotazioni organiche dirigenziali di 7 posti di funzione di prima fascia e di 48 unità di seconda fascia per un risparmio complessivo annuo a regime pari a circa 7.130.000 milioni di euro;
          ulteriori tagli, incidenti prevalentemente sulle spese di funzionamento della Presidenza, si sono verificati in applicazione delle norme recate dal citato decreto legge n.  78 ed in particolare:
              a) taglio del 5-10 per cento dei trattamenti economici complessivi dei dirigenti per un risparmio a regime pari a 989.411,78 euro;
              b) taglio del 10 per cento delle indennità da corrispondere ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione, per un risparmio pari a circa 96.000 euro, che si innesta nel più generale taglio di 12,2 milioni di euro, stabilito dall'attuale Governo, per effetto della riduzione dei Ministri senza portafoglio e dei relativi Sottosegretari, cui è seguito il ridimensionamento di complessive 241 unità;
              c) risparmi per circa 3 milioni di euro conseguiti per effetto della riduzione dei contingenti assegnati alle strutture di missione;
              d) risparmi per 7,9 milioni di euro, relativi ai nuovi limiti di spesa per organi collegiali, incarichi di studio e consulenza, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, formazione, missioni, acquisto, manutenzioni, noleggio ed esercizio di autovetture; sul punto, vi è da aggiungere che il Governo ha disposto un ulteriore taglio di esperti e consulenti di 99 unità pari a 750.000 euro; in relazione ai tagli in materia di trasporti, poi, è stato conseguito un significativo risparmio di spesa pari a circa 23,5 milioni di euro, su base annua, determinato dalla contrazione dei voli di Stato, non obbligati da ragioni di sicurezza, nella misura del 90 per cento, un risparmio di circa 270.000 euro per un più efficiente uso del servizio automezzi;
          la Presidenza ha conseguito ancora risparmi per 4 milioni di euro sui costi del personale, mediante il blocco del turn over, il congelamento dei contratti e i pensionamenti;
          da ultimo si aggiunge che con recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stata disposta, con effetto immediato, la riduzione degli organici della Presidenza in misura del 20 per cento dei dirigenti e del 10 per cento del personale di qualifica non dirigenziale;
          è opportuno sottolineare che uno dei principali protagonisti delle politiche di contenimento dei costi della Presidenza, in funzione del precipuo ruolo di coordinamento che a chiamato a svolgere, è il segretario generale della Presidenza, che ha svolto e svolge con lealtà istituzionale generalmente riconosciuta, anche un ruolo tecnico di assoluta garanzia nei confronti degli organi costituzionali e delle pubbliche amministrazioni  –:
          se non sia il caso che il Governo, sulla base del quadro prospettico sopra delineato, che evidenzia un palese squilibrio e disallineamento dei tagli fortemente proiettato sul versante delle risorse umane (spese di funzionamento), orienti la propria azione di contenimento sulle cosiddette politiche attive, ossia sugli interventi e le spese in conto capitale che rappresentano ben 90 per cento dell'impegno complessivo di spesa del bilancio della Presidenza, a fronte del modesto 10 per cento che costituisce, viceversa, il dato relativo alla spesa per il personale e per i beni e i servizi;
          se in tale prospettiva, non sia opportuno, anche al fine di evitare un pericoloso contenzioso che sarebbe certamente controproducente dell'immagine della Presidenza, procedere al ritiro del provvedimento restitutorio del personale fuori comparto ed indirizzare gli interventi volti a conseguire (ben più consistenti) risparmi su altre ipotesi di tagli alla spesa, tra le quali, solo per citarne alcune:
              a) eliminazione delle consulenze esterne con contestuale reinternalizzazione dei servizi da affidare a personale interno alla Presidenza dotato di competenze e professionalità adeguate;
              b) affidamento, ove possibile, degli incarichi di vertice degli uffici di gabinetto e dei dipartimenti, nonché delle altre strutture di vertice della Presidenza, a dirigenti della corrispondente fascia dei ruoli della Presidenza medesima;
              c) blocco del reclutamento di ulteriori unità, in regime di prestito, al fine di favorire la graduale stabilizzazione nei ruoli della Presidenza, delle unità già organicamente incardinate nelle articolazioni presidenziali;
          in subordine, solo ove non ritenute adottabili le suindicate misure alternative, se non sia maggiormente rispondente al principio costituzionale di buon andamento rimettere la valutazione degli eventuali esuberi di personale di prestito alla competenza ed alla responsabilità dei titolari delle singole strutture dell'ordinamento presidenziale che provvederanno, se del caso, a rimodulare gli assetti organizzativi di competenza in proporzione del budget loro rispettivamente assegnato e all'esito della ridefinizione delle piante organiche che fotografi le effettive necessità di personale da adibire ai servizi delle singole articolazioni. (4-16791)


      BINETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          i recenti fatti di cronaca mettono in evidenza che il problema connesso alla diffusione di droghe non è stato mai debellato, al contrario è possibile rilevare che sia in termini di prevenzione che di contrasto, l'azione dei media e delle istituzioni a ciò preposte è notevolmente ridimensionata rispetto agli anni passati;
          secondo il rapporto dell'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze relativo al biennio 2007-2008 si registrano alcuni fatti particolarmente significativi come la conferma che in Europa marijuana e cocaina sono rispettivamente al primo e al secondo posto nei consumi dei ragazzi e dei giovani professionisti. Ma soprattutto sta tornando di moda l'uso dell'eroina che si affianca alle droghe sintetiche in miscele sempre più pericolose. In questa classifica l'Italia si trova tra le prime cinque nazioni a più alto consumo di cocaina, dopo la Spagna e l'Inghilterra, seguita da Danimarca e Irlanda;
          dal 2004 nel nostro Paese il consumo di cocaina è in costante aumento e coinvolge il 5,5 per cento della popolazione compresa tra i 15 e i 34 anni; ormai il fenomeno cocaina è diventato particolarmente preoccupante, sia per la grande diffusione che questa sostanza sta avendo tra gli adulti, sia per il coinvolgimento di fasce giovanili in cui si rileva spesso anche uso contemporaneo di altre droghe e sostanze alcoliche;
          si sta passando da un uso «elitario» riservato a quella fetta di popolazione che poteva acquisire questa costosissima droga, ad un uso generalizzato che non distingue più le classi sociali in quanto il costo di tale sostanza è talmente basso che è possibile acquistarla facilmente. Questa strategia di mercato, messa in atto dagli spacciatori per acquisire sempre nuovi clienti, amplifica il fenomeno rendendolo ancora più preoccupante e di vaste dimensioni;
          la forte rilevanza dei fenomeni collegati all'uso di cocaina e la gravità delle conseguenze acute nel lungo termine che ne derivano, determinano quindi, la necessità di disporre di nuovi ed efficaci modelli di intervento in grado di rispondere ai tanti problemi connessi all'assunzione di tale sostanza. È ormai chiaro che serve una nuova politica socio-sanitaria che impegna i sistemi regionali e le amministrazioni centrali dello Stato in una lotta coordinata e comune che non può essere più procrastinata. Servono nuove ed innovative forme di prevenzione ma anche cura e riabilitazione affinché sempre meno giovani si avvicinino e restino intrappolati in questa sostanza e sempre più persone con dipendenza da cocaina possano uscire da tale schiavitù e riprendere il loro ruolo attivo e positivo all'interno della società;
          i dati evidenziano «l'urgenza» di affrontare il tema delle sostanze stupefacenti in termini di prevenzione e non solo di intervento sulle conseguenze derivate dall'uso prolungato delle droghe; siamo in presenza di un fenomeno preoccupante che va adeguatamente trattato soprattutto in termini di formazione e informazione nelle scuole superiori;
          nelle scuole, il fronte formativo delude le aspettative degli studenti e l'informazione spesso porta dietro di sé l'induzione a trasgredire, anche perché non agisce a livello di motivazioni positive, ma fa leva solo su paure che i giovani tendono a bypassare sentendosi spesso onnipotenti;
          in termini di contrasto e prevenzione non esiste attualmente, a parere dell'interrogante, un'azione chiaramente leggibile, soprattutto in un momento in cui il tasso di disoccupazione tra i giovani crea un forte disagio e spinge quanti sono più fragili a fare esperienze che consentano una evasione dal grigiore sempre più marcato della loro esistenza quotidiana: il ricorso alle droghe potrebbe rappresentare un alienazione dalla realtà, per questo le «nuove tossicodipendenze» dovrebbero essere trattate con maggiore cautela;
          la droga va considerata come effetto di un malessere interiore che la persona si porta dietro. Senza la consapevolezza di quel malessere e senza la capacità di rimuoverlo non ci sono possibilità di uscirne definitivamente. I grafici ci dicono che è tutto sotto controllo, ma l'evidenza dimostra che non è così e soprattutto che ci sono delle inadempienze sul versante della prevenzione, che aumentano l'inconsistenza del contrasto all'uso e abuso di sostanze;
          oltre ai giovani e ai giovanissimi da tutelare soprattutto sul piano della prevenzione-informazione, si sta creando una nuova classe di tossicodipendenti rappresentata da giovani disoccupati o inoccupati; gli effetti si iniziano a vedere anche in termini di ansia e depressione; l'incertezza per un posto di lavoro sempre meno accessibile, mette a dura prova quanti risentono di un disagio battezzato «mal di crisi». La crescente disoccupazione, rilevano gli specialisti, è infatti una delle concause strettamente collegate all'aumento del tasso dei suicidi. In Europa per ogni incremento del 3 per cento della disoccupazione, crescono del 30 per cento le morti dovute a eccesso di alcol e aumenta di quasi il 5 per cento il tasso dei suicidi;
          uno studio appena pubblicato sull’American Journal of Public Health, rileva che la disoccupazione è un forte fattore di rischio per la depressione negli adulti fra i 30 e 40 anni: quanto più tempo si trascorre fuori dal mercato del lavoro, tanto maggiore è la probabilità di sviluppare sintomi depressivi. L'avere sperimentato lunghi periodi di disoccupazione aumenta il rischio di sviluppare depressione anche nel resto della vita  –:
          quali urgenti misure intendano porre in essere per potenziare, in accordo con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica e con gli esperti del settore, un adeguato sistema di prevenzione della diffusione di tutte le tipologie di droga attraverso la formazione e l'informazione;
          quali iniziative prevedano, in accordo con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per venire incontro alle nuove esigenze dettate dalla crisi economica in atto, che crea un effettivo rischio di tossicodipendenza, legato alla forte ansia di futuro e ad una sempre più diffusa sindrome di fallimento sociale. (4-16801)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          sul sito web del periodico Libero Reporter è pubblicato un articolo a firma di Ferdinando Pelliccia, dal titolo «Pirateria marittima: pagato un riscatto per rilascio Bruno Pelizzari»;
          in cui si legge «Escludo che sia stato pagato un riscatto, l'Italia non paga riscatti». Con queste parole il 21 giugno 2012 il Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi rispondeva a chi gli domandava del rilascio di Bruno Pelizzari e Deborah Calitz. Il primo un italo-sudafricano e la seconda sudafricana erano stati tenuti prigionieri in Somalia per quasi 20 mesi. Ebbene a quanto pare sarebbero stati invece, pagati 700 mila dollari per il rilascio di Bruno Pelizzari e Deborah Calitz. I due turisti-velisti erano stati catturati il 26 ottobre del 2010 al largo della costa della Tanzania dai pirati somali. Al momento della cattura erano a bordo dello yacht «Choizil» preso a nolo insieme allo skipper inglese, Peter Eldridge. Quest'ultimo, nel corso del dirottamento, riuscì a scappare. Eldridge venne poi, recuperato da una nave da guerra francese, la «FS Floreal» della forza navale europea, che seguiva a breve distanza lo Yacht sequestrato. L'imbarcazione venne poi, dirottata verso le coste Somale. I due ostaggi dovrebbero essere stati tenuti prigionieri a terra in qualche luogo remoto del territorio somalo a nord di Mogadiscio in quanto, dopo il sequestro, vennero sbarcati e lo yacht abbandonato. Probabilmente il Pelizzari e la Calitz sono passati di mano, venduti o scambiati, almeno un paio di volte durante la prigionia. Per il rilascio di Bruno e Debbie era stato inizialmente chiesto alle loro famiglie in Sudafrica 10 mln di dollari poi, di fronte al fatto che queste non erano in grado di pagare una cifra così alta si erano detti disposti ad accettare 500 mila dollari per poi, di nuovo alzare la posta a 4 mln di dollari. Delle trattative e della raccolta fondi si era occupata principalmente una delle 5 sorelle di Bruno, Vera Hect. Questo anche in seguito al fatto che le autorità di Johannesburg come tante altre, almeno ufficialmente, si sono fin dall'inizio dichiarate non disposte a trattare con i pirati somali ne tantomeno a pagare un riscatto. In un recente contatto Vera aveva riferito di essere riuscita a mettere insieme attraverso donazioni di privati solo 200 mila dollari. Ufficialmente il 21 giugno scorso il loro rilascio era stato presentato, sia dalle autorità italiane sia somale, come un successo delle forze di sicurezza somale che avevano compiuto un blitz militare riuscendo a liberare i due turisti velisti prigionieri in Somalia. Quel giorno il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, in merito alla liberazione aveva affermato: «Desidero ringraziare tutte le Istituzioni che grazie al loro lavoro tenace hanno consentito di giungere al risultato di oggi, al quale hanno fornito un contributo determinante anche le autorità somale del Governo Federale Transitorio». Il Ministro degli affari esteri pur rifiutandosi di dare elementi sulla dinamica del rilascio, avvenuto, come poteva del resto, se non c'era stato alcun blitz, aveva spiegato che il rilascio era avvenuto grazie all'intervento armato delle forze di sicurezza e dell'esercito locali. Sulla stessa «falsa» riga il Ministro della difesa somalo, Hussein Arab Isse aveva reso noto che le forze di sicurezza somale, assieme all'esercito avevano tratto in salvo una coppia sudafricana rapita 18 mesi fa. «L'operazione di salvataggio è iniziata mercoledì notte ed è andata avanti fino a questa mattina...», aveva spiegato il Ministro durante una conferenza stampa in cui erano presenti anche i due ostaggi liberati. Era chiaro a tutti, però, che il loro rilascio era stato certamente preceduto dal pagamento di un riscatto o meglio come lo stesso Pelizzari avrebbe confidato ad un giornalista, seguito ad una soluzione negoziata che è la stessa cosa. Finora i predoni del mare non hanno mai rilasciato una nave o un ostaggio senza non aver ricevuto in cambio il pagamento di un riscatto come contropartita. Ma a rendere ancora meno credibile la versione resa nota era anche il fatto che, per usare le parole del Ministro somalo, «i due sono stati liberati in modo sicuro». Se fossero stati veramente ostaggi dei miliziani islamici questi difficilmente si sarebbero fatti strappare dalle mani gli ostaggi integri basta vedere i casi precedenti. La notizia del pagamento di un riscatto è invece, molto più credibile come lo è anche la somma che sarebbe stata pagata, ossia i 700 mila dollari. In genere i pirati somali preferiscono catturare le grandi petroliere o i cargo, per il cui rilascio chiedono poi, dai 5 ai 10 milioni di dollari. Quando però, una «battuta» di caccia si mostra infruttuosa, per «recuperare» almeno le spese, ripiegano catturando piccole navi a vela da crociera. In genere per il rilascio dei «velisti-turisti» catturati le gang del mare somale chiedono circa 400 mila dollari a persona. Nel caso del Pelizzari e della Calitz gli ostaggi erano due e quindi 700 mila dollari deve essere stata appunto la cifra «negoziata» per ottenere il loro rilascio;
          si ribadisce che il Ministro ha smentito il pagamento di qualsivoglia riscatto  –:
          se i fatti narrati sul periodico Libero Reporter nell'articolo in premessa corrispondano al falso. (4-16788)


      POLLEDRI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in un periodo di profonda crisi economico-sociale come quella attuale risulta assolutamente necessario tutelare la libera iniziativa, sia per chi opera in territorio italiano sia per chi invece opta per mercati stranieri contribuendo alla crescita e al prestigio del «made in Italy»;
          spesso gli imprenditori si trovano ad operare in mercati perfettamente regolamentati, in grado di garantire parità di condizioni ai competitori ma altrettanto spesso alcuni imprenditori operano in contesti ben più delicati, tali da porre in serio rischio i capitali coraggiosamente investiti;
          un'imprenditrice italiana, signora Giacomina Pensa, operante nel settore della torrefazione in Marocco, ha manifestato il forte timore di lavorare in un contesto socio-economico poco trasparente che potrebbe minare i cospicui investimenti fin qui sostenuti;
          dopo aver individuato gli elementi propri di un raggiro, la signora Pensa ha presentato nel 2005 regolare denuncia al tribunale di prima istanza di Casablanca, i cui periti hanno valutato danni per oltre 1 milione di euro;
          la preoccupazione della signora Pensa consisterebbe nella concreta possibilità che i titolari del principale competitor, con la complicità delle autorità locali, possano costituire serio ostacolo alla permanenza non solo professionale della famiglia Pensa in territorio marocchino, come dimostra il triste episodio, risalente al 2007 e documentato dalla stampa locale, relativo alla carcerazione del marito della stessa Pensa, (membro fondatore e segretario generale del COIM – Comitato operatori italiani in Marocco), rilasciato a seguito dell'intervento del consolato, dell'ambasciata, dell'Ice e degli altri operatori italiani presenti;
          nonostante la presenza ed il costante supporto del consolato italiano, durante le fasi del processo, continuano a non essere verbalizzate le testimonianze favorevoli alla signora Pensa;
          tra Repubblica italiana e Regno del Marocco esiste un consolidato rapporto amichevole come dimostrano la convenzione contro le doppie imposizioni in materia di imposte sui redditi (Rabat, 7 giugno 1972) e l'accordo commerciale Unione europea-Marocco, ratificato dall'Italia, per un aumento delle quote di scambio di una serie di prodotti a tariffe doganali basse;
          è auspicabile una reciprocità nell'amministrazione della giustizia da parte delle autorità marocchine stante la garanzia circa il riconoscimento dei diritti ai cittadini marocchini presenti in Italia  –:
          quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di far luce sulla vicenda esposta in premessa e quali strumenti intenda predisporre per rassicurare la platea di imprenditori presenti in contesti altrettanto delicati. (4-16792)


      BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, DE POLI, CALGARO e PEZZOTTA. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          domenica 16 ottobre, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura celebrerà, come ogni anno, la Giornata mondiale dell'alimentazione per commemorare l'anniversario della sua fondazione, avvenuta il 16 ottobre 1945;
          il tema della Giornata mondiale dell'alimentazione scelto per il 2011 è «L'impatto dei prezzi sulla sicurezza alimentare». Fra il 2005 e il 2008, i prezzi mondiali degli alimenti di base hanno raggiunto i livelli più alti da 30 anni a questa parte. Negli ultimi 18 mesi del periodo considerato, il prezzo del mais è aumentato del 74 per cento mentre quello del riso è quasi triplicato, con un incremento complessivo del 166 per cento;
          sono scoppiate rivolte del pane in più di 20 Paesi. La stampa ha sentenziato la fine del cibo a buon mercato. Gli economisti ritengono che queste oscillazioni dei prezzi, verificatesi dal 2006, potrebbero ripetersi anche nei prossimi anni. In altre parole, sembra che si sia instaurata una tendenza alla volatilità (questo il termine tecnico che descrive il fenomeno) dei prezzi degli alimenti. Proprio per attirare l'attenzione su questa tendenza e sulle possibili azioni da intraprendere per attenuare l'impatto sui più vulnerabili, il tema della Giornata mondiale dell'alimentazione 2011 è «Prezzi degli alimenti – dalla crisi alla stabilità»;
          le fluttuazioni dei prezzi, in particolare quelle al rialzo, rappresentano la maggiore minaccia alla sicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo. I più colpiti sono i poveri. Secondo la Banca mondiale, nel biennio 2010-2011 l'aumento dei costi degli alimenti ha spinto quasi 70 milioni di persone nella povertà estrema. A livello di Paesi importatori netti di prodotti alimentari, le impennate dei prezzi possono danneggiare i Paesi poveri aumentando i costi per importare il cibo destinato alla popolazione;
          a livello individuale, quando i prezzi degli alimenti aumentano, le persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno sono costrette a saltare un pasto. Anche gli agricoltori sono vittime di questo fenomeno perché hanno assolutamente bisogno di prevedere, a mesi di distanza, il prezzo che raggiungeranno le coltivazioni al momento del raccolto. Se si prevedono prezzi elevati, piantano di più. Se si prevedono prezzi bassi, piantano meno, tagliando così i costi. Le rapide oscillazioni dei prezzi rendono più difficoltosa questa valutazione;
          in questo contesto è opportuno ricordare che, oltre 195 milioni di bambini sotto i 5 anni sono malnutriti, e il 90 per cento di loro vive nell'Africa Subsahariana e nel Sud dell'Asia. Più di 20 milioni di bambini soffrono della forma più acuta e mortale di malnutrizione;
          «i leader mondiali sono assorbiti dalla crisi finanziaria. Ma è proprio questo il momento di mandare un chiaro messaggio alle persone più vulnerabili. Questa crisi dai molteplici aspetti – dal cibo al carburante, dagli alloggi ai crediti – colpirà con forza tutti, ma per i 923 milioni di affamati essa ha aggravato la battaglia quotidiana per la sopravvivenza». (Josette Sheeran, Direttore Esecutivo del PAM, – Programma alimentazione mondiale –);
          la malnutrizione gioca un ruolo considerevole nella mortalità infantile perché mina il sistema immunitario dei bambini i quali sono meno resistenti alla malattie infantili;
          inoltre, la denutrizione contribuisce ad un terzo degli otto milioni di morti all'anno tra i bambini al di sotto dei 5 anni. La maggior parte dei danni causati dalla malnutrizione si sviluppano nei bambini prima del raggiungimento del secondo anno di età;
          diete che non apportano la giusta quantità di energia, incluso proteine di alta qualità, i grassi essenziali, i carboidrati, insieme a vitamine e minerali, possono compromettere la crescita e lo sviluppo, aumentando il rischio di morte a causa di comuni malattie infantili o causare gravi conseguenze per la salute del bambino per tutta la durata della sua vita. I cereali arricchiti che vengono attualmente distribuiti come aiuti alimentari non rispettano questo standard minimo;
          servono cibi fortificati per ottenere il massimo impatto nutritivo perché solo così è possibile davvero cambiare la vita dei bambini, ha detto Josette Sheeran, direttore esecutivo del PAM (Programma alimentazione mondiale). Tra i vari standard qualitativi richiesti, questi prodotti devono essere compatibili con la cultura alimentare locale e riproducibili nelle quantità necessarie localmente, oltre ad essere convenienti dal punto di vista dei costi nel lungo periodo;
          negli ultimi 30 anni, dal 1980 a oggi, la quota degli aiuti ufficiali allo sviluppo destinata dai Paesi OCSE all'agricoltura è calata del 43 per cento. Probabilmente il sottofinanziamento protrattosi negli anni in agricoltura, sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri, rappresenta la principale causa singola dei problemi che ci troviamo ad affrontare oggi;
          le celebrazioni ufficiali italiane, promosse dal Ministero degli affari esteri, direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, avranno luogo per affermare i princìpi che muovono l'azione del Governo italiano a sostegno delle attività svolte dalle Agenzie del polo agro-alimentare romano delle Nazioni Unite, in primis la FAO, e delle numerose amministrazioni pubbliche e private impegnate nella lotta alla fame, si svolgeranno dal 1° ottobre al 15 dicembre, a sostegno e promozione della Giornata mondiale dell'alimentazione  –:
          quali urgenti misure intenda attuare per individuare una soluzione a questo annoso problema che rischia di diveniresempre più grave: sul piano internazionale, per quanto riguarda gli aiuti alla cooperazione internazionale, e sul piano nazionale, per quanto riguarda le nuove povertà emergenti a livello di famiglie numerose, spesso immigrate recentemente. (4-16797)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GRAZIANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          è pratica diffusa da parte dei cittadini, ma ancor più spesso da parte delle attività commerciali e industriali, l'abbandono illegale di rifiuti in aree pubbliche, quali ad esempio cigli di strade, strade secondarie, strade extra-urbane, anche non pavimentate;
          tale reiterata pratica provoca l'accumulo di quantità ragguardevoli di rifiuti miscelati, speciali e speciali pericolosi, talora combusti o contenenti amianto;
          le operazioni di risanamento e bonifica dei siti oggetto di sversamento dei rifiuti menzionati consisterebbero principalmente in attività di cernita eseguita in situ da personale specializzato, formato sull'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale specifici, al riconoscimento dei rifiuti e monitorato con specifico protocollo sanitario. Nella pratica quotidiana si assiste piuttosto e frequentemente alla raccolta degli stessi rifiuti, praticata in maniera indifferenziata e sommaria, basata sull'eventuale sensibilità ambientale dell'operatore, spesso poco o non specializzato per simili operazioni;
          nei casi di rinvenimento tra i rifiuti di manufatti contenenti amianto l'adozione di specifiche procedure di bonifica rende ancora più evidente la necessità di ricorrere a personale adeguatamente formato;
          coerentemente, nei casi di sospetto inquinamento delle matrici ambientali occorrerebbe eseguire una messa in sicurezza di emergenza e coinvolgere gli enti preposti al controllo;
          ai sensi dell'articolo 212, comma 1, del decreto legislativo n.  152 del 2006, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è istituito l'Albo nazionale gestori ambientali. Al comma 5 dell'articolo menzionato è prevista l'iscrizione all'albo quale requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi;
          l'Albo si articola in categorie, classi e tipologie di rifiuti in relazione alle quali le imprese sono iscritte. In particolare, come previsto dalla deliberazione dell'Albo nazionale gestori ambientali n.  1 del 30 gennaio 2003, allegato A, le categorie 4 e 5 prevedono rispettivamente lo svolgimento di operazioni di raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi e di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi. Le categorie 9 e 10 rispettivamente contemplano le attività di bonifica di siti e di bonifica dei beni contenenti amianto;
          alla luce della problematica rappresentata, l'iscrizione delle imprese alle categorie 4 e 5 potrebbe non essere sufficiente ad operare in relazione ai contesti descritti  –:
          se non ritenga opportuno, anche con la collaborazione del comitato nazionale dell'Albo in parola, fornire chiarimenti sui requisiti di iscrizione delle imprese che operano nell'ambito del risanamento e bonifica dei siti;
          se non ritenga opportuno chiarire che è necessaria l'iscrizione alle categorie 9 e 10 nel caso in cui vi sia presunta presenza di amianto. (5-07222)


      ALESSANDRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
              il Ministro, rispondendo ad una interrogazione a risposta immediata (la n.  3-02312), svolta nella seduta n.  645 di mercoledì 6 giugno 2012 dell'Assemblea della Camera dei deputati in merito agli orientamenti sulla realizzazione del deposito di gas in località Rivara nel comune di San Felice sul Panaro Modena, alla luce degli eventi sismici in atto dal 20 maggio 2012, ha dichiarato, tra l'altro, che sulla domanda di realizzazione del sito di stoccaggio a Rivara, non era mai stata concessa dal Ministero alcuna autorizzazione, né alcun parere favorevole in merito, e che a seguito dell'evento sismico, aveva disposto, proprio nelle ore immediatamente successive al primo degli eventi sismici, un supplemento di istruttoria per verificare se esistevano le condizioni anche solo per autorizzare lo studio di fattibilità, ossia la parte preliminare. Nel frattempo, ha proseguito il Ministro, considerato che la regione Emilia Romagna aveva dato comunque parere contrario anche al progetto di studi preliminari, il Ministero dello sviluppo economico, di intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, aveva negato anche l'autorizzazione agli studi preliminari;
          sempre il Ministro, al termine della sua esposizione, ha attestato che quindi, la situazione attuale è che il progetto di studio, non solo il progetto di realizzazione dello stoccaggio, non è approvato;
          di fronte a questa chiara e categorica bocciatura del progetto, quando ormai sembrava che non vi fossero dubbi sull'interruzione definitiva dell’iter di valutazione del progetto, sulle cronache della provincia di Modena, sono state riportate notizie basate su di una lettera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare datata 1o giugno 2012 (U.prot.DVA – 2012 – 0013218) in cui viene comunicato alla regione Emilia Romagna l'avvio di un supplemento d'istruttoria in relazione al decreto di rilascio della VIA per il progetto di stoccaggio sotterraneo di gas naturale localizzato nell'area di Rivara provocando sconcerto, ansia e irritazione nella popolazione locale, già gravemente atterrita e spossata per via degli eventi sismici;
          in particolare (vedasi l'articolo scaricabile dal sito http://www.estense.com/?p=228113), è stata diffusa la notizia secondo cui vi sarebbe stato un passo indietro nella bocciatura definitiva del progetto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che avrebbe deciso un supplemento di istruttoria, concretizzato nella decisione di un'ulteriore procedura istruttoria;
          tale supplemento di valutazione sarebbe stato motivato, nella lettera inviata alla regione, dalla considerazione «che le citate porzioni di territorio sono state interessate da eventi sismici imprevedibili e di intensità inattesa e che la compatibilità ambientale» inizialmente prevista «potrebbe aver subito a seguito degli eventi sismici citati modifiche tali da rendere necessaria una diversa considerazione del progetto»;
          questa ricostruzione dei fatti, ove confermata, determinerebbe a giudizio dell'interrogante una situazione assurda, chiaramente da censurare, urgentemente da smentire o quanto meno da chiarire puntualmente soprattutto nei confronti delle popolazioni interessate che oltre ai disagi provocati dal sisma, devono ancora vivere con la paura e nel rischio che sotto ai loro piedi possa realizzarsi un deposito di gas tecnicamente improcedibile e per questo rigettato senza possibilità di ripensamento sia dalla regione Emilia Romagna e sia dal Ministero dello sviluppo economico  –:
          se le circostanze esposte in premessa corrispondano al vero e se ad ogni modo non ritenga doveroso assumere una posizione politica precisa e definitiva sulla bocciatura e quindi il rigetto del progetto relativo alla realizzazione del deposito di gas a Rivara, ora anche alla luce della conclamata ed inconfutabile rischiosità sismica e geologica del sito che dovrebbe ospitare il deposito. (5-07226)

Interrogazione a risposta scritta:


      BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'11 maggio 2012 ha aperto al pubblico il cosiddetto parco naturalistico «Le dune del delta», di proprietà di Alfa 3000 Srl, società a cui il comune di Ravenna in data 27 settembre 2002 ha ceduto il diritto di superficie;
          la società fa capo alle famiglie circensi De Rocchi e Casartelli, proprietarie, tra l'altro, dello zoo di Fasano (Brindisi);
          tra i 168 animali previsti nell'elenco contenuto nella relazione di progetto presentato dalla stessa società vengono ricompresi esclusivamente mammiferi erbivori e uccelli acquatici, mentre nessun riferimento viene fatto ai volatori;
          l'articolo 17 della stessa relazione, nell'ambito dei «progetti didattici», farebbe inspiegabilmente esplicito riferimento alla possibilità di osservare animali provenienti da sequestri;
          in data 25 luglio 2005 Alfa 3000 presentava la domanda di rilascio della licenza come giardino zoologico, ai sensi del decreto legislativo 21 marzo 2005, n.  73, attuativo della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini ecologici;
          tuttavia il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del 2 agosto 2006, ha comunicato che la documentazione inviata dalla struttura non è risultata sufficiente a dimostrare l'esistenza dei requisiti richiesti dall'articolo 3 del citato decreto legislativo;
          fino alla data del 13 marzo 2012, non risulta vi sia stato alcun sopralluogo finalizzato all'accertamento dei requisiti necessari al rilascio della licenza;
          ciononostante, da notizie di stampa si apprende che il direttore del parco, Osvaldo Paci, ha dichiarato che l’iter dal punto di vista burocratico è stato terminato il 27 aprile, quando è stato effettuato il sopralluogo della commissione interministeriale; la struttura ha ricevuto i complimenti e ha sfruttato la prevista norma del silenzio-assenso dopo 180 giorni dalla richiesta per la licenza di giardino zoologico;
          alla data dell'apertura del parco, risulta che fossero presenti circa 300 animali, tra cui specie non previste nella relazione di progetto, comprensive di vari animali esotici non precedentemente contemplati tra i quali 10 grandi felini, 5 tigri e 5 leoni. Da quanto riportato dal sito «Ravenna & dintorni» si apprende che «In realtà il Ministero dell'ambiente, dopo le dovute valutazioni di idoneità di impatto ambientale e l'esame della compatibilità della struttura con il mantenimento del benessere degli animali, aveva dato il nulla osta alla dirigenza del parco per creare una sede separata, rivolta ad un massimo di 30 esemplari carnivori, che si andassero ad aggiungere agli oltre 200 animali dell'area libera. Questa zona protetta non è però nata per ospitare leoni e tigri, ma con l'obiettivo di dare una dimora ad esemplari sotto sequestro, bisognosi di cure o rientranti in progetti specifici, ad esempio specie provenienti da zoo esteri o da circhi dismessi»; ed ancora vi si legge che gli animali carnivori (tra cui i leoni) che, a sorpresa, sono arrivati nel parco faunistico provengono da circhi. Lo chiarisce il direttore del parco Paci, il quale afferma che si tratta di esemplari in condizioni di disagio che i circhi non erano più in grado di nutrire e accudire;
          in data 21 maggio 2012 l'Ente nazionale circhi ha pubblicato un articolo sul proprio sito web, in cui si puntualizza quanto segue: «Torniamo sulla notizia solo per precisare che in riferimento a voci che parlano di animali presenti nel parco che proverrebbero dai circhi, si precisa che nessun esemplare che si trova all'interno delle Dune del Delta proviene da circhi italiani»  –:
          se il Governo non ritenga opportuno avviare in tempi rapidi ogni utile accertamento al fine di verificare la conformità tra quanto dichiarato nella relazione di progetto e quanto effettivamente realizzato dalla società Alfa 3000 nello zoo parco naturalistico «Le dune del delta», verificando, in particolare, le modalità di acquisizione delle specie animali attualmente presenti nella struttura;
          se eventuali modifiche al progetto originariamente approvato siano state sottoposte a esame ed approvate nelle sedi competenti;
          quale risulti essere lo stato dei controlli in relazione al rilascio della licenza;
          se sia consentito dalla normativa vigente che un nuovo giardino zoologico pubblicizzi l'apertura prima di aver ottenuto la licenza, tenuto conto che la direttiva 22/99/CE, recepita dal decreto legislativo n.  73 del 2005, prevede espressamente, all'articolo 4, paragrafo 2, che i nuovi giardini zoologici devono essere in possesso della licenza prima dell'apertura al pubblico;
          se non si ritenga di verificare la conformità tra le affermazioni presunte del direttore del parco naturalistico e l'operato della commissione incaricata di effettuare i sopralluoghi finalizzati ad ottenere la licenza a giardino zoologico ai sensi del decreto, legislativo n.  73 del 2005;
          se non si ritenga opportuno prendere visione di eventuali verbali di sopralluoghi ed autorizzazioni a detenere animali pericolosi rilasciati alla struttura in esame;
          se non si ritenga di stabilire puntualmente la provenienza degli animali esotici presenti nella struttura, in particolare delle specie CITES, verificando, in particolare, la presenza di animali provenienti da sequestri, o dimessi da circhi o provenienti da zoo esteri, da parte di una struttura che ambisce alla licenza di giardino zoologico ai sensi del decreto legislativo n.  73 del 2005;
          se vi siano le condizioni per disporre l'immediata chiusura della struttura ai sensi di quanto previsto dall'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n.  73 del 2005. (4-16784)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:


      SBROLLINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          con la legge n.  128 del 27 luglio 2011, il Parlamento ha approvato una normativa che interviene sul sistema del prezzo dei libri;
          tale normativa, all'articolo articolo 2 stabilisce che:
              «1. Il prezzo al consumatore finale dei libri venduti sul territorio nazionale è liberamente fissato dall'editore o dall'importatore ed è da questo apposto, comprensivo di imposta sul valore aggiunto su ciascun esemplare o su apposito allegato; 2. E consentita la vendita dei libri ai consumatori finali, da chiunque e con qualsiasi modalità effettuata, compresa la vendita per corrispondenza anche nel caso in cui abbia luogo mediante attività di commercio elettronico, con uno sconto fino ad una percentuale massima del 15 per cento sul prezzo fissato ai sensi del comma 1; 3. Ad esclusione del mese di dicembre, agli editori è consentita la possibilità di realizzare campagne promozionali distinte tra loro, non reiterabili nel corso dell'anno solare e di durata non superiore a un mese, con sconti sul prezzo fissato ai sensi del comma 1 che eccedano il limite indicato al comma 2 purché non superiori a un quarto del prezzo fissato ai sensi del predetto comma 1. È comunque fatta salva la facoltà dei venditori al dettaglio, che devono in ogni caso essere informati e messi in grado di partecipare alle medesime condizioni, di non aderire a tali campagne promozionali; 4. La vendita di libri ai consumatori finali è consentita con sconti fino ad una percentuale massima del 20 per cento sul prezzo fissato ai sensi del comma 1: a) in occasione di manifestazioni di particolare rilevanza internazionale, nazionale, regionale e locale, ai sensi degli articoli 40 e 41 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  112; b) in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, centri di formazione legalmente riconosciuti, istituzioni o centri con finalità scientifiche o di ricerca, biblioteche, archivi e musei pubblici, istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, educative e università»;
          come si vede, la legge consente, per Onlus e Biblioteche, la possibilità di acquistare libri con uno sconto massimo del 20 per cento, che è fortemente inferiore a quello che questi enti, precedentemente, riuscivano ad ottenere; esse, infatti, riuscivano ad acquistare volumi con sconti anche del 30 o del 40 per cento, in ragione dell'evidente funzione di pubblica utilità svolta;
          la riduzione degli sconti per le biblioteche significa ridurre ulteriormente la disponibilità economica per l'acquisto di libri, significa penalizzare fortemente strutture pubbliche che erogano servizi utili; significa, infine, provocare un danno al sistema istituzionale delle biblioteche e all'utenza;
          si rende necessario, a parere dell'interrogante, un intervento urgente per consentire una deroga a tale limite almeno per le biblioteche pubbliche  –:
          se non ritenga necessario un intervento urgente, anche sul piano normativo, nell'ambito delle proprie competenze e nei termini ritenuti più appropriati, per garantire al sistema delle biblioteche pubbliche un accesso libero a qualunque tipo di sconto per l'acquisto di libri che vengono utilizzati all'interno di un servizio di pubblica utilità. (4-16772)


      BARBATO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          nel comune di Marigliano (Napoli) è ubicato il santuario di Santa Maria di Pontecitra importante luogo di culto mariano in Campania, meta di assidui pellegrinaggi dal Medioevo fino all'età moderna, decorato con pitture a fresco dalla bottega napoletana di Giotto, documentato a Napoli tra il 1329 e il 1333;
          nel santuario è custodito un grande murale raffigurante «la Madonna regina con Bambino in Maestà» risalente addirittura alla fine del XIII secolo e oggetto di grande venerazione da parte della popolazione locale; questo esempio importantissimo di arte pittorica del Duecento, a causa delle continue inadempienze dell'Ente proprietario, che non ha mai provveduto ad effettuare sulle pareti interventi di manutenzione, impermeabilizzazione, isolamento e risanamento, è sottoposto ad un'azione costante e incisiva delle infiltrazioni d'acqua e della capillare umidità di risalita, per cui versa da anni in condizioni gravissime di conservazione;
          lo stesso santuario risulta da tempo abbandonato ad un inesorabile deterioramento giacendo oggi in precarie condizioni per i danni provocati dall'incuria, dalle distruzioni, dalle numerose e ingiustificate manomissioni che non accennano a diminuire;
          dalla stampa si apprende che l'ufficio beni culturali della diocesi di Nola, anziché farsi carico del restauro, della deumidificazione e del risanamento delle pareti del monumento, ha presentato con gli uffici della soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio e per il patrimonio storico artistico e etnoantropologico di Napoli e provincia, sulla base di argomentazioni deboli e originali, un progetto per il distacco e il trasferimento del prezioso affresco del Duecento, trattando un'antica superficie decorata alla stregua di quadro;
          sull'affresco, peraltro, non sono stati effettuati né studi diagnostici con l'analisi dei materiali né indagini sulle caratteristiche e lo sviluppo delle alterazioni tali da giustificare lo sciagurato intervento, inoltre, lo stesso progetto, privo di rilievi grafici, schede tecniche dei materiali e mappature stratigrafiche di identificazione delle fasi presenti e del loro stato conservativo, dovrebbe essere affidato a ditte non qualificate nel restauro;
          ignorando le più elementari conoscenze delle teorie del restauro, viene adottata una scelta irreversibile, deontologicamente scorretta, fortemente distruttiva per lo spazio e la superficie architettonica: scelta che in ogni caso non offre neppure garanzie sull'integrità e la conservazione della pittura medievale che si troverebbe comunque in un contesto malsano e umido  –:
          quali iniziative questo Ministero intende assumere per scongiurare il progetto di distacco dell'affresco che mira esclusivamente a impoverire ulteriormente il patrimonio artistico e architettonico della città di Marigliano;
          quali provvedimenti urgenti intenda intraprendere il Ministro per salvare e restaurare le preziose pitture medievali della chiesa;
          se non intenda adottare quali misure efficaci per assicurare finalmente a questo monumento la meritata attenzione, predisponendo un adeguato piano artistico-architettonico, volto al ripristino, al restauro e al consolidamento del santuario di Pontecitra, al fine di evitare che un tale patrimonio storico artistico e culturale subisca dei danni irreparabili. (4-16787)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      MESSINA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          le disposizioni recate dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n.  151 «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n.  53», prevedono che il dipendente pubblico, a domanda può essere assegnato temporaneamente presso altra amministrazione, anche di diverso comparto, previo assenso del Ministero di appartenenza;
          con la Circolare n.  0011786 del 22 febbraio 2011 il Dipartimento della funzione pubblica ha inteso incentivare la mobilità dei pubblici dipendenti nell'ambito della pubblica amministrazione;
          presso il Ministero della difesa la mobilità temporanea (comandi) è disciplinata da una circolare interna del 26 maggio 2011 della direzione generale per il personale civile che ne favorisce l'adozione;
          il Capo di Stato Maggiore della difesa, in data 27 febbraio 2012, ha trasmesso a tutti i dipendenti della difesa una comunicazione del Ministro ammiraglio Giampaolo Di Paola che annuncia una riduzione organica di circa diecimila dipendenti civili in ambito difesa, da attuarsi principalmente con il ricorso a processi di mobilità interministeriale;
          in data 4 aprile 2012, lo stesso Ministro della difesa si è nuovamente rivolto a tutti i dipendenti civile del dicastero per confermare che l'inevitabile processo di riduzione dello strumento militare, attualmente sovradimensionato, comporterà necessariamente l'adozione dei sopracitati tagli al personale civile della difesa;      
          il Consiglio dei ministri nella seduta n.  22 del 6 aprile 2012 ha approvato la riforma dello strumento militare proposta dal Ministro Di Paola;
          un funzionario tecnico F.M., dipendente civile del Ministero della difesa in servizio presso l'Arsenale militare marittimo di Taranto, è stato richiesto in «comando» temporaneo dal Ministero dell'interno per le esigenze della questura di Cosenza;
          anche il Ministero dello sviluppo economico, in data 23 gennaio 2012, ha nominativamente richiesto il medesimo funzionario in cessione definitiva tramite l'istituto della «mobilità»;
          l'Arsenale militare marittimo di Taranto, ente di impiego del funzionario, in data 22 dicembre 2011 ha espresso «parere favorevole», sulla richiesta di mobilità concernente il dipendente medesimo;
          il Dipartimento delle politiche per la famiglia, in considerazione della grave situazione familiare del citato funzionario, in data 27 febbraio 2012, ha interessato il Ministero della difesa chiedendo di seguire con particolare attenzione la pratica del comando concernente il funzionario in parola, al fine di una sollecita definizione della stessa;
          la direzione generale per il personale civile, invece, inspiegabilmente il 27 marzo 2012, in palese contraddizione con le indicazioni del Ministro della difesa, rigetta entrambe le richieste di comando del funzionario «considerata la carenza di personale civile» presso l'amministrazione della difesa  –:
          se sia a conoscenza dei fatti e circostanze rappresentati in premessa;
          se non intenda riesaminare la pratica di mobilità del funzionario menzionato per il favorevole accoglimento della richiesta, allo scopo di soddisfare sia le esigenze istituzionali dell'amministrazione che quelle personali del dipendente interessato;
          quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di evitare in futuro analoghi provvedimenti contraddittori da parte delle dipendenti strutture deputate alla gestione del personale civile, onde garantire il buon andamento e l'efficienza della pubblica amministrazione. (4-16780)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


      CIMADORO e PIFFARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'IVIE (imposta sul valore degli immobili all'estero) è stata introdotta con il decreto «Salva-Italia» del 6 settembre 2011, n.  201, lo stesso attraverso cui è stata introdotta l'IMU (Imposta municipale unica). Si tratta di un'imposta di tipo patrimoniale che colpisce tutti i cittadini residenti in Italia (sia italiani sia stranieri) che possiedono uno o più immobili all'estero. È dovuta solo dalle «persone fisiche residenti nel territorio dello Stato»;
          consiste in un'aliquota dello 0,76 per cento, la stessa che, nel caso dell'IMU, viene utilizzata per la seconda casa. Tale aliquota viene applicata a valori diversi, che dipendono dall'ubicazione dell'immobile e dalla disponibilità o meno di un atto di acquisto, in assenza del quale, come nel caso delle eredità e liberalità, si applica il valore di mercato;
          di fatto questa imposta, a giudizio degli interroganti; introduce elementi di discriminazione tra i cittadini, in ordine a:
              a) discriminazione in relazione al periodo di applicazione. L'IVIE e l'IMU sono state introdotte nell'ambito dello stesso decreto. Hanno come oggetto lo stesso tipo di bene (i beni immobiliari). Hanno in comune l'aliquota dello 0,76 per cento. Tuttavia, mentre l'IMU è dovuta nel 2012 per l'anno in corso, l'IVIE è dovuta nel 2012 per l'anno precedente;
              b) discriminazione in relazione alla base imponibile. L'IVIE ha diversa base imponibile rispetto all'IMU. Infatti, mentre l'IMU si applica al valore catastale, nel caso dell'IVIE la base imponibile è definita come segue (si fa riferimento al punto 4.1 delle «Disposizioni di attuazione dei commi da 6 a 22 dell'articolo 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, come modificato dall'articolo 8, comma 16, del decreto legge 2 marzo 2012, n.  16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n.  44»): «Il valore è costituito dal costo risultante dall'atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui è situato l'immobile. Qualora l'immobile non sia più posseduto alla data del 31 dicembre dell'anno, si deve fare riferimento al valore dell'immobile rilevato al termine del periodo di detenzione. Per gli immobili acquisiti per successione o donazione il valore è quello dichiarato nella dichiarazione di successione o nell'atto registrato o, in mancanza, il costo di acquisto sostenuto dal de cuius o dal donante risultante dalla relativa documentazione o, in assenza di documentazione, il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l'immobile. Per gli immobili situati in Paesi appartenenti all'Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo che garantiscono un adeguato scambio d'informazioni, il valore è quello catastale, come determinato e rivalutato nel Paese in cui l'immobile è situato, assunto a base per la determinazione d'imposte reddituali o patrimoniali. Tale criterio si applica anche qualora gli immobili siano pervenuti per successione o donazione. In assenza del suddetto valore, si assume il costo risultante dall'atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l'immobile»;
          riassumendo, quindi, la discriminazione, in relazione alla base imponibile, si manifesta chiaramente su diversi piani:
              1)      discriminazione generale tra i possessori di immobili in Italia e possessori di immobili all'estero;
              2)      discriminazione tra i possessori di immobili in Paesi UE/SEE e possessori di immobili nel resto del mondo;
              3)      discriminazione tra i possessori di immobili in Paesi UE/SEE in cui esista un valore «catastale» utilizzato «ai fini dell'assolvimento di imposte di natura patrimoniale o reddituale» e i possessori di immobili in Paesi UE/SEE in cui tale valore non esista;
              4)      discriminazione tra i possessori di immobili per i quali esista un atto d'acquisto e possessori di immobili per i quali, in assenza dell'atto di acquisto, valga il valore di mercato;
              c) discriminazione in redazione a diversa, ovvero assente, controprestazione da parte dello Stato italiano. Una parte dell'IMU resta ai comuni, che possono provvedere con quel gettito alla fornitura dei servizi ai cittadini (strade, illuminazione, trasporti, e altro). Nel caso degli immobili all'estero tali servizi vengono forniti dai comuni locali, per i quali si pagano già delle imposte ad hoc, che variano profondamente da Stato a Stato, sia nell'entità sia nel principio con cui vengono calcolate. All'IVIE non corrisponde pertanto nessuna controprestazione da parte dello Stato italiano;
              d) discriminazione in relazione alla data di acquisto. Chi ha acquistato una casa all'estero venti anni fa si troverà a corrispondere un'imposta irrisoria rispetto a chi ha acquistato lo stesso immobile l'anno scorso. Come esemplificazione, ci si riferisce a due appartamenti nello stesso edificio, nelle stesse condizioni, delle stesse dimensioni: chi ha acquistato in tempi recenti dovrà versare una cifra anche 20 volte superiore rispetto a chi ha acquistato in tempi remoti;
              e) discriminazione in relazione al presupposto soggettivo. In Italia sono soggetti all'IMU sia le persone fisiche sia le società e gli enti mentre pagheranno l'IVIE solo le persone fisiche. Il cittadino che ha acquistato un immobile all'estero e lo ha regolarmente dichiarato nel modulo RW ora è tenuto a pagare questa imposta, mentre chi ha utilizzato società di comodo, magari acquisendo un gran numero di immobili, non dovrà nulla allo Stato italiano;
              f) discriminazione in relazione al datore di lavoro. Con l'introduzione del comma 15-bis sono state istituite delle agevolazioni che riguardano solo «i soggetti che prestano lavoro all'estero per lo Stato italiano, per una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale e le persone fisiche che lavorano all'estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l'Italia, la cui residenza fiscale in Italia sia determinata, in deroga agli ordinari criteri previsti dal Testo Unico delle imposte sui redditi, in base ad accordi internazionali ratificati». Non si tiene conto dei lavoratori all'estero freelance o alle dipendenze di imprese private;
          inoltre, l'IVIE contrasta, secondo gli interroganti, con il principio di libera circolazione dei capitali (Articolo 63) e con il principio di libera circolazione dei lavoratori (Articolo 45) all'interno dell'Unione europea. Per quanto riguarda la libera circolazione dei capitali appare abbastanza evidente che con l'IVIE, che grava in modo esorbitante sull'immobile acquistato all'estero, s'introduce un elemento che turba il mercato e con questo le scelte degli investitori che possono reputare non più conveniente acquistare immobili all'estero. L'IVIE si configurerebbe, quindi, come restrizione «indiretta» ai movimenti di capitali. Il capitale di fatto può «spostarsi» ma questo spostamento è gravato da un'imposta che può scoraggiare il titolare del capitale a tal punto da farlo rinunciare allo «spostamento»;
          per quanto riguarda, invece, la libera circolazione dei lavoratori, l'IVIE ostacola di fatto i cittadini stranieri che si trasferiscono in Italia e genera una doppia discriminazione:
              a) tra i cittadini stranieri in possesso d'immobili all'estero che si trasferiscono in Italia e i cittadini stranieri che non si trasferiscono in Italia, ma restano nel loro Paese d'origine o si recano in un Paese diverso dall'Italia;
              b) tra i cittadini stranieri in possesso d'immobili all'estero che si trasferiscono in Italia e i cittadini italiani che si recano in un Paese straniero con evidente penalizzazione dei primi in entrambi i casi  –:
          se i ministri interrogati non ravvedano la necessità di promuovere una revisione della normativa che presenta, ad avviso degli interroganti profili di dubbia costituzionalità per le discriminazioni sopra descritte e per i contrasti alla libera circolazione di beni e persone che inevitabilmente genera;
          quale sia il gettito previsto generato dall'IVIE in base alla norma vigente;
          quale fosse questo gettito al momento dell'introduzione dell'IVIE nel decreto «Salva-Italia», in quanto le modifiche apportate alla norma (differenziazione tra i Paesi UE/SEE e resto del mondo, introduzione della franchigia fino ad un importo di 200 euro) hanno sicuramente generato una significativa riduzione del gettito finale;
          nel caso in cui il valore dell'immobile sia costituito dal costo risultante dall'atto di acquisto o dai contratti, come ci si debba regolare quando l'importo è espresso in valute non più in circolazione, magari da secoli, e chi debba effettuare il cambio in euro e secondo quali principi/tabelle;
          nel caso in cui l'imponibile sia calcolato «secondo il valore di mercato (...) rilevabile nel luogo in cui è situato l'immobile», quale sia il soggetto deputato a calcolare tale valore di mercato;
          se, nel caso in cui, invece, «il valore dell'immobile è quello catastale» (per Paesi UE/SEE), come ci si debba regolare, posto che il concetto di «valore catastale» in molti Paesi non esiste nemmeno e che in molti Paesi il valore utilizzato «ai fini dell'assolvimento d'imposte di natura patrimoniale o reddituale» non è un valore «catastale». (4-16767)


      LO MONTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da tempo si è posta l'attenzione sulla situazione di particolare criticità in cui si trova la regione Sicilia, con particolare riferimento al funzionamento degli ambiti territoriali ottimali (ATO) in base ai quali è organizzata, ai sensi dell'articolo 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, la gestione dei rifiuti urbani;
          con la legge 8 aprile 2010 n.  9 la regione Sicilia ha disposto la messa in liquidazione dei 27 ATO rifiuti che, per effetto della riforma, dovranno essere soppressi e sostituiti da 9 consorzi e società di ambito;
          l'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità con la circolare n.  2 del 16 dicembre 2010 che da attuazione alla legge di cui sopra, si è previsto che i liquidatori e gli eventuali commissari delle ATO, sino al definitivo avvio del servizio di gestione integrata dei rifiuti, sono tenuti a garantire la continuità del servizio e al pagamento dei debiti;
          con riferimento alla società Belice Ambiente Spa ATO TP2, situata nel comune di Castelvetrano in provincia di Trapani, posta in liquidazione nel luglio del 2010 si deve evidenziare come la condotta gestionale si sia contraddistinta negativamente con riferimento al mancato rispetto delle norme previste per la tutela e la salute dei cittadini residenti nell'area, e per la gestione amministrativa e contabile di poca trasparenza;
          un esposto denuncia di presunto danno erariale, con abuso d'ufficio e falso in atto pubblico, nei riguardi della sopra citata società, è stato recentemente presentato da parte della provincia regionale di Trapani, attraverso un consigliere in carica dell'ente, in cui si evidenziano irregolarità nell'ambito delle modalità con le quali sono avvenute una serie di assunzioni e dei livelli di inquadramento del personale all'interno della stessa società, nonché dell'affidamento diretto e in maniera fiduciaria nei confronti di una società interinale, «Manpower», per l'assunzione di operatori ecologici, la cui procedura risulta in evidente contraddizione con quanto previsto dalla normativa regionale n.  2 del 2007, che impone le procedure di evidenza pubblica per le società e le ATO, per le assunzioni di nuovo personale;
          il medesimo esposto-denuncia riporta, inoltre, che l'affidamento diretto alla suesposta società «Manpower», attraverso diversi contratti di somministrazione per un ammontare di oltre 3 milioni di euro ed un costo orario aggiuntivo pari a 4,77 euro più IVA, ha determinato alla società Belice Ambiente, il cui capitale sociale è interamente pubblico, un presunto danno di 1 milione di euro;
          ulteriori aspetti poco nitidi e pertanto meritevoli di approfondimento, da parte delle autorità giudiziarie si evidenziano dalla situazione complessiva della medesima società Belice Ambiente, di estrema gravità finanziaria come si evince dai bilanci societari, causata sia da un aumento, vertiginoso del numero di personale all'interno della struttura, sia dalla pregressa gestione deficitaria conclusasi con un'indagine giudiziaria a seguito dell'emissione di fatture false per circa 12 milioni di euro;
          dalle informazioni assunte in Società, direttamente dal liquidatore, è emerso che già nel dicembre del 2010 si poteva rilevare che mentre la massa debitoria inserita nei bilanci era rispondente al vero, la massa creditoria era «costruita» in modo artificiale principalmente su tre aspetti:
              a) crediti TIA. L'ammontare dei crediti TIA 2005 – 2009 non è mai stato veritiero in quanto la banca dati utenti, in possesso della società, nonostante i cittadini abbiano regolarizzato la propria posizione innumerevoli volte, è viziata da «errori» (nuclei familiari, mq utenze, utenti registrati più volte). Inoltre è significativa la nota vicenda giudiziaria che accusa la passata gestione di aver emesso bollette ad utenze false per circa 12 milioni di euro. Tale dato è approssimativo in quanto la quantificazione certa è stata affidata ad un collegio di periti nominati dalla procura di Palermo;
              b) crediti derivanti dalla lotta all'elusione ed evasione TIA: anche questi crediti derivanti dalla lotta all'elusione, affidata alla Maggioli Tributi SPA, non rispondono al vero ammontare creditorio. Il lavoro della Maggioli tributi è contestabile in quanto sembra che si sia voluto raggiungere la quota di 6 milioni di accertamenti per fa scattare gli indennizzi maggiori, tant’è che tutt'oggi sono in corso innumerevoli contestazioni sugli accertamenti;
              c) contratti di servizio con i comuni soci: i comuni soci hanno sottoscritto nel 2009 i nuovi contratti, con decorrenza dal 2010, ma senza specificare alcuni dati importanti come: il calcolo delle indennità previste dalla legge e dal contratto per i lavoratori, i costi aggiuntivi per il lavoro notturno eccetera;
          tutto ciò ha comportato che il bilancio di esercizio 2010 è stato approvato con una perdita di esercizio di circa 15 milioni di euro. In tale assemblea i soci avevano deciso di determinare le modalità di copertura della perdita entro il bilancio successivo, ma non risulta nessuna proposta da parte di nessun comune socio;
          scoperture bancarie per oltre 5 milioni di euro, trattamento di fine rapporto ai dipendenti non pagato dal giugno del 2007, tributo provinciale per 892 mila euro mai restituito alla provincia di Trapani, debiti tributari per oltre 5 milioni di euro, debiti verso istituti di previdenza per oltre 2 milioni di euro, mancato versamento alla regione di oltre 2 milioni di euro (relativo al tributo speciale ecotassa), debiti milionari nei confronti dei fornitori, eccetera sono aspetti inquietanti e allarmanti  –:
          quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative intendano tempestivamente adottare, nell'ambito delle proprie competenze, in relazione alle garanzie previste dall'ordinamento con specifico riguardo al controllo di costi e buon andamento della pubblica amministrazione. (4-16770)


      ROSATO, STRIZZOLO e MARAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          le aree di confine soffrono la concorrenza dei prezzi praticata nei Paesi vicini dai negozianti che, godendo di una tassazione inferiore a quella italiana, offrono gli stessi prodotti presenti nel mercato italiano a condizioni più vantaggiose a grave danno e a discapito degli operatori nazionali che non possono competere parimente con il concorrente d'oltre confine;
          dal 2006, nelle zone di Trieste e Gorizia il settore dei distributori di carburante è in crisi: il 2011 si è chiuso con il dimezzamento delle vendite in confronto al 2010, mentre a gennaio 2012 il calo rispetto al medesimo periodo dello scorso anno è stato del 68 per cento. Il crollo delle vendite ha costretto molti gestori a procedere con i licenziamenti, si sarebbero persi oltre 120 posti di lavoro in quattro anni;
          la differenza di prezzo tra quello applicato in Slovenia, rispetto a quello applicato in Italia comporta, infatti, un quotidiano esodo di residenti alle stazioni di carburante poco oltre confine per effettuare i propri rifornimenti, e questo è motivo di minori introiti per i gestori nazionali e minori entrate per lo Stato: secondo la Federazione italiana gestori impianti stradali di carburante tra mancato incasso di accise e Iva la perdita per l'erario è nell'ordine di 500 milioni in due mesi per tutta la regione;
          a tal fine il comma 16-bis dell'articolo 13 dei decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16, così come convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n.  44, ha previsto l'istituzione presso il Ministero dell'economia e delle finanze di un Fondo denominato «Fondo per la valorizzazione e la promozione delle realtà socioeconomiche delle zone appartenenti alle regioni di confine» al quale è stato attribuito una dotazione di 20 milioni di euro per l'anno in corso;
          la medesima norma disciplina che l'individuazione delle regioni beneficiarie nonché le modalità di erogazione del Fondo saranno stabilite con decreto del Ministero presso al quale il fondo è istituito;
          l'erogazione del fondo è molto attesa dai gestori di carburante nelle zone di Trieste e Gorizia, che stanno perdendo quotidianamente fatturato a causa della competitività dei gestori stabiliti in Slovenia  –:
          entro quale termine ritengano possa essere emanato il decreto ministeriale di attuazione al succitato comma 16-bis, e quali tempistiche sono previste per l'erogazione delle risorse alle regioni beneficiarie. (4-16776)


      NICOLA MOLTENI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Monte dei Paschi di Siena ha reso noto il piano industriale 2012-2015: il documento prevede un utile netto consolidato a fine periodo di 630 milioni di euro da raggiungere attraverso una razionalizzazione dell'intero gruppo con incorporazione di tutte le controllate e la chiusura sul territorio di 400 filiali su un totale di 2.900;
          sul fronte della riduzione dei costi, il consiglio di amministrazione dell'istituto prevede una riduzione della base dei costi del 16 per cento nel quadriennio ed una riduzione complessiva di oltre 4.600 posti di lavoro, «in un percorso socialmente sostenibile»; l'obiettivo è di cedere asset corrispondenti a 1.200 dipendenti e di esternalizzare alcune attività di back-office per circa 2.300 dipendenti «preservando i livelli occupazionali del personale coinvolto»; sarà, inoltre, incentivato l'esodo per coloro che hanno maturato il diritto alla pensione e verrà ridotto del 20 per cento il numero dei dirigenti, con un taglio del 5 per cento della retribuzione per un anno;
          MPS ha comunicato di aver avviato le procedure per emettere entro l'anno uno «strumento di patrimonializzazione governativo» per 3,4 miliardi di euro di cui 1,5 miliardi verranno sottoscritti direttamente dal Ministero dell'economia e della finanze, mentre la parte restante sarà destinata al rimborso dei «Tremonti bond» in essere. Il rimborso di circa 3 miliardi di tale strumento è previsto entro la fine del piano nel 2015;
          la comunicazione è in linea con la decisione del Consiglio dei ministri, che, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, ha approvato misure urgenti per l'incremento della dotazione patrimoniale di Monte dei Paschi di Siena; la Banca d'Italia ha infatti comunicato che, a seguito delle perdite conseguite nel quarto trimestre del 2011 e delle azioni intraprese dalla banca, il fabbisogno patrimoniale da colmare per raggiungere gli obiettivi di patrimonializzazione imposti dall'EBA ammonterebbe ad una cifra compresa tra 1,3 e 1,7 miliardi di euro; il Ministero dell'economia e delle finanze quindi sottoscriverà fino ad un massimo di 2 miliardi di euro di nuovi strumenti finanziari di patrimonializzazione per far fronte all'insufficienza delle manovre messe in campo del management per rafforzare il patrimonio;
          nonostante le difficoltà oggettive che l'istituto sta vivendo, MPS, tramite anche la Fondazione, continua ad essere soggetto attivo nella promozione del territorio di appartenenza, attraverso iniziative culturali, ma anche sportive di tutto rilievo: il supporto alla squadra di pallacanestro di Siena è un esempio, con un impegno finanziario di diversi milioni di euro in ogni stagione, a dispetto delle necessità di ricapitalizzazione e dell'emissione del 2009 di circa 2 miliardi di euro di «Tremonti bond»  –:
          se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, ove necessario anche di carattere normativo, per assicurare che la sottoscrizione di nuovi strumenti finanziari di patrimonializzazione avvenga con modalità tali da evitare casi come quello descritto in premessa in cui le necessità di ricapitalizzazione dell'istituto di credito, coperte dallo Stato, difficilmente si conciliano, ad avviso dell'interrogante, con il forte sostegno economico a favore di squadre sportive professioniste, anche considerando che nei prossimi quattro anni 4.600 persone perderanno la propria occupazione all'interno del gruppo bancario.
(4-16781)


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          è notizia recente che il fisco starebbe per rimborsare ai concessionari dei giochi un tesoretto da 233 milioni di euro, il cui 7 per cento dovrebbe andare a Snai, gruppo leader nelle scommesse sportive, ippiche, giochi online in denaro, poker, casinò, skill games, Bingo, win for life;
          Festa Snai è una società controllata di Snai che si occupa di servizi di call center in «outbound» e «inbound» con sedi a Roma e a Lucca;
          recentemente la società Festa Snai ha avviato una procedura di cassa integrazione per undici dipendenti della sede di Roma;
          nella primavera del 2011, l'azienda ha sottoscritto con la Fistel Cisl un accordo aziendale in sostituzione dei contratti esistenti. Nel corso della trattativa dodici dipendenti a tempo indeterminato inquadrati nel contratto nazionale Commercio hanno rifiutato di passare alla contrattazione aziendale, peggiorativa. Questi dipendenti furono inviati in trasferta a tempo indeterminato a Lucca, anche persone in maternità e con il regime della legge 104 per l'assistenza ai disabili (regimi incompatibili per legge con qualsivoglia tipo di trasferta) e poi sospesi dal lavoro;
          grazie all'interessamento dei sindacati e del tribunale del lavoro i dodici dipendenti sono stati rinseriti nel mese di novembre 2011 nel proprio posto di lavoro. Una delle persone in questione si è licenziata;
          a gennaio 2012 l'azienda Festa Snai nell'ambito di una ristrutturazione aziendale annuncia la procedura di mobilità per undici persone;
          a quanto si apprende da un lancio AgenParl del 12 giugno 2012 le persone in cassa integrazione di Festa Snai sono le stesse che un anno fa hanno rifiutato il contratto aziendale. Inoltre, a quanto si apprende dall'AgenParl l'azienda nonostante l'erogazione della cassa integrazione sta continuando ad assumere personale;
          a parere dell'interrogante, a fronte delle decine di lavoratori impiegati in Snai, è quantomeno singolare che la procedura di mobilità abbia toccato gli stessi lavoratori con i quali l'azienda controllata Festa Snai ha perso diverse cause in sede civile e con i quali è in atto un procedimento penale per estorsione presso il tribunale penale di Roma  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa;
          se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda avviare tutte le procedure del caso volte a verificare i requisiti di accesso alla cassa integrazione, visto che l'azienda sta continuando ad assumere personale, quando a parere dell'interrogante potrebbe rimpiegare le undici unità;
          se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non ritenga che ci sia un particolare accanimento nei confronti di questi undici lavoratori che hanno rifiutato il contratto aziendale;
          se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga opportuno, alla luce di quanto esposto in premessa, di rivedere le concessioni di Snai alla luce di un comportamento poco chiaro che l'azienda ha con i suoi lavoratori e di un eventuale danno erariale che Snai, attraverso la controllata Festa, starebbe perpetrando ai danni dell'Inps che eroga cassa integrazione a undici persone, mentre la società sta continuando ad assumere personale. (4-16786)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


      MONTAGNOLI, MARTINI, BRAGANTINI e NEGRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          a partire dall'insediamento di questo Esecutivo si sta assistendo a liberalizzazioni selvagge e alla rottamazione della giustizia che si sta verificando con l'adozione di provvedimenti di revisione della geografia giudiziaria, secondo gli interroganti, arbitrari ed anomali;
          la politica di revisione della geografia giudiziaria del Governo Monti deriva da scelte secondo gli interroganti irrazionali che si riveleranno perdenti e, in merito, i numeri sono esemplificativi dato che si intende chiudere più di 600 uffici di giudici di pace rispetto a un'esigenza reale di meno di 200, mentre si intendono sopprimere 160 sezioni distaccate rispetto a meno di 40 necessarie;
          oltretutto la totale soppressione delle sezioni distaccate e di un cospicuo numero di tribunali non capoluogo di provincia si pone in netto contrasto con i principi contenuti nella delega 138/2011 varata dal precedente Esecutivo, perché ignora in maniera rilevante il criterio di ridistribuzione territoriale che, assieme agli altri parametri individuati in estensione territoriale, infrastrutture, criminalità, costituivano il punto essenziale della normativa dello scorso agosto 2011;
          la motivazione sottesa a questa scelta inutile dell'Esecutivo Monti è quella di fare solo «cassa» nell'immediato;
          un esempio è rappresentato dalla decisione di eliminare il tribunale di Legnago, che nell'amministrazione della giustizia locale ha già perso il giudice di pace, per inglobarlo nel tribunale di Rovigo;
          la logica sottesa al progetto governativo è quella di salvare i tribunali che si trovano in città che fanno provincia, anche a discapito di quelli che gestiscono, in proporzione, una mole di lavoro maggiore e portano a compimento una mole di cause in tempi più brevi;
          uno dei tribunali da salvare era appunto Rovigo, che non raggiungeva la quota abitanti di 100 mila necessaria per sopravvivere secondo i nuovi parametri del decreto-legge del 13 agosto del 2011;
          attraverso la disposta soppressione, Legnago trasferirà a Rovigo i suoi 27 comuni e circa 160 mila abitanti, ovvero quasi il doppio di una sezione distaccata media, il personale di magistratura ed amministrativo che attualmente lavora nel presidio giudiziario, oltre alla mole di procedimenti pendenti;
          il tribunale di Legnago ha sempre dato prova di efficienza ed attualmente cura la trattazione di circa 1.000 cause civili ordinarie, circa 700 cause speciali all'anno, oltre 300 cause penali, tutte chiuse in tempi dimezzati rispetto a sedi più gradi;
          la soppressione del tribunale di Legnago avrà forti ripercussioni sull'economia locale e priverà i cittadini del servizio giustizia, dato che molti saranno indotti a rinunciare alla tutela costituzionalmente garantita dei propri diritti in una sede come quella di Rovigo, quando una scelta basata su criteri più razionali e pertinenti avrebbe dovuto suggerire come più opportuno l'inglobamento nel tribunale di Verona;
          si esprimono forti perplessità per il metodo non particolarmente condivisibile con cui si dispone la soppressione del tribunale di Legnago, peraltro già oggetto di segnalazione con precedente interrogazione n.  4-14951 presentata in data 16 febbraio 2012, rispetto alla quale l'Esecutivo a tutt'oggi non ha fornito risposta  –:
          se il Ministro della giustizia non ritenga che attraverso un metodo di lavoro più partecipativo si possano raggiungere risultati migliori per rivedere la geografia giudiziaria senza comprimere il diritto costituzionale alla giustizia dei cittadini;
          se il Ministro, in quanto componente di un Esecutivo tecnico, non ritenga indispensabile soprassedere alla chiusura dei tribunali che oltre a costituire una scelta, secondo gli interroganti, irrazionale, inutile e un grave errore per il funzionamento della macchina giudiziaria, dovrebbe imporre la necessaria considerazione delle componenti istituzionali, politiche, economiche e sociali di ciascun territorio prima di procedere alla soppressione di centinaia di tribunali cosiddetti minori;
          se il Ministro non valuti l'opportunità di soprassedere alla chiusura del tribunale di Legnago, optando in subordine, per una diversa ipotesi di riequilibrio territoriale come chiesto dagli interroganti;
          quali specifiche iniziative si ritenga di adottare in merito e in quale arco temporale. (4-16764)


      STASI e CESARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          tra le decisioni che il Governo dovrebbe assumere per contenere le spese sarebbe prevista la riorganizzazione degli uffici giudiziari attraverso probabili «tagli orizzontali» che dovrebbero interessare l'intero territorio nazionale;
          tale scelta porterà alla chiusura e alla scomparsa delle sezioni distaccate di numerosi tribunali che, in molte aree del Paese, rappresentano un simbolo di legalità e un forte presidio istituzionale;
          in alcuni casi, tale chiusura rischia di creare, se non saranno fatte scelte più accurate, vere e proprie discriminazioni nei confronti dei cittadini in virtù del territorio di residenza;
          in particolare, per gli abitanti delle isole italiane, come nel caso di Ischia e Capri, se questa decisione dovesse diventare realtà, si verrebbero a determinare, soprattutto nel periodo invernale, disagi insuperabili e l'impossibilità di usufruire del principio di diritto di prossimità della giustizia  –:
          se non si ritenga necessario effettuare un'analisi più attenta in materia di contenimento delle spese, stante il ruolo importante e fondamentale che, in molte aree del Paese, svolgono le sezioni distaccate dei tribunali;
          se non si ritenga opportuno, in particolare, per le piccole isole, come appunto potrebbe essere il caso di Ischia e Capri, rivedere tale decisione al fine di non «discriminare» in maniera ingiustificata cittadini italiani che, solo perché residenti in territorio insulare, si vedrebbero privati di un loro diritto costituzionale, prevedendo, nel caso, che quantomeno siano preservati dai «tagli» gli indispensabili uffici giudiziari ivi localizzati. (4-16765)


      GASBARRA, TOUADI, FERRANTI e AMICI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la legge 14 settembre 2011 n.  148, che ha convertito il decreto-legge 13 agosto 2011, contiene, come è noto, una delega che il Governo deve esercitare entro un anno, per la riorganizzazione degli uffici giudiziari di primo grado al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
          l'efficienza del sistema giudiziario presuppone sicuramente un'adeguata distribuzione sul territorio nazionale degli uffici giudiziari, la cui configurazione risale alla legge Rattazzi del 1859, ma si tratta di uno soltanto dei presupposti necessari per la realizzazione di un sistema giudiziario efficiente: obiettivo, questo, che richiede una sinergia di azioni complementari;
          in particolare, per il territorio della regione Lazio si avverte la necessità di procedere con un adeguamento alla razionalizzazione della distribuzione territoriale degli uffici giudiziari, facendo però in modo che tale processo tenga in considerazione e rispetti le specificità territoriali, oltre che la valorizzazione professionale del personale giudiziario e delle risorse organizzative esistenti;
          rimettere mano alle circoscrizioni vuol dire soprattutto per quanto riguarda la regione Lazio ridefinire il tribunale metropolitano di Roma e cercare di dare ai cittadini una risposta ad una domanda di giustizia efficace, che deve fare i conti con leggi sempre più complesse che impongono una maggiore specializzazione e organizzazione degli uffici giudiziari;
          pur ritenendo necessaria una riforma che razionalizzi il sistema in maniera più funzionale, si sostiene con fermezza, in base ai dati forniti dal presidente della corte d'appello di Roma nella sua relazione in sede di inaugurazione dell'anno giudiziario, la necessità di evitare la soppressione;
          del tribunale sezione distaccata di Ostia, che ha un bacino di utenza di 226.084 residenti ufficiali, e manifesta una forte criticità nel settore della cognizione civile, con elevati carichi in entrata e un enorme numero di cause di locazione per morosità, per i disagi che causerebbe all'utenza, ai lavoratori e soprattutto al tribunale di Roma, quale ufficio accorpante;
          del tribunale sezione distaccata di Anzio e del giudice di Pace di Anzio, che distano da Velletri 37 chilometri e sono mal collegati; in caso di chiusura, è preferibile l'accorpamento a Latina invece di Velletri (minore distanza e miglior collegamento), tribunale nel quale resta elevato il numero delle sopravvenienze del contenzioso (18.180 contro i precedenti 19.993): vi è però un elevato numero di procedimenti definiti (18.545 contro i precedenti 19.008), che ha consentito di diminuire le pendenze (da 37.142 a 36.777); le controversie più frequenti riguardano le cause di diritto di famiglia e le procedure esecutive mobiliari e immobiliari. Nella sezione lavoro del tribunale di Velletri si segnala inoltre una sopravvenienza di 4.895 cause (rispetto alle precedenti 4.269), bilanciata da 4.852 procedimenti esauriti contro i precedenti 5.220. Le pendenze sono sostanzialmente stabili: da 13.854 a 13.897;
          delle due sezioni di tribunale e degli uffici del giudice di pace di Terracina e Gaeta, che coprono in modo equilibrato la Provincia così da garantire ogni 40 km circa un presidio di giustizia;
          della sezione di Poggio Mirteto per la provincia di Rieti, prevedendo un eventuale accorpamento di Amatrice ad Ascoli Piceno;
          della sezione del tribunale di Palestrina, in quanto il circondario di Tivoli comprende 74 comuni per un totale di circa 450.000 abitanti;
          dei seguenti Tribunali, per i quali si riportano i dati citati dal presidente della corte d'appello del Lazio;
          il tribunale di Cassino, che vede sostanzialmente inalterato il numero delle pendenze dei procedimenti civili (12.307 contro i precedenti 11.911); le sopravvenienze sono diminuite rispetto all'anno precedente (7.978 contro 8.441) e diminuisce anche il numero dei procedimenti definiti (7.582 contro 8.100);
          il tribunale di Civitavecchia, nel quale diminuiscono dell'8 per cento le sopravvenienze, mentre restano stabili le pendenze (+0,5 per cento) perché è diminuito il numero dei procedimenti definiti (-2,8 per cento); allarmante il numero elevato delle iscrizioni a ruolo dei procedimenti di cognizione ordinaria (1.626), in aumento anche i giudizi contenziosi e consensuali nel diritto di famiglia;
          il tribunale di Frosinone, nel quale si riscontra un lieve decremento dei procedimenti iscritti (10.211 contro i 10.794 dell'anno precedente), mentre aumentano di poco i procedimenti definiti (da 10.660 a 10.863);
          il tribunale di Latina, che vede diminuire il numero dei procedimenti civili pendenti (da 37.858 a 36.804), mentre in quello di Rieti, alla data del 30 giugno 2011, pendevano 5.699 procedimenti civili, di cui 4.829 presso la sede centrale e 870 presso la sezione distaccata di Poggio Mirteto;
          il tribunale di Tivoli, ove sono stati iscritti 22.514 procedimenti civili (+6 per cento) e le sentenze pubblicate sono state 6.128; il contenzioso è costituito prevalentemente da cause in materia di diritto di famiglia, di diritti reali, di fallimenti e di procedure concorsuali;
          si riportano infine i dati sulle controversie in materia di lavoro e previdenza nei tribunali del Lazio;
          nel tribunale di Roma aumentano le sopravvenienze totali delle controversie in materia di lavoro (da 17.278 a 20.370), tra le quali quelle sul pubblico impiego salgono da 1.862 a 2.684), mentre diminuiscono quelle in materia di previdenza e assistenza (da 12.529 a 11.454);
          nel tribunale di Cassino vi è un decremento delle sopravvenienze (da 1.818 a 1.615) e delle pendenze (3.961 contro 4.220);
          resta elevato il numero delle iscrizioni a ruolo dei procedimenti in materia di lavoro nel tribunale di Civitavecchia, dove si assiste ad un ribaltamento delle percentuali delle cause di previdenza e di lavoro in senso stretto, che passano al 75 per cento rispetto alle prime: si nota un aumento delle controversie che riguardano i contratti di lavoro a tempo indeterminato;
          nel tribunale di Frosinone aumentano da 2.639 a 2.738 le sopravvenienze in materia di lavoro, previdenza e assistenza;
          nel tribunale di Latina i procedimenti iscritti in materia di lavoro e previdenza resta stabile (circa 5.000), mentre l'attività di definizione dei provvedimenti è leggermente inferiore al passato;
          nel tribunale di Rieti il contenzioso giuslavoristico, cui è addetto un solo magistrato, riguarda per il 60 per cento la previdenza e l'assistenza e per il 40 per cento i rapporti di lavoro (tra essi quadruplica quello sul pubblico impiego privatizzato);
          nel tribunale di Tivoli, al 30 giugno 2011 erano pendenti 6.707 procedimenti, di cui 1.570 in materia di lavoro e i restanti in materia previdenziale;
          nella sezione lavoro del tribunale di Velletri si segnala una sopravvenienza di 4.895 cause (rispetto alle precedenti 4.269), bilanciata da 4.852 procedimenti esauriti contro i precedenti 5.220: le pendenze sono sostanzialmente stabili: da 13.854 a 13.897;
          diminuisce il flusso delle cause di lavoro nel tribunale di Viterbo, con 1.277 cause nuove rispetto alle 1.552 del periodo precedente: alto il numero delle cause definite (1.770), che ha fatto diminuire il numero delle pendenze da 1.696 a 1.273;
          la criticità che pervade la regione Lazio, come si evince dai dati sopra riportati, in ordine al bacino d'utenza, alla forte presenza della criminalità, a problemi logistici e alla distanza tra le diverse sedi soppresse e le altre accorpate, consiglia una seria riflessione sul progetto di revisione della geografia giudiziaria, valutando le conseguenze di un oggettivo peggioramento del servizio giustizia a fronte di risparmi economici di scarsa entità  –:
          se il Ministro interrogato non intenda avviare una discussione ampia e condivisa delle linee guida sulla base delle quali esercitare la delega;
          se non intenda garantire l'individuazione di criteri oggettivi e razionali, che tendano alla valorizzazione e non al taglio lineare degli uffici giudiziari. (4-16766)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 27 giugno 2012 sul Corriere Veneto è apparso un articolo intitolato: «Inquinamento, udienza nel 2013 ma i reati saranno tutti prescritti»;
          alla luce dei contenuti allarmanti contenuti nel citato articolo di giornale, la prima firmataria del presente atto ritiene opportuno riportarne integralmente il contenuto: «Venezia – Alla data del dibattimento in aula, nel gennaio 2013, i reati saranno già tutti caduti in prescrizione. Il processo in questione è quello nei confronti di Fabrizio Cappelletto (che aveva poi patteggiato), e altri, imputato per reati ambientali (l'utilizzo di cemento, tossico, ricavato da fanghi industriali non adeguatamente trattati sulla tratta della linea ad alta velocità in costruzione ad Arino di Dolo) riconducibili alla Ditta C&C di Malcontenta e Pernumia e condannato in primo grado insieme ad altri nel 2009. I reati per cui è stato condannato, però, al momento del dibattimento di secondo grado in Corte d'Appello, saranno già prescritti. La segnalazione diretta al Presidente del Tribunale di Venezia Arturo Toppan, arriva dall'avvocato Elio Zaffalon, legale della parte civile del Comune di Monselice che parla di totale impunità per fatti pur gravissimi di inquinamento ambientale. Nella pratica secondo l'avvocato a determinare la situazione sono stati dei ritardi burocratici. Primo fra tutti quello connesso alla notifica agli imputati e ai responsabili civili della sentenza di primo grado, per cui la cancelleria avrebbe impiegato quasi due anni. Ma neppure quando il fascicolo è arrivato in Corte d'Appello, secondo l'avvocato le tempistiche non sono affatto cambiate. L'udienza è stata fissata infatti solo dopo un sollecito scritto, per lunedì scorso (25 giugno 2012), tenendo conto della scadenza della prescrizione, in agosto 2012, essendo stato il sequestro preventivo degli impianti eseguito nel febbraio 2005. Durante l'udienza, le difese hanno però eccepito l'omessa notifica degli appelli alle parti civili, e il dibattimento è stato allora rinviato (la corte ha ordinato la restituzione degli atti al tribunale per l'effettuazione delle notifiche mancanti) al 28 gennaio 2013, data in cui però, tutti i reati saranno prescritti. Le disposizioni civili, invece saranno ineseguibili per la nullatenenza degli imputati e dei responsabili civili. Quindi, nella pratica, non saranno perseguibili. Una situazione, questa, secondo l'avvocato, di incuria pesante, tale da non poter essere ignorata»  –:
          se i fatti riportati in premessa corrispondano al vero;
          quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di verificare la correttezza sotto il profilo disciplinare delle condotte dei magistrati che – in primo grado ed in appello – si sono dedicati a questa vicenda, nonché dei funzionali di cancelleria responsabili della notifica della sentenza di primo grado agli imputati e alle parti civili. (4-16803)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MONAI, DI GIUSEPPE e ZAZZERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          come denunciato sul sito del quotidiano Repubblica.it, le Ferrovie dello Stato italiane, tramite la società Trenitalia spa starebbero omettendo informazioni sulle proprie offerte di viaggio, arrivando ad oscurare, sulle pagine del proprio sito internet www.trenitalia.it che è il massimo strumento di propaganda ed il principale mezzo di prenotazione ed acquisto dei biglietti ferroviari, alcuni treni regionali realmente esistenti, notoriamente economici, così da indurre all'acquisto di alternative più costose, quali i treni ad alta velocità denominati Frecciarossa e Frecciargento. Questo comportamento coinvolgerebbe tutto il piano orari nazionale, con particolare disagi per i collegamenti del meridione d'Italia, già vessato da un servizio ferroviario tanto antiquato quanto carente;
          all'indomani del plateale annuncio fatto dall'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane, ingegner Moretti, secondo cui dal 2013 potrebbe saltare il trasporto pubblico locale, appare quantomeno sospetto il metodo propagandistico attraverso il quale si sta continuando a incentivare le «Frecce», in spregio alle regole di trasparenza e completezza delle informazioni, e in danno alle esigenze dei pendolari;
          dall'esempio riportato da Repubblica.it, oggi è sufficiente digitare sul sito di Trenitalia la richiesta di un treno da Foggia a Bari, con indicazione di orario di partenza dalle 8 del mattino, per sapere che il primo treno utile, che risulta essere anche l'unico della mattina, cioè l'unico in quattro ore, è il regionale delle ore 10:15, con arrivo alle ore 12:19, che impiega quindi ben 2 ore e 4 minuti per coprire la distanza di un centinaio di chilometri, e che non raggiunge neanche la stazione centrale, ma la fermata di Bari Santo Spirito;
          appare limitativo e reticente che non siano state previste le restanti tre fermate che porterebbero il collegamento fino alla stazione di Bari centrale; infatti, ad una più attenta analisi del sito, le fermate ci sono, solo che non si vedono, sono state nascoste. Il treno regionale arriva realmente a Bari centrale alle ore 12:37, fermandosi come tradizione anche a Bari Palese, Macchie e Bari zona industriale. Sul portale, però, non c’è traccia di queste fermate e anche nelle stazioni citate, il cartello degli orari non risulta aggiornato; identica situazione per quanto riguarda il funzionamento delle biglietterie al self service delle partenze. Per avere un quadro completo bisogna spulciare sul portale e indirizzarsi sulla dettagliata sezione Fsnews, dove è presente un documento in pdf che riporta le «reali» modifiche della circolazione, oltre alle «reali fermate»;
          che si tratti di un errore del sito web Trenitalia, o che Trenitalia ometta le informazioni sulle fermate esistenti per promuovere la vendita di biglietti sul treno successivo indicato sull'orario, cioè del Frecciargento che parte da Foggia alle 11:45 e arriva a Bari centrale alle 12:48, in poco più di un'ora di viaggio, senza cambi e con meno fermate intermedie, il tutto al costo di 21 euro, contro gli iniziali 8,40 euro del regionale non è dato sapere  –:
          se il Ministro intenda adoperarsi perché le Ferrovie dello Stato italiane garantiscano una migliore e più completa informazione all'utenza sulle offerte di viaggio nelle diverse tipologie di servizio, di costo e di concreta operatività, anche precisando l'obbligo di fornire alla clientela adeguate informazioni su treni rientranti negli obblighi di servizio pubblico e rispetto ai quali Trenitalia percepisce contributi dallo Stato o dalle regioni.
(5-07228)


      GINEFRA, TULLO, VICO, CAPANO, BORDO, GRASSI, CONCIA, MASTROMAURO, SERVODIO, BOCCIA e LOSACCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nell'anno 2004, l'autorità portuale, all'epoca retta dal presidente dottor Tommaso Affinita, dopo aver costituito la Bari Porto Mediterraneo srl, affidava in concessione alla stessa società (di cui lo stesso Affinita si era nominato al contempo, molto «opportunamente», presidente e amministratore delegato con pieni poteri), la gestione della stazione marittima e del terminal crociere del porto di Bari unitamente a taluni servizi di supporto ai passeggeri;
          la deliberazione di costituzione (n.  5 in data 16 giugno 2004) fu adottata in una situazione di palese conflitto di interesse in quanto molti dei componenti del comitato portuale che presero parte a tale decisione sono poi, direttamente o indirettamente, entrati a far parte della stessa società, e alcuni di essi hanno addirittura ricoperto la carica di amministratori;
          successivamente, con il cambio al vertice dell'autorità portuale, emergeva l'illegittimità del procedimento amministrativo volto alla costituzione della società e all'apertura del capitale sociale a terzi, in dispregio delle imperative procedure di evidenza pubblica. E per di più con grave nocumento agli interessi erariali della stessa autorità. Tant’è che presso la procura della Repubblica del Tribunale di Bari è pendente un procedimento per l'accertamento delle responsabilità penali, mentre la procura regionale della Corte dei conti ha aperto un fascicolo per l'accertamento del danno erariale;
          pertanto l'autorità portuale, all'esito di un accurato e trasparente iter procedimentale (nel corso del quale si è provveduto ad acquisire, fra l'altro, il parere dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, e la perizia di un advisor), annullava d'ufficio l'affidamento della concessione (deliberazione del comitato portuale 19 febbraio 2009, n.  1/2009);
          le decisioni del giudice amministrativo di prime cure (sentenza TAR Puglia-Bari, III Sez., n.  440 depositata il 2 marzo 2009) e del Consiglio di Stato (sezione VI, decisione 4812/2009) confermavano la legittimità del provvedimento di annullamento. Il Consiglio di Stato, in particolare ha condiviso integralmente le motivazioni contenute nel provvedimento di autotutela confermando, in via definitiva, la piena legittimità e l'efficacia della deliberazione di annullamento d'ufficio. Sempre secondo il Consiglio di Stato, l'illegittimo affidamento aveva determinato «conseguenze patrimoniali negative per l'Autorità portuale accertate e quantificate sulla base dello studio redatto dall’Advisor Rialp S.r.l.»;
          le illegittimità dell'operazione Bari Porto Mediterraneo S.r.l. (oltre ad essere constatate nel parere della Avvocatura distrettuale dello Stato e rilevate dai giudici amministrativi), sono state evidenziate dalla magistratura contabile territorialmente (procura regionale della Corte dei conti per la Puglia) che ha rilevato come le anzidette illegittimità andavano dalle molteplici e gravi violazioni compiute nel procedimento di scelta dei soci privati avvenuto in assenza di una procedura di gara e senza neppure fissare almeno un minimum dei necessari requisiti di competenza tecnica e finanziaria alle illegittimità che hanno connotato il procedimento di rilascio della concessione, sia dei beni demaniali sia dei servizi, e la determinazione del canone di concessione;
          ciò dimostrerebbe che l'intera operazione di costituzione della Bari Porto Mediterraneo e di affidamento alla stessa dei servizi di gestione delle stazioni marittime e di altre attività a supporto dei passeggeri era, oltre che illegittima, potrebbe risultare particolarmente dannosa per l'ente pubblico;
          pertanto, sulla base degli accertamenti e delle indagini compiute, la magistratura contabile, nell'ottobre 2011, ha diramato un invito a dedurre ai soggetti ritenuti responsabili di aver procurato un gravissimo danno erariale all'autorità portuale (stimato in complessivi euro 11.221.962,43);
          secondo la procura regionale della Corte dei conti le responsabilità per tale pesantissimo pregiudizio: «andrebbero ascritte anche e soprattutto al Presidente pro tempore della Autorità Portuale di Bari, nella persona del dottor Tommaso Affinita, per essere stato, egli, contemporaneamente ideatore e principale esecutore dell'improvvida iniziativa dianzi esposta; tant’è che all'epoca è stato anche Presidente della BPM. A costui non potrebbe non essere accomunato, seppur in via un po’ più gradata, il Segretario generale della stessa Autorità Portuale, ovverosia il dottor Giuseppe Faggetti, per essere stato allora, ossia in prima battuta, anche consigliere d'amministrazione della BPM ed aver a quel tempo rappresentato, nella relativa assemblea, l'unico socio, pubblico. Ad entrambi s'addebiterebbe, inoltre, la stipula, in data 21 dicembre 2004, dell'atto concessione in esame, da loro sottoscritto, nonostante l'evidente conflitto d'interessi in cui versavano, per le rispettive funzioni allora ricoperte – di Presidente dell'Autorità Portuale nonché del Consiglio di amministrazione della BPM, Affinita, nonché di Segretario Generale, Dirigente del Servizio Amministrazione e Bilancio della medesima Autorità e di consigliere di amministrazione della neo costituita società BPM, Faggetti – e dalla cui esecuzione sono poi scaturite le su descritte poste di danno»;
          in particolare, la magistratura contabile addebita ad Affinita: a) di aver consentito alla Bari Porto Mediterraneo S.r.l. (di cui Affinita era Presidente ed amministratore delegato con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione) di utilizzare gratuitamente una consistente superficie di un bene demaniale, sfruttando la propria posizione in danno dell'erario; b) di aver provveduto alla quantificazione del canone parte fissa in modo gravemente viziato, applicando criteri differenti da quelli previsti da fonti normative adottate dalla stessa autorità portuale di cui sempre lo stesso Affinita era Presidente; c) di non aver considerato in sede di determinazione del quantum del canone l'importante circostanza che l'Autorità, nei cinque anni precedenti dal 2000 al 2004, ossia poco prima dell'affidamento in questione, aveva sostenuto costi pari ad euro 8.714.887,40, per rilevanti lavori di rifacimento, ristrutturazione e migliorie sulle aree e sui beni oggetto della concessione. «Orbene, una gestione oculata e avveduta del patrimonio pubblico, da parte dei soggetti chiamati ad agire come rispettivi amministratori, avrebbe dovuto quanto meno porsi il problema di recuperare, proprio in sede di determinazione del canone, il danaro speso per i citati lavori. Costoro, invece, non solo non si sono posti in alcun modo il problema di tale recupero, ma nemmeno hanno tenuto conto che, oltre ad una serie di fonti normative già esistenti, appena tre mesi prima il Presidente dell'Autorità Portuale aveva emanato la deliberazione n.  80 del 30 settembre 2004 che fissava criteri nuovi per definire i canoni concessori in parola»; d) l'affidamento, quindi, alla stessa Bari Porto Mediterraneo dei servizi a domanda individuale e, conseguentemente, l'uso illegittimo della sub-concessione, cagionando così un ulteriore danno a carico dell'Autorità portuale costituito dai maggiori ricavi che l'ente pubblico avrebbe potuto conseguire se si fosse optato per la scelta più proficua di concedere direttamente a terzi quelle aree demaniali necessarie allo svolgimento dei servizi a domanda individuale; e) di aver attribuito al concessionario, in comodato gratuito, parte dei beni mobili, arredi e attrezzature esistenti nelle Stazioni marittime affidate in concessione, laddove l'Avvocatura dello Stato nel citato parere aveva rilevato che «l'attribuzione in comodato gratuito, fatta al dichiarato fine di evitare la procedura prevista dall'articolo 2465, 2o comma, c.c., costituisce un ingiustificato vantaggio introdotto a favore della società concessionaria, in violazione dell'atto di concessione e della delibera n.  5/04, con una perdita patrimoniale per l'Autorità portuale che potrebbe ricadere a titolo di responsabilità contabile sui soggetti che adottarono siffatta decisione, oltre che una palese elusione del disposto della citata previsione codicistica» (cioè elusione della disciplina in materia di conferimenti di beni prevista dal diritto societario, con il relativo danno per l'erario);      
          in definitiva, la magistratura contabile ribadisce pertanto il convincimento per cui: «l'intera operazione di costituzione della società Bari Porto Mediterraneo, lungi dal perseguire gli interessi pubblici del Porto di Bari, sia stata, di contro, finalizzata ad intenti speculativi diretti ad avvantaggiare proprio coloro che rivestivano incarichi gestionali e di governo all'interno dell'Ente Pubblico in esame». (invito a dedurre pag. 43). I fattori di rischio (di calo, più che probabile, delle entrate correnti) derivanti dalla decisione adottata – reputata più conveniente per il pubblico erario dagli amministratori del tempo dell'Autorità portuale – e che avrebbero dovuto, quindi, essere molto ben ponderati, in quanto avrebbero dovuto già costituire, da parte del comitato portuale di allora, oggetto di attenta analisi e riflessione nelle relative implicazioni finanziarie, allorché fu approvata la rispettiva delibera n.  5 del 16 giugno 2004; già all'epoca erano tutti sussistenti e noti alla totalità dei partecipanti che, invece, non li hanno in alcun modo considerati ponendo in essere una scelta che oggi appare a-prioristica e non supportata da valutazioni comparative»;
          il procuratore regionale della Corte dei conti, dopo aver acquisito le difese e le controdeduzioni delle persone ritenute responsabili e dello stesso Affinita, ha disposto con atto di citazione del 18 maggio 2012 il giudizio, per il quale il presidente della sezione giurisdizionale per la Puglia ha fissato l'udienza del 5 dicembre prossimo;
          è noto che il dottor Tommaso Affinita ricopre fin dall'anno 2008, la carica di amministratore delegato della rete autostrade mediterranee SpA (in sigla RAM S.p.A.), società il cui capitale è oggi interamente detenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze e che persegue l'obiettivo di sviluppare le reti di trasporto marittime come essenziale tramite di collegamento nel contesto euro-Mediterraneo;
          la RAM SpA collabora, in qualità di organismo in house, con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella pianificazione e nel coordinamento degli interventi in attuazione delle direttive europee sulle «autostrade del Mare», assicurando competenze specialistiche e snellezza operativa anche per: favorire lo sviluppo di nuovi accordi bilaterali/multilaterali tra l'Italia e i Paesi partner del Mediterraneo; prenotare risorse comunitarie da destinare ai progetti nazionali; elaborare il Master Plan nazionale relativamente agli adeguamenti funzionali e di servizio utili a migliorare l'accessibilità terrestre dei porti; ricercare potenziali partner finanziari (pubblici e privati) e/o imprenditoriali per la realizzazione dei progetti previsti dal Programma; sostenere l'avvio della legge n.  265 del 2002 «Ecobonus»; promuovere l'innovazione e il trasferimento delle tecnologie nel comparto del trasporto marittimo;
          la RAM spa è preposta, tra l'altro, all'erogazione di importanti finanziamenti, contributi, incentivi fra i quali, si rammenta, rientrano: l'ecobonus che è l'incentivo nazionale diretto a tutti gli autotrasportatori. Ha l'obiettivo di sostenere le imprese di autotrasporto a fare il miglior uso possibile delle rotte marittime, al fine di trasferire quote sempre maggiori di merci che viaggiano su mezzi pesanti dalla strada alle più convenienti vie del mare. A tal fine la legge n.  265 del 2002 ha messo a disposizione degli autotrasportatori circa 240 milioni di euro attraverso uno stanziamento quindicennale. La Finanziaria 2008 ha attualizzato tale importo stanziando 77 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008, 2009; l'incentivo a sostegno del trasporto combinato e trasbordato su ferro, così come disposto dall'articolo 3 del decreto ministeriale n.  592 del 4 agosto 2010 come modificato dal decreto ministeriale n.  750 del 14 ottobre 2010, che è destinato alle imprese utenti di servizi di trasporto ferroviario che commissionino o abbiano commissionato servizi di trasporto combinato o trasbordato con treni completi. Le risorse disponibili sono fissate in un importo non inferiore a 25,7 milioni di euro; l'incentivo per la formazione professionale che è diretto alle imprese di autotrasporto, i cui titolari, soci, amministratori, dipendenti o addetti partecipino ad iniziative di formazione o aggiornamento professionale. L'obiettivo è di accrescere le competenze e le capacità professionali degli imprenditori e degli operatori del settore dell'autotrasporto di merci, allo scopo di promuovere lo sviluppo della competitività, l'innalzamento del livello di sicurezza stradale e di sicurezza sul lavoro, mediante azioni di formazione generale o specifica. Tali attività di formazione consistono in piani formativi aziendali, interaziendali, territoriali o strutturati per filiere. L'importo erogato alle imprese beneficiarie avverrà, in ogni caso, nei limiti della capienza del fondo richiamato dall'articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n.  83 del 20009, pari a 7 milioni di euro; gli incentivi per le aggregazioni imprenditoriali nel settore dell'autotrasporto. L'obiettivo di questi incentivi è di favorire i processi di aggregazione fra le piccole e medie imprese di autotrasporto di merci per conto di terzi. I beneficiari delle misure di aiuto sono i raggruppamenti risultanti da processi di aggregazione fra piccole e medie imprese di autotrasporto, con sede principale o secondaria in Italia, iscritte all'Albo degli autotrasportatori, avvenuti successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento, nei quali non siano coinvolte società controllate, controllanti, o comunque collegate fra loro, anche solo in forma indiretta. I fondi andranno alle spese per i servizi di consulenza esterna, compresa l'assistenza notarile e legale, connessi al processo di aggregazione, ed all'avviamento delle nuove strutture aziendali, nonché all'introduzione di sistemi avanzati di gestione aziendale riferiti all'operazione. L'erogazione del contributo avverrà, in ogni caso, nei limiti della capienza del fondo richiamato dall'articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n.  84 del 2009, pari a 9 milioni di euro  –:
          se il Ministro interrogato ritenga tuttora sussistenti, alla luce dei fatti che emergono dalle indagini della magistratura contabile, i necessari requisiti perché il dottor Affinita continui a ricoprire nell'ambito di una società preposta all'espletamento di importanti funzioni pubblicistiche ed alla erogazione di contributi economici di rilevante entità l'incarico di amministratore delegato;      
          se non ritenga, data la gravità degli addebiti mossi dalla magistratura contabile al dottor Affinita che occorra procedere alla immediata rimozione per giusta causa del dottor Affinita, in considerazione di comportamenti che gli interroganti giudicano gravissimi posti in essere, pesantemente pregiudizievoli per il pubblico erario, che sconsiglierebbero il suo impiego nell'esercizio di funzioni correlate alla erogazione di finanziamenti, contributi ed incentivi, vista la disinvoltura nella gestione della cosa pubblica dimostrata dall'attuale amministratore delegato di RAM;
          se non ritenga opportuno disporre adeguati accertamenti, anche a mezzo di un'apposita commissione di nomina ministeriale, sugli atti e provvedimenti posti in essere da Affinita nell'esercizio della carica di amministratore delegato della RAM in relazione ai finanziamenti, incentivi e contributi erogati. (5-07230)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      DIMA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          le abbondanti nevicate dello scorso inverno hanno causato danni evidenti al patrimonio boschivo di molti comuni della provincia di Cosenza, traducendosi nella caduta, a causa del peso della neve accumulata sugli alberi, di un'enorme quantità di rami e fronde;
          nell'immediato, gli enti preposti, comuni, azienda forestale, protezione civile, hanno provveduto a porre in essere iniziative dirette a ripristinare la viabilità interrotta, a riattivare la regolare fornitura di energia elettrica e gas, a soccorrere gli abitanti delle zone montane rimaste isolate, a porre in salvo numerosi capi di bestiame;
          dopo questi interventi, si sarebbe dovuto procedere alla raccolta degli arbusti, alla messa in sicurezza degli alberi più danneggiati e soprattutto alla pulizia del sottobosco per ridurre il rischio di incendi nella stagione estiva;
          nonostante le sollecitazioni in tal senso, poco o nulla è stato fatto in termini di salvaguardia e tutela del boschi dal pericolo di incendi tanto è vero che ancora oggi fanno mostra di sé al bordi delle strade enormi quantità di legname ormai secco e mai smaltito;
          com'era ampiamente prevedibile, con l'arrivo della stagione estiva, si stanno già registrando i primi incendi, alcuni dei quali, molto gravi per ampiezza ed intensità, hanno provocato il ricorso agli aerei della protezione civile;
          in particolar modo, nei comuni di Corigliano e Rossano, proprio in questi giorni, si sono verificati alcuni incendi che hanno distrutto oltre 30 ettari di querceto e di sughero e che sono stati spenti solo grazie all'intervento di un elicottero ed un aereo della protezione civile ed all'opera encomiabile del personale dei vigili del fuoco di Rossano che ha lavorato per più di 12 ore  –:
          quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per sollecitare l'adozione di interventi più puntuali da parte delle strutture competenti al fine di evitare il verificarsi di pericolosi incendi, che alimentati dalla presenza di materiale legnoso mai smaltito, potrebbero tradursi in un concreto pericolo per l'incolumità dei cittadini. (4-16771)


      BIAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Corpo nazionale dei vigili del fuoco in Emilia Romagna, come nel resto dell'Italia, opera con efficacia ed efficienza intervenendo in servizi estremamente delicati che si sono rilevati di primaria importanza nel pronto intervento nelle zone colpite dal terremoto in Emilia in queste settimane, dove è emersa un'ottima sinergia tra vigili del fuoco e protezione civile;
          nello svolgere questo importante servizio vi è una cronica carenza d'organici effettivi nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la situazione è emersa ancora più con evidenza in queste settimane, dove sono stati raddoppiati i turni con servizi continuativi, spesso gli effettivi sono arrivati a fare 50-60 ore continuative di servizio;
          da alcuni mesi a questa parte come anche nelle settimane del sisma emiliano sono stati chiamati i volontari per aumentare gli organici, persone che hanno già un lavoro fisso nella loro vita quotidiana quindi hanno meno tempo a disposizione e una professionalità inferiore ai discontinui, vigili del fuoco precari che a causa dei tagli lineari proposti dal Governo e operativi da gennaio 2012 non vengono più chiamati. I discontinui hanno acquisito negli anni una grande professionalità, importante per una professione come la loro ed è incomprensibile come vengano chiamati e impiegati limitatamente e soprattutto non siano stati coinvolti nelle drammatiche settimane dell'emergenza terremoto in Emilia Romagna;
          le carenza di organico nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco interessa anche gli amministrativi e bisogna evidenziare come è purtroppo bloccata almeno da 3 anni la graduatoria dei precari-discontinui che oltre a non vedere slittare positivamente la loro graduatoria, quest'anno hanno subito un taglio del 60 per cento della loro attività  –:
          se corrisponda al vero che la graduatoria interna degli amministrativi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è bloccata da almeno 3 anni e quali siano i motivi di tale empasse;
          come s'intenda intervenire per sopperire la carenza d'organico nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, evidenziatasi maggiormente in queste settimane con l'emergenza sisma in Emilia Romagna;      
          per quale motivo durante il recente terremoto si sia fatto ricorso ai volontari senza impiegare i precari-discontinui che negli anni hanno acquisito una specifica professionalità. (4-16774)


      LABOCCETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'amministrazione comunale di Melito di Napoli (NA), nel dicembre del 2005, è stata sciolta «per infiltrazione camorristica» con decreto del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, su proposta del Ministro dell'interno pro tempore Giuseppe Pisanu;
          avverso il decreto, il sindaco dell'amministrazione già sciolta, Gianpiero Di Gennaro, e il consigliere di maggioranza della stessa amministrazione, nonché capogruppo della Margherita, Venanzio Carpentieri, proponevano ricorso al TAR che rigettava il ricorso con sentenza confermata dal Consiglio di Stato;
          nel citato decreto e nelle successive sentenze dei giudici amministrativi si evidenzia il ruolo occulto e di primo piano dell'allora presidente della Margherita, Alfredo Cicala, citato dal pentito Maurizio Prestieri come «l'unico politico ammesso ai summit del noto clan Di Lauro» Cicala, più volte al centro di reportage dello scrittore Roberto Saviano, che lo cita anche nel suo libro «Gomorra», ha costruito un impero economico sfruttando il suo ruolo di sindaco di Melito ed il suo legame con il clan Di Lauro. Allo stato egli ha già scontato 5 anni di reclusione ed attualmente è detenuto in carcere in virtù di condanna in appello per il reato di associazione di stampo mafioso ex articolo 416-bis del codice di procedura penale; nei suoi confronti, come da notizie riportate dai quotidiani del 30 ottobre del 2009, la direzione distrettuale antimafia ha sequestrato beni per 100 milioni di euro;
          questa la figura di Alfredo Cicala, vero uomo di potere della amministrazione sciolta di cui era sindaco Gianpiero Di Gennaro che, nelle pronunce dei giudici amministrativi è definito come «uomo di paglia sostanzialmente al servizio di Alfredo Cicala», del quale, peraltro, il Di Gennaro risulterebbe parente avendone sposato una nipote;
          sulle elezioni che portarono alla sindacatura di Gianpiero Di Gennaro è stata proposta una interrogazione parlamentare da parte del senatore Sodano, di Rifondazione Comunista, e sono state sporte diverse denunce da Bernardo Tuccillo, già sindaco di Melito ed attualmente assessore a Napoli nella giunta guidata da Luigi De Magistris;
          ebbene, oggi Venanzio Carpentieri, già consigliere di maggioranza della amministrazione comunale sciolta che di fatto faccia riferimento ad Alfredo Cicala e già capogruppo della Margherita nel medesimo periodo in cui Alfredo Cicala ne era il presidente, e Gianpiero Di Gennaro, già sindaco della stessa prosciolta amministrazione, occupano di nuovo posti di potere al comune di Melito: Venanzio Carpentieri in qualità di sindaco eletto nelle file del centro sinistra alle elezioni del maggio 2011; Gianpiero di Gennaro in qualità di «componente dell'ufficio di gabinetto del sindaco, posto alle sue direte dipendenze», a seguito di nomina del sindaco con decreto n.  18 del 7 luglio 2011;
          rilevanti le circostanze in cui è maturata l'elezione del sindaco Carpentieri: nel gennaio 2011 l'allora sindaco Antonio Amente, eletto nell'aprile del 2008 veniva «sfiduciato» dai consiglieri comunali di opposizione ai quali si univano alcuni dei consiglieri di maggioranza;
          nulla di anomalo se non per le minacce ed intimidazioni provenienti dalla criminalità organizzata operante sul territorio che indussero i consiglieri di maggioranza, persone di fiducia di Amente, a rassegnare le dimissioni. Per tali fatti Amente porgeva denuncia presso la procura della Repubblica in data 28 marzo 2012 e l'assessore Bernardo Tuccillo, del comune di Napoli, nel commentare i medesimi fatti, nel corso di una intervista su di un foglio locale, sosteneva la necessità che «i poteri occulti devono tenersi fuori dalla politica» e nel corso di manifestazione pubblica del S.E.L. promossa a Melito dall'avvocato Carmine Russo, coordinatore cittadino del partito di Vendola, per la presentazione di un libro dell'ex consigliere regionale A. Scala, presente anche l'ex assessore del comune di Napoli e già magistrato della direzione distrettuale antimafia di Napoli, dottor Narducci, si poneva stringenti interrogativi sulla tenuta della giunta melitese sui temi della legalità e dell'etica pubblica ricordando gli storici legami tra membri dell'attuale amministrazione e Alfredo Cicala;
          contribuisce a rafforzare lo scenario di forte compromissione che segna il quadro politico-amministrativo di Melito la circostanza che, secondo quanto risulta all'interrogante, al vertice di importanti società municipalizzate nonché nel consiglio comunale siedano talune persone – peraltro legate tra di loro da vincoli di parentela o affinità – con cointeressenze in affari con Alfredo Cicala;
          sembra poi tutt'altro che irrilevante il fatto che Roberto Saviano, in un articolo su La Repubblica del 2011, si sia soffermato proprio sulla sostanziale contiguità tra membri del PD di Melito ed Alfredo Cicala;
          si aggiunga infine che Giuseppe Rostan, fratello di Emilio Rostan, è indagato dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli unitamente ad Alfredo Cicala, nel processo penale n.  36726/11 R.G.N.R., per la lottizzazione relativa al «Parco Primavera» di Melito che gli inquirenti ipotizzano sia stato edificato con i proventi del clan Di Lauro  –:
          se e quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione a quanto rappresentato in premessa. (4-16804)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BACHELET, COSCIA, DE PASQUALE, DE TORRE, MAZZARELLA, PES, ROSSA e SIRAGUSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          per quanto concerne la disciplina dei tutor coordinatori che dovranno operare nella attività relative al tirocinio formativo attivo (TFA), è stato finalmente reso noto il decreto 8 novembre 2011;
          le procedure per l'entrata in servizio dei tutor stessi richiedono numerosi ulteriori adempimenti, quali la determinazione dei contingenti riferiti alle singole università e classi di abilitazione, i successivi bandi da parte delle università, lo svolgimento delle prove di selezione;
          i tutor coordinatori dovranno essere operativi non solo al momento dell'effettivo svolgimento del tirocinio da parte degli allievi, ma fin dal momento iniziale della progettazione didattica dell'intero corso, in quanto l'articolo 10, comma 4, del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n.  249, giustamente prevede che essi siano componenti del consiglio di corso di tirocinio, che provvede a tale progettazione;
          il positivo svolgimento del tirocinio formativo attivo sarebbe compromesso se venisse creata una frattura tra parte teorica, svolta nelle università senza un organico rapporto con il sistema scolastico, e parte pratica, svolta nelle scuole senza un organico rapporto con le università;
          per quanto concerne le prove di accesso dei futuri allievi, l'altissimo numero di domande implica l'esigenza di una particolare attenzione a tutti gli elementi atti a garantire un perfetto svolgimento del test preliminare previsto nel mese di luglio;
          malgrado il numero altissimo di domande, la loro distribuzione non uniforme su sedi e classi di abilitazione implica il paradossale rischio che in alcune classi di abilitazione il numero di idonei possa in qualche sede risultare inferiore al numero di posti  –:
          quale calendario, comprensivo di tutti i necessari passaggi, sia stato predisposto al fine di garantire l'effettiva operatività dei tutor coordinatori in tempi atti a consentire che il tirocinio formativo attivo venga adeguatamente progettato e attuato in stretta collaborazione tra le università e il sistema scolastico;
          quali e quanti controlli incrociati il Ministro abbia attivato per mettere la formulazione dei test preliminari al riparo da fondate contestazioni, e quali soluzioni organizzative abbia adottato per garantire l'ordinato svolgimento della relativa prova;
          quali procedure il Ministro abbia adottato o intenda adottare per evitare che alcuni posti rimangano inutilizzati, nell'ipotesi di una scarsità di idonei in qualche sede, pur in presenza di un numero complessivo di idonei superiore al numero dei posti a livello nazionale. (5-07219)


      ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2008, n.  140, con D.D.G. del 13 luglio 2011 è stato indetto un concorso per esami e titoli per il reclutamento, nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica di 2.836 dirigenti scolastici nei ruoli dirigenziali;
          secondo la testimonianza di numerosi candidati, in occasione dello svolgimento del suddetto concorso vi sarebbero state gravi irregolarità denunciate anche agli organi competenti;
          in particolare, uno dei candidati, già professore presso gli uffici della direzione regionale di Foggia, sarebbe stato sorpreso con alcuni foglietti nascosti nel vocabolario durante il primo giorno di prova svoltasi presso l'istituto «Elena di Savoia» di Bari;
          una candidata ha raccontato che il professore avrebbe consultato i suoi appunti durante tutta la prova senza mai fermarsi. A suo avviso egli avrebbe avuto con sé addirittura la traccia o comunque un elaborato ad hoc;
          secondo un'altra testimonianza raccolta in un esposto, il commissario d'esame avrebbe colto il docente con un foglio non autenticato nascosto tra quelli della prova;
          come previsto dalla procedura, il candidato sarebbe stato accompagnato fuori dall'aula e condotto in presidenza. Una volta rientrato in aula il docente avrebbe raccolto le sue cose e sarebbe andato via lasciando il foglio del compito poi inserito in un plico a parte e segnalato con l'indicazione «allontanato dall'aula»;
          tuttavia il giorno seguente il docente «espulso» ha svolto come tutti gli altri la seconda prova scritta, superandola, come dimostrano i tabulati degli ammessi agli orali;
          ciò ha provocato il disappunto di tutti gli altri colleghi, visto che soltanto un candidato su quattro è riuscito ad essere ammesso;
          a ciò va aggiunto il fatto che il concorso con molta probabilità non riuscirà a colmare il vuoto di organico che si creerà a causa del pensionamento di 157 presidi;
          dopo le denunce dell'accaduto, i segretari delle due sottocommissioni si sono dimessi;
          il concorso è stato al centro di numerosi ricorsi già nella fase preselettiva, ed il Tar ha ammesso con riserva circa 70 candidati. Successivamente la giurisdizione è stata avocata dal Tar del Lazio;
          il decreto del Presidente della Repubblica del 3 maggio 1957, n.  686 (Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato), all'articolo 6, stabilisce che «(...) Il concorrente che (...) comunque abbia copiato in tutto o in parte lo svolgimento di un tema, è escluso dal concorso» e che «La commissione esaminatrice o il comitato di vigilanza curano l'osservanza delle disposizioni stesse ed hanno la facoltà di adottare i provvedimenti necessari»;
          il decreto del Presidente della Repubblica n.  487 del 1994 recante disposizioni in materia di concorsi unici, all'articolo 9, stabilisce che «(...) le commissioni esaminatrici di concorso sono composte da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime e non possono farne parte, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n.  546, i componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione interessata, coloro che ricoprano cariche politiche o che siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali»  –:
          per quali ragioni il concorrente allontanato risulti nell'elenco degli ammessi alla prova orale del concorso di cui in premessa, nonostante sia stato allontanato dall'aula per aver copiato il tema d'esame;
          se, in occasione dello svolgimento delle prove concorsuali, al Ministro risulti sia stata rispettata la normativa in materia, ed in particolare, quella riguardo alla composizione delle commissioni esaminatrici;
          alla luce delle contestazione e dei ricorsi pendenti, se il Ministro ritenga opportuno assumere iniziative per annullare le prove scritte del concorso indetto con D.D.G. del 13 luglio 2011. (5-07220)


      CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          secondo il decreto-legge n.  98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011 il personale docente permanentemente inidoneo alla funzione ma idoneo ad altri compiti può – a domanda – essere reimpiegato quale personale ATA (articolo 19, comma 12);
          il decreto ministeriale n.  79 del 12 settembre 2011 stabilisce le modalità per il reimpiego a domanda;
          il decreto del Presidente della Repubblica n.  171 del 20 ottobre 2011, all'articolo 7, prevede espressamente che la pubblica amministrazione ponga in atto ogni tentativo per il recupero del personale inidoneo in mansioni equivalenti o di altro profilo professionale riferito alla posizione di inquadramento;
          la pubblica amministrazione può dunque adibire il lavoratore come si è detto, anche a diversa area professionale, purché coerente con l'esito dell'accertamento medico ed i titoli posseduti. Altrimenti il lavoratore viene collocato in soprannumero, rendendo indisponibili un numero di posti equivalente dal pdv finanziario, e ciò sino a successivo riassorbimento;
          il comma 9 dello stesso articolo prevede che, per il personale della scuola resta in vigore l'articolo 3, comma 127, della legge n.  244 del 24 dicembre 2007 (legge finanziaria per il 2008) può essere disposta la mobilità del personale docente inidoneo ai compiti di insegnamento e a tal fine va istituito un ruolo speciale ad esaurimento. Debbono essere definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze i criteri di armonizzazione con la disciplina contrattuale ai fini dell'inquadramento in profili professionali diversi; è altresì prevista l'istituzione di percorsi formativi per la riconversione professionale dei docenti;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha provveduto in tal senso. Al riguardo, si precisa anche che il Consiglio di Stato ha ritenuto che l'accoglimento dell'istanza di trasformazione dell'originario rapporto di lavoro da luogo a novazione oggettiva del rapporto, per effetto della quale le precedenti obbligazioni contenute nel contratto di lavoro trasformato si estinguono definitivamente (articolo 1230 del codice civile). In ogni caso, mai potrebbe darsi la reviviscenza automatica del rapporto di lavoro ormai estinto per dispensa;
          anche una volta che il dipendente abbia posto in essere un altro rapporto di lavoro, ove si sia chiuso con una dispensa per inidoneità, questo non può successivamente essere fatto rivivere con atto unilaterale (CM 103 del 3 aprile 2000 – parere rilasciato all'esito dell'adunanza del 26 gennaio 2000 n.  2416/99)  –:
          come il Ministro intenda operare e quali provvedimenti intenda mettere in essere per il personale docente dichiarato inidoneo all'insegnamento. (5-07223)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          secondo il Coordinamento nazionale docenti della classe di concorso A065 (tecnica fotografica), la tabella di confluenza delle nuovi classi di concorso confina ad un ruolo meramente tecnico la classe tecnica fotografica;
          il decreto ministeriale n.  39 del 1998 e successive integrazioni impone ai docenti di fotografia il titolo di laurea obbligatorio e la verifica dei titoli professionali per accedere al concorso e alle lauree magistrali abilitanti SSiS;
          il piano di studi caratterizzante il percorso formativo abilitante, per il docente A065 prevede un indirizzo di area comune comprendente nozioni di psicologia, pedagogia, teorie dell'istruzione, della programmazione didattiche e dell'apprendimento, idoneità di lingua inglese, comune a tutti i corsi abilitanti SSiS;
          la classe A065 è inserita nell'area di indirizzo «area e disegno», in comune con le classi A061 (storia dell'arte) e A025 (disegno e storia dell'arte), ambedue insegnabili con la riforma scolastica nei licei artistici;
          il suddetto percorso di studi, oltre ad una parte formativa di elementi di storia, tecnica della fotografia, del cinema, dell'audiovisivo, prevede anche fondamenti di storia delle arti, delle comunicazioni e del disegno;
          già le prove abilitanti dei docenti A065 dei concorsi del 1982, 1984, 1990 e 1999 prevedevano elementi di storia, arti e punti di coesione con altri classi di concorso (A061 e A025), oltre all'approvazione dei titoli professionali;
          i docenti della A065 hanno una formazione e svolgono un lavoro di insegnamento di fotografia nella classe denominata riduttivamente «tecnica fotografica»: alla luce del piano di offerta formativa del docente abilitato SSiS e delle prove d'esame del concorso abilitante, sarebbe più opportuno definire tale classe «storia e tecnica della fotografia e dei linguaggi multimediali»;
          ciò perché il nome attuale della materia non corrisponde né a come è stato formato l'insegnante né a quello che realmente insegna;
          peraltro non è possibile insegnare discipline fotografiche basandosi solo sui principi della tecnica, cioè del solo uso del mezzo fotografico;
          in effetti, le offerte formative delle scuole dove si insegna fotografia propongono elementi di arte, storia e progettazione in linea con le richieste del mercato del lavoro che necessita di personale sempre più esperto e preparato in materia, non solo a livello tecnico ma anche e soprattutto artistico;
          nella definizione ministeriale dei nuovi assi culturali per la scuola dell'obbligo, il primo di questi, l'asse dei linguaggi, comprende fra le competenze la capacità di «utilizzare e produrre testi multimediali». Questo presuppone, come abilità/capacità, sempre negli assi culturali, il saper «comprendere i prodotti della comunicazione audiovisiva» ed «elaborare prodotti multimediali anche con tecnologie digitali». Inoltre, fra le conoscenze che si devono avere sono comprese le «principali componenti strutturali ed espressive di un prodotto audiovisivo», le «semplici applicazioni per la elaborazione audio e video» e «l'uso essenziale della comunicazione telematica»;
          la nuova classe di concorso A-60 si pone dunque in fondamentale continuità rispetto a questo aspetto dell'asse dei linguaggi e, intervenendo con insegnamenti che in gran parte si pongono immediatamente dopo la scuola dell'obbligo, unica nel panorama delle discipline riformate, ne approfondisce e completa a tutto tondo gli elementi;
          per tutte queste ragioni il Coordinamento nazionale docenti A065 non ritiene giusta l'esclusione della nuova classe di concorso A-60 (tecnologie e tecniche delle comunicazioni multimediali) dagli insegnamenti del liceo artistico ad indirizzo audiovisivo e multimediale, come riscontrato nella bozza delle tabelle delle nuove classi di concorso del 15 marzo 2011  –:
          se il Ministro interrogato, alla luce delle motivazioni citate in premessa, intenda adottare iniziative al fine di inserire la futura classe di incorso A-60 tra le materie di insegnamento oltre che negli istituti professionali, settore servizi ad indirizzo servizi commerciali, nel triennio, rispettivamente al terzo, quarto e quinto anno, anche nel liceo artistico-indirizzo multimediale e audiovisivo, laboratorio di audiovisivo II biennio e V anno. (4-16763)


      GIANNI FARINA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          come nella società italiana, anche nelle scuole del nostro Paese, dall'asilo nido all'università – si assiste ad una crescente coesistenza di comunità che si differenziano per nazionalità, lingua, cultura, religione;
          il rispetto delle differenze culturali, linguistiche e religiose – sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – rientra nel concetto basilare del diritto di eguaglianza ed è parte integrante del riconoscimento della pari dignità;
          tra i valori fondamentali dell'Unione europea non figura unicamente lo sviluppo e la salvaguardia del patrimonio culturale europeo, ma anche il rispetto della ricchezza delle sue diversità culturali e linguistiche;
          ad essere confrontati con questo processo multiculturale e multietnico sono le comunità, gli enti e le articolazioni pubbliche e private territoriali, i quali non sempre hanno regole, competenze e sensibilità adeguate;
          si è verificato nella scuola svizzera di Roma un episodio che ha rischiato di compromettere addirittura le relazioni statuali tra la Svizzera e la Turchia per un'iniziativa di un insegnante di tedesco che ha utilizzato per un dettato un testo ritenuto da molti genitori offensivo nei confronti della comunità turca;
          un caso scolastico si è trasformato in caso diplomatico che ha visto il coinvolgimento dell'ambasciata della Turchia di Roma e conseguentemente dell'ambasciata svizzera: è stato messo sotto accusa un manuale dell'ordinamento scolastico svizzero del Cantone di Basilea per contenuti xenofobi e offensivi contro la Turchia;
          il dettato impartito agli allievi della terza media conteneva la seguente frase incriminata: «Per la maggior parte dei turchi le donne sono fatte per essere sposate e per fare figli. Ragion per cui trovano sia inutile avere un'istruzione»;
          i genitori hanno portato il consiglio di amministrazione della scuola svizzera di Roma – frequentata da oltre 400 allievi di nazionalità e lingue diverse – a prendere posizione per sottolineare «la bontà del progetto didattico, fondato sul pluralismo culturale, etnico e religioso, sulla tolleranza, sul dialogo» e «ad esprimere il rammarico per le incomprensioni createsi nella comunità scolastica, condannando senza alcuna riserva di ogni forma di discriminazione o di comportamento xenofobico»;
          in seguito a questa vicenda, il docente di tedesco, ha rassegnato le sue dimissioni dalla scuola svizzera, pur non precisando che fossero dovute all'incidente didattico nel quale era incorso, e il caso pare risolto;
          il caso verificatosi nella scuola svizzera di Roma deve spingere le istituzioni scolastiche italiane a riflettere seriamente sull'importanza dell'educazione interculturale nella scuola che coinvolga non soltanto istituzione scuola e allievi, ma istituzione scuola e docenti, per permettere a tutti gli operatori della scuola di affrontare adeguatamente le sfide e i conflitti che nella scuola si generano;
          pur riconoscendo alle istituzioni scolastiche nazionali di avere mostrato sensibilità a questa problematica con le circolari ministeriali espresse in questi anni, come la n.  205 del 1990 (la scuola dell'obbligo e gli alunni stranieri. L'educazione interculturale) la n.  73 del 1994 (dialogo interculturale e convivenza democratica), fino all'ultimissima circolare n.  2 dell'8 gennaio 2010 (indicazioni e raccomandazioni per l'integrazione di alunni con cittadinanza non italiana) che propongono la scuola come mediatrice di culture diverse, sono molte ancora le resistenze degli insegnanti, che sottolineano gli aspetti problematici dello inserimento degli stranieri in classe, lamentando il fatto di essere lasciati soli ad affrontare i problemi senza una formazione specifica e senza il supporto di percorsi e materiali didattici adeguati  –:
          se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza affinché: a) si rilevi attraverso un'accurata indagine ministeriale condotta con le direzioni generali degli uffici scolastici regionali:
              1) il livello di inserimento degli alunni stranieri nelle scuole statali e paritarie italiane;
              2) il rispetto del limite del 30 per cento degli alunni stranieri nelle classi entrato in vigore dall'anno scolastico 2010-2011 in modo graduale, introdotto a partire dal primo anno della scuola dell'infanzia e dalle classi prime sia della scuola primaria, sia della scuola secondaria di I e di II grado;
              3) casi di discriminazione di carattere razziale, religioso e culturale denunciati da genitori di alunni stranieri;
              4) il rapporto percentuale di alunni bocciati in tutte le varie classi – dalle elementari alle medie – tra alunni stranieri e alunni italiani;
          b) si verifichi l'attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n.  8918, che prevede che le due ore settimanali destinate all'insegnamento della seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado – a determinate condizioni – effettivamente «vengano utilizzate anche per potenziare l'insegnamento della lingua italiana per gli alunni stranieri non in possesso delle necessarie conoscenze e competenze nella medesima lingua italiana»;
          c) si verifichi se presso le sedi scolastiche urbane e periferiche, siano state seguite le due circolari del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del marzo 2006 e dell'ottobre 2007 nelle quali sono stati esplicitati i principi e le azioni che definiscono il «modello» nazionale per l'accoglienza e l'integrazione di minori di origini culturali diverse, compresi i gruppi Rom e Sinti, nei rispetto delle raccomandazioni anche dell'OSCE;
          se siano stati avviati confronti e stipulati accordi con i principali Paesi di provenienza degli alunni stranieri nelle scuole italiane (Marocco, Albania, Romania, Cina, Serbia, Filippine Ecuador e altro), secondo gli obiettivi contenuti nel documento generale d'indirizzo per l'integrazione degli alunni stranieri e per l'educazione interculturale elaborato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, raccogliendo le idee e le proposte del Consiglio nazionale della pubblica istruzione del 20 dicembre 2005. (4-16789)


      BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la selezione degli studenti in alcuni corsi di laurea richiede strumenti adeguati che garantiscano l'ammissione agli studenti più motivati e a coloro che posseggono i requisiti più adatti per affrontare quel determinato corso di laurea;
          si tratta di un fatto di giustizia nei confronti degli studenti ma anche di un investimento concreto nei confronti della società volto a privilegiare gli studenti migliori;
          la salute non solo è un bene essenziale, ma un vero e proprio diritto, come prevede l'articolo 32 della nostra Costituzione, e come tale va affidato a persone di grande cultura scientifica e di sicura competenza professionale oltre che di adeguata capacità di relazione;
          tra gli 80 quiz proposti ai candidati che hanno tentato l'ingresso l'8 settembre 2011 alla Sapienza (la prova è predisposta da ciascuna università) ce n'era uno che chiedeva quali fossero i gusti tipici della grattachecca offerta dal bar nei pressi del liceo Tacito di Roma;
          il fatto che la grattachecca sia diventata materia di test di ammissione universitaria appare del tutto surreale e in realtà fa pensare al senso di una totale arbitrarietà, unita ad una fatuità nei criteri di selezione per l'accesso all'università, che umilia gli studenti e delude le loro aspettative;
          inserire un quesito sui gusti della grattachecca nei test di ammissione per le professioni sanitarie infatti sa di beffa, l'ennesima, nei confronti degli studenti, che faticano a credere che si possa essere selezionati per diventare buoni professionisti in un ambito così delicato come quello della sanità sulla base dei gusti della grattachecca;
          il quesito inoltre appariva fortemente discriminante nei confronti di studenti di altre città che non avrebbero certo saputo rispondere, creando quindi come unica distinzione possibile quella tra gli studenti romani e gli altri e forse anche tra gli stessi studenti romani del Tacito e gli altri, come se si fosse voluto concedere un vantaggio specifico agli studenti di quel liceo;
          tale episodio rivela, inoltre, una sostanziale incompetenza nella preparazione dei quiz da parte dei cosiddetti esperti, dal momento che non si tratta né di domande di logica che potrebbero mettere in evidenza la capacità di ragionamento dei ragazzi, anche in mancanza di conoscenze specifiche sul tema, né di domande di cultura scientifica o umanistica, adeguate a rendere conto dei livelli di conoscenza e di competenza dei futuri studenti universitari;
          esso denuncia una nozione piuttosto «bizzarra» della cosiddetta «cultura generale» su cui dovrebbero cimentarsi gli studenti impegnati nei quiz, immaginando che posseggano un profilo intellettuale francamente modesto per quanto attiene ad interessi, motivazioni, conoscenze e competenze;
          tutto ciò dimostra, ancora una volta, che la selezione con domande a scelta multipla (DSM) sostanzialmente difficile se si vuole che abbia un carattere selettivo oggettivo, è stata ormai totalmente svalutata dalla banalizzazione che in questo caso ha raggiunto il ridicolo, mentre altre volte è stata svalutata dalla imprecisione o addirittura dagli errori che indicavano come esatte risposte che tali non erano;
          è necessario che tutti i test a scelta multipla somministrati agli studenti, in tutte le facoltà, siano sottoposti – al termine delle rispettive sessione d'esame – ad un controllo di qualità affidato a persone di comprovata esperienza, che verifichino l'idoneità degli strumenti utilizzati sulla base del rigore scientifico, della reale accessibilità per gli studenti e del loro effettivo potenziale selettivo; forse in tal modo potrebbe aumentare la competenza degli attuali esperti che in questi ultimi anni sembra essersi alquanto ridotta, almeno a vantaggio degli studenti dell'anno successivo  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per rivedere e riformare la disciplina che riguarda gli esami di selezione nell'accesso all'università, posto che i test a scelta multipla sono solo uno dei mezzi possibili per selezionare gli studenti e non solo è necessario garantirne la qualità, ma è anche arrivato il momento di prevedere altre metodologie di selezione basate su di un giusto mix di interessi e motivazioni, capacità e competenze degli studenti. (4-16802)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BERRETTA e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la Festa Srl, società di servizi, controllata del gruppo Snai, leader nel settore giochi e scommesse, svolge attività di call center (in modalità outbound) in regime di esternalizzazione (outsorcing), presso due sedi a Roma, a via Tor Pagnotta e Bufalotta ed una a Porcari (Lucca);
          il 23 marzo del 2011 la federazione sindacale Fistel-Cisl e i vertici aziendali di Festa srl hanno sottoscritto un accordo aziendale avente ad oggetto le attività dei lavoratori presso le due sedi di Roma, in deroga al CCNL;
          i lavoratori, iscritti alla CGIL, che legittimamente rifiutarono la firma di tale accordo, sono stati sottoposti prima ad un regime di ferie forzate e poi ad una trasferta nella sede di Porcari (Lucca), compresi alcuni lavoratori che si trovavano nelle condizioni di cui alla legge n.  104 del 1992 «Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», infine tali lavoratori sono stati licenziati;
          a seguito di tali condotte i lavoratori hanno presentato una denuncia in sede penale;
          a seguito dell'emanazione di due sentenze del tribunale civile di Roma la società, lo scorso ottobre, reintegrava nella sede di Roma i lavoratori, mantenendo per gli stessi l'applicazione del CCNL;
          la Festa SNAI ha recentemente dichiarato lo stato di crisi, ha aperto la procedura di mobilità, dovuta alla chiusura della sede di via Bufalotta, e messo in cassa integrazione straordinaria, undici lavoratori;
          tutto ciò nonostante il fisco stia per rimborsare ai concessionari dei giochi una cifra pari a 233 milioni di euro, di cui una quota non indifferente dovrebbe andare a Snai, nonostante fa Festa SRL stia comunque continuando ad assumere personale per la propria sede di Roma e nonostante il settore scommesse sia fra i pochi non interessati dallo stato di crisi che sta investendo tutti i settori economici del Paese;
          i lavoratori interessati al provvedimento di mobilità sono gli stessi, iscritti alla CGIL, che hanno rifiutato la firma all'accordo aziendale;
          a giudizio degli interroganti tale comportamento configurerebbe un tentativo di aggirare le sentenze del tribunale civile di Roma che ha sancito il comportamento antisindacale dell'azienda e stabilito il reintegro dei lavoratori  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          quali azioni di competenza il Governo intenda porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare la tutela dei diritti dei lavoratori della Festa srl che si sono rifiutati di firmare l'accordo aziendale del 23 marzo 2011. (5-07221)

Interrogazioni a risposta scritta:


      COSENZA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il mondo produttivo italiano denuncia da tempo la mancanza di manodopera a causa della quale rischiano di scomparire molti mestieri;
          si calcola (secondo i dati di Confartigianato, Unioncamere e Fondimpresa) che oggi siano tra i 30 e i 40 mila i posti di lavoro nei settori lasciati liberi dagli italiani per disinteresse e quindi andati ad essere occupati da lavoratori stranieri;
          le imprese artigiane e industriali registrano tassi intorno al 20 per cento di mancanza di risorse umane per soddisfare la loro domanda di lavoro;
          a causare tale fenomeno vi è anzitutto un problema di tipo culturale per cui si ritengono non appetibili mestieri che pure hanno anche significativi risvolti economici  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere per superare i problemi del sistema attuale che oggi non è in grado di far incontrare domanda e offerta di lavoro nei mestieri e nei settori dell'artigianato. (4-16778)


      CARFAGNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'economia mondiale è stata colpita da una grave recessione con effetti pesanti anche per l'economia nazionale, in particolar modo nei confronti dei redditi delle famiglie e dell'occupazione nelle regioni del Mezzogiorno;
          le politiche di welfare delle amministrazioni comunali presentano notevoli elementi di variabilità sul territorio. Le differenze più rilevanti riguardano le dimensioni dell'offerta socio-assistenziale. Ogni anno si rileva un aumento degli utenti per tutti i servizi, soprattutto nell'area della disabilità sociale, che coinvolge adulti con un profondo livello di disagio, tanto più se si tratta di capofamiglia o di persone che vivono sole;
          i servizi sociali, proprio come la scuola, dovrebbero attuare il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione: mettere i cittadini svantaggiati nelle medesime condizioni di partenza di quelli privilegiati. Si registra invece per il Mezzogiorno italiano una mancanza quasi totale di quella rete socio-assistenziale essenziale per lo sviluppo;
          la spesa sociale nel 2009 in seguito alla crisi è diminuita dell'1,5 per cento nel Mezzogiorno, ma è aumentata del 6 per cento nel Nord-Est, del 4,2 per cento nel Nord-Ovest e del 5 per cento al Centro. Solo per fare qualche esempio, per i servizi sociali i comuni calabresi spendono 26 euro a persona, quelli della provincia autonoma di Trento 280 euro. Per i disabili i comuni del Sud spendono otto volte meno di quelli del Nord. I nidi pubblici sono presenti nel 78 per cento dei comuni del Nord-Est ma nel 21 per cento di quelli del Sud;
          tale profonda disomogeneità sul territorio nazionale, relativa al welfare dei servizi, si dà nonostante sia proprio competenza dello Stato assicurare i livelli essenziali di assistenza per tutti i cittadini italiani. Ciò al di là della loro residenza e soltanto in misura della loro condizione, così come disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001;
          l'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n.  449 e successive modificazioni, con il quale sono emanate disposizioni circa l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri del Fondo nazionale politiche sociali, che annualmente il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281, provvede alla ripartizione delle risorse del Fondo fra tutte le regioni e le province autonome per le finalità legislativamente poste a carico dello Stato e ciò anche nel rispetto di quanto disposto dal riformato Titolo V della Costituzione  –:
          se non si ritenga necessario, per assicurare il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza nelle regioni e province autonome d'Italia, di procedere ad una verifica contabile della congruità delle risorse trasferite alle regioni con il Fondo nazionale per le politiche sociali 2012, al fine di chiarire se esse siano corrispondenti all'effettivo impegno dello Stato attraverso cui garantire i richiamati livelli essenziali, ciò tenendo anche conto del fatto che l'annuale riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali, già apparentemente esiguo in una sua prima stesura, è stato ulteriormente ridotto di 25.363,785,00 euro, somma che porta a 43.722.702,00 euro le risorse dell'intero Fondo, di cui soltanto 10.680.362,13 euro destinate alle regioni, cosa che implica che in regioni del Mezzogiorno già provate dalla crisi economica ed attraversate da tensioni sociali acute e perniciose, come ad esempio la Campania, la quota pro capite per cittadino può scendere sino a 20 centesimi di euro. (4-16779)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


      MISEROTTI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          l'attività dei panificatori del nostro Paese è investita da molto tempo da una serie di difficoltà a causa dell'imponente concorrenza dei prodotti provenienti dagli ex Paesi dell'Est e in primo luogo dalla vicina Slovenia, il cui ingresso all'interno dell'Unione europea, che ha consentito l'assegnazione dei fondi previsti, ha permesso agli stessi panificatori, di investire intensamente nella loro attività e di determinare una notevole concorrenza nei confronti dei fornai italiani, talora ben oltre il limite del dumping;
          è opportuno ricordare, a giudizio dell'interrogante, come il pane che rappresenta un prodotto alimentare composto da acqua, farina, sale e lievito e spesso modificato ed integrato secondo usi e consumi locali, si differenzia soprattutto per quanto concerne il prezzo, così come sono diversificati i controlli igienico-sanitari e gli accorgimenti per garantire un prodotto genuino;
          è opportuno altresì evidenziare, come i panificatori italiani, i quali sono soggetti ai controlli capillari nell'ambito della propria attività di produzione ed in particolare quelli la cui attività risulta a gestione familiare, molto spesso sono costretti a cessare la propria attività professionale a causa dell'elevato costo della manodopera, dell'imposizione della pressione tributaria e fiscale giunta oramai a livelli intollerabili, unitamente ad una serie di adempimenti burocratici ed amministrativi che rendono impraticabile il proseguimento;
          in aggiunta a quanto predetto, a giudizio dell'interrogante, l'imponente competizione di Paesi che presentano costi di produzione notevolmente inferiori talora ben oltre il limite del dumping, così come precedente esposto, costituisce un fattore negativo e penalizzante che accresce ulteriormente il gap nell'ambito dell'attività fra le imprese italiane ed estere  –:
          quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa in ambito comunitario in materia dei principi libero mercato e della concorrenza, intendano intraprendere al fine di tutelare il settore dei panificatori e dei fornai italiani, pesantemente penalizzati dalla concorrenza sleale proveniente dai Paesi dell'est europeo. (4-16782)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MANCUSO, BARANI, DE LUCA, GIRLANDA, CICCIOLI, GIRO e CROLLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la CIDP (polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante) è una malattia rara dei nervi periferici caratterizzata da una graduale e crescente debolezza delle gambe e, in misura minore, delle braccia. È causata dal danneggiamento della guaina dei nervi, detta mielina. La malattia si può verificare a qualsiasi età, sia nei maschi che nelle femmine. La debolezza si sviluppa nel corso di due o più mesi. Le caratteristiche che aiutano a diagnosticare la CIDP sono descritte qui di seguito;
          uno dei metodi di cura che si sono dimostrati maggiormente efficaci, vi è la somministrazione endovenosa di dosi elevate di globuline immuni (IVIG), cioè proteine protettive del sangue ottenute da volontari sani;
          le difficoltà di accesso alle cure dei pazienti di CIDP sono notevoli e, in particolare, vi sono numerose segnalazioni provenienti da varie regioni di impossibilità di accesso alle immunoglobuline;
          il Ministro Balduzzi, in una nota datata 23 aprile 2012, ha evidenziato che le Agenzie di controllo statunitense FDA e francese AFSSAPS hanno approvato farmaci a base di immunoglobuline per il trattamento specifico della CIDP e che è pertanto possibile seguire anche le modalità stabilite dalle normative che prevedono l'importazione di medicinali previa autorizzazione da richiedere all'ufficio qualità dei prodotti della stessa Agenzia;
          il Ministro ha anche assicurato che il tema è stato posto all'attenzione degli organismi dell'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per una più aggiornata disamina, anche alla luce della richiesta di autorizzazione in Italia di un nuovo farmaco con tali indicazioni  –:
          se il Governo intenda invitare AIFA a compiere il proprio iter autorizzativo in tempi brevi, vista l'urgente importanza della questione per migliaia di malati di CIDP e per le loro famiglie. (5-07224)


      CENNI, SANI, TRAPPOLINO, FIORIO, OLIVERIO, BRANDOLINI e ZUCCHI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in Italia sono attualmente presenti 50.000 apicoltori con 1,3 milioni di alveari, per un fatturato complessivo di 60 milioni di euro che arriva a 2,5 miliardi se si considera il servizio di impollinazione fornito dalle api all'agricoltura;
          a seguito di crescenti spopolamenti e morie di api culminate nella falcidia dell'anno 2008, che ha messo in crisi l'intero comparto apistico nazionale, sono state intraprese numerose e diversificate iniziative, a livello istituzionale, per comprendere la causa di tale fenomeno;
          uno specifico monitoraggio è stato predisposto, fin dal 2009, dal progetto «Apenet» finanziato e coordinato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali: i risultati dell'indagine hanno evidenziato che una delle più rilevanti cause della moria di api sia da attribuirsi all'impiego dei neonicotinoidi nella concia delle sementi di mais. Nello specifico è inoltre emerso che quando un'ape, nel suo tragitto verso la fonte di cibo, sorvola una seminatrice che semina mais conciato con insetticidi, può assumere una dose letale di princìpio attivo, probabilmente anche con un singolo volo. L'intossicazione, dunque, non è mediata dall'assunzione di cibo contaminato. Ma anche la modifica con filtri delle seminatrici non risolve il problema: le prove, effettuate utilizzando api chiuse in gabbiette a rete, mostrano ancora elevate percentuali di mortalità, variabili dal 30 al 60 per cento a seconda dell'altezza di volo. Dallo studio emerge che la mortalità invernale nella stagione 2010-2011 si è attestata al 22,48 per cento;
          anche numerosi e prestigiosi studi e ricerche effettuate a livello mondiale hanno rilevato una connessione tra la mortalità delle api e l'utilizzo d'insetticidi sistemici nella concia delle sementi di mais. La Germania e la Slovenia hanno vietato l'impiego di tali sostanze e il Consiglio di Stato della Francia ha dichiarato illegali le pregresse autorizzazioni annuali del conciante sistemico del mais Cruiser, uno dei preparati a base di neonicotinoidi;
          l'utilizzo dei neonicotinoidi è inoltre una delle cause principali della morte di tutte le specie di insetti impollinatori: con conseguenze quindi che si ripercuotono sulla quantità e qualità delle produzioni agricole e sulla fertilità dei suoli;
          la moria di api è stata oggetto negli ultimi anni di numerosi atti di sindacato ispettivo, di denunce delle associazioni di categoria e di iniziativa da parte di molte regioni;
          al tempo stesso la direttiva 2010/21/UE (recepita con il decreto ministeriale del 15 ottobre 2010) ha imposto agli Stati membri di definire ulteriori disposizioni, comprese misure di attenuazione dei rischi per gli organismi non bersaglio, con particolare riferimento alle api da miele, e di verificarne la reale fattibilità, con precipuo riguardo alle modalità di preparazione delle sementi e delle attrezzature impiegate per la semina, al fine di garantire un elevato grado di incorporazione del seme nel suolo e di ridurre ai minimo le perdite ed il rilascio di polveri;
          il Ministero della salute, a seguito di tali indicazioni, ha emesso, il 17 settembre 2008, un decreto dirigenziale relativo alla «Sospensione cautelativa dell'autorizzazione di impiego per la concia di sementi dei prodotti fitosanitari contenenti le sostanze attive clothianidin, thiamethoxam, imidacloprid e fipronil, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n.  290»; tale sospensione è stata prorogata per quattro volte, l'ultima delle quali prevede una scadenza al 30 giugno 2012;
          la sospensione cautelativa ha effettivamente contrastato in maniera efficace la moria di api: negli anni 2009, 2010 e 2011 è stato infatti registrato un netto miglioramento dello stato di salute e dei livelli di produttività degli allevamenti apistici e come risulta dal rapporto Inea, nel 2010 la produzione di miele è aumentata del 26,3 per cento rispetto al 2009. Al tempo stesso il divieto dell'utilizzo dei neonicotinoidi nella concia delle sementi di mais non avrebbe comportato danni a tali produzioni;
          per ben cinque volte i Ministeri hanno stabilito divieti temporanei, ma anche in virtù dei dati sopramenzionati e in conseguenza di tali evidenze, risulta del tutto comprensibile la rinnovata e motivata richiesta di una sospensione definitiva dell'utilizzo dei neonicotinoidi nel nostro paese, peraltro più volte avanzata dalle associazioni degli apicoltori;
          a circa una settimana dalla scadenza del divieto (che si ricorda è fissato per il 30 giugno 2012) e qualora non venisse prorogata la sospensiva in atto, le aziende agricole potrebbero conseguentemente utilizzare semi conciati con preparati sistemici fin dalle prossime semine. Risulta quindi evidente come tale possibilità (alla luce degli studi e dei monitoraggi fino ad oggi effettuati in campo nazionale ed internazionale) rappresenti un reale pericolo per l'intero settore apistico italiano;
          questa decisione sta causando un giustificato allarme da parte di tutte le associazioni del settore. «Chiediamo il ritiro dell'autorizzazione dei concianti del mais – ha dichiarato recentemente Francesco Ranella, presidente dell'Unaapi, Unione degli apicoltori italiani –. Abbiamo sottoposto al Ministero della Salute e alle autorità competenti l'insieme di motivazioni che impongono di assumere una decisione definitiva in merito. Non dimentichiamo che le api e gli altri impollinatori, come bombi e farfalle, impollinano l'80 per cento delle colture d'Italia e d'Europa, e devono pertanto essere protetti, per salvaguardare il nostro approvvigionamento e la nostra sicurezza alimentare, e più in generale equilibri ambientali e biodiversità». Ciò che ha dimostrato in modo positivo l'esperienza italiana, conclude l'Unaapi «con lo stop ai concianti killer d'api dal 2008 e l'applicazione del principio di precauzione, è che l'uso dei pesticidi può essere sovente evitato con tecniche agricole, quali l'uso di varietà resistenti, la rotazione delle colture, il ripristino della biodiversità, la lotta biologica o semplicemente usando i pesticidi quando necessario e non sistematicamente»;
          va inoltre segnalato, in questo contesto, che l'ordine del giorno numero 9/04059-AR/43 alla Legge Comunitaria 2010, relativo alle problematiche del settore apistico italiano ed accolto dal Governo il 26 luglio 2011, ha impegnato tra l'altro l'esecutivo «a promuovere un tavolo istituzionale al fine di analizzare le problematiche connesse al settore apistico e per individuare le strategie da intraprendere onde dare risposte adeguate alla crisi del settore, scongiurando il rischio della chiusura del comparto che inciderebbe negativamente sui livelli occupazionali  –:
          se i Ministri interrogati alla luce di quanto esposto in premessa, non ritengano indispensabile e improcrastinabile deliberare in via definitiva il divieto di impiego, per la concia di sementi, dei prodotti fitosanitari contenenti neonicotinoidi;
          se i Ministri interrogati ritengano inoltre utile convocare, in tempi brevi e certi, il «tavolo istituzionale» citato in premessa per programmare politiche concertate in grado di tutelare e promuovere, con efficacia e continuità, il comparto apistico nazionale. (5-07225)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIRLANDA. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          i carabinieri dei Nas di Perugia hanno compiuto, e sono tuttora in corso, accurate indagini negli ospedali umbri in relazione alla somministrazione di visite, analisi e prestazioni ambulatoriali aggirando il pagamento dei ticket sanitari ad amici e parenti di personale interno alle strutture stesse, evitando al contempo le tempistiche provocate dalle liste di attesa;
          le ipotesi di reato su cui si muoverebbe l'indagine sono anche quelle di abuso d'ufficio ed esercizio abusivo della prescrizione medica, in quanto sono stati riscontrati casi di analisi somministrate senza prescrizione medica;
          le indagini sono iniziate a seguito di controlli sui ricoveri nei day hospital, alcuni dei quali sono stati fatti con estrema rapidità e senza necessità, al solo fine di non pagare il ticket ed ottenere check up a spesa della sanità pubblica  –:
          quali iniziative normative i Ministri interrogati intendano attuare per introdurre una più attenta procedura di controllo delle prestazioni sanitarie erogate e del comportamento del personale medico, nonché per accogliere i rilievi emersi nel corso delle indagini da parte delle forze dell'ordine al fine di ridurre i casi in cui possano ripetersi tali evenienze. (4-16775)


      MISEROTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in Italia il consumo di bevande alcoliche, e di vino in particolare, fa parte di una radicata tradizione culturale;
          negli ultimi anni si stanno, però, diffondendo nuovi modelli di consumo che prevedono un uso occasionale, intenso e spesso intossicante di bevande di maggior gradazione alcolica, drinks, aperitivi e birra;
          il fenomeno dell'abuso nel consumo di alcol è in rapida diffusione nel nostro Paese, dove – sulla base dei dati contenuti nell'ottava Relazione del Ministro della salute al Parlamento sugli interventi realizzati ai sensi della legge 30 marzo 2001, n.  125 «legge quadro in materia di alcol e problemi alcol correlati» – 2011 (dati 2009-2010) – gli alcol dipendenti in trattamento nei servizi pubblici sono in costante aumento dal 1996 e nel 2009 ne sono stati rilevati 65.360. Fra essi in particolare la percentuale dei giovani al di sotto dei 30 anni rappresenta il 10,2 per cento del totale, con un valore in crescita rispetto a quello della precedente rilevazione (10 per cento), soprattutto tra i nuovi utenti;
          secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità – contenuti nella citata Relazione – il 25,4 per cento degli uomini ed il 7,3 per cento delle donne di età superiore a 11 anni, circa 8.600.000 persone, consumano alcolici senza rispettare le indicazioni di consumo delle agenzie di sanità pubblica, esponendosi a rischi alcol correlati con ricadute sotto il profilo sanitario, (incidenti stradali, omicidi, suicidi, cirrosi epatiche, depressione, cancro) ed economico facilmente immaginabili (tra il 2000 e il 2009 la percentuale dei ricoveri ospedalieri per cirrosi alcolica ha registrato, in rapporto agli altri ricoveri per cause totalmente alcolcorrelate, una crescita di quasi 10 punti percentuali passando dal 26,30 per cento al 36,4 per cento);
          dall'indagine ESPAD (The european school project on alcohol and other drugs) Italia 2011 emerge un dato ancor più preoccupante ovvero quello relativo all'età del primo contatto con l'alcol, che nel nostro Paese è la più bassa in Europa (13 anni contro i 14,6 anni della media europea);
          il 19,5 per cento dei giovani, nella fascia di età tra gli 11 e i 15 anni, dichiara di aver bevuto alcolici nonostante sia in vigore il divieto di servire bevande alcoliche e superalcoliche ai minori di 16 anni;
          in Italia il primo contatto con le bevande alcoliche avviene in età molto precoce e secondo l'indagine internazionale HBSC (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare), svolta in collaborazione con l'OMS sui comportamenti dei ragazzi in età scolare di 40 Stati europei, i ragazzi italiani di 11, 13 e 15 anni sono ai primi posti per il consumo settimanale di alcol;
          l'ISTAT, nel decennio 2000-2010, ha rilevato una forte crescita del consumo di alcolici e superalcolici fuori pasto da parte dei giovani e dei giovanissimi, particolarmente evidente nella fascia di età 18-24 anni in cui la prevalenza è passata dal 33,7 per cento al 41,9 per cento mentre nella fascia di età 14-17 anni si è passati dal 14,5 al 19,9;
          in particolare, a partire dal 2003, è in crescita tra i giovani il fenomeno del «binge drinking» ovvero il consumo di bevande alcoliche in grande quantità, in breve tempo e fuori pasto; tra i giovani maschi di 11-25 anni esso è passato dal 13,7 per cento del 2003 al 14,7 per cento del 2010 e tra le femmine di pari età dal 5,5 per cento al 6,3 per cento; la tendenza all'aumento è stata confermata anche tra il 2009 e il 2010, sia tra i maschi (dal 14,3 per cento al 14,7 per cento) che tra le femmine (dal 5,6 per cento al 6,3 per cento);
          dai dati sopra citati si evince come il consumare alcolici e superalcolici in compagnia sia – purtroppo – ritenuto da molti giovani e giovanissimi una sorta di moda e un elemento per farsi accettare dal gruppo, ignorando (o dimenticando) che l'alcol, in particolare nei minori di 15 anni, non viene metabolizzato correttamente dall'organismo ed è quindi mal tollerato;
          l'alcol alla guida è la causa principale di morte – subito dopo l'eccessiva velocità – sulla strada e tra i giovani rappresenta in Italia addirittura la prima causa;
          fra i Paesi della regione europea aderenti all'Organizzazione mondiale della sanità, l'Italia è uno dei pochi in cui non vige il divieto di vendita delle bevande alcoliche ai minori, ma solo il divieto di somministrazione ai minori di 16 anni (articolo 689 del codice penale) e questo significa, ad esempio, che ad un minore di 16 anni per legge non può essere servito un bicchiere di vino, ma può liberamente acquistarne una bottiglia intera in un supermercato;
          la maggior parte degli altri Paesi, ivi compresi Paesi a noi molti simili come profilo del consumo e della produzione, hanno anche il divieto di vendita ai minori, oltre a quello della somministrazione nei locali pubblici;
          l'età legale più diffusa per il divieto di vendita è quella dei 18 anni. Tale età è anche quella individuata come limite legale auspicabile per tutti gli Stati dell'Unione europea nell'ambito dei lavori preparatori della adozione di una strategia comunitaria sull'alcol;
          anche in mancanza di una normativa nazionale di riferimento, la dimensione che sta assumendo il fenomeno del consumo di alcol tra i giovani e la necessità di arginare questa piaga soprattutto tra i minorenni, ha spinto molti sindaci ad emanare ordinanze relative al divieto di vendere alcolici ai soggetti minori di età;
          il fenomeno dell'abuso di alcol da parte dei giovani è stato affrontato dal Governo attraverso la predisposizione – da parte del Ministero della salute e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – di quattro iniziative per l'avvio di campagne di sensibilizzazione mirate nelle scuole sugli stili di vita, tre delle quali sono state varate e una quarta in cantiere  –:
          quali ulteriori e tempestive iniziative intenda predisporre per realizzare un maggior rigore nella somministrazione di alcolici ai minori nonché per limitare la vendita di tali bevande solo alle persone maggiori di età. (4-16785)


      DIMA, GALATI, GOLFO, PALMIERI, NOLA, FORMICHELLA, PICCHI, DI CATERINA e GOTTARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          un articolo pubblicato sul giornale Il Quotidiano della Calabria il 27 maggio 2012, riportava notizie riguardanti un possibile caso di corruzione che si sarebbe verificato durante lo svolgimento di un concorso per n.  2 posti di dirigente medico di I livello presso l'unità operativa di dermatologia dell'azienda ospedaliera «Bianchi – Melacrino – Morelli» di Reggio Calabria, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della regione Calabria del 12 settembre 2008 e vinto dalla dottoressa Valeria Falcomatà;
          nello specifico, gli autori del citato articolo hanno riportato il contenuto di una denuncia-querela prodotta da un altro dirigente medico nel mese di novembre 2009 in cui si contestava l'illegittimità dell'indizione del suddetto concorso;
          secondo il querelante si sarebbe dovuto interrompere l’iter concorsuale innanzitutto perché il bando originario prevedeva l'assunzione di un solo medico visto che altri reparti ospedalieri presentavano carenze d'organico ben più gravi di quello di dermatologia e, quindi, erano interessati in maniera più urgente dalle necessarie integrazioni di personale e poi perché l'autorizzazione regionale alla seconda assunzione era intervenuta immediatamente prima dell'espletamento del concorso stesso;
          il concorso in questione, inoltre, è stato bandito contestualmente ad un altro per n.  1 posto di dirigente medico di II livello presso l'unità operativa di dermatologia dell'Azienda Ospedaliera «Bianchi – Melacrino – Morelli» di Reggio Calabria in cui un concorrente era al tempo stesso membro della commissione esaminatrice dell'altro concorso;
          secondo quanto citato dall'articolo in questione, il querelante avrebbe supportato la propria denunzia da registrazioni da cui emergerebbe che la dottoressa Falcomatà avrebbe fatto riferimento alla circostanza che gli esiti del concorso sarebbero già stati definiti  –:
          di quali elementi disponga il Ministro in relazione a quanto esposto in premessa e se vi fosse stata la necessità di ampliare il numero dei posti messi a concorso tenuto conto delle esigenze di contenimento della spesa nella regione Calabria. (4-16790)


      BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'acufene è una sensazione uditiva reale la cui origine non ha riscontro in una sorgente sonora nell'ambiente esterno. Vengono definiti oggettivi quelli che, avendo origine esternamente all'orecchio, possono essere percepiti dall'esaminatore e sono quindi obiettivabili; i soggettivi sono invece percepiti esclusivamente dal soggetto interessato;
          gli acufeni possono esprimersi in molti modi; comunemente sono percepiti come fischi «sottili» di frequenza acuta (ad esempio pentola a pressione), altre volte come ronzii e quindi più spostati verso le frequenze gravi (ad esempio risacca del mare), in altre occasioni hanno uno suono variabile e diffuso su tutte le frequenze dell'udibile (ad esempio cinguettio, cicale, grilli, cigolio), oppure sono di tipo pulsante come il cuore o intermittente come uno scatto meccanico;
          gli acufeni non sono definibili come una specifica malattia, possono costituire un sintomo di malattie, non necessariamente a carico dell'orecchio o delle vie acustiche, anche se molto spesso dietro all'acufene c’è solo un modesto danno all'orecchio interno;
          l'incidenza reale degli oggettivi è bassissima, attestandosi intorno all'1 per cento del totale; si tratta per lo più di rumori di origine vascolare, tubarica, muscolare, articolare, trasmessi per via ossea e quindi in grado di stimolare fisiologicamente il recettore; essi possono avere carattere pulsante, manifestarsi in soggetti normoudenti ed hanno per lo più tonalità grave;
          gli acufeni propriamente detti (soggettivi) costituiscono, invece, percezioni sonore in assenza di stimolazione fisiologica dei recettori cocleari; sono provocati dall'attivazione abnorme di un punto qualsiasi della via acustica, hanno per lo più tonalità acuta e, quasi sempre (93 per cento), sono accompagnati da ipoacusia (condizione patologica caratterizzata dalla perdita parziale dell'udito);
          si tratta, dunque, di una malattia che provoca uno stato invalidante dal punto di vista dell'assetto psicologico ed emozionale, del ritmo sonno-veglia, del livello di attenzione e concentrazione, della vita di relazione;
          questi fattori portano spesso ad uno stato di depressione, che induce il paziente ad isolarsi e a non partecipare alla vita sociale;
          non tutte le persone che soffrono di acufeni sono disturbate nelle loro attività quotidiane. La ragione di ciò non è determinata dalla intensità dell'acufene che è generalmente modesta. Infatti è stato rilevato con test di acufenometria (L. Rubio 2004) che nel 78 per cento delle persone che soffrono di acufene l'intensità dell'acufene è minore o uguale a 10dB, mentre nel 44,5 per cento dei casi è compreso tra 1 e 5 dB. La realtà è che persone con il medesimo tipo di acufene reagiscono in modo differente, alcune soffrendone in modo particolare altri no. La principale differenza tra i due gruppi è che i pazienti in cui l'acufene risulta molto fastidioso, vivono, quasi sempre a livello inconscio, questo sintomo come una minaccia o comunque come qualcosa di pericoloso per la propria integrità fisica. Molti pazienti affetti da acufene lo considerano un sintomo grave; infatti pensano che un acufene sia il campanello di allarme di una grave patologia nascosta. Altri sono convinti che l'acufene significhi un danno permanente all'orecchio piuttosto che una limitazione temporanea della capacità uditiva. Altri ancora associano l'acufene a tumori cerebrali, problemi vascolari o malattie mentali. Queste preoccupazioni sono molto spesso infondate. Quasi tutte le persone temono che l'acufene possa diventare più forte, durare per sempre e non essere curato  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere per incentivare studi e ricerche su questa patologia, che può colpire tutti indistintamente, con risvolti invalidanti nel mondo emozionale e lavorativo delle persone colpite. (4-16793)


      BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          da pochi giorni è stata autorizzata la vendita anche in Italia del farmaco ellaOne®, conosciuto come «la pillola dei cinque giorni dopo». L'Aifa, sollecitata dal Ministero della salute, aveva chiesto al Consiglio superiore di sanità di «escludere con certezza che il farmaco ellaOne® agisse dopo il concepimento», per valutarne la compatibilità con le leggi che tutelano sia la donna che il concepito;
          il Consiglio superiore di sanità ha risposto che il farmaco non agisce dopo l'annidamento, puntualizzando che: «l'aborto è la rimozione dell'embrione già annidato in utero, che avviene dopo il sesto o settimo giorno da un rapporto potenzialmente a rischio. La nuova pillola è utilizzabile prima che si verifichi l'eventuale annidamento, e successivamente non ha effetto». La differenza fra il concepimento e l'annidamento è talmente evidente che rende inadeguata la risposta. Tuttavia, sulla base di questa risposta anomala l’iter è proseguito fino all'approvazione finale;
          nel precedente Governo si è detto che poiché il farmaco era stato approvato dall'EMA e definito come «contraccettivo» (seppure di emergenza), era inevitabile che fosse immesso in commercio anche in Italia. Ma il termine «contraccezione» non è utilizzato in modo univoco;
          negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone si parla di «contraccezione» includendovi metodi che agiscono anche dopo l'annidamento dell'embrione in utero, con un meccanismo francamente abortivo. La nostra cultura invece, i nostri principi e le nostre leggi, restringono il concetto di contraccezione alla prevenzione del concepimento. Il termine «contraccezione» fa riferimento a metodi che prevengono il concepimento, e non a metodi che impediscono l'annidamento;
          su questa base la commissione tecnico scientifica dell'Aifa ha deciso che la prescrizione medica per l'acquisto di ellaOne® in Italia sia garantita solo ed esclusivamente alle donne che, preventivamente, si saranno sottoposte ad un test ematico di gravidanza: la ragione di questa precauzione sta tutta nell'ipotesi che ci possa essere una gravidanza in corso;
          è difficile definite il meccanismo d'azione di ellaOne® (Ulipristal Acetato) come un semplice «contraccettivo», per cui la sua eventuale immissione in commercio richiede la massima chiarezza per offrire le necessarie garanzie per l'utilizzo;
          si sostiene da parte dei produttori che Ulipristal somministrato nel periodo fertile del ciclo, e quindi nei quattro-cinque giorni che precedono l'ovulazione, abbia la capacità di posticipare l'ovulazione stessa e quindi impedisca l'incontro di uovo e spermatozoo. L'unico studio che valuta l'efficacia di ellaOne® (30 mg per os) sull'ovulazione, quando viene somministrato nel periodo fertile del ciclo, riguarda solo 34 donne, un campione troppo esiguo per valutare gli effetti del farmaco;
          in ogni caso l'ovulazione risulta ritardata soltanto quando il farmaco è assunto all'inizio del periodo fertile e diminuisce progressivamente mano a mano che ci si avvicina al momento dell'ovulazione. Di fatto se è assunta nei due giorni che precedono l'ovulazione, i più fertili del ciclo mestruale, ellaOne® non è più in grado di interferire con l'ovulazione, che si verifica regolarmente e senza alcun ritardo. È quindi inesatto quanto è riportato nel foglietto illustrativo del farmaco, e cioè che ellaOne® assunta nel periodo fertile del ciclo, e quindi nei giorni immediatamente precedenti l'ovulazione, agisca con meccanismo anti-ovulatorio;
          è invece dimostrato l'effetto che ellaOne® ha sull'endometrio, indipendentemente dal giorno di assunzione, perché altera profondamente la recettività del tessuto, che risulta gravemente compromesso e inadeguato all'impianto. L'effetto inibitorio sulla maturazione dell'endometrio è legato alla inibizione dei recettori tessutali per il progesterone (lo stesso meccanismo della RU486) e si verifica anche con i dosaggi più bassi di Ulipristal (1 mg e 10 mg), dosaggi molto più bassi di quelli contenuti in ellaOne® (30 mg);
          quindi, nelle donne che assumono il farmaco dopo un rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile può avvenire ugualmente l'ovulazione e possono concepire, ma l'endometrio risulta irrimediabilmente compromesso, indipendentemente dal momento in cui il farmaco è assunto, e l'eventuale concepito non può annidarsi. Mentre l'azione antiovulatoria è dubbia, quella anti-annidamento è sicura. Ed è proprio questo effetto che rende ellaOne non solo anticoncettiva ma decisamente abortiva;
          c’è la tendenza ad assimilare levonorgestrel (la pillola del giorno dopo) ed ulipristal acetato, EllaOne o pillola dei 5 giorni, ma il primo è un progestinico ed ha effetto anticoncezionale, mentre il secondo è un antiprogestinico, analogo alla RU 486, per cui oltre ad essere anticoncezionale ed antifecondativo è anche un efficace aborigeno;
          d'altra parte, la grande e reclamizzata novità di ellaOne®, presentata come «la pillola dei cinque giorni dopo», è proprio quella di essere sicuramente efficace anche se presa cinque giorni dopo il rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo mestruale. Ma questo effetto non è compatibile con i principi su cui si fondano le nostre leggi in materia;
          sembrerebbe che la Commissione tecnico scientifica dell'Aifa avesse deciso all'unanimità o quasi di introdurre nella delibera il «rischio abortigeno». Ma questo non è avvenuto e la precisazione, determinante per comprendere il funzionamento del farmaco e quindi offrire una informazione esatta, non è stata registrata. Il farmaco inoltre è disponibile sui siti internet e può essere gestito come una sorta di fai-da-te  –:
          se non ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza volta a evitare che sia immesso in commercio un farmaco che contrasta con le leggi attuali e ad aggiornare il foglio informativo, che è ambiguo e contrasta con la verità scientifica, non trattandosi di un semplice anti-concezionale, ma di un farmaco potenzialmente abortigeno in quanto impedisce l'annidamento dell'embrione. (4-16794)


      BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA e CALGARO. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          agli inizi del 2011 SHIRE® – multinazionale farmaceutica inglese da oltre 3 miliardi di euro di fatturato – ha dato mandato a un'agenzia internazionale di pubbliche relazioni di promuovere in Italia iniziative sull'ADHD, la sindrome da iperattività e deficit di attenzione (bambini troppo agitati e distratti), spesso «curata» con potenti psicofarmaci;
          da allora sono stati organizzati congressi, dialoghi con la classe medica, articoli sui giornali: un'azione apparentemente culturale e di sensibilizzazione per informare su un disagio che riguarda sempre più famiglie e scuole, anche nel nostro Paese; il potenziale conflitto delle case farmaceutiche tra informazione scientifica e marketing commerciale è ben noto e spesso si accompagna anche alla trasmissione solo parziale dei dati sperimentali, che privilegiano la comunicazione dei risultati positivi e sottacciono quelli negativi, inclusi i drop out;
          proprio SHIRE®, come già evidenziato in precedenti atti di sindacato ispettivo, sta per introdurre in Italia uno psicofarmaco per bambini, la guanfacina, una vecchia molecola anti-ipertensiva autorizzata negli Stati Uniti i cui effetti collaterali – tra i quali grave confusione e depressione delle funzioni mentali – non sono ancora stati misurati sui minori; la multinazionale inglese vorrebbe riciclare tale prodotto per l'uso sui bimbi: una sperimentazione su bambini è – su iniziativa di SHIRE – in corso in quel periodo nella massima riservatezza in un centro ricerche di Pisa;
          in seguito all'interrogazione a risposta immediata in Commissione n.  5-05065 della firmataria del presente atto e ad un'analoga iniziativa assunta al Parlamento europeo dall'onorevole Cristiana Muscardini, come unico risultato si è ottenuto che il Ministro della salute Ferruccio Fazio ordinasse una verifica dei NAS sulle presunte attività «promozionali» da parte di SHIRE®, verifica che si è conclusa con un nulla di fatto;
          è recente la notizia che, con una lettera dai toni ultimativi, per conto di SHIRE Italia è stato diffidato un piccolo periodico di Matera, on-line su www.ilresto.tv, dal rimuovere immediatamente un articolo che rendicontava sull'accaduto in merito alla campagna pubblicitaria sullo psicofarmaco in questione;
          risulta, a parere dell'interrogante, quanto meno bizzarro che SHIRE trascini in tribunale – come ha annunciato di voler fare – un sito internet che ha come unica colpa quella di aver ripreso notizie ampiamente circolate sui mass-media nazionali e non solo; il rapporto tra salute e comunicazione richiede certamente una verifica delle informazioni che raggiungono i cittadini, facendo leva sull'impatto emotivo che possono suscitare, a prescindere dalla loro fondatezza scientifica; ma è altrettanto necessario mantenere viva l'attenzione dei cittadini sulle false speranze e le false soluzioni che le multinazionali del farmaco diffondono attraverso i loro uffici stampa;
          è sconcertante che uno psicofarmaco sia stato autorizzato per l'uso sui bambini negli Stati Uniti, dove 11 milioni di bimbi sono quotidianamente drogati nella speranza vana di risolvere problemi di comportamento o di migliorare le performance scolastiche, mentre chi si permette di obiettare o di criticare la spregiudicatezza del marketing farmaceutico è sottoposto a denuncia  –:
          quali urgenti iniziative intendano porre in essere a tutela della salute dei più deboli ed indifesi e quali iniziative di competenza anche normative ritengano opportuno adottare in grado di valorizzare la libertà di espressione sul web delle piccole realtà locali italiani;
          quali conseguenze il Ministro della salute intenda trarre dalla verifica dei NAS sulle presunte attività «promozionali» da parte di SHIRE®, considerato che a giudizio degli interroganti, gli sviluppi della vicenda hanno mostrato al di là di ogni ragionevole dubbio, che c’è una operazione di marketing farmaceutico che va ben oltre la semplice informazione scientifica. (4-16795)


      BINETTI e NUNZIO FRANCESCO TESTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          è di dominio pubblico il disagio creato dall'assurdo aumento del prezzo di un farmaco salvavita, il cui costo è passato da 2 euro a ben 24 euro. A detto aumento ha fatto seguito la denuncia da parte di un paziente in una lettera inviata al Corriere della Sera, e che ha trovato sollecita risposta in un comunicato di Guido Rasi, direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa);
          il medicinale in questione, è a base di benzilpenicillina da somministrarsi per iniezione, che fino a poco tempo fa era molto economico e veniva rimborsato dal Servizio sanitario nazionale, ma da maggio 2011, è disponibile solo in modalità siringa pre-riempita, e il suo prezzo è diventato 24 euro, totalmente a carico del paziente;
          la casa farmaceutica Biopharma ha fissato un prezzo che appare proibitivo per il Servizio sanitario nazionale, per cui, pur non essendoci un farmaco alternativo, il malato deve provvedere in proprio;
          uno dei casi segnalati e pervenuti riguarda, nello specifico un bambino di 4 anni che ha contratto, per recidiva da scarlattina, la malattia reumatica diagnosticata dal reparto di reumatologia dell'ospedale Bambin Gesù di Roma che ha anche prescritto, come profilassi preventiva e secondo lo standard accettato ed accertato, una dose di Diaminocillina 1.200.000 ogni 21 giorni;
          diverse farmacie interpellate hanno confermato che sono reperibili esclusivamente le confezioni per uso ospedaliero non vendibili al pubblico, per il quale sono invece previste delle confezioni con farmaco in modalità siringa pre-riempita, con i problemi già evidenziati  –:
          quali urgenti iniziative intenda porre in essere per risolvere definitivamente la questione di questo farmaco salvavita il cui costo aggrava ulteriormente le difficoltà delle famiglie italiane già colpite dalla crisi economica. (4-16796)


      BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          i responsabili dei centri trapianti del policlinico Gemelli, Rino Agnes, e del policlinico Umberto I, Pasquale Berloco, due esperti del settore a livello internazionale hanno espresso pubblicamente le loro riserve sulla nomina di un dentista, alla guida dell'Agenzia regionale per i trapianti;
          l'Agenzia è un organo tecnico, di consulenza nella programmazione dell'attività di assistenza e ricerca a livello regionale; va da sé che alla guida dovrebbe essere assegnato un tecnico che possegga requisiti in questo specifico settore;
          il decreto n.  92, firmato il 15 febbraio 2012 da Mario Abbruzzese, presidente del consiglio regionale del Lazio stabilisce che «è nominato presidente dell'Agenzia Gaetano Marcello», affiancato da «Pietro Alimonti e Aldo D'Avach come vicepresidenti»;
          Gaetano Marcello, dentista di Guidonia, prende il posto del professor Carlo Umberto Casciani, esperto di trapianti ed ex presidente e commissario dell'Agenzia dal 2008;
          il decreto, pubblicato l'8 marzo sul bollettino ufficiale della regione Lazio (Burl), spiega che i designati sono stati scelti «attraverso l'esame dei curricula previsti dagli avvisi pubblicati il 13 dicembre del 2008» sullo stesso Burl;
          tra i candidati alla guida dell'Agenzia regionale per i trapianti sembra ci fossero anche almeno altri quattro «concorrenti»: Umberto Casciani, che aspirava ad una possibile conferma, Pasquale Berloco, attuale presidente della Società italiana dei trapianti, Rino Agnes, responsabile dell'unità dei trapianti del policlinico Gemelli e Di Giulio, esperto di trapianti del San Camillo;
          in Commissione XII Affari sociali della Camera, è in discussione dal 2008 il testo unificato delle proposte di legge C. 799 ed abb., recante «Principi fondamentali in materia di governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale», vertente sulla necessità di una maggiore trasparenza e competenza nella nomina dei dirigenti di struttura complessa; si tratta di materia analoga a quella trattata, proprio perché tende a mettere in primo piano sempre e solo criteri di competenza professionale specifica e di meritocrazia; il ddl nel suo spirito originario intende obbligare la politica a tener conto della salute pubblica come di una delle forme più alte su cui si fonda il bene comune, per cui vuole fare della competenza specifica, opportunamente documentata, il criterio guida di ogni possibile scelta e decisione  –:
          di quali elementi disponga il Governo in merito ai parametri presi in considerazione dalla commissione che ha esaminato i curricula dei candidati, tenendo conto che gli esclusi vantano una competenza scientifica e professionale di rilievo internazionale ampiamente documentata, mentre i prescelti sono assai meno noti alla comunità scientifica di riferimento;
          se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per definire una disciplina delle procedure di selezione per incarichi di particolare complessità come quello di cui in premessa, volta a tenere maggiormente in considerazione i requisiti di chi ha competenza effettiva nel campo, considerata la delicatezza del ruolo che si intende ricoprire. (4-16798)


      BINETTI e NUNZIO FRANCESCO TESTA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          risulta, a parere degli interroganti, insoddisfacente la risposta del Ministro della salute in merito all'interrogazione n.  3-01849 concernente iniziative relative alla carenza di personale sanitario e alle modalità di accesso alle facoltà di medicina e chirurgia;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) ha determinato per il 2011-2012 un aumento pari a 9.501 posti per le facoltà di medicina e chirurgia, nonostante le regioni e il Ministero della salute, con il pieno auspicio dell'Ordine dei medici ne avessero sollecitati almeno 10.566. Si tratta di mille posti in meno con una evidente disparità di valutazione del fabbisogno dei medici nei prossimi anni;
          la cosa appare tanto più grave in quanto l'argomentazione utilizzata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è che il numero dei potenziali studenti di medicina è risultato superiore alla capacità formativa complessiva degli atenei. Evidentemente l'ampliamento dell'offerta formativa, che in questi ultimi 5 anni è cresciuta del 30 per cento, è ancora inadeguata a coprire i bisogni effettivi del nostro servizio sanitario nazionale. Da circa dieci anni solo l'85 per cento degli immatricolati a medicina arriva alla laurea come ha evidenziato Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale (Cun);
          entro il 2015, infatti, a fronte dei prossimi pensionamenti nella categoria, verranno meno circa 17.000 medici e dal 2013 è ipotizzabile un saldo negativo tra pensionamenti e nuove assunzioni. È vero che, come ha ricordato il Ministro della salute, l'Italia, ha un numero di medici professionalmente attivi superiore alla media europea, ovvero pari a 4,1 medici per mille abitanti contro una media dell'Unione europea di 3,4 per mille abitanti;
          questo tuttavia non compensa l'andata in pensione dei medici, secondo l'attuale trend, del quale si prevede il picco massimo entro il 2021, che provocherà un depauperamento del personale medico operante nel sistema sanitario italiano di almeno 30mila unità anche per effetto delle ultime modifiche agli assetti previdenziali;
          la tendenza alla riduzione dei medici in attività è testimoniata anche dalle statistiche Oecd 2011 che mostrano in Italia un numero di medici «praticanti» per mille abitanti in rapido decremento rispetto ai dati precedenti, essendo al 3,4 per mille contro il 3,1 medio dei Paesi Oecd, con la possibilità che con l'attuale ritmo di uscita dal sistema, nei prossimi 5 anni il nostro indice sia al di sotto della media Oecd;
          quest'anno oltre tutto per la prima volta nel corso degli ultimi anni c’è stata una riduzione dello 0,7 per cento delle domande per l'ammissione alle lauree in medicina e chirurgia e in odontoiatria, per la prima volta accorpate: 85 mila studenti hanno fatto domanda nelle 37 università statali per 8.977 posti a bando e 13 mila studenti per 581 posti nelle università non statali;
          oggi il numero dei medici supera ancora la media Ocse, ma a breve la situazione è destinata a cambiare ed è necessario aumentare le immatricolazioni, migliorando al contempo la qualità dell'offerta formativa per garantire al nostro servizio sanitario nazionale almeno 10 mila medici l'anno, necessari per essere a regime nel 2018;
          oltre ad aumentare il numero delle immatricolazioni degli studenti in medicina e chirurgia però diventa sempre più urgente garantire a quanti si laureano la possibilità di accedere ad una scuola di specializzazione, facendo coincidere il numero dei laureati con il numero dei potenziali specialisti. Nei prossimi 10 anni, si prospetta, pertanto, una mancanza di circa 30.000 specialisti che svolgono funzioni non delegabili ad altre professioni sanitarie;
          oggi uno studente che si immatricola a medicina chirurgia, superando la selezione iniziale, pur laureandosi regolarmente in corso, corre il rischio di dover attendere anche due o tre anni prima di accedere alla scuola di specializzazione, portando il suo iter formativo a 12-14 anni. E quindi ritardando pesantemente il suo ingresso nel mondo della professione, con possibili conseguenze anche sotto il profilo pensionistico  –:
          se non si ritenga ormai improcrastinabile aumentare almeno di 1.000 i posti disponibili per accedere alla facoltà di medicina e chirurgia, eventualmente anche da quest'anno, dal momento che le immatricolazioni si stanno ancora effettuando in questi giorni;
          quali urgenti iniziative si intendano attuare al fine di favorire l'accesso alle scuole di specializzazione attraverso un effettivo ampliamento dei posti disponibili e una comunicazione più chiara e tempestiva dei posti rimasti vacanti permettendo ai giovani medici di inserirsi nelle graduatorie che restano incomplete. (4-16799)


      BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sono sempre più numerosi i casi di mamme che partoriscono dopo i 50 anni. L'ultima relazione sulla legge n.  40 presentata al Parlamento dal Ministero della salute, indica che l'età media delle donne italiane che vi si sono sottoposte nel 2009 è stata di 36,2 anni contro i 35,9 del 2008. Il 28,2 per cento dei cicli è stato effettuato da pazienti over 40;
          dalla relazione emerge che nel 2009 il 31,3 per cento dei cicli di procreazione medicalmente assistita fatti a fresco (cioè non da ovociti e spermatozoi congelati) è stato realizzato in donne sotto i 34 anni, il 40,5 per cento tra i 35 e 39 anni, il 20,6 per cento tra i 40 e 42 anni e il 7,6 per cento in donne oltre i 43 anni;
          l'età limite per le donne, in un primo tempo, era fissata a 43 anni con possibilità, di conseguenza, molto limitate di ottenere una gravidanza per donne over 40;
          tuttavia, le singole regioni stanno prendendo provvedimenti in merito al fine di estendere le possibilità offerte dalla legge n.  40 del 2004, dando la possibilità di fare i trattamenti di procreazione medicalmente assistita a carico del servizio sanitario nazionale; è il caso del Veneto dove con delibera della giunta regionale si è fissato a 50 anni per le donne e a 65 per gli uomini il limite d'età per accedere alla fecondazione assistita, nonché in 3-4 i tentativi possibili a seconda della tecnica d'inseminazione utilizzata;
          è opportuno evidenziare che, secondo quanto stabilito dalla legge n.  40 all'articolo 5 in merito ai requisiti soggettivi, non sono previsti limiti di età a tali trattamenti, dal momento che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile;
          la cronaca in questi giorni riferisce di numerosi casi di madri over 50, con padri oltre gli over 60, probabilmente, si tratta di coppie andate all'estero per una procreazione medicalmente assistita che nel nostro Paese non avrebbero avuto, ma è in Italia che prendono forma problemi molto complessi di queste gravidanze sia per l'età avanzata dei genitori che per il forte scarto di età con i loro figli  –:
          se sia in grado di quantificare il numero delle donne madri oltre i 50 anni e quali urgenti iniziative anche normative intenda attuare per garantire sia a queste donne che partoriscono in età non più giovane che ai loro figli un'adeguata assistenza sul piano dell'assistenza psico-fisica. (4-16800)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Bordo n.  5-06651, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 aprile 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sani.

      L'interrogazione a risposta scritta Realacci e altri n.  4-16369, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rao.

      L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Callegari e Maggioni n.  5-07198, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

      L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Fugatti n.  5-07216, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Comaroli.

      L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Fluvi e Garavini n.  5-07217, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Causi.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta orale Binetti n.  3-01816 del 15 settembre 2011 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16802;
          interrogazione a risposta orale Binetti n.  3-01821 del 19 settembre 2011 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16801;
          interrogazione a risposta orale Binetti n.  3-01844 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16800;
          interrogazione a risposta orale Binetti e Nunzio Francesco Testa n.  3-01876 del 5 ottobre 2011 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16799;
          interrogazione a risposta orale Binetti e altri n.  3-01889 del 14 ottobre 2011 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16797;
          interrogazione a risposta orale Binetti e Nunzio Francesco Testa n.  3-01924 del 7 novembre 2011 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16796;
          interrogazione a risposta orale Binetti e altri n.  3-01929 del 7 novembre 2011 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16795;
          interrogazione a risposta orale Binetti n.  3-01952 del 30 novembre 2011 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16794;
          interrogazione a risposta orale Binetti n.  3-02142 del 5 marzo 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16793;
          interrogazione a risposta orale Binetti n.  3-02158 del 12 marzo 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16798.