XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 6 novembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              il 17 per cento dei cittadini italiani è minore di età: sono infatti 10 milioni e 837 mila le bambine, i bambini e gli adolescenti del nostro Paese. Questo significa che circa un italiano su sei è un bambino o un adolescente. I minori di età non votano, non appartengono alle lobby che fanno pressione sulle agende politiche dei governanti di costituirsi in corporazioni. I loro diritti sono sanciti nei primi 40 articoli della convenzione sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge n.  176 del 27 maggio 1991;
              l'Italia è stata protagonista, negli ultimi trent'anni del ’900, di azioni forti, ispirate alla promozione dei diritti delle persone di minore età. Si pensi alla legge n.  1044 del 1971, disposizioni per il piano quinquennale per l'istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato. Vale qui la pena di ricordare anche solo l'articolo 1 di quella legge: «L'assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a tre anni nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico»;
              si pensi anche alla legge del 28 agosto 1997, n.  285, riguardante le disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza e che istituiva presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza «finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, privilegiando l'ambiente ad esse più confacente, ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione dei princìpi della Convenzione sui diritti del fanciullo». E ancora al fondo nazionale straordinario per i servizi socio-educativi per la prima infanzia, varato nella legge finanziaria del 2007, che nell'ambito del piano straordinario nidi aveva avuto il merito di contribuire ad innalzare la copertura territoriale di servizi per la prima infanzia dal 9,6 per cento del periodo 2005-2006, all'11,3 per cento del periodo 2009-2010. Infine, si tenga presente la legge del 23 dicembre 1997, n.  451, che istituiva la stessa Commissione parlamentare per l'infanzia e dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia;
              oggi invece si assiste ad un pericoloso arretramento culturale, ad una inerzia legislativa e ad una quasi totale assenza di risorse economiche investite, oggetto di critiche da parte di tutti gli organismi nazionali e internazionali a tutela dei diritti dei minori di età;
              criticità che il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia ha segnalato con evidenza al nostro Paese raccomandandoci, ancora una volta, di colmarle al più presto. L'Italia è tra i Paesi OCSE con un tasso di povertà relativa molto elevato fra i bambini: il 15 per cento di loro vive in famiglie con redditi inferiori alla media nazionale. Secondo l'ISTAT, infatti, in Italia sono 1 milione e 876 mila le persone di minore età che vivono in famiglie povere e 653 mila quelle che vivono in condizione di assoluta povertà. La situazione più grave è nel Mezzogiorno: la Sicilia ha la quota più elevata di persone di minore età povere (44 per cento), seguita dalla Campania (32 per cento) e dalla Basilicata (31 per cento). È allarmante inoltre il dato in crescente aumento delle famiglie a «rischio povertà»: famiglie, cioè, che non sono considerate povere ma che potrebbero facilmente diventarlo a fronte di eventi negativi;
              povertà, esclusione sociale e discriminazione sono le cause che impediscono alle bambine e ai bambini del nostro Paese di vivere secondo le proprie aspirazioni e capacità, sono la ragione frequente che sta all'origine dell'abbandono scolastico, di pericolosi percorsi di devianza, di isolamento dal contesto sociale e amicale che possono condurre a scelte drammatiche. Il nostro sistema di istruzione non è in grado di contenere il tasso di abbandono scolastico che è superiore a quello europeo di oltre 4 punti di percentuale: i giovani italiani, tra i 18 ed i 24 anni, che hanno deciso di lasciare la scuola prima di ottenere il diploma di maturità sono il 18,8 per cento della popolazione, mentre in Europa la percentuale è del 14,1 per cento. Ancora una volta è il Mezzogiorno a registrare i dati più allarmanti: in Sicilia la percentuale di studenti che hanno lasciato gli studi prima del diploma è del 26 per cento, seguono la Sardegna con il 23,9 per cento e la Puglia con il 23,4 per cento. Concorrono a questo risultato gli scarsi investimenti in risorse destinate alla scuola che sono tra i più bassi d'Europa: le spese per l'istruzione in Italia incidono per il 4,8 per cento sul prodotto interno lordo, mentre la media europea è del 5,6 per cento. Una scuola pubblica spesso desertificata, priva di progettualità, di investimenti, di risorse umane. Vi sono insegnanti di plessi scolastici in piccoli centri abitati che non hanno la possibilità di portare, nemmeno una sola volta nell'intero anno scolastico, i bambini a teatro, o in piscina. Si tratta di bambini che vivono in contesti rurali, dove la scuola dovrebbe rappresentare la prima e fondamentale opportunità che un Paese offre alle nuove generazioni per la realizzazione delle proprie aspirazioni e potenzialità. Non stupisce dunque il crudo dato diffuso in questi giorni dalla Fondazione Agnelli secondo il quale da un confronto con Germania, Inghilterra, Stati Uniti e Francia, i ragazzi italiani sono quelli a cui la scuola piace meno;
              la scarsità e la disomogenea distribuzione sul territorio nazionale dei servizi all'infanzia aggravano la situazione: in Italia oggi l'offerta degli asili nido è tra le più basse in Europa e solo il 12 per cento dei bambini da 0 a 3 anni ha un posto garantito al nido pubblico, contro il 35-40 per cento della Francia e il 55-70 per cento dei Paesi nordici. Uno studio della Fondazione Agnelli sui bimbi delle primarie dimostra che chi ha possibilità di frequentare l'asilo nido è più bravo a scuola. Un recente rapporto UNICEF ricorda che i servizi all'infanzia permettono ai bambini di uscire dal circolo della povertà familiare. Se il nostro Paese vorrà davvero consentire che si spezzi quella catena che lega l'infanzia italiana povera ad una vita adulta segnata allo stesso modo dalla povertà, dovrà scegliere di investire in servizi, scuola, istruzione universitaria e, nel rispetto della nostra Costituzione, garantire parità di accesso a tutte le classi sociali affinché nessun ostacolo impedisca ai più vulnerabili di raggiungere i più alti livelli di istruzione;
              tra i temi segnalati come urgenti da operatori ed esperti c’è quello dei minori stranieri che vivono in Italia. È urgente provvedere ad una normativa che consenta ai figli di famiglie straniere nati in Italia di ottenere la cittadinanza italiana. Non si può pensare di crescere una nuova generazione di italiani se non si sarà capaci di fare sentire definitivamente accolti e riconosciuti come cittadini a pieno titolo tutti quei bambini o giovanissimi che studiano nelle nostre scuole, che lavorano nelle nostre imprese, che vivono al nostro fianco;
              un'urgenza che non si può più trascurare è rappresentata dai minori stranieri non accompagnati per i quali si rende necessario intervenire tempestivamente per la realizzazione di un'omogenea applicazione delle norme nazionali e sovranazionali, ratificate dal nostro Paese, che garantisca tutele in tutte le zone del nostro territorio nazionale. Sono attese politiche che determinino una diversità radicale di approccio e di accoglienza in sintonia con le raccomandazioni delle maggiori associazioni accreditate nella tutela e nell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Questo aspetto è stato segnalato dal Garante nazionale dell'infanzia, nella sua prima relazione al Parlamento italiano, come il secondo punto più urgente che attende di essere affrontato, oltre che da tutte le organizzazioni che sul territorio nazionale si occupano dell'accoglienza dei minori stranieri rifugiati in Italia, in transito sul nostro territorio per raggiungere le loro comunità di appartenenza in altri paesi europei, dei bambini in fuga dai territori di violenza e di guerra, degli «anchor children», inviati dai genitori nella speranza di finire da ancora per un inserimento futuro nel nuovo paese della famiglia rimasta nel Paese d'origine;
              la recente approvazione della convenzione di Lanzarote segna un traguardo importante nella lotta contro la pedofilia. L'Italia fu, nel 2007, non solo tra i primi paesi a sottoscrivere la convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, ma anche tra i maggiori contribuenti, con una cinquantina di articoli, alla sua stesura. Ma la velocità e la dimensione davvero globale con cui le nuove tecnologie o i nuovi media si evolvono e vengono proposti sul mercato, offrendo nuovi servizi e «spazi» aperti e accessibili a tutti, mettono tutti e soprattutto i più giovani, gli adolescenti, le bambine e i bambini, di fronte a nuove sfide. Le battaglie che la polizia postale italiana ha combattuto fino ad oggi sono giuste e hanno dato grandi risultati. Dal 1998 al 2012 sono stati chiusi 179 siti pedo-pornografici e sono state denunciate oltre 7500 persone. Ora con la Convenzione il loro lavoro potrà marciare ancora più spedito, ma da una recente audizione in commissione XI alla Camera del direttore della polizia postale si è appreso che la lotta si è spostata su fronti di cui non si possiedono le chiavi di accesso. Occorre avere l'intelligenza e l'umiltà di ammettere che nell'inseguimento del progresso tecnologico non possiamo che essere sconfitti. Magari di poco, ma si arriverà sempre dopo. È quindi necessario prevedere un investimento di risorse per un piano di informazione ed educazione che coinvolga Scuola e famiglie perché i bambini e gli adolescenti possano usufruire delle positive potenzialità prodotte dall'innovazione tecnologica, ma siano al contempo posti nella condizione di evitare i rischi cui possano andare incontro grazie alla conoscenza e alla consapevolezza dei pericoli. Analoga azione di controllo e formazione va realizzata per ciò che attiene l'utilizzo dei media da parte di minori e la presenza e l'abuso dell'immagine dei minori nei media;
              i bambini, le bambine e gli adolescenti italiani attendono da troppo tempo una giustizia a misura di minore che recepisca le linee guida del Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010 o, per stare dentro ai confini nazionali, quanto previsto al riguardo dal piano nazionale di azione per l'infanzia e l'adolescenza» del 2011, che prevede un rafforzamento dei diritti dei soggetti di minore età e suggerisce la messa in opera di un vero e proprio sistema di tutela e garanzie dei diritti delle persone di minore età. È tempo che la giustizia assuma il principio del superiore interesse del minore come bussola della sua azione: dai magistrati, ai giudici, agli avvocati. Nessun interesse di categoria deve prevalere. Dai tempi della riforma «Gozzini» del 1986 si attende di introdurre un ordinamento penitenziario per minorenni e giovani adulti secondo le indicazioni della Corte Costituzionale. Occorre procedere ad una riforma che accentri in un unico organo giudiziario le competenze in materia di minori. Occorre una riforma del sistema penale minorile che introduca un sistema sanzionatorio per i minori autori di reati;
              tra i meno garantiti è il diritto, sancito dall'articolo 12 della convenzione ONU, che stabilisce la libertà di espressione del minore, il diritto ad essere ascoltato in ogni situazione che lo coinvolga e la sua partecipazione in ogni questione che lo interessi. È di un anno fa l'iniziativa del Coordinamento per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, Pidida, che ha organizzato a Padova gli stati generali della partecipazione. Il documento elaborato dai minori che vi hanno partecipato comincia così: «Siamo giovani, e non ci basta essere delle ombre. Vogliamo essere protagonisti del mondo. Siamo milioni di voci ...»;
              i giovani chiedono, legittimamente, ascolto e attenzione. Chiedono di non essere etichettati con cliché, vogliono esprimere opinioni ed essere ascoltati come «interlocutori capaci». Spetta alle istituzioni soddisfare questo bisogno e questa richiesta: la partecipazione dei giovani alla vita del Paese è tra le risorse più grandi di cui si dispone per realizzare una società più matura e attenta ai bisogni di tutti. Passa attraverso l'ascolto anche la possibilità di valutare e giudicare con maggiore consapevolezza nel caso di procedimenti giuridici che li riguardino;
              il quadro fin qui delineato, che riguarda solo una parte dei temi di carattere urgente riferiti alla tutela dei diritti dei più giovani dei nostri concittadini, suggerisce la necessità non più rimandabile di interventi strutturali. Ciò a cui bisogna aspirare e che è necessario volere con determinazione è un quadro omogeneo e unitario di provvedimenti che tuteli l'interesse dei minori di età, qualsiasi sia la loro condizione e per tutti gli aspetti della loro vita. Appare in tutta evidenza che non si possa imputare alla crisi economica e finanziaria il ritardo e la mancata realizzazione di politiche a tutela delle fasce più deboli;
              l'attuale crisi ha peggiorato la situazione diminuendo ulteriormente le risorse riservate alla realizzazione di progettualità destinate ai bambini e agli adolescenti, ma non si può trascurare il fatto che il nostro Paese registra un ritardo in questo ambito che precede la crisi. Senza contare che in altri Paesi europei, comunque colpiti dalla crisi, sono stati adottati provvedimenti finalizzati a scongiurare un peggioramento delle condizioni delle classi più povere e fragili, esposte ad un rischio maggiore a causa della contrazione delle risorse;
              non v’è risanamento dei conti che possa incidere positivamente sulla vita di un grande Paese come il nostro che non debba essere realizzato con rigore ed allo stesso tempo con equità. Il rispetto dei diritti dei minori è alla base di ogni piano di sviluppo di una nazione, poiché ne determina il progresso culturale e ne promuove il cambiamento sociale in termini di maggiori possibilità, garantendo a tutti i suoi cittadini pari opportunità di realizzazione delle proprie ambizioni e aspirazioni. Solo così si evita lo scontro generazionale e si sigla un patto tra padri e figli, madri e figlie. Le politiche economiche del nostro Paese devono tener conto dell'impatto inevitabile che esse hanno sulla vita dei minori e deve essere chiaro a tutti che i diritti delle persone e dunque anche delle persone minori di età, non si ridimensionano in contingenze economiche difficili. Tutti sono chiamati a proseguire il compito di tutela dei diritti che la nostra Costituzione impone, consapevoli che attribuire priorità ai diritti dei bambini, alla loro vita, alla loro protezione e alla loro crescita, è garanzia di progresso e sviluppo dell'intera società italiana,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per stanziare risorse adeguate per sostenere il 3° piano d'azione per l'infanzia;
          a predisporre una cabina di regia per coordinare specifiche politiche per l'infanzia al fine di evitare una frammentazione delle responsabilità data la molteplicità di aspetti che il pianeta infanzia comporta;
          ad individuare e ad allocare risorse per finanziare progetti di sostegno ed incentivazione allo studio da rivolgere ai ragazzi che si trovano in situazioni familiari a rischio di esclusione sociale;
          a realizzare delle campagne di sensibilizzazione, nazionali e locali, al fine combattere e superare i residui atteggiamenti di chiusura e di resistenza alla dimensione internazionale della scuola italiana, favorendo così l'inclusione e l'integrazione di tutti i minori stranieri che frequentano le scuole nel nostro Paese;
          a promuovere un sistema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, strutturato e non emergenziale, finanziato con uno specifico fondo pluriennale, che tenga conto della disponibilità di posti in accoglienza su tutto il territorio nazionale e che sia collegato a meccanismi di monitoraggio degli standard di accoglienza;
          ad assumere con urgenza le iniziative di competenza per la piena attuazione della convenzione europea di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei bambini intervenendo sulle modalità di ascolto dei minori nei procedimenti, non solo giudiziari ma anche amministrativi, affinché essi possano far sentire la loro voce ed essere considerati non oggetto del contendere ma soggetti di una situazione di vita che li coinvolge;
          ad assumere iniziative per definire uno specifico ordinamento penitenziario per i minori, così come raccomandato anche dalla Corte Costituzionale.
(1-01183) «Zampa, Livia Turco, De Torre, Schirru, Mattesini, Sbrollini, Brandolini, Codurelli, Laganà Fortugno, Gatti, Verini, Cenni, Albini, Ferranti, Rugghia, Lovelli, Murer, D'Antona, Bellanova, Lenzi, Maran, Velo, Siragusa, D'Incecco, Tullo, Scarpetti, Pes, Cardinale, Motta, Bobba, De Pasquale, Fontanelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per gli affari europei, per sapere – premesso che:
          la Commissione europea ha deciso di ritirare la proposta di regolamento sul «made in», dopo che nel 2010 il Parlamento europeo, in seduta plenaria, aveva approvato a larga maggioranza il rapporto bipartisan dei tre relatori italiani, Cristiana Muscardini, Gianluca Susta e Niccolò Rinaldi;
          la decisione è stata presa dal collegio dei commissari su indicazione del responsabile europeo per il commercio, il liberale belga Karel De Gucht;
          il provvedimento, atteso da anni dall'industria italiana, aveva il sostegno oltre che dell'Italia, di Francia, Polonia e Spagna ma dopo l'approvazione da parte del Parlamento si è bloccato nel Consiglio europeo per l'opposizione, tra gli altri, di Germania, Gran Bretagna e di una serie di Paesi del nord Europa;
          il regolamento intendeva introdurre – per i tessili, l'abbigliamento, il legno, le ceramiche, il valvolame e l'oreficeria – l'obbligo di specificare il luogo di produzione sui prodotti provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea, in modo da fornire al consumatore una chiara indicazione;
          tale indicazione sarebbe risultata premiante per i produttori europei che, nonostante la crisi, hanno deciso di non delocalizzare e, in tutti i casi, veritiera in tema di origine del prodotto;
          la decisione della Commissione europea di ritirare la proposta di Regolamento sul «made in», mostra non solo la lontananza dell'Unione europea dagli interessi dei cittadini e delle imprese, ma una grave presa di posizione a favore di Paesi che, fino ad oggi, hanno costruito le proprie fortune anche grazie alla maggiore tutela che l'Unione europea gli ha riservato;
          la lobby della grande distribuzione sostenuta dai Paesi del nord Europa è riuscita ad avere il sopravvento sui Paesi manifatturieri che costituiscono la vera ricchezza e specificità dell'economia comunitaria rispetto al resto del mondo;
          le analisi secondo cui la ripresa economica deve necessariamente basarsi sul rilancio del comparto manifatturiero, non sono state tenute in alcuna considerazione dal Consiglio europeo, che in tal modo conferma il minore peso dell'Europa produttiva nelle proprie decisioni, al punto che il Consiglio ha preferito mettersi in rotta di collisione con il Parlamento, unico organo democraticamente eletto, piuttosto che con i Paesi del Nord Europa;
          a fare le spese di questa decisione, a giudizio degli interpellanti assurda ed avventata, saranno soprattutto le piccole e medie imprese e i distretti produttivi, profondamente colpiti dalla contraffazione e sempre più esposti alla concorrenza sleale dei Paesi asiatici ed extra comunitari, che continueranno a introdurre, nei nostri territori, merci low-cost e di bassa qualità prive dell'indicazione d'origine;
          appare grave anche l'idea che il Consiglio europeo possa negare ai cittadini europei il diritto di avere informazioni trasparenti sulla provenienza delle merci  –:
          quali iniziative intenda assumere il Governo:
              a) per scongiurare il ritiro della proposta di regolamento sul «made in» e per difendere gli interessi delle nostro Paese di fronte agli altri Paesi europei;
              b) per comunicare, nelle sedi opportune, l'enorme disagio delle imprese e dei cittadini italiani rispetto a una decisione che rischia di allontanarli ulteriormente dall'Europa;
              c) affinché la Commissione europea riprenda in mano il dossier «made in», imponendo al Consiglio di riaprire il confronto e la discussione sul relativo regolamento.
(2-01725) «Lulli, Bossa, Braga, Brandolini, Bucchino, Capodicasa, Cardinale, Marco Carra, Cenni, Codurelli, Concia, Dal Moro, Damiano, De Biasi, D'Incecco, Fontanelli, Froner, Garavini, Gatti, Ginoble, Gnecchi, Graziano, Lenzi, Lovelli, Marantelli, Marchi, Marchioni, Mattesini, Motta, Narducci, Pizzetti, Quartiani, Realacci, Rubinato, Sani, Sbrollini, Scarpetti, Schirru, Servodio, Strizzolo, Trappolino, Tullo, Verini, Vico, Villecco Calipari, Zunino».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      SANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 13 gennaio la nave da crociera Costa Concordia è naufragata davanti alle coste dell'Isola del Giglio (isola che fa parte del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, il più grande parco marino d'Europa compreso all'interno del santuario internazionale dei cetacei);
          il 20 gennaio 2012, il Consiglio dei ministri ha nominato il prefetto Franco Gabrielli commissario delegato del governo per l'emergenza riferita al naufragio della nave Costa Concordia. Tra i compiti del commissario delegato figurano quelli di coordinare gli interventi per superare l'emergenza, controllare l'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica da parte dell'armatore, con il potere di sostituirsi al soggetto responsabile in caso di inadempienza, e verificare che la rimozione del relitto avvenga in sicurezza;
          nel mese di febbraio 2012, la società Costa crociere ha indetto una gara internazionale, convocando dieci società per la presentazione di un piano operativo per l'intera rimozione dello scafo della Costa Concordia. Il 21 aprile 2012, la società Costa crociere ha comunicato che la gara d'appalto per la rimozione del relitto è stata vinta dal consorzio italo-americano formato dall'italiana Micoperi e dall'americana Titan Salvage;
          il 15 maggio 2012 viene dato il via libera al piano di rimozione della nave Costa Concordia; i cui lavori, secondo le prime ipotesi sarebbero dovuti durare 12 mesi: entro quindi la primavera del 2013;
          il 9 giugno 2012, l'amministratore delegato di Costa crociere dichiarava apertamente che la rimozione costituisce un'impresa che presenta possibili imprevisti;
          il 20 giugno 2012 si è insediato all'Isola del Giglio l'osservatorio di monitoraggio sulla rimozione della Costa Concordia, che è coordinato dalla regione Toscana (Presidente Maria Sergentini);
          il cantiere di rimozione della nave Concordia del consorzio di imprese Titan-Micoperi, è formato da circa 400 addetti, fra tecnici e sommozzatori, e da 20 mezzi navali di supporto;
          il 16 ottobre 2012 l'amministratore delegato di Micoperi, Silvio Bartolotti, ha dichiarato: «la nave sarà rimossa sicuramente entro la prossima primavera»;
          il 18 ottobre il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini ha dichiarato, a mezzo stampa, sulla rimozione del relitto della Costa Concordia: «per il momento abbiamo due mesi di ritardo sulla tabella di marcia, continuiamo ovviamente a presidiare queste operazioni, siamo molto impegnati a fare in modo che vengano evitati rischi di possibili impatti ambientali nel corso delle operazioni». Riguardo alla possibilità che i lavori si prolunghino fino alla prossima estate, Corrado Clini ha espresso la convinzione che «ci sia stato un equivoco: che ci fosse un ritardo tra un mese e mezzo e due mesi era noto. Il lavoro sta continuando, l'idea che il ritardo arrivi alla prossima estate nasce da un equivoco e infatti è stato subito smentito». Del resto, ha notato il Ministro, «è la prima volta che si fa un'attività del genere a livello mondiale, che ci potesse essere un margine di ritardo era prevedibile e l'importante è che tutto avvenga nel massimo della sicurezza e che si arrivi a portare via questa nave»;
          sempre il 18 ottobre 2012 Maria Sargentini dichiarava: «siamo nei tempi, ad eccezione del noto ritardo iniziale, di due mesi, le cui ragioni abbiamo condiviso con la aziende impegnate nel recupero della nave». Il ritardo riguarda la fase di messa in sicurezza della nave, ed era sostanzialmente «preventivabile». Resta concreto l'obiettivo di completare la rimozione all'inizio dell'estate del 2013;
          il 19 ottobre il sindaco dell'Isola del Giglio, Sergio Ortelli, ha scritto al commissario Franco Gabrielli ed al Presidente dell'Osservatorio Emergenza Concordia Maria Sargentini per chiedere una verifica formale ed ufficiale sui tempi di attuazione del progetto;
          l'incertezza sui tempi di recupero della nave sta creando forti preoccupazioni nelle istituzioni e nella popolazione locali, «chiedo, per il proficuo e convinto prosieguo delle operazioni, una verifica sulla tempistica e sulle cause tecniche che l'hanno determinata, rispetto al progetto iniziale e rispetto al prodotto derivante dalle fasi di ingegneria in modo da fugare ogni dubbio ed evitare gravi ripercussioni in seno all'intera comunità gigliese, per notizie estemporanee che si stanno diffondendo e che non rispondono più all'ufficialità delle decisioni»;
          per Sergio Ortelli le incertezze sul recupero del relitto stanno creando «danni economici gravi che possono mettere a rischio l'intero sistema dell'isola»;
          il 20 ottobre Franco Gabrielli ha dichiarato sulle operazioni di rimozione della Costa Concordia: «i due mesi di ritardo sono preventivati per la complessità delle cose che si vanno a fare. Per come procedono i lavori però siamo ottimisti»;
          il Ministro Corrado Clini ha affermato, sulla situazione, il 20 ottobre 2012: «siamo un po’ in ritardo, è un'operazione che si fa per la prima volta al mondo, ma stiamo correndo e ci stiamo anche attrezzando per il dopo». Il Ministro, riguardo alla data per la rimozione della nave prevista entro la prossima estate, come auspicato soprattutto dalla popolazione dell'isola del Giglio, ha poi sottolineato: «stiamo lavorando intensamente e in ottima collaborazione con il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, che ho visto anche ieri su questo tema»;
          l'incontro pubblico del commissario Franco Gabrielli e Maria Sargentini con la popolazione locale, richiesto dal sindaco dell'Isola del Giglio, per informare e rispondere alle domande relative all'avanzamento delle attività di rimozione della nave Costa Concordia, previsto per il 27 ottobre, è stato rimandato a data da definire (a causa delle problematiche relative ai fenomeni meteorologici e per le attività di monitoraggio del terremoto che ha colpito l'area del Pollino);
          il 28 ottobre 2012 una comunicazione dell'osservatorio di monitoraggio, d'intesa con il dipartimento della protezione civile, ha annunciato la chiusura sostanziale di messa in sicurezza della nave. Tale termine, che presenta un ritardo di circa 2 mesi rispetto alla data del 31 agosto indicata precedentemente, non dovrebbe comportare automaticamente secondo Maria Sergentini, ulteriori slittamenti sui tempi della riduzione della nave: «ricordo che il ritardo nella conclusione della fase di messa in sicurezza non incide sul cronoprogramma complessivo. Infatti le attività lato mare sono, com’è noto, iniziate. Il programma di attuazione dei lavori – sottolinea Maria Sargentini – viene costantemente verificato in relazione anche allo sviluppo dei progetti. Ove, sulla base delle verifiche sulla coerenza tra cronoprogramma e avanzamento dei lavori e dei progetti, si evidenziasse un possibile dilazionamento dei tempi, ne sarà data tempestiva comunicazione»;
          va sottolineato quindi come esista ad oggi, alla luce delle dichiarazioni contraddittorie esposte precedentemente, una palese incertezza circa la tempistica sullo spostamento della nave Costa Crociere: date discordanti che non possono essere attribuite solamente a problematiche, di varia natura, sorte durante le fasi del recupero, ma che potrebbero denotare anche la mancanza di una certa ed efficace programmazione oltre che ad una comunicazione parziale dello sviluppo delle operazioni in atto;
          la perdurante presenza del relitto, legata alla incertezza sui tempi, stanno mettendo a rischio l'intero tessuto produttivo, occupazionale e sociale dell'isola. Al Giglio giungono infatti ogni anno circa 250-300 mila visitatori (con punte di oltre 50 mila sbarchi in agosto e comunque concentrati prevalentemente nei mesi estivi) e le attività turistiche e ricettive producono un fatturato stimato certamente per difetto in circa 100 milioni di euro. La nave e le azioni di recupero stanno infatti causando il calo dei flussi turistici tradizionali, a cui è legata inevitabilmente ogni attività produttiva locale. Se il relitto non dovesse essere rimosso prima della prossima stagione estiva, come è stato ipotizzato, questo causerebbe ripercussioni gravissime sulla popolazione locale  –:
          quali siano, nel dettaglio, i tempi di recupero previsti per la completa rimozione in sicurezza della nave Costa Concordia e se verranno completati prima della stagione estiva 2013;
          quali siano, nello specifico, i problemi che potrebbero ritardare ulteriormente le operazioni di recupero e come verranno affrontati;
          se non ritenga necessario, per le motivazioni esposte in premessa, che le autorità competenti per il recupero della nave programmino incontri, con scadenza temporale prefissata, con la comunità e gli enti locali del territorio per informare tempestivamente e con efficacia, circa gli stati di avanzamento dei lavori di rimozione;
          se non ritenga necessario, una volta completate le operazioni di recupero, attuare una attenta analisi sulle conseguenze che ha causato il naufragio sull'ecosistema ambientale e marino locale;
          se i Ministri interrogati intendano valutare l'opportunità di assumere iniziative normative volte ad adottare le misure, conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza, previste dall'articolo 5, comma 5-ter della legge 24 febbraio 1992, numero 225, relative alla sospensione o al differimento dei termini per gli adempimenti e per i versamenti tributari e contributivi, a favore dei cittadini dell'Isola del Giglio e, in particolare, delle attività economiche legate al turismo balneare. (5-08384)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il settimanale Il Venerdì, nella sua edizione del 5 ottobre 2012 ha pubblicato un articolo della giornalista Livia Ermini, intitolato: «Dopo il sisma, niente: l'incredibile storia dei soldi via SMS»;
          nel citato articolo si racconta che grazie alla solidarietà degli italiani, 15 milioni di euro raccolti non sono comunque ancora arrivati a destinazione a causa delle «troppe tappe impreviste e ora il ritardo dei Governatori», mentre gli aiuti arrivati via telefono fisso sono ancora da calcolare;
          nel citato articolo si sostiene che in Emilia nessuno ha ancora potuto beneficiare del denaro raccolto con gli SMS a favore dei terremotati: «Circa 15 milioni di euro sono arrivati nelle casse dei gestori di telefonia. Poi la burocrazia ha fatto il resto. Una sequela di passaggi, rallentamenti, ritardi che a tutt'oggi bloccano denaro prezioso per la ricostruzione. Prima i mancati trasferimenti da parte delle compagnie telefoniche (Tim e Vodafone), che però all'inizio di settembre fanno sapere di aver passato la palla alla protezione civile...»;
          secondo quanto riferito dalla signora Francesca Maffini, portavoce del responsabile della Protezione civile Franco Gabrielli, il denaro in questione sarebbe «fermo in Banca d'Italia»; questo perché quando un cittadino dona denaro alla pubblica amministrazione, deve passare, per questioni di tracciabilità e sicurezza, preliminarmente alla tesoreria dello Stato, che poi provvede a depositarlo sul conto del dipartimento;
          la procedura è relativa solo alle donazioni attraverso la telefonia mobile, perché per quella attraverso l'apparecchio fisso, bisogna attendere il saldo delle bollette bimestrali;
          occorre poi attendere il placet del comitato dei garanti incaricato di vigilare sull'utilizzo dei fondi;
          le nomine dei componenti del comitato stesso sono rimaste in sospeso tutta l'estate e formalizzate solo a metà settembre da un decreto di Gabrielli;
          ora che il comitato dei garanti è stato costituito, occorre attendere che i presidenti delle regioni interessate, Emilia, Lombardia, Veneto trovino un accordo sulla ripartizione del denaro  –:
          se quanto sopra sommariamente esposto, e comunque descritto nell'articolo citato corrisponda a verità;
          in caso affermativo, se non si ritenga di adottare, sollecitare e promuovere iniziative (e quali) per superare l’empasse nel più breve tempo possibile, in considerazione del fatto che le esigenze delle popolazioni colpite dal terremoto hanno urgenze e necessità che sono incompatibili con la borbonica lentezza rivelata ancora una volta dalla Pubblica amministrazione.
(4-18394)


      CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          lo scalo aereo di Milano-Linate è un aeroporto «pienamente coordinato», vale a dire che per poter decollare o atterrare i vettori devono essere in possesso dei cosiddetti «slot» di traffico, necessariamente contingentati perché rilasciati a misura della capacità di assorbire traffico della pista di volo e della struttura in generale;
          si apprende dall'agenzia di stampa aeronautica Avionews che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deciso di assegnare alla compagnia, aerea britannica easy Jet sette coppie di slot, per un totale di 14 movimenti fra partenze ed arrivi, sullo scalo di Linate sottraendoli alla «nostra» Alitalia CAI che già li utilizzava da anni;
          la decisione, oltre che suscitare le vive rimostranze di Alitalia CAI che ha dichiarato di voler ricorrere al Consiglio di Stato avverso la decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha portato anche un'altra compagnia aerea italiana Meridianafly-Air Italy a dichiarare di ritenere il processo valutativo poco trasparente, privo di fondamento e lesivo dei propri interessi;
          per effettuare la scelta della compagnia di navigazione alla quale assegnare gli slot di traffico, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha dato mandato alla società specializzata in revisioni contabili Nxia International che si è avvalsa della Audirevi s.r.l.;
          appare chiaro, a giudizio dell'interrogante, che gli unici aspetti che Audirevi s.r.l. ha potuto valutare, non avendo essa competenze in altri ambiti tecnici, siano stati quelli economici di solidità finanziaria, requisito specificatamente richiesto dalla stessa Autorità;
          a giudizio dell'interrogante e dell'agenzia Avionews, l'accertamento dei requisiti economici dei partecipanti all'assegnazione dei diritti di traffico sarebbe illogico poiché il possesso della licenza e dell’air operator certificate (AOC), entrambi rilasciati dall'ente nazionale per l'aviazione civile ENAC, in accordo alla normativa europea, certificano di per sé il possesso da parte della compagnia aerea dei requisiti economici di solidità finanziaria. Pertanto, un ulteriore accertamento da parte di altri soggetti sarebbe pleonastico oltre che potenzialmente conflittuale;
          il problema del cosiddetto monopolio Alitalia, sulla tratta Roma-Linate, sostanzialmente non si pone. Quella che una volta era un'esigenza di riequilibrio del mercato per favorire la mobilità dell'utente a prezzi concorrenziali, adesso, con lo sviluppo dei collegamenti ferroviari ad alta velocità, si è ridimensionata, considerato che attualmente sulla direttrice Milano-Roma e viceversa l'aereo ed il treno, in concorrenza fra loro, si spartiscono il mercato in maniera paritetica;
          la procedura utilizzata per assegnare gli «slot» non prevedeva alcuna clausola onerosa per l'aggiudicante. In sostanza con un «beauty contest» sono stati sottratti «asset» industriali, ad alto valore aggiunto all'Alitalia CAI (che per inciso erano stati oggetto di valutazione economica al momento dell'incorporazione in Alitalia CAI della Società AirOne), per offrirli a costo zero ad un agguerrito concorrente della stessa Alitalia;
          si apprende, inoltre, che alcune compagnie «low-cost», hanno ottenuto nel corso degli anni, cospicui finanziamenti da molte società di gestione aeroportuale (partecipate tutte da istituzioni pubbliche quali comuni regioni o province) nell'ambito di accordi di co-marketing, di fatto consentendo anche con capitali pubblici un'inaccettabile distorsione della concorrenza;
          inoltre, è stato consentito di operare al di fuori delle necessarie autorizzazioni (slot) proprio sull'aeroporto di Milano-Linate  –:
          se non intenda assumere iniziative normative per l'adozione di procedure che garantiscano piena trasparenza nelle decisioni relative al settore. (4-18402)


      BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato il 22 ottobre 2012, dal sito ONTUSCIA, i carabinieri della stazione di Vetralla, diretti dal Maresciallo Marzi, hanno arrestato un pregiudicato 24enne originario di Roma e residente a Vetralla, per detenzione, produzione e coltivazione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio; i Carabinieri hanno perquisito l'abitazione del 24enne rinvenendo nel giardino una pianta di marijuana alta più di 2 metri che il proprietario di casa coltivava da alcuni mesi; nell'abitazione sono state rinvenute alcune dosi di marijuana e di hashish e, secondo quanto riportato sempre dal sito web sopra citato, «dalla pianta sono state ricavate circa mille dosi di sostanza stupefacente»;
          la Gazzetta di Mantova on line il 27 ottobre ha riportato la notizia di un'altra operazione dei carabinieri che aveva portato all'arresto di «un elettricista di 28 anni, M.M. nel cui rustico di Zovo sono state trovate nove piante adulte di marijuana essiccate, del peso di circa sei chili. Il blitz dei Carabinieri è scattato giovedì pomeriggio. Evidentemente era partita una segnalazione che informava i militari dell'Arma della presenza di una piccola piantagione vicino a un rustico in mezzo alle campagne di Zovo. I carabinieri hanno tenuto d'occhio la zona per un po’ di tempo, e infatti hanno visto che un ragazzo quasi giornalmente andava nella corte agricola, di fatto disabitata. Alla fine hanno fatto irruzione: la piantagione era già stata tagliata e, infatti, le piante erano all'interno del rustico, appese per il gambo, ad essiccare. Erano nove fusti adulti di marijuana, un metro e mezzo di altezza l'una, con rami frondosi ricchi di foglie pronte per essere staccate dallo stelo, sminuzzate, quindi fumate. In tutto, il peso delle nove piante era di sei chili. I carabinieri hanno atteso l'arrivo del giovane (non è il proprietario del rustico, ma di fatto è in sua disponibilità) quindi l'hanno fermato e arrestato. L'elettricista con la passione del verde, è già stato segnalato in precedenza per reati simili: è stato arrestato e accompagnato al carcere di Mantova a disposizione dell'autorità giudiziaria. Deve rispondere del reato di coltivazione e detenzione di sostanze stupefacenti»;
          nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica n.  309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
          anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n.  272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n.  49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n.  360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione di sostanza acquistata presso il mercato criminale, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
          il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n.  309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
          l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
          l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
          è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza da sottolineare, che non pochi malati di patologie che possono essere curate con la cannabis terapeutica, pur di non ricorrere al mercato criminale e considerata la difficoltà di accesso ai farmaci a base di cannabinoidi, preferiscono coltivarsi le piante incorrendo così nel rischio di finire in carcere;
          proprio per sottolineare l'irragionevolezza della normativa vigente, la prima firmataria del presente atto ha intrapreso un'iniziativa nonviolenta di disobbedienza civile sulla cannabis terapeutica che ha preso il via il 18 giugno 2012, quando, nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso la sala stampa della Camera, ha seminato in tre vasetti la cannabis indica e proseguito la coltivazione sul terrazzo di casa dove 7 piante sono cresciute fino a raggiungere l'altezza di circa un metro e mezzo; l'interrogante ha documentato la crescita con foto postate quotidianamente sul proprio profilo personale di un famoso social network;
          della conferenza stampa di «semina» presso la sala stampa Montecitorio è possibile trovare documentazione audio/video presso il sito di Radio Radicale mentre, purtroppo, non è più rintracciabile sul sito istituzionale della Camera dei deputati, perché, come si legge nella pagina web dedicate alle conferenze stampa, queste sono disponibili solo per 15 giorni e non vengono archiviate;
          della «coltivazione», invece, c’è documentazione internet sia sul citato social network sia su testate giornalistiche online come Repubblica.it sia per un servizio andato in onda sulla CNN  –:
          se corrisponda al vero la notizia che dalla pianta di marijuana sequestrata al 24enne di Vetralla siano state ricavate ben mille dosi di sostanza stupefacente e se il ragazzo sia attualmente ristretto ai domiciliari o in carcere;
          se il giovane arrestato a Mantova risulti ancora detenuto nel carcere della città;
          quante siano le risorse dello Stato per numero di uomini e di operazioni intraprese utilizzate per reprimere i «piccoli coltivatori» di cannabis;
          se gli organi di polizia abbiano segnalato alla competente procura della Repubblica la condotta della prima firmataria del presente atto descritta in premessa, che, pur compiuta in un'azione nonviolenta di disubbidienza civile, è in flagranza di reato secondo la normativa vigente;
          se il Governo sia a conoscenza di quante siano, nell'ultimo anno, le persone arrestate per coltivazione di piante stupefacenti, quante di queste coltivazioni siano riconducibili ad attività meramente domestica e quale sia stato l'andamento del fenomeno negli ultimi 5 anni;
          se il Governo non ritenga necessario un urgente ripensamento della politica fino ad oggi adottata per combattere il problema legato al consumo delle sostanze stupefacenti, in particolare prevedendo che anche l'attività di coltivazione di sostanza stupefacente il cui ricavato sia destinato ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993. (4-18409)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta immediata:


      RAZZI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          i tagli operati non solo da questo Governo, ma da quasi tutti i Governi precedenti, hanno posto in grave crisi il sistema scolastico e universitario, sino a svilirne quasi la funzione;
          purtroppo, non occuparsi e non supportare questo settore, che tutti definiscono strategico per i progetti di sviluppo di lungo periodo del Paese, significa debilitarlo proprio nei suoi punti di forza;
          all'estero, in particolare, le comunità di italiani sembrano rassegnate al fatto di sentirsi dimenticate dai Governi di Roma in relazione al regime di presenza e di tutela dei diritti e delle aspettative sui territori esteri di residenza;
          a una cosa, però, essi non si rassegneranno mai, e si aggiunge per fortuna, cioè all'abbandono e alla rinuncia definitiva della scuola, della promozione della lingua, dell'istruzione e della cultura italiana per i loro figli all'estero;
          bisogna ammettere che i sistemi adottati un tempo per questo tipo di promozione non hanno tenuto in buon conto una razionalizzazione delle spese e delle risorse, per esempio, non utilizzando professori di lingua italiana presenti sui territori esteri, ma è pur sempre possibile trovare soluzioni valide e non costose;
          la scuola oggi può vantare l'utilizzo di sistemi informatici assolutamente utili che possono venire in soccorso di una nuova organizzazione della scuola diversa da come tutti l'hanno vissuta, soprattutto per i connazionali residenti fuori dai confini patri;
          per questi ultimi, infatti, sarebbe utilissimo approntare corsi scolastici via internet; in tal modo si potrebbe ovviare alle spese di organizzazione strutturali;
          molti dei connazionali residenti all'estero vivono nelle estreme periferie delle città, per cui raggiungere le sedi scolastiche per loro diventa difficilissimo, se non addirittura impossibile;
          per portare a termine tale operazione, pur in presenza di grosse difficoltà economiche per il Paese, si potrebbe decidere di fare un investimento per il futuro, poiché, oltretutto, si tratterebbe di una cifra irrisoria, che consentirebbe di offrire qualità e finanche eccellenza dell'istruzione, con una portata territoriale mondiale;
          sarebbe insensato, d'altronde, non comprendere come la sviluppo della lingua e della cultura italiana nel mondo possano giovare in termini di ritorno all'intera economia del Paese –:
          se non si ritenga opportuno, alla luce di quanto in premessa enunciato, far sì che gli istituti italiani di cultura all'estero organizzino corsi scolastici di lingua e cultura italiane, attraverso la rete internet, destinati ai cittadini italiani residenti nei Paesi di competenza dei medesimi istituti, prevedendo che a tali corsi scolastici sia attribuito valore legale. (3-02590)


      DOZZO, MARONI, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite incaricato di esperire una mediazione che ponga fine al conflitto civile in atto in Siria, Lakhdar Brahimi, a partire dal 22 ottobre 2012 ha più volte fatto riferimento alla possibilità di inviare un contingente di caschi blu in quel Paese;
          nella visione dell'inviato del Segretario generale dell'Onu i caschi blu avrebbero dovuto garantire la tenuta della tregua concordata in occasione delle festività legate alla celebrazione musulmana del sacrificio, interponendosi tra le parti in lotta per tutto il tempo utile allo sviluppo di un negoziato politico;
          in ragione della straordinaria urgenza di un eventuale intervento, diversi osservatori avevano ipotizzato che il grosso degli effettivi richiesti venisse tratto dalla missione Unifil II, di stanza nell'attiguo Libano ed attualmente sotto comando italiano;
          ancorché per il momento non se ne sia fatto ancora nulla, desta comunque inquietudine il fatto che di una simile eventualità si sia comunque parlato e si discuta ancora, dati i rischi insiti nello schieramento di forze militari internazionali in un contesto altamente instabile, nel quale sono presenti numerosi miliziani di affiliazione jihadista e non esiste alcun fronte lineare sul quale disporre un contingente che abbia il compito di frapporsi tra insorti e lealisti –:
          quali siano gli intendimenti del Governo circa l'eventualità che l'Unifil II, in tutto o in parte, venga trasferita in Siria e che truppe italiane siano conseguentemente impegnate nella protezione di un eventuale cessate il fuoco tra insorti e regime di Damasco. (3-02591)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:


      BRATTI, MARIANI, AMICI, BACHELET, CARELLA, FERRANTI, META, POMPILI, MORASSUT, RUGGHIA, REALACCI, BENAMATI, BOCCI, BRAGA, ESPOSITO, GINOBLE, IANNUZZI, MARANTELLI, MARGIOTTA, MOTTA, VIOLA, MARAN, LENZI, QUARTIANI e GIACHETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 17 giugno 2011 la Commissione europea ha avviato nei confronti dell'Italia la procedura d'infrazione n.  2011/4021 anche per la non conformità della discarica di Malagrotta alla direttiva sulle discariche (direttiva 1999/31/CE);
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 luglio 2011, è stato dichiarato lo stato di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma fino al 31 dicembre 2012, in relazione all'imminente chiusura della discarica di Malagrotta e alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti;
          con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 6 settembre 2011, n.  3963, è stato nominato un commissario straordinario per l'emergenza rifiuti, nella persona del prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, con il compito di individuare un sito temporaneo alternativo alla discarica di Malagrotta, in attesa dell'individuazione da parte degli enti locali competenti del sito definitivo di discarica;
          il prefetto Giuseppe Pecoraro, dopo circa otto mesi dall'assunzione dell'incarico, ha rassegnato le dimissioni, a seguito degli innumerevoli profili di inadeguatezza emersi sulle aree di Corcolle e Riano, da lui individuate nell'ambito di sette siti inclusi nello studio di analisi preliminare realizzato della regione Lazio;
          con provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2011, è stato nominato quale nuovo commissario delegato il prefetto Goffredo Sottile;
          nello stesso periodo l'Unione europea inviava un secondo formale avvertimento, chiedendo all'Italia di conformarsi entro due mesi alle norme comunitarie relative al pretrattamento dei rifiuti, pena il deferimento alla Corte di giustizia europea e l'irrogazione delle conseguenti sanzioni;
          in data 29 giugno 2012, il commissario Sottile ha annunciato un'ennesima proroga del funzionamento della discarica di Malagrotta;
          il nuovo commissario Sottile aveva inizialmente proposto quale sito per la realizzazione della discarica temporanea Pian dell'Olmo; tuttavia, il sito da ultimo individuato a tal fine risulta essere l'area di Monti dell'Ortaccio, per la quale esiste un progetto avviato sin dal 2009 dalla società Colari dell'avvocato Manlio Cerroni, proprietario di Malagrotta e del sito di Monti dell'Ortaccio;
          il sito di Monti dell'Ortaccio si trova a meno di 800 metri in linea d'aria dal polo di Malagrotta ed è, inoltre, elevato il livello di rischio ambientale e sanitario dell'area di Valle Galeria, vista la presenza di numerose attività inquinanti (discarica, raffineria, termovalorizzatore, gassificatore, cave ed altre), come evidenziato dalla stessa «Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio», nella quale si riporta che l'area del sito di Monti dell'Ortaccio «presenta un elevato livello di contaminazione e di inquinamento che di per sé costituisce fattore escludente non derogabile» e che il sito «risulta troppo vicino a frazioni e centri abitati significativi che ne determinano l'inidoneità»;
          gli atti della Commissione riportano anche la valutazione epidemiologica dello stato di salute della popolazione residente nell'area di Malagrotta svolta dal dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale e dall'Arpa Lazio, nella quale si afferma che, nella popolazione insediata a ridosso degli impianti, i tumori ai polmoni e alla mammella e le patologie a carico degli apparati respiratori e cardiovascolari sono in eccesso e attribuibili all'inquinamento prodotto nei passati decenni dagli impianti industriali presenti nell'area;
          in data 24 settembre 2012, si è svolta la conferenza di servizi indetta per l'esame del progetto Colari sulla discarica di Monti dell'Ortaccio. I tecnici del municipio, del comune e della provincia hanno dato parere negativo, così come i rappresentanti dell'Enav, poiché la discarica non è lontana dall'aeroporto di Fiumicino;
          le dimensioni dell'invaso e la presenza di cave limitrofe lasciano alcuni dubbi in ordine all'effettiva provvisorietà dell'invaso di Monti dell'Ortaccio;
          la scorsa settimana si è svolta un'ispezione della Commissione per le petizioni del Parlamento europeo sia alla discarica di Malagrotta sia al sito di Monti dell'Ortaccio, dalla quale sono emerse le molte contraddizioni e i gravi ritardi nell'affrontare in modo concreto ed efficace la questione dei rifiuti a Roma e provincia;
          al termine della missione, Judith Merkies, la parlamentare europea che ha guidato la delegazione, ha espresso forti perplessità, sia per quanto riguarda la presenza di conflitti tra sedi decisionali, che ha, di fatto, bloccato l'avvio di qualsiasi intervento, sia per il ricorso a «soluzioni di emergenza» sbagliate e in contrasto con i principi della normativa europea in materia di rifiuti: non è un caso che nella regione Lazio il ciclo dei rifiuti si esaurisca tuttora sostanzialmente nel conferimento in discarica e che siano ancora molto bassi i livelli di raccolta differenziata;
          nei giorni scorsi il prefetto Sottile e il Ministro interrogato hanno denunciato il rischio che, in assenza di interventi risolutivi, a partire dal gennaio 2013 Roma venga invasa dai rifiuti;
          il Ministro interrogato ha, pertanto, annunciato che il Governo si assumerà la responsabilità di adottare misure straordinarie non negoziabili con la regione e le istituzioni locali, in linea con le direttive europee e le leggi nazionali, per la gestione del ciclo integrale dei rifiuti di Roma –:
          cosa intenda effettivamente fare il Governo, alla luce di quanto esposto, per affrontare la complessa situazione della gestione del ciclo dei rifiuti nella provincia di Roma e, in particolare, se abbia intenzione di promuovere un'ulteriore proroga per il sito di Malagrotta, se e quale nuovo sito abbia individuato, quali siano i tempi e le modalità dell'eventuale fase transitoria necessaria per superare l'emergenza e quali, reali ed efficaci, provvedimenti di carattere strutturale intenda adottare per arrivare ad un quadro gestionale rispettoso dell'ordinamento comunitario, al fine di evitare il drammatico scenario evocato nelle recenti dichiarazioni del Ministro interrogato. (3-02593)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:


      CICU e BALDELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il testo del disegno di legge, atto Camera n.  5534, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)», all'articolo 8, comma 19, autorizzava la spesa di 25 milioni di euro annui per il triennio 2013-2015, al fine di realizzare la bonifica dei poligoni militari di tiro;
          tale norma originava dalla relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro approvata il 30 maggio 2012 all'unanimità dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, nelle cui conclusioni si impegnava il Governo ad inserire, nel disegno di legge di stabilità per il 2013, un congruo ed adeguato finanziamento pluriennale dedicato alle opere di bonifica dei poligoni militari;
          la citata disposizione è stata però stralciata alla Camera dei deputati in base ai rilievi espressi dalla Commissione bilancio, tesoro e programmazione, ai sensi dell'articolo 120, comma 2, del Regolamento, in quanto valutata estranea al contenuto proprio della legge di stabilità (ed ha, quindi, assunto la veste di autonomo disegno di legge, atto Camera 5534-duodecies) –:
          se il Governo intenda assumere ulteriori iniziative normative per destinare le risorse di cui in premessa alle attività di bonifica dei poligoni militari di tiro, favorendo, per quanto di competenza, un rapido iter parlamentare del disegno di legge atto Camera 5534-duodecies, e se intenda indicare per quali attività e siti saranno rese prioritariamente disponibili le menzionate risorse. (3-02589)

Interrogazione a risposta scritta:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano il Manifesto del 6 novembre 2012 è pubblicato un articolo dal titolo «Licenziata perché non gradita ai militari» in cui si legge «[...] non era stata l'azienda ad aver allontanato la lavoratrice, ma l'amministrazione militare a segnalare che l'addetta alla mensa era diventata persona “di non pieno gradimento”.[...]»;
          dalla lettura del medesimo articolo è possibile apprendere che la lavoratrice svolgeva la sua mansione presso la mensa dell'ente già da numerosi anni;
          a prescindere dalla disposizione di cui all'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 1977, n.  751, recante «Approvazione del capitolato generale d'oneri per gli appalti del servizio di manovalanza presso enti della Difesa», gli interroganti sono fermamente convinti che l'amministrazione militare appaltante, in aderenza ai principi di trasparenza e buon andamento che devono caratterizzare ogni attività della pubblica amministrazione, già ampiamente recepiti con la legge 7 agosto 1990, n.  241, avrebbe dovuto motivare la propria decisione  –:
          se non ritenga opportuno chiarire le motivazioni sui cui l'amministrazione militare appaltante ha fondato la decisione di «non pieno gradimento» riferita alla lavoratrice di cui all'articolo in premessa. (4-18405)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      FLUVI, ALBINI, CARELLA, CAUSI, D'ANTONI, FOGLIARDI, GRAZIANO, MARCHIGNOLI, PICCOLO, PIZZETTI, SPOSETTI, STRIZZOLO, VACCARO e VERINI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il contrasto all'evasione costituisce attualmente la leva più significativa a disposizione del policy maker per consentire di combinare due obiettivi della politica fiscale: garantire gli equilibri del bilancio pubblico e ridistribuire l'onere del prelievo;
          nel corso dell'audizione svolta presso la Commissione Finanze, il professor Giovannini, presidente del Gruppo di lavoro sull'economia non osservata, ha fornito una stima dell'evasione fiscale valutata fra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del prodotto interno lordo, una valore compreso tra a 255 e 275 miliardi di euro; ovvero più del doppio in rapporto al reddito del Paese;
          negli ultimi mesi sono stati messi in campo numerosi interventi legislativi in materia di accertamento e riscossione dei tributi, che vanno dalla semplificazione degli adempimenti per il contribuente al coinvolgimento di enti territoriali nell'attività di accertamento;
          a partire dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, cosiddetto «salva Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, e nei successivi provvedimenti, sono stati emanati interventi di contrasto all'evasione che prevedono, tra gli altri: a) un regime premiale per favorire la trasparenza attraverso il riconoscimento di benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza, attraverso una nuova disciplina ai limiti dell'attività di accertamento dell'Amministrazione finanziaria nei confronti dei soggetti «congrui» agli studi di settore (articolo 10, commi 1-13-terdecies); b) l'attuazione della cosiddetta fatturazione elettronica, in recepimento della direttiva UE 45/2010 che la equipara a quella cartacea introducendo semplificazioni sull'emissione e sulla conservazione (articolo 10, comma 13-duodecies); c) l'emersione di base imponibile attraverso l'archiviazione nell'apposita sezione dell'Anagrafe tributaria dei dati relativi alle movimentazioni dei rapporti di natura finanziaria, oggetto di specifico obbligo di comunicazione da parte degli operatori del settore che potranno essere utilizzate dall'Agenzia delle entrate anche per elaborare – con procedure centralizzate, secondo i criteri individuati con provvedimento direttoriale – specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione (articolo 11); d) la semplificazione degli adempimenti e la riduzione dei costi di acquisizione delle informazioni finanziarie attraverso l'applicazione della procedura telematica anche alle banche (articolo 11-bis); e) la riduzione del limite per la tracciabilità dei pagamenti a 1.000 euro e il contrasto all'uso del contante (articolo 12);
          alcune delle norme sopra citate e molte altre norme di contrasto all'evasione richiedono un intervento attuativo da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, ed in particolare dell'Agenzia delle entrate, i cui termini di emanazione previsti per legge risultano scaduti;
          il rischio che si profila è una perdita di efficacia nell'azione di contrasto dei fenomeni evasivi ed elusivi –:
          quale sia lo stato di attuazione delle norme di contrasto all'evasione fiscale previste in particolare nel citato decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, cosiddetto «salva Italia». (5-08385)


      DELLA VEDOVA e DI BIAGIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il tribunale civile di Torre Annunziata – sezione fallimentare, con sentenza n.  25 del 2 maggio 2012, ha dichiarato il fallimento della Deiulemar compagnia di navigazione spa;
          la suddetta spa è stata per decenni una realtà leader in Europa nel settore dello shipping, oltre a rappresentare un riferimento indiscusso per il tessuto economico della regione Campania e del Paese in generale anche in considerazione della flotta di navi gestite – pari a 60 unità – e agli operatori coinvolti che tra dipendenti e indotto ammontano a circa 1500 lavoratori;
          le ragioni della succitata dichiarazione di fallimento vanno rintracciate nell'emissione da parte della società di certificati obbligazionari al di fuori delle procedure previste dalla normativa vigente e non in linea con i limiti sanciti dall'autorizzazione della CONSOB;
          malgrado quanto sancito dall'articolo 2412 del codice civile, che dispone che «la società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato» – nel caso di specie pari a 45 milioni di euro – la Deiulemar avrebbe emesso certificati per un ammontare pari a 684.513.967 milioni di euro, con un debito obbligazionario regolare a bilancio alla data del 31 dicembre 2010, di 40.392.000 milioni di euro;
          i suddetti debiti – evidenziati anche a seguito del censimento di ricognizione del debito effettuato dalla società Deiulemar nel febbraio-marzo 2012 – sommati a quelli già presenti in bilancio – aggiornati ad aprile 2012 – lasciano emergere un patrimonio netto negativo pari a 858.877.901,15 milioni di euro;
          in virtù del conclamato stato di insolvenza della società, il tribunale ha inteso procedere con la sentenza fallimentare citata, evidenziando che la società «avrebbe incamerato capitale di prestito in misura decisamente superiore a quello consentito (e deliberato) dai limiti di legge (...) riversando sostanzialmente sui mutuanti il rischio di impresa, sì violando la ratio legis tesa ad evitare che una società emetta obbligazioni per un ammontare di gran lunga superiore alla propria consistenza patrimoniale»;
          come evidenziato dalla suddetta sentenza, il denaro versato e non rientrante nella somma deliberata per emissione del prestito obbligazionario non è però confluito nelle casse della società e quindi non è stato riportato nei relativi libri sociali, secondo una dinamica illecita che avrebbe condotto al passaggio di ingenti risorse dalla società Deiulemar ad altre società consorelle costituitesi nel corso degli ultimi dieci anni;
          come si legge nell'ordinanza applicativa di misure cautelari custodiali emessa nel luglio 2012 nei confronti dei vertici della compagnia di navigazione, già a partire dal 2004 la società aveva avviato una frenetica riorganizzazione aziendale che avrebbe poi condotto alla costituzione di una «pletora di società italiane ed estere tutte variamente riconducibili ai soci fondatori o alla cosiddetta seconda generazione», che hanno assolto ad una pluralità di fini illeciti, come la distrazione dal patrimonio dalla compagnia di navigazione dei più importanti asset societari, la pianificazione di un complesso sistema di elusione delle imposte sui redditi e la realizzazione di un «passaggio generazionale» della società medesima dai soci fondatori ai loro eredi senza soggiacere al pagamento dell'imposta di successione;
          stando ai dati a disposizione degli interroganti risulterebbero circa 13.000 i sottoscrittori di obbligazioni illecite, piccoli risparmiatori del tutto ignari del carattere irregolare dei certificati, essendo stati emessi sotto autorizzazione della Consob;
          inoltre, a sostegno dello stato di salute finanziaria della società Deiulemar vi erano anche i bilanci della stessa, depositati con certificazione della società di revisione KPMG;
          paradossalmente, gli enti preposti alla vigilanza delle compagnie emittenti erano già a conoscenza dei comportamenti «anomali» della società di navigazione: infatti, in data 23 maggio 2012 il Governo, nel riscontrare ad un atto di sindacato ispettivo sulla medesima materia evidenziava che «dal 2000 la società Deiulemar risulta essere stata sottoposta ad indagini giudiziarie per abusivo esercizio dell'attività finanziaria a seguito dell'emissione di prestiti obbligazionari» e che «nel 2002 la Banca d'Italia ha inviato all'autorità giudiziaria una segnalazione ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale, denunciando l'anomalo volume dei prestiti obbligazionari iscritti a bilancio negli esercizi 1999 e 2000»;
          la condotta anomala della società è emersa in maniera chiara con il prosieguo delle indagini, infatti, come evidenziato dal dottor Raffaele Marino, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Torre Annunziata, nel 2005 vi è stata una «spoliazione dell'azienda da parte delle tre famiglie, quando ormai il debito si era consolidato e non più estinguibile. Infatti, in quell'anno la Deiulemar compagnia di navigazione spa cedette quasi interamente la flotta di proprietà alla nascente Deiulemar shipping spa, così depauperando il proprio patrimonio e contestualmente evitando che utili futuri potessero restare in società, dove oramai il dissesto finanziario era conclamato»;
          alla luce delle indagini condotte con il passaggio delle risorse dalla società principale, la Deiulemar compagnia di navigazione, l'utile prodotto dalle navi distratte è stato dirottato all'estero attraverso società lussemburghesi e successivamente attraverso alcuni trust di diritto estero;
          gli obbligazionisti della Deiulemar, in buona parte piccoli risparmiatori residenti della città di Torre del Greco e in zone limitrofe, risultano essere le vere vittime del descritto sistema di illecito: la dichiarazione di fallimento della suddetta società ha di fatto bloccato ogni dinamica di recupero dei prestiti, che rischiano allo stato attuale di non essere più rimborsati, creando una vera e propria impasse di tipo socio-economico;
          malgrado quanto sancito dalla normativa comunitaria, segnatamente dalla direttiva 97/9/CE in materia di riconoscimento di sistemi di indennizzo agli investitori, la normativa di recepimento italiana presenta su questo versante ad avviso degli interroganti molteplici lacune, in merito alle quali appare opportuno operare degli interventi;
          nello specifico la citata difettiva europea reputa «essenziale che esista in ogni Stato membro un sistema di indennizzo degli investitori che offra una garanzia minima armonizzata di tutela almeno per i piccoli investitori, in caso di incapacità d di un'impresa di investimento di far fronte ai suoi obblighi nei confronti dei clienti investitori»;
          di contro, la normativa italiana, con l'articolo 1, comma 343, della legge n.  266 del 2005, istituisce un fondo finalizzato ad indennizzare i risparmiatori «rimasti vittime di frodi finanziarie», limitando di fatto la portata risarcitoria del fondo rispetto a quanto delineato dalla normativa europea;
          nel caso di mancata sussistenza di una frode, ma di insolvenza dell'impresa di investimento i risparmiatori – alla luce della normativa vigente – non potrebbero accedere al beneficio della copertura offerta dal sistema di indennizzo;
          a tale criticità si aggiunge il fatto che l'attuale configurazione del fondo non consente l'adesione delle imprese di investimento allo stesso, limitando pertanto l'approdo di risorse a questo alle fattispecie contemplate dal comma 345 del medesimo articolo della succitata legge;
          sarebbe pertanto auspicabile procedere con un'implementazione delle funzionalità del fondo di indennizzo dei risparmiatori attraverso l'istituzione di un fondo di garanzia per vittime di frodi finanziarie in caso di procedure concorsuali che possa erogare adeguati indennizzi alle vittime di frodi finanziarie in cui la società emittente è fallita, come nel noto caso della suddetta compagnia di navigazione  –:
          di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda descritta in premessa e se intenda assumere iniziative normative al fine di garantire ogni opportuna forma di assistenza e ristoro ai risparmiatori direttamente coinvolti nella medesima. (5-08386)


      BERNARDO e BERGAMINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la nota 2-bis) all'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.  131, permette di accedere alle agevolazioni sull'imposta di registro al 3 per cento per l'acquisto della «prima casa» a patto che «l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro un anno dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività»;
          la norma è stata interpretata dall'Agenzia delle entrate in modo tale che il lavoratore deve avere un contratto a tempo indeterminato per poter accedere all'agevolazione; l'agevolazione non decade se il lavoratore a tempo indeterminato perde il proprio lavoro;
          tale interpretazione determina un'evidente disparità tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, in un periodo in cui i primi sono sempre più numerosi e, soprattutto, la flessibilità del mercato del lavoro farà si che, anche in futuro, sia questa la tipologia di lavoro prevalente; è noto infatti come, soprattutto i giovani, cumulino numerosi contratti di lavoro a tempo determinato, nella stessa città o in comuni limitrofi;
          giova ricordare, in termini generali, che non è lo Stato a dover decidere dove gli individui vogliono risiedere; sulla stessa materia, le norme sulla residenza e l'acquisto della prima casa per i cittadini italiani che lavorano stabilmente all'estero sono molto più «comprensive» sulle diverse situazioni in cui il cittadino può venirsi a trovare nel corso della sua vita lavorativa;
          in una fase di crisi economica che ha portato, tra le altre cose, anche ad un calo dei rogiti di circa il 20 per cento, una diversa interpretazione della norma potrebbe, oltre a sanare l'ingiustizia sopra evidenziata, aiutare uno dei settori trainanti dell'economia italiana che si trova in forte crisi e di conseguenza produrre maggiori entrate  –:
          se non ritenga opportuno intervenire nei confronti dell'Agenzia delle entrate al fine di modificare l'interpretazione della nota 2-bis) all'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.  131, al fine di considerare in termini complessivi l'attività lavorativa svolta dall'acquirente della prima casa, senza applicare distinzioni tra lavoro a tempo determinato e lavoro a tempo indeterminato. (5-08387)


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'orientamento della politica tributaria del Governo conferma, purtroppo, la scelta, scellerata, di proseguire nel continuo inasprimento della pressione fiscale;
          al di là delle propagandistiche dichiarazioni del Presidente del Consiglio circa l'avvio di un improbabile processo di riduzione del prelievo fiscale, l'unica ricetta che il Governo sembra possedere per assicurare la stabilità della finanza pubblica è quella di aumentare il carico tributario sui contribuenti che già pagano le tasse;
          tale politica incide su ceti che hanno già visto fortemente ridursi il proprio reddito disponibile e che sono stati pertanto costretti a comprimere i propri consumi ed il tenore di vita complessivo;
          questa linea politica oltre ad apparire in stridente contrasto con l'intenzione di procedere finalmente ad una riduzione del carico fiscale e ad una sua ridistribuzione a favore dei redditi da lavoro, si inserisce in un contesto in cui proprio i contribuenti meno abbienti hanno visto notevolmente aumentare il carico tributario, a causa della introduzione dell'IMU sulla prima casa, dell'innalzamento delle addizionali comunali e regionali all'IRPEF, nonché dell'inasprimento dell'aliquota IVA del 20 per cento, cui faranno seguito, molto probabilmente, ulteriori incrementi;
          si tratta, nel complesso, di misure che, oltre a risultare profondamente inique sul piano sociale, appaiono del tutto errate sotto il profilo economico, in quanto contribuiranno a deprimere ulteriormente il ciclo economico in un contesto già condizionato dalla crisi economica internazionale, aggiungendosi agli effetti depressivi, riconosciuti dallo stesso Governo, delle sei manovre finanziarie adottate nel corso dell'ultimo anno e mezzo;
          non c’è, pertanto, alcuna possibilità che, proseguendo nell'attuale indirizzo, si possa anche solo sperare di creare le condizioni per una ripresa dell'economia nazionale;
          occorre dunque invertire rapidamente l'indirizzo della politica tributaria dell'Esecutivo, introducendo misure che consentano di riconoscere un effettivo sgravio del carico tributario in favore dei redditi da lavoro e d'impresa, individuando le risorse aggiuntive necessarie per assicurare la stabilità dei conti pubblici e per incentivare la ripresa dei consumi nelle enormi sacche di evasione fiscale e contributiva che caratterizzano l'intero panorama economico del Paese, nonché negli imponenti sprechi che si segnalano in tutti i settori della pubblica amministrazione, sia a livello statale sia a livello locale;
          a tale ultimo proposito appare ulteriormente paradossale che il Governo, dopo aver ribadito più volte l'intenzione di rafforzare il contrasto all'evasione fiscale e contributiva, riduca le risorse in favore dell'INPS e della Guardia di finanza destinate proprio alle attività di controllo in tale ambito;
          sono infatti di questi giorni le notizie delle forti proteste levatesi da molte sedi dell'INPS per evidenziare come il processo di ristrutturazione della rete territoriale dell'Istituto, oltre a generare gravi disagi per i lavoratori, rischi di smantellare le strutture preposte all'effettuazione dei controlli sulla regolarità degli obblighi fiscali e contributivi  –:
          se non intenda rivedere complessivamente l'impianto della politica tributaria finora perseguita, in particolare realizzando uno spostamento del carico tributario dai redditi da lavoro e di impresa verso le rendite speculative e parassitarie, nonché perseguendo un'effettiva revisione della spesa pubblica che colpisca gli sprechi e il malaffare e rafforzi invece l'azione delle pubbliche amministrazioni di contrasto all'evasione e l'elusione fiscale e contributiva, nonché il contrasto ad ogni forma di criminalità finanziaria ed economica. (5-08388)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GASBARRA e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          nei territori di Roma e del Lazio, in questi ultimi tre anni si è registrata: la pressione fiscale più alta d'Italia determinata secondo l'interrogante dalle politiche messe in campo dai governi che guidano la capitale e la regione; la totale assenza di politiche di concertazione e di politiche anti-crisi finalizzate a riaccendere il motore dello sviluppo in un'area che è più grande dell'Irlanda; l'accumularsi del fardello del ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti di 14.700 imprese che vantano crediti per una stima complessiva di circa 10 miliardi di euro;
          il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, è stato a giudizio degli interroganti completamente disatteso;
          il progetto di ridare ossigeno alle imprese creditrici con le amministrazioni pubbliche attraverso la certificazione e quindi la compensazione delle loro esposizioni è rimasto lettera morta. Un sistema produttivo importante come quello «romano» si è ridotto ad essere trainato dai fondi della cassa integrazione, cresciuta del 327 per cento;
          nel territorio regionale il livello di disoccupazione ha superato per la prima volta il dato nazionale, mentre il comune di Roma Capitale è primo in Italia per numero dei protesti. Il saldo del numero di imprese del terzo trimestre del 2012 è il peggiore dal dopoguerra;
          il comune di Roma Capitale ha portato ogni tariffa al livello massimo così da risultare al primo posto tra le città d'Italia per carico fiscale gravante sia su ogni singolo cittadino (in media 3.042 euro) sia sulle imprese, in particolare quelle medio-piccole;
          alcuni importanti gruppi imprenditoriali romani sono stati ceduti a capitali stranieri e grandi holding internazionali hanno abbandonato il territorio. Nel 2008 la percentuale di addetti impiegati in multinazionali straniere con base a Roma era pari all'8 per cento sul totale degli occupati, nel 2012 il dato è sceso al 6 per cento;
          il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che recepisce la direttiva dell'Unione europea 2011/7/UE late payments che, a partire da gennaio 2013, prevede il pagamento entro 30 o al massimo 60 giorni;
          la consapevolezza della urgente necessità di «sbloccare i crediti della pubblica amministrazione» ha portato la camera di commercio, con l'Abi e il Ministero dell'economia e delle finanze a sottoscrivere un protocollo per creare corsie preferenziali al sistema crediti/debiti delle imprese;
          nel 2011 l'indebitamento della sola regione Lazio è cresciuto del 7,36 per cento, arrivando a 11,08 miliardi di euro di cui 7,6 verso i fornitori;
          l'amministrazione regionale ha una media di pagamento pari a 420 giorni, le aziende sanitarie superano i 240, mentre per Roma Capitale i giorni sono 400;
          il 38 per cento delle imprese fallite nel 2011 a Roma e nel Lazio ha segnalato come causa principale proprio l'esposizione verso la pubblica amministrazione  –:
          quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere in relazione a quanto esposto in premessa in particolare sulla questione dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione, anche al fine di non far morire l'economia dei territori del comune di Roma Capitale e della regione Lazio, salvaguardando i sacrifici di migliaia di piccoli e medi imprenditori. (5-08381)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PALAGIANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          dal 2008 ad oggi i tagli alle risorse economiche del comparto sicurezza ammontano a circa 4 miliardi di euro. In particolare, durante il Governo Berlusconi, secondo quanto si apprende da diverse fonti di stampa, sono stati tagliati alle forze dell'ordine 2 miliardi e 400 milioni di euro e dal Governo Monti 1 miliardo e 466 milioni di euro;
          a causa di questi tagli considerevoli, oggi può essere difficile perfino reperire la benzina per le auto di servizio o le risorse economiche per pulire le caserme, pagare l'affitto dei locali, avere a disposizione computer o divise, oppure ottenere le indennità di missione. Ma la cosa più importante, è che in questo modo è a rischio soprattutto l'attività investigativa portata avanti dalle forze dell'ordine;
          subisce un pericoloso rallentamento, quindi, il contrasto alla criminalità, specie in alcune particolari città, già gravate da un elevato numero di reati, come Napoli. In pratica, si scoprono meno crimini a causa della carenza di indagini, ma aumentano esponenzialmente i delitti commessi: 100 per cento di omicidi volontari in più nel 2010-2011 e 40 per cento in più nei primi tre mesi del 2012; aumentano del 40 per cento le rapine in abitazione, del 70 per cento quelle in banca e dell'8 per cento le attività di contrabbando;
          i dati del Viminale sul contrasto alla criminalità a Napoli, anticipati da un articolo de Il Venerdì di Repubblica del 19 ottobre 2012, chiariscono bene quanto i tagli alle risorse economiche ed umane delle forze dell'ordine abbiano, di fatto, compromesso la lotta al crimine nella città di Napoli: nel 2011 sono stati individuati il 7,5 per cento in meno di colpevoli di reati rispetto all'anno precedente;
          nei primi sei mesi del 2012 sono diminuiti non solo gli arresti, ma, cosa molto più pericolosa perché segno di sfiducia nelle istituzioni, anche le denunce per lesioni dolose (-2,9 per cento), per violenza sessuale (-25 per cento), per rapine in uffici (-100 per cento), per estorsioni (-16 per cento), per usura (-43 per cento) e per furti d'auto (-27 per cento);
          una riflessione a parte meritano i dati su droga e sfruttamento della prostituzione. Le denunce e gli arresti in questo ambito sono diminuiti rispettivamente del 23 per cento e del 56 per cento nel primo semestre del 2012. Tutto questo proprio mentre a Scampia, uno dei quartieri più disagiati di Napoli, sta riprendendo la lotta tra clan per il controllo del traffico di stupefacenti;
          a tutto questo si aggiunge il blocco parziale del turn over, che, anche nel campo delle forze dell'ordine, sta facendo sentire i suoi effetti negativi e che sarà probabilmente aggravato dal regolamento del nuovo sistema pensionistico per il personale delle forze armate (età per la pensione fissata a 62 anni) recentemente approvato dal Consiglio dei ministri;
          le conseguenze dei tagli economici ed umani al comparto delle forze dell'ordine, con particolare riferimento alla Campania, sono confermate anche dalle dichiarazioni dei sindacati di polizia, riportate dall'articolo di stampa succitato. Stando a quanto afferma l'Associazione funzionari, nella regione mancherebbero 1300 uomini tra polizia, carabinieri e Guardia di finanza, ragione per cui, dal 2010 ad oggi, si è assistito ad un brusco crollo dell'attività investigativa a Napoli;
          è evidente che quanto esposto compromette la sicurezza e l'incolumità dei cittadini e della città, nonché, soprattutto, il lavoro delle forze dell'ordine che non possono mettere in atto tutte le azioni possibili a difesa del territorio dalla criminalità;
          nel Consiglio dei ministri del 4 ottobre 2012 si è discusso, in via preliminare, il regolamento che prevede una ulteriore riduzione degli organici delle Forze armate, in attuazione del decreto-legge n.  95 del 2012 (la cosiddetta spending rewiev), e, in particolare, stabilisce che le dotazioni organiche complessive delle Forze armate passeranno da 190.000 unità a 170.000 unità, escludendo l'Arma dei carabinieri e il Corpo delle capitanerie di porto. Nel regolamento sono previste anche disposizioni transitorie per realizzare la graduale riduzione dell'organico complessivo entro il 1o gennaio 2016  –:
          se, in base a quanto esposto, il Governo non intenda ripensare questa ulteriore riduzione lineare dell'organico delle forze armate italiane, considerando le criticità emerse in molte regioni e città e mettendo in conto che, spesso, come sta accadendo in Campania, una riduzione del personale comporta, di fatto, un peggioramento dell'attività investigativa e una battuta d'arresto della lotta alla criminalità;
          se non si intenda modulare i tagli alle forze dell'ordine in base al reale fabbisogno del nostro Paese, considerando le diverse realtà regionali della nostra Penisola, anche in base ai dati relativi al contrasto della criminalità, poiché il doveroso «risparmio» economico, che permetterà di uscire dalla crisi, non può ledere in alcun modo le sicurezza dei cittadini. (4-18401)


      GARAVINI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il settore del gioco d'azzardo in concessione in Italia sta acquisendo sempre maggiore peso economico;
          l'allargamento dei giochi in concessione è stato motivato con l'intenzione di sottrarre risorse al mercato illegale dell'azzardo, spesso gestito da elementi della criminalità organizzata;
          ciononostante, in quasi tutti i settori del gioco legale – dalle società concessionarie, agli installatori, ai gestori dei punti di scommesse e sale gioco – sono emersi preoccupanti punti di contatto con esponenti mafiosi, puntualmente dimostrati dalle inchieste delle forze di polizia e della magistratura;
          in un intervista al GR3 della RAI del 25 ottobre 2012 scorso il generale della Guardia di finanza Umberto Rapetto, già comandante del nucleo speciale frodi telematiche, attualmente in pensione, ha denunciato di essere stato fermato, mentre svolgeva importanti approfondimenti investigativi sulle concessioni per il gioco e sull'effettivo allacciamento delle slot alla rete telematica di controllo;
          secondo un'inchiesta del programma Report, anticipata dal sito del Corriere della Sera (corriere.it) nel corso delle perquisizioni agli uffici della società BPLus è stato sequestrato materiale che dimostrerebbe un collegamento tra l'allora portavoce del Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Giulio Tremonti, Manuela Bravi, il principale collaboratore del Ministro, onorevole Marco Milanese, e la società Bplus, società al centro di un'inchiesta per riciclaggio ed il cui titolare, Francesco Corallo, è attualmente latitante  –:
          se quanto sostenuto dal generale Rapetto risponda a verità, quali siano stati i motivi del suo avvicendamento, e se risulti quali siano stati i contatti intrattenuti tra persone vicine al vertice del precedente Ministro dell'economia e delle finanze ed una delle società concessionarie. (4-18406)

GIUSTIZIA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          in risposta all'interpellanza urgente n.  2-01706 dell'interrogante, il Ministro della salute ha dichiarato che: «la sindrome PAS non viene considerata come un disturbo mentale, ed è stata oggetto di attenzione prevalentemente in ambito forense, più che da parte della psichiatria e della psicologia clinica»;
          l'Istituto superiore di sanità, interpellato perché è il più alto organo di consulenza scientifica del Ministero, ha sottolineato che i fenomeni di ritiro dell'affetto da parte del bambino nei confronti di uno dei genitori, emersi in alcuni casi di affidamenti a seguito di divorzio, possono essere gestiti dagli operatori legali e sanitari senza necessità di invocare una patologia mentale per spiegare i sentimenti negativi di un bambino verso un genitore. L'inutile e scientificamente non giustificato etichettamento come «caso psichiatrico» può rendere ancora più pesante la difficile situazione di un bambino conteso. Sebbene la PAS sia stata denominata arbitrariamente dai suoi proponenti con il termine «disturbo», in linea con la comunità scientifica internazionale, l'Istituto superiore di sanità non ritiene che tale costrutto abbia né sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica tali da poter essere considerata una patologia e, dunque, essere inclusa tra i disturbi mentali nei manuali diagnostici;
          risulta all'interrogante che più sentenze emanate in tempi recenti da organi giurisdizionali italiani hanno fatto ricorso alla pertanto inesistente sindrome come elemento giustificativo di provvedimenti da eseguirsi nei confronti di minori in caso di separazione dei genitori;
          un caso specifico: la corte di appello di Venezia, sezione civile – minori nella procedura iscritta al n.  313/201 I R.G. ha decretato nel senso sopra prospettato  –:
          se non intenda assumere iniziative di competenza volta a evitare che la diagnosi relativa alla sindrome PAS possa avere una qualsivoglia valenza giuridica, almeno fintantoché non sia riconosciuta dall'Organizzazione mondiale della sanità, e se intenda assumere iniziative ispettive per l'esercizio dei poteri di competenza in relazione ai casi come quello descritto in premessa.
(2-01726) «Borghesi».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          qualche giorno fa con la scomparsa dell'ex-assessore alla cultura del comune di Aulla ed ex dirigente scolastico e già maestro elementare, Domenico Tasso, 70 anni, e vittima, suo malgrado, di una storia di malagiustizia che lo aveva segnato profondamente;
          un episodio che lo cambiò in quanto vittima di un accanimento al quale non ha mai saputo dare una spiegazione e che ne compromise anche l'attività di preside che svolgeva presso un istituto locale;
          si richiama l'interpellanza urgente del 2008 n.  2/00236 nella quale si portava all'attenzione del Ministro della giustizia quanto accaduto nella città di Aulla dove era circolato un volantino anonimo, a sfondo rosa, con scritte e giudizi sentimental-politici verso il sindaco, alcuni consiglieri e assessori;
          il fatto già nel 2008, a giudizio degli interpellanti, fu considerato riprovevole e pur tuttavia, a giudizio di molti, non certamente «pesante» nelle affermazioni e comunque evidentemente satirico;
          il pubblico ministero che seguiva le indagini su quel «volantino» in modo plateale decise in un venerdì di fine novembre di far irrompere i Carabinieri e la Polizia postale con 10 agenti, perquisizione ad avviso degli interpellanti senza un fondamento giuridico e sproporzionata per un reato inesistente, perquisendo, le abitazioni di due consiglieri di minoranza del «Nuovo PSI verso la PDL», creando in questo modo estremo disagio non solo alle persone che si sono dichiarate estranee, cadendo letteralmente dalle nuvole, ma diffondendo pure l'idea di una specie di «indagine politicizzata» e arrecando un danno alle forze politiche di opposizione;
          tuttavia quel che fu veramente grave sta nel fatto che, durante la perquisizione, seguita dalla stampa, ad uno dei due consiglieri, noto pediatra, sono state sottratti anche tutti i file e le cartelle dei piccoli pazienti, oltre mille, nonostante il medico facesse rilevare l'enormità del fatto e del danno che in termini di sicurezza e di incolumità per la salute psicofisica e della privacy dei piccoli pazienti si andava facendo, ricevendo come risposta dai carabinieri: «chieda il dissequestro»;
          in questo caso è parso di assistere ad una indagine di mafia verso pericolosi latitanti e non verso cittadini ignari e persone perbene;
          i due consiglieri non riuscirono a darsi una spiegazione, se non quella di essere incappati in un caso di vera e propria «malagiustizia», infatti dopo alcuni mesi da quella rocambolesca e teatrale perquisizione i giudici archiviarono l'indagine, senza che la stampa facesse alcun accenno a differenza del giorno del sequestro dei computer;
          l'episodio di allora configura un'evidente pericolosa sproporzione tra oggetto dell'indagine e il metodo usato per la conduzione della stessa che è poi culminata con il sequestro di alcuni computer su cui non fu trovato nulla, tanto che l'inchiesta è stata poi archiviata;
          per fatti ben più gravi e reati maggiori vengono utilizzati un numero di agenti inferiori a quelli utilizzati dalla procura di Massa per una diffamazione contro ignoti, gettando anche del fango su persone che ora purtroppo non ci sono più e che sono state segnate sia fisicamente che nella psiche  –:
          se non ritenga necessaria, improcrastinabile e doverosa l'adozione di attività ispettiva di propria competenza nei confronti del pubblico ministero che seguì le indagini e firmò l'ordinanza di perquisizione, al fine di poter assumere eventuali necessarie determinazioni in materia disciplinare circa i fatti descritti in premessa, quali iniziative intenda assumere per verificare se altri casi di malagiustizia possano essere stati perpetrati nei con- fronti di cittadini che si sono trovati in modo ingiusto indagati e perseguitati da una gogna mediatica.
(2-01728) «Barani, Girlanda, De Luca, De Nichilo Rizzoli, De Corato, Berruti, Mancuso, Ciccioli, Porcu, Formichella, Vessa, Di Virgilio, Massimo Parisi, Mussolini, Bertolini, Germanà, Abelli, Barba, Bellotti, Bernardo, Tortoli, Luciano Rossi, Bocciardo, Castellani, Boniver, Fucci, Scelli, Mazzuca, Armosino, Scandroglio, De Camillis, Gelmini, Giro, Tommaso Foti, Crimi, Biasotti, Holzmann, Lunardi, Palumbo».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          a seguito della decisione del Governo di sopprimere le sedi distaccate dei tribunali è iniziato lo smantellamento della sede giudiziaria di Pisticci;
          con decreto n.  73 del 2012 adottato in data 24 ottobre 2012 il presidente del tribunale dottor Giuseppe Attimonelli Petraglione, ha disposto che a decorrere dal 12 novembre 2012 tutti gli affari civili – anche già pendenti – che per il luogo in ragione del quale è determinata la competenza per territorio rientrano nella circoscrizione della sezione distaccata di Pisticci, saranno trattati presso la sede centrale di Matera;
          ovviamente si tratta di una decisione sorprendente, considerato il fatto che sono previsti 5 anni per il completamento delle procedure di trasferimento e colpisce molto questa celerità inusitata che ad avviso dell'interrogante non ha eguali in Italia;
          l'amministrazione comunale di Pisticci ha fatto e sta facendo di tutto per poter consentire la piena operatività degli uffici giudiziari, anche accollandosi i relativi oneri;
          secondo l'interrogante prima di procedere a decisioni di tale portata, sarebbe opportuno investire la direzione generale del Ministero per avere tempo ragionevole al fine di evitare spoliazioni inutili e costose anche per i cittadini  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda adottare per monitorare il processo di riordino dei tribunali, incluso quello di Matera garantendo una graduale attuazione della riforma ed evitando, per quanto possibile, che si producano criticità come quelle descritte in premessa.
(5-08383)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano Il Mattino di Padova il 5 novembre 2012, un detenuto tunisino di appena 26 anni, rinchiuso nel quarto blocco della casa di reclusione Due Palazzi, è deceduto inalando il gas contenuto in una bomboletta del fornellino da campeggio utilizzato dai carcerati per preparare un caffè o qualche bevanda calda;
          l'uomo stava scontando una pena per detenzione di sostanze stupefacenti a scopo di spaccio. Si trovava in una cella da due ed era rimasto solo: il compagno era uscito per l'ora d'aria. Chi lo aveva incontrato sabato, giura che aveva l'aria tranquilla come sempre. Sono stati gli agenti di polizia penitenziaria a dare l'allarme e a sollecitare l'intervento dell'ambulanza: nel consueto «giro» di controllo, si sono accorti del giovane magrebino finito a terra, svenuto;
          il direttore del Due Palazzi, il dottor Salvatore Pirruccio, ha dichiarato: «Sarà l'inchiesta della magistratura a fare luce su questa morte. Comunque sembra che la causa sia stata l'inalazione di gas: alcuni detenuti, essendo tossicodipendenti, cercano lo sballo anche con tale sostanza. Tuttavia basta perdere i sensi e si va oltre... Purtroppo il copione è sempre quello. Chi vuole uccidersi, in genere impiega sistemi diversi. Per quanto riguarda il sovraffollamento siamo a quota 880 detenuti, praticamente il doppio della capienza»;
          fino al 31 ottobre 2012 sono state 136 le morti complessive nelle carceri italiane, fra cui 51 suicidi (erano rispettivamente 142 e 46 nel 2008)  –:
          di quali informazioni disponga il Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e indipendentemente dall'inchiesta che sulla vicenda ha aperto la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare eventuali responsabilità amministrative o disciplinari dell'amministrazione penitenziaria, anche alla luce della forte carenza di personale che limita inevitabilmente le possibilità di vigilanza sui detenuti;
          se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio delle morti violente e le altre emergenze legate ai disagi psicologici dei detenuti, in specie di quelli tossicodipendenti. (4-18393)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato il 30 ottobre 2012 dal quotidiano online «Alessandria Oggi», un uomo di 65 anni, originario di Acqui Terme ma abitante ad Alessandria, è morto domenica mattina nel carcere Don Soria di Alessandria dov'era entrato da appena due giorni. Ancora sconosciute le cause del decesso anche se la direzione del carcere parla genericamente di arresto cardiaco;
          l'uomo era finito in carcere per una vecchia storia di tre anni fa, allorquando, dopo un tamponamento in auto avvenuto, si era rifiutato di sottoporsi all'alcool test. Dopo essere stato condannato a 4 mesi di reclusione, la condanna è divenuta esecutiva nel maggio 2011;
          nella circostanza a nulla è valsa la richiesta dell'avvocato di scontare la pena in detenzione domiciliare in base al decreto svuota-carceri che li prevede per pene inferiori a un anno, atteso che il magistrato di sorveglianza ha dichiarato inammissibile l'istanza «per mancanza di idoneità del domicilio e perché manca un programma ambulatoriale presso il Sert per abuso di alcol»  –:
          quali siano le cause che hanno provocato il decesso del detenuto;
          se sia noto per quale motivo al detenuto era stata rifiutata la detenzione domiciliare;
          quanti siano i decessi avvenuti nel carcere di Don Soria di Alessandria negli ultimi 3 anni e quali le cause;
          quanti siano i detenuti ristretti nel carcere di Alessandria e se anche questo carcere si trovi in condizioni di sovraffollamento;
          se sia stata avviata una indagine conoscitiva sui decessi che avvengono nelle carceri italiane;
          se non ritenga urgente verificare le vere cause dei decessi che avvengono all'interno delle carceri italiane e intervenire per scongiurarne il ripetersi di altri.
(4-18397)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 2 novembre sul quotidiano onlineLa Città di Salerno, è apparso un articolo scritto da Luigi Colombo intitolato: «Paolo Maggio rischia di morire in cella»; sottotitolo: «L'appello degli avvocati del detenuto 37enne che sta scontando una condanna per omicidio. Lettera alla deputata Bernardini»;
          stante la gravità di quanto contenuto nel citato articolo, la prima firmataria del presente atto ritiene opportuno riportarne integralmente il contenuto: «È in dialisi e in condizioni di salute gravissime che non sono assolutamente compatibili con il regime carcerario. È un appello disperato quello che i legali di Paolo Maggio, 37enne di Battipaglia, rivolgono alle istituzioni. In una lettera indirizzata al deputato dei Radicali Rita Bernardini e al presidente dell'associazione Antigone Pietro Gonnella, gli avvocati Rosanna Carpentieri e Paolo Vocca descrivono le sofferenze del 37enne battipagliese e parlano di un nuovo caso di “malo carcere”. L'esponente dei Radicali ha già annunciato la presentazione di un'interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, Severino. Paolo Maggio è detenuto a Parma, dove sta scontando una pena a 23 anni per omicidio. Dopo un lungo periodo di detenzione presso il carcere di Avellino, è stato trasferito lo scorso inverno a Spoleto. A febbraio, all'improvviso, ha presentato dei “sintomi quanto mai allarmanti”, scrivono gli avvocati: pressione ad oltre 200, fortissimi mal di testa, difficoltà a urinare. “È rimasto in terapia intensiva fino a luglio e, sin dai primi accertamenti, ha iniziato a fruire di trattamento di dialisi – raccontano i legali del giovane – Pare, infatti, che per cause non ancora definitivamente accertate, i suoi reni abbiano smesso di funzionare ed il giovane, oltre a sottoporsi a lunghissima e snervante dialisi trisettimanalmente, è in attesa del trapianto di rene”. Nel giro di pochi mesi Maggio ha perso peso, ha difficoltà a camminare, parla con fatica ha difficoltà a seguire in carcere una dieta che per lui è vitale. Ora, è in cella con un detenuto che è riuscito a far pervenire ai familiari messaggi allarmanti. “Il nostro assistito sta sempre peggio – raccontano i legali – Da quanto ci risulta ormai il compagno di detenzione deve aiutarlo a vestirsi, a lavarsi, a mangiare e pare che la dialisi non gli giovi più affatto”. Lo scorso 20 settembre il tribunale di Sorveglianza di Perugia ha sottoposto al suo vaglio la richiesta di sospensione pena. “Noi difensori credevamo di avere serie speranze di ricondurlo a casa a Battipaglia – spiega Carpentieri – Avevamo prodotto al Collegio anche la documentazione inerente agli innumerevoli e validi centri dialisi dove il giovane avrebbe potuto continuare a curarsi. La nostra richiesta non è stata accolta perché rispetto a prima oggi viene sottoposto ‘solo 3’ volte a settimana a dialisi, sintomo per il tribunale dell'enorme miglioramento del Maggio”. Il giorno stesso dell'udienza, il 37enne è stato trasferito a Parma. Inoltre, il 4 ottobre scorso doveva presenziare a Salerno ad un'udienza preliminare che lo vedeva imputato, nonché ad un'udienza civile, per sottoscrivere il divorzio dal coniuge. “Il giorno prima dell'udienza – si legge ancora nella lettera – noi difensori abbiamo ricevuto per fax il provvedimento del Dap, dal contenuto a dir poco incredibile e offensivo per un giovane le cui condizioni di vita sono a quanto mai allo stremo: il dipartimento asseriva, infatti, che la traduzione non sarebbe stata disposta per motivi di ‘sicurezza’”. E comparso così, con enormi difficoltà, in videoconferenza. “In video è apparso un giovane in condizioni disperate: non riesce a parlare che con un flebile filo di voce, terreo in viso, magrissimo, ha dovuto farsi aiutare da un agente di custodia ad avvicinarsi al microfono e a sedersi”, denunciano i legali. “È necessario – concludono i due avvocati – salvare la vita a questo ragazzo”»;
          il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione; dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000; dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante “Regole minime per il trattamento dei detenuti” e dall'articolo 1 della Raccomandazione (2006) 2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo;
          il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, non suscettibile di limitazione alcuna e idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
          l'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n.  354, sancisce una rigorosa disciplina in ordine alle modalità ed ai requisiti del servizio sanitario di ogni istituto di pena, prescrivendo tra l'altro che “ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (...) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura”;
          la recente sentenza della Corte di cassazione n.  46479/2011, del 14 dicembre 2011 ha evidenziato, fra l'altro, come “il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture”;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, è necessario un intervento urgente al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione, affinché siano adottati i provvedimenti più opportuni, per garantire che l'espiazione della pena non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da pregiudicarne irreversibilmente le condizioni psico-fisiche, già gravemente compromesse  –:
          di quali informazioni dispongano circa i fatti narrati in premessa;
          se non intendano promuovere ogni accertamento di competenza, in rapporto ai fatti esposti in premessa, e quali ulteriori iniziative di competenza intendano assumere al fine di tutelare il diritto alla salute del detenuto. (4-18398)


      DI BIAGIO, TOTO e PROIETTI COSIMI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il Corpo forestale dello Stato, ai sensi della legge 6 febbraio 2004, n.  36 (articolo 1, comma 1) concorre nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica, ai sensi della legge 1° aprile 1981, n.  121, nonché nel controllo del territorio, con particolare riferimento alle aree rurali e montane;
          tra le funzioni individuate dal successivo articolo 2 della predetta legge, è disposto che il Corpo forestale dello Stato fatte salve le attribuzioni delle regioni e degli enti locali, svolga le funzioni di rilievo nazionale assegnategli dalle leggi e dai regolamenti e in particolare ha competenza in materia di: mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica con particolare riferimento alle aree rurali e montane, vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente e ogni altro compito assegnatogli dalle leggi e dai regolamenti dello Stato;
          il codice della strada, all'articolo 12, comma 1, lettera f-bis), dispone che il Corpo forestale dello Stato svolga servizi di polizia stradale in relazione ai propri compiti d'istituto;
          il decreto 28 aprile 2006 del Ministero dell'interno su riassetto dei comparti di specialità delle forze di polizia ha disposto che, in ordine alla sicurezza stradale le altre forze di polizia individuate nell'articolo 12 del codice della strada (tra cui il Corpo forestale dello Stato) assicureranno il concorso nei servizi di polizia stradale da attuarsi in relazione alla loro dislocazione sul territorio;
          nel febbraio 2008 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali hanno firmato un protocollo d'intesa, grazie al quale il personale del Corpo forestale dello Stato collaborerà con la polizia stradale per incrementare i controlli per la prevenzione degli incidenti e il contrasto delle infrazioni al codice della strada;
          il protocollo ha individuato le modalità di collaborazione tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per elevare gli standard di sicurezza sulle strade italiane, in particolare, disciplinando l'attuazione dei controlli di polizia stradale a cura del Corpo forestale dello Stato su tutto il territorio nazionale;
          il Corpo forestale dello Stato nel pieno rispetto delle competenze affidategli dalla legge, al fine di onorare gli impegni assunti tra i sopraccitati Ministeri e per portare un contributo nei servizi di polizia stradale nei contesti rurali e montani, ha avviato una campagna per il controllo della circolazione stradale nei passi appenninici, nelle strade montante e nel fuoristrada, al fine di incrementare la sicurezza e la tutela ambientale;
          in data 5 marzo 2012 il comando regionale della Toscana del Corpo forestale dello Stato, dispose un servizio polizia stradale all'Isola d'Elba finalizzato al controllo della circolazione fuoristrada nell'ambito di una manifestazione motociclistica regionale il cui itinerario prevedeva il transito su strade pubbliche e su aree di pubblico passaggio;
          in quella occasione, due collaboratori dell'organizzazione vennero sorpresi entrambi, a circolare su due motocicli sprovvisti della targa di immatricolazione, sostituite con due copie fotostatiche ridotte collocate nel parafango posteriore e, per tale ragione, furono sanzionati ai sensi dell'articolo 100, commi 2 e 11 del codice della strada;
          caso analogo è avvenuto in data 28 aprile 2012 durante un controllo ordinario sulla circolazione fuoristrada nel comune di Portoferrario, occasione in cui venne sanzionato dal Corpo forestale dello Stato un motociclista endurista sorpreso a circolare su strada pubblica con motociclo sprovvisto della targa di immatricolazione, sostituita con una copia fotostatica ridotta della targa collocata in posizione diversa dallo spazio riservato all'alloggiamento targa. Per tale ragione anche questo venne sanzionato ai sensi dell'articolo 100, commi 2 e 11, del codice della strada;
          l'articolo 100 del codice della strada, al comma 2, dispone che: «I motoveicoli devono essere muniti posteriormente di una targa contenente i dati di immatricolazione». Il successivo comma 11 prevede che «Chiunque violi la disposizione di cui al comma 2 sia soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 80 a euro 318.» Il successivo comma 15, recentemente introdotto, prevede, per i casi di specie, anche la sanzione accessoria del fermo amministrativo per mesi 3;
          per targa di immatricolazione si intende quella espressamente prevista dal combinato disposto dell'articolo 100 del codice della strada e dell'articolo 260 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada – decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n.  495 e successive modificazioni, che individua le caratteristiche costruttive, dimensionali, fotometriche, cromatiche e di leggibilità delle targhe di immatricolazione;
          sull'utilizzo di documenti foto-riprodotti, o non originali, si è pronunciata la cassazione penale, sezione V, con sentenza n.  42957 del 21 novembre 2011, la quale ha rilevato che: «... è il dotare il documento falso della apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede, ad avere rilievo penale e a siffatta evenienza può giungersi formando una riproduzione fotostatica assolutamente fedele, indipendentemente cioè dalla apposizione di un attestato di conformità all'originale ...», concludendo che la nozione di «uso di atto falso» «comprende qualsiasi modalità di avvalersi del falso documento per uno scopo conforme alla natura quantomeno apparente – dell'atto; ne consegue che, ad integrare il reato, basta la semplice esibizione del documento falso.»;
          in data 25 e 27 settembre 2012 il giudice di pace avvocato Angela Barcia dell'ufficio del giudice di pace di Portoferrario, Sezione 1 località Casaccia depositava le sentenze n.  163/12, 155/12 e 162/12 in ordine ai ricorsi presentati avverso i sommari processi verbali sopra indicati;
          in particolare il Giudice di pace avvocato Angela Barcia, con le identiche sentenze 162/12 e 163/12 accoglie i ricorsi presentati motivandoli che: «... come meglio indicato nei motivi di ricorso a giustificazione del proprio operato il trasgressore ha fatto presente di avere avuto paura di perdere la targa a causa dei percorsi accidentati e sconnessi. La buona fede del ricorrente vista anche la particolarità della situazione fanno ritenere da accogliere il ricorso»;
          oltretutto i ricorrenti, peraltro commissari di gara della manifestazione, avevano precedentemente emanato un bando di iscrizione alla gara di enduro, che recependo le direttive della Federazione dei motociclisti, obbligava tutti i partecipanti all'installazione della targa originale di immatricolazione al fine di consentirne la loro identificabilità;
          di tenore diverso la sentenza 155/12 con la quale il giudice di pace avvocato Angela Barcia, accoglie il ricorso avverso il verbale di contestazione del 28 aprile 2012 motivandolo che «la comparsa di costituzione della Prefettura di Livorno sia pervenuta in cancelleria oltre il termine di legge non essendo stato rispettato il termine perentorio dei dieci giorni per la costituzione prima dell'udienza, come da legge 150 del 2011... Nel merito il ricorso risulta fondato infatti il verbale emesso dal corpo forestale dello Stato è effettivamente carente di uno degli elementi essenziali previsti dal 383 Reg Att. al codice della strada perché risulta omessa la indicazione della dichiarazione dell'interessato, con conseguente violazione del diritto di difesa tutelato dall'articolo 24 della costituzione come da giurisprudenza costante par ufficio ...» Inoltre condanna la parte resistente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 180,00;
          in ordine alle sentenze n.  162 e n.  163 del 2012 tutti gli accertamenti svolti dal Corpo forestale dello Stato sono stati corredati con rilievi fotografici prodotti ai sensi dell'articolo 13 della legge n.  689 del 1981 allegati ai rispettivi sommari processi verbali di contestazione che dimostrano l'utilizzo di un documento foto riprodotto al posto della targa di immatricolazione, mentre in ordine alla sentenza n.  151 del 2012, nelle controdeduzioni inviate dal Corpo forestale dello Stato alla prefettura di Livorno era stato evidenziato che il trasgressore «al momento dell'accertamento aveva manifestato la volontà di non voler dichiarare e scrivere nulla nel verbale di contestazione in quanto avrebbe valutato successivamente in sede di eventuale ricorso sentito il proprio Avvocato. «Il ritardo della prefettura di Livorno, nella costituzione in giudizio fuori dai termini di legge ha di fatto contribuito alla condanna del Corpo forestale dello Stato al pagamento delle spese processuali in quanto gli atti trasmessi da quest'ultimo, se utilizzabili, avrebbero potuto evitare raccoglimento del ricorso in quanto motivati e circostanziati.»;
          peraltro, sembrerebbe che, in ordine ai procedimenti di cui alle sentenze n.  162 e n.  163 del 2012 al Corpo forestale dello Stato non risulta che siano stati notificati i decreti di citazione;
          infine, secondo il giudice di pace avvocato Angela Barcia, che ha creato un importante precedente, se si circola fuoristrada, su terreni sconnessi e accidentati si può derogare alle norme del codice della strada e del regolamento, nonché a sentenze specifiche, apponendo copie fotostatiche dei documenti ufficiali al posto della targa di immatricolazione qualora ricorra il timore di perderla. Peraltro nei casi di specie, contrariamente a quanto è avvenuto nelle motivazioni per la sentenza 155/12 non si è tenuto conto della giurisprudenza costante per ufficio  –:
          di quali elementi disponga sulla vicenda e se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza volta a chiarire inequivocabilmente la portata del divieto in questione, che in ogni caso, ad avviso dell'interrogante, già adesso non dovrebbe ammettere alcuna eccezione, così da evitare il ripetersi di fatti come quelli descritti in premessa;
          se il Corpo forestale dello Stato, intenda ricorrere in appello avverso la decisione del giudice di pace di Portoferraio sezione I – Casaccia, affinché tale sentenza non legittimi nessuno a circolare fuoristrada in assenza della targa di immatricolazione rendendosi anonimo e libero di comportarsi liberamente senza incorrere nel rischio di essere identificato;
          se non ritengano opportuno riferire i motivi che abbiano portato la Prefettura di Livorno a non rispettare il termine perentorio dei dieci giorni per la costituzione in giudizio, provocando di fatto l'accoglimento del ricorso. (4-18407)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


      LO PRESTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del Presidente della Repubblica 24 marzo 2011, n.  83, l'ufficio locale marittimo di Terrasini è stato elevato al rango di ufficio circondariale marittimo;
          nella relazione che accompagna il decreto del Presidente della Repubblica in questione, che riguarda anche altri uffici marittimi periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti su tutto il territorio nazionale, si fa espressamente riferimento all'importanza che tali uffici rivestono per la trattazione delle «problematiche marittime lato sensu che abbracciano la componente amministrativa, operativa, tecnica e di vigilanza sui litorali di giurisdizione»;
          in buona sostanza le competenze svolte dagli uffici circondariali marittimi rispetto ai meno dimensionati ed importanti uffici locali marittimi «assumono connotati e consistenza che sono adeguate alla vastità del territorio, alle attività marittime ed economiche che ivi si svolgono ed ai relativi bacini d'utenza», che costituiscono un evidente «patrimonio» delle comunità locali, i cui enti esponenziali hanno chiesto ed auspicato l'elevazione di tale ufficio al rango di ufficio circondariale marittimo;
          l'ufficio di Terrasini che comprende un'importante flotta peschereccia ha competenza anche sui servizi della delegazione di spiaggia di Balestrate, nel cui porto è di stanza un'altra importante marineria. Tale ufficio dovrebbe assolvere a tutta una serie di compiti connessi all'acquisito rango di ufficio circondariale marittimo, quali:
              a) istituzione delle sessioni di esami per il rilascio di titoli professionali marittimi del ceto marinaro presso la sezione gente di mare; iscrizione nelle matricole della gente di mare di prima, seconda e terza categoria; rilascio di abilitazioni professionali; istanza di iscrizione nel registro pescatori marittimi; istanza di iscrizione nel registro pescatori marittimi (per minori); iscrizione al registro imprese di pesca;
              b) istituzione delle commissioni per le visite a bordo delle unità da pesca superiori alle 25 tonnellate/stazza, con il rilascio degli appositi certificati; certificato di navigabilità; certificati annotazioni di sicurezza e altro;
              c) istituzioni delle commissioni per gli esami delle patenti nautiche da diporto, nonché la tenuta dei registri per l'iscrizione delle unità da diporto (registri imbarcazioni da diporto); iscrizione unità sprovviste di marcatura CE; trasferimento dell'ufficio d'iscrizione delle unità da diporto; passaggio proprietà unità da diporto; nota di trascrizione per la pubblicità navale; domanda per rinnovo convalida del certificato di sicurezza; domanda di cancellazione dai registri imbarcazioni da diporto di unità rientranti nella categoria dei natanti e altro;
          risulta all'interrogante che, ad un anno dall'assunzione del rango di ufficio circondariale marittimo, Terrasini ha solo sulla carta istituito le sezioni sopra richiamate, ma, nonostante sia in possesso di una struttura adeguata, di uomini e mezzi, di fatto finora non è stata svolta nessuna attività, con la conseguenza che gli utenti (gente di mare e diportisti) dell'intero circondario che potrebbero fare riferimento all'ufficio circondariale di Terrasini, sono costretti a rivolgersi alla capitaneria di porto di Palermo, che dista, sia da Terrasini che da Balestrate, oltre 50 chilometri, con un dispendio di tempo e di risorse economiche per l'utenza che, soprattutto in tempi di crisi, andrebbe accuratamente evitato;
          il mancato dialogo con le amministrazioni locali sul cui territorio ricade la giurisdizione dell'ufficio circondariale marittimo di Terrasini ha compromesso gli ottimi rapporti con le istituzioni che in passato si erano avuti. Infatti, lo stesso regolamento del circondario marittimo di Terrasini è stato emanato senza avere richiesto i pareri alle predette amministrazioni;
          dalla fine del 2011, un relitto di nave, battente bandiera panamense, giace sui fondali del porto di Terrasini e sta provocando un ostacolo alla navigazione portuale e al deflusso naturale delle correnti all'interno del porto, con un notevole insabbiamento dello stesso ed accumulo di alghe che vanno in putrefazione con rischio per la salute pubblica;
          una seconda unità risulta ormeggiata tra le unità navali del corpo, dopo essere stata ritrovata, con lo stesso pericolo di affondamento;
          i fatti di cui sopra evidenziano una gestione, secondo l'interrogante, approssimativa e poco funzionale dell'ufficio circondariale marittimo in questione, che causa, da un lato, reali disagi agli operatori ed ai cittadini che fruiscono del porto e, dall'altro, integra un danno in termini di tempo lavorativo sprecato e di costi sostenuti per lo svolgimento di pratiche amministrative che gli utenti sono costretti a svolgere a Palermo –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere affinché, verificati i fatti descritti in premessa, il comandante dell'ufficio circondariale marittimo di Terrasini, decorso oltre un anno dalla sua istituzione, possa, nel più breve tempo possibile, rendere operativa la struttura e le competenze assegnate dal rango conseguito, al fine di agevolare gli operatori della pesca, i diportisti ed i cittadini gravati ingiustamente di oneri e disagi, e quali provvedimenti intenda adottare al fine di garantire la sicurezza della navigazione all'interno del porto e la salute pubblica compromesse dal relitto in questione che, semi affondato, giace da diversi mesi sul fondale del porto. (3-02592)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIANNI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'ENAC ha annunciato che dal 5 dicembre 2012 l'aeroporto di Catania resterà chiuso, per lavori di ristrutturazione, per almeno un mese;
          in questo periodo i voli in partenza e in arrivo per Catania saranno dirottati sullo scalo militare di Sigonella;
          sempre secondo l'ENAC, i disagi per i passeggeri sono stati minimi; in verità la situazione è del tutto paradossale con le persone costrette a utilizzare lo scalo di Fontanarossa per il check-in, i controlli di sicurezza e il ritiro dei bagagli, mentre lo scalo di Sigonella, conservando la precedenza per i voli militari, funziona per le operazioni di decollo e atterraggio;
          per il trasferimento tra uno scalo e un altro è stata attivata una navetta che impiega, per il trasferimento, circa un'ora;
          tutto ciò provocherà danni economici notevoli per tutta la Sicilia orientale;
          nei primi otto mesi di quest'anno l'aeroporto Fontanarossa ha registrato oltre 4 milioni e 430.000 passeggeri, con una media di oltre 550 mila al mese;
          si tratta quindi un numero notevole di utenti che dovranno subire forti disagi stanti non solo i lavori di ristrutturazione dello scalo di Fontanarossa ma anche la cronica mancanza di collegamenti che affligge l'intero territorio siciliano;
          in questa situazione, infatti, i cittadini siciliani o coloro che, per lavoro o piacere, vorranno recarsi in questa parte dell'isola, non avranno alternative, vista la mancanza di collegamenti ferroviari degni di questo nome tra l'isola e il continente;
          infatti, se qualcuno volesse usare il trasporto ferroviario, dovrebbe prima utilizzare treni locali sino a Reggio Calabria per poi poter sperare di arrivare ad utilizzare l'unica linea veloce (freccia rossa) giornaliera che collega il capoluogo calabrese con Roma, impiegandoci un tempo variabile tra le otto e le dodici ore;
          quanto sta accadendo e l'ennesima dimostrazione, qualora ve ne fosse ancora bisogno, dei molteplici danni provocati dalla mancanza di infrastrutture in Sicilia  –:
          se e come intenda intervenire presso le autorità competenti affinché i lavori di ristrutturazione dello scalo di Fontanarossa siano terminati nel più breve tempo possibile facendo in modo che si lavori a ritmo continuo, con turni sulle 24 ore compresi i giorni festivi, affinché tale assurda situazione possa durare il meno possibile;
          se non ritenga indispensabile attivarsi al fine di rendere operativo, al di là della situazione contingente, anche lo scalo di Comiso, incrementando così l'offerta in un territorio afflitto da una rete di trasporti totalmente insufficiente e inadeguata;
          se non si ritenga necessario intervenire immediatamente al fine di incrementare il trasporto ferroviario nella tratta Catania-Roma che potrebbe rappresentare un'alternativa al trasporto aereo;
          se non si ritenga indispensabile, a partire dalla situazione paradossale che si è venuta a creare all'aeroporto di Catania, aprire finalmente un tavolo di confronto con le istituzioni e le rappresentanze sociali territoriali, al fine di realizzare un sistema di infrastrutture e trasporti degno di questo nome, in Sicilia e nel Mezzogiorno, favorendo, in questo modo, anche il rilancio dell'economia e del turismo in zone troppo spesso dimenticate dal Governo centrale. (4-18395)


      BARBATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nella zona occidentale di Napoli i lavori per il completamento della bretella che unisce la tangenziale a Pianura (Na) sarebbero dovuti terminare nel gennaio 2010, ma, la strada che rientra nel piano intermodale resta chiusa e quindi inutilizzata;
          una carreggiata a scorrimento veloce che doveva esserci e non c’è nonché un'importante arteria che avrebbe dovuto collegare l'uscita Agnano della tangenziale di Napoli con il quartiere di Pianura;
          progetto, previsto nel mezzo del parco regionale dei Campi flegrei;
          gli automobilisti diretti verso l'autostrada sono costretti a compiere un lungo giro stradale prima di riuscire a prendere la vecchia strada;
          l'opera è stata progettata pure come via di fuga per gli abitanti della fascia rossa della zona vulcanica;
          la bretella fa parte di un progetto di portata molto più vasta chiamato «piano intermodale dell'area flegrea previsto dalla legge finanziaria per l'anno 1985» con lo scopo di dotare le aree soggette al bradisismo delle infrastrutture necessarie per eventuali emergenze;
          dal 1985 al 1990 furono stanziati 535 miliardi, più altri 100 di compartecipazione comunitaria, per complessivi 635 miliardi di lire;
          «una somma così consistente avrebbe dovuto cambiare non solo l'assetto infrastrutturale nei campi flegrei, ma creare anche sviluppo, riqualificazione ambientale e lavoro»;
          ci sono gli svincoli, ma manca la strada che avrebbe semplificato la vita ai pianuresi e ridotto l'impatto ambientale inquinante di scarichi automobilistici abbreviando il percorso;
          indiscrezioni riferiscono che l'opera resta incompleta per «mancanza di fondi» nonostante le ampie risorse economiche già impiegate;
          «quali iniziative intendano assumere per verificare che vi sia stato nel caso esposto un corretto utilizzo dei fondi stanziati e utilizzati nonché una rendicontazione dettagliata degli stessi ed a quali ditte siano stati affidati i lavori, infine quali siano le motivazioni che ancora oggi impediscono l'apertura dell'arteria e quale sia una stima approssimativa delle risorse mancanti per il definitivo completamento dell'opera che rappresenta laddove non portata a termine uno spreco di denaro pubblico. (4-18400)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


      IANNACCONE, BELCASTRO e PORFIDIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 17, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, prevede che «tutte le province a statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto sono oggetto di riordino»; il comma 4-bis dello stesso articolo stabilisce, altresì, che in «esito al riordino di cui al comma 1, assume il ruolo di capoluogo delle singole province il comune già capoluogo di provincia con maggior popolazione residente, salvo il caso di diverso accordo»;
          a seguito di questa formulazione accade che province aventi i requisiti, come ad esempio Avellino, per mantenere la propria integrità vengano accorpate con altre, perdendo la funzione di capoluogo per il minor numero di abitanti del capoluogo stesso;
          sono di tutta evidenza le conseguenze negative di tale ipotesi, sia per i servizi resi ai cittadini, sia per il tessuto economico della città, sia per gli effetti di cancellazione della storia e dell'identità di un'intera comunità;
          non sono quantificabili i risparmi derivanti dall'accorpamento delle province, anzi si potrebbe avere un incremento dei costi e delle spese, sia a carico dei cittadini che della pubblica amministrazione, a seguito di un'irrazionale distribuzione delle funzioni e dei servizi;
          occorre ricordare che la provincia di Avellino vive già una situazione di grande disagio a seguito della crisi economica e finanziaria che ha determinato un ulteriore incremento della disoccupazione, con oltre 80.000 disoccupati, e la chiusura di fabbriche importanti come la Irisbus di Flumeri, per la quale, a giudizio degli interroganti, nulla è stato fatto dai Ministeri competenti;
          il paventato accorpamento delle province, con l'aggravante della soppressione della funzione di capoluogo per le città, in modo particolare per quelle capoluogo di province aventi i requisiti di legge, sta determinando un clima di forte tensione in Italia, che potrebbe sfociare in vere e proprie rivolte, anche a causa della pesante crisi economica e finanziaria –:
          quali ulteriori iniziative normative si intendano assumere per impedire che ci siano effetti incoerenti ed irrazionali nell'applicazione del decreto-legge n.  95 del 2012 e se non si intenda effettuare un'ulteriore riflessione sul punto, atteso che il riordino delle province nei termini descritti in premessa non produrrebbe risparmi significativi, ma solo ed esclusivamente mortificazione dei territori e delle popolazioni residenti e della loro storia e vocazione. (3-02586)


      DI PIETRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di luglio 2012 l'interrogante chiedeva, con atto di sindacato ispettivo, al Ministro interrogato se non intendesse avviare tempestivamente le procedure necessarie all'indizione delle elezioni regionali nel Molise, stante l'esecutività della sentenza del tribunale amministrativo regionale, con la quale il 17 maggio 2012 erano state annullate le elezioni regionali svoltesi in Molise nel 2011, sentenza esecutiva a tutti gli effetti, non avendo ritenuto, il Consiglio di Stato, di accogliere le istanze di sospensive cautelari;
          il Ministro interrogato riteneva di non poter procedere a fronte di una sentenza che non era da intendersi definitiva, pur essendo immediatamente esecutiva, a fronte dell'impugnazione della medesima al Consiglio di Stato;
          l'interrogante ritiene di dover riportare per iscritto la risposta del Ministro interrogato: «Qualora l'esito della decisione definitiva confermi la sentenza del tribunale amministrativo regionale, il rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie della regione Molise potrà adottare i conseguenti provvedimenti di convocazione dei comizi per le elezioni regionali e di determinazione dei seggi spettanti al consiglio regionale. Attendiamo, quindi, il giudizio del Consiglio di Stato»;
          il Consiglio di Stato si è espresso il 29 ottobre 2012; con sentenza n.  504 ha respinto gli appelli proposti avverso la citata pronuncia del tribunale amministrativo regionale del Molise e per l'effetto ha confermato l'annullamento delle elezioni del presidente e del consiglio regionale del Molise, svoltesi il 16 e 17 ottobre 2011;
          ad avviso dell'interrogante, i cittadini molisani subiscono da tempo un deficit democratico ed istituzionale; è notoria la perdurante drammatica e fallimentare gestione del comparto sanità perpetuata dal presidente della regione, via via affiancato da sub commissari, ma mai rimosso dall'incarico, nonostante l'inopportunità della sua permanenza in carica, la condanna inflitta dalla magistratura, i numerosi problemi giudiziari e, ora, il difetto di legittimità recato dall'annullamento delle elezioni che lo hanno proclamato presidente della regione;
          in assenza di un'immediata «reazione», ad avviso dell'interrogante, questa vacatio politica rischia di assumere profili oltremodo critici e di comportare conseguenze assai negative per i cittadini, per le imprese, per la regione tutta, a fronte, soprattutto, delle notizie che giungono in ordine all'abbondante emanazione di provvedimenti e delibere da parte del presidente della regione;
          ad avviso dell'interrogante, la questione è aggravata anche dalla permanenza in carica della persona di Michele Iorio, in questo momento di fatto illegittimamente presidente della regione nonché dalla permanenza nelle funzioni di commissario straordinario per la sanità, benché colpito nel febbraio 2012 da una condanna e indagato in altri otto procedimenti;
          ad avviso dell'interrogante, stante la consolidata giurisprudenza ed i principi dell'ordinamento, ben si sarebbe potuto procedere all'indizione delle elezioni regionali successivamente alla sentenza esecutiva del tribunale amministrativo regionale del Molise; sostenute dalle ragioni giuridiche, altrettanto valide ragioni istituzionali, politiche, programmatiche, etiche avrebbero dovuto imporre la chiusura al più presto di questa esperienza governativa, ora chiusa effettivamente dalla pronuncia del Consiglio di Stato, alla quale, sola, il Ministro interrogato, ha rimesso le sue decisioni –:
          se e quando si intenda dare esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato n.  5504 del 29 ottobre 2012 e, conseguentemente, avviare le procedure necessarie all'indizione delle elezioni regionali nel Molise. (3-02587)


      ANNA TERESA FORMISANO, TASSONE, CICCANTI, COMPAGNON, RAO, NARO e VOLONTÈ. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in base ai dati statistici del mese di maggio 2012 pubblicati dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, i beni mobili, immobili e aziendali confiscati alla criminalità organizzata nella regione Lazio sono 582, di cui ben 453 nella provincia di Roma, 70 nella provincia di Latina, 53 in quella di Frosinone e 6 in quella di Viterbo;
          ai sensi dell'articolo 48, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159, i beni immobili possono essere mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile o utilizzati dall'Agenzia per finalità economiche oppure possono essere trasferiti per finalità istituzionali o sociali, in via prioritaria, al patrimonio del comune ove l'immobile è sito ovvero al patrimonio della provincia o della regione;
          gli enti territoriali, che provvedono a formare un apposito elenco dei beni confiscati ad essi trasferiti, anche consorziandosi o attraverso associazioni, possono amministrare direttamente il bene o, sulla base di apposita convenzione, assegnarlo in concessione, a titolo gratuito e nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità e parità di trattamento, a comunità, anche giovanili, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato, a cooperative sociali o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti, nonché alle associazioni di protezione ambientale;
          i beni non assegnati possono essere utilizzati dagli enti territoriali per finalità di lucro e i relativi proventi devono essere reimpiegati esclusivamente per finalità sociali;
          se entro un anno l'ente territoriale non ha provveduto alla destinazione del bene, l'Agenzia dispone la revoca del trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostitutivi;
          sempre secondo i dati statistici, su un totale di 463 immobili confiscati nella regione Lazio, 139 sono in gestione presso l'Agenzia, 255 destinati e consegnati e 32 destinati ma non consegnati; di questi, mentre nella provincia di Roma, su un totale di 345 immobili, 97 sono in gestione, 188 destinati e consegnati e 24 destinati ma non consegnati, nella provincia di Frosinone, su un totale di 50 immobili, 36 sono in gestione e 13 destinati e consegnati –:
          se l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata intenda mantenere in gestione i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata nella provincia di Frosinone oppure trasferirli al più presto al patrimonio dei comuni ove è sito l'immobile, al fine di consentire agli enti territoriali di affidarli in concessione anche ad organizzazioni di volontariato e a cooperative sociali. (3-02588)

Interrogazione a risposta scritta:


      DI PIETRO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 23, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.  616, ricomprende tra le funzioni amministrative relative alla materia «beneficenza pubblica» le attività relative:
              a) all'assistenza economica in favore delle famiglie bisognose dei defunti e delle vittime del delitto;
              b) all'assistenza post-penitenziaria;
              c) agli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza amministrativa e civile;
              d) agli interventi di protezione speciale di cui agli articoli 8 e seguenti della legge 20 febbraio 1958, n.  75;
          l'articolo 25 del suddetto decreto del Presidente della Repubblica attribuisce ai comuni «tutte le funzioni amministrative relative all'organizzazione ed alla erogazione dei servizi di assistenza e di beneficenza»;
          in ordine all'esercizio delle attività di cui alle suddette lettere a), b), c) e d) moltissimi comuni sono in sofferenza finanziaria, ove non in condizioni di grave squilibrio economico, anche a causa del susseguirsi dei tagli ai trasferimenti erariali e dell'incremento del contributo del comparto alle manovre di finanza pubblica;
          in particolare, i comuni con popolazione al di sotto dei 3.000 abitanti ricevono fondi risibili, appena sufficienti a mantenere l'illuminazione elettrica  –:
          se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, onde evitare che le fasce più deboli e in condizioni di bisogno siano penalizzate o private dei diritti alla tutela e alla solidarietà economica nonché all'assistenza sociale garantiti dalla Costituzione e da essa affidati alla Repubblica;
          se e come il Governo intenda rispondere, per quanto di competenza, alle esigenze dei comuni molto piccoli. (4-18391)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nel 2010 la federazione degli atenei del Sud Italia ha elaborato un progetto di alleanza strategica per migliorare le performance e razionalizzare le spese accademiche dei territori interessati, anticipando di un anno quanto previsto in materia dalla legge Gelmini;
          l'articolo 3 della legge n.  240 del 30 dicembre 2010, rubricato Federazione e fusione di atenei e razionalizzazione dell'offerta formativa, ha infatti disposto che «Al fine di migliorare la qualità, l'efficienza e l'efficacia dell'attività didattica, di ricerca e gestionale, di razionalizzare la distribuzione delle sedi universitarie e di ottimizzare l'utilizzazione delle strutture e delle risorse, nell'ambito dei principi ispiratori della presente riforma [...], due o più università possono federarsi, anche limitatamente ad alcuni settori di attività o strutture, ovvero fondersi»;
          tuttavia, secondo quanto riportato dalla stampa, «il progetto dell'alleanza strategica tra le Università di Puglia, Basilicata e Molise non piace al Ministro dell'Istruzione» (La Gazzetta del Mezzogiorno del 14 ottobre 2012);
          in particolare, il rettore del Politecnico di Bari, Nicola Costantino ha dichiarato che «il problema è che Profumo interpreta la Gelmini in maniera restrittiva perché alla federazione preferirebbe la fusione, che implicherebbe la perdita di autonomia di ogni ateneo partecipante, con bilanci c organi decisionali in comune» (La Gazzetta del Mezzogiorno del 14 ottobre 2012);
          in proposito il rettore dell'Università di Foggia, Giuliano Volpe, ha espresso amarezza perché a suo avviso, il Ministro non avrebbe «colto l'obiettivo di un'idea che veniva dal Sud, senza pretendere aiuti, ma proponendo soluzioni» (La Gazzetta del Mezzogiorno del 14 ottobre 2012);
          inoltre l'interpretazione del Ministro porterà probabilmente a direzionare i fondi previsti per i progetti di federazione degli atenei, nonché la quota premiale del Fondo di finanziamento ordinario (FFO), non alle realtà che hanno veramente bisogno di risollevarsi, ma ad aree già sviluppate, penalizzando in sostanza il sistema di alta formazione del Sud a vantaggio di quello del Nord  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero ed, in caso affermativo, quali siano le ragioni dell'interpretazione restrittiva data all'articolo 3, comma 1, della legge n.  240 del 30 dicembre 2010.
(5-08382)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PEDOTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 23 aprile 2008, il Presidente del Consiglio pro tempore Romano Prodi firmò un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, concernente l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Tuttavia tale decreto fu revocato in seguito a un rilievo mosso dalla Corte dei conti: i nuovi livelli essenziali d'assistenza sarebbero costati circa 800 milioni di euro, su cui mancava la copertura economica;
          per questo motivo la definizione dei livelli essenziali d'assistenza è ferma all'ormai lontano 2001 e necessita, dunque, di un aggiornamento non solo funzionale, ma anche rispetto ai nuovi ed emergenti bisogni di salute della società italiana;
          l'attuale Governo ha dichiarato più volte l'intenzione e l'impegno per un aggiornamento dei livelli essenziali d'assistenza;
          nella nuova definizione dei livelli essenziali di assistenza andrebbe previsto l'inserimento dell'erogazione dei prodotti alimentari aproteici destinati ai pazienti affetti da insufficienza renale in terapia conservativa. Tali prodotti sono già inseriti nel citato decreto del 2008 per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (articolo 14, comma 5). L'alimentazione aproteica costituisce elemento indispensabile per la dieta dei malati di reni, e permette di ritardare l'ingresso in dialisi, incidendo in maniera positiva sulla qualità di vita dei pazienti stessi;
          garantire a chi è affetto da grave patologia renale un mese di alimentazione aproteica costa alla sanità pubblica 120 euro, a fronte dei 2.500 euro di un mese di trattamento in dialisi;
          attualmente, i livelli essenziali di assistenza non prevedono l'erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale di tali prodotti, ma negli anni quasi tutte le regioni, per venire incontro alle esigenze dei malati di reni hanno adottato provvedimenti per l'erogazione gratuita, che hanno risolto totalmente o in parte il problema  –:
          quale sia, allo stato attuale, l’iter ancora necessario affinché nel minor tempo possibile possano essere ridefiniti i nuovi livelli essenziali di assistenza, anche alla luce del decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158, e, se sia previsto l'inserimento dei prodotti alimentari aproteici necessari ai pazienti con insufficienza renale. (5-08379)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GARAGNANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento al tema della gestione imparziale del servizio sanitario nazionale che l'interrogante ha già sottoposto all'attenzione del Ministro;
          a parere dell'interrogante l'opinione pubblica ha diritto di conoscere le eventuali commistioni fra sanità (che assorbe l'80 per cento dei bilanci regionali) e politica con i relativi danni alla collettività, scaturenti da selezioni non sempre rispondenti al criterio della professionalità del medico  –:
          quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, con il coinvolgimento delle regioni, per promuovere un monitoraggio nell'intero territorio nazionale del livello di commissione tra politica e sanità. (4-18396)


      BARBATO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          «OKkio alla salute» è un sistema di monitoraggio finalizzato alla raccolta di informazioni sulle abitudini alimentari e l'attività fisica nei bambini di 6-10 anni, ed è parte del progetto «Sistema di indagini sui rischi comportamentali in età 6-17 anni»; esso prevede una periodicità di raccolta dati biennale e permette di descrivere la variabilità geografica e l'evoluzione nel tempo della stato ponderale, degli stili alimentari, dell'abitudine all'esercizio fisico dei bambini (6-10 anni) e delle attività scolastiche favorenti la sana nutrizione e l'attività fisica;
          l'iniziativa fa parte del progetto dell'Organizzazione mondiale della sanità regione europea «Childhood Obesity Surveillance Initiative»;
          il sistema di sorveglianza in età infantile OKkio alla salute del Ministero della salute ha evidenziato una marcata variabilità geografica con percentuali di sovrappeso-obesità tendenzialmente più basse nelle regioni del Nord e decisamente più alte al Sud: dal 18 per cento di sovrappeso in Valle d'Aosta al 28 per cento in Campania; dal 5 per cento di obesità in Friuli al 21 per cento in Campania;
          le regioni più colpite sono Campania, Molise, Calabria, Sicilia e Basilicata;
          si conferma la relazione inversa tra livello di istruzione della madre e eccesso ponderale nel bambino: dal 39 per cento tra le donne con basso titolo di studio, al 35 per cento tra quelle con diploma di scuola superiore, fino al 30 per cento tra le laureate;
          un bambino obeso è un potenziale obeso da adulto;
          in termini di sanità pubblica, tale situazione comporta nel tempo assistenza sanitaria per le conseguenze dirette dell'eccesso di peso sulla salute fisica, psicologica e sociale dei bambini nonché un fattore di rischio per l'insorgenza di gravi patologie in età adulta;
          l'obesità quando già presente in età infantile espone a difficoltà respiratorie, problemi articolari, mobilità ridotta, disturbi dell'apparato digerente, rischi di natura cardiovascolare (ipertensione, malattie coronariche, tendenza all'infarto) e condizioni di alterato metabolismo, come il diabete di tipo 2 o valori elevati di colesterolo nel sangue (ipercolesterolemia);
          diversi organi di informazione nel mese di ottobre 2012 hanno riferito che la Campania si conferma la regione «più grassa» d'Italia con 700 mila obesi e quasi tre milioni di persone con un peso eccessivo di cui il 36 per cento bambini  –:
          quali iniziative intendano assumere i Ministri in riferimento alle indagini esposte e se non ritengano di definire un piano di educazioni alimentare nelle scuole di ogni ordine e grado, ma in special modo in quelle materne-elementari e medie, per informare e formare i piccoli ad una sana e consapevole alimentazione. (4-18399)


      BARBATO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          indagini condotte dalla procura antimafia di Napoli hanno fatto emergere l'esistenza di un «cartello» di aziende del settore smaltimento rifiuti che tra gli anni ’90 e sino ai primi anni del 2000 si erano imposte sul mercato proprio grazie alle modalità illecite di smaltimento in grado di garantire l'abbattimento dei costi di esercizio e quindi, di praticare prezzi decisamente concorrenziali rispetto a quelli praticati da imprenditori che agivano nel rispetto della legge;
          la notizia è stata data dal quotidiano Repubblica il 29 ottobre 2012;
          rifiuti tossici dovevano essere trattati nell'impianto di compostaggio gestito dalla società RFG, intestata al figlio di Elio Roma e finivano invece direttamente nei terreni agricoli del casertano, individuati grazie ad alcune collaborazioni;
          «I contadini – si legge nell'articolo – alcuni compiacenti, ricevevano in cambio del denaro. Ad altri invece, ignari di quanto stava realmente accadendo, veniva riferito che si trattava di concimi e fertilizzanti. Sia su quello sequestrato che in quelli circostanti, gli accertamenti disposti dalla Procura Antimafia di Napoli nel corso delle indagini hanno evidenziato preoccupanti livelli di contaminazione da arsenico, cadmio, idrocarburi pesanti, stagno ed altre sostanze altamente nocive»;
          i fatti esposti, a parere dell'interrogante, sono gravi e tali da richiedere un immediato intervento dei Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, affinché siano adottate iniziative urgenti a tutela della salute umana, anche mediante l'inasprimento delle pene per i reati di disastro ambientale e colposo laddove è in gioco la salute di grandi e bambini in spregio a qualsiasi legge etica  –:
          quali iniziative intendano assumere, se non intendano promuovere, per quanto di competenza, un monitoraggio immediato su gran parte dei terreni del casertano e sui concimi sul mercato nonché quali misure preventive si intendano adottare per scongiurare che sostanze tossiche proliferino nei terreni sottoposti a coltivazione. (4-18403)


      BARBATO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          a Gela (Caltanissetta) si registrano da alcuni anni frequenti casi di malformazioni nei neonati;
          in data 3 novembre 2012 Repubblica edizione Palermo a firma di Lorenzo Tondo riferisce di: «Bimbi con sei dita alle mani o ai piedi. Alcuni nati senza un orecchio, altri senza il palato. Idrocefali con teche craniche di dimensioni abnormi. I numeri dicono che a Gela le malformazioni sono sei volte superiori alla media. Numeri in costante aumento, finiti sul tavolo della Procura che ha aperto una nuova inchiesta per far luce sulle responsabilità. Sul banco degli imputati i veleni della raffineria. Sogno di Enrico Mattei trasformatosi presto in incubo quando i figli di Gela cominciarono a cadere sotto la scure degli agenti chimici che dal 1965 inquinano la città. Sono una trentina i casi al vaglio di un pool di periti. Trenta bambini con gravi malformazioni causate dalla contaminazione ambientale. Le loro famiglie, ora, chiedono giustizia» ed ancora: «Si chiamano endocrine disruptors, distruttori endocrini. Sostanze artificiali prodotte da inquinanti come quelli emessi dalle raffinerie, in grado di intaccare i recettori ormonali, causando tumori, difetti alla nascita, disturbi dello sviluppo. Le falde di Gela ne sono imbottite. Nel 2003, il geologo Giuseppe Risotti e il chimico Luigi Turrito, incaricati allora dal sostituto procuratore Serafina Cannata, consegnarono una relazione secondo cui nella falda sottostante lo stabilimento giacevano 44 mila tonnellate di gasolio proveniente dalle perdite dei serbatoi. In quello stesso anno a Gela, uno studio realizzato dal genetista Sebastiano Bianca, uno dei massimi esperti nel campo, e dall'epidemiologo del Cnr Fabrizio Bianchi, riscontrò in città un'incidenza del 4 per cento di malformazioni sui neonati e più di 520 bambini affetti da patologie genetiche. Ipospadie all'apparato genitale, deformazioni cardiovascolari, malformazioni agli arti e all'apparato digerente. “La situazione è preoccupante – afferma il dottor Bianca che lavora al caso come consulente tecnico per conto della Procura – qui, da 15 anni, le malformazioni genetiche sono costanti e di gran lunga superiori alle media”. “Abbiamo raccolto dati e testimonianze – dice il procuratore capo di Gela Lucia Lotti – ed è la prima volta che un pm interviene in una causa civile contro le società del sito industriale. Quello delle malformazioni è forse l'aspetto più eclatante dell'indagine. Ma è solo un pezzetto dell'inchiesta. Andremo avanti per togliere una dopo l'altra le ombre, anche storiche, che hanno per troppo tempo offuscato la salute dei cittadini”»;
          nell'articolo, si citano anche i casi di Milazzo ed Augusta (sempre in Sicilia), il primo, interessato da un polo industriale dove i casi di malformazione denunciati da medici e famiglie sono in forte aumento, mentre nel secondo caso, uno dei più imponenti poli petrolchimici italiani, nel 2000 il 5 per cento dei bambini è nato con malformazioni. Dopo un'indagine sulla vicenda, sei anni più tardi la Syndial, società del gruppo Eni, sborsò circa 11 milioni di euro per i cento casi di bambini malformati  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti, di quali dati dispongano e se intendano monitorare i territori segnalati mediante uno screening dei nati dal 1965 ad oggi coinvolgendo medici generici locali, asl e ospedali; in particolare, se intendano munirsi di dati sulla contaminazione e sulle conseguenze per la salute umana e la sicurezza alimentare in termini di coltivazioni agricole ed allevamenti. (4-18404)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          quanti stipulano un contratto di abbonamento per i servizi di telefonia cellulare e non usano schede ricaricabili attualmente pagano in bolletta una tassa di concessione governativa, il cui importo mensile, fissato dalla legge, è pari a 5,16 euro per le utenze residenziali e a 12,90 euro per le utenze affari;
          l'articolo 21, tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n.  641, indica come soggetti a tassa la «licenza o documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione», con richiamo all'articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica n.  156 del 1973, e all'articolo 3 del decreto-legge n.  151 del 1991, come modificato dalla legge di conversione n.  202 del 1991;
          l'articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica n.  156 del 1973, disciplinando la licenza di esercizio, prevedeva che «presso ogni stazione radioelettrica di cui sia stato concesso l'esercizio deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata dall'amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni. Per le stazioni riceventi il servizio di radiodiffusione il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza»;
          l'articolo 3 del decreto-legge n.  151 del 1991, come modificato dalla legge di conversione n.  202 del 1991, ha esteso la tassa sulle concessioni governative ai servizi radiomobili di comunicazione, aggiungendo alla tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica n.  641 del 1972 la voce n.  131 (apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione), poi confluita nell'articolo 21 anzidetto;
          a completamento di tale corpo normativo, è stato poi emanato il decreto del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni n.  33 del 1990, «Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione», in cui si prevede che, per usufruire del servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione, tramite i telefoni cellulari (definiti apparecchiature terminali), sia necessario far richiesta di abbonamento alle società di telefonia che offrono tale servizio a seguito di regolare autorizzazione generale; a fronte della richiesta, le società rilasciano all'utente il documento attestante la sua condizione di abbonato al servizio; tale documento «sostituisce a tutti gli effetti la licenza di stazione radio»;
          successivamente è intervenuto il codice delle comunicazioni (decreto legislativo n.  259 del 2003), che ha abrogato l'articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica n.  156 del 1973 ma ha lasciato formalmente in vita l'articolo 21 della tariffa;
          a causa dell'intervento abrogativo del codice, sul permanere della debenza della tassa sui contratti di abbonamento per la fornitura dei servizi di telefonia mobile si sono formati due diversi e contrastanti filoni giurisprudenziali: alcune commissioni tributarie ne hanno confermato la debenza (cfr. commissione regionale di Venezia-Mestre n.  76/6/71 del 17 maggio 2011); altre commissioni (cfr. commissione provinciale di Chieti n.  139 del 4 maggio 2012) l'hanno invece esclusa;
          dal canto suo, l'Agenzia delle entrate – anche tramite la risoluzione n.  9/E del 18 gennaio 2012 – ha continuato a sostenere l'applicabilità della tassa in questione a carico di tutti gli utenti (fatti salvi i soggetti esenti individuati dall'articolo 13-bis del decreto del Presidente della Repubblica n.  641 del 1972), comprese le amministrazioni pubbliche non statali, in quanto ha ribadito la vigenza del presupposto normativo per il suo pagamento, che non sarebbe stato intaccato dall'entrata in vigore del codice delle comunicazioni;
          da ultimo si è peraltro pronunciata anche la Corte di Cassazione che, nelle motivazioni della sentenza n.  8825 del 1o giugno 2012 (peraltro già recepita dalla commissione provinciale di Foggia, nella sentenza n.  111/07/2012), ha riconosciuto che la voce tariffaria si riferisce formalmente – secondo la previsione dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  641 – al rilascio della «licenza o documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione»; tale provvedimento, ha sottolineato la Suprema Corte, è venuto meno a causa della disciplina abrogativa del codice delle comunicazioni, che ha innovato profondamente il settore «con la conseguenza che la tassa in questione non si correla ormai più al presupposto del rilascio a favore dell'abbonato del provvedimento amministrativo di licenza da parte dell'Amministrazione», limitandosi l'abbonato a concludere un contratto di diritto privato con il gestore della rete/fornitore del servizio;
          tale tassa, introdotta inizialmente quando il cellulare era considerato un bene di lusso, adesso colpisce un bene divenuto di massa e penalizza soprattutto i percettori di redditi medio-bassi ed i piccoli lavoratori autonomi;
          a seguito delle decisioni anzidette e dell'interpretazione contrastante dell'Agenzia delle entrate, si è venuta a creare un'assoluta situazione di incertezza del diritto, col rischio che – permanendo la richiesta di tale tassa – aumenti il contenzioso avanti la magistratura per ottenere da parte dei singoli abbonati alla telefonia mobile una dichiarazione di non debenza del tributo nonché, nei casi di avvenuto pagamento, per la restituzione di quanto corrisposto;
          continuare ad imporre tale tassa a carico dell'utenza di telefonia mobile tramite abbonamento (le carte telefoniche prepagate non sono gravate da tale tributo) permetterebbe – se non si affermasse definitivamente ed in tutte le sedi competenti la tesi abrogativa – di sollevare una questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento fiscale a carico di soggetti privati che versano nella medesima condizione e si differenziano solo in base alla modalità di pagamento del servizio;
          l'Esecutivo Prodi, nel 2007, si era comunque impegnato ad eliminare la tassa in oggetto e a dare così attuazione ad un atto di indirizzo del Parlamento successivo all'eliminazione da parte del decreto cosiddetto Bersani del contributo di ricarica per le utenze ricaricabili (seduta Camera dei deputati, 22 marzo 2007)  –:
          se non si ritenga di assumere iniziative urgenti, anche di carattere normativo, affinché una tassa di cui è stato abrogato il presupposto normativo non continui ad essere imposta nei confronti dei titolari dei contratti di abbonamento di telefonia mobile e ad alimentare così un contenzioso, in primo luogo tributario, destinato altrimenti e inevitabilmente a crescere.
(2-01727) «Raisi, Della Vedova».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          la fabbrica Alcoa dal 3 novembre 2012 è definitivamente chiusa;
          non esiste alcun provvedimento concreto del Governo teso a risolvere la questione energetica;
          non esiste nessun piano del Governo per consentire un costo energetico in linea con la media europea per un periodo industrialmente minimo di dieci anni;
          non esiste la copertura degli ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori impegnati nel ciclo produttivo Alcoa;
          lo stabilimento Eurallumina è definitivamente chiuso e non si intravede una concreta possibilità di riapertura;
          la realizzazione della nuova centrale per la produzione energetica della società E.On prevista dalle autorizzazioni rilasciate dai vari Ministeri responsabili è stata definitivamente bloccata con grave rischio sia per il bilancio elettrico sardo che per i livelli occupazionali del nord Sardegna già duramente provati;
          risulta ancora indefinita la richiesta rimodulazione del progetto integrato carbosulcis – miniera – centrale – cattura e stoccaggio CO2;
          il cosiddetto «piano Sulcis» non ha nessuna concreta incidenza sulle questioni prioritarie per la tutela e la salvaguardia dei livelli produttivi e occupazionali di quel territorio;
          nessuna concreta deliberazione è intervenuta sul piano Sulcis; il richiamo meramente programmatico previsto in una delibera del Cipe del 3 agosto 2012 non ha alcuna conferma in successivi atti e l'assenza di un concreto percorso progettuale e finanziario rende del tutto aleatorio anche questo piano;
          nella delibera del Cipe è chiara l'assenza di concreta attuazione del piano Sulcis considerato che nell'atto è scritto: «1.2. Per quanto concerne il Piano per il Sulcis, l'assegnazione di 127,7 milioni di euro riveste carattere programmatico, tenuto conto che la complessità e la trasversalità dello stesso Piano comportano, ai fini della definitiva assegnazione delle risorse, l'esigenza di una valutazione condivisa, da parte del Ministero dello sviluppo economico e del Ministro per la coesione territoriale, degli interventi individuati dalla Regione Sardegna. Il Ministro per la coesione territoriale renderà informativa a questo Comitato in ordine agli interventi che saranno definitivamente individuati per il relativo finanziamento»;
          la delibera meramente programmatica è stata trasmessa alla registrazione della Corte dei conti solo il 22 ottobre 2012 con quasi tre mesi di ritardo;
          i Ministri dello sviluppo economico e della coesione territoriale hanno programmato per il 13 novembre 2012 una visita in Sardegna di cui non è ben chiaro l'obiettivo e soprattutto la concreta utilità;
          la visita del 13 novembre in Sardegna appare agli interpellanti dilatoria e inutile alla luce delle decine di incontri interistituzionali ai quali non ha mai fatto seguito alcuna risposta concreta; sarebbe più utile dedicare tale tempo a concretizzare atti e provvedimenti piuttosto che continuare in aleatorie promesse che esasperano gli animi dei lavoratori  –:
          se non ritengano di dover rivedere, alla luce della fallimentare gestione della vertenza Alcoa, la strategia del Governo che anziché puntare a quella che agli interpellanti appare un'aleatoria, inconcludente e volutamente dilatoria ricerca di nuovi soggetti acquirenti si sarebbe dovuta concentrare all'individuazione di soluzioni tese a garantire, per un periodo industrialmente minimo di dieci anni, la fornitura elettrica alle industrie energivore in linea con le medie dei costi europei di energia elettrica;
          se non ritengano di dover, prima di promuovere ulteriori, dilatori e inconcludenti incontri compreso quello del 13 novembre 2012, attivare le necessarie intese al fine di consentire la predisposizione di un accordo bilaterale decennale tra i fornitori di energia elettrica e lo stabilimento Alcoa, al fine di sottoporre concretamente tale contratto ai possibili acquirenti dello stabilimento;
          se non ritengano di dover intervenire, d'intesa con la regione Sardegna, con urgenza per la definizione degli ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori diretti e indiretti espulsi da ciclo produttivo di Alcoa;
          se non si ritenga di dover assumere iniziative concrete alla realizzazione di quelle infrastrutture di servizio indispensabili per fornire allo stabilimento Eurallumina, attraverso un apposito vapordotto, l'energia necessaria per l'abbattimento dei costi energetici di quell'impianto;
          se non ritengano di dover assumere iniziative per la revoca delle autorizzazioni alla società E.On per la realizzazione della nuova centrale a Porto Torres e l'individuazione di un soggetto affidabile interessato alla realizzazione del piano energetico già approvato per il nord Sardegna, anche al fine del mantenimento dei livelli occupazionali dell'intero territorio;
          se non ritengano di dover definire, senza ulteriori perdite di tempo, l'approvazione del piano integrato miniera centrale, cattura e stoccaggio CO2 della Carbosulcis, in piena attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994, mettendo fine a quelli che agli interpellanti appaiono tentativi subdoli e gravi di ridimensionamento del progetto tesi solo ad avvantaggiare altri competitor e altre energie alternative già abbondantemente sovvenzionate;
          se non si ritenga di dover assumere iniziative per rendere concreto, con apposito stanziamento statale, il cosiddetto piano Sulcis, sia per dargli consistenza economica e strategica, oggi ne è totalmente privo, sia per garantire un riequilibrio infrastrutturale statale indispensabile per la creazione delle precondizione di rilancio dell'attività produttiva in quell'area;
          se non ritengano di dover tradurre con urgenza la deliberazione del 3 agosto 2012 in un atto non meramente programmatorio ma concreto e realizzabile con la definizione di tempi di realizzazione e l'indispensabile valutazione ex ante sia della ricaduta economica che occupazionale;
          se non ritengano necessario evitare di far leva su un improbabile «piano Sulcis», indefinito e senza strategia concreta, per affermare l'insostenibile ricerca di alternative a fronte di migliaia di posti di lavoro che rischiano di essere cancellati per sempre;      
          se non ritengano di dover confermare l'incontro del 13 novembre 2012 solo a condizione di disporre dell'unica risposta seria e concreta necessaria come un contratto bilaterale decennale con i produttori di energia elettrica tale da poter concretizzare una vera azione di cessione degli impianti Alcoa e la conseguente ripresa produttiva dell'intero comparto industriale del Sulcis, dalla Carbosulcis all'Eurallumina.
(2-01729) «Pili, Romani, Murgia, Nizzi, Porcu, Vella, Crolla, Speciale, Vincenzo Antonio Fontana, Frassinetti, Abelli, Pelino, Barani, De Luca, Bocciardo, Ceroni, Cassinelli, Di Cagno Abbrescia, Cosenza, Malgieri, Gibiino, Ciccioli, Formichella, Simeoni, Savino, Centemero, Armosino, Toccafondi, Baccini, Marinello, Iannarilli, Nola, Girlanda, Marsilio, Biancofiore, De Nichilo Rizzoli, Ravetto, Aracri, Giro, Sammarco, De Angelis, Rampelli, Scalera, Ghiglia, Lainati, Minardo, Pizzolante, Germanà, Berardi, Aracu, Osvaldo Napoli, Milanato, Tommaso Foti, Pianetta, Lisi, Mazzuca».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GARAGNANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso:
          si fa riferimento al rapporto fra sistema cooperativo non finalizzato ad attività sociali ed enti locali e alle vicende che riguardano, in primis l'Emilia Romagna ma anche la Lombardia e che a giudizio dell'interrogante denotano una interferenza politica ed a volte privilegi inammissibili per le cooperative, le quali beneficiano anche di previsioni normative che, previste per situazioni economiche e sociali completamente diverse, non sono più adeguate all'attuale realtà, che configura un quadro completamente differente, nel quale queste «aziende» vere e proprie, a parere dell'interrogante, difficilmente riescono a giustificare il loro ruolo mutualistico;
          si prescinde da ogni considerazione sulla situazione anomala descritta in premessa dell'Emilia Romagna presente con aspetti diversi anche in altre regioni  –:
          se il Governo non ritenga opportuno promuovere una modifica dell'attuale normativa prevista per gli enti cooperativi che sia al passo con i tempi e soprattutto eviti, anche in presenza di situazioni d'emergenza come quelle del terremoto in Emilia Romagna, benefìci o concessioni arbitrarie in determinati lavori e che in ogni caso definisca meglio le incompatibilità fra amministratori locali, dirigenti politici e ruoli dirigenziali delle suddette imprese, il tutto anche per favorire un legittimo pluralismo economico. (5-08380)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          le terme di Stabia a Castellammare di Stabia (Napoli) sono note in tutto il mondo per le particolari proprietà delle acque termali: acque solforose, acque bicarbonato calciche, acque medio minerali;
          nel 1836 furono inaugurate assumendo un ruolo importante per tutta la città e la penisola;
          nel 1956 iniziò la demolizione del vecchio complesso;
          nel 1964 furono inaugurate le Nuove Terme;
          oggi le Antiche Terme sono aperte solo poche ore al giorno per permettere la raccolta dei vari tipi di acqua, che scaturiscono spontaneamente da 28 sorgenti naturali dalle pendici del Monte Faito. Note per la loro varia composizione chimica (cloruro-sodiche sulfuree – isotoniche, ipotoniche o ipertoniche – ferruginoso-carboniche e bicarbonato-calciche) sono per questo adatte alla cura di moltissime patologie;
          le terme di Castellammare di Stabia, detta «città delle acque», si estendono su una superficie di oltre 100 mila metri quadrati ed ospitano due stabilimenti che vantano la presenza di un centro per la sordità rinogena, di un centro di pneumologia e di un centro di fisioterapia in grado di curare molte patologie respiratorie, bronchiali e riabilitative;
          circa 200 lavoratori non hanno più un futuro assicurato;
          in data 3 novembre 2012 si apprende da fonti stampa che: «I dipendenti sono in rivolta (...) i dipendenti hanno ricevuto l'ultimo stipendio ad agosto, e la situazione va peggiorando: sono arrivate negli ultimi giorni delle ingiunzioni di pagamento, 30mila euro per l'energia elettrica e 20mila euro richiesti invece da Equitalia. Fino al giorno della discussione al consiglio sul futuro delle Terme e dei suoi dipendenti, le prestazioni non potranno essere fornite. I dipendenti sperano che lo sciopero ad oltranza possa sensibilizzare le istituzioni a trovare una soluzione». (http://noi.napoli.it/17032-terme-di-stabia-dipendenti-senza-stipendio-in-rivolta.html);
          altre fonti stampa riferiscono che l'unica soluzione paventata sarebbe il «fallimento»;
          in data 3 novembre 2012 un articolo apparso su Metropolis quotidiano informa: «6.531.533 milioni di euro la cifra aggiornata al mese di agosto necessaria per ricapitalizzare il patrimonio netto di una società che, per stessa ammissione dell'organo amministrativo, si ritrova ad avere eroso il capitale al di sotto del limite minimo legale. Ed è questo il punto: per salvare Terme di Stabia servono solo soldi, liquidi e subito e non strumenti di finanza creativa...la speranza è di trovare un privato che riscatti l'azienda»  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti, quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per la difesa di questi posti di lavoro in un'area tristemente nota negli anni per fatti di camorra, considerato che lo Stato deve restare accanto ai cittadini onesti assicurando sostentamento ed occupazione, e se non intendano approfondire la vicenda per fare chiarezza sulle vie intraprese. (4-18392)


      GIOVANELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          in data 13 febbraio 2012, è stata avviata presso il Ministero dello sviluppo economico (MISE) la pubblicità per il conferimento di 2 incarichi di consulenza studio e ricerca di livello dirigenziale generale i cui profili vengono specificati in un apposito allegato, da destinare al Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, gerarchicamente dipendente dal Ministro Passera, ma funzionalmente alle dipendenze del Ministro Barca;
          ha suscitato critiche da parte delle Organizzazioni sindacali nazionali della dirigenza la formulazione dei profili professionali richiesti in quanto ricalcano due differenti impostazioni. Infatti al profilo indicato al n.  1, che specifica, in modo ampio, la materia dell'incarico quasi coincidente con le competenze di una Direzione generale – si tratta della Direzione generale per la politica regionale unitaria comunitaria (DGPRUC) le cui competenze sono indicate nell'articolo 15, comma 1 lettera b) e d) del decreto del Presidente della Repubblica n.  197 del 2008, si contrappone il profilo di cui al n.  2 che elenca in modo delineato e circoscritto l'oggetto dell'incarico come se riferito ad attività ovvero ad un progetto in fase di espletamento;
          le organizzazioni sindacali nazionali della dirigenza del Ministero dello sviluppo economico, infatti, in una nota di protesta indirizzata al Ministro Passera hanno dato conto che tali diverse impostazioni «potrebbero dar credito ad alcune indiscrezioni secondo cui esiste l'esigenza di dare risposta alle differenti istanze politiche che governano il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, dopo la nomina del nuovo Direttore Generale DGPRUC di provenienza ex Ministero delle attività produttive», pertanto non proveniente dalla struttura tecnica che per lunghi anni è stata diretta dall'attuale Ministro Fabrizio Barca;
          le stesse organizzazioni sindacali nazionali inoltre, hanno denunciato che «in un momento di particolare difficoltà, la scelta di attribuire due nuovi incarichi di studio e consulenza di livello dirigenziale generale presso il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, creandovi una concentrazione del 50 per cento di tali posti (cioè 3 su 6), si presta a notevoli critiche. Infatti presso il medesimo Dipartimento operano già, con compiti di studio e consulenza, i circa 60 esperti componenti dell'UVAL e dell'UVER nonché 5 consulenti per le funzioni connesse al PON-POR 2007-2013»;
          alle organizzazioni sindacali nazionali risulta che le due procedure sono state portate a termine: la prima con la nomina di un dirigente di IIo fascia, la seconda con la nomina di un funzionario del Ministero per i beni e le attività culturali (in posizione di fuori ruolo) attualmente in servizio presso il Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 19, comma 4 e 6 del decreto legislativo n.  165 del 2001, come ha scritto il Ministro dello sviluppo economico nella proposta di nomina inviata alla Presidenza del Consiglio;
          tale ultimo conferimento di incarico di livello dirigenziale generale ad un non appartenente ai ruoli dirigenziali, addirittura di altra amministrazione, ha suscitato particolare sconcerto laddove nel Ministero dello sviluppo economico sono in servizio oltre 150 dirigenti di ruolo, di cui 15 hanno presentato la loro candidatura per il conferimento dell'incarico in questione;
          la questione è stata anche oggetto di una denuncia delle organizzazioni sindacali nazionali in data 21 maggio 2012 alla Procura della Corte dei conti ed al Presidente della stessa Corte dei conti, oltre che al Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione, con riferimento anche ai criteri generali di trasparenza partecipazione previsti dalla legge n.  241 del 1990, previsti nella direttiva del Ministro dello sviluppo economico del 15 gennaio 2009, di attuazione dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, recante «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», in quanto la procedura è secondo le medesime organizzazioni sindacali stata viziata, fra l'altro, dalla assoluta mancanza di trasparenza, testimoniata dalla mancanza di informazione e motivazione ai dirigenti di ruolo che hanno risposto all'interpello;
          l'avvenuta registrazione del provvedimento di nomina del funzionario del Mi- nistero per i beni e le attività culturali da parte della Corte dei conti non sana la possibile illegittimità del conferimento di un incarico di livello dirigenziale generale ad un funzionario, oltretutto in dispregio delle professionalità di dirigenti di ruolo, visto che in passato il Ministero dello sviluppo economico, a causa di illegittimi provvedimenti, sempre registrati dalla Corte dei conti, è stato condannato a risarcire oltre un milione di euro;
          è ormai giurisprudenza consolidata (per ultimo Sentenza Cassazione 4 aprile 2012, n.  5369) che il conferimento di «incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, articolo 19, comma 1, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (articoli 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'articolo 97 Cost.; tali norme obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; se l'amministrazione non ha fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile;
          la procedura di conferimento dell'incarico di livello dirigenziale generale di studio e consulenza al funzionario del Ministro per i beni e le attività culturali, non ha, secondo l'interrogante, rispettato i principi ed i criteri generali di trasparenza e partecipazione previsti dalla legge n.  241 del 1990, richiamata nelle premesse della la direttiva del Ministro del 15 gennaio 2009, che regolamenta la procedura presso il Ministero dello sviluppo economico, non essendo stata data alcuna informazione ai dirigenti candidatisi  –:
          se, stante la dubbia legittimità delle scelte sinora assunte, intendano revocare, in autotutela, l'attribuzione dell'incarico dirigenziale generale di studio e consulenza al citato funzionario del Ministero per i beni e le attività culturali;
          in base a quali criteri sia stato accertato che nessun dirigente di ruolo del Ministero dello sviluppo economico non possedeva di requisiti previsti dall'interpello, anche in considerazione del fatto che si tratta di un incarico di studio e non di direzione di una struttura operativa;
          se e quando e in che forma, successivamente alla presunta verifica dell'assenza di professionalità interne al Ministero dello sviluppo economico, sia stato reso pubblico l'avviso in base al quale il funzionario del Ministero per i beni e le attività culturali ha presentato il proprio curriculum, e se in base a tale avviso sono stati presentati altri curricula;
          se, al contrario, il citato funzionario abbia presentato la propria candidatura contestualmente ed in competizione con i soli ad averne diritto, cioè i dirigenti del Ministero dello sviluppo economico.
(4-18408)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Livia Turco n.  5-08377, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta orale Anna Teresa Formisano n.  3-02512 del 3 ottobre 2012;
          interrogazione a risposta scritta Borghesi n.  4-18316 del 29 ottobre 2012.

ERRATA CORRIGE

      Interrogazione a risposta scritta Nastri n.  4-18385 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  713 del 5 novembre 2012. Alla pagina 36037, prima colonna, alla riga sesta deve leggersi: «Ministro per gli affari europei. — Per» e non «Ministro delle politiche europee. — Per», come stampato.