XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 20 novembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia vivono circa dieci milioni e 837 mila tra bambini e adolescenti, dei quali 1 milione e 38 mila sono di origine straniera, regolarmente iscritti all'anagrafe. Si tratta di una vasta parte della popolazione italiana le cui condizioni di vita nel corso degli ultimi anni hanno subito un drastico peggioramento per l'assenza di politiche adeguate, di interventi mirati e di risorse economiche sufficienti. Non a caso il Comitato Onu sui diritti dell'infanzia è intervenuto a più riprese per sollecitare l'Italia ad agire concretamente per migliorare la condizione dell'infanzia sul suo territorio;
              a confermare la drammaticità delle condizioni nelle quali vivono molti minori italiani, è intervenuta l'Istat che, nel rapporto annuale sulla situazione del Paese (2012), ha sottolineato che 1 milione e 876 mila minori vivono in famiglie povere e 653 mila in condizioni di assoluta povertà; è proprio in virtù di questi dati che l'Italia è tra i Paesi OCSE quello con il tasso di povertà relativa più elevato fra i bambini: il 15 per cento dei bambini italiani, infatti, vive in famiglie con redditi inferiori alla media nazionale;
              al Sud la situazione appare ancor più grave; la Sicilia conta la percentuale più elevata di persone di minore età povere – ben il 44 per cento –, seguita dalla Campania con il 32 per cento e dalla Basilicata con il 31 per cento. Nel complesso sono 1.227.000 i minori a rischio nel Sud Italia, ai quali si aggiungono 359 mila bambini che vivono in condizioni di povertà assoluta, ossia non dispongono di beni essenziali per il conseguimento di standard di vita minimamente accettabili. Secondo una recente indagine promossa da Save the Children insieme alla Fondazione con il Sud, su 100 bambini che vivono in Calabria e in Campania solo 3 hanno la possibilità di accedere all'asilo nido, mentre in tutto il Mezzogiorno la frequenza rimane in ogni caso 4 volte inferiore alla media nazionale;
              dopo l'asilo, 3 studenti su 10 non arrivano al diploma, mentre mancano servizi essenziali, come ad esempio il tempo pieno che sono disponibili in meno di 1 caso su 10 – pari all'8,6 per cento nel meridione e al 7,1 per cento nelle isole – a fronte della percentuale molto più elevata del Nord-Ovest del Paese, pari al 42,6 per cento;
              alla crisi economica che ha aggredito i risparmi delle famiglie, modificando le loro condizioni e gli stili di vita, si è sovrapposta una riduzione continua delle risorse pubbliche. Soltanto nell'ambito dell'educazione, secondo le stime dell'Ocse, nel 2008 la spesa dell'Italia si è collocata al 29 posto su 34 Paesi, si tratta del 4,8 per cento del Pil contro una media del 6,1 per cento;
              povertà, dispersione scolastica, emarginazione sociale e mancanza di un welfare e di un sistema educativo adeguato, soprattutto al Sud, rappresentano una emergenza a cui si lega pericolosamente il rischio di uno sfruttamento del lavoro minorile e l'utilizzo di giovanissimi per le vergognose pratiche della criminalità organizzata;
              per quanto riguarda i servizi destinati alla prima fase del ciclo di vita dei bambini, l'Italia appare lontanissima dagli obiettivi fissati a livello europeo, con riferimento in particolare agli asili nido. Al vertice di Barcellona del 2002, infatti, il Consiglio europeo, fermo restando l'obiettivo della piena occupazione, aveva deciso che gli Stati membri avrebbero dovuto rimuovere tutti gli ostacoli alla partecipazione femminile nel mercato del lavoro e fornire assistenza all'infanzia entro il 2010 ad almeno il 90 per cento dei bambini tra i 3 anni e l'età di scuola obbligatoria e almeno il 33 per cento dei bambini sotto i 3 anni. Oggi l'Italia si colloca tra gli ultimi posti in Europa per l'offerta di asili nido, con una copertura del 12 per cento dei bambini sotto i tre anni, a fronte del 35-40 per cento della Francia e del 55-70 per cento dei Paesi nordici. Senza contare le grandi differenze esistenti tra regione e regione: basti pensare che si passa dal 2,4 per cento degli utenti in Campania al quasi 30 per cento in Emilia Romagna. Nel complesso quasi tutte le regioni del Sud non riescono a garantire il 6 per cento dei bambini;
              le famiglie spendono circa 302 euro al mese per assicurare al proprio bambino l'asilo nido comunale, ma i prezzi variano incredibilmente a seconda del comune o della regione. Si va dalla regione mediamente più economica come la Calabria dove la spesa è pari a circa 110 euro a quella più costosa, la Lombardia, dove i costi sfiorano i 400 euro mensili;
              appare evidente che vi è una correlazione naturale tra la realtà del lavoro femminile e le politiche dell'infanzia: il 25 per cento delle donne occupate è costretta ad uscire dal mercato del lavoro con la nascita del primo figlio. In questo quadro, adeguate politiche di sostegno all'infanzia rappresentano uno strumento anche per assicurare alle madri la giusta conciliazione dei tempi cura-lavoro e dunque per consentire loro di proseguire l'impegno lavorativo. Allo stesso tempo, una rete più solida di politiche per la famiglia potrebbe rivelarsi fondamentale per incentivare un tasso di natalità che nel Paese è sempre più basso: per il quinto anno consecutivo, in Italia, il numero delle morti supera quello delle nascite. Secondo i dati del report demografico 2011 dell'Istat, il tasso di natalità scende al 9,1 per mille e il tasso di fecondità nazionale si mantiene ad un livello stabile solo grazie alla presenza delle donne straniere. Sono 556 mila i bambini nati nel 2011, seimila in meno rispetto all'anno precedente;
              un aspetto particolarmente drammatico da sottolineare riguarda i minori vittime di tratta e di sfruttamento; un fenomeno questo in aumento in Italia anche per effetto del flusso costante di minori migranti non accompagnati che rappresentano una categoria fortemente a rischio. A ciò si aggiungono, secondo quanto riportato da Save the Children in un recente rapporto («I piccoli schiavi invisibili»), le condizioni di estrema povertà delle famiglie e in generale delle comunità di origine, i fenomeni di emarginazione sociale, i conflitti, le persecuzioni e le condizioni di instabilità politico-economica, che spingono i minori e i giovanissimi a fuggire con la speranza di trovare un luogo sicuro dove poter migliorare le loro condizioni di vita;
              secondo lo stesso rapporto, sono 280 i minori vittime di tratta o di riduzione in schiavitù identificati attraverso procedimenti penali fra il 2004 e il 2011: provengono per la maggior parte dall'Europa orientale e balcanica; in misura inferiore sono invece i minori nati in Italia ma di origine straniera e per una quota ancora inferiore si tratta di minori provenienti da Asia ed Africa;
              con riferimento ai minori stranieri che vivono in Italia, quello della cittadinanza rappresenta ormai un tema proprio di ogni società globalizzata e multietnica, che tuttavia in Italia non sembra aver avuto ancora la giusta priorità. Si tratta al contrario di una questione non più rinviabile che riguarda un numero sempre più ampio di persone, che sono i figli di immigrati, nati o giunti in Italia in tenera età, che frequentano le scuole italiane, condividono usanze, tradizioni, e linguaggi italiani ma continuano a vivere in una condizione di incertezza perché, nonostante tutto, rimangono per legge stranieri;
              alla luce del quadro sin qui esposto, risulta urgente procedere ad una ridefinizione delle priorità dell'agenda politica del Paese, allo scopo di affrontare al meglio le principali problematiche che incidono sulla vita dei bambini e degli adolescenti italiani. La crisi economica internazionale, la più grave dal dopoguerra, non ha fatto altro che peggiorare uno stato di fatto, quello delle politiche per la famiglia, già fortemente debole, amplificando le criticità di un sistema normativo lacunoso ed incoerente, nel quale pesa «la mancanza di un sistema organico di protezione dei minori, le gravi sperequazioni da regione a regione, il piano di azione nazionale per l'infanzia e l'adolescenza privo di finanziamenti adeguati, l'insufficiente sostegno alla genitorialità», secondo quanto affermato dal Garante per l'infanzia e l'adolescenza nella sua prima relazione annuale al Parlamento;
              assicurare il sostegno alle fasce più deboli, garantire una rete di protezione per le famiglie, oltre a riconoscere e promuovere i diritti dei bambini e degli adolescenti equivale ad assicurare una visione ampia e lungimirante sul futuro della società. Investire sui servizi all'infanzia e sulle politiche per la famiglia deve essere al centro dell'azione di ogni Governo come occasione di rilancio e crescita dell'economia e come speranza per l'avvenire,

impegna il Governo:

          a dare seguito alle indicazioni che giungono dagli organismi internazionali e dalle istituzioni europee al fine di garantire la piena applicazione della normativa vigente in materia di promozione della tutela dell'infanzia e dell'adolescenza;
          a prevedere l'opportunità di assicurare maggiori risorse per i servizi di assistenza all'infanzia, quali quelli relativi agli asili nido, al fine di adeguarli agli standard europei, non solo a livello quantitativo ma anche qualitativo;
          a predisporre interventi volti ad assicurare e a promuovere la diffusione della conoscenza dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza anche attraverso campagne informative a livello nazionale, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema;
          a promuovere interventi a sostegno delle famiglie, con azioni finalizzate al contrasto della povertà e dell'esclusione sociale e alla realizzazione di un'adeguata rete di protezione sociale per le fasce più esposte al rischio d'impoverimento e i soggetti più deboli, quali sono i minori;
          a predisporre misure e risorse per il Sud tali da garantire una copertura dei servizi di assistenza omogenea rispetto alle altre regioni italiane, superare le sperequazioni e assicurare in tal modo un sistema educativo ed un welfare adeguato, moderno e inclusivo;
          ad assumere iniziative in grado di migliorare la realtà e le condizioni del lavoro femminile attraverso servizi di assistenza all'infanzia che possano migliorare la conciliazione tra lavoro e vita familiare;
          a definire un nuovo ed organico sistema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, al fine di superare il meccanismo emergenziale che ha caratterizzato le strutture sino a questo momento, con l'avvertenza che si tratta di soggetti fragili, che necessitano di un approccio mirato e di specifiche modalità di accoglienza;
          ad affrontare la questione della cittadinanza ai «nati in Italia ancora giuridicamente stranieri», per superare una normativa non più idonea a rispondere ai bisogni di una società globalizzata in continua evoluzione.
(1-01191) «Mosella, Fabbri, Pisicchio, Tabacci, Brugger».


      La Camera,
          premesso che:
              la «Convenzione sui diritti dell'infanzia» del 1989, è stata ratificata dall'Italia con legge n.  176 del 1991, al suo interno sono articolati con grande chiarezza i diritti dell'infanzia, che dovrebbero essere prioritari e improntati alla non discriminazione e alla tutela degli interessi del bambino;
              nonostante la legislazione in materia di sostegno ai minori abbia fatto registrare in Italia notevoli progressi nel corso degli anni, tuttavia, secondo la relazione dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, dello scorso aprile, il quadro normativo permane ancora «lacunoso ed incoerente», manca un sistema organico di protezione dei minori e un piano di azione nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, inoltre si registrano «gravi sperequazioni da regione a regione, un insufficiente sostegno alla genitorialità e perduranti discriminazioni normative o di trattamento»;
              la relazione riprende quelle che sono state le criticità rivolte al nostro Paese dal comitato ONU sui diritti all'infanzia che ha sollecitato il Governo ad attuare le iniziative opportune per colmare queste lacune;
              sono 10,8 milioni i bambini e gli adolescenti presenti del nostro Paese e di questi, secondo i dati Istat del 2011, 1 milione e 876 mila vivono in famiglie con una bassa capacità di spesa pro-capite e sono ben 653 mila i bambini che non hanno la possibilità di accedere a un paniere di beni essenziali per il conseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile;
              i minori maggiormente a rischio sono quelli con un solo genitore, a seguire quelli delle famiglie numerose e delle coppie giovani. La causa principale di tale disagio risiederebbe nell'assenza o precarietà nel lavoro dei genitori;
              geograficamente, il meridione evidenzia una situazione più grave rispetto al resto del Paese, con Sicilia, Campania e Basilicata che fanno registrare le percentuali più alte di minori in stato di povertà;
              le iniziative a sostegno delle famiglie con minori varate negli ultimi anni (assegni di sostegno per le famiglie numerose, al nucleo familiare; cosiddetto bonus bebé, deduzioni fiscali per famiglie povere anche con bambini), hanno avuto una portata molto limitata e di scarsa efficacia;
              mentre in Europa i minori di 18 anni sono mediamente più esposti alla povertà di 4,3 punti percentuali rispetto al totale della popolazione, nel 2010, secondo l'Eurostat, in Italia il divario tra i minorenni a rischio povertà (24,7 per cento) e il totale della popolazione (18,2 per cento) raggiunge ben il 6,5 per cento ed è uno dei più alti d'Europa, inferiore soltanto a quello registrato in alcuni nuovi stati membri (Romania, Ungheria, Slovacchia) e in Lussemburgo;
              purtroppo, a fronte di tale situazione i servizi per l'infanzia, pubblici e privati, nelle comunità locali, nei quartieri, nei tribunali, non sempre sono in linea con i principi e gli standard indicati dalla Convenzione Onu;
              particolarmente problematici risultano il tasso di abbandono scolastico, la qualità e l'offerta di servizi per l'educazione e la cura della prima infanzia. Non tutti i bambini, infatti, dispongono di strumenti adeguati per esprimere le proprie potenzialità; particolarmente svantaggiati sono i bambini disagiati, inclusi quelli provenienti da un contesto migratorio e/o appartenenti a famiglie a basso reddito;
              il IVo Rapporto Anci-Cittalia sui minori stranieri non accompagnati in Italia evidenzia un forte aumento nella presenza di minori stranieri non accompagnati, con un totale di 7750 minori censiti al 31 dicembre 2011 dal Comitato per i minori stranieri, rispetto ai 5879 presi in carico nel 2009 ed ai 4588 nel 2010;
              i minori stranieri presenti in Italia nel 2010 provengono soprattutto da Afghanistan (16,8 per cento), Bangladesh (11 per cento), Albania (10 per cento), Egitto, Marocco e Kosovo: un dato destinato a modificarsi con i rilevamenti per il 2011, che evidenziano un aumento di arrivi dai Paesi del Nordafrica. Il fenomeno riguarda soprattutto minori maschi (il 91,4 per cento, in aumento di due punti percentuali rispetto al 2008), la maggior parte appena sotto la soglia della maggiore età (il 55 per cento ha 17 anni, quattro punti in più per questa fascia d età rispetto al 2008);
              la Giornata mondiale contro il lavoro minorile svoltasi nel giugno 2012 ha posto l'accento sul diritto di tutti i minori ad essere protetti dal lavoro minorile e da ogni violazione dei diritti umani fondamentali. Nel 2010, la comunità internazionale ha adottato la tabella di marcia per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016 secondo la quale il lavoro minorile è un ostacolo ai diritti dei minori nonché una barriera per lo sviluppo. La Giornata mondiale 2012 ha messo in luce il lavoro che rimane tuttora da compiere per raggiungere gli obiettivi della tabella di marcia;
              secondo l'ultimo rapporto globale dell'ILO, nel mondo, 215 milioni di minori sono implicati nel lavoro minorile. Senza istruzione e competenze necessarie i minori sono più facilmente indotti ad entrare prematuramente nel mercato del lavoro e non potranno portare loro, insieme alle loro famiglie e comunità, fuori dal ciclo della povertà. Implicati nelle forme peggiori di lavoro, i minori rischiano di essere esposti a pericoli fisici, psicologici e morali, con gravi conseguenze durante tutta la loro vita;
              è entrata in vigore il 23 ottobre 2012 la legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, che ha introdotto due nuovi reati, l'istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia e l'adescamento di minorenni o groming oltre ad un inasprimento delle pene per molti altri reati legati ai fenomeni dell'abuso sessuale;
              in occasione della prima giornata ONU delle bambine, «Terre des Hommes» ha presentato un dossier esclusivo sulla condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo. I temi trattati dal dossier sono essenzialmente: l'aborto selettivo, le mutilazioni genitali, la tratta e la prostituzione, il lavoro minorile, i matrimoni e le gravidanze precoci, il mancato accesso all'istruzione, la violenza e gli abusi sessuali. La nuova campagna «Indifesa», ha evidenziato la necessità di garantire alle bambine, in Italia e nel mondo, istruzione, salute e protezione da violenze ed abusi e ha inteso sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni sul tema della discriminazione, realizzare iniziative tese a promuovere i diritti fondamentali delle bambine, finanziare progetti di prevenzione e contrasto di alcune tra le peggiori forme di discriminazione;
              anche il sistema della giustizia minorile non risulta pienamente allineato alle disposizioni contenute nella Convenzione Onu per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. I minori coinvolti in procedimenti giudiziari, ivi inclusi quelli relativi alle separazioni dei genitori, dovrebbero avere la possibilità di essere ascoltati in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che li riguardi e dovrebbero ricevere tutte le informazioni concernenti i loro diritti. Si ravvisa in particolare la necessità di limitare il ricorso dell'affidamento dei minori alle case/famiglia solo in casi di estrema necessità e quale soluzione residuale rispetto all'affidamento al genitore in modo da garantire il diritto del bambino ad avere una famiglia;
              le strutture di custodia e i luoghi destinati alla cura dell'infanzia e all'educazione preprimaria e primaria sono ancora insufficienti a garantire un'offerta accessibile e di qualità adeguata per tutti, come confermato dai dati relativi alla disponibilità di asili nido, secondo cui solo il 12 per cento dei bambini di età inferiore a 3 anni può accedere al nido pubblico,

impegna il Governo:

          a tener conto e ad applicare le norme della Convenzione sui diritti dell'infanzia, le raccomandazioni del Comitato ONU sui diritti dell'infanzia del 2006 elaborate in occasione della giornata di discussione generale sul diritto dei bambini e degli adolescenti ad essere ascoltati, il Commento generale n.  10 del Comitato ONU sui diritti dell'infanzia dedicato alla Giustizia minorile, la Convenzione di Strasburgo, in tutti i giudizi concernenti diritti e interessi dei minorenni;
          a redigere un piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza 2013-2014 con politiche a misura dei bambini, e ad assegnare senza ulteriori ritardi le risorse indispensabili per la realizzazione delle attività necessarie per l'attuazione del piano medesimo attraverso modelli di finanziamento efficaci, nell'ambito di un corretto equilibrio tra pubblico e privato;
          ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché ogni intervento, anche normativo, che influisca sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati, risulti in armonia con i principi della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché con la normativa dell'Unione europea e con le indicazioni del Consiglio d'Europa in materia;
          a programmare ogni iniziativa utile a migliorare la qualità, l'equità e l'efficienza del sistema di cura e di istruzione destinati all'infanzia al fine di stimolare l'inclusione e ridurre l'abbandono scolastico e di ampliare l'accesso ai servizi da parte dei bambini disagiati;
          ad assumere iniziative per introdurre una normativa organica in tema di diritti dei minori che preveda per loro il diritto di essere ascoltati nelle questioni che li riguardano, avendo cura di dar seguito alle «linee guida per il processo minorile in Europa», approvate dal Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010, che sanciscono, tra l'altro, il diritto del minore a essere ascoltato e a ricevere informazioni nell'ambito dei procedimenti giudiziari ed intrattenere regolarmente relazioni e contatti diretti con entrambi i genitori, in caso di separazione o divorzio, escludendo, innanzitutto, quale soluzione principale, l'affidamento del minore in casa-famiglia;
          a predisporre politiche e programmi nazionali atti a garantire un progresso effettivo nell'eliminazione del lavoro minorile nel rispetto delle Convenzioni dell'ILO sul lavoro minorile;
          a dare piena esecuzione alla Convenzione di Lanzarote garantendo in particolare alle bambine, in Italia e nel mondo, un adeguato sistema di istruzione, salute e protezione da violenze ed abusi;
          a prevedere adeguate risorse per fare fronte alle differenti esigenze dei bambini (cognitive, emotive, sociali e fisiche) in età prescolare e scolare atteso che i fondi pubblici destinati a tali scopi risultano inferiori a quelli spesi per qualunque altro settore;
          ad assicurare, nell'ambito delle proprie competenze, un efficace sostegno all'attività della Commissione parlamentare per l'infanzia.
(1-01192) «Galletti, Capitanio Santolini, Carlucci, Calgaro, D'Ippolito Vitale, Binetti, Enzo Carra, De Poli, Anna Teresa Formisano, Rao, Tassone, Compagnon, Ciccanti, Naro, Volontè, Nunzio Francesco Testa, Mondello, Pezzotta».


      La Camera,
          premesso che:
              in un momento drammatico, come quello che sta attraversando l'Europa colpita dalla grave crisi economica finanziaria, l'obiettivo primario deve essere quello di tutelare quel sistema di garanzia che si fonda sul rispetto dei princìpi e valori che rappresentano il motore di un Paese civile. I sacrifici ai quali siamo chiamati al fine di trovare la giusta stabilità nei conti per preservarci da eventi drammatici dovuti al periodo di crisi debbono necessariamente essere accompagnati ad investimenti costruttivi volti a potenziare le strutture sane della società;
              se realmente si intendono affrontare in modo concreto politiche di tutela nei confronti dei minori, queste debbono passare prioritariamente dal riconoscimento del ruolo di fondamentale importanza che riveste la famiglia;
              ad oltre vent'anni dalla entrata in vigore della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, purtroppo, ancora in tutto il mondo i bambini patiscono violenze, sfruttamento e abusi. Sono costretti a combattere guerre o a lavorare in condizioni intollerabili; vengono sottoposti ad abusi sessuali o a violenze punitive; cadono vittime di traffici che li condannano a lavorare in condizioni di sfruttamento. I bambini che vivono in circostanze del genere vedono i loro diritti umani infranti nei modi più gravi, e patiscono danni fisici e psicologici con effetti di vasta portata e talvolta irreparabili. Gli elementi di un'infanzia sana, così come sono specificati nella Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, vengono negati perché il mondo non riesce a fornire ai bambini la protezione di cui hanno diritto;
              al contrario di quanto si crede, i diritti dei bambini non sono violati esclusivamente in quella parte del mondo che vive in situazioni di grave sotto sviluppo ma anche in quei Paesi che hanno raggiunto livelli di industrializzazione e benessere elevati;
              nel mondo industrializzato i problemi dell'infanzia sono, spesso, connessi all'ondata dei flussi migratori clandestini. I minori, sradicati dal proprio ambiente naturale, in condizioni di estrema fragilità e povertà, divengono facilmente preda di situazioni di violazione dei diritti fondamentali, dallo sfruttamento del lavoro minorile, all'accattonaggio, allo sfruttamento sessuale e all'utilizzo a fini di microcriminalità. In tutta la loro gravità si presentano oggi i casi di pedofilia, abuso e violenza sessuale; i genitori evidenziano maggiori difficoltà nell'assolvimento delle competenze di cura e di educazione dei figli, le conflittualità intraconiugali e intrafamiliari sfociano in sofferti procedimenti di separazione e di divorzio, sono sempre più evidenti gli episodi di maltrattamento e di violenza intrafamiliare;
              l'affermazione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza è inderogabile;
              in Parlamento, nei comuni, nelle province e nelle regioni si lavora per tutelare i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, a partire dai casi di disabilità, disagio, abbandono, abuso e dai vari tipi di discriminazione;
              con il decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 2011 è stato approvato il «Terzo Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e dei soggetti in età evolutiva»;
              la legge n.  238 del 2000 «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato, di interventi e servizi sociali» all'articolo 2 identifica quali fruitori i cittadini italiani e i cittadini dell'Unione europea;
              i profughi, gli stranieri e gli apolidi, in base all'articolo 2 della suddetta legge, hanno diritto alle misure di prima assistenza;
              l'articolo 41 del testo unico di cui al decreto legislativo n.  286 del 1998 recita: «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale»;
              la mancata applicazione dei decreti attuativi della legge n.  42 del 2009 (federalismo fiscale) ha impedito di introdurre i medesimi livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale in base ai fabbisogni standard;
              la legge 27 maggio 1991, n.  176 di ratifica della Convenzione ONU su diritti dell'infanzia deve essere tenuta in considerazione dalle regioni e dalle province autonome;
              quando si parla di abusi sui minori è inoltre di fondamentale importanza perseguire una linea politico-programmatica incentrata da un lato nel contrasto all'immigrazione clandestina e dall'altro lato nel potenziamento di quelle attività volte a sviluppare un modello di integrazione basato sul rispetto dei medesimi doveri e sul godimento degli stessi diritti. Per promuovere l'interculturità bisogna partire dal presupposto della difesa e della valorizzazione della nostra cultura e delle nostre tradizioni. In sostanza, bisogna prendere coscienza – abbandonando l'atteggiamento ipocrita del «politicamente corretto» o, peggio, del «culturalmente corretto» che l'Europa non può contenere tutto e assorbire tutte le culture, senza rinunciare alla propria;
              dai dati sul tasso di abbandono scolastico diffusi dall'ISTAT il 12 marzo 2012 si rileva che il 13 per cento dei giovani italiani lascia la scuola per il lavoro, mentre il dato sale a più del 40 per cento per i giovani stranieri, a causa del grande deficit di competenze in ambito linguistico;
              il Fondo nazionale delle politiche sociali ha subito una pesante decurtazione passando da un miliardo di euro nel 2007, a 45 milioni nel 2013;
              secondo l'ultima indagine presentata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il periodo giugno-ottobre 2009 nelle 15 città riservatarie del Fondo nazionale, emerge con evidenza il gap tra Centro-Nord e Sud Italia in termini di accessibilità e copertura del target nei servizi di cura alla prima infanzia e di spesa destinata alle politiche per i minori;
              gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati del 20H risulta che in Italia 18,7 per cento bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato. La quota è maggiore nel Centro-nord, con un picco, del 27,1 per cento nel Nord-est, mentre nel sud e nelle isole la percentuale scende sotto il 14 per cento (il 13,5 per cento nelle isole e il 7,6 per cento nel Sud). D'altro canto siamo in assenza di informazioni puntuali relative alla domanda di servizio rimasta insoddisfatta (una quota rilevante della domanda di assistenza è soddisfatta dalle strutture private che copre circa il 30 per cento del totale delle richieste ed è in costante crescita);
              la recente approvazione della Convenzione di Lanzarote segna un traguardo importante nella lotta contro la pedofilia. L'Italia fu, nel 2007, non solo tra i primi Paesi a sottoscrivere la Convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, ma anche tra i maggiori contribuenti, con una cinquantina di articoli, alla sua stesura. Ma la velocità e la dimensione davvero globale con cui le nuove tecnologie o i nuovi media si evolvono e vengono proposti sul mercato, offrendo nuovi servizi e «spazi» aperti e accessibili a tutti, mettono tutti e, soprattutto, i più giovani, gli adolescenti, le bambine e i bambini di fronte a nuove sfide. Le battaglie che la polizia postale italiana ha combattuto fino ad oggi sono giuste e hanno dato grandi risultati. È importante segnalare come nella fase di ratifica della Convenzione, grazie anche alle iniziative perseguite, da tempo, dal gruppo parlamentare della lega Nord (promotore di una proposta di legge finalizzata all'introduzione di una nuova fattispecie di reato denominata «apologia della pedofilia») sia stato inserito il principio finalizzato ad anticipare la soglia di tutela prevista nel nostro sistema penale, sanzionando, per ciò stesso, indipendentemente dalla commissione del reato propagandato, condotte che arrecano offesa a quei valori, socialmente e universalmente ritenuti tali, per il solo fatto di far credere normale ciò che comunemente viene percepito come aberrante;
              è urgente una riforma processuale che introduca il giusto processo civile minorile, che integri il rito camerale e tenga presente le caratteristiche della giurisdizione civile minorile che differisce da quella civile, perché non è giurisdizione solo di torti e ragioni, ma mira alla ricostruzione delle relazioni familiari su piani giuridici diversi, in funzione dei figli;
              occorre una riforma di sistema, con alcune caratteristiche già individuate a livello europeo, la prima delle quali è che il giudice deve essere specializzato con la previsione dell'esclusività delle competenze e una riforma processuale che ponga la centralità della persona minore di età come parte processuale;
              è matura ormai e non più rinviabile anche una riflessione sui temi legati all'adozione e all'affidamento e le stesse comunità di tipo familiare devono poter avere risorse certe e criteri definiti del loro ruolo. Il diritto universale di un minore è quello di avere una famiglia. È doveroso ribadire che al fine di realizzare un sistema che funzioni è necessario che vi sia la tutela dei diritti dei minori ma anche la tutela delle famiglie in cui i minori sono inseriti;
              una società incapace di garantire i diritti dei minori è una società destinata ad implodere. Come insegna Aristotele una buona politica non afferma principi, ma propone risposte fattibili a problemi concreti,

impegna il Governo:

          a potenziare politiche volte a disincentivare l'abbandono scolastico;
          ad istituire, quanto prima le cosiddette classi di inserimento, al fine di potenziare le competenze linguistiche dei minori stranieri che non conoscono la lingua italiana;
          ad emanare immediatamente decreti attuativi della legge n.  42 del 2009 in modo tale da introdurre su tutto il territorio nazionale, i medesimi livelli standard di assistenza con specifico riferimento alla tutela dei diritti dei minori;
          ad acquisire elementi in merito alla distribuzione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, ponendo attenzione alla reale ricaduta che tali risorse hanno sui minori assumendo altresì iniziative per quanto di competenza per far si che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
          a favorire, per quanto di competenza, un rapido iter delle proposte di legge finalizzate all'equiparazione giuridica e sostanziale tra i figli legittimi e naturali;
          a porre in essere iniziative, anche di natura normativa finalizzate ad istituire il tribunale della famiglia, al fine di adeguare il sistema della giustizia minorile alle «Linee guida per il processo minorile in Europa», approvate dal Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010, garantendo, in particolare, il diritto all'ascolto del minore e il diritto del minore a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche se separati o divorziati, salvo nel caso di impedimenti che giustifichino l'allontanamento di un genitore dal proprio figlio;
          a realizzare un'indagine conoscitiva che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti di asili nido, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei minori di tre anni.
(1-01193) «Lussana, Dozzo, Maroni, Bossi, Fugatti, Fedriga, Montagnoli, Fogliato, Volpi, Polledri, Laura Molteni, Rondini, Martini, Fabi, Nicola Molteni, Isidori, Follegot, Paolini, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fava, Forcolin, Giancarlo Giorgetti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Lanzarin, Maggioni, Meroni, Molgora, Munerato, Negro, Pastore, Pini, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli».


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia vivono circa 10 milioni di minori, dei quali oltre un milione di origine straniera;
              l'Unicef in vista della Giornata nazionale dell'infanzia e dell'adolescenza, che si celebra oggi in coincidenza con l'anniversario della firma della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia, ha lanciato una campagna per far sì che comuni e altri enti riconoscano quantomeno una cittadinanza onoraria ai bambini nati entro i confini italiani da cittadini di altre nazionalità ma regolarmente residenti in Italia da 5 anni;
              61 comuni ad oggi hanno istituzionalizzato la procedura di concessione del riconoscimento – che è simbolico ma che porta con sé un forte valore di indirizzo – e altri 106 enti hanno assicurato che emaneranno delibere analoghe nelle prossime settimane;
              il Ministro della cooperazione Andrea Riccardi ha garantito l'impegno del Governo per il riconoscimento del cosiddetto ius soli temperato;
              l'uguaglianza dei diritti di tutti i minori e la non discriminazione dei bambini e degli adolescenti è tema centrale di civiltà ed elemento fondante delle democrazie occidentali;
              tale uguaglianza è minacciata non solo dal mancato aggiornamento in tema di cittadinanza, ma dalla riduzione costante delle risorse pubbliche per attività educative e formative;
              nel nostro mezzogiorno 3 studenti su 10 non arrivano neppure al diploma di scuola secondaria superiore;
              secondo i dati diffusi dall'Istat nel 2012 il 13 per cento dei giovani italiani abbandona la scuola mentre il dato sale al 40 per cento per i figli di stranieri,

impegna il Governo:

          a promuovere ogni iniziativa volta all'integrazione e al riconoscimento dei diritti di cittadinanza per i minori nati in Italia da genitori regolarmente residenti da almeno 5 anni;
          a redigere un piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza 2013-2014 che abbia come priorità la riduzione delle diseguaglianze tra aree geografiche e ceti sociali nell'accesso a servizi, istruzione, attività formative e sport di base;
          a promuovere il coordinamento delle politiche riguardanti i diritti dei minori e l'applicazione dei principi della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia;
          a definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali riservate ai minori, così come indicate dalla legge n.  328 del 2000.
(1-01194) «Perina, Granata, Barbaro, Patarino, Della Vedova».

Risoluzioni in Commissione:


      La IX Commissione,
          premesso che:
              UIRNet S.p.A., società degli interporti, è stata costituita in data 9 settembre 2005 ai sensi del decreto ministeriale n.  18T del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, emanato in data 20 giugno 2005 e registrato alla Corte dei conti in data 22 luglio 2005 (nel seguito anche il decreto) ed in relazione alla successiva circolare ministeriale interpretativa del 4 agosto 2005 (nel seguito la Circolare) dello stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
              il 28 dicembre 2006, UIRNet S.p.A ha stipulato con il Ministero dei trasporti una convenzione per la progettazione, la realizzazione e l'esercizio di un sistema che permetta la interconnessione dei nodi di interscambio modale (interporti). Focus del progetto è la realizzazione di una piattaforma hardware e software localizzata, aperta e modulare, in grado di integrare fornitori di servizi e contenuti orientati alla gestione dei processi logistici e del trasporto merci, con l'obiettivo di fornire vari servizi attraverso l'interazione dei vari attori coinvolti;
              in data 20 dicembre 2007 il Ministero dei trasporti ha stipulato una nuova convenzione con la Società UIRNet per attività nell'ambito della sicurezza, da svolgere all'interno delle strutture logistiche intermodali di I livello;
              detta convenzione ha per oggetto l'acquisizione e l'approntamento di sistemi adatti a produrre nelle strutture logistiche interportuali di primo livello un miglioramento complessivo della sicurezza del trasporto merci, con particolare riguardo alla tracciabilità dei percorsi ed alla organizzazione aziendale ed in funzione delle esigenze delle singole strutture e integrati con i sistemi già operanti;
              il partner tecnologico di UIRNet per la progettazione, lo sviluppo e la realizzazione della piattaforma, risultato vincitore della relativa gara pubblica, è il Raggruppamento Tecnologico d'Imprese costituito da: Selex Elsag spa, Telespazio spa e Autostrade per l'Italia spa;
              il giorno 20 novembre 2009 Telecom Italia spa si è aggiudicato l'affidamento in concessione dei servizi di connettività per l'utilizzo delle funzioni della Piattaforma logistica nazionale;
              la piattaforma è pensata per migliorare l'efficienza e la sicurezza dell'intero sistema logistico nazionale, con notevoli vantaggi sia per i singoli utilizzatori sia del sistema nel suo complesso. La piattaforma offre una serie articolata di servizi e azioni: servizi di infomobilità (pensati per assistere la singola tratta di «viaggio» dei carichi, dalla presa in carico fino alla consegna); servizi interoperabili (di incontro tra domanda e offerta, di gestione del workflow dell'intero processo logistico con attenzione anche agli scambi internazionali, di prenotazione di servizi di base e accessori erogati da aziende di logistica e gestori di infrastrutture logistiche); servizi specifici per la gestione del trasporto delle merci pericolose;      
              tali servizi sono disponibili per tutti gli aderenti a UIRNet; la piattaforma inoltre è stata progettata per poter anche essere interfacciata a livello applicativo con i sistemi legacy di istituzioni (polizia, VVFF, carabinieri, protezioni civile, AISCAT, CCISS, e altri) e di grandi operatori della logistica;
              l'articolo 2, comma 244, della legge 24 dicembre 2007, n.  244 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008) – stabiliva che: «Per il completamento e l'implementazione della rete immateriale degli interporti finalizzata al potenziamento del livello di servizio sulla rete logistica nazionale, è autorizzato un contributo di 5 milioni di euro per il 2009 e di 10 milioni di euro per il 2010»;
              negli anni successivi il progetto UIRNet del Ministero delle infrastrutture e trasporti non è stato rifinanziato, nonostante UIRNet fosse entrata nella fase realizzativa del progetto per lo sviluppo della piattaforma nazionale per la logistica integrata e l'intermodalità;
              l'iniziativa mira alla messa in rete dei servizi per i settori del trasporto e della logistica, con l'obiettivo di migliorare l'efficienza dei servizi interportuali e incrementare gli standard di sicurezza nell'intero processo della filiera. Il sistema punta a un diretto coinvolgimento di tutti gli attori del settore dell'autotrasporto, dei poli logistici integrati e delle associazioni;
              si rende necessario reperire risorse per sperimentare su vasta scala gli apparati di bordo (OBU) al fine di definire protocolli di trasmissione e standard costruttivi unificati, anche in relazione all'evoluzione delle relative tecnologie, nell'ambito del progetto UIRNet del Ministero delle infrastrutture e trasporti, il cui soggetto attuatore, ai sensi dell'articolo 61-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, è UIRNet spa,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative volte ad assicurare risorse per il completamento della piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale.
(7-01032) «Toto».


      La X Commissione,
          premesso che:
              la crisi internazionale sta modificando strutturalmente il sistema fieristico, con una polarizzazione sulle manifestazioni di maggior successo e con nuovi modelli in molti ambiti dell'arena competitiva;
              le imprese considerano le fiere, e più in generale il sistema fieristico italiano, come uno strumento efficace per il business, motore di politica industriale e volano per l'economia del territorio. Per crescere, le fiere italiane devono però internazionalizzarsi, aumentare la propria competitività globale e rafforzare gli strumenti di comunicazione e l'integrazione con i nuovi media. È quanto emerge dallo studio «Gli italiani e le fiere» realizzato dall'Istituto si ricerca IPSO di Renato Mannheimer e promosso da Fondazione Fiera di Milano presentato il 26 marzo 2012 al forum dal titolo «Le fiere negli anni 2.0 tra internazionalizzazione e sviluppo dei territori»;
              la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.  3, di modifica del Titolo V della Costituzione, attribuisce la competenza esclusiva in materia fieristica alle regioni e alle province autonome; l'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281, prevede la possibilità per Governo e regioni di concludere in sede di Conferenza Stato-Regioni accordi, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune;
              il sistema italiano di supporto all'internazionalizzazione delle imprese è governato dal Ministero dello sviluppo economico depositario dei compiti di indirizzo e coordinamento della politica nazionale in materia di riporti economici con l'estero. Attraverso la direzione generale per le politiche di internazionalizzazione e la promozione degli scambi, il Ministero agisce al fine di accrescere il grado di internazionalizzazione delle aziende mettendo in campo strumenti di carattere promozionale e finanziario per accompagnarne la proiezione sui mercati internazionali, strategie promozionali di sostegno al made in Italy, facilitazioni per i processi di internazionalizzazione, collegamenti con le università ed i centri di ricerca, risorse pubbliche nei settori e nelle aree geografiche dal maggior potenziale;
              il Mise, stabilisce annualmente l'ammontare delle risorse necessarie all'attuazione delle linee direttrici della promotion pubblica;
              le esperienze all'estero puntano su modelli nei quali Governi vedono nel sistema delle fiere l'elemento principale delle politiche economiche e di promozione;
              molti governi hanno dimostrato crescente attenzione per le performance dell’export dei propri paesi, e un costante interesse per i contributi che forniscono le piccole e medie imprese per le loro economie. Queste considerazioni hanno innescato un forte interesse nel settore dei servizi di supporto delle export dedicati alle piccole e medie imprese (PMI) e hanno generato riflessioni su come fornire tali servizi in modo efficiente ed efficace. La Germania, ad esempio, ha da molto tempo un programma di sostegno alle esportazioni a favore delle piccole e medie imprese. Il programma è caratterizzato dal coinvolgimento di molteplici attori del settore pubblico e del privato. Il supporto alla partecipazione a manifestazioni fieristiche ne è una componente importante, ma ci sono anche informazioni e servizi di consulenza e strumenti per facilitare finanziamenti alle esportazioni e delle assicurazioni;
              il sistema fieristico italiano ha sofferto indubbiamente della crisi internazionale e ha un quadro competitivo interno molto acceso che rischia di portare più svantaggi che benefìci al sistema. In questo quadro si suggerisce che le fiere possano essere strumenti di politica industriale a livello nazionale particolarmente efficaci. Le fiere potrebbero essere soggetto attuatore delle politiche di incentivo, svolgendo un ruolo importante su tre linee forti: come strumento a sostegno delle imprese e delle politiche industriali, l'internazionalizzazione e lo sviluppo dei territori,

impegna il Governo:

          a dare pronta attuazione al rilancio dell'ICE (Istituto nazionale per il commercio estero), come dichiarato dallo stesso Ministro allo sviluppo economico in occasione dell'incontro «l'Italia nell'economia internazionale» tenutosi il 19 luglio 2012 presso la sede dell'Agenzia per la promozione all'esterno e l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
          a promuovere o comunque supportare il sistema fieristico italiano attraverso iniziative volte ad un concreto sostegno normativo e finanziario;
          a ridefinire, nelle tradizionali attività di promozione dell’export azioni di accompagnamento di gruppi di aziende alle fiere esistenti nei diversi Paesi, posto che i Governi più lungimiranti come si evince anche dai modelli citati hanno affiancato lo sviluppo internazionale del proprio sistema fieristico, cogliendo così due grandi obiettivi: l'internazionalizzazione delle imprese e l'internazionalizzazione degli operatori fieristici;
          a promuovere iniziative che migliorino la comunicazione all'esterno, attraverso politiche innovative che sfruttino al meglio l'utilizzo dei nuovi media;
          ad assumere iniziative per destinare maggiori risorse economiche a questo settore, che è stato ridotto a 33 milioni di euro nel 2011 (mentre in Germania è passato da 197 a 252 milioni di euro tra il 2008 e il 2011);
          ad assumere ogni altra iniziativa utile per il rilancio di un settore da molti considerato strategico per l'economia del Paese.
(7-01031) «Peluffo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          le richieste di aiuto delle donne ai centri antiviolenza aumentano di anno in anno, ma le capacità di ospitalità ed accoglienza diminuiscono a causa della riduzione dei fondi messi a disposizione dagli enti locali per la protezione delle vittime;
          non c’è un'equa distribuzione di queste strutture su tutto il territorio nazionale, nonostante il Consiglio d'Europa raccomandi un centro antiviolenza ogni 10.000 persone ed un centro d'emergenza ogni 50.000 abitanti;
          mancano dati aggiornati, periodici e sistematici relativi alle varie forme di violenza di genere; in particolare, l'Italia rimane uno dei pochissimi Paesi europei nei quali non viene effettuata sistematicamente un'analisi dei costi sociali della violenza, in termini di sofferenza umana e perdita economica che ricade sulla collettività nel settore sociale, sanitario e giudiziario;
          non è stato effettuato, inoltre, un monitoraggio attento sul numero di ordini di protezione richiesti ed emessi a tutela delle vittime, sulle denunce e sull'esito dei processi: a oltre dieci anni dalla promulgazione della legge n.  154 del 2001 risulta impossibile valutare l'efficacia della suddetta normativa;
          la legge n.  54 del 2006 che ha introdotto l'affido condiviso non ne prevede esplicitamente l'esclusione nei casi di violenze fisiche, psicologiche, forme di maltrattamento «sottovalutate», tra cui viene segnalata la violenza assistita intrafamillare (stando al Terzo rapporto sul monitoraggio della Convenzione sul diritti dell'infanzia e dell'adolescenza In Italia);
          il primo Piano nazionale antiviolenza, approvato nel 2010, è rimasto un documento di buone intenzioni, cui non sono seguite azioni concrete, quali la realizzazione di un osservatorio e di un comitato di monitoraggio, il coinvolgimento degli enti locali deputati a svolgere un lavoro programmatorio, operativo, di verifica e valutazione, ma soprattutto la definizione dei centri antiviolenza;
          questi ultimi, affiancati da altri «servizi di assistenza pubblici e privati, di protezione e reinserimento delle vittime», sono luoghi nati con lo scopo esclusivo di aiutare le donne ad uscire dalla violenza, attraverso percorsi individualizzati e con l'apporto di operatrici specializzate;
          per tale motivo, i centri antiviolenza non coincidono con qualsiasi altro modello di carattere assistenziale: l'apertura ad altre strutture non ben identificate per l'accoglienza delle donne ne svilisce e disconosce il ruolo peculiare ed unico;
          secondo il Rapporto dell'organizzazione mondiale della sanità, la violenza maschile nei confronti delle donne rappresenta la prima causa di morte per le donne in Europa e nel mondo; nonostante ciò, l'ordinamento italiano è ancora privo di una definizione normativa di violenza di genere;
          nel nostro Paese, l'approccio alla questione ha carattere di emergenza e viene considerata all'interno di provvedimenti di ordine pubblico, ma la violenza sulle donne costituisce, all'opposto, una costante strutturale in tutte le nostre società;
          un altro problema è costituito dall'eccessiva durata dei processi, a causa dell'assenza di risorse economiche destinate all'apparato giudiziario, oltre al fatto che non sono incentivati il coordinamento tra gli uffici, la celerità dell'attività di indagine e di accertamento di responsabilità, così come accade in materia di criminalità organizzata;
          l'Italia non ha sottoscritto la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica adottata ad Istanbul l'11 maggio 2011  –:
          se non intendano adottare, in tempi rapidi, iniziative tese al recupero di risorse per sostenere i centri antiviolenza, avviare indagini e rilevazioni di tutti i dati relativi al numero di donne che subiscono violenza (in coordinamento tra di loro), garantire la formazione sistematica a tutti gli operatori dei settori interessati;
          se non ritengano opportuno assicurare una più efficace tutela normativa alle donne vittime di violenza, anche attraverso l'introduzione della violenza intrafamiliare come causa di esclusione di affidamento condiviso;
          quale sia lo stato di realizzazione del Piano nazionale antiviolenza.
(2-01746) «Carlucci, Galletti, Adornato, Binetti, Bonciani, Bosi, Calgaro, Capitanio Santolini, Enzo Carra, Cera, Ciccanti, Compagnon, De Poli, Delfino, Dionisi, D'Ippolito Vitale, Anna Teresa Formisano, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ruggeri, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Zinzi».

Interrogazione a risposta orale:


      BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il territorio di Pisticci in questi ultimi giorni è stato interessato da insistenti precipitazioni piovose, nella sola giornata di lunedì 19 sono caduti circa 60 millimetri di pioggia;
          si è già registrato un piccolo smottamento nei pressi del centro abitato in zona «Cammarelle»;
          vi è preoccupazione perché secondo la protezione civile le precipitazioni proseguiranno per le prossime 24-36 ore;
          Pisticci è un comune purtroppo esposto fortemente al rischio idrogeologico e va ricordato che nella stagione estiva è stato teatro di un vastissimo incendio che ha distrutto centinaia di ettari di vegetazione, anche e soprattutto, di quella finalizzata al contenimento dei fenomeni franosi;
          con precedenti atti di sindacato ispettivo l'interrogante aveva già sollevato il problema sottolineando che la situazione fosse presa in seria considerazione visti anche alcuni drammatici precedenti storici che hanno interessato la comunità;
          non va assolutamente sottovalutato nessun segnale di questo tipo al fine di prevenire danni e salvaguardare cittadini e patrimonio urbano  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima urgenza attraverso innanzitutto la protezione civile nazionale per la messa in sicurezza del territorio di Pisticci anche alla luce di questo recente episodio. (3-02616)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DE POLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          dopo la devastante alluvione causata dal fiume Bacchiglione il 1o novembre 2010, che ha sommerso di fango e acqua il territorio veneto danneggiando migliaia di persone e bloccando centinaia di aziende in particolare nei territori del comune di Vicenza e del comune di Caldogno, e dopo l'esondazione sfiorata del 23 dicembre 2010, domenica 11 novembre 2012, i cittadini che vivono nei territori attraversati dal fiume hanno rischiato una nuova alluvione;
          anche se è stata scongiurata un'esondazione piena si sono registrati ampi allagamenti in alcune aree del territorio e nuovi danni;
          per scongiurare il rischio di una nuova alluvione è assolutamente necessario che venga realizzato il bacino di laminazione nel comune di Caldogno che, a unanime parere di tutti gli esperti (regione Veneto, protezione civile e genio civile), è l'unica opera in grado di superare lo stato di emergenza permanente con cui sono costretti a convivere i cittadini di un ampio territorio che non comprende solo i comuni di Vicenza e di Caldogno, ma anche tutti coloro che si trovano a valle fino allo sbocco sul mare del fiume;
          il bacino di laminazione risulta già progettato dalla regione Veneto e integralmente finanziato. È notizia di pochi giorni fa che la Corte dei conti ha autorizzato gli stanziamenti per realizzare l'opera al commissario straordinario di Governo per il superamento dell'emergenza alluvione, il prefetto di Verona Perla Stancari, che concluderà il suo mandato il 30 novembre 2012;
          in attesa della soluzione della trattativa sugli indennizzi tra i proprietari dei terreni e la regione, che ci si augura si concluda al più presto, si evidenzia l'enorme preoccupazione per la tempistica di realizzazione dell'opera che, con procedure ordinarie, prevede anni di attesa e impone ai cittadini di un ampio territorio di vivere nell'incubo dell'alluvione  –:
          se il Governo non ritenga di adottare, per quanto di competenza, tutte le iniziative opportune ed utili finalizzate a consentire la realizzazione del bacino di laminazione di Caldogno, come avvenuto per altre infrastrutture di vitale importanza per l'Italia. (4-18571)


      BONGIORNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 28 agosto 2012, la Corte europea dei diritti dell'uomo si è espressa – nel caso Costa e Pavan c. Italia (ric. n.  54270/10) – in ordine alla legittimità della legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita (legge 40 del 2004), che non permette alle coppie portatrici di malattie ereditarie di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e di diagnosi genetica pre-impianto;
          nell'ambito della predetta decisione, la Corte ha ritenuto costituisca un'interferenza illegittima dell'autorità pubblica nella vita privata e familiare dei singoli una misura che incida sulle scelte procreative individuali, qualora non risulti «necessaria» ai fini della tutela dei beni giuridici elencati dall'articolo 8 della Convenzione;
          nonostante la tutela del nascituro costituisca in astratto un bene giuridico tale da giustificare un'interferenza nella vita privata degli individui, tale garanzia nel caso concreto non poteva essere qualificata come «necessaria», giacché – dall'analisi dell'ordinamento interno – era emersa la possibilità di tenere condotte maggiormente lesive per il nascituro stesso;
          infatti, il divieto in oggetto, finalizzato a scongiurare il sacrificio degli embrioni malati, si scontra con la liceità del ricorso all'aborto terapeutico in caso di feto malato;
          in sostanza, l'unico metodo accessibile ai genitori portatori di malattie ereditarie – per generare figli che non siano affetti dalla malattia di cui sono portatori sani – è iniziare una gravidanza secondo natura e procedere all'interruzione medica della gravidanza stessa ogniqualvolta una diagnosi prenatale dovesse rivelare che il feto è malato;
          la Corte ha, per tali ragioni, condannato il nostro Paese per la violazione dell'articolo 8 della Convenzione, che tutela il diritto dell'individuo alla non ingerenza statale nelle questioni afferenti alla vita privata e familiare;
          peraltro, nessuna opzione etica è stata esercitata dai giudici europei e nessuna indicazione assiologica è stata fornita al fine di dirimere la vexata quaestio circa lo statuto di «vita umana» spettante all'embrione;
          al contrario, la Corte si è attenuta al dato normativo, confrontando le leggi italiane alle norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, individuando antinomie e risolvendo il caso tramite il ricorso ad argomentazioni prettamente logico-giuridiche, del tutto estranee ad altri ambiti, e inutilizzabili nel discorso etico;
          con le sentenze nn.  348 e 349 del 2007 la Corte costituzionale ha chiarito la portata dei vincoli derivanti dal suddetto accordo internazionale. In particolare, ha precisato che non solo la Repubblica è tenuta a dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione), ma anche che le norme della Convenzione – nell'interpretazione che ne dà la Corte – si atteggiano a parametro interposto di costituzionalità delle leggi italiane, ai sensi dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione;
          anche la giurisprudenza interna ha dimostrato di voler recepire, attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata della legge 40, le indicazioni fornite dalla Corte di Strasburgo (decisione del Tribunale di Cagliari del 15 novembre 2012)  –:
          quali ragguagli possano offrire, anche in omaggio allo spirito dell'articolo 5, comma 3, della legge n.  400 del 1988, in ordine a quali strumenti normativi e amministrativi siano fin ora stati adottati o verranno adottati per adeguarsi con efficacia e tempismo alla suddetta decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo.
(4-18578)


      FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 20 ottobre, in occasione della partita di calcio Livorno-Verona, un gruppo ristretto di tifosi di Verona ha intonato un coro con espressioni offensive nei confronti del valentissimo giocatore livornese, Piermario Morosini, morto sul campo di Pescara;
          le autorità istituzionali locali e nazionali, la società sportiva scaligera, la società civile, hanno ovviamente condannato all'unanimità tale vilipendio nei confronti del menzionato calciatore, tanto da indurre il primo cittadino di Verona, Flavio Tosi, a costituirsi parte civile contro i predetti tifosi;
          anche il giudice sportivo ha stigmatizzato il suddetto episodio, meritevole di essere censurato, «oltre che moralmente, anche a livello sanzionatorio, e ciò anche a causa della potenziale incidenza sull'ordine pubblico, stante l'evidente contenuto provocatorio dei cori in questione»;
          alla squadra in parola è stata comminata un'ammenda di 50 mila euro e una diffida per i predetti «cori di disprezzo nei confronti di una persona defunta»;
          i «cori dei tifosi livornesi, inneggianti alle foibe», e prospettanti ai supporter avversari veneti la stessa tragica fine occorsa a migliaia di cittadini, non sono stati menzionati dai media, né censurati pubblicamente dal primo cittadino di Livorno o dal giudice sportivo, nonostante il predetto «vilipendio» sia stato registrato e pubblicato sul web da un tifoso toscano;
          le foibe sono «tombe senza nomi e senza fiori dove regna il silenzio dei vivi e il silenzio dei morti»;
          il termine «foiba» è una corruzione dialettale del latino «fovea», che significa «fossa». Le foibe, infatti, sono voragini rocciose, a forma di imbuto rovesciato, create dall'erosione di corsi d'acqua; possono raggiungere i 200 metri di profondità. Agghiacciante è l'affermazione del prof. R. Battaglia, che scrive in proposito: «Il sottosuolo dei vasti altipiani carsici nasconde un mondo di tenebre: abissi verticali e cupi cunicoli che si perdono nel silenzio delle profondità terrestri, caverne immense, tortuose gallerie percorse da fiumane urlanti, sale incantate rivestite di cristalli, antri selvaggi che la fantasia del volgo popolò di paurose leggende»;
          le foibe furono utilizzate in diverse occasioni e, in particolare, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale per infoibare («spingere nella foiba») migliaia di italiani, colpevoli di opporsi all'espansionismo comunista slavo propugnato da Josip Broz meglio conosciuto come «Maresciallo Tito». Al riguardo è interessante riportare quanto affermato da Kardelj (vice di Tito) il quale poté affermare che «ci fu chiesto di far andar via gli italiani con tutti i mezzi e così fu fatto». Nessuno sa quanti siano stati gli infoibati: alcune stime parlano di 10-15.000 sfortunati;
          nel corso degli anni i suddetti «martiri» sono stati spesso vilipesi e dimenticati; con la legge n.  92 del 2004, approvata con voto quasi unanime dal Parlamento italiano, è stata comunque istituita la «Giornata del ricordo», ponendo così almeno ufficialmente fine alla mistificazione dell'oblio e della rimozione;
          il decreto-legge 8 febbraio 2007, n.  8, convertito dalla legge 4 aprile 2007, n.  41, recante «Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche» ha contrastato fenomeni di estremismo e fanatismo politico, collegati a movimenti di estrazione neofascista o neonazista, che un tempo prendevano visibilità negli stadi con croci celtiche, bandiere naziste, saluti romani, cori antisemiti, insulti razzisti contro giocatori di colore e che trovano un terreno di coltura nella vasta tifoseria calcistica organizzata, soprattutto nelle sue frange più estremistiche, ovvero gli ultras;
          i gruppi di ultras sono difatti un bacino di penetrazione non soltanto per quegli estremisti di destra che esaltano la violenza, la xenofobia, il sessismo e la virilità, ma anche per quei giovani che si riferiscono, più o meno consapevolmente, ai movimenti «no global», all'anarchismo, per cui non era raro vedere sugli spalti, accanto alle svastiche, bandiere rosse con l'immagine di Che Guevara;
          questi ultimi sono diffusi in Italia tra i tifosi di quasi tutti i club, nelle metropoli come in provincia, coinvolgendo migliaia di giovani sottoproletari, proletari o piccolo-borghesi, con un basso livello scolastico e un'abitudine al «linguaggio volgare e alla violenza»;
          il movimento degli ultras costituisce un forte polo di attrazione e mobilitazione giovanile, sia perché sfrutta il fascino e la passionalità del calcio, sia perché basa la sua cultura essenzialmente sull'attività dello scontro;
          lo sport, soprattutto il calcio, è spesso occasione per scatenare manifestazioni di violenza individuale e di gruppo, che provocano danni alle persone e alle cose, fino all'assassinio e alle turbolenze drammatiche proprie della guerriglia urbana. L'esercizio della violenza presenta i caratteri della gratuità, spesso collegata a situazioni di solitudine, di asocialità e di incultura. Trova i propri focolai in organizzazioni di fanatici che praticano particolari riti violenti che con lo sport hanno poco a che vedere;
          la funzione dello sport dovrebbe infatti sviluppare nei giovani un nuovo umanesimo fondato sul culto della libertà e sulla partecipazione sociale;
          fin da quando lo sport è diventato un fenomeno di elevato impatto sociale, si è sostenuto che esso rappresenta un antidoto alla violenza, perché «emblematizza» e «ritualizza» il conflitto, disciplina e scarica l'aggressività. Lo sport è ritenuto un processo simbolico che trasforma la violenza della guerra in un confronto pacifico;
          il decreto-legge 24 febbraio 2003, n.  28, recante «disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive», convertito dalla legge 24 aprile 2003 n.  88, ed, in particolare, l'articolo 1-octies ha istituito l'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive;
          tra i compiti dell'Osservatorio rientra anche la promozione d'iniziative coordinate per la prevenzione dei fenomeni di violenza e intolleranza in ambito sportivo, anche in collaborazione con associazioni, rappresentanze di tifosi organizzati e club di sostenitori, enti locali, enti statali e non statali  –:
          quali iniziative intenda intraprendere per sollecitare le competenti gerarchie ad attuare nei confronti della società sportiva della squadra di calcio del Livorno ogni iniziativa sul piano della tutela dell'ordine pubblico;
          se non ritenga altresì opportuno intervenire per sollecitare da parte del sopra citato «Osservatorio» un tavolo di confronto con rappresentanti di soggetti pubblici e privati, interessati alla prevenzione e al contrasto della violenza verbale in occasione di manifestazioni sportive, al fine di sollecitare strumenti esterni in grado di attuare le seguenti misure:
              a) stimolare atteggiamenti e stili di vita positivi, rispondenti ad una cultura di «civiltà»;
              b) portare il tifoso a far parte di un «patto socialmente approvato»;
              c) interferire con gli schemi cognitivi del tifoso violento, privandolo di alibi e giustificazioni al proprio comportamento, rafforzando il senso di appartenenza e fiducia ad una realtà territoriale;
              d) circoscrivere la parte della tifoseria aggressiva, nonché rispondere al metodo edonistico nei confronti del tifoso, attraverso un riconoscimento per la buona condotta e il rinforzo automatico del comportamento;
              e) contrastare attraverso l'empatia, l'antisocialità. (4-18584)


      FERRANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia è Paese sottoscrittore della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
          a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n.  10 del 1993 e poi più marcatamente con le sentenze nn.  348 e 349 del 2007, l'ordinamento giuridico del Consiglio d'Europa – costituito essenzialmente (anche se non in via esclusiva) dalle disposizioni della Convenzione e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti con sede a Strasburgo – è vincolante per l'ordinamento interno;
          la Repubblica è tenuta a dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti (ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione); inoltre, a mente delle citate sentenze, il complesso giuridico della CEDU si pone come parametro interposto di costituzionalità delle leggi italiane, ai sensi dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione;
          come sancito poi dalla sentenza della Corte costituzionale n.  113 del 2011, l'accertamento di una violazione di un diritto previsto dalla Convenzione costituisce – talora e con i temperamenti che si possono evincere dalle sentenze 236 del 2011 e 86 e 230 del 2012 – titolo per la revisione del processo penale;
          il progressivo riconoscimento dell'efficacia del diritto della Convenzione dei diritti nell'ordinamento interno italiano è fatto positivo per il nostro Paese, nell'ambito della costruzione e del consolidamento in Europa di un'area di prossimità giuridica in cui sia garantita la pace e un comune standard di tutela dei diritti fondamentali. Tale riconoscimento consente altresì a molti settori del nostro diritto di affrancarsi da taluni aspetti di provincialismo e asfissia dovuti al premere di interessi domestici specifici;
          peraltro, come la giurisprudenza della Corte costituzionale ha stabilito con la sentenza n.  80 del 2011, con un orientamento condiviso dalla Corte di giustizia del Lussemburgo nel caso Kamberaj (C-571/10), l'adesione di un Paese alla Cedu non comporta gli stessi oneri di disapplicazione del diritto interno contrastante, ormai invece accettati per il diritto dell'Unione europea vero e proprio;
          da questo punto di vista, ogni ordinamento dovrebbe dotarsi di strumenti normativi e amministrativi per adeguarsi con efficacia e tempismo alle pronunzie della Corte e alle risoluzioni del Comitato dei ministri;
          nondimeno vi sono pronunzie che appaiono oggettivamente problematiche. Pur nel complessivo apprezzamento per l'operato di un organo – come la Corte di Strasburgo – che ha contribuito a introdurre nell'ordinamento italiano principi di progresso e di sprovincializzazione, talune ultime pronunzie (ci si riferisce – per esempio – alle sentenze Sud Fondi, Scoppola 4 e Godelli) lasciano intravedere un'analisi carente dei casi specifici;
          sicché problema diverso e anteposto all'esecuzione è dunque quello della procedura con la quale la Repubblica italiana istruisce e sceglie la linea difensiva innanzi alla Corte di Strasburgo, sia nel patrocinio innanzi alle Camere semplici sia nelle richieste di deferimento alla Grande Chambre delle condanne delle Camere semplici;
          tale linea difensiva deve saper distinguere i casi in cui è verosimile prevedere la condanna (perché si tratta di violazioni strutturali) da quelli in cui la violazione potrebbe – sì – ritenersi inerire alla legge nazionale vigente ma in cui il caso specifico solleva, viceversa, peculiari e più minuti aspetti di fatto e di diritto, di talché resta importante che la difesa italiana esponga compiutamente le ragioni dell'uso della discrezionalità legislativa e della ponderazione degli interessi svolta in sede parlamentare e ministeriale;
          deve poi essere sottolineato che spesso gli accertamenti di violazione potrebbero essere evitati, con significativo risparmio per l'erario, aderendo ai regolamenti amichevoli che talora la stessa Corte europea dei diritti propone alle parti  –:
          quali ragguagli possano offrire in ordine alle procedure, alle istruttorie e alle linee dell'attività difensiva dell'Italia innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo;
          quali criteri siano seguiti per valutare le proposte di regolamento amichevole. (4-18586)


      LARATTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          dei cinque istituti storici nazionali afferenti alla giunta centrale di studi storici, solo per due è stato dato un contributo ministeriale per il 2012: quello del Medioevo, che già usufruisce di finanziamenti elevati ed elargiti con una legge speciale, e quello del Risorgimento, con una cifra minimale non corrispondente alle tante iniziative attuate in occasione del 150o dell'Unità. Agli istituti di storia antica, di storia moderna e contemporanea e di numismatica non è stato concesso alcun contributo;
          trattandosi di enti pubblici, che svolgono attività quotidiana di apertura delle rispettive sedi e biblioteche, nonché di ricerca e pubblicazione di fonti di storia dei rispettivi periodi di competenza, la mancata assegnazione ne paralizza ogni operosità e mette a rischio per l'Istituto di storia moderna e contemporanea perfino la presenza dei due addetti;
          in effetti, i costi di gestione annua di questi tre istituti sono limitatissimi, contenuti cioè complessivamente entro 300.000 euro: una cifra insignificante nel quadro complessivo dei finanziamenti alla cultura  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
          che cosa intenda fare per evitare la paralisi operativa per gli Istituti di storia moderna e contemporanea. (4-18590)


      LARATTA, LO MORO, MARINI e OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          gli atti criminali, l'attività mafiosa, gli attentati e le intimidazioni che investono il comune di Amantea (Cosenza) penalizzano fortemente la città, le sue attività economiche e sociali, il turismo, la stessa immagine di una comunità che da anni lotta contro tutte le forme di delinquenza;
          il comune di Amantea ha sottoscritto con la prefettura di Cosenza un protocollo d'intesa finalizzato alla prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti e concessioni di lavori pubblici e deliberato la sottoscrizione di un ulteriore protocollo sulla legalità, relativo alle autorizzazioni in materia di commercio e pubblici esercizi. Il comune ha inoltre assegnato un terreno per la costruzione della nuova caserma dei carabinieri, realizzato un moderno sistema di videosorveglianza cittadina, ha aderito all'iniziativa del consiglio regionale della Calabria con l'apposizione al municipio della targa «Qui la ’ndrangheta non entra», ha coinvolto le scuole nell'educazione alla legalità (coinvolgendo testimonial eccellenti quali Rosario Crocetta e il sostituto procuratore di Palermo Ingroia), ha promosso insieme alle forze sociali in città il coordinamento delle associazioni contro la ’ndrangheta. Tutto questo negli ultimi anni di attività amministrativa. Inoltre in città opera da qualche anno l'associazione antiracket e altri gruppi in difesa della legalità;
          a sostegno di quanto deliberato recentemente dal consiglio comunale si ritiene necessario ed urgente che il Governo metta in atto quanto in suo potere, e per quanto di competenza, al fine di ottenere il potenziamento dell'organico della locale stazione dei carabinieri e l'istituzione di un presidio della polizia a Campora San Giovanni, frazione di Amantea che ormai conta oltre tre mila abitanti;
          insieme a ciò, occorre sostenere l'attività dell'amministrazione comunale, delle associazioni, delle forze politiche e sociali che si battono per non cedere alle forti pressioni della criminalità organizzata, che si dimostra sempre più forte e attiva in molte zone del Tirreno cosentino;
          ottimo e qualificato è l'impegno dei carabinieri sul territorio, ma le stazioni del Tirreno necessitano di ulteriori mezzi e risorse per meglio agire con azioni di prevenzione e contrasto;
          la città di Amantea vive un momento delicato. Ha bisogno di essere sostenuta concretamente nella sua azione quotidiana in difesa della legalità, che deve necessariamente passare dalla prevenzione e dall'investimento nella conoscenza, nella cultura e nei luoghi di formazione per far sì che i giovani neghino sempre di più il loro sostegno alla mafia  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto su esposto;
          che cosa intenda fare, per quanto di competenza, al fine di ottenere un più forte controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine, la cui presenza va rafforzata in uomini e mezzi;
          che cosa intenda fare per sostenere l'attività del comune di Amantea, delle scuole, delle istituzioni locali e delle associazioni per la legalità, al fine di far sentire forte la presenza dello Stato sul territorio con iniziative di carattere sociale, culturale e di sviluppo. (4-18591)


      DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di febbraio 2012, il Molise è stato investito da persistenti precipitazioni a carattere nevoso che hanno di fatto paralizzato la regione con grave pericolo per l'incolumità dei residenti;
          il presidente della regione Molise, con decreto n.  22 del 3 febbraio 2012 ha dichiarato lo stato di emergenza su tutto il territorio regionale fino al 12 febbraio 2012 e ha autorizzato i sindaci a porre in essere le iniziative necessarie al superamento dell'emergenza neve anche ricorrendo in via straordinaria a soggetti privati con oneri a carico della regione Molise;
          per far fronte alle nevicate di eccezionale intensità che hanno riguardato la maggior parte del territorio nazionale, in data 8 febbraio 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, veniva disposto il coinvolgimento delle componenti e delle strutture operative del servizio nazionale della protezione civile;
          dalla lettura del sopracitato decreto si apprende che: «... il Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei ministri assicura il coordinamento degli interventi e di tutte le iniziative per fronteggiare la situazione emergenziale nonché l'adozione di ogni indispensabile provvedimento su tutto il territorio nazionale interessato dalle eccezionali avversità atmosferiche per assicurare ogni forma di assistenza e di tutela degli interessi pubblici primari delle popolazioni interessate, nonché di ogni misura idonea per la salvaguardia delle vite umane, allo scopo autorizzando le Regioni al reperimento di beni, mezzi e materiali pubblici e privati necessari, anche attraverso i sindaci, ovvero attraverso i centri di coordinamento e soccorso, istituiti a livello provinciale»;
          da notizie a mezzo stampa, si apprende che la Commissione per il fondo di solidarietà dell'Unione europea ha negato la richiesta danni avanzata da 11 regioni italiane, fra cui il Molise in quanto «l'Italia non ha presentato prove sufficienti a dimostrare che il danno è durevole, cioè ha effetti superiori a un anno»;
          nella determinazione del direttore generale dell'Agenzia regionale di protezione civile n.  12 del 12 giugno 2012, si ravvisava «la necessità nelle more della decisione finale della Presidenza del Consiglio dei ministri in ordine all'emanazione di specifici provvedimenti per il riconoscimento delle spese sostenute per l'emergenza neve di febbraio 2012, di mettere a disposizione le risorse finanziarie a copertura di almeno una parte di spese vive quali carburante per gli automezzi utilizzati per l'emergenza anche privati, approvvigionamento sale, oneri per l'utilizzo di personale spalaneve, sostenute dalle amministrazioni comunali a seguito degli eventi calamitosi di cui sopra, nella misura massima di 2.000.000 euro;
          è notizia di questi giorni che il Presidente dell'Anci (Associazione nazionale comuni italiani) Molise, Pompilio Sciulli, ha dichiarato che «le ditte che hanno effettuato i lavori di sgombero neve, ad oggi non hanno ricevuto il compenso per il lavoro legittimamente prestato» e «le stesse ditte non manifestano la propria disponibilità per la stagione invernale ormai alle porte, con tutte le conseguenze del caso»; sempre attraverso organi di stampa locale, il presidente dell'Anci Molise ha chiesto che «la regione stanzi le risorse per pagare io sgombro neve di Febbraio 2012» dal momento che i «comuni hanno posto in essere tutte le iniziative necessarie per garantire sicurezza ai cittadini, anche in considerazione del decreto del presidente della giunta regionale»  –:
          a quanto ammontino i fondi richiesti dai comuni per superare l'emergenza neve del mese di febbraio 2012 e se la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia deciso definitivamente in merito all'emanazione di specifici provvedimenti per il riconoscimento delle spese sostenute durante l'emergenza neve di febbraio 2012;
          quando intenda far fronte ai pagamenti statali visti i ritardi ormai accumulatisi. (4-18592)


      MURO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il sistema delle agenzie ambientali in Italia è stato istituito, a seguito del referendum popolare sui controlli ambientali del 18 e 19 aprile 1993, con decreto-legge 4 dicembre 1993, n.  496, recante disposizioni sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente;
          il decreto-legge 4 dicembre 1993, n.  496, è stato convertito nella legge 21 gennaio 1994, n.  61;
          la legge 21 gennaio 1994, n.  61, prevede che ogni regione si doti della propria Agenzia, nell'ambito di una rete nazionale al cui centro è posta l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, oggi Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA, istituito dall'articolo 28, comma 1, del decreto-legge n.   112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n.  133 del 2008);
          la legge n.  61 del 1994 dispone, tra l'altro, che le Agenzie regionali hanno autonomia tecnico-giuridica, amministrativa, contabile e sono poste sotto la vigilanza della presidenza della giunta regionale;
          le ARPA, insieme all'ISPRA, costituiscono un sistema federativo che trova la sua espressione nel Consiglio federale, organismo che promuove, attraverso atti d'indirizzo, raccomandazioni e attività, lo sviluppo coordinato dell'intero sistema, al fine della convergenza di strategie operative e dell'omogeneità nelle modalità di esercizio dei compiti istituzionali (articolo 15 del decreto 21 maggio 2010, n.  123 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare);
          la strumentalità dell'azione delle ARPA risiede nell'obiettivo di garantire la qualità della salute umana (articolo 32 Costituzione italiana) e dell'ambiente (articoli 2, 3, 6, 95 e 174 Trattato di istituzione della Comunità europea);
          le ARPA attuano la propria mission ispirandosi, tra l'altro, ai principi di terzietà e multireferenzialità verso le istituzioni, le imprese, i cittadini, aspetti peculiari e tra loro fortemente integrati e sinergici;
          la terzietà è un elemento di garanzia per la collettività e le istituzioni di riferimento;
          la multireferenzialità nasce dalla trasversalità e dalla complessità delle problematiche ambientali e dall'esigenza, per la natura stessa dell'attività svolta, di porsi in relazione con molteplici soggetti pubblici e privati, ponendo in essere meccanismi di integrazione, collaborazione e/o comunicazione. In tale ambito, le ARPA svolgono, tra l'altro, un ruolo «sensibile» di supporto all'autorità giudiziaria;
          l'emanazione delle leggi istitutive e l'operatività delle ARPA non è stata simultanea su tutto il territorio nazionale. Ne è conseguita una disomogeneità operativa delle Agenzie nelle diverse regioni e province autonome. I dati disponibili sul funzionamento delle ARPA evidenziano che la suddetta disomogeneità è aumentata nel tempo sia sul piano strutturale sia su quello operativo;
          nel rapporto economico dell'OCSE «OECD Economie Surveys: Italy 2011» uno dei capitoli è dedicato alle politiche ambientali, nell'ambito del quale c’è una valutazione del sistema delle Agenzie regionali per l'ambiente in cui si evidenzia una asimmetria Nord-Sud nelle performances delle ARPA;
          i dati delle performances dell'ARPA Campania, come desumibili dal confronto dei programmi annuali delle attività (in termini preventivi e consuntivi) con le principali ARPA del Centro nord, evidenziano che si è accentuato il divario tra il sistema di protezione della Salute e dell'ambiente realizzato nel Centro nord del Paese e la regione Campania. Ciò a discapito della garanzia per i cittadini della Campania, i quali, evidentemente, hanno la legittima aspettativa che la protezione di due beni universalistici, quali la salute e l'ambiente, sia applicata in condizioni di assoluta uguaglianza in tutto il Paese;
          le ragioni del divario tra l'ARPA Campania e le ARPA del centro-nord sono, evidentemente, da ricercare in primis in una non compiuta applicazione della legge n.  61 del 1994 da parte della politica di governo regionale, che sembra essersi fermata all'adempimento legislativo di istituzione dell'ARPA, abdicando poi al ruolo strategico di «governance» dell'ente;
          la suddetta logica ha fatto sì che l'ARPAC ad avviso dell'interrogante, non sia mai stata gestita in modo tale da garantire autorevolezza e terzietà, elementi fondamentali per la collettività e le istituzioni di riferimento;
          è preminente il ruolo dell'ARPAC per lo svolgimento delle attività tecnico-scientifiche per la protezione dell'ambiente di interesse regionale, e delle attività tecniche di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientale;
          tra le «prestazioni che incidono o possono incidere su diritti sociali e civili da garantire su tutto il territorio nazionale rientrano anche le prestazioni di prevenzione e protezione in campo ambientale svolte dall'ARPA Campania a supporto dell'attività amministrativa degli enti locali (regione, province, comuni), e in ultima analisi, a beneficio della collettività, in termini di tutela dell'integrità e sullo sviluppo della persona umana»;
          i riferimenti normativi del concetto di «livelli essenziali di prestazioni» pubbliche sono rinvenibili nella Costituzione. In particolare, l'articolo 117, comma 2, lettera m), attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e quindi i diritti soggettivi «ambientali» dei cittadini-utenti (locuzione mutuata dalla necessità di non ledere un diritto soggettivo che è stata tra l'altro recentemente riconosciuta come clausola di salvaguardia nei provvedimenti statali di razionalizzazione della finanza pubblica);
          tra i diritti sociali e civili da garantire, rientra la «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», competenza legislativa esclusiva dello Stato, articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione;
          il 31 dicembre 2012 è l'ultimo giorno in cui è garantito il finanziamento di lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato con l'Arpac (personale da inserire a tempo indeterminato essendo gli stessi vincitori di selezione pubblica finalizzata alla stabilizzazione, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 3, comma 94, lettera b) della legge n.  244 del 2007 e all'articolo unico, comma 560, della legge n.  296 del 2006);
          tali lavoratori costituiscono circa il 50 per cento della dotazione organica dell'ente e, pertanto, nel caso di mancata previsione del loro finanziamento nei documenti programmatici di bilancio 2013 della regione Campania, ciò determinerà di fatto la cancellazione dell'unico ente pubblico di prevenzione e protezione dell'ambiente e della salute della regione Campania;
          è noto il sottodimensionamento dell'organico (deliberazione del direttore generale dell'ARPAC n.  111 del 5 marzo 2012 che attesta 590 unità di personale, incluso a tempo determinato, a fronte di una dotazione organica di 793 unità);
          l'attenzione da parte del Governo sul settore della tutela dell'ambiente di competenza regionale campana è sempre molto alta e ha diverse volte condotto a commissariamenti  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda prendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di ottemperare all'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione per la «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» per garantire i livelli essenziali delle prestazioni uniformemente su tutto il territorio nazionale. (4-18595)


      GIULIETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          è tuttora vigente l'articolo 19 della legge n.  262 del 2005 che impone il trasferimento della proprietà della Banca d'Italia allo Stato e a enti pubblici, prevedendo così una specie di nazionalizzazione;
          questa norma, ad avviso dell'interrogante, realizza una espropriazione dei titolari delle quote, i diversi intermediari, e soprattutto contrasta nettamente con l'indipendenza della Banca d'Italia sancita dai trattati europei come banca centrale nazionale e ricavabile dall'articolo 47 della Costituzione  –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere in ordine alla citata norma, che stabilisce il trasferimento allo Stato e a enti pubblici delle quote del capitale della Banca d'Italia;
          se concordi sulla opportunità, evidenziata anche per ragioni di immagine, nel 2008 dall'allora governatore Mario Draghi, di assumere iniziative per risistemare il capitale della Banca d'Italia pure in presenza di norme di legge che prevengono la commistione controllore-controllati, innanzitutto promuovendo l'abrogazione della suddetta disposizione statalizzatrice  –:
          se non ritenga che una decisione vada assunta in tempi brevi dopo che la stessa Banca ha dichiarato, in una intervista della scorsa estate del governatore Ignazio Visco, di essere pronta ad affrontare, per la parte di competenza, questo argomento. (4-18600)


      DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in data 29-30 maggio 2011 si svolgevano le elezioni amministrative per il rinnovo degli organi politici del comune di Falcone (Messina) cui partecipavano tre candidati a sindaco (l'uscente avvocato Santi Cirella, il dottor Marco Filiti e il signor Francesco Salpietro) nonché trentasei candidati nelle tre liste per il consiglio comunale;
          la competizione elettorale registrava la riconferma dell'avvocato Santi Cirella con 963 voti, contro i 729 del Filiti e i 352 del Sampietro;
          tra i candidati al consiglio comunale, la più votata di tutta la competizione, con 159 preferenze, risultava la signora Maria Calcò Labruzzo, da molti anni residente nel comune di Milano per motivi di studio e sino ad allora – come dalla stessa più volte dichiarato sia in campagna elettorale che in consiglio comunale – sostanzialmente estranea alla vita sociale, politica e amministrativa del comune di Falcone;
          in data 25 giugno 2011, nell'ambito delle operazioni antimafia denominate «Gotha» e «Pozzo 2» condotte dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina contro esponenti mafiosi delle città di Barcellona Pozzo di Gotto e Mazzarrà Sant'Andrea (indagini investigative supportate dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Carmelo Bisognano di Mazzarrà Sant'Andrea e Santo Gullo di Falcone) i mezzi di comunicazione davano notizia dell'arresto del signor Salvatore Calcò Labruzzo, zio della neoeletta al consiglio comunale Maria Calcò Labruzzo nonché soggetto attivo nella ricerca del consenso elettorale;
          nel corso dei mesi successivi al suo arresto, il signor Salvatore Calcò Labruzzo – frattanto sottoposto al regime carcerario del 41-bis e accusato di omicidio nonché proprietario della masseria in cui si sarebbero svolte esecuzioni e sepolture durante gli anni della cruenta guerra di mafia – viene indicato dagli inquirenti come membro di spicco della cosca e, proprio in concomitanza con il periodo delle trattative per la composizione delle liste per la campagna elettorale, addirittura come il principale punto di riferimento sul territorio della malavita organizzata stante il regime di detenzione a cui erano sottoposti gli altri membri del clan;
          il rango criminale di un personaggio come Salvatore Calcò Labruzzo è stato ampiamente delineato sia dalle numerose dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sia dalla relazione annuale dal dottor Guido lo Forte, procuratore capo di Messina, che lo ha indicato come membro attivo della cosiddetta élite della cosca mafiosa del comprensorio;
          persino il libro-inchiesta «La collina della munnizza» di Carmelo Catania (pubblicato nel 2012 da Nicola Calabria editore) – in cui si traccia un quadro piuttosto esauriente sul grado di penetrazione mafiosa nella gestione della discarica comprensoriale dei rifiuti nel vicino comune di Mazzarrà Sant'Andrea (sulla discarica di Mazzarà la commissione Pecorella si è pronunciata in questi termini: «negli ultimi anni, uno degli affari più importanti dal punto di vista del settore della gestione e dello smaltimento dei rifiuti, è stato quello della discarica di Mazzarà Sant'Andrea, discarica che per una serie di ragioni è stata deputata a servire le esigenze di smaltimento rifiuti della maggior parte dei comuni della provincia di Messina. Proprio con riferimento alla discarica di Mazzarrà sarebbe emersa una sorta di gestione non ufficiale da parte della mafia barcellonese») – nel ripercorrere le tappe dell'inchiesta denominata «Vivaio» sulla cosca mafiosa del comprensorio, svela quanto accaduto nei giorni della campagna elettorale presso il comune di Falcone e, attraverso le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Santo Cullo, evidenzia il ruolo di primo piano assunto dal Salvatore Calcò Labruzzo nella organizzazione malavitosa: «Dopo Bisognano, al processo “Vivaio” fa la comparsa un altro pentito. Santo Cullo, che venne sentito a cominciare dall'udienza del 17 ottobre 2011. La collaborazione di Santo Cullo, 47 anni, insospettabile meccanico di Falcone, ha avuto inizio il 4 aprile 2011 (ovvero a meno di due mesi dal voto) e per tutto il mese di aprile sarebbe andata avanti così: Gullo il giorno prima incontrava il pastore Salvatore Calcò Labruzzo, 59 anni, che curava – in assenza dei capi cosca – i collegamenti tra i vari componenti della famiglia. All'indomani di ogni incontro con il Calcò, Gullo riferiva ai carabinieri del Ros che annotavano e predisponevano le indagini i cui effetti non sono ancora noti. Il pentito raccontava, ad esempio, della raccolta delle tangenti provenienti dalla discarica di Mazzarrà e della suddivisione che ne faceva Salvatore Calcò Labruzzo tra tutti i componenti della cosca a piede libero e tra quanti, boss e gregari, erano in carcere»;
          da quanto si apprende dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia riportate dagli organi di stampa, il livello di condizionamento esercitato dalle cosche mafiose sulla vita amministrativa di diversi comuni del comprensorio è consistito, altresì, nel pilotare gare d'appalto «addomesticando» funzionari pubblici. Più in particolare, oltre a descrivere le modalità con cui le imprese di fiducia dei clan vincevano le gare, il pentito Carmelo Bisognano – nel caso specifico del comune di Falcone – ha dichiarato che la mafia aveva «in mano» l'ufficio tecnico, facendo riferimento al suo responsabile, geometra Antonio Fugazzotto;
          secondo quanto emerso da una recente inchiesta giornalistica pubblicata dalla rivista I Siciliani nel mese di agosto 2012 e intitolata «Falcone colonia di mafia tra Tindari e Barcellona» a firma del giornalista Antonio Mazzeo, dopo una prima fase di attrito col sindaco Cirella, in cui venne estromesso dal ruolo di responsabile dell'area tecnica del comune di Falcone con la nomina di un tecnico esterno (ingegner Giovanni Martella), il geometra Antonio Fugazzotto – nel periodo immediatamente successivo alla tragica alluvione che ha interessato il comune di Falcone nel dicembre 2008 – venne nominato responsabile dell’«area tecnico manutentiva di protezione civile» dell'ente, facendo così da regista agli interventi e affidamenti che le imprese (molte delle quali coinvolte in inchieste di mafia e nello scioglimento per infiltrazione mafiosa del vicino comune di Furnari) hanno messo in opera durante e dopo l'emergenza alluvionale. Secondo quanto ripetutamente segnalato da diversi consiglieri comunali di Falcone dell'attuale e della precedente consiliatura, gli incarichi alle imprese e gli interventi posti in essere durante l'alluvione non vennero mai registrati nel protocollo generale del comune, finendo in un fantomatico protocollo speciale di cui ad oggi, nonostante le reiterate richieste, nessun rappresentante del civico consesso ha mai potuto prendere visione;
          sempre secondo quanto riportato nell'inchiesta della rivista I Siciliani, anche la figura dell'attuale vice sindaco del comune di Falcone, ragioniere Pietro Bottiglieri (candidato a sindaco sconfitto dal Cirella nella competizione elettorale del 2006, successivamente passato nella giunta comunale di quest'ultimo qualche settimana dopo la tragica alluvione del dicembre 2008) sembra meritoria di attenzioni e approfondimenti: il Bottiglieri, dopo avere prestato servizio trentennale quale ragioniere del comune di Falcone, ha espletato il ruolo di esperto contabile nei comuni di Terme Vigliatore e Furnari (entrambi sciolti per infiltrazioni mafiose) ed è risultato appartenere alla loggia massonica «Ausonia» di Barcellona Pozzo di Gotto, sotto inchiesta dal 2009 per presunta violazione della legge Anselmi-Spadolini che vieta la costituzione di associazioni segrete. Inoltre, secondo quanto emerso dai procedimenti «Gotha» e «Pozzo», una delle figlie del Bottiglieri è sposata con un nipote del boss barcellonese avvocato Rosario Pio Cattafi (attualmente sottoposto al regime del 41-bis) e dagli atti d'indagine è emerso un episodio che evidenzia come lo stesso Bottiglieri (attuale vice sindaco al comune di Falcone), già al momento della composizione delle liste dei candidati al consiglio comunale, fosse a conoscenza del calibro malavitoso del signor Salvatore Calcò Labruzzo: la vicenda riguarda un atto estorsivo che le cosche locali intendevano imporre alla tabaccheria di Falcone di proprietà del ragioniere Pietro Bottiglieri e il collaboratore di giustizia Santo Gullo riferisce che a tale scopo «nel 1995 io e il Calcò Labruzzo abbiamo avvicinato Pietro Bottiglieri, proprietario di un tabacchino. Il Bottiglieri temporeggiò e contattò tale Mida Nunzio... soggetto che si occupava di estorsioni e amico dei fratelli Ofria... Sem Di Salvo contattò Carmelo Messina e gli disse di comunicare al Bottiglieri di pagare a me ed a Calcò Labruzzo... dal momento che era sempre la stessa cosa. Ricordo che Di Salvo disse – o a Barcellona o a Falcone non cambia niente, tanto i soldi vanno a finire sempre alla stessa famiglia»;
          sembrerebbero emergere ulteriori elementi su collegamenti – diretti o indiretti – di rappresentanti istituzionali del comune di Falcone con personaggi già condannati per associazione mafiosa: caso eclatante – anch'esso evidenziato nell'inchiesta pubblicata sulla rivista I Siciliani – riguarda l'attuale consigliere comunale di maggioranza, signor Francesco Paratore, cognato dell'imprenditore Salvatore Campanino, condannato a otto anni di reclusione nel processo «Vivaio» nonché tra gli indagati eccellenti del procedimento «Gotha 3» insieme al boss Rosario Pio Cattafi e al già citato Salvatore Calcò Labruzzo: quella di Salvatore Campanino risulta essere una delle imprese «in odor di mafia» reclutate dall'amministrazione comunale durante gli interventi emergenziali dell'alluvione del 2008;
          secondo quanto segnalato da alcuni consiglieri comunali vi sarebbe poi la posizione del signor Giuseppe Sofia, assessore nominato nel 2011, già titolare di una concessione edilizia per la realizzazione di strutture abitative in un'area dichiarata ad altissimo rischio di dissesto idrogeologico che, nonostante siano ricadenti su una falda attiva, nulla ne ha impedito la realizzazione pochi mesi dopo l'alluvione del dicembre 2008. Il padre, signor Sebastiano Sofia, notoriamente amico dell'ex boss ed ora collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, risulta essere titolare di una impresa edile che, nonostante la presenza del figlio in giunta, continua a realizzare interventi di somma urgenza per il comune di Falcone. Inoltre – secondo quanto emerso dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – in occasione dei lavori di metanizzazione realizzati intorno all'anno 2000 nei vari comuni del comprensorio, la locale cosca mafiosa si attivò presso i vari funzionari di riferimento per l'assegnazione dei lavori ad imprenditori «amici»: la ditta del signor Sofia Sebastiano fu tra le imprese che realizzarono tali lavori non solo a Falcone, ma anche in comuni limitrofi. Infine, diverse segnalazioni di alcuni consiglieri comunali evidenziano che nel 2009 al signor Sebastiano Sofia venne incaricato di realizzare il lungomare senza che venisse svolta alcuna gara d'appalto: un affidamento diretto per la cifra di 125.000 euro (peraltro oggetto di esposto da parte di nove consiglieri durante la trascorsa consiliatura) che – secondo quanto riferito da alcuni esponenti del civico consesso – contribuì a convincere il Sebastiano Sofia a sostenere la successiva campagna elettorale del sindaco Cirella il quale, effettivamente, ebbe a nominare il figlio Giuseppe quale assessore con deleghe all'urbanistica, all'edilizia e alla viabilità;
          nel corso degli ultimi anni il grado di ingerenza mafiosa nelle pubbliche amministrazioni del comprensorio ha portato al recente accesso prefettizio presso il comune di Barcellona Pozzo di Gotto nonché allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del consiglio comunale di Furnari e di Terme Vigliatore;
          a parere dell'interrogante appare grave l'intreccio di responsabilità tra amministratori locali, funzionari e personaggi in odor di mafia che, predisponendo in apparente sinergia atti amministrativi, hanno concorso ad azionare un meccanismo che ha stravolto la buona amministrazione del comune di Falcone e, contestualmente, consentito di liberare fiumi di denaro attraverso la realizzazione di opere non soggette ad alcun sistema di gara d'appalto e finanziabili con la pratica della discrezionalità  –:
          se siano a conoscenza di quanto sopra riferito;
          se la competente procura della Repubblica abbia avviato sul punto le opportune indagini;
          quali provvedimenti e/o iniziative intendano mettere in atto, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, per verificare e prevenire fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso nei servizi e nell'attività amministrativa del comune di Falcone;
          se non si ritenga necessario e urgente predisporre un accesso prefettizio presso il comune di Falcone ed i suoi organi amministrativi per verificare se – a seguito delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – ricorrano pericoli di infiltrazione di tipo mafioso nei servizi dell'Ente e per verificare se, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 143 e seguenti del decreto legislativo n.  267 del 18 agosto 2000, emergano elementi su collegamenti, diretti o indiretti, degli amministratori stessi tali da compromettere la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento della amministrazione del comune di Falcone, nonché il regolare funzionamento dei servizi allo stesso affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. (4-18604)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo Bilderberg (detto anche conferenza Bilderberg o club Bilderberg) è un incontro annuale per inviti, non ufficiale, di circa 130 partecipanti, la maggior parte dei quali sono personalità influenti in campo economico, politico e bancario. I partecipanti trattano una grande varietà di temi globali, economici, militari e politici. Il gruppo si riunisce annualmente in hotel o resort di lusso in varie parti del mondo, normalmente in Europa, e una volta ogni quattro anni negli Stati Uniti o in Canada. Ha un ufficio a Leida nei Paesi Bassi. I nomi dei partecipanti sono resi pubblici attraverso la stampa, ma la conferenza è chiusa al pubblico e ai media. Dato che le discussioni durante questa conferenza non sono mai registrate o riportate all'esterno, questi incontri sono stati oggetto di critiche e di varie teorie del complotto, come ad esempio quella sostenuta da Daniel Estulin nel libro Il Club Bilderberg;
          il 13 novembre 2012 sul quotidiano Libero è apparso l'articolo: «La setta dei potenti colta sul fatto oggi vertice a Roma» a firma di Brunella Bolloli;
          secondo il quotidiano «I potentissimi e riservatissimi membri del Gruppo Bilderberg, nato nel ’54 in Olanda, élite ristretta di personalità influenti in campo economico politico e bancario. (...). I partecipanti trattano temi globali, dall'economia alla politica alle questioni militari, a volte decidono i destini del mondo, per chi tifare e chi scaricare, e per farlo si incontrano una volta all'anno in zone diverse del pianeta, dagli States alla Turchia»;
          questa volta l'esclusivo club ha scelto la città eterna per tenere la sua 61a sessione di lavori. Tema principe della discussione: il commissariamento dei Paesi euro più a rischio, cioè Italia, Spagna e Grecia;
          la giornalista Bolloli ha scritto: «Dal sito internet dell'associazione (che molti paragonano a una loggia massonica per il carattere di segretezza) manca ogni riferimento all'adunata odierna. Ultimo summit di cui c’è traccia: quello a Chantily in Virginia nel 2011. Pochissimi sapevano del vertice romano» inoltre «Nella lista degli invitati che contano invitati al prestigioso simposio figurano: il premier Mario Monti e la sua squadra, il Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, il duo Elsa Fornero e Paola Severino, il titolare dell'istruzione Francesco Profumo, anche se dal suo entourage dicono che in agenda non vi è nulla del genere. Era stata invitata anche Anna Maria Cancellieri, titolare del Viminale, ma pare sia l'unica ad avere subito disdetto l'appuntamento. Previsto, invece, Giuliano Amato» infine il grande regista della tre giorni di Bilderberg sarebbe Telecom in quanto «Franco Bernabò è membro da tempo»;
          in data 15 novembre 2012 su La7 il programma «servizio pubblico» ha dedicato un servizio televisivo di Giulia Innocenzi nel quale taluni asserivano nel fare ingresso ad una cena tenuta ai musei capitolini che fossero convenuti per l'incontro del gruppo Bilderberg;
          alcuni autori vedono in questo Gruppo un governo mondiale embrionale e gli attribuiscono le principali decisioni politiche, culturali, economiche e militari della seconda metà del ventesimo secolo. Una interpretazione sostenuta da Fidel Castro, ma nulla lo conferma né lo smentisce;
          come sostiene Thierry Meyssan quelle circolanti sarebbero ipotesi «per mascherare la vera identità e funzione del Gruppo: il Bilderberg è una creazione della NATO. Mira a convincere i leader e attraverso di loro, a manipolare l'opinione pubblica, per farla aderire ai concetti e alle azioni dell'Alleanza Atlantica»  –:
          se risulti al Governo che nei giorni del 12-13-14 novembre o forse oltre si sia tenuta a Roma la 61a conferenza Bilderberg, se e quali ministri abbiano accettato l'invito a partecipare ai lavori dell'organizzazione e di che organizzazione si tratti realmente, quali scopi persegue;
          di quali informazioni si disponga su questo gruppo e quali sarebbero stati gli esiti dell'incontro. (4-18605)


      PORFIDIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          dalla stampa si apprende che il club Bilderberg raccoglie periodicamente imprenditori, top manager, figure politiche di elevata statura e prende il nome dall'Hotel in cui, in Olanda, si svolse la prima riunione, nel 1954. Gli incontri del gruppo sono improntati alla massima franchezza su tutti i principali temi della politica e dell'economia ed è per questo, per preservare tale franchezza — spiegano alcuni partecipanti — che sono «off the record», ossia in forma ufficiosa;
          si tratta dunque di un forum internazionale informale che prevede una conferenza annuale. Gli inviti sono fatti dal presidente, previa consultazione con i membri del comitato direttivo. I partecipanti sono scelti per la loro esperienza, le loro conoscenze, la loro posizione e il loro possibile contributo al programma selezionato;
          in media sono 120 i partecipanti di cui due terzi provengono dall'Europa e il resto dal Nord America. Circa un terzo rappresenta la politica e due terzi la finanza. Agli incontri non sarebbe ammessa la stampa e non vengono diramati comunicati ufficiali in merito alle decisioni prese;
          ai primi di luglio 2012 la riunione era stata tenuta a Chantily, un paesino non lontano da Washington.  Allora, a detta di molti, si erano ritrovati per decidere sul futuro degli Stati Uniti d'America, oggi al centro dei lavori ci sarebbe invece il futuro dell'Unione europea e, in particolar modo, dei Piigs — i Paesi a rischio default;
          si apprende dalla stampa che in data 13 novembre 2012 si è svolta a Roma una cena del gruppo Bilderberg presso l'Hotel de Russie a via del Babuino al quale hanno preso parte anche il Presidente Monti ed altri Ministri dell'attuale Governo in carica;
          in data 14 novembre 2012 si è svolto il convegno del gruppo al quale però il Presidente Monti non ha partecipato perché impegnato in una visita ufficiale in Algeria  –:
          quali siano i motivi per i quali il Presidente del Consiglio, in qualità di Capo del Governo della Repubblica italiana e quindi di figura istituzionale, non ha ritenuto partecipare al convegno vero e proprio del 14 novembre 2012 anziché alla cena del 13 — anche inviando un suo delegato o rappresentante;
          se non ritenga di comunicare al Parlamento in forma ufficiale i temi trattati e le decisioni prese durante l'incontro del gruppo con particolare interesse per il futuro economico dell'Italia e del generale assetto dell'Eurozona, anche in relazione ai nuovi scenari internazionali conseguenti alla crisi siriana ed al conflitto di Gaza. (4-18606)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


      PISICCHIO. —Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in data 24 ottobre 2012, secondo quando si è potuto appurare sulla base di informazioni non ufficiali, si è verificato il decesso a Londra di Vincenzo Sirchia, un cittadino italiano residente da qualche anno nella capitale britannica;
          l'informazione circa l'avvenuto decesso è stata, infatti trasmessa non dalle autorità, ma solo in via cortese ai familiari, con una telefonata alla madre avvenuta il giorno 12 novembre 2012, quasi venti giorni dopo il verificarsi dell'evento, telefonata fatta da un amico del defunto che avrebbe tentato più volte e vanamente di mettersi in contatto con lui;
          le circostanze del decesso restano ancora oscure: secondo il racconto della sua convivente, sarebbe stato trovato privo di vita nella vasca da bagno dell'appartamento in cui convivevano;
          per quel che risulta alla famiglia, che basa le sue informazioni sulla frammentaria narrazione degli amici del defunto, non sarebbe stato fatto alcun riconoscimento da parte degli amici, tantomeno da parte di familiari, avendo, evidentemente, la polizia locale ritenute bastanti le dichiarazioni della convivente;
          la salma sarebbe ora custodita presso l'obitorio del Thomas Hospital, Westminster Bridge Road, Londra SE1 7EH e, considerate le circostanze della morte, è posta sotto la giurisdizione dell'ufficio di medicina legale, il London Coroners Office, Tennis Street, Londra SE1 1JD. L'ufficiale incaricato (coroner's officer in charge) del caso è Sally Derbyshire T;
          la causa della morte non è ancora stata appurata. L'ufficiale medico ha già avviato un inchiesta e ha richiesto che venga effettuato un esame tossicologico  –:
          quali urgenti iniziative il Ministro intenda adottare presso le autorità britanniche per consentire alla famiglia del defunto Vincenzo Sirchia di avere piena contezza dell'accaduto e poter reclamare la salma in tempi brevi, tenuto conto anche del fatto che, a quanto è dato sapere, la diplomazia italiana a Londra non sarebbe stata coinvolta in alcun modo. (4-18569)


      GARAVINI e PORTA. —Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del cosiddetto piano di «razionalizzazione» il consiglio di amministrazione del Ministero degli affari esteri ha deliberato un pesante arretramento della presenza istituzionale italiana all'estero disponendo la chiusura di numerose sedi consolari, in particolare in Europa;
          il 1o luglio del 2011, insieme ad altre sedi, è stato chiuso il consolato di Liegi che forniva servizi a una delle comunità italiane più consistenti in Europa, che conta quasi 80.000 connazionali;
          la chiusura del consolato ha prodotto forte scontento non solo tra i connazionali residenti nella circoscrizione consolare, ma anche tra importanti autorità locali, a livello cittadino, nazionale e del parlamento europeo;
          ricordando come gli italiani siano fondamentali per il tessuto economico, sociale ed imprenditoriale dell'area di Liegi, il sindaco Willy Demeyer e l'eurodeputato Marc Tarabella hanno lanciato un appello alle autorità diplomatiche italiane per individuare soluzioni alternative alla chiusura; appello lasciato cadere nel vuoto dall'allora Governo Berlusconi;
          la disponibilità espressa dalle istituzioni belghe è stata successivamente confermata attraverso la messa a disposizione a titolo gratuito di due locali, nei quali opera attualmente il console onorario di recente nomina;
          il console onorario rappresenta un punto di riferimento autorevole per gli interlocutori internazionali e locali, ma non è nelle condizioni di fornire servizi ai connazionali; motivo per il quale questi si vedono costretti a recarsi presso il consolato di Charleroi, che dista più di 100 chilometri  –:
          se il Ministro degli affari esteri non intenda affiancare al console onorario a Liegi un funzionario consolare in grado di assicurare, almeno due giorni a settimana, un'adeguata offerta di servizi ai numerosi connazionali residenti nella ex-circoscrizione. (4-18577)

AFFARI REGIONALI, TURISMO E SPORT

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
          le concessioni di beni demaniali marittimi per finalità turistico-ricreative, sono ormai da anni considerate un problema anziché un'opportunità di sviluppo per il turismo italiano;
          le misure previste nella direttiva 123/2006/CE, relativa ai servizi nel mercato interno ed in particolare l'articolo 12 di tale direttiva, hanno imposto, per le autorizzazioni di numero limitato, la procedura di gara ad evidenza pubblica con adeguata pubblicità, una durata limitata e il divieto del rinnovo automatico;
          nel nostro Paese l'utilizzo dei litorali a fini turistico-balneari ha una storia peculiare e antica rispetto a tutto il resto d'Europa, la conduzione di uno stabilimento balneare è una vera e propria attività imprenditoriale complessa, caratterizzata da rilevanti investimenti di carattere strutturale e occupazionale che rende tali imprese sostanzialmente diverse da semplici attività di servizio;
          per mettere fine alla situazione di stallo che danneggia le imprese e il comparto turistico, creatasi a seguito del recepimento della direttiva servizi, il Governo ha sottoposto alle associazioni di categoria una bozza di schema di decreto legislativo recante la revisione e il riordino della legislazione in materia di concessioni demaniali marittime ai sensi dell'articolo 11, comma 2, della legge 15 dicembre 2011, n.  217;
          la bozza prevede che la durata delle concessioni non possa essere inferiore a sei anni, né superiore a venticinque anni e che il loro affidamento debba avvenire mediante procedure competitive di selezione tra i candidati potenziali basate sulla migliore offerta, selezionata con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base di un piano economico-finanziario di copertura degli investimenti e della connessa gestione per l'arco temporale oggetto della concessione;
          la professionalità acquisita dall'offerente nell'esercizio di concessioni di beni demaniali marittimi per finalità turistico-ricreative, secondo la bozza di decreto, sarà valutata nel limite del 40 per cento del punteggio complessivo solo in fase di prima applicazione del decreto medesimo;
          il 5 ottobre 2012 il Governo spagnolo ha approvato la riforma della legge costiera del 1988 che consente di salvaguardare circa 3000 imprese che operano sulle spiagge spagnole e migliaia di case di proprietà privata che insistono sul territorio marittimo-terrestre di proprietà pubblica, estendendo per altri 75 anni la concessione agli attuali titolari;
          la proposta di legge spagnola mira a risolvere una situazione specifica di grande incertezza giuridica che si era venuta a creare in Spagna, con una soluzione che la Commissione europea sembra aver ritenuto compatibile con la direttiva 123/2006/CE relativa ai servizi nel mercato interno e con i princìpi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità;
          le associazioni di categoria rappresentative delle imprese balneari ritengono che, se tale posizione della Commissione europea dovesse essere confermata, una misura del genere potrebbe essere riprodotta anche in altri Paesi, in particolare per quanto riguarda le concessioni balneari italiane ed hanno chiesto al Governo di difendere la peculiarità delle imprese balneari italiane in sede europea, al fine di giungere all'adozione di un testo che preveda, come è accaduto in Spagna, una congrua durata delle concessioni in essere;
          pur nella consapevolezza che la situazione delle coste spagnole è del tutto differente da quella italiana e che una analoga proposta alla Commissione europea da parte del Governo italiano, riguardo alla durata delle concessioni, potrebbe dare esiti differenti, è indispensabile approfondire l'eventualità di un riflesso negativo, per il nostro Paese, che una diversa applicazione della direttiva servizi in Italia e in Spagna potrebbe comportare dal punto di vista competitivo, considerato che i due Paesi sono entrambi fortemente presenti nel turismo balneare  –:
          quali iniziative intendano assumere nei confronti della Commissione europea e quali iniziative intendano negoziare al fine di ottenere equità nel trattamento tra il nostro Paese e la Spagna, riguardo alla direttiva 123/2006/CE, relativa ai servizi nel mercato interno.
(2-01744) «Marchioni, Agostini, Amici, Carella, Cavallaro, Cilluffo, Fadda, Giacomelli, Ginefra, Giovanelli, Levi, Marchignoli, Mariani, Mastromauro, Merloni, Miglioli, Mogherini Rebesani, Morassut, Murer, Portas, Recchia, Rosato, Rossa, Rossomando, Antonino Russo, Sanga, Tempestini, Livia Turco, Velo, Viola, Zaccaria, Zucchi, Bobba, Bratti, Gozi, Margiotta, Samperi, Ferrari, Misiani, Minniti, Oliverio, Pedoto, Graziano, Baretta».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GRAZIANO e PICIERNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la discarica in località Cantarella, ai piedi del Monte Petrino, nel comune di Mondragone, in provincia di Caserta, è la rappresentazione evidente di come la cattiva gestione sia il presupposto di un grave danno ambientale e i numerosi incendi che si sono susseguiti nel tempo rischiano di farla diventare una vera e propria bomba ecologica;
          il sito di trasferenza per i rifiuti solidi urbani è stato previsto con delibera di giunta comunale del 16 aprile 2004, n.  123, all'interno di una vecchia cava montana dismessa, a ridosso di un'area di grande interesse archeologico, il parco archeologico dell'Appia Antica, su un terreno preso in fitto dal comune. In fase di realizzazione le norme di sicurezza predisposte hanno previsto la realizzazione di una geo-membrana per difendere il terreno dal contatto con i rifiuti e un sistema di aspirazione del percolato, liquido scaturente dall'immondizia, per dirigerlo verso delle cisterne ed evitare che penetrasse nel terreno, inquinandolo;
          al momento dell'apertura tuttavia si sono verificate le prime difficoltà. L'azienda sanitaria locale interessata e l'agenzia regionale protezione ambiente della Campania hanno dato parere negativo all'apertura del sito, ritenuto inadeguato allo scopo. Ciò nonostante, l'amministrazione comunale ha ritenuto che si potesse procedere;
          da quando è stata aperta, la discarica è stata interessata da diversi incendi, che hanno lesionato la membrana e buona parte dell'impianto di aspirazione, e da continui sversamenti di immondizia anche dopo gli incendi. Questa situazione è stata oggetto di denunce, documentate anche da fotografie scattate dai residenti della zona, prima e dopo gli incendi;
          dalla documentazione è possibile osservare come cumuli di immondizia di ogni tipologia (materiale di risulta, carcasse di auto, copertoni, elettrodomestici, materiale eternit) siano stati coperti da uno strato di terriccio e altri si trovano fuori della membrana di protezione. Resta incerto il funzionamento dell'impianto elettrico funzionale all'attivazione del sistema di aspirazione del percolato;
          le ispezioni e i sopralluoghi delle autorità sanitarie competenti, successive alle denunce, hanno evidenziato ancora una volta l'assoluta inidoneità del sito. Successivamente, la magistratura ne ha predisposto la chiusura e il sequestro. Nel 2010 l'amministrazione comunale ha avviato iniziative preliminari e funzionali alle operazioni di svuotamento e bonifica del sito di stoccaggio temporaneo. Attualmente il sito si trova in uno stato di abbandono totale, accessibile a tutti, privo di un cancello che ne possa vietare l'ingresso o di un cartello che ne segnali il pericolo;
          non si comprendono le ragioni della inosservanza del parere negativo delle autorità sanitarie competenti all'atto dell'apertura della discarica che ha messo a rischio la salute del territorio e dei suoi cittadini;
          non si comprendono neppure le ragioni per le quali l'organo preposto al controllo del funzionamento della discarica sia lo stesso che ha realizzato e gestito la discarica. La sovrapposizione delle due figure di soggetto controllore e soggetto controllato lasciano insoluta la questione sulla imparziale garanzia circa il funzionamento dell'impianto realizzato per sversare il percolato nelle cisterne e la sua efficienza;
          non vanno sottaciuti poi i danni dell'ingente quantità di diossina e dei fumi tossici, sprigionatisi dai continui incendi, alle coltivazioni e ai pascoli, alla comunità, alla sua salute e alla sua economia. Questi elementi insieme all'aria mefitica della discarica hanno trasformato un sito che in un recente passato ha ospitato un importante evento culturale, Teatri di Pietra, in un'area di fuochi e veleni;
          il degrado ambientale e lo stato di abbandono del sito continuano a deturpare un'area che, per la sua valenza archeologica, dovrebbe invece essere valorizzata e riqualificata sotto il profilo paesaggistico e culturale;
          il sito è censito tra quelli potenzialmente contaminati nell'ambito del sito di interesse nazionale (SIN) «Litorale Domizio Flegreo ed Agro Aversano», come da Allegato 4, Tabella 4.2, del piano regionale di bonifica dei siti inquinati della regione Campania, adottato con deliberazione di giunta regionale n.  387 del 31 luglio 2012. Su di esso non è stata avviata alcuna procedura operativa prevista a norma dell'articolo 242 del decreto legislativo n.  152 del 2006, anche perché la colpevole e discutibile gestione del sito non ha comportato finora né l'individuazione dei responsabili dell'inquinamento, né tantomeno la messa in atto di interventi di manutenzione alcuna ovvero di sicurezza sanitaria e ambientale che prevenissero l'ulteriore contaminazione del territorio;
          per il sito in parola è evidente l'inattuazione delle previsioni a norma dell'articolo 250 del decreto legislativo n.  152 del 2006 e la necessità di un intervento ministeriale urgente a norma dell'articolo 252 del medesimo provvedimento  –:
          quali iniziative e misure urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere, anche in collaborazione con le istituzioni locali e gli organismi interessati ai fini della bonifica, allo scopo di garantire quanto prima la riqualificazione del sito in località Cantarella e di ridurre le esposizioni della comunità interessata agli inquinanti ambientali. (5-08460)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


      PIONATI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto legislativo 28 settembre 2012, n.  178, recante «Riorganizzazione dell'Associazione Italiana della Croce Rossa (CRI), a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n.  183», recentemente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (S.O. n.  245 dd. 19 ottobre 2012), sono state anche dettate norme modificative inerenti l’ex Corpo militare della Croce rossa italiana, ora denominato, ai sensi dell'articolo 5, «Corpo militare volontario»;
          all'articolo 1, comma 2, primo periodo, del citato decreto legislativo, viene affermato che: «Dal 1o gennaio 2014 l'Associazione è l'unica Società Nazionale di Croce rossa autorizzata ad operare sul territorio nazionale quale organizzazione di soccorso volontario conforme alle Convenzioni di Ginevra del 1949, ai relativi protocolli aggiuntivi, di seguito denominati Convenzioni e Protocolli, ai principi fondamentali del Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, di seguito denominato Movimento, non che alle risoluzioni e decisioni degli organi del medesimo, utilizzando gli emblemi previsti e autorizzati dai predetti atti»;
          sempre allo stesso articolo, al comma 4, nell'elencazione delle attività d'interesse pubblico cui l'Associazione della Croce rossa Italiana è autorizzata all'esercizio, figura al punto g): «svolgere attività ausiliaria delle Forze Armate, in Italia ed all'estero, in tempo di pace o di grave crisi internazionale, attraverso il Corpo Militare Volontario e il Corpo delle Infermiere Volontarie, secondo le regole determinate dal Movimento»;
          a detta dell'interrogante, si evince, ictu oculi, che la condizione dettata dalla «Convenzione di Ginevra per migliorare la sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna» (detta 1a Convenzione di Ginevra del 1949) affinché il personale della Società italiana di Croce rossa possa godere delle guarentigie previste dalla stessa Convenzione è quella di sottoporre alle leggi e ai regolamenti militari tale personale;
          all'articolo 5, comma 3, del citato decreto legislativo, si può leggere: «Il Corpo Militare Volontario, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 6, comma 1, è costituito esclusivamente da personale volontario in congedo, iscritto in un ruolo unico comprensivo delle categorie direttive dei medici, dei commissari e dei farmacisti, nonché della categoria del personale di assistenza. Il personale appartenente al ruolo di cui al primo periodo non è soggetto ai codici penali militari e alle disposizioni in materia di disciplina militare recate dai citati codici dell'ordinamento militare e relativo testo unico regolamentare, fatta eccezione per quelle relative alla categoria del congedo;
          la non assoggettabilità appare di carattere generale; non si fa quindi una distinzione particolare per i periodi di richiamo in servizio, cosa che invece veniva fatta negli articoli 1653 e 1654 (per i periodi non in servizio, limitatamente al personale direttivo) del decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66 (Codice dell'ordinamento militare), e che avvalorerebbe l'ipotesi di una modifica ordinamentale in tal senso. Sembrerebbe, quindi, dal tenore letterale della norma, che agli appartenenti al Corpo militare volontario vengano applicate sempre e soltanto (anche se richiamati in servizio) le disposizioni relative alla categoria del congedo. Ciò sarebbe anche avvalorato dal fatto che tale personale, se viene richiamato in servizio, non cessa (ovviamente) di appartenere a tale «ruolo unico»;
          appare quindi di notevole importanza chiarire, ed eventualmente modificare, la norma sopra richiamata, per le notevoli ripercussioni che essa può avere a livello di 1a Convenzione di Ginevra del 1949;
          analoga cautela pare ravvisarsi anche per il personale del Corpo delle infermiere volontarie;
          all'articolo 1729 del Codice dell'ordinamento militare si prescrive che «Le appartenenti al Corpo delle infermiere volontarie della Croce rossa italiana sono assimilate di rango al personale militare direttivo contemplato dall'articolo 1626»;
          purtroppo l'articolo 1626 parla della generalità del Corpo speciale volontario della Croce rossa italiana, e non in particolare del personale direttivo. Probabilmente ciò deriva dal fatto che, all'articolo 1 del regio-decreto 12 maggio 1942, n.  918, recante il «Regolamento per il Corpo delle Infermiere volontarie della Croce rossa Italiana» veniva affermato che «Le appartenenti al Corpo sono assimilate di rango al personale militare direttivo contemplato dall'articolo 1 del regio-decreto 10 febbraio 1936 n.  484, relativo al personale mobilitabile della Croce rossa Italiana;
          l'assimilazione di rango al personale direttivo del Corpo militare volontario non si pensa possa essere interpretato, neanche estensivamente, con l'assegnazione del medesimo stato giuridico;
          sono due concetti molto diversi: le IIVV della Croce rossa Italiana sono state assimilate di rango agli ufficiali per assegnare loro una maggiore considerazione e tutela, in tempi in cui le differenze di genere nella società erano molto marcate; altra cosa è l'assimilazione (se di «assimilazione» si possa poi parlare) allo stato giuridico di militare;
          sarebbe, quindi, molto opportuno verificare ed eventualmente aggiornare le disposizioni anche per i due Corpi di infermiere volontarie;
          il tutto per fare estrema chiarezza in un ambito che, specialmente in caso di conflitto o di grave crisi internazionale, non deve in alcun modo dar adito a dubbi interpretativi, per la sicurezza del personale volontario impiegato;
          una delucidazione appare necessaria riguardo ai cappellani dell’ex Corpo militare della Croce rossa italiana, in quanto se si osserva l'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre 2012, n.  178, si legge: «Il Corpo militare volontario, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 6, comma 1, è costituito esclusivamente da personale volontario in congedo, iscritto in un ruolo unico comprensivo delle categorie direttive dei medici, dei commissari e dei farmacisti, nonché della categoria del personale di assistenza»;
          se ne deduce che tale personale dell'assistenza spirituale fa parte del personale direttivo del Corpo militare. Non ritrovandolo fra le categorie rimaste (al pari degli ufficiali contabili), se ne deduce che gli stessi non possano essere iscritti nel nuovo ruolo unico previsto dal qui sopra riportato articolo 5;
          è da considerarsi il fatto che nel citato decreto legislativo 28 settembre 2012, n.  178 a far data dall'entrata in vigore del decreto il personale militare in servizio attivo viene «smilitarizzato» essendo assorbito tra il personale civile dell'ente/associazione è quindi evidente l'intento di «smantellare il Corpo»  –:
          quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere per affrontare le questioni sollevate in premessa;
          se risponda al vero che l'assistenza spirituale nel nuovo Corpo militare volontario non potrà più essere svolta, costituendo un indubbio precedente di personale afferente (seppur indirettamente) alle Forze armate sfornito di assistenza spirituale. (4-18574)


      LAFFRANCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          tra resistenze e recriminazioni, i primi giorni di ottobre, con soli dieci giorni di preavviso il nucleo cinofili dei carabinieri di Bastia Umbra (Perugia) è stato soppresso, la caserma dismessa, cani e uomini trasferiti;
          ai militari è stato concesso l'esiguo e perentorio termine di pochi giorni per poter scegliere cosa fare del proprio futuro, ovvero abbandonare la regione Umbria e proseguire il loro lavoro altamente specializzato in altro luogo oppure ripiegare su un altro reparto;
          a giudizio dell'interrogante, la chiusura del nucleo cinofilo dei carabinieri, appare non funzionale al controllo del territorio, in quanto, oltre all'esiguo numero dei componenti del nucleo (quattro cani ed i loro conduttori), il provvedimento di chiusura colpisce un territorio con un mercato della droga fiorentissimo che rappresenta una vera e propria piaga per tutta la regione Umbria;
          i conduttori e i loro cani dovranno, proprio per assicurare la presenza sul territorio, arrivare da Roma o da Firenze con un notevole aggravio dei costi e soprattutto con enormi problemi dal punto di vista operativo, perché i cani arriveranno affaticati;
          è, quindi, impensabile, proprio in ragione delle considerazioni sopra esposte ed in particolare per il considerevole spaccio di sostanze stupefacenti che ormai da anni coinvolge in via diretta la città di Perugia e le zone limitrofe che sia soppresso il nucleo cinofili dei carabinieri di Bastia Umbra;
          la misura adottata della soppressione del nucleo che, probabilmente sono dovute a ragioni di risparmio, non giustificano tale decisione che rende impossibile un controllo del territorio efficace e efficiente per evitare il diffondersi di un fenomeno tragicamente noto come lo spaccio di sostanze stupefacenti che è già diffuso e sta diffondendosi in misura sempre maggiore nella città di Perugia e nell'intera regione;
          è quindi, necessario, capire le ragioni di tale soppressione visto l'importante contributo a tutela dell'ordine pubblico e della salvaguardia dei cittadini, fornito dal nucleo cinofilo dei carabinieri di Bastia Umbra nel contrastare il diffondersi delle sostanze stupefacenti, ma anche l'opera effettuata, tra l'altro con brillanti operazioni e risultati, nella ricerca di persone e di esplosivi  –:
          se non sia necessario chiarire le ragioni della soppressione del nucleo cinofili di Bastia Umbra che non possono essere semplicemente ricondotte a mancanza dei fondi economici per sostenere la struttura operativa vista l'importanza che il nucleo rappresenta per l'intera regione e visto l'esiguo numero dei componenti che, però, hanno condotto operazioni brillanti in tutta la regione a tutela dei cittadini;
          e se non sia opportuno rivedere la decisione di soppressione del nucleo cinofili per garantire un presidio fondamentale per la tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico della città di Perugia e dell'intera regione, al fine di scongiurare un'aggravarsi di un fenomeno tanto diffuso e deleterio per la società come il traffico di sostanze stupefacenti. (4-18599)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          una nota dell'agenzia di stampa ANSA del 17 novembre scorso ha diffuso la notizia: «INCIDENTE MONTE LUPONE: CASSAZIONE, CONDANNATO PILOTA POZZOLI PER DISASTRO AEREO E MORTE CAPITANO MAURIZIO POGGIALI (ANSA) – ROMA, 17 NOV – A quindici anni dallo schianto contro il Monte Lupone (Latina), dopo una lunga odissea giudiziaria, la Cassazione ha condannato a un anno e sei mesi di reclusione, per omicidio colposo e disastro aereo il pilota dell'Aeronautica militare Matteo Pozzoli che era alla guida del velivolo Siai 208 e che con la sua “condotta spericolata” provocò la morte del capitano Maurizio Poggiali l'8 agosto 1997 a seguito dell'incidente. La famiglia Poggiali – che rende noto il verdetto emesso ieri dai supremi giudici – spera “che la sentenza sia di monito alle coscienza dei piloti che commettono gravissime indiscipline, mettendo a repentaglio la vita altrui, e soprattutto dei superiori dell'Aeronautica Militare che omettono di sanzionare, e anzi promuovono e difendono, chi si comporta senza senso di responsabilità. Durante il processo – ricorda Fabio Poggiali, fratello dell'ufficiale morto che si preparava per diventare astronauta e aveva un curriculum brillante – “l'Aeronautica ha promosso ben due volte, da capitano a maggiore, e poi a tenente colonnello, l'imputato Pozzoli, riammesso al volo dopo pochi mesi dalla tragedia, come se niente fosse accaduto. Promozioni arrivate con un reato di omicidio commesso da capitano !”»;
          Fabio Poggiali non nasconde il dolore per aver visto durante tutti questi anni di vicenda processuale «l'Avvocatura dello Stato difendere Pozzoli, mentre non avrebbe mai dovuto dimenticare che è mio fratello la vittima e che indossava una divisa: senz'altro in questo modo si è fatto un torto alla memoria di Maurizio che ha avuto funerali di Stato (...)». Pozzoli, sottolinea la famiglia Poggiali, «è stato anche condannato dalla Cassazione, nel 2007, per aver ingiuriato il padre di Maurizio». «In primo grado il Tribunale di Como, inoltre – prosegue la famiglia del capitano scomparso – lo ha riconosciuto colpevole di aver diffamato tutti noi, e la Corte dei Conti lo ha condannato per danno erariale per aver negligentemente omesso di seguire non solo le regole di volo, ma anche le regole di comune prudenza e diligenza». Per i ritardi nei soccorsi, che vennero sospesi a causa dell'oscurità e dell'impervietà dei luoghi – tesi contestata dalla famiglia Poggiali dal momento che il ritrovamento del velivolo avvenne ad opera di una famiglia in gita – è in corso al Tribunale di Roma, il processo a carico dei responsabili del Soccorso Aereo di Ciampino per interruzione di pubblico servizio, nei confronti di quattro ufficiali e sottufficiali dell'Aeronautica Militare. Sono imputati perché, «in qualità di ufficiali in servizio a Ciampino, in concorso tra loro decidevano di interrompere al crepuscolo le ricerche del volo oggetto della missione 933 dell'AMI di Pratica di Mare, disperso fin dalla tarda mattinata». L'aereo fu ritrovato, 24 ore dopo la caduta, «dalla famiglia Paolucci», ricorda Fabio Poggiali, «e in gita c'era anche una bambina di undici anni, a riprova del fatto che l'aereo era caduto in un posto accessibile a tutti e che le ricerche avrebbero potuto continuare»  –:
          se il militare condannato per «omicidio colposo e disastro aereo» sia ancora in servizio e con quali mansioni e, in tale caso, quali siano state le iniziative disciplinari promosse nei suoi confronti;
          quali siano stati i provvedimenti disciplinari adottati nei confronti di Pozzoli a seguito della condanna inflittagli dalla Corte di cassazione «per aver ingiuriato il padre di Maurizio»;
          quanti siano gli ufficiali delle forze armate attualmente in servizio che abbiano riportato condanne definitive e quali siano stati i provvedimenti disciplinari adottati nei loro confronti. (4-18602)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          i possessori di azioni Alitalia sono fortemente a rischio di perdita dell'intero capitale a seguito delle note vicende;
          eppure sono state fatte proposte che in qualche modo potrebbero mitigare il loro danno;
          una di queste proposte prevede un concambio delle azioni AZ con un controvalore in biglietti aerei invenduti con le seguenti modalità: C.A.I./SKY TEAM, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, concambia il capitale investito con un controvalore nominale in titoli di viaggio applicando un controvalore medio azione da stabilirsi, ma che dovrebbe essere fissato attorno ad euro 1.0/euro 1.5. Ciò al fine di limitare l'offerta agli investitori che comprovatamente comprarono le azioni a queste valutazioni e non negli ultimi mesi di vita del titolo AZ a un prezzo stracciato (NDR: euro 0.10 cadauno);
          si dovranno poi stabilire i limiti ed i tempi di utilizzo dei biglietti emessi e cioè la prenotazione dei voli. Da prevedersi la possibilità di cessione dei biglietti a terzi anche attraverso la eventuale creazione di una Agenzia ad acta per la collocazione sul mercato;
          lo schema di concambio biglietti contro azioni AZ sarebbe più gradito della proposta del Governo di concambio con titoli di Stato dell'agosto 2009;
          il Governo potrebbe così evitare di emettere i titoli di stato ad hoc e quindi realizzare un notevole risparmio. Si parla di circa 300 milioni di euro per circa 40.000 soggetti;
          l'effetto promozionale per C.A.I.-Alitalia/SKY TEAM sarebbe più efficace ed incisivo al Nord, dove Alitalia insieme con i partner SKY TEAM si trova a competere con Lufthansa Italia S.p.A./STAR ALLIANCE e con la Compagnia in rapida crescita Emirates e dove risiede una porzione consistente dell'azionariato di Alitalia S.p.A.;
          il tutto a costo praticamente zero per C.A.I.-Alitalia/SKY TEAM, ma addirittura in guadagno per il al Ministero dell'economia e delle finanze con la evitata emissione dei titoli di Stato e con la cessazione delle azioni giudiziarie  –:
          se il Ministro sia a conoscenza delle proposte sopra riportate;
          se non ritenga di dover esaminare il concambio delle azioni AZ con un controvalore nominale in titoli di viaggio a vantaggio dei risparmiatori Alitalia e anche del Governo. (5-08463)


      CONTENTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          da non meglio confermate notizie di stampa risulterebbe la volontà del Governo di chiudere la stazione della Guardia di finanza di Sacile (Pordenone), una realtà particolarmente attiva dal punto di vista commerciale ed industriale a cavallo tra il Friuli-Venezia Giulia e il Veneto  –:
          se la notizia evocata in premessa sia vera e, in caso di risposta affermativa, se non intenda rivedere la decisione assunta in tal senso, non foss'altro che per gli ovvi timori di ripercussioni negative sul territorio manifestate da più parti. (5-08467)

Interrogazioni a risposta scritta:


      LAMORTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la tariffa d'igiene ambientale (TIA) applicata nei comuni è stata introdotta dal decreto legislativo 22 del 1997 come nuovo sistema di finanziamento comunale della gestione dei rifiuti e della pulizia degli spazi comuni per sostituire gradualmente la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) prevista dal decreto legislativo 507 del 1993, con un prelievo proporzionale alla quantità del servizio reso, in base al principio europeo del «chi più inquina più paga». La tariffa è stata riscritta con l'introduzione del decreto legislativo 152 del 2006 (TIA 2) che però per anni è stato privo delle norme attuative e che solo nel 2011 ha visto le prime applicazioni negli enti locali;
          dal 2013 tutte queste forme di prelievo saranno sostituite dalla TARES, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi invisibili ed il cui gettito servirà a coprire anche i costi di altri servizi, quali la polizia locale, l'anagrafe, l'illuminazione pubblica nonché manutenzione del verde e delle strade;
          a partire dal 1999 molti comuni hanno sostituito la TARSU con la TIA. Le principali differenze tra le due riguardano il calcolo del contributo, che, volendo semplificare, nel caso della TARSU è effettuato sulla base dei metri quadrati del proprio immobile (con una riduzione nel caso si viva da soli), mentre nel caso della TIA la tariffa è determinata da una quota fissa del servizio, al quale si aggiunge una componente variabile legata al numero dei componenti del nucleo familiare con lo scopo di incentivare sempre più la raccolta differenziata al fine di massimizzare il recupero e a minimizzare il ricorso alla discarica;
          il risultato è stato che con il passaggio da tassa a tariffa, nei Comuni dove è avvenuto, hanno applicato su quest'ultima l'IVA del 10 per cento;
          infatti, secondo l'interpretazione dell'Agenzia dell'entrate espressa nelle R.M. 25/E del 5 febbraio 2003 e R.M. 250/E del 17 giugno 2008, la natura della TIA non è di carattere tributario, ma civilistico, in quanto si configura come un corrispettivo per il servizio di raccolta di rifiuti urbani, effettuato entro i confini della normativa di diritto civile. Pertanto, rivestendo la natura di servizio, l'Agenzia delle Entrate ha ravvisato anche l'assoggettabilità all'IVA;
          questa interpretazione non è stata però condivisa da parte della dottrina e della giurisprudenza tanto che la Corte di cassazione con la sentenza 17526 del 2007 ne ha ravvisato la natura tributaria e la conseguente esclusione dal campo di applicazione dell'IVA;
          con la sentenza n.  238 del 24 luglio 2009 la Corte Costituzionale ha stabilito che la TIA, sebbene sia una tariffa di nome, nei fatti ha natura di entrata tributaria in quanto il conto non è proporzionale alla quantità del servizio reso, quindi ad essa non è applicabile l'imposta sul valore aggiunto;
          ma per giustificare l'imposta in questione sulla TIA 2, una circolare del dipartimento delle politiche fiscali, la n.  3 del 2010, ha ravvisato la continuità logica tra la TIA 1 e la TIA 2, ritenendo, pertanto, anche la prima un'entrata patrimoniale soggetta ad IVA;
          inoltre, la manovra correttiva dell'estate 2010 con la disposizione interpretativa di cui all'articolo 14 comma 33, decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, aveva chiuso ogni discussione con un atto di interpretazione autentica, stabilendo che la tariffa prevista dal decreto legislativo 152 del 2006 (TIA 2) ha la natura patrimoniale ed in quanto tale può essere assoggettata ad IVA;
          la Corte di cassazione è intervenuta definitivamente sulla questione pronunciando la recente sentenza n.  3756 del 9 marzo 2012 con cui ha definito illegittima l'applicazione dell'IVA sulla TIA e che gli importi richiesti a titolo di tariffa d'igiene ambientale non sono suscettibili di essere assoggettati ad IVA;
          la sentenza afferma che l'identificazione di un prelievo deve avvenire sulla base della complessiva disciplina legislativa e non esiste nessuna previsione che supporti la connotazione patrimoniale della tariffa. Inoltre, la Suprema corte non condivide come la sola successione logico-giuridica di due entrate possa generare in automatico l'identità della loro natura;
          sono oltre 6 milioni le famiglie (pari a circa 17 milioni di cittadini) residenti in ben 1182 comuni italiani, che, dal 1999 al 2008 hanno dovuto pagare ingiustamente l'IVA sui rifiuti, e che oggi devono avere indietro quanto versato in più del dovuto;
          secondo quanto indicato dall'ANCI si stima che i rimborsi delle famiglie ammontino a 993 milioni di euro;
          fino ad ora il Governo non ha fatto nulla per rendere esecutive queste sentenze che vanno in senso opposto all'azione intrapresa dalla pubblica amministrazione che si rifiuta di attenersi agli orientamenti consolidati della giurisprudenza, Corte costituzionale e della Corte di cassazione, sia sotto il profilo della legalità come in questo caso, perché nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non per legge, sia dal punto di vista della correttezza e dell'imparzialità, perché il suo comportamento non solo è illegittimo ma illecito secondo il diritto civile e pertanto si espone all'azione di danno davanti al giudice ordinario  –:
          se il Ministro interrogato non voglia esortare il Governo a sanare questa situazione di fatto, anche attraverso l'adozione di un'iniziativa normativa urgente che restituisca giustizia sociale ed applicazione del diritto, seguendo le linee tracciate dalle sentenze della Corte costituzionale e della Corte di cassazione;
          se il Ministro interrogato non intenda attivare, con iniziativa immediata, l'Agenzia delle entrate, affinché questa dia indicazione a tutte le aziende di igiene ambientale presenti sul territorio nazionale riguardo ai tempi ed alle modalità di restituzione dell'imposta. (4-18573)


      GIANNI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          i contribuenti delle province siciliane, colpite dal sisma del dicembre 1990, hanno visto riconosciuto il diritto alla restituzione del 90 per cento delle imposte relative al triennio 1990-1992, da una sentenza della Corte di cassazione;
          tale sentenza, la n.  9577/2012, emessa il 17 aprile 2012, e depositata il 12 giugno, decretava che lo sconto del 90 per cento concesso ai terremotati spettava sia a favore di chi non aveva pagato nulla, sia a favore di chi aveva pagato tutto, attraverso il rimborso della quota prevista;
          nella sentenza, la suprema corte, richiamava una precedente sentenza, la n.  20641 del 1o ottobre 2007, la quale aveva stabilito che spettava a tutti la riduzione ad un decimo del carico fiscale nelle zone colpite da eventi sismici;
          anche la sezione lavoro della Corte di cassazione, si era pronunciata in tal senso, con due precedenti sentenze la 1247/2010 e la 11133/2010;
          con tale sentenza veniva riconosciuto il diritto per tutti i contribuenti delle province di Catania, Siracusa e Ragusa, di veder loro restituite le somme versate in maniera maggiorata;
          nel rispondere ad una interrogazione a risposta immediata in Commissione finanze, su questa tematica, il Sottosegretario Ceriani, ha dichiarato che l'Agenzia delle entrate, tenendo conto delle sentenze emesse, si dichiarava disponibile a dare adeguate istruzioni agli uffici per l'abbandono delle relative controversie consentendo, di conseguenza, la restituzione di quanto dovuto ai singoli contribuenti;
          nella stessa risposta si dichiarava, incomprensibilmente, che non si sarebbe tenuto lo stesso comportamento nei confronti dei contribuenti esercenti attività di impresa, i quali avrebbero dovuto proseguire nel contenzioso nonostante le sentenze favorevoli della Corte di cassazione;
          a tutt'oggi i singoli contribuenti che hanno fatto richiesta agli uffici territoriali non hanno ricevuto i rimborsi sui quali vi era stato, oltre le sentenze della Corte di cassazione, un impegno preciso da parte del Sottosegretario;
          questo atteggiamento da parte delle Agenzie delle entrate che «persegue» con tanta tenacia, in nome del bene comune, coloro che risultano insolventi appare all'interrogante non soltanto incredibile ma addirittura una beffa  –:
          se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e del rifiuto opposto dagli uffici locali delle Agenzia delle entrate a restituire le somme spettanti ai singoli contribuenti;
          cosa intenda fare per mantenere gli impegni presi e rispettare le sentenze della Corte di cassazione, affinché sia restituito quanto dovuto ai singoli contribuenti delle province di Catania, Siracusa e Ragusa, mettendo fine ad una controversia incomprensibile che rischia di danneggiare seriamente l'immagine dell'Agenzia delle entrate e, conseguentemente, dello Stato agli occhi di tutti i cittadini delle province interessate. (4-18585)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          a fine settembre, senza alcuna comunicazione all'amministrazione comunale di Laureana di Borrello, è stato chiuso «temporaneamente» l'istituto penitenziario «Luigi Daga» (inaugurato nel maggio del 2004 dall'allora guardasigilli Roberto Castelli), emblema di una Calabria che allo strapotere della ’ndrangheta era riuscita a rispondere non solo con la repressione, ma anche con la proposizione di un modello di detenzione diverso e più umano;
          nell'immaginario collettivo il carcere è percepito come luogo della disumanizzazione per eccellenza: spazi angusti, sovraffollamento, nessuna possibilità che una volta «fuori» il recluso possa pensare ad una reale integrazione in quella stessa società che, poco tempo prima, ha deciso di fargli scontare la sua pena;
          il «Daga», modello da «esportazione» che troverà la sua applicazione già dai prossimi mesi nel resto del Paese, rappresenta invece qualcosa di diverso: la struttura, prima in Italia a sperimentare la custodia attenuata per i giovani detenuti di età compresa tra i 18 e i 34 anni, è nata per offrire un cammino di riflessione consapevole, nonché un percorso detentivo alternativo, con conseguente reinserimento nella collettività, in modo da sottrarre i giovani alla criminalità (10 per cento di recidività contro una media del 70 per cento nazionale);
          la sperimentalità del carcere ha una sua logica e una progettualità pedagogica che prevede anche l'impegno dei detenuti nella realizzazione di attività manuali, culturali, scolastiche, ricreative e sportive; sono, inoltre, predisposti all'interno appositi spazi all'aperto adeguati al miglioramento del contatto tra detenuti e familiari;
          se l'obiettivo di ogni istituto detentivo e, nel caso in specie, di questo a custodia attenuata «Daga» è quello di creare una scuola di vita, per permettere ad operatori e condannati di rendere costruttivo sia il periodo della pena da scontare che il successivo reinserimento nella società civile e nel mondo del lavoro, in un chiaro intento rieducativo stabilito dalla Costituzione, non si comprendono le ragioni della chiusura (troppi maxiprocessi alle cosche nel reggino e pochi agenti di polizia penitenziaria per il trasporto alle udienze)  –:
          se non intenda attivarsi in tempi rapidi per la ripresa dell'attività della struttura suddetta, la cui chiusura elimina ogni speranza di una politica carceraria riformista.
(2-01745) «Tassone, Galletti, D'Ippolito Vitale».

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          sulla dinamica dell'omicidio del consigliere provinciale e comunale dell'Italia dei Valori Giuseppe Basile, avvenuto la notte tra il 14 e il 15 giugno 2008, non è stata fatta ancora chiarezza nonostante l'indagine in corso ed un processo che ha visto coinvolti i vicini di casa di Basile;
          i due vicini di casa su cui si sono concentrati i sospetti della magistratura, sono Luigi Vittorio Colitti (minorenne all'epoca dei fatti) e Vittorio Colitti, rispettivamente nipote e nonno;
          l'accusa verso i Colitti si fonda sulle dichiarazioni di una bambina di 6 anni (4 al momento delle indagini). Tuttavia la teste si è dimostrata in seguito inattendibile;
          il 5 novembre 2009 i sostituti procuratori del tribunale di Lecce e del tribunale per i minorenni hanno richiesto, ognuno per la rispettiva competenza, l'applicazione di custodia cautelare in carcere nei confronti dei Colitti, sospettati di aver assassinato Basile indicando nei cattivi rapporti di vicinato il movente dell'omicidio;
          in proposito, all'interrogante risulta che sin dalla richiesta di custodia cautelare, i tribunali abbiano escluso tra i possibili moventi quello politico indirizzando dunque l'inchiesta verso il movente personale;
          eppure già nel 2008 la procura era perfettamente a conoscenza di una «pista alternativa» emersa in seguito alle dichiarazioni rese da Giovanni Vaccaro, collaboratore di giustizia campano;
          esiste infatti un fascicolo contenente documenti estremamente importanti, come i decreti di perquisizione, le relazioni dei carabinieri, ma soprattutto i verbali di informazioni rese da Vaccaro nel 2008 in cui racconta dei suoi rapporti con Bove Pio Giorgio di Parabita (Lecce), (che risulterebbe avere avuto legami con la Sacra Corona Unita);
          in questi verbali Vaccaro ha dichiarato di aver visto Basile qualche giorno prima dell'omicidio a Lecce nell'ufficio di Marcello Sileno, capo di una società fittizia finalizzata ad attività illegali, cui Vaccaro forniva emblemi di Stato contraffatti;
          secondo quanto riportato da Vaccaro, quel giorno Basile ebbe un duro scontro verbale con Sileno in merito alla truffa relativa alla vendita fittizia di villette via internet, scoperta proprio dal Basile e che lo stesso intendeva denunciare alla stampa;
          Vaccaro ha dichiarato che Sileno si mostrò molto preoccupato dalle intenzioni di Basile, per questo Giovanni Vaccaro, socio di Sileno, si propose di risolvergli il problema, mettendolo in contatto con l'amico Giorgio Pio Bove;
          lo stesso Vaccaro dichiarò di aver appreso con stupore la notizia dell'assassinio del consigliere, perché la «lezione» a Basile si sarebbe dovuta limitare ad una semplice «mazziata» per tenere il silenzio;
          in un carteggio Bove raccontò a Vaccaro la dinamica dell'omicidio nei minimi dettagli, riferendo che l'omicidio era stato compiuto da due albanesi e che l'arma del delitto era stata fatta sparire in mare insieme ai due uomini;
          sempre in un carteggio tra Vaccaro e Bove si riscontra la soddisfazione per l'arresto dei vicini di casa. Nella lettera inviata da Pio Bove a Giovanni Vaccaro in data 10 dicembre 2009 si legge: «...allora per quanto riguarda il “Libro di Ugento” ho visto in tv che hanno arrestato nonno e nipote...contenti loro, contenti tutti, compresi noi...ah ah ah ah. (Comunque mo vedo di informarmi a che sezione stanno perché qui da me non ci sono...)»;
          particolarmente significativa è la missiva datata 14 settembre 2009, in cui Vaccaro – che non è riuscito a recuperare dei soldi da Sileno (circa 36.000 euro) – chiede a Bove di uccidere il suo debitore. In particolare Vaccaro scrive: «... a Lecce c’è l'amico dell'assessore di Ugento “Ricordi una lezione al Basile”? si chiama Marcello Sileno ha la punto grigia, seguilo fino a casa e da solo prendilo e chiudilo nel cesso, prendi tutto ciò che ha e poi, cospargi di benzina a lui e casa. E inutile che ti dico usa guanti ecc., poi a Ugento il sindaco e l'assessore sono sordi? Sai che c’è di nuovo? Seguili facciano la fine di Basile, voglio perdere i 36.000 euro»;
          si tratta dunque di un importantissimo carteggio, probabilmente decisivo ai fini dell'esito processuale, che è stato inspiegabilmente tenuto nascosto al collegio difensivo, provocando un grave vulnus nella difesa tecnica dei Colitti;
          il 25 novembre 2009 infatti, il gip presso il tribunale per i Minorenni di Lecce ha emesso l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Colitti Vittoria Luigi senza essere messo a conoscenza dalla procura dell'esistenza della cosiddetta «pista alternativa», e la stessa situazione si è determinata presso il gip del tribunale ordinario di Lecce che ha emesso l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Colitti Vittorio;
          anche in sede di riesame delle ordinale di custodia cautelare i tribunali competenti hanno rigettato le istanze ex articolo 309 c.p.p. inoltrate nell'interesse dei V Colitti, senza prendere visione della «pista alternativa» perché non comunicata dalla procura;
          soltanto in occasione della notifica del decreto di rinvio a giudizio emesso dal gip presso il tribunale per i minorenni di Lecce, la difesa tecnica di Luigi Vittorio Colitti ha potuto finalmente esaminare l'intero fascicolo delle indagini preliminari, comprendente anche alcuni fondamentali atti di polizia giudiziaria;
          la Suprema Corte di Cassazione ha pertanto annullato senza rinvio il provvedimento del tribunale del riesame del tribunale per i minorenni del 22 dicembre 2010, e il tribunale del riesame ordinario ha dichiarato l'inefficacia dell'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Colitti Vittorio. La causa della declaratoria di inefficacia è stata determinata proprio dall'omessa trasmissione al tribunale del riesame, da parte del procuratore procedente, del carteggio relativo alla pista «Vaccaro-Bove»;
          nel dicembre 2010 il procedimento a carico del giovane Colitti si è concluso con sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, mentre il procedimento a carico del nonno risulta ancora pendente innanzi alla corte d'assise di Lecce;
          il nonno Vittorio Colitti attualmente si trova agli arresti domiciliari per via delle sue critiche condizioni di salute;
          il carteggio tenuto nascosto alla difesa dei Colitti può aver determinato di fatto l'applicazione della limitazione della libertà per persone innocenti, o quanto meno non chiaramente responsabili di tale omicidio  –:
          alla luce dei gravi fatti rappresentati in premessa se il Ministro intenda assumere iniziative ispettive ai fini dell'eventuale esercizio del potere di promozione dell'azione disciplinare.
(2-01741) «Zazzera».

Interrogazione a risposta orale:


      ALESSANDRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          dopo il caso di Cittadella di un bambino prelevato con la forza e allontanato dalla famiglia sulla base dei ritrovamenti di una perizia psichiatrica molti altri casi stanno venendo alla luce;
          recentemente è salito all'onore delle cronache anche il caso di una mamma di Padova che corre il rischio di vedersi strappare il figlio per affidarlo a una casa-famiglia se il bambino non inizia un percorso di avvicinamento al padre. Tutto questo sulla base di una perizia psichiatrica in cui si ignorano le dichiarazioni del bambino e le prove oggettive in nome di una teoria psichiatrica che asserisce che il bambino sarebbe manipolato dalla madre. E il bimbo non sarebbe l'unico ad accusare il padre di molestie. Il padre è stato accusato anche dalla sorellastra del piccolo (accusa poi archiviata) e dalla cuginetta, figlia del fratello del padre. Nonostante un incidente probatorio richiesto dal tribunale penale di Padova dove sono emerse delle realtà raccapriccianti, nonostante ci siano altri bambini che accusano quest'uomo di molestie sessuali tra cui la figlia del fratello di costui, oggi ci troviamo con una CTU del tribunale dei minori che vuole a tutti i costi che il bambino vada dal padre e dalla nonna, altrimenti lo affiderà ai servizi sociali. La CTU del tribunale dei minori ha escluso dalla perizia ogni riferimento al processo penale ignorando elementi oggettivi importantissimi;
          alcune stime rivelano che circa il 20 per cento delle sottrazioni coatte sono motivate da assenza coatta dei genitori (provvedimenti carcerari), morte di entrambi i genitori, maltrattamenti o abusi. Il rimanente 80 per cento circa avvengono con la motivazione di «inidoneità genitoriale». Questa motivazione ha aperto le porte a innumerevoli decisioni di dubbia conformità alla legge e di sostanziale violazione dei diritti. Tramite valutazioni soggettive ed opinabili, psichiatri, psicologi e assistenti sociali spesso inducono il tribunale dei minori a prendere provvedimenti drastici e drammatici, sottraendo i figli alla famiglia, collocandoli nelle comunità, mettendoli poi sotto indagine, analisi e quant'altro. La famiglia, nella maggioranza dei casi, è totalmente impotente di fronte a questo sistema che opera con l'ausilio, se i genitori si rifiutano, della forza pubblica;
          il problema a parere dell'interrogante nasce dai servizi sociali che prediligono e incoraggiano una valutazione soggettiva delle situazioni rispetto a una valutazione oggettiva fondata su fatti e prove tangibili. Nel libro «Ridateci i nostri figli ! Storie di bambini sottratti alle famiglie raccontate dal loro avvocato Francesco Miraglia» si fanno alcuni esempi che hanno portato alla successiva sottrazione dei minori:
              in una relazione dei servizi sociali si legge che un padre vive in una situazione di degrado poiché alloggia con il figlio (la madre purtroppo non c’è più) in un garage. Un'indagine approfondita dei fatti ci rivela invece che aveva dormito lì una notte e che il comune gli aveva subito trovato un alloggio come dimostrato dai documenti del comune;
              i servizi sociali riportano una situazione pregiudizievole per il bambino perché indossa ancora il pannolino in terza elementare e un vicino di casa ha cambiato appartamento perché i due genitori litigano continuamente. Un'indagine approfondita rivela che il bambino portava il pannolino alla scuola materna quando aveva tre anni, che il vicino ha cambiato casa perché aveva bisogno di locali più grandi mentre gli altri vicini di casa dichiarano di non aver mai sentito la coppia litigare. Il tutto documentato da rapporti e dichiarazioni scritte;
              un'assistente sociale riporta un caso di percosse e atti violenti da parte del padre e segnala che la vicinanza con il figlio minore potrebbe essere pregiudizievole. Si scopre che si tratta di una lite violenta in cui è volato uno schiaffo, fatto riprovevole ma limitato a quella sola occasione. Riceviamo anche la dichiarazione di una figlia maggiorenne che scrive che il padre è sempre stato premuroso e affettuoso e non ci sono mai stati episodi di violenza;
              un'assistente sociale riporta che un parente della moglie ha riferito che dei conoscenti gli hanno detto che il padre ha espresso delle minacce nei confronti della ex moglie. Ovviamente una dichiarazione di tal genere secondo l'interrogante non merita un'indagine dato che la sua infondatezza è implicita nella formulazione stessa della dichiarazione; in seguito l'errore viene purtroppo continuato e aggravato dalle perizie dato che in psichiatria e psicologia non ci sono certezze e che la discrezionalità e mancanza di oggettività è intrinseca nelle discipline stesse;
              nella perizia si scrive che «... il buon andamento scolastico ed extrascolastico non può essere utilizzato come elemento di smentita del disagio ... la psicologa osserva che la bambina “ha dovuto sublimare con lo studio scolastico e del pianoforte le sue ansie” ». Secondo la psicologa quindi, il fatto che la bambina andasse bene a scuola e vincesse dei premi musicali a livello internazionale era una «sublimazione» delle sue ansie. Non si ritiene necessario commentare questa perizia;
              si riporta che «nonostante il padre abbia “migliorato le sue condizioni abitative e lavorative” ha “grosse difficoltà ad essere emotivamente vicino al bambino”». Sulla base di questa presunta incapacità emotiva il bambino è stato allontanato dal padre per due anni. Purtroppo, a ulteriore dimostrazione dell'erroneità dell'allontanamento, la diagnosi del bambino è peggiorata. In data 30 marzo 2010 la psicologa e la neuropsichiatra hanno formulato una diagnosi pesante e hanno addirittura chiesto un trattamento farmacologico per curare la «malattia mentale» del bambino. Fortunatamente la situazione è stata rivalutata e il figlio è stato restituito al padre. Ora sta andando a scuola e si sta riprendendo e nell'ultima visita il neuropsichiatra l'ha trovato molto migliorato;
              nella perizia è scritto: «...si è potuto delineare una deformazione persecutoria della realtà... ad una indagine clinica più dettagliata non si sono individuati dei sintomi a carico della percezione, nella forma di illusioni o allucinazioni, che alterino il contatto con la realtà o la qualità della dimensione interpersonale. L'orientamento spazio temporale e le capacita mnestiche sono nella norma, prive di alterazioni..., la coscienza di sé, la capacità di attenzione e di concentrazione sono idonee e non deviate da aspetti disturbanti. Le capacita cognitive sono valide e coerenti, ed espresse in un linguaggio adeguato..., ma si conferma un disturbo delirante e persecutorio.» In questo caso lo psichiatra si è presentato in pantaloncini a ciabatte e la sua diagnosi è stata contestata da altri tre psichiatri. Questo papà è un ex ufficiale della Guardia di finanza e ha allevato altri cinque figli fino alla maggiore età che sono tutti sposati e sistemati;
              in una perizia di 45 minuti con un bambino di 9 mesi in braccio, lo psichiatra ha ravvisato un «vero e proprio disturbo psichiatrico (disturbo di personalità) di cui mette in rilevo soprattutto i tratti personologici di tipo narcisistico.» Anche qui non si vede la necessità di commentare;
          purtroppo gli errori di cui sopra non vengono rilevati a causa del «modello inquisitorio» del tribunale dei minorenni. Nel sistema inquisitorio la figura del giudice e dell'accusatore si fondono in un unico soggetto, l'inquirente che acquisisce le prove in modo del tutto indipendente dalle parti, decidendo poi sulla base degli atti dell'istruttoria. Proprio come succede, nella pratica, nel tribunale dei minorenni, istituito nel 1934 da un regio decreto. In questo tribunale il giudice affida agli assistenti sociali e ai periti il compito di indagare i fatti e poi giudica sulla base di questi accertamenti senza, di fatto, permettere alle parti di difendersi e di portare le loro prove. Il procedimento è governato dai principi della camera di consiglio, composta quest'ultima da due magistrati togati e da due onorari, laureati in psicologia o discipline affini, che oggi altro non produce che una accentuazione dell'onnipotenza del giudice minorile. La procedura della camera di consiglio seguita oggi dal tribunale dei minorenni lede secondo l'interrogante i diritti costituzionali della difesa e del contraddittorio, di cui rispettivamente agli articoli 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione. Attualmente questa procedura nega i diritti costituzionali della difesa e del contraddittorio. Proprio a causa della mancanza di un vero contraddittorio, l'assurdità delle relazioni e perizie psichiatriche/psicologiche che sancivano di fatto l'allontanamento dei bambini dalle famiglie in presenza di motivazioni aleatorie e soggettive è rimasta celata per tanto tempo;
          secondo i dati del Centro nazionale di documentazione e analisi sull'infanzia e l'adolescenza i minori fuori dalla famiglia erano 30.700 di cui 15.500 accolti dai servizi residenziali. Se consideriamo che ogni bambino in una comunità ci costa dai 100 ai 400 euro al giorno possiamo vedere gli enormi interessi economici in gioco. Complessivamente si stima che il volume di affari sviluppato dalle comunità per minori ammonti a due miliardi di euro all'anno e che il ricavo per gli operatori della psicologia e psichiatria sia di un miliardo di euro. Ricordiamo anche i circa 100 omicidi/suicidi causati ogni anno da queste situazioni di conflittualità esasperata che il sistema non riesce a mitigare e che anzi a volte la favorisce;
          la Liguria detiene il primato delle sottrazioni con 5,2 minori su mille fuori famiglia rispetto a una media nazionale del 3,0 per mille. Degno di nota il fatto che la regione Liguria ha assunto già nel 2004 un provvedimento di indirizzo per i servizi sociali in cui nella classificazione delle forme di abuso era inclusa anche la alienazione parentale come abuso psicologico;
          secondo un'indagine del 2009, in Piemonte all'interno delle comunità erano presenti 1182 minori e 1532 erano in affidamento famigliare (quasi 3000 in tutto). Questo ha comportato una spesa per l'ente pubblico di quasi 8 milioni di euro (430 euro al mese a famiglia) per gli affidamenti e di oltre 43 milioni di euro per l'inserimento in comunità (100 euro al giorno per ogni bambino). Se è evidente che dietro la torta di oltre 43 milioni di euro vi siano degli interessi economici di alcuni e si verificano casi in cui chi è chiamato a controllare lo stato dei minori in comunità è al tempo stesso consulente della comunità, il dato più grave è che ogni anno il 70 per cento dei minori allontanati avrebbe potuto rimanere con i propri genitori. Infatti il 63 per cento degli inserimenti in struttura è dovuto ad inadeguatezza/incapacità genitoriale (40 per cento), sospetti di abuso (10 per cento), e assenza di una rete famigliare adeguata o problemi giudiziari di uno o entrambi i genitori. Tutti motivi, che, con un'adeguata azione domiciliare dei servizi sociali avrebbero potuto esser evitati salvando così migliaia di minori di casi. Il dato è confermato dal 52 per cento di casi di allontanamenti che in meno di un anno tornano in famiglia;
          questo è un fenomeno dunque che riguarda migliaia di bambini, che pesa significativamente sulla finanza pubblica e che consente la violazione dei diritti umani di molte famiglie e di molti minori. Di fronte a tali violazioni dei diritti umani il Parlamento non può permettersi di tergiversare. Già nel maggio del 2012 il Senato aveva approvato all'unanimità la richiesta di dichiarazione d'urgenza per l'esame congiunto in Commissione giustizia dei ddl n.  3040, 2252, 2441, 2844, 3266 e 3276 tutti vertenti su materie relative all'istituzione di sezioni specializzate per le controversie in materia di persone e di famiglia e di soppressione dei tribunali per i minorenni;
          la riforma risolverebbe molti dei problemi di cui sopra e dovrebbe assolutamente essere licenziata entro la fine della presente legislatura posto che lo Stato italiano non può accettare che le violazioni dei diritti umani esposte in precedenza continuino ad avvenire;
          i tempi per approvare da parte del Parlamento una tale riforma appaiono però assai limitati e forse impraticabili visti i pochi mesi disponibili da qui allo scioglimento delle Camere, per tale motivo potrebbe risultare assai opportuna ed urgente una iniziativa normativa straordinaria del Governo che riprenda le finalità dei predetti disegni di legge riguardo l'istituzione delle sezioni specializzate per le controversie in materia di persone e di famiglia e la soppressione dei tribunali per i minorenni  –:
          se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in merito alle vicende descritte e se, riguardo alle medesime vicende, non intenda ad ogni modo acquisire ogni elemento di competenza;
          se intenda assumere iniziative normative urgenti volte a disporre la soppressione dei tribunali per i minorenni e l'istituzione delle sezioni specializzate per i minori e per le controversie in materia di persone e di famiglia. (3-02617)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in un articolo pubblicato in data 15 novembre 2012 sulle pagine lucane della Gazzetta del Mezzogiorno si riferisce che un detenuto di 38 anni di nazionalità italiana, ristretto presso la cassa circondariale di Potenza, risulta affetto da scabbia;
          nello stesso articolo è riportata la richiesta di evacuare il carcere, avanzata dall'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria) attraverso il vicesegretario nazionale Domenico Mastrulli, secondo il quale la situazione «preoccupa l'intera comunità penitenziaria»;
          in data 14 novembre 2012, il Quotidiano della Basilicata, riferendosi alla situazione della casa circondariale di Potenza, titolava «Caso di scabbia in carcere: la tensione è alta, anche gli agenti in difficoltà, la struttura è fatiscente». Nel corpo dell'articolo si legge di una denuncia della Uil penitenziari e si riportano le dichiarazioni del segretario provinciale Donato Sabia che riferisce di altri 3 detenuti sottoposti a trattamento preventivo. Lo stesso Sabia in una nota ha tra l'altro dichiarato: «Già da un anno avevo denunciato l'emergenza sanitaria nel carcere del capoluogo temendo simili casi, proprio per il dramma penitenziario, che non è solo sovraffollamento e carenza di personale, ma anche un problema strutturale e igienico-sanitario. La tensione è alta tra il personale di Polizia penitenziaria e gli altri detenuti, si teme il contagio, soprattutto che la malattia possa diffondersi all'interno dell'Istituto»;
          le precarie condizioni della struttura e le carenze igienico-sanitarie sono state più volte sottoposte all'attenzione dei Ministeri competenti a seguito delle numerose visite effettuate presso la casa circondariale di Potenza;
          il sito www.farmacoecura.it riferisce che la scabbia «è contagiosa e di solito viene trasmessa attraverso il contatto prolungato tra le epidermidi» e che «l'infezione si diffonde con maggiore facilità nei luoghi affollati e nelle situazioni in cui ci sono molti contatti ravvicinati... La scabbia sembra possa essere trasmessa anche attraverso il contatto con altri oggetti come vestiti, biancheria, mobili o superfici con cui una persona infetta sia entrata in contatto»;
          la risposta all'interrogazione a risposta in commissione n.  5-06717 è stata sottoposta dal segretario dell'Associazione Radicali Lucani Maurizio Bolognetti all'attenzione della procura della Repubblica di Potenza  –:
          quali iniziative urgenti si intendano adottare per salvaguardare la salute dei detenuti e di tutto il personale che presta la sua opera presso il carcere di Potenza;
          a quando risalga l'ultima relazione della ASL di competenza e cosa vi sia scritto riguardo alle condizioni igienico-sanitarie dell'istituto;
          se i controlli della ASL siano effettuati con la periodicità prevista dalla normativa. (4-18568)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nella notte tra sabato 13 e domenica 14 ottobre, ad Itri (Latina), i Carabinieri della locale stazione, nel corso di predisposti servizi di controllo del territorio finalizzati al contrasto di reati in materia di sostanze stupefacenti, la 48enne Silvana Agresti è stata tratta in arresto;
          la donna, residente ad Itri, incensurata, laureata in giurisprudenza, è stata infatti accusata di detenere, all'interno dei locali dove si svolge la sua attività commerciale (agriturismo), 8 piante di cannabis interrate di dimensioni varie (in realtà solo una di queste otto piante era in vita) e circa 25 grammi della medesima sostanza stupefacente in fase di essicazione;
          l'arresto della donna è stato convalidato dal tribunale e, in attesa del giudizio direttissimo che si svolgerà il prossimo 21 gennaio 2013, l'imputata è stata sottoposta alla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per due volte alla settimana;
          della vicenda si è occupato il sito online h24notizie.com con un articolo scritto lo corso 17 ottobre da Francesco Furlan intitolato: «Itri, Sabrina Agresti racconta: ho il glaucoma, marijuana a uso terapeutico»; nonché l'emittente radiofonica Radio Radicale con una intervista alla signora Agresti trasmessa lo scorso 16 novembre a cura del redattore Roberto Spagnoli;
          la dottoressa Agresti è affetta da glaucoma da 22 anni e per questo ha tentato l'ultima strada che le resta per cercare di rallentare il progredire della malattia il cui esito purtroppo è la cecità: ed invero la sostanza stupefacente ricavabile dalla pianta di marijuana sequestrata serviva alla donna per iniziare una terapia alternativa ai farmaci della durata di trenta giorni, proprio come le aveva consigliato già dieci anni fa il suo oculista;
          al giornalista Francesco Furlan la dottoressa Agresti ha dichiarato quanto segue: «Ho sempre avuto paura di abbandonare i farmaci ma ora la mia malattia sta peggiorando ogni giorni di più. Sono 22 anni che ne sono affetta e, stando alla media, ho ancora soltanto quattro anni prima di perdere la vista. Non so nemmeno se la marijuana avrebbe prodotto su di me l'effetto benefico di rallentamento della malattia visto che non ho potuto cominciare la cura, seppure esistono studi e casi trentennali che confermano questa tesi, ma quando sei disperato ci provi. Avrei dovuto cominciare questa cura a breve, appena terminato di essiccare le prime foglie, per poi assumerle tramite infusione, ma come ho poi spiegato al Giudice Rosanna Brancaccio, non è stato possibile a causa dell'intervento dei carabinieri. Ad oggi non c’è ancora una cura per il glaucoma che, voglio ricordarlo, è una malattia degenerativa che provoca lesioni non reversibili del nervo ottico. Normalmente la pressione endoculare in un soggetto normale è venti, nel mio caso è quaranta, ed determinata dalla quantità di liquido prodotto all'interno dell'occhio: più liquido c’è nel bulbo oculare è più alto è il valore della pressione. L'assunzione di marijuana invece determinerebbe un abbassamento di questa pressione rallentando il progresso della malattia. Per questo non mi sento colpevole di nulla e quindi ho rifiutato di patteggiare una pena per i reati di detenzione e coltivazione. Esiste una giurisprudenza affermata che ha portato quattro regioni italiane, Puglia, Liguria, Toscana e Veneto, in cui l'uso terapeutico è riconosciuto. Lotterò per veder riconosciuto il mio diritto in Lazio a curarmi come meglio credo. Non mi si può togliere la speranza di stare meglio»;
          i principi attivi dei cannabinoidi, sintetici o naturali, sono inseriti ufficialmente tra le sostanze dotate di efficacia terapeutica (tab II-B: il Delta-9-tetraidrocannabinolo, TBC, il Trans-delta-9tetraidrocannabinolo, denominato anche Dronabinol; il Nabilone);
          i farmaci a base di cannabinoidi sono da anni impiegati nel mondo nel trattamento dei sintomi di diverse patologie (come per esempio la nausea e il vomito nei pazienti sottoposti a chemioterapia, sindromi dolorose neuropatiche, reumatiche, di origine tumorale e di altra natura, stati di stress post-traumatico, alcuni effetti delle terapie retrovirali nei pazienti affetti da BIV, il glaucoma e molte altre ancora);
          in Italia, pur essendo consentita la prescrizione di terapie che fanno uso di questi farmaci, il loro approvvigionamento da parte dei pazienti è possibile, nei termini previsti dalle leggi, esclusivamente grazie all'importazione dall'estero, attraverso le procedure previste dal decreto ministeriale 11 febbraio 1997 rubricato «Importazione di specialità medicinali registrate all'estero»;
          in Italia, infatti, non esistono in commercio farmaci registrati a base di cannabinoidi, né sintetici né naturali, e non esistono produttori autorizzati di cannabis per scopi medici per mancanza di richieste di autorizzazione alla produzione da parte delle nostre industrie farmaceutiche e per mancanza di richieste di AIC (autorizzazione all'immissione in commercio) da parte di industrie produttrici straniere;
          l'importazione di tali farmaci per il paziente comporta enormi difficoltà oltre ad un notevole aggravio di spesa rispetto al vero prezzo del farmaco, cui vanno aggiunti costi di centinaia di euro per ogni singola pratica d'importazione, che va ripetuta dopo due mesi, mentre solo poche Aziende sanitarie locali forniscono la terapia in regime di day hospital;
          si tratta di una strada tortuosa, costosa e burocratica che induce i più a scoraggiarsi o, in alcuni casi, a indirizzarsi verso il mercato nero dello spaccio della cannabis da una parte e, dall'altra, verso la strada dell'autoproduzione, come avvenuto nel caso della dottoressa Agresti, reato passibile di condanna anche con reclusione fino a diversi anni;
          a tal proposito, lo scorso 9 novembre in piazza Montecitorio si è svolta la manifestazione antiproibizionista per l'accesso alla cannabis terapeutica e la depenalizzazione per uso personale della coltivazione della marijuana; manifestazione promossa dal Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito, dall'Associazione Luca Coscioni, da radicali italiani e dall'Associazione il detenuto ignoto;
          nel corso della manifestazione la prima firmataria del presente atto – oltre a presentare alla stampa una sua mozione firmata da 27 deputati appartenenti a tutti gli schieramenti politici e volta ad impegnare il Governo a semplificare le procedure di importazione, commercializzazione e accesso ai farmaci a base di cannabis e a favorirne la produzione sul territorio nazionale – ha consegnato ad alcuni malati – come atto di disobbedienza civile – alcuni cime di piante di marijuana che, come risulta da pubbliche dichiarazioni rilasciate alla stampa, aveva cominciato a coltivare sul terrazzo di casa fin dal giugno scorso;
          nel corso della manifestazione di disobbedienza civile, alla prima firmataria del presente atto sono stati sequestrati circa 600 grammi di marijuana, mentre ai tre malati che hanno ricevuto la sostanza-stupefacente è stata contestata la violazione amministrativa di cui all'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n.  309 del 1990;
          nel corso della presente legislatura, oltre alla mozione sulla cannabis terapeutica sopra richiamata, l'interrogante ha anche depositato un progetto di legge nel quale si richiama espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73, comma 1-bis che nell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n.  309 del 1990, ciò al fine di attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
          come radicali gli interroganti ritengano infatti che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto «coltivatore» di qualche piantina di canapa indiana (proprio come nel caso della dottoressa Agresti) mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza. Senza considerare, inoltre, che come più sopra ricordato, non pochi malati di patologie che possono essere curate con la cannabis terapeutica, pur di non ricorrere al mercato criminale e considerata la difficoltà di accesso ai farmaci a base di cannabinoidi, preferiscono coltivarsi le piante incorrendo così nel rischio di finire in carcere  –:
          di quali informazioni disponga il Governo in merito alla vicenda riportata in premessa;
          se, come richiesto anche in altre interrogazioni, il Ministro della giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijvana) avvenuti in seguito 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n.  49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di stanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
          se e quali orientamenti il Ministro della Salute esprima sull'uso terapeutico dei principi attivi della cannabis, ciò possibilmente sulla base delle evidenze scientifiche che devono prevalere su suggestioni proibizioniste prive di effettivi riscontri;
          se il Ministro della salute non ritenga opportuno adottare tutte le iniziative necessarie volte a facilitare l'accesso alla commercializzazione dei farmaci e dei preparati galenici magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche, dando il necessario supporto tecnico ai medici, di informazione e di accompagnamento, nonché ai malati e ai loro familiari, nell’iter complesso delle procedure per la fruizione dei singoli ritrovati;
          se il Governo non ritenga necessario un urgente ripensamento della politica fino ad oggi adottata per combattere il problema legato al consumo delle sostanze stupefacenti, in particolare prevedendo che anche l'attività di coltivazione di sostanza stupefacente il cui ricavato sia destinato ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993. (4-18607)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in data 31 ottobre 2007 veniva emesso un decreto di sequestro preventivo ex articolo 12-sexies del decreto-legge n.  306 del 1992, nell'ambito del procedimento penale R.G.N.R. 1442/07, procura della Repubblica presso il tribunale di Teramo a carico di Guerino Di Giorgio e Marisa Di Rocco imputati dei reati di detenzione e cessione di sostanza stupefacente nonché di usura e, in esecuzione del predetto decreto, veniva sottoposto a sequestro, in data 3 novembre 2007, tra gli altri beni, anche l'immobile sito in Martinsicuro, Via delle Lancette n.  7, intestato a Di Rocco Marisa;
          avverso tale provvedimento facevano istanza di revoca i difensori di Di Rocco Marisa e Di Giorgio Guerino, di tal che il giudice per le indagini preliminari, in data 7 ottobre 2008, in accoglimento della predetta istanza, disponeva la revoca del sequestro preventivo limitatamente all'immobile sito in Martinsicuro, Via delle Lancette, n.  7, e il conseguente dissequestro e la restituzione del predetto immobile agli aventi diritto;
          con successivo atto di appello ex articolo 322-bis codice di procedura penale, il pubblico ministero chiedeva al tribunale del riesame il ripristino del provvedimento di sequestro preventivo esistente sul citato immobile, osservando che a sostegno del sequestro vi era l'assoluta rispondenza di esso ai presupposti di legge;
          il tribunale del riesame accoglieva l'appello dichiarando che sussiste un evidente nesso strumentale del sequestro preventivo rispetto alla confisca, per cui il primo era diretto ad evitare che fossero dispersi o sottratti i beni oggetto del futuro provvedimento ablatorio;
          gli indagati proponevano incidente di esecuzione con cui facevano rilevare un vizio di forma nell'ordinanza del tribunale del riesame e appello che aveva assunto la riserva in una determinata composizione e aveva poi sciolto la stessa in una diversa composizione del collegio. L'incidente di esecuzione veniva accolto dal tribunale il quale disponeva pertanto la sospensione del provvedimento di sequestro e il conseguente dissequestro dell'immobile di via delle Lancette intestato a Di Rocco Marisa;
          il Pubblico ministero richiedeva pertanto nuovo sequestro preventivo del predetto immobile al G.U.P. di Teramo il quale rigettava la richiesta con provvedimento del 4 marzo 2009;
          nel citato provvedimento il G.U.P. ripercorre i motivi di impugnazione del pubblico ministero, tra i quali rientrano anche i seguenti: a) non è chiara la motivazione per la quale Elena Di Rocco, che non risulta disporre di risorse economiche di particolare consistenza, si fosse determinata a rilasciare in favore di Marisa Di Rocco la procura speciale per riscuotere l'assegno, «tenuto conto dell'etnia rom di appartenenza dei soggetti interessati»; b) inoltre occorre dare rilevanza al fatto che una persona totalmente priva di redditi come Elena di Rocco figurasse come cedente di 80 milioni di lire nei confronti della sorella Marisa Di Rocco, «poiché trattasi di rom»;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, i citati passaggi dell'atto di impugnazione del pubblico ministero sfiorano la discriminazione razziale in quanto fanno derivare dalla semplice appartenenza ad una particolare etnia determinate condotte  –:
          se, in seguito alla verifica del contenuto dei motivi di impugnazione del pubblico ministero indicati in premessa, poi rigettati dal G.U.P. di Teramo con provvedimento del 4 marzo 2009, non ravvisi la sussistenza di elementi tali da giustificare l'avvio di un procedimento disciplinare. (4-18608)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


      PIONATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la legge regola le attività di palombaro e sommozzatore in servizio locale, addetti ai servizi portuali, la prima categoria è stata istituita dall'articolo 116, comma 1, numero 3, del Codice della navigazione, ed è disciplinata dagli articoli 204-207 del regolamento per l'esecuzione del medesimo codice, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n.  328;
          tali articoli prevedono, in particolare, che i palombari in questione possano esercitare la propria attività solo nell'ambito dei porti, ed istituisce presso i vari porti dei registri nei quali i palombari devono iscriversi per esercitare la propria attività. È prevista altresì l'istituzione di un libretto di ricognizione, le cui modalità di tenuta sono disciplinate dall'articolo 155 del regolamento citato;
          sostanzialmente analoga è la disciplina recata dal decreto ministeriale 13 gennaio 1979, «Istituzione della categoria dei “sommozzatori in servizio locale”», dettata per adeguare i requisiti richiesti per i palombari alle particolari condizioni tecniche e operative della loro attività, che prevede anch'essa l'istituzione di un registro e di un libretto di ricognizione tenuti dal comandante del porto. In entrambi i casi per l'iscrizione nei rispettivi registri portuali, sono richiesti requisiti anche fisico sanitari e formativi. L'articolo 204 del regolamento di esecuzione al codice della navigazione e l'articolo 2 del decreto ministeriale 13 gennaio 1979 dispongono che palombari e sommozzatori possono esercitare la loro attività nell'ambito del porto dove sono inscritti e possono operare temporaneamente in altri porti previa specifica autorizzazione;
          questi lavoratori, in particolare i sommozzatori, devono annualmente rinnovare la certificazione medica; si tratta di una procedura lunga e costosa, necessaria per operare fuori dal proprio compartimento di iscrizione. A tal fine tali lavoratori devono ottenere un permesso e si devono adeguare alla normativa UNI e alle indicazioni della competente unità della guardia costiera rispettando le varie ordinanze;
          in un momento estremamente difficile sul mercato del lavoro, alcuni operatori tecnici subacquei iscritti nei compartimenti italiani hanno chiesto e denunciato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con lettera, in forza di quale norma/disposizione/ordinanza lavoratori subacquei stranieri neppure cittadini dell'Unione europea, si immergono per lavorare sul sito del «M/N Concordia», togliendo lavoro a cittadini italiani, che sono del settore e possiedono i titoli e le specializzazioni richieste;
          giova rammentare che la norma sulla protezione civile che permette il superamento delle leggi ordinarie ha efficacia solo in caso di emergenza e i firmatari della lettera al Ministero delle infrastrutture affermano che le attività attualmente svolte in ordine al relitto della M/N Concordia non hanno più nessun carattere di emergenza;
          in questo modo gli operatori tecnici subacquei/sommozzatori iscritti nei compartimenti di afferenza, sono concretamente danneggiati dall'esclusione delle loro professionalità dal lavoro nel citato sito. Questo nonostante il fatto che adempiano agli obblighi, in quanto iscritti, con rilevanti oneri economici alle visite mediche specialistiche, paghino marche da bollo e spese di spostamento a carico proprio, e altro  –:
          se i sommozzatori impegnati nelle operazioni relative al recupero della nave Concordia presso l'isola del Giglio abbiano i requisiti per lo svolgimento di attività in simili situazioni;
          se vi sono state autorizzazioni che consentano ai sommozzatori stranieri che potrebbero essere privi di requisiti richiesti dalle vigenti normative, di operare nelle acque prospicienti l'isola del Giglio e se, in mancanza delle medesime, non si ritenga necessario disporre l'immediato fermo delle operazioni subacquee prima descritte. (4-18575)


      GALATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nell'ottica del risanamento dei conti pubblici e soprattutto della riduzione del debito pubblico, la messa in campo della cosiddetta «spending review» è stata necessaria per armonizzare l'apparato economico dello Stato. Nel tenere conto di tale inderogabile necessità, non bisogna altresì dimenticare le necessità e i bisogni di alcune realtà regionali, come la Calabria, che hanno bisogno di attenzioni particolari in alcuni comparti fondamentali, tra cui quello dei trasporti e delle reti infrastrutturali della viabilità. In questi ultimi giorni si è appalesata l'ipotesi di un ridimensionamento dello scalo ferroviario di Lamezia Terme che da perno centrale dei trasporti intermodali dell'intera Regione verrebbe ad essere retrocessa a semplice fermata. Tutto questo è insopportabile, e rappresenterebbe una vera e propria discriminazione verso un territorio già economicamente debole, una vera e propria mannaia per il tessuto economico legato inevitabilmente al sistema dei trasporti;
          nella nuova programmazione aziendale, lo scalo di Lamezia Terme, sarebbe privato dei dirigenti movimento e dei capi stazione di turno. Dovrebbe essere inoltre soppresso e accorpato a Napoli il dirigente centrale operativo che coordina una grande sala operativa da dove si controllano le stazioni non presidiate a sud dello scalo lametino;
          qualora tutto ciò venisse confermato lo scalo sarebbe destinato a diventare da stazione controllante a stazione controllata della sede di Napoli e, sempre stando alle indiscrezioni, ad essere oggetto di soppressione sarebbero anche la biglietteria, il deposito personale viaggiante, il reparto territoriale movimento e l'ufficio verifiche che comporterà come conseguenza finale la chiusura della stessa nelle ore notturne, e che metterebbe a rischio la perdita di diversi posti di lavoro;
          la mancanza di crescita nella regione Calabria è da sempre legata ad un sistema di trasporti poco ottimale;
          lo scorso mese di settembre in sede di discussione in aula della mozione sulla Calabria, in cui iter è ancora in corso, l'interrogante aveva sollecitato il Governo, ad intervenire in materia di infrastrutture e trasporti. Occorre ricordare che il piano per il sud, aveva rintracciati, tra le priorità strategiche l'obiettivo di realizzare nel Mezzogiorno un sistema ferroviario, stradale e portuale moderno capace di favorire l'unificazione nazionale del Paese ed accrescere le possibilità di sviluppo del mercato interno;
          non si comprendono dunque le motivazioni che porterebbero ad un ridimensionamento della stazione ferroviaria più importante e centrale della Calabria. Questo non è il momento opportuno per pensare a riduzioni o ridimensionamento. Il settore dei trasporti calabresi deve avere le stesse caratteristiche strutturali, tecniche e di servizi dei più grandi scali italiani allo scopo di favorire i collegamenti da e per la Calabria in una fase di internazionalizzazione dei mercati. Questi, sono obiettivi importanti per programmare uno sviluppo concreto della nostra regione. Se si punta sull'interregionalità e su uno sviluppo equo del paese, le regioni periferiche devono essere collegate alle altre allo stesso modo;
          mettere a posto i conti dello Stato è elemento fondamentale ma i soli tagli e i ridimensionamenti non guardano al futuro. La realizzazione, quindi, di politiche mirate alla «fortificazione» delle strategie di sviluppo infrastrutturale dei nodi di comunicazione, al momento, possono rappresentare un vero e proprio volano di sviluppo per i territori come la Calabria che soffrono l'attuale crisi economica;
          non si può penalizzare una regione ed il suo territorio a vantaggio di altre, occorre adottare principi che si basano sull'equità, anche sul rigore, ma devono fondarsi necessariamente sul potenziamento delle eccellenze: ciò che la stazione di Lamezia Terme costituisce sul territorio regionale e nel mezzogiorno d'Italia  –:
          se siano fondate le ipotesi di ridimensionamento dello scalo ferroviario di Lamezia Terme;
          quali azioni il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intenda mettere in campo per sostenere lo sviluppo infrastrutturale e la rete dei trasporti della Regione Calabria;
          se i ministri interrogati possano confermare tra le priorità strategiche del cosiddetto Piano per il Sud la realizzazione nel Mezzogiorno, ed in Calabria, di un sistema ferroviario, stradale e portuale moderno capace di favorire l'unificazione nazionale del Paese ed accrescere le possibilità di sviluppo del mercato interno.
(4-18594)


      CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni, numerosi articoli della stampa nazionale ed europea stanno portando alla luce un fenomeno gravissimo che coinvolge percentuali altissime di piloti di tutte le compagnie aeree europee, di bandiera e low-cost;
          si tratta del fenomeno della stanchezza operativa che coinvolge, stando alla lettura di questi quotidiani e dell'Agenzia di stampa aeronautica Avionews, più della metà dei piloti e comporta un pericolo gravissimo alla navigazione e alla sicurezza del trasporto aereo;
          a causa della lunghe ore di servizio ininterrotto, molti piloti si addormentano letteralmente ai comandi dei loro aeromobili e solo il loro addestramento, la loro indiscussa professionalità, e il loro senso del dovere hanno fatto sì che si evitassero tragedie;
          aggravare la situazione del personale di volo e della sicurezza delle operazioni si è aggiunta l'EASA, la European aviation safety agency che, con la sua proposta finale di revisione delle cosiddette FTL (limiti dei tempi di volo e di servizio per piloti ed assistenti di volo), soccorre solo le esigenze commerciali delle compagnie aeree comunitarie che, apparentemente, a parole si occupano di sicurezza ma in realtà la loro attenzione è rivolta all'interasse economico;
          i responsabili dell'EASA, durante gli incontri riservati agli addetti ai lavori, non hanno esaurientemente risposto ai quesiti che i rappresentanti dei piloti hanno rivolto loro, dirottando l'attenzione su qualche lieve miglioramento delle nuove norme, ma riferiti solo a una limitata parte di quelle vigenti. Costoro, sembra, non vogliano notare che la loro proposta permetterà l'aumento dei carichi di lavoro degli equipaggi che, come dice Nico Voorbach pilota e presidente di Eca (European Cockpit Association), imporranno ai piloti di volare «pericolosamente stanchi»;
          in qualità di professionisti e garanti della sicurezza, i piloti hanno il dovere di non operare quando sono stanchi. In questo caso la variegata tipologia dei contratti di lavoro in essere in Europa fra i vettori e il personale di volo, in molti casi occupati stagionalmente non hanno la necessaria serenità per decidere la doverosa astensione dal lavoro nel caso si sentano non psico-fisiologicamente idonei a svolgere le proprie funzioni di membro d'equipaggio. Pertanto, solo una adeguata tutela normativa garantirà l'impiego del personale di volo in accordo a quanto rilevato dagli scienziati;
          la proposta dell'EASA trascura i risultati dello studio scientifico, commissionato dalla stessa Agenzia alla Moebus Aviation, denominato «Final Report – Scientific e medical evaluation of Flight Time Limitation». Se EASA non rivedesse la sua proposta, disattendendo le inequivocabili evidenze del rapporto Moebus e le indicazioni suggerite dagli scienziati, contribuirà a rendere legale il fatto di pilotare un aereo e, dopo un periodo di veglia di più di 22 ore, effettuare la delicata manovra dell'atterraggio. La nuova proposta di regolamentazione permetterà, inoltre, di effettuare fino a 12 ore di volo notturno quando gli scienziati hanno individuato un limite di 10 ore, di ignorare restrizioni nella programmazione dei voli che possano potenzialmente provocare seri disturbi del ciclo circadiano (naturale alternanza fra il periodo di sonno e quello di veglia di un individuo) come nel caso di una sequenza di partenze consecutive all'alba, di impiegare di riserva gli equipaggi per molti giorni, con orari di fine servizio indefiniti, senza avere la possibilità di pianificare correttamente il necessario riposo. Tutto questo in condizioni normali. Non è prevedibile cosa farebbe un pilota, professionista e ben addestrato, se a 22 ore dalla sveglia si trovasse a gestire una o più avarie complesse che caratterizzano i velivoli di ultima generazione;
          il segretario generale di Eca Philip von Schoppenthau ha dichiarato che «la stanchezza inficia le capacità di giudizio e l'abilità dei membri d'equipaggio nel reagire rapidamente – con potenziali conseguenze disastrose – come testimoniano recenti e drammatici incidenti. Non possiamo aspettare un altro incidente prima che l'Unione europea si svegli e realizzi che le sue regole sono inadeguate. Abbiamo bisogno di regole sicure subito»;
          l'ECA, in rappresentanza delle Associazioni professionali dei piloti europei e di cui fa parte anche l'IPA – Italian pilots association, ha chiesto alle istituzioni dell'Unione europea di ritirare, senza ulteriori indugi, il sostegno a questa proposta pericolosa e di mettere in atto cambiamenti che proteggano il diritto primario e basilare dei passeggeri: volare in sicurezza;
          quanto sin qui esposto è solo una minima parte delle osservazioni che ECA ha rappresentato a EASA durante tutto il periodo di revisione della proposta di modifica dei limiti di impiego degli equipaggi di volo, senza essere ascoltata. L'Italia ha il dovere di intervenire tempestivamente e con forza affinché le uniche indicazioni prese a riferimento siano i risultati forniti dalla scienza  –:
          quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per affrontare le problematiche esposte in premesse, sostenere fattivamente presso le istituzioni europee il percorso più idoneo a garantire la sicurezza delle operazioni di volo, nel rispetto delle evidenze scientifiche summenzionate è da seguire durante il processo di revisione dei limiti di impiego degli equipaggi di volo. (4-18597)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


      BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          questa interrogazione fa seguito alle altre due precedentemente presentate, sempre riguardanti le vicende amministrative di Tricarico, e per le quali non è ancora pervenuta risposta;
          si tratta di una vicenda grave che riguarda la situazione politico amministrativa venutasi a creare nel comune di Tricarico (Matera) dopo le vicende giudiziarie che hanno interessato il primo cittadino Antonio Melfi e che ovviamente si ripercuotono su tutta l'attività amministrativa;
          in particolare l'interrogante si riferisce a quanto segnalato dai consiglieri di minoranza all'interno del consiglio comunale di Tricarico in merito alla seduta del 27 ottobre 2012, seduta nella quale è stata bocciata l'approvazione del bilancio di previsione da parte del consiglio comunale di Tricarico perché, su 12 consiglieri presenti, 6 consiglieri hanno espresso voto favorevole e 6 voto contrario;
          a seguito della convocazione del 31 ottobre, il consiglio comunale si riuniva in data 15 novembre 2012, in seconda convocazione, per approvare un nuovo schema di bilancio di previsione;
          nel corso della seduta, nelle funzioni di presidente del consiglio, il vice sindaco affermava «avevo invitato con la lettera il consigliere Mestice a non partecipare; questa sera lo ammonisco a non partecipare alla discussione e al voto sul bilancio per eliminare ogni conseguenza derivante dalla violazione dell'obbligo di astensione; si precisa sin da ora che per evitare nuove violazioni ed illiceità derivanti da una eventuale partecipazione al voto di una persona in posizione di conflitto di interesse, nel computo dei votanti al fine del quorum sia strutturale che decisorio, non si terrà conto delle argomentazioni svolte e delle votazioni espresse dal predetto consigliere»;
          nel corso della medesima seduta il consigliere Luigi Benevento ha chiesto lumi al segretario comunale, a cui sono demandate per legge le funzioni di assistenza giuridico-amministrativa, chiedendo testualmente «se è possibile che il voto espresso da un consigliere, qualsiasi voto esso sia, non venga computato ai fini dell'approvazione»;
          il segretario comunale ha risposto che «nessuno può annullare o rendere nulli voti, atti, o provvedimenti se non organi abilitati a fare ciò; non mi sembra che il presidente di una sessione di un'assemblea possa dichiarare, preliminarmente ed a prescindere, nullo o annullato un voto; rimarrà agli atti il voto»;
          nonostante tale limpida e incontrovertibile dichiarazione, il presidente del consiglio nonché vice sindaco, decideva arbitrariamente, di proclamare la seguente votazione «6 voti favorevoli, 6 voti contrari, di cui uno nullo (quello appunto del consigliere Mestice), dichiarando così approvato il bilancio»;
          si tratta di un atto molto grave che non può essere taciuto e sul quale il Ministro dell'interno deve avviare una verifica immediata poiché è stata informata tempestivamente la prefettura  –:
          se alla luce di questo ulteriore grave episodio il Ministro intenda attivarsi immediatamente per verificare quanto descritto in premessa nonché, anche in base ai fatti segnalati nelle precedenti interrogazioni ancora prive di risposta, non vi siano i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale Tricarico ai sensi dell'articolo 141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
(3-02615)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZAZZERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 28 gennaio 2009 il comune di Palo del Colle (BA) ha approvato il piano urbanistico generale (PUG) ai sensi della legge regionale n.  20 per 2001, articolo 11, comma 12;
          in tale occasione, il segretario generale ha dato lettura dell'articolo 78, commi 2 e 4, del decreto legislativo n.  267 del 2000 (testo unico delle leggi regionale sull'ordinamento degli enti locali) che recitano testualmente: «Gli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado». «Nel caso di piani urbanistici, ove la correlazione immediata e diretta di cui al comma 2 sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, le parti di strumento urbanistico che costituivano oggetto della correlazione sono annullate e sostituite mediante nuova variante urbanistica parziale. Nelle more dell'accertamento di tale stato di correlazione immediata e diretta tra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini è sospesa la validità delle relative disposizioni del piano urbanistico»;
          conseguentemente, il presidente ha invitato i consiglieri in condizione di incompatibilità ad allontanarsi dalla sala consiliare;
          all'interrogante tuttavia, risulta che uno dei consiglieri, pur essendo intestatario di un suolo compreso nel piano urbanistico generale, abbia partecipato alla votazione definitiva, in violazione dell'articolo 78 del decreto succitato;
          in merito all'obbligo di astensione, la giurisprudenza ritiene che «L'amministratore pubblico, in base al disposto dell'articolo 78 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n.  267, relativamente agli atti a carattere generale (quali gli strumenti urbanistici) deve astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione nei soli casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado. Tale obbligo di allontanamento dalla seduta, in quanto dettato al fine di garantire la trasparenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa, sorge per il solo fatto che l'amministratore rivesta una posizione suscettibile di determinare, anche in astratto, un conflitto di interesse, a nulla rilevando che lo specifico fine privato sia stato o meno realizzato e che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizio per la pubblica amministrazione (parziale riforma della sentenza del T.a.r. Piemonte-Torino, sez. I, n.  2847/2010)»  –:
          se disponga di elementi al riguardo e se ritenga che sussistano i presupposti per l'esercizio dei poteri previsti dall'articolo 142 del testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n.  267 relativamente alla rimozione e sospensione di amministratori locali. (4-18570)


      BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          sempre più spesso agenzie di stampa riportano notizie in merito a casi di violenza e maltrattamenti su donne da parte di immigrati;
          un'Ansa del 3 ottobre 2012, riporta la notizia di un tunisino che, a Piacenza, è stato denunciato per maltrattamenti in famiglia, lesioni personali, violenza sessuale e privata, perché picchiava la moglie per costringerla a portare il chador e per non farle frequentare amiche italiane; la donna avrebbe subito violenze per ben 12 anni;
          l'Adnkronos del 3 ottobre 2012, rende noto che i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Udine hanno arrestato Ferdinand Arapaj, un albanese di 43 anni, per maltrattamenti, percosse e violenza sessuale a danno della moglie anch'essa albanese;
          il 5 ottobre l'Ansa annuncia sia l'arresto di un rumeno di 30 anni a Viareggio per violenza sessuale nei confronti della compagna, una polacca di 50 anni sia di un tunisino di 37 anni a Palazzo San Gervasio (Potenza) per maltrattamenti in famiglia, violenza e resistenza a pubblico ufficiale;
          sempre il 5 ottobre l'agenzia Dire riporta la notizia dell'arresto di un indiano ad Aprilia (Roma), per maltrattamenti e lesioni personali a danno della moglie e del figlio, minorenne;
          altra sconcertante notizia è riportata dall'Ansa del 7 ottobre: una ragazzina pakistana, emigrata in un paesino della Tuscia qualche anno fa, era continuamente picchiata e segregata dal padre, perché poco rispettosa delle tradizioni del Paese d'origine e perché, era diventata troppo occidentale. La giovane oggi vive in una struttura protetta;
          l'Adnkronos riferisce che, a Milano, un marocchino di 29 anni è stato arrestato per aver segregato, perseguitato e picchiato la convivente connazionale di 25 anni;
          l'Ansa del 9 ottobre riporta la notizia di un polacco di 27 anni, già in carcere per violenza e resistenza a due Carabinieri, che è stato accusato anche di violenza a danno della convivente e di lesioni nei confronti del figlio di cinque mesi;
          ancora l'Ansa del 12 ottobre annuncia che un cingalese di 38 anni, a Terni, è stato arrestato per percosse e minacce di morte a danno della moglie; dalle indagini sarebbe emerso che la moglie subiva le violenze da diversi anni;
          il 15 ottobre, sempre l'Ansa, riporta la notizia di un immigrato extracomunitario che, a Sassoferrato (Ancona), è stato arrestato per maltrattamenti in famiglia a danno della ex convivente, dopo aver per l'ennesima volta picchiato la donna e portato via il figlio dalla casa dove abitava con la madre;
          la Tmnews del 16 ottobre riferisce dell'arresto, a Jesi, di un 58enne di origine albanese per ripetuti maltrattamenti in famiglia;
          ed ancora un'Ansa del 22 ottobre rende noto l'arresto di un operaio marocchino di 41 anni, a Formigine (MO), per aver colpito alla testa la moglie, una connazionale di 25 anni, dopo averle lanciato contro un vaso di terra. La donna avrebbe riportato un lieve trauma cranico;
          sempre un'Ansa del 28 ottobre riporta l'arresto di un bosniaco di 60 anni, a Genova, per lesioni e sequestro di persona. L'uomo, oltre a picchiare e minacciare la moglie, e la figlioletta e avrebbe sbattuto la testa del figlio minorenne più volte contro il muro;
          un'ulteriore notizia dell'agenzia Adnkronos del 29 ottobre denuncia l'arresto di un giovane rumeno, a Civita Castellana, per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, sia a danno della moglie, che della figlia di 10 anni;
          episodi come questi, in continuo aumento, riportati solo dalle agenzie di stampa e ignorati dagli altri organi di informazione non suscitano ormai nessuna reazione;
          si tratta, invece, di violenze inaccettabili, che dovrebbero essere severamente condannate, che rappresentano un affronto alla dignità di tutte le donne e di tutti i minori e che dimostrano come l'integrazione degli immigrati nel nostro Paese non si è mai veramente realizzata e sta subendo, purtroppo, una pericolosa regressione  –:
          se i Ministri siano a conoscenza di tali episodi e quali altri elementi abbiano in merito;
          quali procedimenti urgenti intendano adottare per scongiurare l'aumento di casi di violenza di tale genere;
          se siano in grado di fornire dati e statistiche relativi a vicende che vedono coinvolte donne straniere, vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei famigliari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
          se corrisponda al vero che questi episodi sono in costante aumento in Italia;
          come si spieghi questa involuzione nei percorsi di integrazione di tanti stranieri, molti dei quali vivono da anni nel nostro Paese, ma dimostrano di non rispettare regole e comportamenti propri del nostro ordinamento, a danno delle proprie famiglie e soprattutto delle donne;
          se non ritenga necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, una indagine approfondita per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano in Italia e per verificare la reale situazione delle donne straniere che vivono nel nostro Paese. (4-18576)


      DI PIETRO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          i naviganti (marittimi o aviatori) italiani, in virtù del lavoro che svolgono, trascorrono molto tempo all'estero, lontani da casa;
          il diritto di voto è garantito ai residenti all'estero e ai militari in missione ma non ai cittadini temporaneamente all'estero siano essi in navigazione o nei porti stranieri per motivi di lavoro;
          il diritto-dovere di voto è un cardine della nostra democrazia e deve essere garantito a tutti i cittadini  –:
          se non intenda procedere a una semplificazione del voto per corrispondenza consentendo ai naviganti di votare a bordo della nave su cui si trovano;
          se non ritenga opportuno ovviare quanto prima a un vuoto normativo così da sanare la disparità di trattamento che sussiste tra militari e naviganti che si trovano all'estero. (4-18583)


      CASSINELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto sulla revisione della spesa pubblica cosiddetta «spending review» (decreto legge n.  95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n.  135 del 2012) ha apportato nuovi pesanti sacrifici alle forze dell'ordine e gli emendamenti approvati dalla Commissione bilancio al disegno di legge stabilità sul comparto sicurezza (nuove assunzioni in deroga al «blocco del turn over» previsto per la pubblica amministrazione per una spesa complessiva di 100 milioni e l'eliminazione delle soglie di copertura del turn over, fino al 50 per cento nel 2013, indicate nella prima versione degli emendamenti) non sono sufficienti;
          i numeri delle forze impiegate sul territorio sono allarmanti: l'organico complessivo di polizia, carabinieri e guardia di finanza dovrebbe essere di 237.320, mentre quello effettivo si ferma 220.676. Per polizia e carabinieri, a fronte di un organico teorico di 185.801 persone, ne risultano effettivamente impiegate – a copertura di 7.312 postazioni sul territorio – solo 173.190. La stessa situazione riguarda la guardia di finanza, in cui l'organico previsto è di 51.519 addetti, ma quello effettivo arriva a 47.486;
          notizie di stampa confermate da fonti delle forze dell'ordine attestano la pesante emergenza all'interno del comparto di sicurezza: la mancanza di benzina e di manutenzione per i mezzi di trasporto, la mancanza di carta per le normali pratiche di cancelleria, l'assenza totale di corsi di aggiornamento oltre alla già citata carenza di personale;
          nonostante questo quadro d'insieme, la situazione non è, fino ad ora, degenerata solo grazie alla grande professionalità dagli agenti  –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere per farsi che la situazione, che da tempo si manifesta come palesemente critica, venga ripristinata ai livelli di tollerabilità, pensando a nuovi interventi a favore del comparto sicurezza e alla reintroduzione della marca da bollo per le denunce di smarrimento (2.621.877 solo nel 2011), che porterebbe nuovi fondi alle forze dell'ordine. (4-18588)


      FIANO, ORLANDO e GINEFRA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il quotidiano la Repubblica ha dato conto nella sua versione on line di un video registrato da un manifestante che riprendeva quello che appariva come un lancio di fumogeni dai piani sopraelevati del Ministero della giustizia durante gli scontri avvenuti in via Arenula lo scorso mercoledì durante la manifestazione contro la crisi e l'austerità indetta dai sindacati europei  –:
          se risulti vero tale accadimento, se eventualmente rientri nella norma il lancio di fumogeni da posizioni sopraelevate e se in qualche modo questo potesse essere potenzialmente lesivo per i manifestanti. (4-18603)


      TOMMASO FOTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dall'indirizzo internet http://interno 18.it/cronaca/22178/camorra-maxi-sequestrato-allavvocato-michele-santonastaso si apprende che a seguito di indagini della direzione distrettuale antimafia e della procura di Napoli, risulterebbero essere stati sequestrati il 21 dicembre 2011 a Giuseppe Nocera, nato a San Cipriano d'Aversa il 27 luglio 1960:
              a) quota pari al 66,66 per cento del capitale della società «AZZURRA IMMOBILIARE srl», avente sede in Napoli al Centro direzionale Isola F12, della quale è amministratore;
              b) quota pari al 50 per cento della società denominata «DELTA COSTRUZIONI srl», avente sede in Fabbrico (Reggio Emilia), alla via Piave n.  61, della quale è Presidente del consiglio di amministrazione;
              c) totalità delle quote e beni strumentali della società «LOR.AL srl», avente sede in Fabbrico (Reggio Emilia), alla via Favrega n.  40, comprese le quote pari al 50 per cento del capitale sociale (50.000,00) della società «MEDIA 4 srl», con sede in Reggio Emilia alla via XXV Aprile;
              d) quote pari al 27.5 per cento del capitale sociale della società «IL CUBO IMMOBILIARE srl», avente sede in Correggio (Reggio Emilia), al Corso Mazzini n.  14, nella quale è Vice Presidente del consiglio di amministrazione;
              e) quota pari al 45 per cento del capitale sociale della società «MEDIA 3 IMMOBILIARE srl», avente sede in Correggio (Reggio Emilia) alla via Matteotti n.  7, nella quale è Presidente del consiglio di amministrazione;
              f) terreno per 1/6, foglio 8, particella 96, centiare 3.456, sito nel Comune di San Tammaro (Caserta);
              g) abitazione sita in Peschiera del Garda (Verona), alla via Venezia, riportata in catasto al foglio 10, particella 1363 sub. 20, intestato al 50 per cento;
              h) garage di mq. 18 sito al medesimo indirizzo, riportato in catasto al foglio 10, particella 1363 sub. 37 (comprese le parti comuni del fabbricato, tra le quali la piscina di cui alle particelle 61-62-67) intestato al 50 per cento;
              i) negozio ubicato in Reggio Emilia alla via Piave n.  61, in catasto al foglio 17, particella 507, sub. 5 di mq. 43 cat. C/1;
              j) garage sito in Reggio Emilia, alla Piazza Orti di San Francesco, in catasto al foglio 17, particella 513, sub. 26 di mq. 27, cat. C/6;
              k) villino sito in Reggio Emilia, alla via Favrega, distinto in catasto al foglio 11, particella 501 sub. 6, cat. A/2;
              l) garage sito in Reggio Emilia, alla via Favrega, distinto in catasto al foglio 11, particella 501 sub. 5 cat. C/6 mq.41;
              m) abitazione sita in Fabbrico (Reggio Emilia) in piazza Vittorio Veneto n.  1, di vani 5.5, distinta in catasto al foglio 17, particella 374, sub. 17, intestata alla moglie Ardente Maria Domenica;
              n) 1/2 del garage sito allo stesso indirizzo di mq. 12 mq, distinto in catasto foglio 17, particella 398 sub. 7., intestato alla moglie Ardente Maria Domenica;
              o) Mercedes 190 S.L., targata FIN00300, telaio 1210408501704, immatricolata in data 26 maggio 1993;
              p) BMW 635 CSI, targata N0682386, telaio WBAEE310801050871, immatricolata in data 23 maggio 1985;
          per quanto riguarda il comune di Fabbrico (Reggio Emilia), rilevato che negli ultimi 15 anni si è verificato una crescita della popolazione di oltre 1.000 abitanti, occorre osservare che, sul sito www.ilfattoquotidiano.it testualmente si legge; «Da sottolineare che Nocera è legato da rapporti di parentela e affari a Zagaria. Ed è un uomo che nel paese della Bassa conoscono in molti tanto che sia l'ex sindaco di Fabbrico e segretario provinciale del Pd a Reggio Emilia, Roberto Ferrari, che l'attuale sindaco, Luca Parmiggiani, ammettono di sapere di chi si tratta e di “aver acquistato casa da lui”. Tra i beni che gli sono stati sequestrati, molto ha infatti a che fare con l'immobiliare “ed ancora:” ...In merito alla nomea di Nocera in zona, ha dichiarato l'ex sindaco Ferrari al Giornale di Reggio: “Lo conosco da sempre, abita a Fabbrico da più tempo di me e sono sconvolto. Lo conoscevo in qualità di imprenditore che, insieme ad altri sul territorio, vende case. In paese nessuno aveva idea che dietro i suoi affari potessero esserci infiltrazioni camorristiche altrimenti non avrebbero acquistato”. E mettendo le mani avanti ha aggiunto: “Tutta la comunità di Fabbrico ha il diritto di sapere se i fatti sono veri perché in tanti hanno avuto rapporti del tipo acquirente-venditore con Nocera”. Incluso lui, Ferrari, che acquistò casa come tantissimi dall'imprenditore. “Ho pagato tutto e ho acceso un mutuo in banca per i prossimi 20 anni. Non notai nessuna anomalia”. Nocera a Fabbrico però non vende solo appartamenti e villette, ha costruito metà paese. Tra le opere che gli sono state affidate nel tempo, la scuola materna statale di via Trento, lavori di urbanizzazione e interi quartieri. In proposito ha detto l'attuale sindaco di Fabbrico, Luca Parmiggiani: “Siamo vicini di casa. La sua attività imprenditoriale ha contribuito all'espansione del paese e mezza Fabbrico ha comprato da lui. La mia però è una conoscenza superficiale, io non acquistai direttamente da lui, ma da un privato che si era servito da Nocera. Era il 2006”»;
          risulta effettivamente che il 27 aprile 2011 Roberto Ferrari (nato a Fabbrico il 6 settembre 1967) – già sindaco di Fabbrico ed attuale segretario provinciale del Partito democratico di Reggio Emilia – e Stefania Sabatini (nata a Novellara il 22 giugno 1972) abbiano acquistato da Delta Costruzioni Srl, ciascuno in ragione di 1/2, la proprietà di un immobile  –:
          se e quali accertamenti il Ministro interrogato, in ordine alle vicende più sopra esposte, intenda effettuare ai sensi dell'articolo 143 del Testo unico sull'ordinamento degli enti locali e successive modifiche ed integrazioni. (4-18609)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
          tutti i comparti che prevedono scatti automatici di anzianità sono stati oggetto del blocco degli scatti per un triennio, ai sensi del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n.  122;
          anche per il personale della scuola, con il succitato decreto-legge sono state attuate misure che vanno dal blocco dei contratti e degli scatti di anzianità al congelamento degli stipendi, con l'obiettivo, realizzato, di un taglio della spesa superiore al miliardo di euro nel triennio 2011-2013;
          solo per il personale della scuola, a causa delle riduzioni di spesa che nello stesso periodo hanno caratterizzato il settore, si è prevista una specifica modalità di pagamento degli scatti maturati nel triennio 2010-11-12 in forza di quanto stabilito dall'articolo 8, comma 14, del decreto-legge n.  78 del 2010 medesimo;
          il mancato rispetto di tale normativa ha comportato che gli stipendi del personale della scuola (già ampiamente sotto la media europea, a fronte di un costo della vita superiore, invece, alla media dei paesi dell'Unione europea) siano rimasti sostanzialmente fermi ai livelli del 2009 e lo saranno fino a tutto il 2013;
          questo nonostante che il riconoscimento dell'anzianità di servizio nella scuola con un aumento di stipendio abbia rappresentato finora l'unica modalità di avanzamento di carriera possibile per i personale: un avanzamento legato a una maggiore esperienza lavorativa maturata sul campo;
          per tali ragioni, e conseguentemente all'impegno assunto dal Ministro interpellato all'inizio del suo mandato, il personale della scuola attende da oltre un anno una risposta chiara sul pagamento degli scatti di anzianità;
          a giugno 2012, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva annunciato una contrattazione in sede Aran per individuare le risorse finanziarie necessarie per poter liquidare quanto dovuto in materia agli insegnanti e a tutto il personale della scuola  –:
          quali misure intenda assumere per consentire in tempi rapidi il pagamento degli scatti di anzianità a tutti i lavoratori della scuola che li hanno maturati nel corso degli anni 2011 e 2012.
(2-01743) «Coscia, Ghizzoni, Bachelet, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa, Tocci, Ventura».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      LORENZIN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il sorteggio delle commissioni per l'abilitazione scientifica nazionale ai sensi dell'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n.  240, è regolamentato dal comma 6 dell'articolo 7 decreto del Presidente della Repubblica n.  222 del 2011, ai sensi del quale il sorteggio avviene tramite procedure informatizzate, preventivamente validate da un Comitato tecnico composto da non più di cinque membri, che opera a titolo gratuito ed è nominato con decreto del Ministro, senza nuovi o maggiori oneri per finanza pubblica;
          il Comitato tecnico, nominato con il decreto ministeriale 12 giugno 2012 n.  158, è composto dai seguenti membri: professor Paolo Rossi, professoressa Alessandra Petrucci, professor Giulio Vesperini, dottor Emanuele Fidora, dottor Fabrizio Pedranzini;
          le modalità di sorteggio delle commissioni per l'abilitazione scientifica nazionale sono illustrate nella nota intitolata «Modalità di sorteggio delle commissioni per l'abilitazione scientifica nazionale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.  222 del 2011», che spiega in modo dettagliato la procedura per sorteggiare le commissioni;
          il punto 4 della richiamata nota tecnica precisa in modo inequivocabile che la sequenza di sorteggio «è unica per tutte le commissioni onde garantire la massima sicurezza e semplicità della procedura»;
          tale regola della «sequenza unica» per tutte le estrazioni è stata valutata molto positivamente dalla comunità accademica, in quanto si configura come una elementare ma fondamentale regola cosiddetta «antibrogli». Ad esempio, considerando il motivo della ragione per cui l'uso di un'unica sequenza sorteggiata per la formazione di tutte le commissioni mette al riparo dai sorteggi pilotati, si è osservato che la ragione è semplice. Se anche venisse pilotato il sorteggio di un settore concorsuale (per esempio, con un finto sorteggio), tutti gli altri settori concorsuali dovrebbero usare la stessa chiave (la sequenza numerica) cosicché la scelta dei relativi commissari risulterebbe fissata e non pilotabile. Insomma, se la sequenza è unica, non è possibile pilotare più di una commissione. Basta imporre al sorteggiatore la pubblicazione dell'intera sequenza numerica: sulla base degli elenchi dei sorteggiabili, chiunque può controllare la correttezza delle operazioni. Cosa possiamo concludere? La Commissione tecnica, molto opportunamente, ha introdotto la regola dell'unicità della sequenza che funge da regola «anti-brogli» (così G. De Nicolao – A. Banfi, Commissioni per le abilitazioni: i misteri dei sorteggi fai-da-te del MIUR, in www.roars.it, 5 novembre 2012);
          il rispetto della regola «anti-brogli», ovvero l'uso della prima sequenza numerica sorteggiata che funge poi da unica chiave per tutte le commissioni, risulta essenziale per l'imparzialità dell'esito dei sorteggi, in quanto, se le liste dei commissari sorteggiabili non sono più modificabili, non essendo consentito il ritiro delle candidature, l'avere fissato la prima sequenza numerica una volta per tutte determina univocamente la formazione delle commissioni, impedendo ogni forma di «pilotaggio» successiva, anche se l'operazione materiale di selezione dei commissari dovesse avvenire a distanza di qualche giorno o settimana;
          i risultati dei primi sorteggi delle commissioni effettuati dal Ministero rivelano invece che non è stata usata un'unica chiave, ossia quella (l'unica legittima) sorteggiata nella prima seduta del 30 ottobre (cioè seguente: 11-14-1-5);
          i risultati dei primi sorteggi delle commissioni effettuati dal Ministero rivelano piuttosto che il Ministero fa utilizzo di chiavi multiple (pare una per ogni giornata di sorteggi), il cui uso viola ad avviso dei firmatari del presente atto macroscopicamente la sopra descritta regola «anti-brogli», vanificandone assolutamente gli intenti;
          anche se si volevano accelerare i decreti di nomina delle commissioni, sarebbe bastato sorteggiare una volta per tutte la chiave unica (quella estratta il 30 ottobre, che è l'unica valida ai sensi di legge) ed utilizzarla per formare tutte le commissioni mano a mano che diventavano definitive le liste dei sorteggiabili;
          l'utilizzo di chiavi ulteriori rispetto alla prima estratta il 30 ottobre è secondo i firmatari del presente atto palesemente, viziato da illegittimità per violazione di legge, essendo contrario sia al disposto del decreto del Presidente della Repubblica n.  222 del 2011 sia nota della commissione tecnica con cui sono state stabilite le regole per il sorteggio dell'unica chiave  –:
          quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, anche in via di autotutela amministrativa evitando gli imminenti ricorsi dei soggetti legittimati, per ristabilire nei sorteggi delle commissioni per l'abilitazione scientifica nazionale ai sensi dell'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n.  240, il rispetto della legge e degli atti regolamentari, utilizzando per la formazione delle commissioni esclusivamente la prima chiave sorteggiata il 30 ottobre 2012, che è l'unica legittima ai sensi di legge. (5-08456)


      ROSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il 31 ottobre 2012 è stata illustrata la bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo alla riorganizzazione della struttura amministrativa del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, predisposto in attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  135 del 2012;
          la riorganizzazione prevede la soppressione, a livello centrale presso il Ministero, di due direzioni generali;
          per quanto riguarda il livello periferico, è prevista la soppressione e il relativo accorpamento di cinque uffici scolastici regionali (Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Molise, Basilicata) e l'istituzione di alcuni uffici interregionali, mentre tutti gli uffici periferici, che oggi si chiamano «provinciali», acquisiscono la nuova denominazione di «Uffici Scolastici Territoriali»;
          secondo il testo ministeriale l'ufficio scolastico della Liguria verrebbe accorpato al Piemonte, quello del Friuli-Venezia Giulia con il Veneto, quello della Basilicata con la Puglia, quello delle Marche con l'Umbria e quello dell'Abruzzo con il Molise;
          tali scelte hanno provocato reazioni contrarie da parte della regione Liguria;
          in particolare l'assessore regionale all'istruzione Pippo Rossetti ritiene «inaccettabile che il Governo riduca le spese pubbliche amministrative garantendo l'assetto amministrativo e relativo a posizioni di direttore generale a Roma a scapito del processo di decentramento e del lavoro sul territorio, che valorizza l'autonomia delle scuole e il loro efficace radicamento» e ritiene «sbagliato non riconoscere anche attraverso strutture amministrative regionali le specificità delle Regioni, perché la scuola è sempre di più inserita nel sistema economico e culturale del territorio e queste fusioni mettono a rischio le possibilità dei ragazzi e delle famiglie di far parte di un sistema di formazione di tipo locale»;
          stando a notizie di stampa la sede dell'ufficio interregionale sarà quella del capoluogo della regione avente il maggior numero di popolazione studentesca;
          nel caso dell'ufficio scolastico interregionale Piemonte-Liguria, quindi la sede dovrebbe essere Torino;
          la modifica al titolo V della Costituzione affida le competenze legislative relativamente alle materie dell'istruzione alle regioni;
          la regione Liguria sta verificando una possibile impugnazione del provvedimento che pare contraddire il processo federalista e la stessa modifica del Titolo V che deve avvenire entro marzo 2013;
          non è ancora chiaro se il personale amministrativo che è in servizio presso le attuali direzioni resterà presso gli uffici territoriali provinciali, anche questi destinati a confluire presso il centro unico di servizi, oppure se dovrà essere trasferito presso la nuova regione di titolarità;
          non è neanche chiaro come verrà gestita la mobilità degli insegnanti, né se i fondi alle scuole diventeranno comuni  –:
          se non ritenga opportuno rivedere la bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativa alla riorganizzazione della struttura amministrativa del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tenendo conto della specificità delle regioni e dell'opportunità che si mantengano gli uffici scolastici attualmente attivi;
          come si intendano organizzare gli organici, ovvero se i docenti e il personale amministrativo che è in servizio presso le attuali direzioni resterà presso gli uffici territoriali provinciali oppure se dovrà essere trasferito presso la nuova regione di titolarità e come sarà gestita la mobilità degli insegnanti;
          se nell'individuazione della sede degli uffici interregionali non si debbano tener presenti altri fattori, oltre al numero di popolazione studentesca, che tengano in considerazione la distanza territoriale;      
          posto che tale riorganizzazione appare all'interrogante in contraddizione con il processo federalista e la stessa modifica del titolo V e, in tale ottica, se non ritenga opportuno avviare un sollecito confronto con le amministrazioni regionali al fine di addivenire ad una definizione di soluzioni organizzative che tengano nella dovuta considerazione le diverse esigenze dei territori e delle comunità interessate.
(5-08461)


      TOMMASO FOTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di stampa apparse sul quotidiano locale Libertà del 20 novembre 2012, alle pagine 1 e 27, si apprende che la dirigente scolastica Manuela Bruschini dell'Istituto comprensivo Monticelli di Caorso, in provincia di Piacenza, ha proibito lo svolgimento delle celebrazioni e cerimonie in prossimità delle prossime festività natalizie, impedendo ai bambini della scuola dell'infanzia di festeggiare il Natale con presepe e addobbi;
          la medesima dirigente scolastica Bruschini si è giustificata con i genitori asserendo di avere agito nel pieno rispetto della più recente normativa rivolta a promuovere una scuola interculturale;
          non risulta siano state adottate norme al riguardo, volte ad impedire il legittimo esercizio del diritto all'educazione religiosa e culturale di minori, soprattutto in età scolare così facilmente influenzabili e vulnerabili;
          la Costituzione italiana, prevede al contrario, il diritto dei cittadini ad una educazione non lesiva delle proprie tradizioni culturali e religiose  –:
          quali iniziative intenda assumere per:
              a) garantire alle famiglie e ai bambini di quella scuola il diritto a festeggiare il Natale, con celebrazioni e cerimonie tradizionali, quali: recite, realizzazione del presepe, esposizione di addobbi natalizi;
              b) assicurare che, come previsto dalla normativa vigente, sia affisso il crocifisso in ogni aula dell'Istituto comprensivo Monticelli di Caorso;
              c) evitare che la realizzazione dell'autonomia scolastica si concretizzi in una palese violazione dei diritti degli allievi e delle famiglie riconoscendo il loro diritto a manifestare, nel rispetto delle altrui fedi, anche la propria. (5-08465)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre 2012 come Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne;
          le notizie di cronaca continuano a riproporre quotidianamente notizie di donne uccise sottolineando che il fenomeno della violenza maschile sulle donne delinea un dramma umano e sociale che molto spesso si consuma all'interno delle mura domestiche, nei nuclei familiari e nella sfera degli affetti e che sollecita iniziative urgenti per la prevenzione e la protezione delle donne e minori che molto spesso vi sono coinvolti;
          ad oggi gli unici dati degli omicidi di donne commessi da uomini sono raccolti dalla stampa nazionale e locale e dalle organizzazioni e associazioni specializzate nella lotta contro la violenza sulle donne. Dall'inizio del 2012 ci sarebbero stati almeno 105 i casi di femminicidio senza contare le vittime collaterali, di cui di seguito si fanno i nomi e i cognomi: 2-gen Chiesuol del Fosso, Ferrara tenuta Lazar; 3-gen Milano Yuezhu Chen; 5-gen Putignano (Bari) Antonella Riotino; 5-gen Piana di Monte Verna, Caserta Angela Santabarbara; 9-gen Atripalda (Avellino) Fabiola Speranza; 12-gen Trapani Stefania Migali; 12-gen Trapani Nunzia Rindinella; 13-gen Monza (Monza Brianza) Sharna Abdul Gafur; 14-gen Scicli (Palermo) Rosetta Trovato; 14-gen Civitanova Marche (Macerata) Grazyna Tarkowska; 15-gen Marano, Napoli Enza Cappuccio; 24-gen Mandas, Cagliari Maura Carta; 26-gen Porto Potenza Picena (Macerata) Andreea Christina Marin; 27-gen San Marco Argentano (Cosenza) V. P.; 4-feb Milano (Milano) Leda Corbelli; 4-feb Fognano (Parma) Domenica Menna; 5-feb Palermo Loweth Edward; 5-feb Parma Ave Ferraguti; 5-feb Lanciano (Chieti) Elda Tiberio; 7-feb Palermo Rosanna Siciliano; 8-feb Napoli nd; 8-feb Novara Giuseppina Sciaulino; 13-feb San Giuliano Milanese (Milano) Antonia Bianco; 15-feb Firenze nd; 16-feb Latiano (Brindisi) Tommasina Ugolotti; 17-feb Modena Edyta Kozakiewcz; 24-feb Siracusa Elisabetta Facchiano; 24-feb Maniago, Pordenone Fernanda Frati; 24-feb Cavriana (Brescia) Qiaoli Hu; 26-feb San Mauro Torinese (Torino) Anthonia Egbuna; 26-feb Eboli, Salerno Maria Ricci; 28-feb Novara Brunella Cock; 1-mar Grottaminarda (Avellino) Patrizia Klear; 2-mar Pianura (Napoli) Gabriella Lanza; 4-mar Brescia (Brescia) Francesca Alleruzzo; 4-mar Brescia (Brescia) Chiara Matalone; 4-mar Mozzecane (Vercelli) Gabriella Falzoni; 5-mar Piacenza (Piacenza) Esmeralda Hilsa Romero Encalada; 6-mar Torino (Torino) Anna Cappilli; 15-mar Barletta (Barletta) Maria Diviccaro; 15-mar Barletta (Barletta) Maria Strafile; 18-mar Caselle Torinese (Torino) Rita Pullara; 19-mar Mesagne (Brindisi) Concetta Milone; 23-mar Ladispoli (Roma) Annamaria Pinto; 26-mar Prata Sannita (Cesena) Carmela Iamundi; 26-mar Noale (Venezia) Hane Gjelaj; 26-mar Formigine (Modena) Lin Huihui; 28-mar Torino (Torino) Alfina Grande; 7-apr Cirò Marina (Crotone) Silvana Rustia; 12-apr Calenzano (Firenze) Gianna Toni; 17-apr Napoli Concetta Paracolli; 19-apr Vittorio Veneto (Treviso) Giacomina Zanchetta; 20-apr Fontana di Rubiera (Reggio Emilia) Tiziana Olivieri; 24-apr Enna (Enna) Vanessa Scialfa; 30-apr Cuneo (Cuneo) Pierina Baudino; 2-mag Cresenzago (Milano) Matilde Passa; 5-mag Santeremo (Bari) Carmela Russi; 5-mag Montecchio Maggiore (Vicenza) Julissa Feliciano Reyes; 6-mag Pegli (Genova) Giovanna Sfoglietta; 7-mag Villaricca (Napoli) Alessandra Cubeddo; 7-mag Avezzano (Aquila) Mariana Marku; 12-mag Alessandria Dayana Desiree Carabali Castillo; 17-mag Paternò (Catania) Enza Maria Anicito; 28-mag Fiorenzuola d'Adda (Piacenza) Kaur Balwinde; 29-mag Brusciano (Napoli) Vincenza Zullo; 30-mag Biella Teresita Trompeo; 31-mag Cervia (Forlì-Cesena) Sabrina Blotti; 31-mag Ferrara Emilia Romagna Ludmila Rogova; 1-giu Tivoli Claudia Bianca Benca; 7-giu Staranzano (Gorizia) Rosina Lavrencic; 10-giu Milano Marika Sjakste; 15-giu Campeggine (Reggio Emilia) Alena Tyutyunikova; 17-giu Desio (Milano) Franca Lo Iacono; 19-giu Merano Erna Pirpamer; 19-giu Solofra (Avellino) Jasvir; 24-giu Consandolo (Ferrara) Raachida Lakhdimi; 27-giu Legnano (Milano) Lombardia Stefania Cancelliere; 30-giu Formica (Modena) Emilia-Romagna Anna Gombia; 2-lug Palma Campania (Napoli) Alessandra Sorrentino; 2-lug San Donato Milanese (Milano) Antonina Nieli; 2-lug Massa Carrara nd; 5-lug Trapani Maria Anastasi; 11-lug Trigolo (Cremona) Lyzbeth Zambrano; 12-lug Marzabotto (Bologna) Clara Comellini; 12-lug San Mauro Torinese (Torino) Mariangela Panarotto; 16-lug Casamassima (Bari) Francesca Scarano; 20-lug Visco (Udine) Samantha Comelli; 24-lug Milano Marittima (Ravenna) Sandra Lunardini; 31-lug Torre del Greco (Napoli) Anna Iozzino; 9-ago Castello d'Annone (Asti) Lisetta Bardini; 23-ago Gela (Caltanissetta) Iolanda di Natale; 24-ago Sondrio Loredana Vanoi; 26-ago Lucca Bruna Giannotti; 2-set Fano (Pesaro Urbino) Mariola cgt. Hoxha; 2-set Torino (Torino) Laila Mastari; 6-set Tetranuova Bracciolini (Arezzo) Sebastiana Corpora; 7-set Chivasso (Torino) Pasquina Di Mascio; 9-set Bolzano Svetla Fileva; 9-set Tagliacozzo (Aquila) Maria Teresa Campora; 15-set Milano Alessia Francesca Simonetta; 24-set Amantea (Catanzaro) Carmela Popolato; 7-ott Padova Erica Ferrazza; 11-ott Collegno (Torino) Vincenzina Scorzo; 20-ott. Palermo Carmela Petrucci; 11-nov. San Sebastiano al Vesuvio (Napoli) Antonietta Paparo;
          dai dati Eures-Ansa si riporta che gli omicidi di donne per mano di mariti ex coniugi e conviventi sono in aumento. Dai dati tratti dallo studio «Il costo di essere donna. Indagine sul femminicidio in Italia» promosso dalla casa delle donne di Bologna si evidenzia il crescere dell'emergenza. Nel 2006 i femminicidi furono 101, nel 2007 107, nel 2008 112, nel 2009 119 mentre nel 2010 127. Va comunque considerato che, non trattandosi di dati ufficiali, c’è un rilevante «sommerso» che riguardi ad esempio, i delitti di donne vittime della tratta o legate al mondo della prostituzione, donne senza permesso di soggiorno la cui eventuale scomparsa non viene denunciata, a meno che non venga ritrovato il corpo della vittima; i suicidi indotti provocati da episodi di violenza;
          la violenza di genere è un problema non di oggi ma strutturale, ed emergeva già molto chiaramente nel 2007 nell'unica ricerca specifica effettuata dell'ISTAT, «Violenza e maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia». Nella ricerca si evidenziava molto chiaramente che nel 2006 erano 6 milioni e 743 mila le donne dai sedici ai settant'anni vittime di molestie o violenze fisiche sessuali nel corso della vita (una donna su tre tra i 16 ed i 70 anni); che circa 1 milione di donne era stata vittima di stupri o tentati stupri (il 4,8 per cento della popolazione femminile globale); il 14,3 per cento delle donne aveva subito almeno una violenza fisica o sessuale dal proprio partner; il 24,7 per cento delle donne aveva subito violenze da un altro uomo, mentre 2 milioni e 77 mila donne avevano subito comportamenti persecutori (stalking) dai partner al momento della separazione;
          sono diversi gli atti di indirizzo e controllo presentati da deputati del Partito Democratico nei quali si faceva esplicita richiesta al Governo, visti i crescenti e terribili fatti di cronaca, di dare concretamente una piena e vera attuazione, anche finanziaria, al Piano nazionale antiviolenza, di investire in una rete integrata di politiche rivolte alla prevenzione, alla protezione e alla persecuzione dei reati, di dare un inquadramento giuridico chiaro e di potenziare anche con finanziamenti adeguati i centri antiviolenza. Centri che non sono presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale, che negli anni hanno subito tagli pesantissimi e che al momento sopravvivono grazie a finanziamenti una tantum che ne possono garantire, inevitabilmente, un'operatività limitata;
          secondo le conclusioni e raccomandazioni (punti 91 e 92) del Rapporto sull'Italia della relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze, Rashida Manjoo, reso pubblico il 15 giugno 2012: «Sono stati fatti sforzi da parte del Governo per affrontare il problema della violenza contro le donne, inclusa l'adozione di leggi e politiche e la creazione e fusione di enti governativi responsabili per la promozione e protezione dei diritti delle donne. Ma questi risultati non hanno ancora portato una diminuzione della percentuale di femminicidi o si sono tradotti in un reale miglioramento della vita di molte donne e bambine, in particolare delle donne Rom e Sinti, delle donne migranti e delle donne diversamente abili». Mentre nel punto 92 si afferma che: «Nonostante le sfide dell'attuale situazione politica ed economica, gli sforzi mirati e coordinati nell'affrontare la violenza contro le donne attraverso l'uso pratico e innovativo di risorse limitate, questa necessità rimane una priorità. I livelli alti di violenza domestica, che contribuiscono ai livelli in crescita di femminicidi, richiedono una attenzione seria»;
          secondo gli interpellanti appare assai evidente la relazione che lega l'aumento dei femminicidi e della violenza sulle donne e la crescente riduzione delle risorse messe a disposizione dai diversi livelli di governo ai servizi diretti e indiretti, di prevenzione, protezione e contrasto alla violenza;
          nel 2011 il Comitato CEDAW nelle raccomandazioni rivolte all'Italia (n.  26/2011) si definiva «preoccupato per l'elevato numero di donne uccise da partner o ex partner (femminicidi) che potrebbe indicare il fallimento delle autorità dello Stato nella protezione delle donne vittime di violenza...»;
          nel 2012 l'Italia è scesa dal 74o all'80o posto – dopo il Ghana e il Bangladesh – nella classifica del Gender Gap Report sulla condizione della donna nel mondo, stilata dal World economie forum;
          il 27 settembre 2012, dopo più di un anno dalla sua approvazione da parte del Consiglio d'Europa, il Governo ha firmato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Al momento il Governo, nonostante l'evidente urgenza, non ha ancora presentato un proprio disegno di legge per la ratifica della Convenzione, mentre il Partito Democratico ha depositato un progetto di legge, sia alla Camera dei deputati a prima fuma onorevole Mogherini, che al Senato a prima firma senatore Finocchiaro  –:
          se non ritenga d'intervenire tempestivamente, anche tenendo conto delle raccomandazioni del Comitato CEDAW e della relatrice speciale dell'ONU, con misure immediate ed urgenti al fine di contrastare e prevenire efficacemente il crescente dramma del femminicidio e della violenza contro le donne e quali misure abbia individuato al fine di fronteggiare quella che i fatti dimostrano essere una vera e propria emergenza democratica oltreché sociale e una sistematica violazione dei diritti umani in Italia;
          se il numero di femminicidi avvenuti nel 2012 denunciato dalle organizzazioni e dalla stampa corrisponda al vero, se esista una raccolta ufficiale di questi dati, se esista un coordinamento fra i diversi Ministeri nella raccolta dei dati statistici sulla violenza sulle donne e sui casi di femminicidio e se non ritenga opportuno, vista la gravità dell'emergenza attivarsi affinché l'Istat coordini ed elabori un rapporto statistico periodico sulla base delle schede predisposte da ogni amministrazione periferica e dallo Stato al fine di avere un quadro dettagliato, specifico e organico sulla violenza ai danni delle donne e sul femminicidio.
(2-01740) «Villecco Calipari, Amici, Lenzi, Ventura, Touadi, Mariani, Melis, Servodio, Mattesini, Brandolini, Albini, Garavini, Gnecchi, Fiano, D'Antona, Murer, Verini, Zampa, Motta, Siragusa, Vassallo, Marco Carra, Piccolo, Capano, Mazzarella, Cardinale, De Biasi, Velo, Livia Turco, Zani, Lulli, Concia, Cenni, Coscia, Gatti, Lo Moro, Mastromauro, Vico, Rossomando, Ferranti, Rampi, Scarpetti, Carella, Pes, Ghizzoni, Merloni, Marchi, Bucchino, Gasbarra, Graziano, Madia, Samperi, Zucchi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CODURELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante continua a ricevere segnalazioni relative ai disservizi relativi dalla soppressione dell'ente Ipost e dal relativo trasferimento di tutte le sue funzioni all'Inps, disposti dall'articolo 7, commi 2 e 3, del decreto legge n.  78 del 2010;
          nello specifico la problematica riguarda una lavoratrice titolare di una pensione di inabilità ex-Ipost (articolo 2, comma 12 della legge n.  335 del 1995 la quale nel novembre del 2011 è stata sottoposta a visita medico collegiale finalizzata al rinnovo, il cui esito è risultato essere positivo;
          nell'agosto di questo anno l'Inps ha comunicato alla signora la riduzione del trattamento pensionistico e un indebito di più di 2 mila euro; l'Inps, secondo quanto riportato dai familiari della lavoratrice, ha motivato il provvedimento affermando che la decurtazione della pensione e la somma da restituire sono il risultato della mancata acquisizione, nel corso del trasferimento delle funzioni del soppresso Ipost all'Inps, del montante contributivo fittizio, quantificato in 7 anni e 6 mesi e concesso a seguito del beneficio della suddetta legge;
          affinché sia ripristinata la corretta posizione pensionistica della lavoratrice occorre che l'ex Ipost trasmetta immediatamente i dati agli uffici Inps  –:
          se sia al corrente di situazioni analoghe a quella sommariamente esposta in premessa e quali iniziative intenda adottare per porvi urgentemente rimedio nonché per garantire la cessazione degli innumerevoli disservizi causati dalla soppressione dell'Ipost e dal trasferimento delle sue funzioni all'Inps. (5-08457)


      BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, DE POLI e POLI e CALGARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          si apprende da organi di stampa la vicenda di allucinante burocrazia che vede coinvolta la signora Michelina Bruschetta, morta a 56 anni, dopo atroci sofferenze durate circa tre anni, nel corso dei quali le venne diagnosticato il tumore: mesotelioma pleurico;
          si tratta di una forma tumorale molto particolare, legata alla polvere d'amianto presente, un tempo, in molti prodotti utilizzati dalle parrucchiere: nei borotalchi, in alcuni solventi e coloranti, con cui la signora è da sempre venuta a contatto nel suo negozio a Treviso, dove per 34 anni ha gestito, assieme alla sorella Ivana, un salone per parrucchiera;
          la signora Michelina è stata costretta a lasciare il suo lavoro, dal momento che fiaccata dalla chemioterapia non si reggeva in piedi, se non con l'aiuto della sorella. Al momento della richiesta dell'assegno di invalidità civile tre medici l'hanno visitata e lasciata andare. Ad aprile le sue condizioni si sono aggravate e il 18 giugno è morta;
          solo il 7 novembre, è arrivata la lettera dell'Inps in cui si afferma molto chiaramente che la signora non può considerarsi invalida, che è in grado di «deambulare» e che la sua «capacità lavorativa» non è ridotta;
          è evidente che la pensione d'invalidità non serve più a nessuno, ma a ferire i parenti della signora deceduta sono le motivazioni con cui i medici hanno bocciato la richiesta: «La commissione medica superiore riconosce l'interessato non invalido». Spiegando che la patologia non è «invalidante» e che la capacità lavorativa «non è ridotta»;
          a distanza di due anni dall'inizio di pesantissimi interventi predisposti per ridurre risorse per le politiche sociali e per il fondo della non autosufficienza, è ormai chiaro a tutti che in questo modo si colpiscono bisogni essenziali e si compie un vero sterminio dei diritti delle persone con disabilità, delle persone anziane non autosufficienti e delle loro famiglie. È altrettanto evidente che la crisi economica si abbatte su di loro più pesantemente, costringendoli a pagare il doppio degli altri che non debbono affrontare costi rilevanti dovuti alla condizione di disabilità;
          in un momento di lotta contro i falsi invalidi e di tagli per impedire che i veri invalidi siano penalizzati è importante un'efficace rete di controlli che si avvalga dei pareri di una commissione giudicatrice in grado di non penalizzare quanti hanno realmente bisogno  –:
          se siano a conoscenza di quanto elencato in premessa e quali iniziate urgenti, di propria competenza, intendano adottare per impedire il ripetersi di simili errori perpetuati ai danni di persone realmente bisognose. (5-08462)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi, la Ugl trasporti ha lanciato un appello, riportato dall'Agenzia di stampa aeronautica Avionews, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed all'Inps per risolvere l'insostenibile situazione che stanno vivendo alcuni comandanti collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria da Alitalia-Cai, ai quali da diversi mesi sono stati interrotti i pagamenti del trattamento di sostegno e di integrazione al reddito previsti dall'accordo del 4 marzo 2011;
          i comandanti in discussione sono stati assunti in Cai-First il 13 gennaio 2009, il 15 novembre 2011 il loro contratto è stato ceduto a CAI ai sensi dell'articolo 1406 del codice civile con il loro consenso e senza soluzione di continuità;
          tali cessioni di contratti da Cai-First a CAI s'inseriscono nell'ambito di un più ampio processo organizzativo, condiviso dalle organizzazioni sindacali, che ha coinvolto l'intero organico di Cai-First (società di cui CAI detiene l'intero controllo), così come per l'organico di altre società del Gruppo (Cai-Second e Air One);
          nel periodo intercorrente tra il 15 maggio 2010 ed il 1°gennaio 2012, il personale navigante coinvolto da tale modalità di passaggio è corrispondente a 412 unità, rispettivamente da Cai-First a CAI 97 unità, da Cai-Second a CAI a 71 unità e da Air One a CAI a 244 unità;
          i passaggi dei rapporti di lavoro di cui sopra rispondono alla logica organizzativa di poter disporre di un unico bacino di personale in capo alla società controllante, Alitalia CAI;
          per quanto concerne i passaggi da Alitalia-First a CAI, i passaggi dei rapporti di lavoro sono stati conseguenti alla riduzione delle attività produttive della prima società;
          a partire dal 13 gennaio 2009 Cai-First ha operato con 6 aeromobili ma successivamente la flotta e l'operatività ha registrato un costante processo di riduzione e, ad oggi, la compagnia opera con un solo aeromobile;
          l'intero organico di Cai-First è passato alle dipendenze di CAI per effetto di cessioni volontarie dei contratti di lavoro condivise, oltre che dai diretti interessati, anche dalle organizzazioni sindacali in tre tranche a partire dal 2 ottobre fino al 1 ° gennaio 2012;
          parte del personale passato in CAI ha, successivamente, operato in distacco in Cai-First per fare fronte alle mutevoli esigenze organizzative del gruppo e questo fino al 15 febbraio 2012 e dall'indomani, 16 febbraio, posti in CGIS con il loro consenso;
          per il periodo di distacco, dal 15 novembre 2011 al 15 febbraio 2012, gli obblighi retributivi e contributivi dei comandanti sono stati puntualmente adempiuti da CAI in qualità di datore di lavoro titolare del contratto nel cui interesse è stata eseguita la prestazione. È noto, del resto, che il presupposto giuridico del distacco (da nessuno mai contestato nel caso di specie) consiste proprio nella sussistenza di un interesse qualificato del datore distaccante (CAI) e che la prestazione del dipendente venga temporaneamente resa con assoggettamento al potere direttivo del distaccatario (Cai-First);
          l'argomento è stato rappresentato all'INPS attraverso i membri di UGL e I.P.A. (Italian Pilot Association) all'interno del Comitato di controllo del Fondo speciale del trasporto aereo già dalla riunione del Comitato del mese di giugno 2012; in tale sede i funzionari dell'istituto nazionale della previdenza sociale riportavano di aver avuto un carteggio;
          il 6 giugno scorso, l'Inps informava CAI di aver sospeso i pagamenti integrativi a carico del Fondo nonché l'erogazione della indennità di Cassa integrazione guadagni straordinaria e, nonostante i chiarimenti forniti dalla compagnia aerea, l'Istituto comunicava di avere accertamenti in corso in quanto erano stati chiesti chiarimenti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali su come regolarsi sulla vicenda in esame;
          I.P.A. per tramite del rappresentante presso i comitati di controllo dell'INPS ha provveduto a sensibilizzare attraverso il presidente del FSTA la direzione centrale prestazioni in data 30 agosto 2012 senza peraltro ottenere risposta alcuna;
          I.P.A. ha provveduto ad interessare per le vie brevi il competente Ministero del lavoro e delle politiche sociali inviando il suo rappresentante per evidenziare «de visu» il problema alla competente direzione generale degli ammortizzatori sociali;
          a seguire, in data 24 settembre 2012, è stata formalmente interessata la predetta direzione generale da I.P.A. con una istanza trasmessa per fax e via email;
          ad oggi il Ministero interpellato non ha risposto lasciando i piloti senza indennità e l'Istituto nell'incertezza dell'azione amministrativa  –:
          quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premesse. (4-18581)


      MARINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la riorganizzazione territoriale dell'INPS che, senza dubbio, è motivata dall'esigenza di ridurre i costi e rendere un migliore servizio, non può, però prescindere dalle caratteristiche del territorio, dalla distanze dei diversi centri abitati, dall'esistenza di trasporti pubblici e dallo stato delle infrastrutture viarie;
          voci diffuse segnalano che la sede INPS di Scalea, in provincia di Cosenza, dovrebbe essere soppressa, con grave nocumento per la popolazione attualmente servita;
          una maggiore considerazione dello stato della viabilità e degli insufficienti mezzi di trasporto in Calabria dovrebbe consigliare un più attento esame prima di procedere a ridurre sul territorio la rete sportellistica dell'Istituto nazionale di previdenza;
          la provincia di Cosenza è tra le più estese d'Italia con 6650 chilometri quadrati e la distanza tra i comuni arriva fino a 130 chilometri;
          il presidio INPS di Scalea rappresenta un importante riferimento per l'area dell'alto Tirreno cosentino, che comprende 17 comuni di competenza per una popolazione di 64000 abitanti;
          gli addetti attualmente operanti sono 16, quindi uno ogni 4000 abitanti e l'accorpamento dell'INPDAP ha aumentato il carico di lavoro e la platea dell'utenza servita  –:
          se non ritenga, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, intervenire per invitare l'Istituto nazionale della previdenza sociale ad una maggiore attenzione nello stabilire i criteri posti a base della ristrutturazione della rete per le evidenti ricadute sociali, nonché l'opportunità di evitare, eventualmente, la soppressione della sede di Scalea, rinforzando, anzi, l'organico, per il lavoro che svolge, evidente risorsa per le popolazioni del territorio che va dal confine con la Basilicata fino al medio Tirreno. (4-18598)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
          i casi di adulterazione della mozzarella di bufala campana DOP, assurti alla massima visibilità nazionale ed internazionale, richiedono un immediato e deciso intervento che riaffermi la volontà del Governo di tutelare un patrimonio alimentare nazionale d'indubbio valore e appeal organolettico apprezzato in tutto il mondo;
          le produzioni lattiero-casearie da sempre hanno una radice storico-culturale correlata all'attività costante di micro, piccole e medie imprese artigiane che tramandano con la pratica quotidiana l'arte della caseificazione e l'avventura di fare impresa in contesti difficili dove ogni posto di lavoro deve essere difeso con energia e determinazione;
          le inefficienze e le speculazioni lungo la filiera agroalimentare, per l'utilizzo di materie prime a basso costo di dubbia provenienza, determinano una turbativa di mercato nel settore lattiero-caseario, ed in particolare nella filiera bufalina, con notevoli perdite in termini di posti di lavoro per la contrazione del prodotto interno lordo nel settore della produzione primaria e dell'indotto; la produzione di latte e di mozzarella di bufala, correntemente definiti «l'oro bianco», rappresenta senz'altro un comparto produttivo strategico e non assistito. La capacità produttiva dei Paesi emergenti (dovuta all'alto numero di addetti ed al basso costo del lavoro) e la globalizzazione dei mercati (che rende facile la circolazione delle merci e difficile il loro controllo) hanno suscitato nei cittadini dell'Unione europea un giustificato allarmismo su qualità sicurezza e provenienza dei prodotti alimentari;
          è stato attivato uno specifico percorso parlamentare che ha 205, di conversione condotto all'approvazione della legge 30 dicembre 2008, n.  171, recante «Misure urgenti per il lancio del decreto-legge 3 novembre 2008, n.  competitivo del settore agroalimentare» in cui è contenuto uno specifico articolo;
          l'articolo 4-quinquies-decies, intitolato «Disposizioni per la produzione della mozzarella di bufala campana» (DOP) prevede che a decorrere dal lo gennaio 2013 la produzione della mozzarella di bufala campana, registrata come denominazione di origine protetta n.  1107 del 1996 della Commissione del 12 giugno (DOP) ai sensi del regolamento (CE) n.  1996, deve essere effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari. Imponendo nuovi principi per la gestione dei controlli, prevede la tutela degli interessi dei consumatori ed il loro coinvolgimento ed esalta l'approccio di filiera from farm to fork;
          le problematiche della filiera, nonostante provvedimenti legislativi come quello menzionato, sono ancora enormi e di vario tipo. Ne è un esempio la turbativa del prezzo del latte che viene posta in essere attraverso la contrazione della mozzarella di bufala. A tal proposito la Coldiretti negli ultimi anni si è impegnata a manifestare pubblicamente, istituendo blocchi alla frontiera del Brennero ed ai porti di Napoli e Salerno, per denunciare l'arrivo in Italia ogni anno di enormi quantità di latte, cagliate e polveri di latte di bufala provenienti dalla Romania e dall'Est-Europa, dall'Egitto e dall'India;
          gli allevatori bufalini dell'area DOP vengono costantemente derubati dell'identità e dell'immagine con l'immissione sul mercato di mozzarella di bufala proveniente da chissà quale parte del mondo con un inganno enorme anche nei confronti del consumatori;
          la questione «latte» preoccupa non solo per i dati, ma anche per la poca chiarezza in ambito legislativo, soprattutto comunitario, «non c’è trasparenza sulla tracciabilità del prodotto estero e non è nemmeno possibile reperire l'origine di ingredienti utilizzati per la sua trasformazione». Pertanto è indispensabile che il Governo realizzi gli obiettivi previsti dalla citata legge n.  205 del 30 dicembre 2008 nella parte in cui prevede dal 1o gennaio 2013 l'obbligo di differenziare gli stabilimenti che producono la mozzarella di bufala DOP e, pertanto, disporre che gli stessi siano obbligati all'acquisto di latte proveniente esclusivamente da aree DOP, indipendentemente dalla trasformazione di questo latte in mozzarella di bufala DOP o mozzarella di latte di bufala non DOP dove è possibile utilizzare il latte o la cagliata di latte di bufala;
          è necessario tracciare tutto il latte di bufala italiano verificando con opportuni controlli incrociati la produzione di latte alla stalla e la trasformazione in mozzarella di bufala DOP e non DOP così come realizzata nei Caseifici autorizzati, utilizzando gli organismi di controllo del Ministero e delle regioni e delle azienda sanitarie locali per controlli crociati e periodici nei caseifici e negli allevamenti verificando la vera rispondenza fra il latte bufalino italiano e la mozzarella DOP e non DOP prodotta dai caseifici;
          i controlli devono essere effettuali in maniera costante, improvvisa e mensile, in modo da tutelare sia i produttori di latte che i caseifici che hanno lavorato e continuano a lavorare onestamente;
          solo evitando le frodi si potrà diminuire l'offerta di prodotto alterato sul mercato, fatto questo che garantirà al consumatore la sicurezza e la qualità di ciò che acquista, all'allevatore e al trasformatore onesto il ritorno alla redditività delle loro imprese, ai lavoratori l'innalzamento di posti di lavoro, grazie all'adeguamento dei prezzi di mercato al valore della produzione del latte prodotto;
          il Consorzio di tutela del formaggio mozzarella di bufala campana è stato costituito nel 1991 ed il Ministro delle politiche agricole pro tempore con decreto del 24 aprile 2002 definì il riconoscimento del consorzio di tutela mozzarella di bufala campana e gli attribuì l'incarico del svolgere le funzioni di cui all'articolo 14, comma 15, della legge n.  526 del 1999;
          continue e comprovate attività di sofisticazione della produzione della mozzarella di bufala DOP, oggetto tra l'altro di una serie di puntate di Striscia la notizia, hanno imposto nel 2010 al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore onorevole Luca Zaia di adottare il decreto del 14 gennaio 2010 istituendo un «Comitato di garanzia avente il compito di coordinare e supervisionare l'attività di tutela, promozione, valorizzazione e informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla DOP Mozzarella di Bufala Campana», commissariando di fatto il citato consorzio MBC dop, con il comitato di garanzia composto da: il tenente colonnello dei carabinieri Marco Paolo Mantile, vice comandante dei NAC del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con funzioni di coordinatore; il professore Antonio Sciandone, docente di diritto agrario presso la seconda università degli studi di Napoli; il dottore Emilio Gatto, direttore generale del dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari; il vice questore Roberto Miele, dirigente del Corpo forestale dello Stato di Napoli; il maggiore Claudio Gnoni del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Napoli; il dottore Pietro Quaranta, direttore dell'ufficio di Napoli del dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari;
          il Comitato di garanzia nominato dal Ministro pro tempore Zaia ha svolto una puntuale attività di controllo e di verifica del Comitato durata 6 mesi, dal 21 gennaio al 14 giugno 2010, conclusa con un'articolata relazione consegnata il 7 luglio 2010 al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, alla direzione distrettuale antimafia della procura di Napoli ed alla «Commissione Parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale»;
          in data 30 giugno 2011 nel corso dell'audizione del tenente colonnello Marco Paolo Mantile, quest'ultimo chiariva:
              «...Nel corso dei propri lavori e nel rispetto del mandato conferitogli, il Comitato ha svolto una complessa attività prima di procederà alla stesura della relazione finale... Sono state riscontrate evidenze documentali circa l'utilizzo di latte bufalino congelato e di latte bufalino concentrato per la realizzazione della mozzarella di bufala campana Dop, impieghi vietati espressamente dal disciplinare di produzione»;
              «Con riguardo al latte concentrato, e opportuno precisare che si tratta di un procedimento di lavorazione che consente di contrarre i costi di produzione e di stoccaggio. Il latte viene disidratato, concentrato e successivamente congelato, per un costo che varia dai 12 ai 13 centesimi di euro al litro. La concentrazione, fino al 50 per cento dell'umidità presente, tramite evaporazione, consente anche un aumento della resa produttiva della mozzarella pari al 6-7 per cento»;
          «Per tale lavorazione è previsto l'utilizzo di acqua per diluire il prodotto concentrato e l'aggiunta di sieroproteine per ridare il giusto apporto proteico a questo prodotto che io ho chiamato “latte”»;
              «... Abbiamo operato, su 31 ispezioni, 31 sequestri, esattamente 21 per violazioni amministrative e dieci per violazioni penali. Vi era un problema di tracciabilità del prodotto e problemi a margine anche di natura sanitaria, in quanto si trattava di un grosso quantitativo di latte: abbiamo sequestrato 12.000 tonnellate di latte, per un valore complessivo di 17 milioni di euro»;
              «Di queste, circa 3-4 mila tonnellate (di latte) presentavano, dalle analisi fatte dall'Asl competente una carica batterica di un milione di volte superiore al limite massimo consentito. In mancanza di una tracciabilità del prodotto (non siamo stati in grado di comprendere da dove proveniva questo latte), per dato esperienziale della Asl competente per territorio, ci è stato detto che si trattava sicuramente di latte proveniente dall'estero; segnatamente dalla Romania»;
              «...Ricordo a me stesso – lo dico a salvaguardia dell'onorabilità dei miei collaboratori del Nac di Salerno, che hanno operato in quel difficile clima che vi lascio immaginare, anche intimidatorio che sia il Tar, sia il Consiglio di Stato hanno dato pienamente ragione agli operatori. Non solo, anche in sede penale, si è arrivati fino al ricorso in Cassazione da parte della controparte ma l'attività è stata considerata legittima e quindi non ci sono state osservazioni di sorta»;
              «...Per completezza, a proposito della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, immagino che stesse svolgendo delle attività nello specifico settore (lo immagino perché con un'esplicita richiesta il dottor Giovanni Conso, della Dda di Napoli, mi ha chiesto copia dell'intera relazione che ho depositato anche agli atti e deduco, dal protocollo della richiesta, che era in atto una procedimento penale verosimilmente afferente a questo argomento). Comunque, noi non siamo stati coinvolti con deleghe ma so che su questo settore operavano anche altri reparti territoriali»;
              «Abbiamo inoltre affiancato i Nas nell'attività di acquisizione documentale presso il Ministero a proposito di un'attività svolta sui pane di Altamura, (originata da una serie di controlli fatti dai Nas in esercizi commerciali). Quindi, un lavoro così puntuale non è mai stato fatto su nessun Consorzio, È anche vero che dall'attività degli ordinari controlli svolti nella filiera, criticità così accentuate come quelle che purtroppo – non lo dico con piacere – sono state rilevate nel Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana, non le abbiamo trovate per gli altri consorzi. Certamente, inadempienze ci sono state, truffe ci sono ma non della portata di quelle che abbiamo riscontrato per questo Consorzio...»;
              «C’è un sistema dietro – lo abbiamo dimostrato con le nostre attività – che è fuori controllo: sicuramente. C’è un giro d'affari notevole: quando, invece di pagare all'allevatore dell'area Dop, sia esso di Caserta o di Frosinone, il latte 1,20 o 1,30 euro al litro, lo si fa venire dalia Romania o dalla Bulgaria pagandolo 5 centesimi, si capisce bene che invece di guadagnare 30 centesimi o 1 euro, il caseificio ne guadagna 4»;
              «...C’è quindi una movimentazione di soldi e che dietro ci sia anche la criminalità organizzata lo posso intuire per l'esperienza maturata. Ho lavorato infatti anche in contesti operativi di altro genere, come in Sicilia presso il raggruppamento operativo speciale, e so che quando ci sono grosse movimentazioni di denaro, alle spalle c’è sicuramente la criminalità organizzata, non solo nelle aree del sud ma anche in altre aree del territorio nazionale. Potrebbe essere una forma di riciclaggio molto comoda, molto utile, con dei rischi, veramente minimali di essere comunque individuati e contrastati dagli organi di polizia. Se mi consente, approfitto del clima di serenità...»;
              «..Abbiamo lavorato in un clima veramente non facile. Noi appartenenti alle forze dell'ordine – così anche il Corpo forestale e la Guardia di finanza – percepivamo la pressione e anche una sorta di intimidazione. Non vi nascondo che sono stato convocato dalla procura di Napoli perché per l'attività tecnica svolta in un determinato contesto, il mio nome riecheggiava e sicuramente non in maniera positiva. Quindi, immagino la situazione di una persona che – sia essa del posto o meno – si trova a rivestire quell'incarico: senza poteri è chiaro che da solo non può fare assolutamente nulla»;
              «...Inoltre, è stato disarmante verificare un certa mentalità all'interno del Consorzio, volta soltanto al profitto e finalizzata a spuntare il prezzo più basso per il latte al fine di guadagnare di più. Poi, in realtà, della tutela del marchio, non importava nulla a nessuno...»;
              «Lo ripeto: il giro di affari è notevole ma, da parte del Consorzio, non c’è proprio la mentalità. La tracciabilità non sanno neanche che cosa sia, né si ponevano minimamente il problema: questo è il dramma»;
          la stampa ha divulgato gli esiti di un'indagine durata due anni dove la procura di Napoli ha chiesto l'arresto di un «gruppo criminale» che per anni avrebbe violato il disciplinare di produzione, grazie a un accordo fraudolento tra controllori e controllati. Questo è quanto emerge da un'inchiesta condotta da alcuni pm della direzione distrettuale antimafia di Napoli (Giovanni Gonzo, Alessandro D'Alessio e Maurizio Giordano), pubblicata da più organi di stampa, che si sono trovati di fronte ad un ulteriore filone di indagine;
          la direzione distrettuale antimafia di Napoli ipotizza l'esistenza di un vero e proprio sistema, un'associazione a delinquere tra controllati e controllori I trasformatori hanno realizzato per anni la mozzarella impiegando illecitamente latte congelato e/o proveniente dall'estero. E chi aveva istituzionalmente il compito di vigilare, ha chiuso un occhio. Se non tutti e due. I pm hanno allegato agli atti le trascrizioni di decine di telefonate in cui gli indagati discutono delle loro trasgressioni al disciplinare, dell'uso di materia prima proveniente dalla Lituania, dall'Estonia e dalla Polonia (si accenna persino a latte in polvere in arrivo dall'India) e della necessità di utilizzare decine di migliaia di quintali di latte congelato e stoccato nei depositi, del valore di milioni di euro. Senza il quale – lamentano – i costi si moltiplicherebbero e il fatturato dimezzerebbe;
          la procura di Napoli ha chiesto l'arresto in carcere di 38 persone di cui gran parte titolari di caseifici ed il sequestro di una trentina di strutture casearie, mentre il Gip» in una ordinanza di 124 pagine che riassume le tappe dell'inchiesta, ha detto no alle misure cautelari perché non sussisterebbero i gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione a delinquere e mancherebbe l'attualità del reato, constatato che «gli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria si fermano al settembre 2010»; mentre i pm della direzione distrettuale antimafia hanno fatto ricorso al riesame, che lo discuterà a fine novembre 2012;
          per fregiarsi del marchio DOP, la mozzarella di bufala campana deve essere prodotta solo con latte fresco proveniente dalle province di Caserta e Salerno, oltre che dei comuni ricompresi tra le province di Napoli, Benevento, Isernia, Frosinone, Latina, Foggia, Roma, Latte che deve essere trasformato entro 60 ore dalla mungitura, acidificato con siero naturale e coagulato con caglio di vitello. Regole che nessuno rispettava, nella continua corsa al ribasso dei prezzi e alla necessità di tamponare in qualche modo gli effetti di alcune epidemie di brucellosi, che hanno decimato i capi di bestiame e la produzione di latte fresco. Quando tutti «barano» è più conveniente impegnarsi per cambiare le regole piuttosto che mettersi a norma;
          notizie riportate da L'Espresso del 29 ottobre 2012 hanno riferito come l'ordinanza del tribunale di Napoli abbia chiarito che, quasi nessuno ottemperava alle regole scritte, che venivano continuamente calpestate. Ed allora la preoccupazione di tutti, di fronte ai controlli sempre più stringenti dei Nas, sembra essere quella di «uscire dall'illegalità». Non certo, però, cominciando finalmente ad utilizzare solo latte fresco prodotto nell'area Dop; «Bisogna modificare il disciplinare e consentire ai caseifici di utilizzare una percentuale di latte congelato o cagliata congelata – si legge in un'intercettazione – sono 20 anni che lo facciamo tutti quanti. Questa è la posizione. È la stessa posizione l'avrà Assolatte, l'avrà l'Unione industriali, l'avranno tutti quanti». In un'altra conversazione «Siamo in difficoltà, questi qua ci fanno chiudere; noi facciamo tutti quanti delle frodi»; ed un altro «Se non utilizziamo il latte congelato il fatturato scende del 50 per cento. Il problema è che negli anni tutti hanno ammassato enormi quantità di latte congelato». Il titolare di un caseificio, ammette di averne «10 mila quintali» stoccati; valore di mercato 1,3 milioni di euro, un altro ancora parla di «1 milione 750 mila litri nelle celle»;
          gli allevatori bufalini, ovviamente, si oppongono con decisione alla modifica del disciplinare. Perché il prezzo pagato alle stalle è irrisorio, e il timore è che precipiti ulteriormente; anche pochi mesi fa, nonostante il cambio di gestione, il Consorzio ha provato nuovamente a far passare la modifica, con una delibera approvata in assemblea il 27 giugno; cioè solo pochi giorni prima che esplodesse l'inchiesta. Infatti, le proposte di modifica del disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana dop, avanzate dal Consorzio di tutela, sono entrate nei meccanismi della concertazione agricola; il tavolo verde, anche se le regioni amministrativamente interessate alla dop non hanno ancora una posizione ufficiale;
          ad oggi nessuna regione ha ancora espresso il parere da rendere al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, loro richiesto dall'articolo 6 del decreto ministeriale del 21 maggio 2007, con il quale il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali regolamenta la procedura a livello nazionale sia per la registrazione che per le modifiche del disciplinare delle DOP e IGP, come definite dal regolamento dell'Unione europea 2006/510;
          trattandosi della modifica di un disciplinare per la produzione di formaggio dop, le regioni Campania, Lazio, Puglia e Molise devono valutare la documentazione a suffragio delle novità da introdurre ed esprimere un parere sia sulla legittimità dell'ente proponente che sul merito delle modifiche il parere va trasmesso dalle regioni al Ministero entro i 120 giorni dalla notifica delle richieste di modifica del disciplinare consegnate dal Consorzio di tutela: termine che scadeva a fine luglio 2012;
          il Consorzio, a quanto consta all'interrogante, avrebbe approvato le modifiche prima in consiglio di amministrazione, quindi le avrebbe notificate a fine marzo a regioni e Ministero, infine solo il 24 giugno 2012 queste sarebbero state ratificate dall'assemblea del Consorzio della mozzarella di bufala campana DOP, mentre lo statuto consortile prevede invece una procedura inversa: un mandato dell'assemblea al consiglio di amministrazione per procedere alle modifiche del disciplinare di produzione;
          le questioni di merito da affrontare sono di sostanza. Una su tutte: la cagliata condizionata secondo il Consorzio di tutela si può produrre, purché il latte sia trasformato in cagliata entro 60 ore dall'ultima mungitura; e sempre secondo il Consorzio ciò non significa che sia possibile congelare la cagliata. Il Consorzio, inoltre, sottolinea che con il nuovo disciplinare ha fatto divieto ai caseifici di commerciare in latte e semilavorati tra loro, anche freschi, e che di conseguenza è così scongiurata ogni possibilità che si formi una qualche posizione di dominio tale da interferire con la formazione del prezzo del latte;
          di diverso avviso Confagricoltura e CIA, mentre Coldiretti non ha ancora formalizzata la sua posizione;
          infatti il 5 novembre 2012 Giuseppe Politi (presidente Nazionale della confederazione italiana agricoltori) e Mario Guidi (presidente nazionale di Confagricoltura) hanno scritto una nota congiunta al Ministro interrogato chiarendo che:
              «dopo un'attenta analisi delle proposte di modifiche al Disciplinare di produzione avanzate dal Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana, si ritiene di dover ribadire con forza e convinzione le perplessità indotte dagli elementi innovativi proposti a sostanziale modifica del vigente articolato che si ricorda ha ottenuto la conferma con il regolamento n.  103 del 2008 della registrazione protezione e tutela comunitaria ai sensi del regolamento n.  510 del 2006 del 20 marzo 2006 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari»;
              «Le innovazioni proposte modificando sostanzialmente il processo produttivo farebbero difatti, a nostro avviso, perdere al prodotto la sua caratteristica di formaggio fresco e potrebbero pericolosamente volgarizzare e dequalificare il prodotto – con evidenti riflessi negativi sulla valorizzazione economica della materia prima – nell'immaginario del consumatore. Si ritiene pertanto opportuno ribadire quanto più volte abbiamo avuto modo di manifestare in merito alla nostra contrarietà rispetto:
          a) alla proposta di sostituire l'obbligo di concludere il processo produttivo entro la 60a ora dalla prima mungitura, con la possibilità d'interromperlo consentendo il condizionamento e di fatto il congelamento della cagliata; una tale ipotesi da un lato apre a nostro avviso – con pericolosi decadimenti d'immagine – alla possibilità d'utilizzo di cagliate congelate, ma sembra rendere anche possibile la pratica d'inaccettabili forzature del normale andamento dei corsi mercantili del latte bufalino;
          b) alla previsione normativa di una diversificazione della produzione (artigianale, normale, per usi industriale) che non solo arrecherebbe confusione e disorientamento nei consumatori, ma anche ufficializzerebbe un'inaccettabile diversificazione ed il decadimento qualitativo di gran parte del prodotto;
          come è noto abbiamo sempre sostenuto la necessità di una contestuale attuazione delle vigenti normative inerenti la tracciabilità della produzione del latte di bufala e la separazione fisica delle strutture finalizzate alla produzione della Mozzarella di bufala Campana (DOP). Riteniamo altresì necessario che entrambe le norme siano portate alla completa applicazione in modo graduale per consentire sia agli allevatori che ai trasformatori di adeguarsi alle prescrizioni in esse previste»  –:
          se intenda prendere una posizione rigida sulla vicenda sopra richiamata ed in tali circostanze rigettare qualunque richiesta che avesse come fine la modifica, peggiorativa, del disciplinare della mozzarella di bufala Campana DOP;
          se corrisponda al vero che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali stiano valutando l'approvazione della modifica del disciplinare del DOP nel senso di ammettere la pratica del congelamento del latte o della cagliata congelata di latte di bufala per permetterne il relativo uso differito nella produzione della mozzarella DOP e, se al verificarsi di tali circostanze, intenda fermamente rigettare una tale, a giudizio dell'interpellante inaccettabile, richiesta;
          se intenda provvedere all'attuazione senza proroghe della normativa sulla separazione dei luoghi di produzione della mozzarella di bufala campana DOP e della mozzarella non DOP;
          se intenda adottare iniziative normative d'urgenza che impongano al Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP l'attività obbligatoria di controllo e di verifica mensile incrociata tra la produzione di latte di ciascuno allevamento bufalino dell'area DOP e l'effettiva trasformazione e resa quantitativa nei caseifici che ritirano per la produzione di mozzarella di bufala campana DOP e mozzarella di bufala campana non dop, prevedendo altresì misure dissuasive integrative ed aggiuntive a quelle ordinarie già previste a carico delle strutture casearie che violano i vincoli normativi di riferimento, al fine di scoraggiare le frodi in commercio;
          se ritenga utile e necessario adottare iniziative in favore degli allevatori di bufale dell'area DOP della mozzarella di bufala campana, volti a permettere una più ampia e diffusa applicazione della tecnica della destagionalizzazione dei parti.
(2-01742) «Alessandri, Brugger».

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la legge 40/2004 recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», all'articolo 14 comma 5, che le coppie che accedono a trattamenti di procreazione medicalmente assistita siano «informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero». La medesima legge all'articolo 13 comma 2 prevede che «La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative;
          il tribunale di Cagliari, con sentenza del 24 settembre 2007, ha ritenuto ammissibile la diagnosi preimpianto sulla base di un'interpretazione conforme a Costituzione e disapplicata la disposizione delle linee guida Ministeriali del 21 luglio 2004 che limitava la diagnosi preimpianto alla sola indagine osservazionale;
          il tribunale di Firenze, con ordinanza del 17 dicembre 2007, ha ritenuto ammissibile la PGD sulla base di un'interpretarne conforme a Costituzione e disapplicata la disposizione delle linee guida Ministeriali del 21 luglio 2004 che limitava la diagnosi preimpianto alla sola indagine osservazionale;
          il tribunale amministrativo regionale del Lazio, con decisione del 21 gennaio 2008, n.  398, ha annullato per eccesso di potere le linee guida di cui al decreto ministeriale 21 luglio 2004 nella parte contenuta nelle misure di tutela dell'embrione laddove si statuisce che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell'articolo 13, comma 5, dovrà essere di «tipo osservazionale», sollevando la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 2 e 3, della legge n.  40 del 19 febbraio 2004 per contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione. Le motivazioni della sentenza evidenziano che «In buona sostanza, fermo il generale divieto di sperimentazione su ciascun embrione umano, la legge n.  40 del 2004 consente la ricerca e la sperimentazione e gli interventi necessari per finalità terapeutiche e diagnostiche». Pertanto a seguito della sentenza del TAR Lazio è confermata la portata della legge n.  40 del 2004 nella parte in cui prevede che possano essere effettuate indagini cliniche diagnostiche sull'embrione;
          il Ministro della salute l'11 aprile 2008 ha firmato il testo delle nuove linee guida sulla legge 40 del 2004 che recepiscono la sentenza del TAR del Lazio 2008. Il decreto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 30 aprile 2008 serie generale numero 101; la Corte Costituzionale, con sentenza Corte Cost. n.  151/2009, con dichiarazione di incostituzionalità di una parte dell'articolo 14, comma 2, elimina il limite dei tre embrioni producibili e l'obbligo di contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti, confermando la deroga prevista nel testo normativo al divieto di crioconservazione previsto per la tutela della salute della donna e degli embrioni stessi;
          il tribunale di Bologna con ordinanza del 29 giugno 2009 dà piena applicazione della sentenza della corte costituzionale 151 del 2009 e dispone l'applicazione della diagnosi preimpianto di un numero minimo di sei embrioni e il trasferimento in utero dei soli embrioni sani;
          il tribunale Salerno, con ordinanza del 9 gennaio 2010, ordina l'esecuzione della PGD e il trasferimento in utero degli embrioni che non presentino mutazioni genetiche;
          il tribunale di Salerno, con ordinanza del luglio 2010, ordina per seconda volta per altra coppia l'esecuzione della PGD e il trasferimento in utero degli embrioni che non presentino mutazioni genetiche. Per la seconda volta viene riconosciuto anche alla coppia non sterile in senso tecnico la possibilità di accedere alla procreazione medicalmente assistita in deroga a quanto previsto dalla legge;
          la Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza del 28 agosto 2012 nel caso Costa e Pavan contro l'Italia, nel quale i ricorrenti, portatori sani di fibrosi cistica, avevano richiesto di poter accedere alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto pur non essendo una coppia sterile, presupposto richiesto dalla legge n.  40 del 2004, ha affermato che il divieto di accesso alla diagnosi preimpianto, ritenuta dal Governo italiano applicabile a qualsiasi categoria di persone, costituisce una violazione dell'articolo 8 della Convenzione che così dispone: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...) 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria [...] alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui». In particolare, a parere della Corte, l'ingerenza è da ritenersi incoerente, se si considera la possibilità offerta alle coppie di procedere ad un aborto terapeutico qualora il feto risulti malato e tenuto conto, in particolare, delle conseguenze che ciò comporta sia per il feto, il cui sviluppo è evidentemente assai più avanzato di quello di un embrione, sia per la coppia di genitori, soprattutto per la donna. La Corte osserva che i genitori dovrebbero iniziare una gravidanza secondo natura e procedere a interruzioni mediche della gravidanza qualora l'esame prenatale dovesse rivelare che il feto è malato, come realmente avvenuto nel caso esaminato dalla Corte. La Corte ritiene che non si tratta di valutare l'ampio margine di discrezionalità di cui dispone il legislatore nazionale nella materia della procreazione artificiale, bensì la proporzionalità della misura controversa. Tale decisione non è definitiva;
          in Italia, attualmente esistono 357 centri di fecondazione medicalmente assistita attivi. Tra questi le strutture che applicano tecniche in vitro pertanto identificate di II e III terzo livello sono 202 e, nello specifico, di questi 76 svolgono servizio pubblico e 22 servizio privato convenzionato; i rimanenti 104 offrono servizio privato (fonte registro nazionale della procreazione medicalmente assistita);
          l'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica con le associazioni di pazienti Cerco un bimbo, Amica Cicogna, L'altra Cicogna da anni evidenziano che le coppie ottengono informazioni sullo stato di salute degli embrioni a seguito di richiesta di esecuzione di indagine clinica diagnostica (PGD) solo nelle strutture private;
          l'articolo 6 della legge n.  40 del 2004 prescrive che «prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, il medico informa in maniera dettagliata i soggetti (...) sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all'applicazione del tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l'uomo e per il nascituro (.....) nei confronti della donna e dell'uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa»;
          in dottrina e diritto è consolidata la liceità dell'indagine preimpianto  –:
          quali iniziative intenda tempestivamente intraprendere al fine di verificare l'elenco dei centri di fecondazione medicalmente assistita che effettuano indagini cliniche diagnostiche sull'embrione (PGD);
          quali iniziative di competenza intenda assumere, anche di carattere normativo, per impedire che le strutture di procreazione medicalmente assistita, in violazione di quanto disposto dalla legge 40 del 2004, articoli 6, 14, comma 5 e 13, comma 2, non applichino se richiesto dalla coppia indagini di diagnosi clinica sull'embrione PGD. (5-08458)


      BINETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'analisi della popolazione differentemente abile e condizionata da difficoltà oggettive che permettono una quantificazione solo parziale dei bisogni di cura dei disabili. Solo in poche realtà territoriali sono presenti dei sistemi informativi che rilevano e restituiscono dati inerenti alla domanda di servizi e alle prestazioni forniti dai vari enti;
          ciò premesso si considerano le stime disponibili riferite al numero di disabili tenendo presente che: la definizione di disabilita non è universale (spesso si usano in modo impreciso termini come disabile, handicappato, invalido, inabile e altro); il sistema attuale di certificazione di disabilità manca di uniformità; manca una fonte anagrafica universale e quindi le fonti esistenti non sono ne esaustive ne paragonabili tra loro;
          stimare il numero dei bambini e dei giovani disabili richiede fonti informative diverse, mentre la principale fonte utilizzata per stimare il numero delle persone con disabilità presenti in Italia è l'indagine Istat sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari del 2004-2005. Secondo l'Istat, la proporzione di persone disabili sulla popolazione residente nel nostro Paese è del 4,8 per cento;
          considerando i diversi livelli di disabilità, naturalmente quello più grave e rappresentato dal confinamento, che implica la costrizione permanente a letto, o su una sedia con livelli di autonomia nel movimento pressoché nulli, nonché il confinamento in casa per impedimento psichico o fisico;
          secondo stime, basate sulla classificazione Istat, in provincia di Roma risultano confinate più di 70 mila persone con più di 6 anni. Circa 110 mila persone presentano difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane, cioè vivono con difficoltà ad espletare le principali attività di cura della propria persona, più di 80 mila presentano disabilità nel movimento, mentre le difficoltà nella sfera della comunicazione, quali l'incapacità di vedere, sentire o parlare, coinvolgono circa 40 mila persone con più di 6 anni che richiedono un particolare lavoro di cura, spesso per la concomitante disabilità di tipo psico-motorio;
          il Cem della Croce rossa italiana a Roma per l'assistenza ai disabili gravi, rischia di chiudere tra le drammatiche incertezze per utenti, famiglie e lavoratori. La struttura romana dagli anni cinquanta è centro di eccellenza nell'assistenza, oggi sembra essere un peso per l'ente pubblico che persegue un obiettivo: il risanamento. Il futuro è legato a un debito di 27 milioni di euro accumulato dal comitato provinciale di Roma della Cri. Il 70 per cento degli operatori è precario;
          i familiari e gli ospiti disabili sono in mobilitazione, e non si escludono forme più eclatanti di protesta. Loro non vogliono andarsene, mentre il commissario della struttura annuncia: «Inevitabile il trasferimento degli utenti», dal momento che, da mesi non c’è nessuna manutenzione;
          nei giorni scorsi è stato decretato l'inizio dell'occupazione della struttura di via Ramazzini sulla quale grava il peso di un debito milionario del comitato provinciale di Roma della Croce rossa italiana e costi di gestione che non si riesce più a mantenere. Un'occupazione come forma di protesta, da parte dei familiari delle persone con disabilità anche grave, per i quali da decenni il centro di educazione motoria è casa o luogo di attività diurne;
          da tempo, non viene più fatta la manutenzione ordinaria, come già mesi fa rilevava il commissario della struttura Flavio Ronzi. I familiari e gli ospiti della struttura presenti alla protesta, richiedono, inoltre, che presso il reparto Archimede (una delle porzioni della struttura, quello che ad oggi ospita gli utenti in regime di semiresidenzialità) venga attivato il progetto, che esiste da tempo ma solo sulla carta, per il «dopo di noi»: «I genitori stanno man mano venendo meno, e questi figli devono trovarsi in quella struttura “dopo di noi” che da tempo era stata promessa»  –:
          quali urgenti misure intendano assumere al fine di tutelare la salute e la continuità assistenziale agli utenti, di strutture come il Cem della Croce rossa italiana a Roma che rischiano di chiudere a causa di scelte economiche e di tagli effettuati senza adeguate misure di razionalizzazione della spesa pubblica.
(5-08459)


      SCHIRRU, PES, FADDA, MELIS, CALVISI, MARROCU e ARTURO MARIO LUIGI PARISI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la legge 25 febbraio 1992, n.  210, e successive modificazioni ed integrazioni, prevede un riconoscimento economico a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati, che ne facciano richiesta;
          la legge n.  141 del 2003 prevedeva uno stanziamento per transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti che avessero instaurato cause per il risarcimento, ma con il decreto ministeriale 3 novembre 2003 è stata applicata escludendo dalla transazione i pazienti talassemici, i quali avevano tutti i requisiti per accedervi;
          il decreto-legge n.  159 del 1° ottobre 2007, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito dalla legge 29 novembre 2007, n.  222, all'articolo 33 dispone lo stanziamento di fondi per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, emofilici, emotrasfusi occasionali e da vittime di vaccinazioni, danneggiati da lesivi trattamenti, sanitari, che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni, nei confronti del Ministero della salute, tuttora pendenti;
          la legge finanziaria 2008, all'articolo 2, comma 361, autorizza «per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, una spesa di 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008»;
          le citate norme del 2007 e del 2008 sono frutto di anni di trattativa politica con tutti i danneggiati rimasti esclusi dall'applicazione della legge n.  141 del 2003 e quindi discriminati rispetto a quanti che in base a quella legge hanno concluso le transazioni delle cause per il risarcimento danni;
          la legge finanziaria 2008, all'articolo 2, comma 362, prevede l'adozione di un decreto da parte del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze per la definizione dei criteri in base ai quali i soggetti titolati possano accedere ai risarcimenti previsti, nonché al comma 363 l'estensione dell'indennizzo di cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 2005, n.  229, ai soggetti effetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell'omonimo farmaco, nelle forme dell'amelia, dell'emimelia, della focomelia e della macromelia;
          il 4 maggio 2012 è stato emanato il decreto «Definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 28 aprile 2009, n.  132»;
          nel testo del decreto non è dato sapere se verrà attuata o meno la transazione per i talassemici che sono una delle categorie più numerose tra i danneggiati in causa: su circa 6.500 istanze di transazione ammissibili pervenute entro il 19 gennaio 2010, infatti, il 40 per cento sono state presentate dai talassemici;
          per questo motivo essi una volta letto il decreto-legge hanno da subito temuto che tale ambiguità fosse funzionale ad una loro esclusione in massa dalla transazione;
          questo sospetto viene proprio in questi giorni confermato, poiché tra i talassemici stanno arrivando le lettere del Ministero che preannunziano loro l'intenzione di escluderli dalla transazione;
          i talassemici hanno intenzione di attuare qualsiasi forma di protesta civile, compresa la sospensione dalle cure, se lo Stato italiano li escluderà dal legittimo ristoro ad essi spettante per il danno subito  –:
          se non ritenga urgente intervenire per modificare e/o integrare il decreto ministeriale del 4 maggio 2012 per fare in modo che venga riconosciuto ai talassemici il diritto al risarcimento del danno da parte dello Stato. (5-08464)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il centro Villa Maraini per la cura della tossicodipendenza è in grave crisi di finanziamenti;
          la struttura, fondata nel 1976 da Massimo Barra, ha sviluppato nel tempo un ampio ventaglio di servizi, ora forniti a più di 600 utenti al giorno, fruiti complessivamente da più di 4.000 soggetti l'anno, e differenziati in relazione alle esigenze individuali, ovvero:
              a) tre comunità terapeutiche;
              b) un servizio di emergenza H24;
              c) due unità di strada;
              d) un centro diurno drop-in (di prima accoglienza);
              e) due centri di accoglienza notturna;
              f) programmi specifici per tossicodipendenti detenuti (in carcere o agli arresti domiciliari presso Villa Maraini);
              g) un gruppo di assistenza familiare;
              h) una cooperativa di lavoro;

          le basi della peculiare filosofia di villa Maraini sono la ricerca attiva, l'educazione tra pari e l'approccio flessibile al trattamento, il che le permette di venire a contatto con gli elementi più emarginati e stigmatizzati della società – compresi un 30 per cento di drogati sconosciuti alle altre strutture antidroga perché immigrati clandestini;
          oggi, dopo oltre 35 anni di attività, villa Maraini è l'unico centro antidroga a Roma aperto 24 ore su 24, 365 giorni l'anno. Ogni volta che un tossicomane a Roma viene arrestato, le forze dell'ordine richiedono l'intervento di Villa Maraini così come il tribunale, dove la presenza di Villa Maraini è quotidiana;
          «Villa Maraini» lavora alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione ed al reinserimento sociale dei soggetti tossicodipendenti ed alcolisti, anche attraverso interventi psicoterapeutici individualizzati, effettuati all'interno di programmi mirati che coinvolgono sia i singoli utenti che le loro famiglie;
          al 30 giugno 2012 gli utenti presi in carico dalla fondazione Villa Maraini ammontavano a 1.431 unità di cui: 17 in carico ai settori residenziali, 72 ai settori semiresidenziali diurni, 16 ai settori semiresidenziali notturni e 1.326 si settori non residenziali – ambulatoriali;
          il centro Villa Maraini è stato autorizzato all'erogazione del metadone dal 1997. Nel corso del solo 2011 il centro ne ha somministrate 90.117 dosi;
          1.065 somministrazioni di metadone sono state effettuate dal servizio di emergenza di Villa Maraini all'esterno della struttura: presso caserme dei Carabinieri (373), sedi della Polizia di Stato o locale (188), tribunali (479), domicilio (1) e perfino ospedali (24);
          per ciascuna somministrazione di metadone la regione Lazio corrispondeva a Villa Maraini la somma di 5,28 euro, comprensiva del costo del farmaco, secondo una delibera che veniva rinnovata ogni anno;
          l'ultima delibera della regione Lazio è scaduta però il 31 dicembre 2011 e non è stata ancora rinnovata. Da allora la struttura ha continuato a somministrare quotidianamente tra 250 e 300 dosi di metadone a proprie spese, anticipando anche i costi del farmaco, senza ricevere rimborsi;
          indubbiamente Villa Maraini rappresenta per la capitale e l'intera regione Lazio una risposta autorevole e competente al problema della tossicodipendenza. Risposta, nel caso del metadone, altamente specializzata e mirata che tampona tutte le emergenze e ovvia alle carenze del sistema pubblico, in cui ogni Ser.T. ha un orario di apertura differente dall'altro e nessuno è aperto nemmeno H12/365;
          a fronte di tutto ciò, gran parte delle attività di Villa Maraini sono ancora finanziate in modo «precario», ossia «a progetto» e non su base di convenzioni stabili. Regione Lazio e comune di Roma, peraltro, continuano ad emanare bandi pubblici per ulteriori progetti: nel frattempo i servizi esistenti sono prorogati ripetutamente anche solo per un mese. Un lavoro «a progetto», a titolo «sperimentale» da sempre: nessuno dei servizi così sperimentati è stato portato a regime dal 1999 ad oggi;
          sinora la regione Lazio ha ignorato le seguenti disposizioni di legge contenute nella normativa nazionale antidroga di cui al testo unico 309 del 1990 tutt'ora in vigore:
              1) l'articolo 113 il quale stabilisce che:
                  a) «le attività di prevenzione e di intervento (...) siano esercitate secondo uniformi condizioni di parità dei servizi pubblici per l'assistenza ai tossicodipendenti e delle strutture private autorizzate dal SSN (...)»;
                  b) «la disciplina dell'accreditamento (...) garantisce la parità di accesso ai servizi ed alle prestazioni erogate dai servizi pubblici e dalle strutture private accreditate (...)»;
                  c) «ai servizi ed alle strutture autorizzate, pubbliche e private, spettano, tra l'altro, le seguenti funzioni (...): individuazione del programma farmacologico e delle terapie di disintossicazione (...)»;
              2) l'articolo 116 che fissa i «Livelli essenziali relativi alla libertà di scelta dell'Utente e ai requisiti per l'autorizzazione delle strutture private»;
              3) l'articolo 118 il quale prevede che «il servizio deve svolgere un'attività nell'arco completo delle 24 ore»;
              4) l'articolo 122 il quale ribadisce che il servizio pubblico e le strutture private autorizzate ai sensi dell'articolo 116 «possono adottare metodologie di disassuefazione nonché trattamenti (...) farmacologici adeguati»; ed aggiunge: «Il programma è attuato presso strutture del servizio pubblico o presso strutture private autorizzate (...). Quando l'interessato ritenga di attuare il programma presso strutture private autorizzate (...) la scelta può cadere su qualsiasi struttura situata nel territorio nazionale (...)»;
          alla luce delle disposizioni di legge sopra richiamate, gli utenti non «appartengono» ai Ser.T. e la pretesa di subordinare l'attività di Villa Maraini ai servizi pubblici si risolve ad avviso degli interroganti in una arbitraria limitazione dei loro diritti;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, essendo passati oltre 20 anni dalla emanazione del decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990, appare evidente quanto il comportamento della regione Lazio abbia danneggiato i tanti utenti che, nonostante le limitazioni – non solo economiche – che sono state arbitrariamente imposte alla fondazione Villa Maraini, continuano a riporre in essa piena fiducia e a prediligerla, anche perché nessuno dei Ser.T. opera nell'arco delle 24 ore né, soprattutto, possiede tutti i requisiti per funzionare previsti dalla legge;
          urge che al più presto venga trovata una soluzione a questa intollerabile sottomissione di Villa Maraini ai Ser.T., superando le pregresse omissioni e illegittimità, anche perché tutto ciò rischia di bloccare l'attività e mettere a rischio la stessa sopravvivenza del centro;
          alla luce di quanto esposto, la regione Lazio appare inadempiente alle disposizioni contenute nella normativa nazionale antidroga di cui al testo unico 309 del 1990 citate in premessa  –:
          se – considerati i ritardi nei pagamenti da parte degli enti pubblici con cui la fondazione è convenzionata – non ritenga opportuno e urgente assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza, affinché sia garantita la continuità operativa della fondazione suddetta, tutelando sia le migliaia di utenti che di essa usufruiscono sia i collaboratori che in essa lavorano, assicurando così l'efficienza della struttura, che può essere considerata l'unico centro antidroga nella città di Roma.
(4-18579)


      CASSINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          da circa un anno assistiamo in Italia a tentativi, in alcune realtà locali, di procedere alla fornitura dei presidi per l'autocontrollo del diabete (aghi per pungidito e strisce sensibili per la determinazione del livello di glicemia nel sangue) attraverso bandi di gara a fornitore unico. I criteri adottati, attenti quasi esclusivamente al minor costo, escludono automaticamente ogni valutazione relativa a qualità, praticità di utilizzo, attendibilità del risultato ed indice di dolorosità, incidendo pesantemente sulla qualità della vita del paziente;
          tali scelte hanno determinato in Campania l'adozione di un sistema proveniente da un paese dell'area asiatica che non adotta criteri compatibili con i nostri: questo ha causato una serie di esposti e denunce alla magistratura. In Lombardia l'annullamento da parte della giunta regionale della gara bandita e conclusa dalla ASL della provincia di Varese, capofila in unione tra le ASL di Milano 1, Milano 2, Città di Milano, Pavia e Cremona;
          in Italia la spesa dedicata alla patologia diabete è ripartita per il 22 per cento per terapia ed autocontrollo e per il restante 78 per cento per ospedalizzazione del paziente;
          è doveroso ricordare che un paziente con diabete tipo 1 si punge le dita almeno 8/10 volte al giorno, cioè 3.500 volte l'anno, per controllare i valori glicemici oltre le 4 iniezioni insuliniche e se si pensa che tutto questo viene subito anche dai bambini, si deve riflettere su quanto sia indispensabile che i presidi rispondano a determinati requisiti e soprattutto al fatto che questi strumenti siano indicati per il diabete neonatale;
          in Liguria sono 80mila i cittadini con il diabete e questa regione è seconda, dopo la Sardegna, per incidenza della patologia. Il 90 per cento dei medici diabetologi liguri ha espresso riserve e preoccupazioni sull'utilizzo dei nuovi presidi e sul metodo di assegnazione degli stessi  –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere per risolvere la situazione attraverso un sereno confronto finalizzato alla tutela della salute dei pazienti, valutando opportunamente la qualità dei presidi distribuiti e sottolineando che l'imposizione della disponibilità di un unico elemento prestabilito lede un diritto costituzionalmente garantito tra quelli che devono essere i diritti irrinunciabili per la salute delle persone con diabete, la possibilità di poter contare sulla diversificazione dei presidi. (4-18589)


      SCILIPOTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          Faicchio, cittadina di circa 4000 abitanti, è un comune modello tra i più prosperi, avanzati e civili dell'intera Provincia di Benevento. Da più di un decennio, purtroppo, i suoi agricoltori sono ossessionati dal problema del pascolo abusivo di capre;
          oltre un migliaio di animali, guidati da un unico pastore, sono lasciati liberi di invadere sistematicamente i terreni di Faicchio, contravvenendo ad ogni regola e divieto. Nonostante le numerose petizioni, proteste e denunce da parte dei singoli cittadini e del consiglio comunale di Faicchio, questa sconcertante situazione resta impunita;
          le greggi devastano i terreni coltivati da onesti cittadini mettendo altresì in pericolo la circolazione stradale e deturpano siti di interesse storico-archeologico, come la chiesa di San Sancio, sita in Fontanavecchia e di epoca normanna aragonese, o come il ponte Fabio Massimo di epoca romana. Di non meno conto è il problema igienico che si è venuto a creare, sia in terreni privati che accanto a delle abitazioni, dove spesso vengono ritrovate carcasse di capre in stato di decomposizione;
          l'ultimo caso risale proprio ad un paio di settimane fa quando dei cittadini hanno trovato due carcasse di capre con un orecchio tagliato prive di marchi identificativo e sventrate, probabilmente, da un branco di cani randagi. Sul posto sono intervenute le forze dell'ordine che hanno constatato l'accaduto, mentre la stampa locale ha mostrato particolare attenzione al problema;
          già nel 2004, e successivamente nel 2005, vi furono delle petizioni popolari che denunciavano il fenomeno. Nel 2008, il sindaco, con ordinanza n.  20, asseriva che «A seguito delle rimostranze di numerosi cittadini che lamentavano gravi problemi igienici nonché disagi alla circolazione dei veicoli dovuti al passaggio giornaliero di un gregge di capre di notevoli dimensioni nel centro abitato del Comune e in Località Fontanavecchia di proprietà del signor Onofrio Pasqualino», prendendo atto dell'esistenza del fenomeno e prendendo atto dei gravi problemi igienici ad esso collegati;
          di non meno conto è il problema di ordine pubblico che si viene a creare per il fatto che il gregge di animali transita, sia in ore notturne che diurne, su strade provinciali e comunali, compromettendo seriamente l'incolumità degli automobilisti;
          non ci comprende, se corrispondesse al vero, per quale motivo questi allevatori continuino a ricevere contributi europei, tramite l'agenzia per le erogazioni in agricoltura, senza che nessuno sia ancora intervenuto per farglieli sospendere o restituire;
          infine pare che vi siano anche delle irregolarità in merito alla compatibilità urbanistica ed ambientale dello stabile ove sono custoditi gli animali, i quali, sembrerebbero essere tenuti in condizioni poco consone ed in deroga alle normative in materia di igiene e profilassi  –:
          se i Ministri interrogati intendano inviare un'apposita verifica da parte dei NAS dei carabinieri al fine di accertare i fatti descritti in premessa. (4-18596)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MOFFA, POLIDORI, MOTTOLA, CALEARO CIMAN, CATONE, CESARIO, D'ANNA, GIANNI, LEHNER, MARMO, MILO, ORSINI, PIONATI, PISACANE, RAZZI, ROMANO, RUVOLO, SCILIPOTI, SILIQUINI, STASI e TADDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la Schneider Electric Italia è una azienda che fa capo alla multinazionale francese Schneider, in Italia ha circa 3.000 dipendenti che nel mondo diventano 150.000;
          la Schneider Electric Italia è presente da oltre 30 anni a Rieti dove si producono interruttori magnetotermici;
          lo stabilimento di Rieti è tra quelli della Schneider Electric quello maggiormente automatizzato con standard di qualità produttivi di altissimo livello;
          lo stabilimento di Rieti consta oggi di 181 lavoratori con altri circa 120 occupati nell'indotto, in passato lo stabilimento registrava la presenza di 300 lavoratori, che si sono ridotti al numero attuale dopo che sono state attuate, negli anni passati, varie ristrutturazioni, attualmente è in atto una procedura di cassa integrazione;
          attualmente lo stabilimento di Rieti produce interruttori C60 anche se questi sono in fine produzione in quanto sul mercato è stato introdotto un nuovo interruttore il Tim, che viene prodotto in Bulgaria e Francia;
          a detta del sindacato si potrebbero evitare i licenziamenti se agli attuali volumi produttivi si aggiungessero altri prodotti, e con questi si concordassero forme di organizzazione del lavoro;
          da oltre due anni l'azienda è sollecitata dal sindacato a darsi una nuova missione produttiva, visto che era risaputa la fine del processo produttivo degli interruttori C60, e proprio tal fine era stato aperto un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico;
          nell'ultima riunione svoltasi presso il Ministero dello sviluppo economico il responsabile a livello internazionale della Schneider, smentendo sue dichiarazioni precedenti, che prevedevano una soluzione entro il 2012, ha dichiarato la chiusura del totale dello stabilimento di Rieti e il licenziamento di tutti i dipendenti;
          la chiusura dello stabilimento di Rieti rappresenterebbe un terribile colpo per il territorio e per il nucleo industriale ivi presente già martoriato da una acuta crisi;
          è necessario un intervento da parte del Ministro dello sviluppo economico nei confronti della multinazionale Schneider per ricercare una soluzione per lo stabilimento di Rieti tenuto conto degli interessi e della presenza di altri stabilimenti in Italia  –:
          se non ritenga necessario e improcrastinabile assumere un'iniziativa nei confronti della multinazionale Schneider al fine di mettere in atto tutte le soluzioni, tenuto conto anche delle proposte sindacali, allo scopo di evitare la chiusura dello stabilimento di Rieti e il licenziamento dei lavoratori dell'azienda, fatto che si ripercuoterebbe, inevitabilmente, anche sui lavoratori dell'indotto. (5-08466)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ANGELA NAPOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          Lamezia Terme è la terza città della Calabria per numero di abitanti ed è di notevole importanza dal punto di vista agricolo, commerciale, industriale ed infrastrutturale per la sua posizione centrale nella regione;
          la stazione ferroviaria di Lamezia Terme ha da sempre rappresentato uno snodo fondamentale per i trasporti ferroviari regionali e nazionali, ma nonostante ciò continua da tempo ad essere penalizzata attraverso un non giustificabile smantellamento;
          da qualche anno, infatti, è stato smantellato lo scalo merci ed oggi si stanno diffondendo preoccupanti notizie circa un paventato smantellamento anche dello scalo passeggeri;
          sembra, infatti, che dal prossimo anno la stazione ferroviaria di Lamezia centrale verrà trasformata a semplice fermata; privata, quindi, dei dirigenti di movimento e dei capistazione di turno; verrà soppresso e accorpato a Napoli il dirigente centrale operativo, cioè la grande sala operativa con maestosi schermi e computer dal quale si controllano le stazioni non presidiate, a Sud e a Nord di quella lametina;
          saranno cancellati la biglietteria, il sottocentro deposito pedonale viaggiante (Dpv), il reparto territoriale movimento e l'ufficio verifiche e la stazione rimarrà chiusa di notte;
          non si sa dove siano volatilizzati i milioni di euro, stanziati alcuni anni fa per il piano regolatore dell'importante scalo lametino;
          l'interrogante ritiene davvero inaccettabile la continua penalizzazione che Trenitalia riserva costantemente alla Calabria;
          a Rosarno e Crotone le biglietterie sono ormai chiuse; si impiegano fino a 5 ore per andare da Crotone a Cosenza; la locride è decisamente isolata;
          dal 9 dicembre con il nuovo orario invernale Trenitalia ha reso non prenotabile alcun treno interregionale che collega la Calabria alla Campania; sembra venga soppresso l’intercity notte 794 che parte da Reggio Calabria alle 21.30 e arriva a Torino alle 15.55; sparirà il convoglio che permetteva di raggiungere Roma alle prime ore del mattino;
          il tutto dopo la già avvenuta soppressione di ben venti treni a lunga percorrenza che collegano la Calabria al Nord Italia e viceversa;
          si parla, altresì, di tagli alla tratta Sibari-Metaponto  –:
          se non ritenga necessario ed urgente richiamare l'attenzione di Trenitalia al fine di non contribuire all'ulteriore isolamento della Calabria;
          se la notizia relativa al paventato declassamento della stazione ferroviaria di Lamezia Terme sia veritiera e nel caso affermativo se intenda intervenire perché venga impedita questa ulteriore compromissione del servizio ferroviario in Calabria. (4-18572)


      CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la legge 23 dicembre 1998, n.  448 e successive modificazioni e il Decreto Ministeriale 5 novembre 2004, n.  292 prevedono misure di sostegno per il settore televisivo locale, consistenti in contributi che vengono annualmente erogati dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di graduatorie regionali redatte (con riferimento ai dipendenti occupati e ai fatturati conseguiti dalle imprese televisive locali interessate) dai Corecom – Comitati Regionali per le Comunicazioni, a seguito di bando di gara che lo stesso Ministero deve emanare entro il 31 gennaio di ogni anno;
          tali misure di sostegno che hanno contribuito, negli anni, alla crescita e allo sviluppo delle imprese televisive locali nell'ottica di sostenere l'informazione locale di qualità, sono importantissime nell'attuale momento in cui le imprese televisive hanno dovuto affrontare rilevanti investimenti per la transizione al digitale e in considerazione della situazione di crisi del mercato pubblicitario;
          i procedimenti per l'erogazione di detti contributi statali stanno, tuttavia, subendo gravissimi inaccettabili ritardi, con evidenti ripercussioni anche per l'occupazione lavorativa nel comparto (sono molte le imprese che hanno richiesto la cassa integrazione in deroga e/o che hanno avviato procedimenti di licenziamento collettivo);
          in particolare:
              a) Nonostante che tutti i Corecom abbiano redatto le rispettive graduatorie regionali fin dallo scorso mese di settembre, non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto di ripartizione tra i vari bacini di utenza dello stanziamento dei contributi relativi all'anno 2011 le cui domande sono state presentate entro il 13 ottobre 2011 e quindi da oltre un anno (occorre, peraltro, considerare che in caso di ritardo di uno o più Corecom, è possibile definire un riparto in acconto); in conseguenza di ciò non sono stati ancora emessi i mandati di pagamento a favore delle imprese televisive locali aventi titolo.
              b) Non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto di ripartizione tra i vari bacini del saldo dei contributi relativi all'anno 2010 (con riferimento al quale è stato, ad oggi, stanziato e corrisposto solo un acconto), che in mancanza di immediato intervento rischiano la perenzione;
          c) Non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando relativo alle misure di sostegno per l'anno 2012 (nonostante che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1 del decreto ministeriale 5 novembre 2004 n.  292, tale bando dovesse essere emanato entro il 31 gennaio 2012)  –:

          quali sono le ragioni di tali ritardi, le modalità con le quali il Ministro intenda porre rimedio ai ritardi stessi, nonché i tempi nei quali i suddetti provvedimenti verranno pubblicati in Gazzetta Ufficiale e i tempi nei quali verranno erogati i contributi 2010 e 2011 alle imprese televisive locali aventi titolo. (4-18580)


      DI PIETRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo europeo Irisbus produce autobus e filobus. È divenuto oggi il secondo produttore mondiale di autobus e dal 2001 l'azienda è controllata al 100 per cento da Iveco, e quindi dal Gruppo Fiat Industrial;
          il 14 settembre 2011 Fiat Industrial ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Valle Ufita in Campania dopo che la produzione di autobus è passata da 717 veicoli prodotti nel 2006 a 145 nel 2011. La produzione è stata spostata nello stabilimento francese di Annonay;
          l'Irisbus costruisce non solo autobus di linea e da turismo, ma anche filobus di nuova concezione;
          l'8 luglio 2011 Iveco spa ha inviato alle rappresentanze sindacali unitarie di Irisbus Italia spa dello stabilimento di Flumeri (Avellino), una lettera nella quale comunicava l'intenzione di cedere il ramo d'azienda costituito dallo stabilimento di Valle Ufita alla società Dr motor company all'imprenditore molisano Massimo Di Risio che ha rinunciato all'acquisto pochi mesi dopo, vista l'inconsistenza del piano industriale e delle risorse finanziare messe a disposizione;
          il 3 ottobre 2011 la Fiat ha attivato le procedure per la messa in mobilità e la cassa integrazione per tutti i 700 lavoratori dello stabilimento più altri 800 nell'indotto;
          dopo il taglio del personale Fiat è passata direttamente alla chiusura dello stabilimento, sancendo la fine delle produzioni per il trasporto pubblico in Italia;
          il Ministero dello sviluppo economico ha affermato più volte che avrebbe seguito la situazione venutasi a creare sul territorio e il 21 settembre 2011 ha proposto a Irisbus di continuare l'attività produttiva fino al 31 dicembre 2011, per consentire nel frattempo la ricerca di eventuali imprenditori interessati all'acquisizione del sito e la ricollocazione di un'ulteriore parte dei lavoratori interessati presso altre aziende del gruppo Fiat Iveco e il possibile utilizzo di ammortizzatori sociali, per la rimanente quota dei dipendenti;
          il 30 settembre 2011, la società Irisbus ha invece aperto la procedura di mobilità per tutti i lavoratori del sito;
          la dismissione dell'unico stabilimento che produce autobus in Italia, arriva da parte della Fiat, dopo la chiusura degli impianti di Termini Imerese e Imola in un crescente abbandono di realtà produttive nel nostro Paese, senza che il Governo abbia assunto gli atteggiamenti necessari per salvaguardare le produzioni nazionali, a differenza di quanto fatto ad esempio dal governo tedesco, francese o statunitense;
          la totale mancanza di una chiara politica industriale da parte del Governo, nel campo del trasporto pubblico come in altri settori, rende possibile la «fuga» dal nostro Paese da parte di gruppi industriali come la Fiat che, pur continuando ad usufruire di finanziamenti pubblici, non vengono mai chiamati alle proprie responsabilità nell'interesse generale del Paese, dell'economia e dell'occupazione;
          ad esempio, non esiste e ad avviso dell'interrogante non vi è l'interesse da parte dell'attuale Governo nel definire un piano nazionale dei trasporti, di rinnovo del parco vetture, sempre più necessario vista l'obsolescenza del parco autobus nazionale;
          la chiusura dello stabilimento di Flumeri ha ulteriormente esasperato il disagio e la tensione sociale tra la popolazione, nella Valle Ufita e nella provincia di Avellino, che già registra un altissimo numero di disoccupati;
          l'Italia non può disperdere in questo modo l'enorme patrimonio manifatturiero nella produzione industriale di autobus proprio in un momento in cui a livello mondiale si favorisce l'utilizzo dei mezzi collettivi;
          occorre perseguire con convinzione la ricerca di altri eventuali investitori, anche stranieri, interessati a produrre mezzi di trasporto pubblico in Italia a partire dall'azienda Irisbus della provincia di Avellino;
          bisogna prevedere risorse a sostegno di un piano nazionale del trasporto pubblico, che punti sull'innovazione dei prodotti e sulla sostenibilità ambientale;
          vista la presenza di un impianto efficiente e di un indotto tuttora fatto di piccole e medie imprese molto qualificate la produzione ad Avellino è realistica. Produttività e costi dello stabilimento italiano sono competitivi e perciò risulta incomprensibile chiudere uno stabilimento in Italia e poi far acquisire dalle amministrazioni locali, con i soldi pubblici, prodotti costruiti in Francia e in Repubblica Ceca;
          22 di queste aziende dell'indotto si sono organizzate in un coordinamento e hanno avanzato delle proposte che prevedono, in sintesi, che:
              entro un anno venga sviluppato un Piano nazionale per il trasporto;
              si preveda il mantenimento e l'aumento della competitività dello stabilimento flumerese con o senza la presenza del gruppo Fiat;
              si valorizzino gli operatori locali coinvolgendoli nel programma di efficientamento e qualità del prodotto  –:
          quali iniziative immediate intenda assumere il Ministro per garantire la ripresa della produzione di autobus e i posti di lavoro, favorendo le manifestazioni d'interesse da parte di altri investitori, anche stranieri, che volessero rilevare il ramo di azienda Irisbus di Flumeri per ridare ossigeno a quello stabilimento e all'importante indotto che si è sviluppato negli anni e convocare urgentemente i rappresentanti delle aziende dell'indotto Irisbus al fine di valutare insieme a loro e alle parti sociali la validità delle loro proposte sinteticamente illustrate in premessa. (4-18582)


      FRONER e MARCHIONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la legge 23 dicembre 1998, n.  448 e successive modificazioni e il decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292, prevedono misure di sostegno per il settore televisivo locale, consistenti in contributi che vengono annualmente erogati dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di graduatorie regionali redatte (con riferimento ai dipendenti occupati e ai fatturati conseguiti dalle imprese televisive locali interessate) dai Corecom – comitati regionali per le comunicazioni, a seguito di bando di gara che lo stesso Ministero deve emanare entro il 31 gennaio di ogni anno;
          tali misure di sostegno che hanno contribuito, negli anni, alla crescita e allo sviluppo delle imprese televisive locali nell'ottica di sostenere l'informazione locale di qualità sono importantissime nell'attuale momento in cui le imprese televisive hanno dovuto affrontare rilevanti investimenti per la transizione al digitale e in considerazione della situazione di crisi del mercato pubblicitario;
          i procedimenti per l'erogazione di detti contributi statali stanno, tuttavia, subendo gravissimi inaccettabili ritardi, con evidenti ripercussioni anche per l'occupazione lavorativa nel comparto (sono molte le imprese che hanno richiesto la cassa integrazione in deroga e che hanno avviato procedimenti di licenziamento collettivo);
          in particolare:
              a) il Ministro dello sviluppo economico, nonostante che tutti i Corecom abbiano redatto le rispettive graduatorie regioni fin dallo scorso mese di settembre, non ha ancora provveduto alla pubblicazione del Decreto di ripartizione tra i vari bacini di utenza dello stanziamento relativo all'anno 2011 (occorre, peraltro, considerare che in caso di ritardo di uno o più Corecom, il Ministro può definire un riparto in acconto);
              b) il Ministro dello sviluppo economico non ha ancora provveduto alla pubblicazione del Decreto di ripartizione tra i vari bacini del saldo dei contributi relativi all'anno 2010 (con riferimento al quale è stato, ad oggi, stanziato e corrisposto solo un acconto) che in mancanza di immediato intervento rischiano la perenzione;
              c) il Ministro non ha ancora emanato il bando relativo alle misure di sostegno per l'anno 2012 (nonostante che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1 del decreto ministeriale 5 novembre 2004 n.  292, tale bando dovesse essere emanato entro il 31 gennaio 2012)  –:
          quali siano le ragioni dei ritardi suesposti, le iniziative ed i tempi entro i quali il Ministro intenda porre rimedio ai ritardi stessi. (4-18587)


      OLIVERIO, LARATTA e MATTESINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la legge 23 dicembre 1998, n.  448, e successive modificazioni, e il decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292, prevedono misure di sostegno per il settore televisivo locale, consistenti in contributi che vengono annualmente erogati dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di graduatorie regionali redatte, con riferimento ai dipendenti occupati e ai fatturati conseguiti dalle imprese televisive locali interessate, dai Corecom – comitati regionali per le comunicazioni, a seguito di bando di gara che lo stesso Ministero deve emanare entro il 31 gennaio di ogni anno;
          tali misure di sostegno che hanno contribuito, negli anni, alla crescita e allo sviluppo delle imprese televisive locali nell'ottica di sostenere l'informazione locale di qualità, sono importantissime nell'attuale momento in cui le imprese televisive hanno dovuto affrontare rilevanti investimenti per la transizione al digitale e in considerazione della situazione di crisi del mercato pubblicitario;
          i procedimenti per l'erogazione di detti contributi statali stanno, tuttavia, subendo gravissimi inaccettabili ritardi, con evidenti ripercussioni anche per l'occupazione lavorativa nel comparto. Sono molte le imprese che hanno richiesto la cassa integrazione in deroga e/o che hanno avviato procedimenti di licenziamento collettivo;
          in particolare:
              a) nonostante tutti i Corecom abbiano redatto le rispettive graduatorie regionali fin dallo scorso mese di settembre, non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto di ripartizione tra i vari bacini di utenza dello stanziamento dei contributi relativi all'anno 2011 le cui domande sono state presentate entro il 13 ottobre 2011 e quindi da oltre un anno. Occorre, peraltro, considerare che in caso di ritardo di uno o più Corecom, è possibile definire un riparto in acconto; in conseguenza di ciò, non sono stati ancora emessi i mandati di pagamento a favore delle imprese televisive locali aventi titolo;
              b) non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto di ripartizione tra i vari bacini del saldo dei contributi relativi all'anno 2010, con riferimento al quale è stato, ad oggi, stanziato e corrisposto solo un acconto, che in mancanza di immediato intervento rischia la perenzione;
              c) non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando relativo alle misure di sostegno per l'anno 2012, nonostante che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292, tale bando dovesse essere emanato entro il 31 gennaio 2012  –:
          in quali tempi i suddetti provvedimenti verranno pubblicati in Gazzetta Ufficiale e in quali tempi verranno erogati i contributi 2010 e 2011 alle imprese televisive locali aventi titolo. (4-18593)


      DI STANISLAO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'ATR Group di Colonnella in provincia di Teramo è entrata in crisi dopo una fase di crescita dimensionale continua che aveva portato in gruppo ad un numero di dipendenti di circa 1.200 unità;
          tale crescita è avvenuta a fronte di una cronica sottocapitalizzazione che ha comportato oneri finanziari non sopportabili sul lungo periodo. Tale situazione in uno scenario produttivo caratterizzato da caratteristiche di lavorazione semi artigianali, difficilmente semplificabili in fasi standardizzate;
          la crisi dell'ATR si è manifestata nel 2006 mentre erano in corso le lavorazioni delle commesse per Lamborghini e Alfa Romeo (Lamborghini Murcielago e Alfa 8c);
          tale crisi è stata fronteggiata attraverso l'affitto di due rami d'azienda alla stessa Lamborghini e al gruppo FIAT che hanno in questo modo gestito direttamente le commesse con l'impiego dei lavoratori ATR, al fine di portare a termine i programmi produttivi. La liquidità generata dai canoni d'affitto ha consentito il pagamento delle mensilità arretrate nei confronti dei lavoratori;
          il livello di indebitamento e le difficoltà gestionali crescenti hanno comportato successivamente la dichiarazione d'insolvenza del gruppo che si è concretizzata attraverso una sequenza di eventi quali:
              a) il rigetto da parte del tribunale di Teramo della richiesta di amministrazione straordinaria da parte della proprietà e la conseguente dichiarazione di fallimento (novembre 2008);
              b) il ricorso promosso dalla ex proprietà avverso la dichiarazione il fallimento;
              c) l'annullamento del fallimento da parte della Corte d'appello dell'Aquila (aprile 2009) la quale ha dichiarato ammissibile la richiesta di amministrazione straordinaria;
          in seguito al bando di gara le attività industriale e parte degli immobili dell'ATR Group in A.S. sono stati ceduti ad un nuovo gruppo di imprenditori locali attraverso la costituzione di una nuova società denominata ATR Group Srl;
          l'accordo sottoscritto come da procedura ex articolo 47 legge n.  428 del 1990 prevede un vincolo per l'assorbimento di 85 lavoratori entro un anno dalla cessione; 198 lavoratori entro due anni;
          nel corso dell'incontro con il commissario straordinario del 16 ottobre 2012 richiesto dalle segreterie FIOM FIM UILM di Teramo sono emerse criticità rilevanti sul versante della tenuta dell'assetto societario dell'ATR Group, derivanti da difficoltà di rapporti e diversa visione sulla prospettiva industriale dell'azienda da parte dei due soci;
          il commissario straordinario ha precisato che il perdurare delle incertezze sull'assetto societario avrebbe potuto determinare la revoca dell'assegnazione dell'ATR e il conseguente avvio della fase liquidatoria della procedura;
          in ogni caso il Ministero dello sviluppo economico avrebbe dovuto autorizzare la modifica dell'assetto societario non escludendo in ogni caso la possibilità di revoca dell'assegnazione dell'ATR qualora si valutasse insufficiente l'assetto societario al fine di realizzare il piano industriale;
          inoltre è emerso che la nuova società non ha provveduto all'erogazione nei tempi previsti delle somme relative alla cessione del gruppo (5 milioni di euro);
          le organizzazioni sindacali avevano richiesto ai soci l'immediata definizione della trattativa in corso al fine di dare continuità al piano industriale, la convocazione presso il Ministero dello sviluppo economico delle parti finalizzata a ricercare tutte le possibili soluzioni per scongiurare le conseguenze di una revoca dell'assegnazione senza alternative percorribili;
          allo stato attuale il commissario straordinario, prof. Gennaro Terracciano, ha revocato l'assegnazione all'ATR Group Srl. Gli asset industriali dovranno essere riconsegnati entro 10 giorni;
          la revoca è motivata dal mancato pagamento delle somme previste e per il mancato raggiungimento dell'obiettivo occupazionale;
          erano, altresì, in corso lavorazioni per la Ferrari (musetto della nuova Enzo), per Toyota, per Augusta (code elicotteri) ed erano inoltre in corso contatti con Lamborghini per riavviare rapporti commerciali;
          attualmente c’è un presidio permanente degli operai davanti agli stabilimenti dell'azienda e nella giornata di ieri hanno protestato dinanzi alla sede della provincia di Teramo  –:
          se e come il Governo intenda intervenire per tutelare gli operai che avevano la legittima aspettativa di almeno due anni di attività lavorativa, così come da vincoli derivanti dal piano industriale;
          se e come il Governo non ritenga di dover intervenire al fine di trovare soluzioni per sbloccare la produzione ad oggi di fatto ferma per un contenzioso tra proprietari. (4-18601)

Apposizione di firme a mozioni.

      La mozione Zampa e altri n.  1-01183, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Touadi, Donadi, Pagano, Froner.

      La mozione Mussolini e altri n.  1-01184, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cosenza.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi e altri n.  4-18548, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato e cambio ordine dei firmatari.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Zampa n.  1-01183, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  714 del 6 novembre 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              il 17 per cento dei cittadini italiani è minore di età: sono infatti 10 milioni e 837 mila le bambine, i bambini e gli adolescenti del nostro Paese. Questo significa che circa un italiano su sei è un bambino o un adolescente. I minori di età non votano, non appartengono alle lobby che fanno pressione sulle agende politiche dei governanti del mondo, non scioperano, non hanno sindacati e non possono costituirsi in corporazioni. I loro diritti sono sanciti nei primi 40 articoli della convenzione sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge n.  176 del 27 maggio 1991;
              l'Italia è stata protagonista, negli ultimi trent'anni del ’900, di azioni forti, ispirate alla promozione dei diritti delle persone di minore età. Si pensi alla legge n.  1044 del 1971, disposizioni per il piano quinquennale per l'istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato. Vale qui la pena di ricordare anche solo l'articolo 1 di quella legge: «L'assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a tre anni nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico»;
              si pensi anche alla legge del 28 agosto 1997, n.  285, riguardante le disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza e che istituiva presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza «finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, privilegiando l'ambiente ad esse più confacente, ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione dei principi della Convenzione sui diritti del fanciullo». E ancora al fondo nazionale straordinario per i servizi socio-educativi per la prima infanzia, varato nella legge finanziaria del 2007, che nell'ambito del piano straordinario nidi aveva avuto il merito di contribuire ad innalzare la copertura territoriale di servizi per la prima infanzia dal 9,6 per cento del periodo 2005-2006, all'11,3 per cento del periodo 2009-2010. Infine, si tenga presente la legge del 23 dicembre 1997, n.  451, che istituiva la stessa Commissione parlamentare per l'infanzia e dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia;
              con la sola eccezione della legge istitutiva dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, (legge n.  112 del 2011) si assiste, oggi, ad un pericoloso arretramento culturale, ad una inerzia legislativa e ad una quasi totale assenza di risorse economiche investite, oggetto di critiche da parte di tutti gli organismi nazionali e internazionali a tutela dei diritti dei minori di età;
              criticità che il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia ha segnalato con evidenza al nostro Paese raccomandandoci, ancora una volta, di colmarle al più presto. L'Italia è tra i Paesi OCSE con un tasso di povertà relativa molto elevato fra i bambini: il 15 per cento di loro vive in famiglie con redditi inferiori alla media nazionale. Secondo l'ISTAT, infatti, in Italia sono 1 milione e 876 mila le persone di minore età che vivono in famiglie povere e 653 mila quelle che vivono in condizione di assoluta povertà. La situazione più grave è nel Mezzogiorno: la Sicilia ha la quota più elevata di persone di minore età povere (44 per cento), seguita dalla Campania (32 per cento) e dalla Basilicata (31 per cento). È allarmante inoltre il dato in crescente aumento delle famiglie a «rischio povertà»: famiglie, cioè, che non sono considerate povere ma che potrebbero facilmente diventarlo a fronte di eventi negativi;
              povertà, esclusione sociale e discriminazione sono le cause che impediscono alle bambine e ai bambini del nostro Paese di vivere secondo le proprie aspirazioni e capacità, sono la ragione frequente che sta all'origine dell'abbandono scolastico, di pericolosi percorsi di devianza, di isolamento dal contesto sociale e amicale che possono condurre a scelte drammatiche. In particolare, i minori maggiormente a rischio sono quelli con un solo genitore, a seguire quelli delle famiglie numerose e delle coppie giovani. La causa principale di tale disagio risiede nell'assenza o precarietà nel lavoro dei genitori;
              su questo problema si è soffermato anche il Garante nazionale dell'infanzia nella sua prima relazione al Parlamento sollecitando azioni di contrasto alla povertà minorile che ha forti ripercussioni sulla formazione e cura dei minori fino a determinare l'emarginazione sociale e l'esclusione dei diritti fondamentali. Il nostro sistema di istruzione non è in grado di contenere il tasso di abbandono scolastico che è superiore a quello europeo di oltre 4 punti di percentuale: i giovani italiani, tra i 18 ed i 24 anni, che hanno deciso di lasciare la scuola prima di ottenere il diploma di maturità sono il 18,8 per cento della popolazione, mentre in Europa la percentuale è del 14,1 per cento. Ancora una volta è il Mezzogiorno a registrare i dati più allarmanti: in Sicilia la percentuale di studenti che hanno lasciato gli studi prima del diploma è del 26 per cento, seguono la Sardegna con il 23,9 per cento e la Puglia con il 23,4 per cento. Concorrono a questo risultato gli scarsi investimenti in risorse destinate alla scuola che sono tra i più bassi d'Europa: le spese per l'istruzione in Italia incidono per il 4,8 per cento sul prodotto interno lordo, mentre la media europea è del 5,6 per cento. Una scuola pubblica spesso desertificata, priva di progettualità, di investimenti, di risorse umane. Vi sono insegnanti di plessi scolastici in piccoli centri abitati che non hanno la possibilità di portare, nemmeno una sola volta nell'intero anno scolastico, i bambini a teatro, o in piscina. Si tratta di bambini che vivono in contesti rurali, dove la scuola dovrebbe rappresentare la prima e fondamentale opportunità che un Paese offre alle nuove generazioni per la realizzazione delle proprie aspirazioni e potenzialità. Non stupisce dunque il crudo dato diffuso in questi giorni dalla Fondazione Agnelli secondo il quale da un confronto con Germania, Inghilterra, Stati Uniti e Francia, i ragazzi italiani sono quelli a cui la scuola piace meno;
              la scarsità e la disomogenea distribuzione sul territorio nazionale dei servizi all'infanzia aggravano la situazione: in Italia oggi l'offerta degli asili nido è tra le più basse in Europa e solo il 12 per cento dei bambini da 0 a 3 anni ha un posto garantito al nido pubblico, contro il 35-40 per cento della Francia e il 55-70 per cento dei Paesi nordici. Uno studio della Fondazione Agnelli sui bimbi delle primarie dimostra che chi ha possibilità di frequentare l'asilo nido è più bravo a scuola. Un recente rapporto UNICEF ricorda che i servizi all'infanzia permettono ai bambini di uscire dal circolo della povertà familiare. Se il nostro Paese vorrà davvero consentire che si spezzi quella catena che lega l'infanzia italiana povera ad una vita adulta segnata allo stesso modo dalla povertà, dovrà scegliere di investire in servizi, scuola, istruzione universitaria e, nel rispetto della nostra Costituzione, garantire parità di accesso a tutte le classi sociali affinché nessun ostacolo impedisca ai più vulnerabili di raggiungere i più alti livelli di istruzione;
              tra i temi segnalati come urgenti da operatori ed esperti c’è quello dei minori stranieri che vivono in Italia, il IV Rapporto Anci-Città sui minori stranieri non accompagnati in Italia evidenzia un forte aumento nella presenza di minori stranieri non accompagnati, con un totale di 7750 minori censiti al 31 dicembre 2011 dal Comitato per i minori stranieri, rispetto ai 5879 presi in carico nel 2009 ed ai 4588 nel 2010; i minori stranieri presenti in Italia nel 2010 provengono soprattutto da Afghanistan (16,8 per cento), Bangladesh (11 per cento), Albania (10 per cento), Egitto, Marocco; Kosovo: un dato destinato a modificarsi con i rilevamenti per il 2011, che evidenziano un aumento di arrivi dai paesi del Nordafrica. Il fenomeno riguarda soprattutto minori maschi (il 91,4 per cento, in aumento di due punti percentuali rispetto al 2008), la maggior parte appena sotto la soglia della maggiore età (il 55 per cento ha 17 anni, quattro punti in più per questa fascia d'età rispetto al 2008); È ormai indispensabile provvedere ad una normativa che consenta ai figli di famiglie straniere nati in Italia di ottenere la cittadinanza italiana. Non si può pensare di crescere una nuova generazione di italiani se non si sarà capaci di fare sentire definitivamente accolti e riconosciuti come cittadini a pieno titolo tutti quei bambini o giovanissimi che studiano nelle nostre scuole, che lavorano nelle nostre imprese, che vivono al nostro fianco;
              un'urgenza che non si può più trascurare è rappresentata dai minori stranieri non accompagnati per i quali si rende necessario intervenire tempestivamente per la realizzazione di un'omogenea applicazione delle norme nazionali e sovranazionali, ratificate dal nostro Paese, che garantisca tutele in tutte le zone del nostro territorio nazionale. Sono attese politiche che determinino una diversità radicale di approccio e di accoglienza in sintonia con le raccomandazioni delle maggiori associazioni accreditate nella tutela e nell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Questo aspetto è stato segnalato dal Garante nazionale dell'infanzia, nella sua prima relazione al Parlamento italiano, come il secondo punto più urgente che attende di essere affrontato, oltre che da tutte le organizzazioni che sul territorio nazionale si occupano dell'accoglienza dei minori stranieri rifugiati in Italia, in transito sul nostro territorio per raggiungere le loro comunità di appartenenza in altri paesi europei, dei bambini in fuga dai territori di violenza e di guerra, degli «anchor children», inviati dai genitori nella speranza di finire da ancora per un inserimento futuro nel nuovo paese della famiglia rimasta nel Paese d'origine;
              la Giornata mondiale contro il lavoro minorile svoltasi nel giugno scorso ha posto l'accento sul diritto di tutti i minori ad essere protetti dal lavoro minorile e da ogni violazione dei diritti umani fondamentali. Nel 2010 la comunità internazionale ha adottato la tabella di marcia per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016 secondo la quale il lavoro minorile è un ostacolo al diritti dei minori nonché una barriera per lo sviluppo. La Giornata mondiale 2012 ha messo in luce il lavoro che rimane tuttora da compiere per raggiungere gli obiettivi della Tabella di marcia;
              la recente approvazione della convenzione di Lanzarote segna un traguardo importante nella lotta contro la pedofilia. L'Italia fu, nel 2007, non solo tra i primi paesi a sottoscrivere la convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, ma anche tra i maggiori contribuenti, con una cinquantina di articoli, alla sua stesura. Ma la velocità e la dimensione davvero globale con cui le nuove tecnologie o i nuovi media si evolvono e vengono proposti sul mercato, offrendo nuovi servizi e «spazi» aperti e accessibili a tutti, mettono tutti e soprattutto i più giovani, gli adolescenti, le bambine e i bambini, di fronte a nuove sfide. Le battaglie che la polizia postale italiana ha combattuto fino ad oggi sono giuste e hanno dato grandi risultati. Dal 1998 al 2012 sono stati chiusi 179 siti pedo-pornografici e sono state denunciate oltre 7500 persone. Ora con la Convenzione il loro lavoro potrà marciare ancora più spedito, ma da una recente audizione in commissione XI alla Camera del direttore della polizia postale si è appreso che la lotta si è spostata su fronti di cui non si possiedono le chiavi di accesso. Occorre avere l'intelligenza e l'umiltà di ammettere che nell'inseguimento del progresso tecnologico non possiamo che essere sconfitti. Magari di poco, ma si arriverà sempre dopo. È quindi necessario prevedere un investimento di risorse per un piano di informazione ed educazione che coinvolga Scuola e famiglie perché i bambini e gli adolescenti possano usufruire delle positive potenzialità prodotte dall'innovazione tecnologica, ma siano al contempo posti nella condizione di evitare i rischi cui possano andare incontro grazie alla conoscenza e alla consapevolezza dei pericoli. Analoga azione di controllo e formazione va realizzata per ciò che attiene l'utilizzo dei media da parte di minori e la presenza e l'abuso dell'immagine dei minori nei media;
              i bambini, le bambine e gli adolescenti italiani attendono da troppo tempo una giustizia a misura di minore che recepisca le linee guida del Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010 o, per stare dentro ai confini nazionali, quanto previsto al riguardo dal piano nazionale di azione per l'infanzia e l'adolescenza del 2011, che prevede un rafforzamento dei diritti dei soggetti di minore età e suggerisce la messa in opera di un vero e proprio sistema di tutela e garanzie dei diritti delle persone di minore età. È tempo che la giustizia assuma il principio del superiore interesse del minore come bussola della sua azione: dai magistrati, ai giudici, agli avvocati. Nessun interesse di categoria deve prevalere. Dai tempi della riforma «Gozzini» del 1986 si attende di introdurre un ordinamento penitenziario per minorenni e giovani adulti secondo le indicazioni della Corte Costituzionale. Occorre procedere ad una riforma che accentri in un unico organo giudiziario le competenze in materia di minori. Occorre una riforma del sistema penale minorile che introduca un sistema sanzionatore per i minori autori di reati;
              tra i meno garantiti è il diritto, sancito dall'articolo 12 della convenzione ONU, che stabilisce la libertà di espressione del minore, il diritto ad essere ascoltato in ogni situazione che lo coinvolga e la sua partecipazione in ogni questione che lo interessi. È di un anno fa l'iniziativa del Coordinamento per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, Pidida, che ha organizzato a Padova gli stati generali della partecipazione. Il documento elaborato dai minori che vi hanno partecipato comincia così: «Siamo giovani, e non ci basta essere delle ombre. Vogliamo essere protagonisti del mondo. Siamo milioni di voci...»;
              i giovani chiedono, legittimamente, ascolto e attenzione. Chiedono di non essere etichettati con cliché, vogliono esprimere opinioni ed essere ascoltati come «interlocutori capaci». Spetta alle istituzioni soddisfare questo bisogno e questa richiesta: la partecipazione dei giovani alla vita del Paese è tra le risorse più grandi di cui si dispone per realizzare una società più matura e attenta ai bisogni di tutti. Passa attraverso l'ascolto anche la possibilità di valutare e giudicare con maggiore consapevolezza nel caso di procedimenti giuridici che li riguardino;
              il quadro fin qui delineato, che riguarda solo una parte dei temi di carattere urgente riferiti alla tutela dei diritti dei più giovani dei nostri concittadini, suggerisce la necessità non più rimandabile di interventi strutturali. Ciò a cui bisogna aspirare e che è necessario volere con determinazione è un quadro omogeneo e unitario di provvedimenti che tuteli l'interesse dei minori di età, qualsiasi sia la loro condizione e per tutti gli aspetti della loro vita. Appare in tutta evidenza che non si possa imputare alla crisi economica e finanziaria il ritardo e la mancata realizzazione di politiche a tutela delle fasce più vulnerabili;
              l'attuale crisi ha peggiorato la situazione diminuendo ulteriormente le risorse riservate alla realizzazione di progettualità destinate ai bambini e agli adolescenti, ma non si può trascurare il fatto che il nostro Paese registra un ritardo in questo ambito che precede la crisi. Senza contare che in altri Paesi europei, comunque colpiti dalla crisi, sono stati adottati provvedimenti finalizzati a scongiurare un peggioramento delle condizioni delle classi più povere e fragili, esposte ad un rischio maggiore a causa della contrazione delle risorse;
              non v’è risanamento dei conti che possa incidere positivamente sulla vita di un grande Paese come il nostro che non debba essere realizzato con rigore ed allo stesso tempo con equità. Il rispetto dei diritti dei minori è alla base di ogni piano di sviluppo di una nazione, poiché ne determina il progresso culturale e ne promuove il cambiamento sociale in termini di maggiori possibilità, garantendo a tutti i suoi cittadini pari opportunità di realizzazione delle proprie ambizioni e aspirazioni. Solo così si evita lo scontro generazionale e si sigla un patto tra padri e figli, madri e figlie. Le politiche economiche del nostro Paese devono tener conto dell'impatto inevitabile che esse hanno sulla vita dei minori e deve essere chiaro a tutti che i diritti delle persone e dunque anche delle persone minori di età, non si ridimensionano in contingenze economiche difficili. Tutti sono chiamati a proseguire il compito di tutela dei diritti che la nostra Costituzione impone, consapevoli che attribuire priorità ai diritti dei bambini, alla loro vita, alla loro protezione e alla loro crescita, è garanzia di progresso e sviluppo dell'intera società italiana:

impegna il Governo, all'interno delle risorse disponibili:

          ad assumere iniziative per stanziare risorse adeguate per sostenere il terzo piano d'azione per l'infanzia;
          a predisporre una cabina di regia per coordinare specifiche politiche per l'infanzia al fine di evitare una frammentazione delle responsabilità e data la molteplicità di aspetti che il mondo dell'infanzia comporta, ciò anche in ragione del fatto che il rispetto e l'applicazione dei principi fissati dalla convenzione ONU fanno capo al governo centrale;
          a superare la carenza di un sistema di raccolta di dati e informazioni finalizzata al monitoraggio della condizione minorile, quale fondamentale strumento di valutazione e programmazione delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, affinché detti dati siano effettivamente rappresentativi, uniformi e comparabili fra le varie regioni;
          a predisporre misure volte a colmare le differenze tra Nord e Sud d'Italia nella copertura dei servizi di assistenza omogenea rispetto alle regioni del centro nord, superando le sperequazioni ed assicurando in tal modo un sistema educativo ed un welfare adeguato, moderno ed inclusivo;
          a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, confermando, altresì, il tempo pieno in ambito scolastico;
          a prevedere interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
          ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché ogni intervento, anche normativo, che influisca sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati, risulti in armonia con i principi della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché con la normativa dell'Unione europea e con le indicazioni del Consiglio d'Europa in materia;
          a promuovere un sistema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, strutturato e non emergenziale, finanziato con uno specifico fondo pluriennale, che tenga conto della disponibilità di posti in accoglienza su tutto il territorio nazionale e che sia collegato a meccanismi di monitoraggio degli standard di accoglienza;
          ad individuare e ad allocare risorse per finanziare progetti di sostegno ed incentivazione allo studio da rivolgere ai ragazzi che si trovano in situazioni familiari a rischio di esclusione sociale;
          a realizzare delle campagne di sensibilizzazione, nazionali e locali, al fine di combattere e superare i residui atteggiamenti di chiusura e di resistenza alla dimensione internazionale della scuola italiana, favorendo così l'inclusione e l'integrazione di tutti i minori stranieri che frequentano le scuole nel nostro Paese;
          a dare piena attuazione alla Convenzione di Lanzarote garantendo in particolare alle bambine, in Italia e nel mondo, un adeguato sistema di istruzione, salute e protezione da violenze ad abusi;
          a promuovere l'istituzione presso la Conferenza Stato-regioni, come raccomandato dal Comitato ONU nelle osservazioni conclusive indirizzate al nostro Paese nel 2011, di un gruppo di lavoro per il coordinamento delle politiche riguardanti i diritti dei minori e l'applicazione coerente dei principi della convenzione ONU, anche alla luce della mancata definizione da parte del Governo dei livelli essenziali delle prestazioni sociali prevista – ma mai realizzata – dalla legge n.  328 del 2000;
          ad assumere con urgenza le iniziative di competenza per la piena attuazione della convenzione europea di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei bambini intervenendo sulle modalità di ascolto dei minori nei procedimenti, non solo giudiziari ma anche amministrativi, affinché essi possano far sentire la loro voce ed essere considerati non oggetto del contendere ma soggetti di una situazione di vita che li coinvolge;
          ad assumere iniziative per definire uno specifico ordinamento penitenziario per i minori, così come raccomandato anche dalla Corte Costituzionale;
          a predisporre politiche e programmi nazionali atti a garantire un progresso effettivo nell'eliminazione del lavoro minorile nel rispetto delle Convenzioni dell'ILO sul lavoro minorile;
          ad affrontare la questione della cittadinanza ai «nati in Italia ancora giuridicamente stranieri» per superare una normativa non più rispondente ai bisogni di una società democratica, in continua evoluzione e dalla forte mobilità.
(1-01183)
(Seconda ulteriore nuova formulazione) «Zampa, Mussolini, Galletti, Perina, Di Giuseppe, Mosella, Livia Turco, De Torre, Schirru, Mattesini, Sbrollini, Brandolini, Codurelli, Laganà Fortugno, Gatti, Verini, Cenni, Albini, Ferranti, Rugghia, Lovelli, Murer, D'Antona, Bellanova, Lenzi, Maran, Velo, Siragusa, D'Incecco, Tullo, Scarpetti, Pes, Cardinale, Motta, Bobba, De Pasquale, Fontanelli, Mogherini Rebesani, Peluffo, Rubinato, Lo Moro, Coscia, Samperi, Veltroni, Lucà, De Biasi, Marco Carra, Touadi, Donadi, Froner, Carfagna, Saltamartini, Di Virgilio, Cossiga, Pugliese, Faenzi, Fucci, Di Cagno Abbrescia, Lorenzin, Repetti, Di Centa, Scelli, Dima, Osvaldo Napoli, De Corato, Landolfi, Nola, Prestigiacomo, Calabria, Pelino, Bocciardo, Bertolini, Palumbo, Aracri, Cosenza, Pagano, Capitanio Santolini, Carlucci, Calgaro, D'Ippolito Vitale, Binetti, Enzo Carra, De Poli, Anna Teresa Formisano, Rao, Tassone, Compagnon, Ciccanti, Naro, Volontè, Nunzio Francesco Testa, Mondello, Pezzotta, Granata, Barbaro, Patarino, Della Vedova, Palagiano, Palomba, Mura, Borghesi, Fabbri, Pisicchio, Tabacci, Brugger».

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Lussana n.  1-01193, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  720 del 20 novembre 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              in un momento drammatico, come quello che sta attraversando l'Europa colpita dalla grave crisi economica finanziaria, l'obiettivo primario deve essere quello di tutelare quel sistema di garanzia che si fonda sul rispetto dei principi e valori che rappresentano il motore di un Paese civile. I sacrifici ai quali siamo chiamati al fine di trovare la giusta stabilità nei conti per preservarci da eventi drammatici dovuti al periodo di crisi debbono necessariamente essere accompagnati ad investimenti costruttivi volti a potenziare le strutture sane della società;
              se realmente si intendono affrontare in modo concreto politiche di tutela nei confronti dei minori, queste debbono passare prioritariamente dal riconoscimento del ruolo di fondamentale importanza che riveste la famiglia;
              ad oltre vent'anni dalla entrata in vigore della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, purtroppo, ancora in tutto il mondo i bambini patiscono violenze, sfruttamento e, abusi. Sono costretti a combattere guerre o a lavorare in condizioni intollerabili; vengono sottoposti ad abusi sessuali o a violenze punitive; cadono vittime di traffici che lì condannano a lavorare in condizioni di sfruttamento. I bambini che vivono in circostanze del genere vedono i loro diritti umani infranti nei modi più gravi, e patiscono danni fisici e psicologici con effetti di vasta portata e talvolta irreparabili. Gli elementi di un'infanzia sana, così come sono specificati nella Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, vengono negati perché il mondo non riesce a fornire ai bambini la protezione di cui hanno diritto;
              al contrario di quanto si crede, i diritti dei bambini non sono violati esclusivamente in quella parte del mondo che vive in situazioni di grave sotto sviluppo ma anche in quei paesi che hanno raggiunto livelli di industrializzazione e benessere elevati;
              nel mondo industrializzato i problemi dell'infanzia sono, spesso, connessi all'ondata dei flussi migratori clandestini. I minori, sradicati dal proprio ambiente naturale, in condizioni di estrema fragilità e povertà, divengono facilmente preda di situazioni di violazione dei diritti fondamentali, dallo sfruttamento del lavoro minorile, all'accattonaggio, allo sfruttamento sessuale e all'utilizzo a fini di microcriminalità. In tutta la loro gravità si presentano oggi i casi di pedofilia, abuso e violenza sessuale; i genitori evidenziano maggiori difficoltà nell'assolvimento delle competenze di cura e di educazione dei figli, le conflittualità intraconiugali e intrafamiliari sfociano in sofferti procedimenti di separazione e di divorzio, sono sempre più evidenti gli episodi di maltrattamento e di violenza intrafamiliare;
              l'affermazione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza è inderogabile;
              in Parlamento, nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni si lavora per tutelare i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, a partire dai casi di disabilità, disagio, abbandono, abuso e dai vari tipi di discriminazione; il Parlamento italiano si è dotato del «Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva» nel luglio del 2010;
              con il decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 2011 è stato approvato il «Terzo Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e dei soggetti in età evolutiva»;
              la legge n.  238/2000 «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» all'articolo 2 identifica quali fruitori i cittadini italiani e i cittadini dell'UE;
              i profughi, gli stranieri e gli apolidi, in base all'articolo 2 della suddetta legge, hanno diritto alle misure di prima assistenza;
              l'articolo 41 del TU di cui al D.Lgs 286/1998 recita: «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale»;
              la mancata applicazione dei decreti attuativi della legge 42/2009 (federalismo fiscale) ha impedito di introdurre i medesimi livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale in base ai fabbisogni standard;
              la legge 27 maggio 1991, n.  176 di ratifica della Convenzione ONU su diritti dell'infanzia deve essere tenuta in considerazione dalle Regioni e dalle Province autonome;
              quando si parla di abusi sui minori è inoltre di fondamentale importanza perseguire una linea politico-programmatica incentrata da un lato nel contrasto all'immigrazione clandestina e dall'altro lato nel potenziamento di quelle attività volte a sviluppare un modello di integrazione basato sul rispetto dei medesimi doveri e sul godimento degli stessi diritti. Per promuovere l'interculturità bisogna partire dal presupposto della difesa e della valorizzazione della nostra cultura e delle nostre tradizioni. In sostanza, bisogna prendere coscienza – abbandonando l'atteggiamento ipocrita del «politicamente corretto», o, peggio, del «culturalmente corretto,» che l'Europa non può contenere tutto e assorbire tutte le culture, senza rinunciare alla propria;
              dai dati sul tasso di abbandono scolastico diffusi dall'ISTAT il 12 marzo 2012 si rileva che il 13 per cento dei giovani italiani lascia la scuola per il lavoro, mentre il dato sale a più del 40 per cento per i giovani stranieri, a causa del grande deficit di competenze in ambito linguistico;
              il Fondo nazionale delle politiche sociali ha subito una pesante decurtazione passando da un miliardo di euro nel 2007, a 45 milioni nel 2013;
              secondo l'ultima indagine presentata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il periodo giugno-ottobre 2009 nelle 15 città riservatarie del Fondo Nazionale, emerge con evidenza il gap tra Centro-Nord e Sud Italia in termini di accessibilità e copertura del target nei servizi di cura alla prima infanzia e di spesa destinata alle politiche per i minori;
              gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33% dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati del 2011 risulta che in Italia 18,7% dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato. La quota è maggiore nel Centro-nord, con un picco del 27,1% nel Nord-est, mentre nel Sud e nelle Isole la percentuale scende sotto il 14% (il 13,5% nelle Isole e il 7,6% nel Sud). D'altro canto siamo in assenza di informazioni puntuali relative alla domanda di servizio rimasta insoddisfatta (una quota rilevante della domanda di assistenza è soddisfatta dalle strutture private che copre circa il 30% del totale delle richieste ed è in costante crescita);
              la recente approvazione della Convenzione di Lanzarote segna un traguardo importante nella lotta contro la pedofilia. L'Italia fu, nel 2007, non solo tra i primi Paesi a sottoscrivere la Convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, ma anche tra i maggiori contribuenti, con una cinquantina di articoli, alla sua stesura. Ma la velocità e la dimensione davvero globale con cui le nuove tecnologie o i nuovi media si evolvono e vengono proposti sul mercato, offrendo nuovi servizi e «spazi» aperti e accessibili a tutti, mettono tutti e, soprattutto, i più giovani, gli adolescenti, le bambine e i bambini di fronte a nuove sfide. Le battaglie che la polizia postale italiana ha combattuto fino ad oggi sono giuste e hanno dato grandi risultati. È importante segnalare come nella fase di ratifica della Convenzione, grazie anche alle iniziative perseguite, da tempo, dal gruppo parlamentare della lega Nord (promotore di una proposta di legge finalizzata all'introduzione di una nuova fattispecie di reato denominata apologia della pedofilia) sia stato inserito il principio finalizzato ad anticipare la soglia di tutela prevista nel nostro sistema penale, sanzionando, per ciò stesso, indipendentemente dalla commissione del reato propagandato, condotte che arrecano offesa a quei valori, socialmente e universalmente ritenuti tali, per il solo fatto di far credere normale ciò che comunemente viene percepito come aberrante;
              è urgente una riforma processuale che introduca il giusto processo civile minorile, che integri il rito camerale e tenga presente le caratteristiche della giurisdizione civile minorile che differisce da quella civile, perché non è giurisdizione solo di torti e ragioni, ma mira alla ricostruzione delle relazioni familiari su piani giuridici diversi, in funzione dei figli;
              occorre una riforma di sistema, con alcune caratteristiche già individuate a livello europeo, la prima delle quali è che il giudice deve essere specializzato con la previsione dell'esclusività delle competenze e una riforma processuale che ponga la centralità della persona minore di età come parte processuale;
              è matura ormai e non più rinviabile anche una riflessione sui temi legati all'adozione e all'affidamento e le stesse comunità di tipo familiare devono poter avere risorse certe e criteri definiti del loro ruolo. Il diritto universale di un minore è quello di avere una famiglia. È doveroso ribadire che al fine di realizzare un sistema che funzioni è necessario che vi sia la tutela dei diritti dei minori ma anche la tutela delle famiglie in cui i minori sono inseriti;
              una società incapace di garantire i diritti dei minori è una società destinata ad implodere. Come insegna Aristotele una buona politica non afferma principi, ma propone risposte fattibili a problemi concreti,

impegna il Governo:

          a potenziare politiche volte a disincentivare l'abbandono scolastico;
          ad emanare immediatamente tutti i decreti attuativi della legge 42/09 in modo tale da introdurre, su tutto il territorio nazionale, i medesimi livelli standard di assistenza, con specifico riferimento alla tutela dei diritti dei minori;
          ad acquisire elementi in merito alla distribuzione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, ponendo attenzione alla reale ricaduta che tali risorse hanno sui minori, assumendo altresì iniziative per quanto di competenza per far sì che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
          a favorire, per quanto di competenza, un rapido iter delle proposte di legge finalizzate all'equiparazione giuridica e sostanziale tra i figli legittimi e naturali;
          a porre in essere iniziative, anche di natura normativa finalizzate ad istituire il tribunale della famiglia, al fine di adeguare il sistema della giustizia minorile alle «Linee guida per il processo minorile in Europa», approvate dal Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010, garantendo, in particolare, il diritto all'ascolto del minore e il diritto del minore a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche se separati o divorziati, salvo nel caso di impedimenti che giustifichino l'allontanamento di un genitore dal proprio figlio;
          a realizzare un'indagine conoscitiva che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti di asili nido, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei minori di tre anni.
(1-01193)
(Nuova formulazione) «Lussana, Dozzo, Maroni, Bossi, Fugatti, Fedriga, Montagnoli, Fogliato, Volpi, Polledri, Laura Molteni, Rondini, Martini, Fabi, Nicola Molteni, Isidori, Follegot, Paolini, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fava, Forcolin, Giancarlo Giorgetti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Lanzarin, Maggioni, Meroni, Molgora, Munerato, Negro, Pastore, Pini, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli».

Ritiro di documenti di indirizzo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          mozione Mussolini n.  1-01184 dell'8 novembre 2012;
          mozione Di Giuseppe n.  1-01189 del 15 novembre 2012;
          mozione Mosella n.  1-01191 del 20 novembre 2012;
          mozione Galletti n.  1-01192 del 20 novembre 2012;
          mozione Perina n.  1-01194 del 20 novembre 2012.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interpellanza Tassone n.  2-01698 del 10 ottobre 2012;
          interrogazione a risposta in Commissione Callegari n.  5-08175 del 23 ottobre 2012;
          interrogazione a risposta orale Alessandri n.  3-02600 del 13 novembre 2012;
          interrogazione a risposta in Commissione Graziano n.  5-08448 del 15 novembre 2012.

Ritiro di firme da un'interrogazione.

      Interrogazione a risposta scritta Grimoldi e altri n.  4-18548, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2012: sono state ritirate le firme dei deputati: Stucchi, Cavallotto.

Trasformazione di un documento di sindacato ispettivo ex articolo 134, comma 2 del Regolamento.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Borghesi n.  4-09307 dell'8 novembre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-08463.

Trasformazione di documenti del Sindacato Ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta in commissione Froner e Marchioni n.  5-08414 dell'8 novembre 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-18587;
          interrogazione a risposta in commissione Oliverio e altri n.  5-08430 del 13 novembre 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-18593.

ERRATA CORRIGE

      Interrogazione a risposta orale Galli n.  3-02614 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  719 del 15 novembre 2012.
      Alla pagina 36387, prima colonna, dalla riga trentasettesima alla riga trentottesima deve leggersi: «rispetto all'esercizio 2009;», e non come stampato.
      Alla riga trentanovesima deve leggersi: «3. il conto economico consolidato», e non come stampato.
      Alla riga quarantunesima deve leggersi: «4. anche per il 2010 l'evasione dal», e non come stampato.
      Alla riga quarantaseiesima deve leggersi: «5. non sono state introdotte misure», e non come stampato.
      Alla pagina 36387, seconda colonna, dalla riga prima alla riga seconda deve leggersi: «6. il ricavo derivante dalla pubblicità ha evidenziato consistente flessione», e non come stampato.
      Alla riga quinta deve leggersi: «7. il contenimento dei costi della», e non come stampato.
      Alla pagina 36388, seconda colonna, alla riga tredicesima deve leggersi: «– fornitore, se esso non possa», e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      BERTOLINI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          a Piandelagotti, una località del comune di Frassinoro (Modena), è ubicata la stazione alpeggio con circa 80 ettari di terreno ed un borgo (composto da case coloniche, stalle e fienili), derivante dalla sezione di Modena dell'istituto sperimentale di zootecnia fondata nel 1925;
          l'incarico di questa stazione era di mantenere in allevamento gruppi scelti di riproduttori di bovini, ovini e suini a scopo di studio, selezione e miglioramento delle razze;
          la stazione fu attivamente utilizzata per 30 anni, fino agli anni settanta, quando la sezione di Modena focalizzò gli studi solo sulle razze suine presso l'azienda Beccastecca di San Cesario (Modena), iniziando così l'abbandono dell'Alpeggio di Piandelagotti;
          a partire dagli anni ottanta la struttura, di proprietà del Ministero delle politiche agricole, gestita dal CRA (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione agricola) è rimasta in disuso ed è in uno stato di totale abbandono, malgrado la richiesta di acquisto avanzata da un'azienda locale e la messa in vendita attraverso un'asta (per un valore di euro 1.070.000,00), naturalmente andata deserta;
          nel 2011 a seguito di tale procedura, conclusasi con un nulla di fatto come era prevedibile, il CRA chiese ai soggetti interessati di presentare una «dimostrazione di interesse» per l'acquisto dell'area, che puntualmente arrivò, ma alla quale non è seguita alcuna risposta;
          gli allevatori della bassa modenese, duramente colpiti dal terremoto, per poter accudire gli armenti chiedono agli agricoltori o allevatori dei paesi limitrofi di ospitarli e quel borgo, se fosse stato conservato con diligenza, sia da parte del Ministero che del CRA, oggi avrebbe potuto ospitare oltre 300 capi di bestiame;
          questo caso è uno dei tanti che rappresentano il grande spreco di beni pubblici che, a causa dell'inerzia della macchina pubblica, danneggiano economicamente l'intera collettività  –:
          se sia a conoscenza di tale caso;
          se sia in grado di fornire ulteriori informazioni in merito al caso specifico, in particolar modo di chiarire quali sono i motivi per cui il Ministero e il CRA non abbiano ancora dato risposta all'azienda interessata all'acquisto;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare, per salvare dal degrado il borgo, o in alternativa per velocizzare le procedure di vendita;
          quante siano e che valore abbiano le aree di proprietà del Ministero, gestite dal CRA, che potrebbero essere vendute a privati, o recuperate e riutilizzate;
          se esista un registro di beni immobili pubblici abbandonati come quello segnalato, o, se non c’è, non si intenda procedere ad un censimento e all'immediata vendita di tali beni. (4-16652)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente la mancata vendita di un'azienda utilizzata, a suo tempo, dalla sezione di Modena dell'Istituto sperimentale di zootecnia, evidenzio che il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), istituito con decreto legislativo n.  454 del 1999, ha assorbito tutti gli ex istituti sperimentali, acquisendone il patrimonio e subentrando in tutti i rapporti, attivi e passivi.
      Nel 2008 il predetto organismo, tenendo conto del programma di razionalizzazione delle strutture e dopo aver censito il pertinente patrimonio ha deliberato la vendita di una serie di beni considerati non funzionali né strumentali, tra cui, la predetta azienda sita nel comune di Frassinoro, la cui procedura di alienazione è stata definitivamente autorizzata con delibera n.  88 del 24 giugno 2009 con una base d'asta di euro 1.050.000 (per inciso, il valore stimato dall'Agenzia del territorio come «più probabile» è stato quantificato in euro 1.031.000).
      La procedura di evidenza pubblica posta in essere il 13 ottobre 2009 non ha tuttavia ottenuto gli obiettivi sperati. Pertanto, con delibera n.  76 del 1o giugno 2010, il competente consiglio di amministrazione ha adottato una nuova procedura per sondare le effettive risposte del mercato riguardo ai beni offerti.
      Anche tale sistema non ha conseguito quanto auspicato, in quanto le offerte pervenute al riguardo (comprese tra i 40 mila e i 330 mila euro) non sono state ritenute congrue alla stima fatta a suo tempo dall'Agenzia del territorio. Pertanto, anche in ragione dei costi da sostenere, non si è ritenuto di non procedere oltre. Con l'occasione preciso che, come espressamente indicato nell'avviso di manifestazione d'interesse relativo ai beni in parola, alcun obbligo di informazione è insorto in capo al Cra circa l'esito delle offerte.
      Vorrei tuttavia far presente che il Cra ha stipulato una convenzione con l'Agenzia del demanio al fine di vendere e/o valorizzare i pertinenti beni. Riguardo l'azienda di Frassinoro preciso che, alla luce delle recenti disposizioni normative in tema di razionalizzazione delle spesa pubblica (che investono anche l'organizzazione del Cra), si sta ipotizzando un affitto con patti in deroga.
      Informo, infine, l'interrogante che i beni di proprietà del Cra inclusi in un apposito elenco corredato dalle relative stime a cura dell'Agenzia del territorio, sono stati inseriti in un programma di dismissione. Trattandosi, tuttavia, di beni di proprietà di un ente pubblico, la relativa vendita non può avvenire a trattativa privata, salvo casi rarissimi ed eccezionali, previo parere dell'Avvocatura generale dello Stato, ovvero in caso di altre amministrazioni pubbliche.
      Pertanto, chiunque altro fosse interessato all'acquisto, non può che partecipare alle aste che vengono bandite.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il vicepresidente dell'associazione «Futuragra» Silvano Della Libera, in una lettera aperta ha denunciato che il Corpo della guardia forestale ha effettuato alcuni prelievi di piante all'interno della sua proprietà;
          detti prelievi sarebbero stati effettuati anche in altri campi e proprietà della regione Friuli Venezia-Giulia;
          nella citata lettera aperta Silvano Della Libera chiede «se forse si pensa che il vicepresidente di un'associazione che da anni si batte per l'innovazione in agricoltura con l'unico strumento possibile in una società civile che è quello della legalità e del dialogo, possa aver seminato impunemente OGM»;
          detti prelievi sono stati effettuati senza che i proprietari ne fossero stati preavvisati o informati di quanto stava avvenendo;
          tali provvedimenti ad avviso degli interroganti alimentano una ingiustificata «caccia alle streghe», tanto più perché sembrano basati su una legge regionale (quella sul divieto di seminare piante geneticamente modificate) che appare in contrasto con la normativa comunitaria e non è mai stata notificata alla Commissione europea, come la prassi avrebbe previsto  –:
          se quanto denunciato dal vicepresidente di Futuragra Silvano Della Libera corrisponda a verità;
          chi abbia disposto tale prelievo, e come l'abbia motivato;
          se risulti quali siano le ragioni per cui il signor Della Libera non è stato preavvertito e informato di quanto veniva effettuato nella sua proprietà;
          se altri prelievi simili a quelli effettuati nella proprietà del signor Della Libera, siano stati disposti ed effettuati anche in altre proprietà della regione Friuli Venezia-Giulia e quali siano stati i risultati;
          quali siano gli orientamenti dei Ministri sui fatti sopra esposti e, nel caso, quali immediate iniziative di competenza intendano avviare. (4-16826)

      Risposta. — In riferimento a quanto richiesto con l'interrogazione in esame, concernente taluni prelievi di piante non autorizzati avvenuti in un terreno di proprietà privata sito nella regione Friuli Venezia Giulia da parte del «Corpo della guardia forestale» informo gli interroganti che il Corpo forestale dello Stato non opera in tale regione, trattandosi di Amministrazione a statuto speciale.
      Pertanto, la presunta imputazione del suddetto prelievo deve intendersi riferita al Corpo forestale regionale.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.


      FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la signora Sabatucci Marzia, lavoratrice della polizia di Stato è stata trasferita dalla polizia stradale di Bologna, ai sensi dell'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica n.  782 del 1985, dalla città capoluogo ad un distaccamento della polizia stradale sito nella provincia di Bologna;
          tale trasferimento veniva effettuato in conseguenza di delicatissime questioni ambientali che, come risulta anche da fonti sindacali, sarebbero occorse nell'ufficio in cui la suddetta Sabatucci lavorava e che sarebbero riconducibili a «una sorta di atteggiamento vessatorio» nei confronti della medesima signora Sabatucci «in uno scenario di solidarietà maschilista»;
          si ha ragione di ritenere che nei confronti di tale lavoratrice, in relazione alle denunce della stessa poste in essere, alla richiesta di cambio turno fatta al comandante, si stiano producendo degli ostacoli all'inserimento di Marzia Sabatucci nella nuova struttura nella quale è stata trasferita;
          il protrarsi della descritta situazione relativa alla Marzia Sabatucci avrebbe prodotto procedimenti disciplinari di lieve entità e gravi difficoltà da parte della stessa, a fruire della legislazione che garantisce le lavoratrici madri;
          si sarebbe per esempio riscontrata l'impossibilità a vedersi assegnati i benefici, nel calcolo dei punti necessari per la graduatoria per l'accesso all'asilo nido comunale, nonché l'impossibilità a vedersi assegnati quelli riguardanti il lavoro della madre sui turni delle 24 ore  –:
          se la ricostruzione dei fatti di cui in premessa corrisponda alle notizie in possesso del Ministro dell'interno;
          quali provvedimenti intenda assumere in presenza dei comportamenti sopra descritti gravemente lesivi dei diritti della persona e della lavoratrice. (4-12671)

      Risposta. — In merito alla situazione di disagio in cui versa la signora Marzia Sabatucci, la prefettura di Bologna ha fornito le seguenti informazioni, assunte tramite il compartimento polizia stradale per l'Emilia Romagna.
      La predetta, agente scelto della polizia di Stato, in servizio presso il distaccamento polizia Stradale di Imola (Bologna), nei primi mesi del 2011 ha presentato al comune di Cesena una richiesta di iscrizione del figlio, nato nel 2010, ad un asilo d'infanzia comunale.
      Nella domanda, la dipendente ha dichiarato, tra l'altro, di avere diritto all'attribuzione del punteggio aggiuntivo previsto dal regolamento municipale (al fine di redigere la relativa graduatoria di ammissione) con riferimento alla voce «turno e orario di lavoro della madre», in considerazione del particolare servizio svolto presso il reparto di appartenenza, organizzato in turni continuativi.
      Nel mese di giugno scorso, l'agente scelto Sabatucci, venuta a conoscenza del fatto che nella graduatoria finale non le era stato riconosciuto il punteggio aggiuntivo in argomento, ha imputato al comando del distaccamento di Imola la responsabilità di non aver confermato all'ente locale la sua situazione lavorativa.
      Al riguardo, il dirigente del compartimento per l'Emilia Romagna ha fatto presente che tale mancata comunicazione è riconducibile esclusivamente alla procedura burocratica di comunicazione interna tra gli uffici della polizia stradale, che, purtroppo, si è conclusa oltre i termini necessari alla positiva definizione della pratica. Si evidenzia, inoltre, che l'operatore addetto all'ufficio segreteria del distaccamento di Imola, responsabile di aver trasmesso in ritardo la documentazione richiesta dal comune di Cesena, è stato oggetto di censura disciplinare da parte del compartimento della polizia stradale di Bologna, in quanto, sebbene la condotta del medesimo non fosse intenzionale, la stessa ha evidenziato gli estremi della negligenza.
      Va detto, comunque, che il figlio della signora Sabatucci è stato ugualmente ammesso in convenzione presso il nido d'infanzia municipale.
      Gli uffici di appartenenza hanno sempre tenuto nella migliore considerazione la situazione familiare della Sabatucci.
      Ciò si evince anche dal positivo riscontro fornito, nel 2007, alla domanda di trasferimento dalla sottosezione polizia stradale di Bologna sud all'attuale sede di servizio, che la dipendente aveva presentato, adducendo motivazioni di carattere personale e familiare.
      In merito ai trascorsi di servizio della signora Sabatucci presso la citata sottosezione, si fa presente che, per una vicenda di presunte molestie sul luogo di lavoro, sono state avviate indagini, all'esito delle quali la procura della Repubblica di Bologna ha avanzato richiesta di archiviazione.
      Quanto, infine, alle lievi sanzioni disciplinari inflitte alla predetta presso il reparto al quale è attualmente assegnata, le stesse sono strettamente connesse all'effettuazione del servizio.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      JANNONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          a Nord di Napoli, tra Giugliano e Aversa si concentrano i migliori falsari d'Europa. In questo territorio si stampano la maggior parte delle banconote contraffatte che circolano in Europa, grazie al lavoro di tipografi che vengono violentemente assoldati da gruppi criminali. Giugliano è un piccolo stato invisibile, che non ha governo, non ha confini definiti; non ha banche, ma stampa banconote false, ma riprodotte talmente bene da mettere in allarme la Banca centrale europea e tutte le forze di polizia internazionali. Nel raggio di venti chilometri attorno al comune di Giugliano, in un quadrilatero tra Afragola, Marano, Castelvolturno e Aversa, si trova la più alta concentrazione di falsari e stamperie clandestine del continente. Più della metà del denaro contraffatto che circola nei 17 Paesi dell'Eurozona viene prodotta lì. Dal 2002, da quanto è stato introdotto l'euro, sono stati ritirati in Europa 5 milioni e mezzo di biglietti riconosciuti falsi, per un controvalore di circa 400 milioni di euro. Può sembrare una cifra residuale, se paragonata con i 14 miliardi di pezzi genuini attualmente in circolazione. «Ma il sequestrato è solo la punta dell'iceberg – spiega una fonte qualificata dell'Europol all'Aja – quello che sfugge ai controlli è molto di più». Almeno 3-4 volte di più, secondo, alcune stime. «E le grandi commesse, quintali di euro falsi divisi in mazzette, finiscono nel Nord Africa, in Colombia, in Medio Oriente». Mazzette prodotte a Giugliano, l'enclave europea della contraffazione. Tanto piccola e protetta quanto pericolosa e professionale, perché a minacciare l'integrità della moneta unica, più della quantità, è la qualità raggiunta dai falsari campani;
          i falsari che gravitano nel giuglianese sono chiamati «Napoli Group», termine coniato dai poliziotti dell'Europol. Sono considerati i maestri artigiani della contraffazione monetaria, specialisti nel taglio da 20 euro. Nemmeno i falsari di Plovdiv e Haskovo, nel sud della Bulgaria, fenomeni nell'imitare il biglietto verde da 200 euro, raggiungono il loro livello. Hanno un «curriculum» lungo dieci anni. Nel 2004 la prima stamperia clandestina di euro viene scoperta a Parete, a pochi chilometri da Giugliano. Nei tre anni successivi ne vengono trovate altre tre, a Castel Volturno, a Marano e a Lusciano. Il 2009 è l'anno in cui diventa chiaro a tutti che il fronte avanzato della guerra comunitaria ai falsari si posiziona qui, dove si miscelano almeno due «arti», quella tipografica e quella di arrangiarsi. La maxioperazione Giotto dei Carabinieri porta in carcere 109 persone, una cinquantina delle quali tra Napoli, Afragola, Casalnuovo, Qualiano, Giugliano. Nello stesso periodo saltano fuori un laboratorio serigrafico a Grumo Nevano, una stamperia a Gricignano d'Aversa e un'altra a Varcaturo, dove vengono sequestrati dinari algerini prodotti addirittura con la filigrana originale della banca d'Algeria. Nel 2010 l'ultimo caso, a Ponticelli. E tutta la produzione illegale, milioni e milioni di euro, ruota attorno a pochi soggetti. I tipografi che sanno imitare gli elementi di sicurezza dei soldi, infatti, sono circa una decina. Per la malavita, sono un capitale: Giuseppe S., 52 enne di Calvizzano, e Mario T., 34 enne di Carinaro sono tra i pochi al mondo in grado di riprodurre in casa gli ologrammi. Sono stati arrestati già due volte. «Chi lo fa, poi ci ricasca – spiega il colonnello Gentili – i tipografi non sono violenti, sono esperti di arti grafiche che vengono assoldati da gruppi criminali, a volte con la minaccia, per fare quello che sanno fare, riprodurre su carta». Viene in mente il clan Maliardo, che controlla l'area. La Camorra tollera questo tipo di attività, e se ne serve solo per scambiare grandi quantitativi con i trafficanti di cocaina colombiani;
          le carte dell'operazione Giotto raccontano il modus operandi del Napoli Group. Sono necessarie tre figure e una logica aziendale di rigida divisione dei compiti per mettere su una banda del falso: il finanziatore della stamperia, che poi è anche il committente. È il soggetto, di solito un personaggio minore dei clan di Camorra, che si occupa di trovare una macchina tipografica offset di seconda mano (quelle nuove a quattro colori costano anche 500 mila euro), la filigrana, gli inchiostri, gli altri strumenti; il tipografo, addetto alla produzione ed il distributore. Quest'ultimo è un uomo di fiducia del committente. Ha il compito di organizzare un deposito, rigorosamente lontano dalla stamperia, e di tenere i contatti con i clienti. Quando si sparge la notizia che qualcuno «sta fabbricando soldi», al distributore si avvicina un gruppo criminale che usa una lingua propria, in codice, per cui i biglietti da 50 e da 20 al telefono diventano «magliette della Roma e del Napoli», i dollari sono «jeans» e «bottiglie verdi», e per definire le quantità da acquistare usa perifrasi del tipo «l'appuntamento è al numero 150, porta le magliette della Roma», comunicando così il bisogno urgente di 150 banconote da 50 euro;
          la catena dello smercio segue gli stessi schemi dello spaccio di droga. Il primo passaggio, dal distributore al «grossista» (può essere un altro malavitoso che acquista euro a quintali, o un commerciante colluso), avviene al costo del 10 per cento del valore nominale. Per un milione di euro finti, la banda ne guadagna 100 mila veri. Dal grossista si approvvigiona (pagano un prezzo maggiore, il 20 per cento del valore nominale) una serie di soggetti minori, dal piccolo criminale locale al corriere straniero (di solito lituano o estone) che porta la valuta fasulla in Spagna, Belgio o Lituania. Fino all'extracomunitario in difficoltà che spera di guadagnare qualcosa spacciando banconote alle stazioni centrali di Roma e Napoli. A ogni passaggio della filiera, il ricarico aumenta del dieci per cento;
          se la metà della produzione clandestina europea è coperta dai giuglianesi, la percentuale sale al 62 per cento con i falsari calabresi e pugliesi («ma un napoletano nella banda c’è sempre», sottolinea il colonnello Gentile). I veri «competitor» del «Napoli Group» si trovano nelle campagne del sud della Bulgaria e nella periferia di Sofia. Qui l'antica tradizione di copiare i dollari con la stampa offset ha reso possibile riprodurre la banconota da 200 euro in ottima qualità. È nella zona industriale di Varna sul mar Nero, che l'Europol e il Secret Service statunitense (il servizio segreto che si occupa della difesa del dollaro e dell'incolumità dei presidenti) scoprirono il 22 gennaio 2004 una delle prime stamperie al mondo capace di riprodurre la banconota nata appena due anni prima. Otto anni dopo i centri di produzione si sono spostati attorno alle città di Plovdiv e Haskovo, nel sud del Paese. Nel mese di giugno 2011 l'ultima operazione della polizia bulgara ha smantellato un sito in questa zona, sequestrando 200 mila euro in pezzi da 500. Due esperti dell'Europol li hanno valutati «tra i migliori mai prodotti». Francia e Spagna vengono subito dopo l'Italia nella classifica dei falsi prodotti, ma qui si usano, nell'80 per cento dei casi, stampanti laser di ultima generazione, tecnologia che ha aperto il mercato del falso anche a esperti di informatica e di computer grafica. In Italia invece la quota delle stampe digitali è al 10 per cento, anche se in continua crescita;
          bisogna contare, inoltre, le nazioni «emergenti». La Polonia, dove poche settimane fa è stato sequestrato in un appartamento a Varsavia un milione di euro che doveva essere utilizzato per truffare i tifosi di calcio durante i prossimi Europei, e la Bosnia, dove a controllare il mercato è un gruppo di falsari di Banka Luka. Turchia, Romania, Albania non producono, ma agiscono da distributori, facendo la spola per approvvigionarsi tra Napoli è Sofia. I più efficienti spacciatori d'Europa però sono i criminali lituani, che hanno avuto l'idea di smerciare le banconote taroccate usando la ben collaudata rete di pusher sul territorio. Il Ministro dell'interno bulgaro Tsvetan Tsvetanov ha dichiarato il 3 giugno 2011 che «la contraffazione sta diventando preoccupante per la sicurezza finanziaria dell'euro perché i falsi inondano il mercato e perché le condanne per i falsari non sono abbastanza severe». A Francoforte invece i dirigenti della Bce ostentano tranquillità, perché il volume del sequestrato nel 2011 si è ridotto del 19,3 per cento rispetto al 2010 e le 606 mila banconote ritirate (215 mila solo in Italia, un controvalore di una decina di milioni di euro) su un totale di 14,4 miliardi di pezzi del circolante genuino danno una percentuale di falsificazione bassa, lo 0,00043 per cento;
          «Eviterei ogni inutile allarme – ci tiene a dire il colonnello Gentili – abbiamo diverse strutture che sorvegliano l'integrità dell'euro, tra cui l'Europol, l'Olaf a Bruxelles, la Banca d'Italia, la finanza e noi carabinieri. Con un po’ di accortezza, facendo un piccolo sforzo per conoscere meglio come sono fatte le banconote genuine, i cittadini possono evitare di essere frodati». Anche per questo le rotte del falso fuori dall'Europa portano, passando attraverso la Spagna, in quei Paesi che hanno una moneta debole e una scarsa conoscenza degli euro. Medio Oriente, Africa del Nord, Est Europa soprattutto. In Africa ci sono banche che nemmeno riconoscono quelli finti e li cambiano con la valuta locale; «ma di recente – raccontano all'Europol – abbiamo scoperto che gli ologrammi usati dai falsari bulgari per le banconote da 200 euro erano stati fatti da alcuni criminali cinesi. Se anche loro si mettono a stampare, sarà un problema per tutti»  –:
          quali iniziative di competenza i Ministri intendano adottare al fine di contrastare e smantellare la produzione ed il traffico di banconote false in Italia, che provoca delle pesanti ricadute anche per l'economia nazionale. (4-15461)

      Risposta. — Come è noto, la guardia di finanza, quale Forza di polizia a competenza generale in materia economica e finanziaria, ai sensi del decreto legislativo n.  68 del 2001, esercita un'attività di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni, fra l'altro, in materia di valuta, titoli, valori, mezzi di pagamento nazionali, europei ed esteri, nonché movimentazioni finanziarie e di capitali.
      Il Corpo della guardia di finanza, per le suddette finalità, è parte integrante dell'Ufficio centrale di analisi e monitoraggio della falsificazione monetaria e degli altri mezzi di pagamento diversi dal contante (Ucamp), articolazione del Ministero dell'economia e delle finanze.
      Nell'ambito delle competenze specialistiche della Guardia di finanza, il gruppo antifalsificazione monetaria ed altri mezzi di pagamento del nucleo speciale Polizia valutaria pone in essere una qualificata azione di raccordo delle attività investigative espletate dai singoli reparti territoriali e svolge autonome indagini con proiezione nazionale, finalizzate a reprimere qualsiasi illecito nello specifico settore operativo.
      L'obiettivo prioritario della strategia operativa del Corpo è quello di ricostruire l'intera filiera del falso, attraverso un approccio trasversale ed un raggio d'azione che non sia limitato al solo territorio nazionale, ma vada oltre in considerazione della transnazionalità delle condotte illecite.
      Le attività investigative mirano altresì ad aggredire i patrimoni illecitamente accumulati, cercando di privare le organizzazioni dei propri beni.
      Nel biennio 2010-2011 nel settore del falso nummario è stata sequestrata valuta per un valore di oltre 41 milioni di euro, con la denuncia all'autorità giudiziaria di 662 persone, di cui 124 tratte in arresto.
      Tra le operazioni più significative condotte dalle forze dell'ordine si ricorda quella denominata «Giotto» che il 28 gennaio 2009 ha portato l'Arma dei carabinieri ad eseguire in diverse regioni italiane (Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Puglia e Basilicata) 109 provvedimenti di custodia cautelare nei confronti di altrettante persone, indiziate di associazione per delinquere finalizzata al falso nummario e documentale.
      Le indagini hanno fatto emergere l'esistenza di diverse strutture criminali organizzate in collegamento con sodalizi campani e durante il loro espletamento sono stati individuati nelle province di Napoli, Caserta e Reggio Calabria 4 laboratori clandestini per la produzione di banconote, monete e marche da bollo false. Il valore nominale complessivo delle banconote false sequestrate è stato pari a circa 200 mila euro.
      Il 5 aprile 2011, la Squadra mobile della questura di Bologna ha eseguito in diverse città italiane (Bologna, Bari, Bergamo, Milano, Modena, Napoli, Parma, Roma, Prato e Torino) 22 provvedimenti nei confronti di altrettanti indagati, 16 dei quali ristretti in carcere e 6 destinatari di obbligo di dimora, che, a vario titolo, sono inquisiti per associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, nonché alla spendita di monete contraffatte. Le indagini, avviate nel 2007, hanno consentito di individuare due distinte organizzazioni delinquenziali, una albanese e l'altra italiana, dedite, rispettivamente, all'importazione dall'Albania di cocaina ed allo smercio di droga nella provincia emiliana. In particolare, è emerso che il «cartello» criminale italiano, composto da soggetti di origine calabrese, alcuni dei quali affiliati alla famiglia «Farao-Marincola» di Cirò (Crotone), commercializzava, per conto della predetta cosca, ingenti quantitativi di droga, acquistata da trafficanti albanesi, nonché «ripuliva», presso esercizi commerciali della zona, denaro contraffatto fornito da un falsario di origine campana. Agli indagati italiani è stata contestata l'aggravante di aver commesso i fatti per agevolare l'associazione mafiosa di riferimento.
      Lo scorso 13 giugno la questura di Napoli, nell'ambito di una complessa operazione di polizia giudiziaria a Giugliano in Campania, ha rinvenuto, in una abitazione apparentemente disabitata, 1.500 banconote false, da 100 euro ciascuna.
      Le Forze di Polizia locali hanno evidenziato che diversi soggetti, benché residenti nell'area giuglianese, in quanto appartenenti a sodalizi criminali, sono in grado di svolgere tale attività illecita su tutto il territorio nazionale e sono, quindi, oggetto di indagini da parte di altri organismi investigativi centrali.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 28 settembre 2010 è stato assegnato alla IV Commissione permanente (difesa), per l'espressione del relativo parere parlamentare, lo «schema di decreto ministeriale concernente il riparto dello stanziamento iscritto nello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa per l'anno 2010, relativo a contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi», atto n.  259;
          il giorno 8 ottobre 2010 sul quotidiano Italia Oggi è stato pubblicato un articolo dall'eloquente titolo «La Russa e Frattini danno le mance – Soldi a 72 enti, alcuni dei quali erano stati definanziati dal Tesoro»  –:
          per ciascuna delle associazioni incluse nel citato schema di decreto, quali siano i contributi erogati negli ultimi 5 anni e quali le motivazioni, i bilanci presentati al Ministero vigilante, i nominativi dei componenti degli organismi statutari, i prospetti delle spese e delle erogazioni a favore degli associati o di soggetti terzi, le iniziative proposte e i progetti sostenuti;
          considerata la particolare congiuntura economica negativa, se non ritenga opportuno annullare detti finanziamenti e destinare la totalità delle risorse stanziate alla copertura totale delle spese mediche sostenute dai militari, che a causa del servizio prestato hanno contratto gravi patologie che richiedono continue e costose cure mediche. (4-08981)

      Risposta. — Lo stanziamento previsto alla Tabella «C» della legge finanziaria 2010, iscritto nel capitolo 1352 dello stato di previsione del Ministero della difesa, è disposto sulla base di due diverse autorizzazioni di spesa previste rispettivamente dalla legge 20 giugno 1956, n.  612 e dall'articolo 14, comma 7-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n.  207, convertito dalla legge 27 febbraio 2009, n.  14.
      Per l'anno 2010, l'importo di 2.021.000,00 euro, inizialmente previsto dalla Tabella «C», è stato successivamente ridotto a 985.195,05 euro in attuazione delle previsioni dell'articolo 7, comma 24, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n.  122 e dall'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 5 agosto 2010, n.  125, convertito dalla legge 1o ottobre 2010, n.  163.
      Ai sensi dell'articolo 1, commi 40 e 41 della legge 28 dicembre 1995, n.  549 e dell'articolo 32, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 2001, n.  448, il Ministro della difesa, con proprio decreto, effettua ogni anno il riparto dello stanziamento anzidetto tra tutte le associazioni combattentistiche e d'arma vigilate, secondo dei parametri di ripartizione individuati anche sulla base dei criteri stabiliti dalle risoluzioni approvate dalla IV Commissione difesa della Camera dei deputati (n.  7-00129 dell'onorevole Ascierto ed altri, n.  7-00135 dell'onorevole Villecco Calipari ed altri – riformulata con il numero 8-00038 – e n.  7-00136 dell'onorevole Di Stanislao).
      Il decreto di ripartizione è trasmesso ogni anno alle Commissioni parlamentari per il prescritto parere, unitamente a una relazione illustrativa dei criteri adottati.
      Sulla base di quanto sopra esposto e della normativa di riferimento, risulta evidente l'impossibilità di destinare i fondi di che trattasi a finalità diverse da quelle previste dalle norme autorizzative.
      Per quanto attiene alla documentazione richiesta dagli interroganti, si fa presente che per gli enti pubblici vigilati dalla Difesa (lega navale italiana, unione nazionale ufficiali in congedo d'Italia e opera nazionale per i figli degli aviatori) i bilanci di previsione e i conti consuntivi sono trasmessi ogni anno ai Presidenti dei due rami del Parlamento, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n.  70.
      Per l'anno 2010 sono stati inviati nel mese di luglio.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nelle giornate del 18 e 19 novembre 2010, presso il Comando delle forze operative terrestri con sede a Verona, si è svolta una riunione tra i delegati della categoria «B» del consiglio intermedio e quelli dei consigli di base provenienti dagli enti dipendenti dal citato comando;
          durante tale riunione i delegati hanno approvato con 132 voti favorevoli su 133 votanti un documento con il quale si appellano al Presidente della Repubblica nella qualità di Capo Supremo delle Forze Armate e massimo garante della Costituzione, affinché siano tutelati i diritti della libertà personale e di espressione di cui devono godere indistintamente tutti i cittadini, ancorché militari in attività di servizio;
          nel citato documento i convenuti all'assemblea hanno richiamato le nuove limitazioni introdotte con il codice dell'ordinamento militare emanato con il decreto legislativo del 15 marzo 2010, n.  66, tra cui desta particolare preoccupazione la disposizione contenuta nell'articolo 1349, comma 3, che stabilisce che «Agli ordini militari non si applicano i capi I, III e IV della legge 7 agosto 1990, n.  241.»;
          con l'interrogazione a risposta scritta n.  4-05315 gli interroganti avevano chiesto chiarimenti in merito alle affermazioni fatte dal generale Roggio (direttore generale della direzione generale per il personale militare) nel corso di un'audizione svoltasi, nel corso dell'indagine conoscitiva sulla condizione del personale delle forze armate e delle forze di polizia ad ordinamento militare, presso la 4° Commissione permanente del Senato il 4 novembre 2009;
          le richieste avanzate dal generale Roggio, nel corso della citata audizione, sono state integralmente recepite nel citato articolo 1349, ancorché appaiano ad avviso degli interroganti poco di dubbia legalità e contrarie ai princìpi ispiratori della legge n.  241 del 1990, cosiddetta legge sulla trasparenza degli atti amministrativi;
          il codice ha rappresentato per i vertici militari l'attesa occasione con cui attuare una rivisitazione delle norme dell'ordinamento militare, e finanche la loro riscrittura, con l'effetto di incidere di fatto negativamente sui diritti costituzionali di cui devono poter godere anche i cittadini militari, destando molti dubbi sul piano della legalità e del diritto;
          ad avviso degli interroganti, la disposizione contenuta nell'articolo 1349 può dare luogo all'emanazione di provvedimenti amministrativi non in linea con gli interessi delle Forze armate e del personale militare  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e delle preoccupazioni espresse dai rappresentanti del personale militare;
          quali siano le motivazioni poste a fondamento della disposizione contenuta nell'articolo 1349 citato in premessa, se intenda assumere iniziative per porvi rimedio e come. (4-09779)

      Risposta. — Preme anzitutto evidenziare che il riassetto della disciplina previgente operato con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, recante il Codice dell'ordinamento militare, non ha inciso negativamente, né avrebbe potuto farlo, sui diritti costituzionali dei militari, come paventato dall'interrogante.
      Il Codice, infatti, è un'opera di riassetto conforme ai principi e criteri direttivi per la semplificazione e il coordinamento formale della materia ai sensi dell'articolo 14, commi 14 e 15, della legge 28 ottobre 2005, n.  246, e dell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n.  59.
      In adesione ai medesimi criteri, nella «relazione introduttiva» al provvedimento si legge:
          al punto 7, secondo periodo, che «La codificazione, sia per quanto riguarda il Codice delle norme primarie, sia per quanto riguarda il Testo unico regolamentare, è avvenuta nel rispetto dei criteri di delega, secondo i parametri del coordinamento formale e sostanziale e del riassetto normativo, come elaborati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato»;
          al punto 7.1, che «Il coordinamento formale implica l'accorpamento coerente delle disposizioni vigenti in un unico testo, nel significato risultante dal cosiddetto diritto vivente, ossia cristallizzando l'interpretazione della giurisprudenza consolidata delle giurisdizioni superiori» (Cons. Stato, ad. gen.  29 marzo 2001, n.  4/01, reso in sede di elaborazione del testo unico sulle espropriazioni);
          al punto 7.4, infine, che «Nell'opera di riassetto si è anche tenuto conto del “diritto vivente” quale risultante dall'elaborazione della giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori».

      Con riferimento, in particolare, alle questioni di stato giuridico del personale, il riassetto è avvenuto senza incidere in alcun modo sui diritti costituzionali del militare. E doverosamente, per quanto testé evidenziato, considerando i consolidati orientamenti giurisprudenziali; nell'ambito del menzionato coordinamento, il Codice ha realizzato, in riferimento alla sua funzione propria e al principio garantistico delle certezza del diritto, una chiarificazione su alcuni punti, e con incremento del livello di tutela del militare.
      Ad esempio, nell'ambito disciplinare, risultano più chiaramente espressi:
          l'alternatività fra sanzioni disciplinari di corpo e di stato (articolo 1352, comma 2, come modificato, già articolo 13, comma 2, legge n.  382 del 1978);
          l'unicità della sanzione in presenza di più trasgressioni (articolo 1355, comma 5, come modificato, già articolo 60, decreto del Presidente della Repubblica n.  545 del 1986);
          l'assistenza di un difensore dinanzi alle commissioni di disciplina per tutti i militari (articolo 1370, comma 2 e 3, come modificato; già legge n.  113 del 1954);
          la possibilità di differimento del procedimento disciplinare per legittimo impedimento (articolo 1370, comma 5, come modificato);
          il principio del
ne bis in idem in materia di sanzioni (articolo 1371 come modificato) e quello dell'annullamento d'ufficio di atti del procedimento disciplinare riconosciuti illegittimi dall'Amministrazione (articolo 1372 come modificato).

      In via generale, l'articolo 1, comma 6, dello stesso Codice dell'ordinamento militare chiarisce che la legge n.  241 del 1990 si applica a tutti i provvedimenti e procedimenti previsti dal Codice dell'ordinamento militare e dal testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, in quanto non diversamente disposto. È questo il principio di riferimento e di base.
      Riguardo al disposto di cui all'articolo 1349, comma 3, del Codice dell'ordinamento militare, cui l'interrogante si riferisce, occorre evidenziare che l'attuale formulazione è quella che esplicita, in materia di ordini militari, indirizzi giurisprudenziali e dottrinali univoci, consolidati nell'ordinamento amministrativo e penale militare.
      Gli ordini sono atti propri e specifici dell'ordinamento militare, connessi alla sua speciale coesione e al suo carattere gerarchico che è la prima garanzia della sua democraticità, vale a dire della sua rispondenza alle istituzioni rappresentative della sovranità popolare (articolo 52 della Costituzione) a necessaria compensazione del monopolio della forza. Gli ordini sono gli atti tipici che manifestano funzionalmente questa gerarchia. Si inquadrano nel rapporto organico e d'ufficio militare, dove si colloca il dovere di obbedienza quale naturale conseguenza della subordinazione gerarchica (articolo 1347 come modificato, già articolo 5, decreto del Presidente della Repubblica n.  545 del 1986). Va poi considerato che gli ordini militari sono emanati oralmente o per iscritto: l'emanazione in forma orale è, anzi, la più usuale nell'ambito delle attività istituzionali e operative delle Forze armate, per la quale risultano strutturalmente incompatibili forme proprie di procedimentalizzazione aventi stretto significato tecnico-documentale e concernenti, in particolare, la partecipazione e l'obbligo di motivazione.
      Per i profili sopra evidenziati, le forme procedimentali previste dalla legge n.  241 del 1990 non sono applicate agli ordini, conformemente alla consolidata giurisprudenza, elaborata a partire dall'entrata in vigore della stessa legge del 1990 (vedansi, tra altre, le sentenze del Consiglio di Stato – sez. IV – n.  597/1991, n.  849/1992, n.  33/1997, n.  85/1996, n.  2271/99, n.  1677/2006, n.  2641/00 e n.  1677/2001).
      Il comma 3 dell'articolo 1349 (1347 del testo inviato ai pareri) stabilisce, dunque, attenendosi fedelmente ai contenuti del parere del Consiglio di Stato n.  149-152 del 10 febbraio 2010, reso sullo schema di decreto legislativo recante il Codice dell'ordinamento militare) l'inapplicabilità agli ordini militari dei capi I, III e IV della legge n.  241 del 1990. Per effetto del richiamato comma 6 dell'articolo 1 del Codice dell'ordinamento militare, risulta, pertanto, sancita l'applicabilità agli ordini militari delle disposizioni della legge n.  241 del 1990 dei rimanenti Capi della legge stessa, concernenti, tra l'altro, il responsabile del procedimento, l'efficacia e l'invalidità del provvedimento, la sua revoca e l'accesso agli atti documentali. Ciò a conferma del consolidato orientamento della giurisprudenza dell'Alto Consesso, espresso più recentemente, tra altre, dalle sentenze della Sezione IV n.  807/2006 e n.  4231/2008.
      Questo è il «diritto vivente»: la codificazione aveva il dovere di recepirlo. Non aveva il potere di negarlo e di innovarvi.
      Se è qui consentita un'ulteriore osservazione, si tratta, all'evidenza, di pronunce in linea con la sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 1999, n.  449, che ha sottolineato l'assoluta peculiarità dell'ordinamento militare, affermando che «significativamente l'articolo 52, terzo comma, della Costituzione parla di “ordinamento delle Forze armate”, non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all'ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l'assoluta specialità della funzione». In quell'occasione, la Corte, ferma la non estraneità dell'ordinamento militare all'ordinamento generale e il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, ha concluso che il diverso trattamento relativamente a un diritto costituzionale si fonda sulle speciali caratteristiche del servizio militare e dell'ambiente in cui esso viene reso: infatti «rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (articolo 52, 1o e 2o comma della Costituzione)».
      Per le ragioni espresse, il riassetto operato dal Codice dell'ordinamento militare, sotto il profilo tecnico-giuridico, è pienamente coerente con i criteri e princìpi direttivi della delega; esso, comunque, non ha operato, né avrebbe potuto farlo, alcun intervento modificativo, meno che meno in senso sfavorevole, sulla sfera dei diritti dei militari che, anzi, anche per quanto sopra evidenziato, risultano in alcuni punti più chiaramente delineati e tutelati.
      Eventuali non coerenti casi di riassetto, d'altra parte, rientrerebbero tra quelli oggetto degli interventi correttivi previsti dall'articolo 14, comma 18, della stessa legge 28 ottobre 2005, n.  246.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto n.  47 del 21 febbraio 2011, il vice direttore generale della Direzione generale per il personale militare del Ministero della difesa ha decretato la decadenza dall'immissione nel ruolo dei volontari di truppa in servizio permanente dell'Esercito del primo caporal maggiore Nicola Massimo Bello, in esecuzione della sentenza n.  8362 emessa dal Consiglio di Stato il 30 novembre 2010;
          il contenzioso conclusosi sfavorevolmente per il militare trae origine dall'impugnativa proposta dal militare medesimo avverso gli atti conclusivi della procedura concorsuale bandita con il decreto dirigenziale emanato dalla direzione generale per il personale militare il 28 gennaio 2004. Il militare era stato escluso dal citato concorso per il mancato superamento della prova di efficienza operativa, le pronunce giurisdizionali nelle fasi cautelari tuttavia hanno permesso che il militare continuasse a prestare servizio senza demerito fino alla data di notifica del citato decreto n.  47;
          si ricorda tra l'altro che il signor Bello è sposato e padre di tre figli il maggiore dei quali ha inoltrato il 25 febbraio 2011 una accorata lettera ai vertici dello Stato;
          a prescindere dal particolare caso che ha riguardato il signor Bello, per il quale gli interroganti auspicano una positiva soluzione, anche in considerazione degli eccellenti risultati conseguiti durante il servizio prestato, non può tacersi il fatto che le attuali procedure concorsuali per il reclutamento di volontari in ferma prefissata e quelle per l'immissione nei ruoli dei volontari in servizio permanente delle Forze armate si prestino sovente, a causa della durata complessiva dell'intero procedimento, a far maturare nei candidati delle aspettative lavorative che, seppure legittime, poi non trovano alcuna corrispondenza nella politica degli arruolamenti concretamente attuata dalla Difesa  –:
          quale sia l'intendimento del Ministro interrogato per giungere ad una positiva soluzione del caso di cui in premessa e quali siano le eventuali disposizioni impartite affinché le procedure concorsuali citate si svolgano in tempi ragionevolmente brevi tali da non ingenerare nei candidati false aspettative di mantenimento del posto di lavoro anche in caso di esclusione dalla procedura concorsuale
(4-11499)

      Risposta. — In relazione al caso del signor Bello, affrontato con l'atto in esame, faccio osservare che il Dicastero della difesa, per voce del Sottosegretario di Stato pro-tempore ha già fornito, il 6 aprile 2011, una dettagliata risposta ad un'interrogazione di analogo contenuto presso la IV Commissione difesa della Camera dei deputati (n.  5-04534 dell'onorevole Di Stanislao).
      Al riguardo, pertanto, non posso che richiamare, per linea di coerenza, le medesime argomentazioni espresse in tale circostanza.
      In proposito, rammento che il signor Bello, a suo tempo, ha partecipato al concorso emanato con il bando del 28 gennaio 2004 per l'immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente effettivo dell'Esercito di 2.200 volontari in ferma breve, ma è stato giudicato non idoneo dalla competente Commissione esaminatrice per il mancato superamento, in due differenti sedute, di una prova di efficienza operativa consistente nell'effettuazione di 27 flessioni addominali nel tempo massimo di due minuti.
      In relazione a tale giudizio si è sviluppato un contenzioso, piuttosto articolato e complesso, che, come è noto, si è concluso con la sentenza del Consiglio di Stato n.  8362/2010.
      Nel merito, l'operato dell'Amministrazione si è dimostrato in punto di legittimità immune da qualsivoglia censura, così come ampiamente motivato dal Consiglio di Stato con la sentenza n.  8362/2010, sul ricorso in appello proposto dal signor Bello, contro il Ministero della difesa, per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio n.  3580 del 18 maggio 2006.
      Il tribunale amministrativo regionale del Lazio, con la citata sentenza, aveva, infatti, respinto, con dovizia di argomenti e conformandosi alla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, tutte le censure avverso il provvedimento di esclusione dal predetto concorso.
      In particolare, il Consiglio di Stato, in ordine alla legittimità dell'azione amministrativa, ha respinto il ricorso in parola, concludendo, tra l'altro, che:
          doverosamente la Commissione esaminatrice si è attenuta alle vincolanti previsioni del bando a garanzia della
par condicio fra tutti i candidati e in considerazione del principio di autonomia delle procedure concorsuali;
          per nessuna ragione l'Amministrazione avrebbe potuto valutare in concreto l'incidenza del mancato superamento delle prove ginniche sull'idoneità del candidato a svolgere il servizio militare anche in relazione alla possibilità di impiego in mansioni compatibili con il proprio stato.

      Ciò posto, per quanto concerne, invece, l'auspicio dell'interrogante di abbreviare la tempistica delle procedure concorsuali, non si può sottacere, in generale, la notevole rilevanza che riveste, in tale ambito, la complessa e delicata attività di selezione fisico-psico-attitudinale, nell'ottica di reclutare personale pienamente idoneo per lo svolgimento delle atipiche mansioni della professione militare.
      Tale attività di selezione, pertanto, essendo opportunamente articolata in diverse specifiche fasi consecutive, in modo da consentire agli organi preposti una compiuta valutazione sotto ogni profilo possibile del personale da reclutare, richiede evidentemente i necessari tempi tecnici per il superamento di ogni singola fase che, al momento, appaiono difficilmente comprimibili.
      Pertanto, fermo restando il costante impegno dell'Amministrazione nell'ispirare la propria azione amministrativa a criteri di imparzialità, buon andamento e trasparenza, non si intravedono, allo stato, i presupposti per interventi tesi a modificare gli attuali tempi tecnici di svolgimento delle procedure concorsuali in questione.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          ad un appartenente all'Arma dei carabinieri, in servizio presso la regione Lombardia, veniva notificata una nota dal comando generale dell'Arma, per l'apertura di un procedimento per il recupero delle somme indebitamente corrisposte per un ammontare a euro 2.649,95. Tale provvedimento veniva attivato, in quanto lo stesso aveva indebitamente fruito di alcuni periodi di congedo straordinario a titolo parentale, in quanto, al momento della concessione delle licenze, la moglie del predetto militare aveva già interamente fruito del congedo parentale di 6 mesi previsto dall'articolo 34 della legge n.  151 del 2001. Pertanto, il ricorrente, si rivolgeva al tribunale amministrativo competente per territorio (Lombardia) che con sentenza depositata il 16 giugno 2011, lo accoglieva, condannando il Ministero della difesa al pagamento della somma quantificata in euro 2.000  –:
          se non ritenga di dover segnalare alla magistratura contabile quello che agli interroganti appare un vero e proprio danno erariale cagionato dal responsabile del procedimento di recupero delle somme poi annullato dal tribunale amministrativo regionale e quali siano i provvedimenti che intenderà adottare. (4-13190)

      Risposta. — Il 3o Battaglione Carabinieri «Lombardia», con lettera del 7 settembre 2009, comunicava al Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri il numero dei giorni di licenza straordinaria per congedo parentale concesse al militare (n.  45 giorni, specificando che «...la consorte... aveva già usufruito della maternità facoltativa (mesi 6)».
      Il Centro nazionale amministrativo dell'Arma, preso atto di ciò, provvedeva nei confronti del militare ricorrente ad avviare il procedimento di recupero della somma di euro 2.649;95, in n.  10 rate mensili di euro 265,00, con decorrenza dal mese di febbraio 2010.
      Il militare impugnava tale provvedimento innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia che:
          inizialmente, con ordinanza, accoglieva l'istanza di sospensiva avversaria; in esecuzione di ciò, il Centro Nazionale Amministrativo provvedeva alla sospensione del recupero amministrativo (la somma complessiva trattenuta è stata, pertanto, di euro 1.060,00, pari a 4 rate di euro 265,00 da febbraio a maggio 2010);
          successivamente, con sentenza n.  1560 del 2011 accoglieva, nel merito, il ricorso.

      Con riferimento ai contenuti della sentenza che ha definito il ricorso in argomento, si osserva che il giudice amministrativo ha accertato il diritto del ricorrente alla restituzione delle somme indebitamente trattenute, con i relativi interessi dalla data della decurtazione fino all'effettivo soddisfo, con contestuale condanna dell'amministrazione militare alla rifusione delle spese di lite.
      Il ricorrente, in ragione di ciò, ha avuto un'integrale ristoro dei danni subiti e, da tale profilo, nulla ha più a pretendere dall'amministrazione.
      Per quanto riguarda, invece, il merito della dibattuta questione, è il caso di osservare che l'amministrazione militare ha posto in essere un procedimento per il recupero delle somme corrisposte, anche sulla base di un orientamento giurisprudenziale non del tutto univoco sulla specifica materia che vede, a onor del vero, pronunciamenti giudiziali di diverso tenore, proprio con riferimento al periodo complessivo di tempo che deve essere computato per una corretta applicazione della norma.
      A carattere esemplificativo, si riportano, due pronunce del Tar Lombardia:
          1. la Sezione distaccata di Brescia, con sentenza n.  325/2005, ha dichiarato infondato il ricorso, di un militare dell'Arma avverso la procedura di recupero stipendiale avviata dall'Amministrazione, a seguito di concessione di 15 giorni di licenza straordinaria per congedo parentale, per aver superato il tetto dei sei mesi complessivi tra genitori, argomentando che:
          «...l'articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 2002, n.  164: ... riconosce un trattamento economico di maggior favore, consistente nel riconoscimento dell'intera retribuzione (anziché dell'indennità al trenta per cento) sino a quarantacinque giorni, come è reso palese dal tenore, letterale della norma che introduce un regime derogatorio (espressamente riferito al solo articolo 34) che non si aggiunge né si sostituisce a quello previsto in generale dal citato decreto legislativo 26 marzo 2001, n.  151»;
          «Il superamento del limite dei quarantacinque giorni con corresponsione dell'intera retribuzione comporta, infatti, sempre che vi siano le condizioni previste dalla norma (limite complessivo tra i genitori di sei mesi e figli minori di tre anni), la piena applicazione dell'articolo 34 comma 1, con erogazione dell'indennità al trenta per cento»;

          2. la sezione prima, con sentenza n. 2174 del 2006, nel dichiarare infondato il ricorso di un Assistente capo della Polizia di Stato che, avendo usufruito di quattro periodi di congedo parentale nell'anno 2000 e uno nel 2001 per complessivi giorni 108, si opponeva alla procedura di recupero intrapresa dalla propria amministrazione per somme erogate, oltre il limite dei 45 giorni, per intero e non al 30 per cento della retribuzione, ha stabilito, tra l'altro, che «l'articolo 34 (del decreto legislativo n.  151 del 2001) prevede che per i periodi di congedo parentale sia dovuta fino al terzo anno di vita del bambino un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione per un periodo massimo complessivo, tra i genitori, di sei mesi...».

      In ragione di tali osservazioni, poiché non si ritiene che nel caso di specie sussistano i presupposti, di fatto e di diritto, per la sussistenza del danno erariale, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano la Repubblica del 14 settembre 2011, è pubblicato un articolo dal titolo «Denuncia shock: “Pestaggi e soprusi. Gli orrori nella caserma dei Nocs«” in cui si dà notizia che «la Procura indaga sul “nonnismo” tra le teste di cuoio dopo il racconto di un agente, correlato di registrazioni video e audio e fotografie. “Mi hanno picchiato per uno sguardo in mensa«” in cui si legge «Io sono stato “morso” dopo un paio d'anni. Ma, come gli altri, anche dopo ho subito di tutto. All'interno della caserma – dice ancora l'uomo – basta nulla per scatenare scene di violenza inaudita. “L'ultima volta è successo perché in mensa ho fatto un saluto a quello che si ritiene il leader. Lui si è avvicinato e spalleggiato dagli altri, ha cominciato a picchiarmi”. Un pestaggio in piena regola – i Rambo dei Nocs sono istruttori di arti marziali – che ha costretto la vittima a una convalescenza di 108 giorni. “A quella scena hanno assistito tutti, nella sala. Ma nessuno si è detto disposto a testimoniare, perché lì regna il terrore”. Non è una coincidenza che negli ultimi anni ci siano stati numerosi episodi di agenti affetti da depressione e “fuggiti” in pensione a soli 40 anni, oltre al caso, più clamoroso, del suicidio di Paolo De Carli. L'agente si sparò un colpo al cuore due anni fa, proprio lì, in caserma»;
          un articolo pubblicato sul portale internet «Tiscali» il giorno 15 settembre 2011, a firma di Paolo Salvatore Orrù, dal titolo «Violenze nella caserma dei Nocs, sindacati di polizia sorpresi: non ci risulta», riporta la notizia secondo cui «La denuncia dell’ex Nocs è corredata da foto, immagini, audio e video. I documenti, sono nelle mani del pubblico ministero Elisabetta Ceniccola, parrebbero dimostrare che nel reparto d’élite della polizia vige una sorta di regime del terrore [...]»;
          sempre nel medesimo articolo a firma di Orrù si legge le dichiarazioni di Domenico Pianese, segretario generale aggiunto del sindacato indipendente della polizia di Stato (Coisp) che afferma «Conosco piuttosto bene la struttura e il personale di Spinaceto: nessuno ci ha mai prospettato una simile situazione di sofferenza. La denuncia del collega e grave: spero che la magistratura chiarisca al più presto la vicenda», e quella di Luca Marco Comellini, segretario del partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm) «Nelle caserme, anche in quelle di polizia, molto spesso si preferisce lavare i panni sporchi in famiglia: il sistema, insomma, si regge non sui valori fondanti l'istituzione ma su altri, che non possono essere quelli di un corpo spesso chiamato all'azione per la tutela di uno Stato democratico [...] Che le violenze siano psicologiche o che riguardino l'esercizio di un diritto costituzionalmente protetto non fa differenza in un mondo – quello delle divise – dove spesso vige la regola del “non vedo non sento e non parlo perché voglio campare tranquillo”;
          il caso di presunta violenza riferito dalle fonti giornalistiche meriterebbe, ad avviso degli interroganti, l'avvio di una seria ed ampia riflessione sul fenomeno riconducibile nell'ambito del mobbing oltre agli aspetti che possano, nel caso specifico, avere rilevanze penali sull'omessa vigilanza da parte di coloro che vi abbiano l'onere;
          il primo firmatario del presente atto e i cofirmatari, il 15 dicembre 2009, hanno presentato la proposta di legge C. 3048 «Introduzione dell'articolo 610-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela dei lavoratori contro gli atti di violenza o di persecuzione psicologica nei luoghi di lavoro (mobbing)» assegnata alla XI Commissione permanente (Lavoro) che attualmente attende di essere calendarizzata per la discussione;
          si legge, nella relazione introduttiva alla citata proposta di legge, che «il fenomeno è conosciuto come mobbing, un termine diffuso anche in Italia, utilizzato per indicare una qualsiasi forma di terrorismo psicologico esercitato nei luoghi di lavoro in danno dei lavoratori. Gli effetti del mobbing sono assai rilevanti per l'ordinamento: sono legati non solo alla riqualificazione del lavoratore, ma anche e soprattutto al suo stato di salute, il cui decadimento finisce per riverberarsi sulla struttura sanitaria nazionale, in termini di aggravio delle spese per l'assistenza. È ciò senza considerare gli altri obiettivi danni subiti dalla stessa unità lavorativa interessata, con un inevitabile e grave calo della produttività in tale ambito. Approfondite ricerche svolte in altri Paesi hanno dimostrato che il mobbing può portare all'invalidità psicologica del lavoratore, tanto che può essere corretto, in proposito, parlare di una vera e propria malattia professionale, del tutto simile a un infortunio sul lavoro. Per quel che attiene al nostro Paese, alcune statistiche riferiscono di una percentuale modesta di soggetti vittime del mobbing, pari al 4,2 per cento del totale dei lavoratori dipendenti in Italia, circa 750.000 persone. In realtà il dato che emerge appare assai lontano dal vero, in quanto ancora oggi gli atti di violenza o di persecuzione psicologica nei luoghi di lavoro risultano particolarmente difficili da quantificare: sia perché lo studio del fenomeno è stato intrapreso con notevole ritardo rispetto alle altre nazioni, sia perché le stesse vittime rifiutano di considerarsi tali, per timore di ulteriori ritorsioni o per altri motivi»;
          il Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm) fin dalla sua costituzione ha affrontato il tema delle violenze negli ambienti di lavoro anche con numerose conferenze stampa, dibattiti e convegni le cui registrazioni sono reperibili sul sito web www.partitodirittimilitari.org;
          sul medesimo sito è pubblicato un interessante articolo dal titolo «Il danno biologico da vessazione e da violenze morali sul posto di lavoro: una guerra non dichiarata» a firma del dottor Enzo Cordaro, psicoterapeuta, direttore centro per la rilevazione del danno biologico mobbing compatibile – ASL RMD – e del dottor Roberto Rossi, psicoterapeuta, responsabile accoglienza centro per la rilevazione del danno biologico mobbing compatibile – ASL RMD – con cui si offre una breve ma significativa lettura del fenomeno del mobbing con particolare riferimento a quelle strutture fortemente gerarchizzate quali sono forze armate e di polizia  –:
          quali siano le immediate iniziative intraprese nei confronti di coloro che sono stati indicati come gli autori delle presunte violenze denunciate dall'appartenente al reparto Nocs e quelle per la tutela dell'incolumità e della salute del denunciante;
          se non si ritenga opportuno promuovere, con il supporto delle organizzazioni sindacali delle forze di polizia e con esperti del settore, ogni utile iniziativa volta a contrastare il fenomeno del mobbing nell'ambito delle pubbliche amministrazioni con particolare riferimento a quelle della difesa e dell'interno. (4-13229)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano la Repubblica del 20 settembre 2011, è pubblicato un articolo dal titolo «Nocs, gaffe del Viminale via il capo dell'indagine sugli abusi si riparte da zero»  –:
          quale siano state le azioni compiute dal prefetto Stefano Berettoni a seguito della «nota riservata» riferita nell'articolo in premessa;
          se non ritenga doveroso affidare le indagini sulla vicenda in premessa a un soggetto esterno al Ministero dell'interno e, in tale caso, a chi le intenda affidare. (4-13248)

      Risposta. — Con l'atto in esame l'interrogante chiede di conoscere l'avviso del Governo in merito ad alcune notizie riportate dagli organi di stampa su presunti atti di nonnismo che si sarebbero verificati nella Caserma del Nucleo operativo centrale di sicurezza (Nocs) di Spinaceto (Roma).
      Le notizie in questione fanno riferimento alla denuncia presentata da un operatore dei Nocs nei confronti di due colleghi.
      L'episodio si inquadra nell'ambito di contrasti di natura personale sfociati nelle vie di fatto nel dicembre 2011 durante la consumazione di un pasto presso la mensa.
      La vicenda è attualmente al vaglio della procura della Repubblica di Roma.
      Si rappresenta inoltre che è stato avviato un procedimento disciplinare conclusosi con l'irrogazione di una pena pecuniaria e il conseguente trasferimento dei due dipendenti.
      In ordine agli asseriti episodi di «nonnismo» denunciati dal dipendente, si assicura che sono stati avviati accertamenti al riguardo, all'esito dei quali non ha trovato riscontro l'ipotesi dell'esistenza «di un clima di intimidazione e violenza all'interno del Nocs» come riferito da alcuni organi di stampa.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il decreto del Presidente della Repubblica n.  465 del 7 novembre 2001, emanato ai sensi dell'articolo 93 della legge 27 dicembre 2000, n.  388, ha stabilito che la vaccinazione antitubercolare è obbligatoria per il personale sanitario, gli studenti in medicina, gli studenti in infermieristica e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti, oppure che operi in ambienti ad alto rischio e non possa essere sottoposto a terapia preventiva;
          in Italia ogni anno sono notificati al Ministero della salute circa 5 mila nuovi casi di tubercolosi e tale dato potrebbe essere sottostimato, poiché non tutti i casi vengono diagnosticati;
          a poco più di un mese dalla scoperta dei neonati positivi alla tbc al policlinico Gemelli, l'inchiesta sul caso dell'infermiera dell'ospedale romano affetta da tubercolosi ha portato all'emissione di sette avvisi di garanzia per i reati ipotizzati di epidemia colposa e lesioni colpose per il datore di lavoro ed i responsabili che avrebbero trascurato i controlli sul personale sanitario preposto;
          medici ed infermieri, per le caratteristiche del loro lavoro, sono maggiormente esposti ai rischi di contagio e proprio per questo non vanno sottovalutati i controlli presso le strutture sanitarie e nosocomiali e in tutti i luoghi considerati a rischio, anche perché oggi ci si imbatte spesso in ceppi batterici resistenti ai comuni antibiotici;
          sulla base delle evidenze scientifiche mondiali e nazionali, nel 2009, in Italia è stata organizzata presso il Ministero della salute una Consensus Conference per rivedere le strategie più efficaci per il controllo della tubercolosi sul territorio nazionale e per la definizione degli obiettivi prioritari da perseguire nel periodo 2011-2013;
          i programmi di sorveglianza per gli operatori sanitari si basano oltre che sulla valutazione all'inizio dell'attività lavorativa, sulla vaccinazione antitubercolare obbligatoria e sulla rivalutazione periodica per l'infezione tubercolare, anche su una continua valutazione del rischio di trasmissione tubercolare  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa e quali attività di prevenzione e di sorveglianza sanitaria vengano attuate presso il Servizio sanitario militare interforze;
          quale sia la percentuale dei medici ed infermieri militari che, ad oggi, risulta essere stata sottoposta a vaccinazione obbligatoria antitubercolare e quale sia l'attuale sistema di sorveglianza sanitaria adottato per il monitoraggio della salute dei singoli operatori sanitari e delle collettività militari, sia in territorio nazionale che negli attuali teatri operativi.   (4-13819)

      Risposta. — È il caso di sottolineare, in primis, che allo stato attuale – vista la non univocità di parere espressa nei differenti studi scientifici sull'efficacia della vaccinazione antitubercolare – la stessa è prevista obbligatoriamente, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 7 novembre 2001, n.  465, solo per alcune categorie professionali, tra cui il personale sanitario che «operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti oppure che operi in ambienti ad alto rischio che non possa, in caso di cuticonversione, essere sottoposto a terapia preventiva.
      Al riguardo, bisogna anche fare due considerazioni:
          l'ambito militare, nel suo complesso, non presenta un rilevante profilo di rischio, tenuto conto della sporadicità dei casi di malattia clinica riscontrati nelle Forze armate (dai dati in possesso dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa, dal 2007 – anno della sua istituzione – ad oggi risultano 10 casi certificati);
          nelle strutture di ricovero e di cura della Difesa viene assicurata, comunque, la valutazione del rischio, in ottemperanza alle normative di medicina del lavoro e alle linee guida, civili e militari, per la prevenzione e il controllo della tubercolosi (TBC).

      Quanto, invece, alla prevenzione e alla sorveglianza sanitaria, la «Direttiva tecnica per l'applicazione del decreto ministeriale 31 marzo 2003», recante «Aggiornamento delle schedule vaccinali e delle altre misure di profilassi per il personale militare», prevede l'effettuazione, su tutto il personale che rientra da missioni da aree endemiche e ad alta incidenza di Tbc o che, comunque, sia stato a contatto con casi acclarati, nonché per particolari categorie di personale operativo, tra cui quello sanitario, di appositi test diagnostici per lo screening «dell'infezione tubercolare latente» (ancorché tale reperto non sia sinonimo di malattia, ma indichi soltanto il grado di diffusione dell'agente eziologico e la percentuale di soggetti che, nel tempo, potrebbero avere maggiore possibilità di sviluppare la patologia).
      La Direttiva prevede, peraltro, che gli eventuali soggetti positivi, secondo quanto previsto dalla legge, siano immessi in un programma di sorveglianza sanitaria e sottoposti a specifici esami, sulla base di un protocollo ben definito, sia nella tempistica che nella tipologia del test diagnostico.
      Avuto riguardo, in ultimo, alla percentuale di medici e infermieri militari vaccinati, si fa presente che l'Amministrazione non dispone di un'anagrafe dedicata, in quanto la vaccinazione antitubercolare non rientra tra quelle di prevista somministrazione in ambito Difesa: tale personale, infatti, dovrebbe – secondo quanto stabilito dal richiamato decreto del Presidente della Repubblica n.  465 del 2001 – risultare già vaccinato al momento dell'immatricolazione ai rispettivi
iter formativi universitari.
      Tuttavia, il competente Ufficio generale della Sanità Militare ha provveduto a condurre una indagine conoscitiva presso le Forze armate/Arma dei Carabinieri, dalla quale è emersa una percentuale compresa fra il 27 per cento e il 66 per cento circa per gli ufficiali medici e fra il 14 per cento e il 61 per cento circa per gli infermieri.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          l'Organizzazione mondiale della sanità considera l'infezione da HIV quale malattia «comportamentale» stabilendo, senza nessun margine interpretativo, che non sussiste alcun rischio «ideologico» nella trasmissione, ma che la medesima possa essere efficacemente contrastata mediante specifica «profilassi» e specifici interventi sui rischi «comportamentali» – esempio corretto utilizzo dei DPI-dispositivi di protezione individuale;
          con le linee guida della commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS – «Aggiornamento delle conoscenze sulla terapia dell'infezione da HIV, Documento complementare su Specifiche Materie», edite nel 2008 ed aggiornate con documento integrativo del 2010 – è stato ampiamente evidenziato il razionale scientifico della decisione di impiegare una terapia antiretrovirale (ARV) post-esposizione per ridurre il rischio di infezione da HIV;
          sebbene la prevenzione primaria, attraverso una riduzione dei comportamenti a rischio, costituisca la prima linea di difesa contro l'infezione da HIV, la PPE (profilassi post-esposizione) è considerata oggi un'importante opportunità quando gli sforzi preventivi abbiano fallito o non fossero attuabili, come durante una contaminazione parenterale (esempio puntura accidentale con ago o tagliente solido visibilmente contaminato da sangue) o a seguito di una violenza sessuale;
          sulla base delle evidenze disponibili nella maggior parte dei Paesi dotati di risorse economiche, sono state elaborate, sulla opinione di esperti in materia, specifiche raccomandazioni per il ricorso alla PPE sia in ambito occupazionale (esempio personale sanitario in relazione allo specifico rischio biologico) che non occupazionale (esempio rapporti sessuali non protetti, violenza sessuale); l'offerta della PPE vede coinvolti i servizi di medicina preventiva per il personale, i centri di counselling e di esecuzione dei test laboratoristici, le cliniche per le malattie sessualmente trasmesse, i consultori, i servizi di pronto soccorso, i SERT e i medici di medicina generale;
          sebbene la specificità e la complessità dell'argomento rendano raccomandabile che la PPE venga gestita presso i centri di malattie infettive o comunque da personale sanitario con elevata esperienza di valutazione del rischio di infezione da HIV, assistenza ai pazienti ed utilizzo degli ARV, le aziende sanitarie pubbliche e private devono stilare, ai sensi delle succitate linee guida ministeriali, un protocollo di gestione (anche in caso di riferimento ad altra struttura) al fine di assicurare entro il tempo raccomandato la valutazione del rischio, l'eventuale somministrazione della PPE (preferibilmente entro 1-4 ore) e la successiva adeguata gestione clinica e assistenziale degli esposti da parte degli esperti;
          la politica di prevenzione, attuata mediante i servizi di medicina preventiva e del lavoro, si basa sulle raccomandazioni nazionali della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS del Ministero della salute ed internazionali dell'ILO – Organizzazione internazionale del lavoro, nonché su specifici regolamenti, strumenti legislativi ed applicativi;
          anche presso l'amministrazione della difesa, così come presso qualsiasi luogo di lavoro pubblico o privato, esiste un rischio trasmissivo di infezione da HIV, sia occupazionale – esempio rischio biologico delle professioni sanitarie militari – che non occupazionale – esempio rischio trasmissivo nei rapporti sessuali non protetti; rischio di violenza sessuale, che nel comparto Difesa, potrebbe vedere direttamente coinvolto il personale militare femminile impiegato sia sul territorio nazionale che internazionale;
          la ratio di una scrupolosa applicazione delle norme di sicurezza, articolata altresì in base al principio dell’Evidence Based Medicine e delle raccomandazioni internazionali, oltre che delle linee guida ministeriali messe a punto da esperti di settore, andrebbe costantemente individuata nella particolare natura delle attività d'istituto delle Forze armate svolte in ambienti non rispondenti spesso agli standard pubblici e/o privati dei Paesi considerati «evoluti» – esempio recente missione di assistenza sanitaria e umanitaria a favore delle popolazioni terremotate di Haiti; attività di C.F.M. – controllo dei flussi migratori – a favore di naufraghi e profughi provenienti da paesi considerati serbatoio dell'infezione HIV non efficacemente trattata a mezzo di ARV, e altro;
          la salvaguardia e la sicurezza del personale dipendente è un obbligo ribadito dall'attuale ordinamento giuridico vigente, così come specificato dai decreti legislativi n. 81 del 2008 e n. 106 del 2009, che peraltro trova riscontro nelle normative applicative delle Forze armate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato, sia nel territorio nazionale che nelle operazioni internazionali;
          presso l'Amministrazione della difesa non risulta contemplato o regolamentato l'accesso alle terapie farmacologiche ARV di «profilassi post-esposizione», né presso i servizi sanitari militari in territorio nazionale né nei teatri operativi internazionali  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per voler garantire il recepimento delle linee guida internazionali e nazionali in tema di «raccomandazioni per l'accesso alla profilassi post-esposizione HIV». (4-14040)

      Risposta. — In merito a quanto rappresentato con le interrogazioni in esame, si confermano integralmente i contenuti della precedente risposta fornita dal Dicastero, in riscontro all'atto n.  4-14041, richiamato dall'interrogante.
      Si ribadisce, ancora una volta, che la doverosa tutela nei confronti del soggetto sieropositivo richiede, peraltro, che lo stesso non possa essere sottoposto a fattori di stress fisici e che, al contrario, debba seguire un regime di vita e un'eventuale terapia adeguati.
      Avuto riguardo, invece, allo specifico quesito posto (atto n.  4-16911) sull'attività svolta dalla Commissione appositamente istituita per procedere all'aggiornamento dell'elenco delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare, si fa presente che la stessa ha ultimato i lavori e le relative risultanze sono, allo stato, all'esame dei competenti organi tecnici.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale n.  99 del 14 dicembre 2001 ha indetto il concorso, per titoli ed esami, per la nomina di 12 guardiamarina in servizio permanente effettivo del ruolo speciale nel corpo di commissariato militare marittimo;
          il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n.  487, ha previsto il «Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi» e all'articolo 2, comma 5, dispone che «Il requisito della condotta e delle qualità morali stabilito per l'ammissione ai concorsi nella magistratura viene richiesto per le assunzioni, comprese quelle obbligatorie delle categorie protette, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, in conformità all'articolo 41 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.  29»;
          il decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, prevede «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» e all'articolo 35 dispone che le procedure di reclutamento devono essere conformate ai principi di imparzialità e trasparenza;
          la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, 6 dicembre 2011, n.  982 ha accolto il ricorso proposto dal signor Daloiso Michele, ed ha annullato parte della graduatoria ed ha condannato il Ministero della difesa al pagamento delle spese di giudizio e di risarcimento danni per violazione dei principi in materia di ammissione ai concorsi pubblici poiché tre concorrenti risultati vincitori non avrebbero potuto essere ammessi per mancanza dei requisiti morali di ammissione  –:
          se e quali siano i provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei membri della Commissione esaminatrice e se siano state effettuate eventuali segnalazioni all'autorità giudiziaria e alla magistratura contabile;
          se sia stata data esecuzione al giudicato. (4-15523)

      Risposta. — Si risponde ad entrambe le interrogazioni in quanto afferenti la medesima tematica.
      Nel merito, faccio osservare che relativamente alla questione affrontata si è instaurato un contenzioso che risulta tuttora in atto.
      Infatti, avverso la sentenza n.  982/2012 resa dal Consiglio di Stato, IV Sezione, la Direzione generale per il personale militare ha proposto ricorso per revocazione (n.  4319/2012), con contestuale istanza di sospensione dell'esecutività della stessa, attualmente pendente.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la risposta scritta, fornita dal Ministro della difesa all'interrogazione 4-10538 e pubblicata il 12 aprile 2012 nell'allegato B della seduta n.  620, stabilisce che: «L'ordine di temporaneo imbarco a bordo di un'unità navale della Marina militare si configura astrattamente, quale missione isolata fuori dall'ordinaria sede di servizio, con l'unica differenza che i militari interessati percepiscono il trattamento economico previsto per il personale militare imbarcato su unità nel quadro del naviglio militare di cui all'articolo 4, legge 23 marzo 1983, n.  78 (indennità d'imbarco) e non invece quello di cui al titolo I della citata legge n.  836 del 1973 (trattamento economico di missione) (...) il trattamento economico di missione risulta incompatibile con l'indennità operativa di imbarco di cui alla legge n.  78 del 1983 che, tra l'altro, risulta nettamente più favorevole per il personale; il trattamento economico di trasferimento non può essere corrisposto, in quanto la norma pertinente postula un cambio permanente della sede di servizio, nel caso che qui ne occupa, invece, il personale destinatario di un provvedimento di temporaneo imbarco viene impiegato su un'unità navale per soddisfare esigenze estemporanee ed eccezionali della Forza armata»;
          i dati forniti, relativamente al numero dei militari interessati da provvedimenti di temporaneo imbarco nel biennio 2009-2010, evidenziano che l'istituto è utilizzato in via strutturale e non per soddisfare esigenze estemporanee ed eccezionali della Forza armata;
          la risposta del Ministro postula l'incumulabilità tra il trattamento economico cosiddetto accessorio e quello cosiddetto eventuale senza preoccuparsi di citare a supporto alcuna disposizione di legge e nonostante lo sforzo per allinearsi ai dettami della giustizia amministrativa (TAR per la Lombardia-Milano, sezione III nella sentenza 18 febbraio 2010, n.  986/2010; TAR per la Calabria-Catanzaro, sezione I nella sentenza 17 dicembre 2010, n.  133/2011 e del Consiglio di Stato, sezione IV, nella sentenza 18 maggio 2004, n.  7627/2004), laddove ha precisato che il temporaneo imbarco si configura quale missione isolata fuori dall'ordinaria sede di servizio, tace sui periodi di lunga durata (per assurdo si potrebbe cassare l'istituto del trasferimento);
          la compensazione per gli oneri e i disagi per il mutamento della sede di servizio consiste in un trattamento economico cosiddetto eventuale, nell'ipotesi di «missione fuori dall'ordinaria sede di servizio» come previsto dagli articoli 1 e seguenti della legge 18 dicembre 1973, n.  836 e dagli articoli 1 e seguenti della legge 26 luglio 1978, n.  417, e successive modificazioni, ovvero nell'ipotesi di «trasferimento ad altra sede di servizio» come previsto dagli articoli 17 e seguenti della legge 18 dicembre 1973, n.  836, dagli articoli 11 e seguenti della legge 26 luglio 1978, n.  417 e dall'articolo 1 della legge 29 marzo 2001, n.  86, e successive modificazioni;
          le indennità di impiego operativo, disciplinate dalla legge 23 marzo 1983, n.  78 e successive modificazioni, consistono – come esplicitato nell'articolo 1 – in un trattamento economico cosiddetto accessorio «per il rischio, per i disagi e per le responsabilità connessi alle diverse situazioni di impiego derivanti dal servizio» e nel caso di specie consistono – come palesato nel seguente articolo 4 – nell'attribuzione degli assegni di imbarco per il personale della Marina, dell'Esercito e dell'Aeronautica imbarcato su navi di superficie su sommergibili, in armamento o in riserva, con le modalità previste nel successivo articolo 17, comma 10, ove è richiamato il «regolamento sugli assegni di imbarco approvato con regio decreto 15 luglio 1938, n.  1156, e successive modificazioni»;
          il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66 all'articolo 2268, comma 1, ha statuito che «a decorrere dall'entrata in vigore del Codice e del Regolamento, sono o restano abrogati i seguenti atti normativi primari e le successive modificazioni» e individua nell'elenco al punto 151) il «regio decreto 15 luglio 1938, n.  1156, esclusi articoli 5, 9 e 19»  –:
          se non ritenga necessario ed urgente impartire le opportune disposizioni affinché siano correttamente attuati tutti i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze armate di cui all'articolo 5, comma 1, lettere a) e g) del decreto legislativo 12 maggio 1995, n.  195 e successive modificazioni, ove è netta la distinzione tra il trattamento economico cosiddetto «accessorio» e quello cosiddetto «eventuale». (4-15826)

      Risposta. — In premessa, si conferma integralmente il contenuto della risposta all'interrogazione scritta n.  4-10538 citata dall'onorevole interrogante nell'atto.
      Si osserva, al riguardo, che dalla data di pubblicazione della stessa sul resoconto della Camera dei Deputati avvenuta il 12 aprile 2012, non sono intervenute modifiche nel quadro normativo o procedurale di riferimento.
      Nel merito della questione, faccio presente che la risposta del Dicastero, nell'esaminare alcuni istituti giuridici di natura economica, è stata corredata di tutti i possibili riferimenti normativi in materia.
      Rendo noto, altresì, che la tematica relativa al trattamento economico di missione/trasferimento da corrispondere al personale militare della marina, è alla costante attenzione da parte dell'amministrazione militare ed è, attualmente, oggetto di approfondimento da parte degli organi competenti della difesa.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 5 giugno 2012, sul sito web del quotidiano on-line Civitanews è stata pubblicata la notizia «Brescia: carabiniere si suicida sparandosi. Connellini: “C’è preoccupazione per un disagio crescente” – Tra poche ore inizieranno i festeggiamenti per il 198esimo anniversario della fondazione dell'Arma dei carabinieri alla presenza dei vertici militari e delle alte cariche dello Stato. Oggi per noi è un triste giorno non solo per la falsa sobrietà che caratterizzerà l'evento ma perché anche oggi un appartenente all'Arma ha deciso di compiere il gesto estremo, sparandosi con la pistola d'ordinanza al petto. Il numero dei suicidi o di quelli tentati è in continuo aumento nell'Arma dei carabinieri e l'allarme che ho voluto lanciare lo scorso 23 gennaio nel corso di una conferenza sul mobbing, svoltasi alla Camera dei deputati, evidentemente è rimasto inascoltato. Non conosco i motivi del gesto del capitano del ruolo speciale Giuseppe Panarello, addetto alla Sezione Anticrimine Carabinieri di Brescia, ma è chiaro che l'azione di prevenzione che dovrebbe esserci o non esiste o ha fallito il suo scopo. Questo grave fatto accaduto oggi non mi sembra sia da sottovalutare nel momento che sembra essere l'ennesimo gesto di estrema disperazione di chi non è ascoltato, mentre i vertici dell'Arma appaiono sempre più distanti dai loro uomini e donne. Esprimo il più profondo dolore e vicinanza ai familiari del capitano»;
          rispondendo ad altri atti di sindacato ispettivo presentati dai medesimi interroganti il Ministro ha avuto modo di affermare che «proprio in ordine all'aumento degli episodi suicidiari verificatisi nel 2010, l'istituzione ha implementato ogni forma di attività volta all'analisi/prevenzione di tali eventi, sia tramite il servizio di psicologia medica, che attraverso l'istituzione della “Commissione centrale sul fenomeno dei suicidi”, presieduta dal Sottocapo di Stato maggiore della stessa Arma dei carabinieri: tale “Commissione” ha svolto un'attenta analisi degli episodi, verificando l'estraneità al servizio delle motivazioni a base del gesto, constatando l'assoluta genericità del profilo del militare a rischio (anagrafico, familiare, psicologico, culturale, economico, operativo) e infine, accertando la correttezza dei competenti interventi (di gestione del personale, amministrativi, d'impiego), prima e dopo l'evento, così da escludere, con certezza, la delusione di aspettative rispetto all'Amministrazione»;
          ad avviso degli interroganti il fatto in premessa e quelli simili che lo hanno preceduto evidenziano l'esistenza di gravi stati di disagio vissuti dagli appartenenti all'Arma dei carabinieri, nonché il fallimento delle azioni di prevenzione e di analisi del fenomeno dei suicidi  –:
          quali immediate azioni intenda avviare per garantire la massima assistenza, comprensione e migliore soluzione possibile dei gravi disagi in cui versa il personale dell'Arma dei carabinieri. (4-16472)

      Risposta. — In merito a quanto rappresentato con l'interrogazione in esame, nel confermare integralmente i contenuti delle precedenti risposte fornite dal Dicastero, in riscontro ad atti di sindacato ispettivo di analoga tematica, si osserva che il fenomeno dei suicidi nelle Forze armate e nell'Arma dei Carabinieri, nel periodo seguente la sospensione del servizio di leva obbligatorio, si è sostanzialmente ridotto. Tale dato è emerso dal progetto «Studio relativo all'analisi osservazionale dei casi di suicidio nei militari dell'Arma» e dall'analogo «Studio per la conoscenza e prevenzione del fenomeno suicidario in ambito militare».
      Al momento si ritiene che le misure adottate forniscano uno strumento efficace di prevenzione, fermo restando che nulla verrà trascurato in futuro per attivare ulteriori iniziative, qualora consentito dall'evoluzione delle conoscenze scientifiche e metodologiche.
      Per completezza d'informazione, si fa presente, in ultimo, che nell'anno in corso sono stati registrati 14 casi di suicidio e che, in particolare, quello cui si riferisce l'interrogante risulta, verosimilmente, riconducibile a problemi di carattere familiare.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano Liberal del 22 giugno 2012 è pubblicato un articolo dal titolo «Come calmare le acque» in cui si legge «Dal presidente di Confitarma, Paolo D'Amico è arrivata un'apertura per contribuire alle spese per i team delle forze armate presenti sulle navi»;
          i Nuclei militari di protezione (NMP) sono una unità militare specializzata delle Forze armate italiane, creata con l'articolo 5 del decreto-legge n.  107 del 12 luglio 2011[1], convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011 n.  130. L'articolo 5 intitolato «Ulteriori misure di contrasto alla pirateria» prevede l'imbarco, su navi mercantili e passeggeri italiane negli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria, di «Nuclei militari di protezione (NMP)» della marina militare, che può avvalersi anche di personale delle altre Forze armate italiane. Al comandante di ciascun NMP ed al personale da esso dipendente sono attribuite, rispettivamente, le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria e di agente di polizia giudiziaria riguardo ai reati sulla pirateria previsti dagli articoli 1135 e 1136 del Codice della navigazione  –:
          quanti siano i militari impiegati fino ad oggi e per quante giornate lavorative complessivamente;
          a quanto ammonti la spesa complessiva sostenuta dalla difesa fino ad oggi;
          quanti siano stati i contributi versati dagli armatori che abbiano utilizzato i Nuclei militari di protezione a bordo delle proprie imbarcazioni, per quanti giorni e per quanti militari complessivamente.
(4-16733)

      Risposta. — In merito quesiti posti dall'onorevole interrogante con l'atto in titolo, relativamente all'impiego di Nuclei militari di protezione (Nmp) a bordo del naviglio civile che transita in acque colpite dal fenomeno della pirateria, si fa presente che, alla data del 5 luglio 2012, in 720 giorni di durata del servizio, sono stati impiegati complessivamente 94 militari (facenti parte di nuclei di massima di 6 elementi) per una presenza media giornaliera di 6/7 uomini a bordo per un totale di 4.577 giornate lavorative prestate a bordo.
      La media esatta delle presenze a bordo ai fini del calcolo è uguale a 6,357 uomini. Tale entità moltiplicata per 720 giorni complessivi di servizio fornisce il numero delle giornate lavorative (4.577) prestate a bordo complessivamente dal personale.
      La spesa complessiva provvisoriamente sostenuta dalla Difesa – direttamente correlata all'impiego dei Nmp a bordo di unità mercantili – ammonta a 2.137.459,00 euro.
      Tale somma corrisponde all'importo degli oneri da porre a carico degli armatori che fruiscono dei servizi di protezione, calcolato moltiplicando le predette 4.577 giornate lavorative per la quota giornaliera (467,00 euro) di utilizzo a bordo per persona, come quantificato nello schema di convenzione allegato al Protocollo d'intesa siglato tra il Ministero della difesa e la Confederazione Italiana Armatori (CONFITARMA) per la prestazione di servizi finalizzata alla protezione delle navi di bandiera italiana, mediante l'imbarco di NMP.
      I contributi effettivamente versati dagli armatori all'erario (ovverosia, le spese già rimborsate e per le quali si è provveduto all'integrale versamento all'entrata del bilancio dello Stato, in attesa della successiva riassegnazione allo stato di previsione della spesa del Ministero della difesa, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del decreto legge 12 luglio 2011, n.  107, convertito in legge 2 agosto 2011, n.  130) ammontano, esattamente, a 1.677.931,00 euro, corrispondenti all'importo riferito a 3.593 giorni.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano La Repubblica del giorno 6 luglio 2012 è pubblicato un articolo dal titolo «Difesa, chiesto test per Hiv nei bandi. Lila: “È una grave discriminazione”»;
          l'articolo riporta tra l'altro che «Ormai tutti i bandi del ministero della Difesa chiedono ai candidati di presentare un test Hiv negativo, pena l'esclusione. La denuncia della Lega italiana per la lotta contro l'Aids (Lila) parla di “una grave forma di discriminazione nei confronti delle persone con l'Hiv”. “Tutti i bandi del Ministero della difesa chiedono esplicitamente ai candidati di presentare un test Hiv negativo pena l'esclusione. Sia che si tratti di suonare nella Banda dell'Arma dei Carabinieri, sia si tratti di tirare con l'arco in un centro agonistico della Marina Militare”, si legge in un comunicato l'Associazione radicale Certi Diritti»;
          tale situazione, a parere degli interroganti, risulta contrastare con i disposti dell'articolo 32 della Costituzione, della legge n.  135 del 1990, della sentenza della Corte costituzionale n.  218 del 1994 e della norma internazionale dell'ILO del 17 giugno 2010 che ribadiscono, peraltro, il divieto di esecuzione indiscriminato del test HIV in qualsiasi settore lavorativo, comprese Forze Armate, di polizia e corpi di vigilanza;
          si fa anche riferimento ai contenuti dall'atto di sindacato ispettivo n.  4-14041  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali urgenti iniziative intenda intraprendere per garantire il rispetto della regolamentazione in premessa nelle procedure di selezione del personale della difesa;
          quali siano le risultanze in merito fornite dalla commissione deputata all'aggiornamento dell'elenco delle cause di non idoneità all'arruolamento nelle Forze armate nominata con decreto ministeriale 18 marzo 2010 con il compito di aggiornare e rivedere le imperfezioni e le infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare, tra cui tra l'altro ricorre la fattispecie in esame. (4-16911)

      Risposta. — In merito a quanto rappresentato con le interrogazioni in esame, si confermano integralmente i contenuti della precedente risposta fornita dal Dicastero, in riscontro all'atto n.  4-14041, richiamato dall'interrogante.
      Si ribadisce, ancora una volta, che la doverosa tutela nei confronti del soggetto sieropositivo richiede, peraltro, che lo stesso non possa essere sottoposto a fattori di stress fisici e che, al contrario, debba seguire un regime di vita e un'eventuale terapia adeguati.
      Avuto riguardo, invece, allo specifico quesito posto (atto n.  4-16911) sull'attività svolta dalla Commissione appositamente istituita per procedere all'aggiornamento dell'elenco delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare, si fa presente che la stessa ha ultimato i lavori e le relative risultanze sono, allo stato, all'esame dei competenti organi tecnici.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la Gazzetta Ufficiale 4° serie speciale n.  99 del 14 dicembre 2001 ha indetto il concorso, per titoli ed esami, per la nomina di 12 guardiamarina in servizio permanente effettivo del ruolo speciale nel corpo di commissariato militare marittimo;
          la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, del 6 dicembre 2011, n.  982, ha accolto il ricorso proposto dal signor Daloiso Michele, ha annullato parte della graduatoria ed ha condannato il Ministero della difesa al pagamento delle spese di giudizio e di risarcimento danni per violazione dei princìpi in materia di ammissione ai concorsi pubblici poiché tre concorrenti, risultati vincitori, non avrebbero potuto essere ammessi per mancanza dei requisiti morali di ammissione;
          i tre concorrenti con i ricorsi n.  3904/2012, n.  3907/2012 e n.  3911/2012 hanno proposto la revocazione della sentenza di secondo grado e la sospensione dell'efficacia della stessa;
          le ordinanze del Consiglio di Stato, sezione quarta, del 19 giugno 2012, n.  2355/2012, n.  2356/2012 e n.  2357/2012 hanno respinto le istanze cautelari;
          l'interrogazione a risposta scritta 4-15523 degli stessi interroganti, nonostante ben due solleciti, non ha trovato ancora risposta  –:
          se e quali siano i provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei membri della commissione esaminatrice e se siano state effettuate eventuali segnalazioni all'autorità giudiziaria e alla magistratura contabile;
          se non ritenga doveroso e urgente conformarsi ai dettami dell'alto consesso. (4-16984)

      Risposta. — Si risponde ad entrambe le interrogazioni in quanto afferenti la medesima tematica.
      Nel merito, faccio osservare che relativamente alla questione affrontata si è instaurato un contenzioso che risulta tuttora in atto.
      Infatti, avverso la sentenza n.  982/2012 resa dal Consiglio di Stato, IV Sezione, la Direzione generale per il personale militare ha proposto ricorso per revocazione (n.  4319/2012), con contestuale istanza di sospensione dell'esecutività della stessa, attualmente pendente.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul sito web del Corriere della sera del 16 luglio 2012 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Molestie alle marinaie, ufficiale condannato» in cui si legge che «(...) Giovanni De Stefano, capitano di corvetta della Marina militare, è stato condannato a due anni e quattro mesi di reclusione per violenza sessuale nei confronti di tre sottoposte. La sentenza è stata emessa dai giudici della quinta sezione del tribunale di Roma. I reati sarebbero stati commessi tra il 2008 e il 2009 (...) “Abusando della sua autorità”, si legge nel capo di imputazione, il capitano avrebbe costretto le marinaie “a subire ripetutamente carezze e palpeggiamenti in varie parti del corpo”. Alle vittime il tribunale ha riconosciuto una provvisionale di seimila euro a testa. Per ottenere il resto del risarcimento dei danni occorrerà una causa civile. Le tre marinaie (...) erano dipendenti di De Stefano (...)»  –:
          se il Comando di appartenenza abbia adottato le adeguate misure per prevenire e contrastare il fenomeno dello stalking e quali;
          quali siano i provvedimenti disciplinari adottati nei confronti del militare coinvolto nella vicenda. (4-17018)

      Risposta. — In ambito Difesa, il livello di attenzione sul delicato fenomeno del nonnismo, come pure su fenomeni relativi al mobbing e alle molestie sessuali, è sempre stato e continua a essere elevato.
      La condanna di ciascun evento di natura lesiva dell'integrità fisica e morale della persona è sostanziata da azioni di continuo monitoraggio, con periodici richiami nei confronti di tutto il personale, ai differenti livelli ordinativi, relativamente alla necessità di non sottovalutare gli episodi denunciati; anche le segnalazioni informali vengono, infatti, attentamente vagliate e verificate, al fine di far emergere l'eventuale sussistenza delle richiamate fenomenologie.
      Sono effettuate, inoltre, visite periodiche nei reparti per verificare la sicurezza e la «qualità della vita» nelle caserme e, in tali occasioni, viene generalmente ascoltato un gruppo di persone che costituiscono un campione rappresentativo.
      Tutte le componenti dello strumento militare impegnate nell'opera di formazione e sensibilizzazione del personale hanno elaborato specifiche direttive sulla tematica e svolgono attività di prevenzione, comunicazione e indottrinamento sia in forma diretta – attraverso colloqui, seminari e incontri periodici – sia tramite la realizzazione di opuscoli dedicati.
      Le Forze armate e l'Arma dei Carabinieri sono fortemente impegnate, a tutti i livelli di comando, nel contrasto di ogni forma di prevaricazione fisica e morale, nell'ottica di prevenire o, quantomeno, far emergere i fenomeni devianti, laddove sussistenti, sia per poterli adeguatamente e prontamente gestire, sia per salvaguardare il personale dipendente e preservare la disciplina e l'armonia negli ambienti di lavoro.
      È stato appositamente costituito l'Osservatorio permanente del nonnismo che, oltre a monitorare tutte le informazioni e i dati relativi ai casi di nonnismo, dal 2008 tiene sotto osservazione fatti riconducibili al
mobbing e alle molestie sessuali e, dal 2011, anche allo stalking.
      Sono state, altresì, emanate specifiche direttive finalizzate a prevenire e combattere qualsiasi tipo di violenza, sia verbale che fisica, ivi inclusi tutti quei comportamenti riconducibili alla «violenza di genere» e allo
stalking.
      Proprio nella finalità di tenere alto il livello di attenzione su tali tematiche, ai sensi dell'articolo 3 della legge 20 ottobre 1999, n.  380 (istitutiva del servizio militare volontario femminile), è stato costituito un Comitato consultivo del Capo di Stato Maggiore della Difesa e del Comandante Generale della Guardia di Finanza che opera ininterrottamente dal giugno 2000.
      Il consesso, composto da esperti in prevalenza di genere femminile, ha compiti di assistenza delle citate autorità nonché di indirizzo, coordinamento e valutazione del progressivo inserimento e della integrazione delle donne nelle strutture delle Forze armate (inclusa l'Arma dei Carabinieri) e del Corpo della Guardia di Finanza.
      Il principio ispiratore dell'opera del Comitato è la parità di trattamento tra i generi, ciò nella convinzione che il contributo femminile è una risorsa per le Forze armate e per la Guardia di Finanza, da armonizzare con l'organizzazione militare.
      Va altresì precisato che l'attuazione della normativa in materia di pari opportunità e la problematica relativa alla violazione dei diritti delle donne, hanno carattere di priorità nei piani di studio degli istituti di formazione, a tutti i livelli, delle Forze armate e nei programmi addestrativi destinati al personale che partecipa a missioni militari di pace, nei quali è previsto l'inserimento di moduli formativi su tali tematiche.
      Analogamente, la diffusione della cultura di genere e della conoscenza delle problematiche connesse con l'attuazione della normativa in materia di pari opportunità sono inserite in tutti i corsi già in programmazione, in materia di stato giuridico del personale e organizzazione del lavoro, presso la scuola di formazione del personale civile della Difesa, il cui accesso è aperto anche al personale militare.
      In particolare in ambito Marina militare, sin dal 2002, a seguito dell'accesso delle donne nelle Forze armate, sono state emanate le prime direttive, nelle quali si dispone che i comandi interessati effettuino attività di prevenzione, svolgendo periodiche conferenze rivolte al personale dipendente, e procedano sul piano disciplinare quando necessario.
      Successivamente, per una diffusione e una conoscenza capillare della problematica riguardante le molestie sessuali e lo
stalking, è stata redatta la pubblicazione «Norme di comportamento per il personale militare femminile», con l'inserimento di un apposito capitolo.
      Le linee di azione indicate nella direttiva e nella pubblicazione sono costantemente richiamate dai comandanti e periodicamente aggiornate, come necessario.
      Si rende noto che dai dati del richiamato Osservatorio permanente, nelle Forze armate – e nella Marina militare in particolare – le fattispecie patologiche in esame rappresentano fenomeni dalle dimensioni del tutto limitate: nel 2011, infatti, risulta un solo caso di
stalking.
      Per quanto riguarda, invece, la vicenda richiamata dall'interrogante, si fa presente che, a seguito della querela sporta dalle vittime, in data 10 dicembre 2009 il denunciato è stato inizialmente deferito in stato di libertà alla Procura di Roma e, successivamente, rinviato a giudizio, mentre la sentenza di condanna, non ancora passata in giudicato, è stata pronunciata in data 16 luglio 2012 dal tribunale penale di Roma.
      In merito ai provvedimenti adottati, a seguito della querela si è, innanzitutto, provveduto a separare in via cautelativa i rispettivi ambienti lavorativi.
      Nei confronti del militare interessato non risulta, al momento, avviato alcun procedimento disciplinare; eventuali sanzioni saranno, infatti, irrogate solo all'esito di un giudizio definitivo.
      Il comando di appartenenza ha, comunque, proposto alla competente Direzione generale del personale militare la sospensione precauzionale facoltativa prevista dall'articolo 916 del Codice dell'ordinamento militare, anche se la recente sentenza di condanna in primo grado non è ancora definitiva.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul sito web la Repubblica.it il 17 luglio è stato pubblicato un articolo dal titolo «Io, militare a L'Aquila e gli straordinari gratis» in cui si legge «Lettera firmata L'Aquila MI scuso per l'anonimato. Sono un militare di stanza a L'Aquila. Io e i miei colleghi abbiamo un disperato bisogno d'aiuto, e purtroppo essendo militari non possiamo ricorrere ad un sindacato. Stiamo lavorando all'operazione “Strade sicure” a L'Aquila per il post terremoto e lo Stato non ci paga gli straordinari da dicembre del 2010. Siamo ben consapevoli della situazione di crisi, ma noi quei soldi ce li siamo stra-sudati per strada e abbiamo mogli e figli a casa da mantenere. Le tasse le paghiamo ogni mese, paghiamo le bollette, i mutui, gli affitti e la benzina per venire a lavoro giorno dopo giorno. Qui c’è gente che deve avere dai 5 mila agli 8 mila euro di arretrati e a fine mese non ci si arriva anche perché come ben sapete ci hanno bloccato gli avanzamenti di carriera»  –:
          se i fatti narrati nell'articolo in premessa corrispondano al vero e in tale caso quali siano le immediate azioni che intenderà avviare per corrispondere al personale impiegato gli emolumenti spettanti. (4-17075)

      Risposta. — In relazione alla questione affrontata con l'atto in esame, faccio osservare che, con il passaggio di responsabilità della gestione dell'emergenza dalla Protezione civile al presidente della regione Abruzzo a far data dal 1o febbraio 2010, il mutato quadro contabile di riferimento relativo alla gestione delle risorse a disposizione del commissario delegato ha imposto il ricorso all'istituto della riassegnazione, quale modalità di ristoro/finanziamento degli oneri sostenuti/da sostenere da parte dell'Amministrazione difesa.
      A tal fine, tuttavia, sussistono alcuni profili di criticità connessi in particolare con:
          la ricezione della documentazione necessaria a cura della struttura commissariale (quietanze e/o giustificative contabili del versamento in tesoreria) per promuovere la riassegnazione a bilancio da parte del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF);
          le reali tempistiche necessarie sia al predetto dicastero per la predisposizione del relativo decreto ministeriale sia alla Corte dei conti per la registrazione di quest'ultimo che richiede, di norma, complessivamente 2/3 mesi.

      Nello specifico, relativamente al periodo dicembre 2010-agosto 2011, faccio osservare che soltanto il 22 agosto 2012 l'Esercito ha ricevuto comunicazione dell'avvenuta registrazione da parte della Corte dei conti del decreto ministeriale che dispone la variazione di bilancio, in termini di competenza e cassa, del volume finanziario dovuto.
      In esito a ciò, quindi, la Forza armata sta provvedendo all'emanazione delle specifiche disposizioni tecnico-finanziarie finalizzate alla corresponsione delle indennità spettanti al personale militare interessato.
      In proposito, vorrei sottolineare che, a premessa del decreto ministeriale in questione, la Forza armata, aveva richiesto alla struttura commissariale, nel dicembre 2011, il versamento in tesoreria degli oneri dovuti (quantificati in 3,6 milioni di euro) e solo dopo aver ottenuto, a seguito di specifici solleciti in data 27 marzo 2012 la documentazione probante, ha immediatamente avanzato, per il tramite dell'Ufficio centrale del bilancio ed affari finanziari, specifica richiesta di riassegnazione al Ministero dell'economia e delle finanze.
      Per completezza d'informazione, si rende altresì noto che, per il periodo:
          settembre-dicembre 2011, il competente organo tecnico-operativo militare ha promosso apposita richiesta di riassegnazione (per l'importo di 2,2 milioni di euro) che, per il tramite dell'Ufficio centrale del bilancio ed affari finanziari, è stata inoltrata al Ministero dell'economia e della finanze il 26 luglio 2012;
          gennaio-giugno 2012, il 9o reggimento alpini, delegato dallo Stato maggiore dell'Esercito, è in procinto di chiedere il rimborso alla competente struttura commissariale.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano on-line Città della Spezia in data 9 agosto 2012 è stato pubblicato l'articolo dal titolo «Amianto sulle navi, il pm torinese Guariniello prescrive la bonifica» in cui si legge «[...] Le navi che presentano ancora strutture in amianto dovranno essere bonificate. Lo ha prescritto il pubblico ministero della Procura di Torino Raffaele Guariniello che indaga sulle morti avvenute tra i marinai che hanno prestato servizio tra il 1981 ed oggi. Sarebbero circa 300 le vittime del mesotelioma pleurico, questo dicono i dati dell'inchiesta e che vede indagata una ventina di ufficiali. Tutti gli indagati devono rispondere di omissione colposa di cautele antinfortunistiche, mentre si valuterà caso per caso l'ipotesi di omicidio colposo. Le indagini, effettuate dagli organi di vigilanza interni alla Marina, hanno evidenziato la mancanza di impianti di aspirazione localizzata sulle navi, soprattutto durante le operazioni di manutenzione, pulizia e riparazione, e l'assenza di presidi sanitari a difesa degli operatori che vi hanno prestato servizio»;
          la risposta all'interrogazione 4-14374, presentata dagli stessi interroganti, riporta che «(...) il piano attuato dalla Marina militare per la risoluzione del problema della presenza di amianto a bordo delle unità navali è nel pieno della sua fase esecutiva e procede regolarmente, sulla base della documentazione di mappatura prodotta dal Registro italiano navale (Rina). L'attività sinora svolta ha permesso di bonificare completamente il 20 per cento e, parzialmente, il 44 per cento delle 155 unità con presenza di materiali contenenti amianto a bordo, attualmente in servizio con equipaggio fisso, nonché di avviare ulteriori attività di bonifica, tuttora in corso, la quale avviene, principalmente, nell'ambito delle soste manutentive programmate delle unità. Anche l'ambiente circostante è sottoposto a verifiche periodiche (di massima annuali) per accertare l'assenza di pericolosità per la salute del personale imbarcato (rilievo delle fibre aerodisperse, secondo un protocollo stabilito dall'Università di Genova) e ogni unità navale è dotata di specifici dispositivi di protezione individuale per le fibre di amianto, nonché di un definito protocollo d'intervento, da attuarsi nel caso si verifichino avarie a carico di impianti o componenti con materiali contenenti amianto. Le unità navali ancora non completamente bonificate vengono utilizzate nelle varie attività addestrative e operative, in quanto l'amianto, ove presente, risulta adeguatamente confinato e incapsulato, ferma restando, ovviamente, l'adozione delle richiamate misure a tutela della salute del personale imbarcato (...)»;
          alla luce dell'articolo richiamato la risposta fornita dal Ministro della difesa al citato atto di sindacato ispettivo offre un quadro che non appare agli interroganti corrispondente alla situazione descritta nell'articolo stesso  –:
          se non ritenga urgente fornire chiarimenti sulla vicenda;
          quanti e quali siano le situazioni di inquinamento ambientale riscontrate da Marivigilanza e quale sia il conseguente rischio per i lavoratori militari e i dipendenti civili delle ditte e dell'arsenale.
(4-17395)

      Risposta. — Vorrei subito chiarire, con riferimento all'articolo richiamato in premessa all'atto in esame, che non risultano prescrizioni imposte dalla procura della Repubblica di Torino in merito alle operazioni di bonifica in corso sulle unità navali.
      Anche per quanto riguarda l'attività ispettiva effettuata dagli organi di vigilanza interni della Marina militare – sia che si tratti di vigilanza svolta d'istituto che su delega del pubblico ministero – le presunte deficienze riportate nello stesso articolo, non sono supportate da alcuna documentazione relativa a tale attività.
      In particolare, l'articolo 260, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n.  90/20 stabilisce che ai servizi di vigilanza istituiti in ambito difesa, è attribuita, in via esclusiva, la competenza di vigilanza preventiva tecnico-amministrativa e di vigilanza ispettiva, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n.  81 del 2008, nonché ogni altra competenza in materia attribuita alle aziende sanitarie locali, ai sensi dello stesso decreto.
      In tema di amianto, la vigilanza preventiva tecnico-amministrativa viene attuata in relazione ai piani di bonifica di amianto presentati dalle ditte incaricate della rimozione/confinamento/incapsulamento a bordo delle navi o presso infrastrutture della Forza armata.
      L'organo di vigilanza, ai sensi del decreto ministeriale 6 settembre 1994, esamina i piani di bonifica e solo dopo la loro approvazione e un sopralluogo presso il sito interessato per verificare le condizioni del cantiere, autorizza l'inizio dei lavori, al termine dei quali esamina le analisi di laboratorio relative alle fibre aero-disperse ed effettua un sopralluogo mirato alla restituzione del sito alle normali attività.
      Per quanto concerne l'attività ispettiva finalizzata a verificare il rispetto della normativa vigente in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro a tutela del personale della Marina militare, imbarcato e non, l'organo di vigilanza, con riferimento alla problematica amianto, accerta che presso i comandi enti sia stato correttamente valutato il relativo rischio, oltre a fornire, quando richiesto, supporto all'autorità giudiziaria, mettendo a disposizione della stessa i propri ispettori in qualità di ufficiali di polizia giudiziaria.
      Quanto, invece, agli «impianti di aspirazione localizzati sulle navi», ogni locale di bordo è dotato di appositi dispositivi per assicurare estrazione e ventilazione adeguate alle specifiche caratteristiche del locale.
      Appare evidente, in considerazione di quanto finora esposto, come non vi sia alcuna incongruenza tra le indagini in corso a cura della procura della Repubblica di Torino e quanto riportato nella risposta fornita in riscontro all'interrogazione n.  4-14374, richiamata dall'interrogante.
      Ad integrazione di quanto già rappresentato in quell'occasione, faccio presente che le attività di bonifica sono proseguite: con riferimento al mese di luglio 2012, la percentuale delle unità bonificate completamente è pari al 25 per cento di quelle attualmente in servizio con equipaggio fisso, mentre quella delle unità bonificate parzialmente è pari al 54 per cento.
      Relativamente ai campionamenti di aria per la determinazione di fibre aero-disperse, eseguite periodicamente a bordo delle unità navali, non sono state riscontrate situazioni di inquinamento ambientale da fibre di amianto.
      Il rischio associato all'amianto risulta estremamente contenuto, in quanto – si ribadisce ancora una volta – tale rischio è connesso unicamente alla presenza di materiale non ancora rimosso, ma, comunque, individuato («mappato») e conservato in sicurezza («confinato e incapsulato»), secondo quanto previsto dalle norme vigenti.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 15 agosto 2012 sul sito web www.forzearmate.org è stato pubblicato un articolo dal titolo «Sentenza di assoluzione del delegato CO.I.R. dell'A.M. Papini Luca che si era rifiutato di partecipare ad una riunione del CO.I.R. di appartenenza»  –:
          quali siano state le azioni intraprese e quali quelle immediate che intenderà intraprendere per risarcire il maresciallo Papini Luca dei danni patiti;
          se alla luce della decisione dei giudici di primo grado e di appello non ritenga sia giunto il momento di estendere ai militari il pieno godimento del diritti associativi e sindacali. (4-17398)

      Risposta. — Giova evidenziare, in premessa, che in base all'articolo 882 del Testo unico dell'ordinamento militare «tutte le operazioni inerenti le rappresentanze militari sono svolte dal personale per motivi di servizio».
      Pertanto, l'esercizio del mandato non sottrae i delegati ai diritti e ai doveri derivanti dal proprio stato militare.
      Tanto premesso, riguardo al caso specifico evidenziato dall'interrogante, si partecipa che da una disamina degli atti in possesso nonché della sentenza citata nell'atto in esame, non risulta che siano stati posti in essere, da parte dell'Amministrazione militare, atti o comportamenti non conformi al diritto.
      Invero, si osserva che gli atti adottati dal Comandante di Corpo, nella vicenda in esame, nei riguardi del militare in questione, sono stati posti in essere per garantire, al livello istituzionale, effettività al mandato rappresentativo ricevuto e far sì che il delegato fosse posto nelle condizioni di adempiere ai doveri assunti nei confronti del proprio corpo elettorale ed in linea con la normativa vigente in materia.
      Con riferimento, invece, alla questione relativa alla possibilità di «estendere ai militari il pieno godimento dei diritti associativi e sindacali», si osserva, come già affermato in risposta a numerosi atti di sindacato ispettivo, che le restrizioni per il personale militare sono previste dall'articolo 1475 del decreto legislativo 15 marzo 2010 n.  66, oltre ad essere costituzionalmente legittime.
      Infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n.  449 del 1999, ha sancito la legittimità di tali restrizioni, sostenendo con peculiari osservazioni che: «Se è fuori discussione, infatti, il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, che loro competono al pari degli altri cittadini della Repubblica, è pur vero che in questa materia non si deve considerare soltanto il rapporto di impiego del militare con la sua amministrazione e, quindi, l'insieme dei diritti e dei doveri che lo contraddistinguono e delle garanzie (anche di ordine giurisdizionale) apprestate dall'ordinamento. Qui rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (articolo 52, primo e secondo comma, della Costituzione)».
      Quindi, il giudice costituzionale ha ritenuto che l'assoluta specialità della funzione svolta dalle Forze armate, la tipicità di tale organizzazione, la coesione interna, la massima operatività e neutralità della stessa, potessero garantire il rispetto delle prescrizioni contenute nell'articolo 52 della Costituzione in tema di dovere del cittadino di difesa della Patria.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          consta agli interroganti che attualmente il generale di divisione Paolo Gerometta ricopra l'incarico di Capo del I Reparto affari giuridici ed economici del personale da cui dipende anche l'ufficio trattamento economico, condizione militare e coordinamento, e che il medesimo sia anche membro del Cocer, sezione Esercito, e che in seno a detto organismo svolga la funzione di presidente essendo il più elevato di grado;
          tra le attività di competenza della rappresentanza militare rientrano quelle afferenti il trattamento economico e la condizione militare, e tali fanno assumere al citato militare la duplice veste di parte e controparte nelle attività di tutela degli interessi collettivi del personale militare;
          l'Istituto della rappresentanza militare ha dato ampia prova di essere uno strumento fortemente inadeguato per soddisfare, anche in minima parte, le crescenti necessità di tutela reclamate dal personale rappresentato che mira costantemente alla concretezza e alla libertà d'azione delle associazioni sindacali –:
          se, in attesa di una auspicabile estensione dei diritti sindacali anche al personale militare, non ritenga opportuno destinare il generale Paolo Gerometta ad altri incarichi tali da non compromettere la serenità delle azioni del consiglio che lo stesso presiede, ciò anche al fine di non azzerare completamente quella residuale attività di tutela che è sottratta al controllo del vertice militare. (4-17466)

      Risposta. — In merito alla questione evidenziata con l'atto in esame, si osserva che, sul piano normativo, non esiste incompatibilità tra l'attuale incarico del generale Gerometta, allo stato capo del I reparto – affari giuridici ed economici del personale – dello Stato maggiore dell'esercito, e il suo mandato rappresentativo.
      Tuttavia, per motivi di opportunità, il vice capo del I reparto, che ha alle sue dipendenze l'Ufficio trattamento economico, condizione militare e coordinamento, è stato formalmente collocato alle dipendenze del Sottocapo di Stato maggiore dell'esercito, per le materie riguardanti la rappresentanza militare.
      Pertanto non si ritiene né necessario, né opportuno porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con l'atto di sindacato ispettivo n.  4/17078 gli interroganti hanno chiesto di conoscere quali siano state le azioni intraprese a seguito della lettera trasmessa dal caporal maggiore capo scelto Daniele Settembrini, effettivo al 1° reggimento bersaglieri con sede a Cosenza il 13 luglio 2012, indirizzata al suo superiore gerarchico, comandante 4° compagnia del 1° battaglione bersaglieri «La Marmora», capitano Gianfilippo Cambera, e per conoscenza al comando distaccamento 1° reggimento bersaglieri, al comando distaccamento brigata bersaglieri Garibaldi, al 2° comando delle forze di difesa, al comando forze operative terrestri, con cui il predetto caporal maggiore capo scelto ha rappresentato, in modo estremamente dettagliato, l'ispezione al deposito carburanti eseguita da altri militari superiori di grado, il giorno 13 giugno 2012, al termine dell'attività lavorativa giornaliera a seguito del ritrovamento, fuori dal citato deposito, di alcuni fusti contenenti del carburante (gasolio);
          con il foglio prot. M–D E24244 0016553 del 21 agosto 2012, al caporal maggiore capo scelto Daniele Settembrini, a conclusione del procedimento disciplinare instaurato dal comandante di corpo il 24 luglio 2012, sono stati comminati sette giorni di consegna di rigore con la seguente motivazione: «Graduato in servizio al Distaccamento del reggimento bersaglieri, in data 18 luglio 2012, faceva pervenire una lettera raccomandata, a sua firma, in cui esponeva questioni attinenti il servizio di particolare gravità e delicatezza. La missiva veniva indirizzata al Comandante della compagnia di appartenenza e per conoscenza alla catena gerarchica sovraordinata ovvero al Comandante di reparto, al Comando della Brigata, al 2° Comando delle Forze di Difesa ed Comando delle Forze Operative Terrestri, non rispettando la via gerarchica ed evidenziando nel contempo un comportamento gravemente lesivo del prestigio e della reputazione del reparto d'appartenenza»;
          gli interroganti non comprendono le ragioni per cui i superiori gerarchici di Settembrini anziché accertare la veridicità di quanto riferito nella citata lettera, ed eventualmente perseguire i responsabili dei fatti nella medesima narrati, abbiano prontamente provveduto a sanzionare disciplinarmente il caporal maggiore capo scelto privandolo della libertà per 7 giorni consecutivi con la motivazione di non aver rispettato la via gerarchica. Agli interroganti appare, invece, inequivocabile che il militare scrivendo direttamente al suo diretto superiore, il «Comandante della compagnia di appartenenza», abbia adempito ai suoi doveri e il fatto che abbia anche informato anche altri militari sovraordinati non sembra costituire una violazione delle norme dell'ordinamento militare che, sul punto controverso, non dispongono alcun divieto espresso;
          appare agli interroganti gravemente lesivo dell'onore e del prestigio delle Forze armate il fatto di aver sanzionato il militare che ha avuto il coraggio di segnalare al proprio superiore diretto degli avvenimenti che certamente meritano accurate indagini da parte delle autorità giudiziarie competenti;
          tra le accuse rivolte al caporal maggiore capo scelto Settembrini vi è anche quella riferita all'articolo 719 (spirito di corpo) del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90. Gli interroganti non ne comprendono le ragioni; ci si chiede se tale accusa sia dovuta ad una svista dell'autorità militare che ha inflitto l'incomprensibile sanzione disciplinare, dal momento che essa potrebbe essere interpretata quale monito al destinatario della sanzione affinché, in futuro, non riferisca ad altri gli avvenimenti di cui dovesse venire a conoscenza;
          sono numerosi gli atti di sindacato ispettivo che gli interroganti hanno rivolto al Ministro della difesa in merito a fatti accaduti presso il 1° reggimento bersaglieri  –:
          se non ritenga opportuno intervenire con la massima urgenza consentita presso i vertici del reggimento affinché l'azione di «governo del personale» sia improntata al massimo rispetto di quei chiari principi di legalità e trasparenza che ad ogni livello devono caratterizzare l'azione amministrativa;
          quali immediate iniziative intenda intraprendere per accertare la veridicità dei fatti descritti nella lettera citata in premessa;
          se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza affinché si possa pervenire all'annullamento dell'atto con cui è stata comminata al caporal maggiore capo scelto Daniele Settembrini la grave sanzione disciplinare di 7 giorni di consegna di rigore. (4-17540)

      Risposta. — All'interrogazione scritta n.  4-17078 citata nelle premesse dell'atto, il Dicastero ha fornito riscontro in data 13 settembre 2012.
      Si rimanda, pertanto, integralmente ai contenuti di quella risposta.
      Per quanto attiene, più specificamente, il provvedimento disciplinare datato 21 agosto 2012, con cui il volontario in argomento è stato sanzionato dal comandante di distaccamento del 1o Reggimento bersaglieri con n.  7 giorni di consegna di rigore, si rappresenta che tale provvedimento:
          è stato adottato per la violazione degli articoli 715, 751 (comma 1, lettera
a), n.  17), 735, 713 e 719 del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010;
          appare pienamente conforme al precetto normativo, sia per la tipologia di sanzione che per la quantità della stessa in relazione alla condotta contestata all'interessato.

      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.