XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 18 dicembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


      La Commissione III,
          premesso che:
              il Parlamento europeo e il Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite hanno a più riprese, e quest'ultimo nel novembre 2012, approvato risoluzioni nelle quali hanno condannato le violazioni sistematiche, diffuse e gravi dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali e gli abusi sistematici, diffusi e gravi dei diritti umani compiuti dalle autorità della Repubblica democratica popolare di Corea (RDPC), in violazione della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e delle convenzioni internazionali sui diritti umani;
              il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è più volte espresso approvando risoluzioni per denunciare la minaccia alla Sicurezza e alla pace internazionale rappresentata dagli esperimenti balistici e dai programmi nucleari portati avanti dalla Repubblica democratica popolare di Corea;
              le sistematiche, e ripetute nel tempo, violazioni dei diritti umani in corso in Corea del Nord potrebbero essere passibili di un'iniziativa giurisdizionale della Corte penale internazionale per accertare la commissione di crimini contro l'umanità, su mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU;
              la Corea del Nord applica la pena di morte attraverso esecuzioni pubbliche a seguito di processi che non rispettano gli standard sul diritto di difesa, e vi sono state accuse circostanziate da parte di organizzazioni non governative sulla continuazione di esecuzioni extragiudiziali, come pure sul ricorso sistematico alla tortura o ai lavori forzati come pene inumane e degradanti;
              l'esercizio della libertà di espressione in Corea del Nord è costantemente impedito dalle autorità di governo, che limitano in modo molto stretto l'accesso anche ai nuovi strumenti di comunicazione quali internet;
              l'accesso all'assistenza alimentare internazionale da parte della popolazione civile è stato ed è fonte di grande preoccupazione per le numerose limitazioni che vengono poste dalle autorità nordcoreane alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative indipendenti, nell'operare all'interno del paese per monitorare la correttezza della distribuzione degli aiuti;
              il 12 dicembre 2012, la Corea del Nord ha lanciato con successo un missile a lunga gittata che numerosi governi e istituzioni internazionali hanno considerato una aperta violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU, e non il lancio di un satellite per scopi civili come affermato dalle autorità coreane,

impegna il Governo:

          a chiedere, sia in sede bilaterale che in sede europea, alla Repubblica democratica popolare di Corea di porre fine alle esecuzioni pubbliche, anche attraverso una moratoria in vista dell'abolizione della pena di morte, come chiesto dalle risoluzioni dell'Assemblea generale dell'ONU approvate a partire dal 2007;
          ad agire in sede bilaterale ed internazionale, affinché le autorità nordcoreane garantiscano l'accesso nel Paese delle organizzazioni internazionali, incluse le organizzazioni non governative, che si occupano dell'assistenza alimentare ed umanitaria, in modo da poter monitorare la distribuzione degli aiuti alla popolazione civile;
          a chiedere, in sede bilaterale ed europea, in particolare alla Cina, di favorire i programmi internazionali di assistenza a favore dei rifugiati nordcoreani che si trovano nel territorio cinese sia attraverso l'UNHCR che attraverso le organizzazioni non governative che si occupano della loro sicurezza, evitandone il rimpatrio forzato in Corea del nord;
          ad operare, sia in sede bilaterale che in sede europea, per chiedere alla Repubblica democratica popolare di Corea di porre immediatamente fine alle violazioni dei diritti umani e di verificare, attraverso l'istituzione di una commissione di inchiesta internazionale, la possibile commissione di gravi crimini contro l'umanità affinché possano essere soggette alla giurisdizione penale internazionale;
          a chiedere, sia in sede bilaterale che in sede europea, che la Corea del nord sospenda i programmi nucleari e militari, come chiesto dalle risoluzioni approvate dal Consiglio di sicurezza dell'ONU e che indirizzi le ingenti risorse economiche necessarie per realizzare tali programmi per il sostentamento della popolazione civile più povera di quel paese.
(7-01077) «Mecacci, Tempestini».


      La VI Commissione,
          premesso che:
              l'articolo 10-ter del decreto legislativo n.  74 del 2000 punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo (27 dicembre), per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta;
              relativamente a tale fattispecie penale l'Agenzia delle entrate, nella Circolare 4 agosto 2006, n.  28/E, ha sottolineato che: «... Il comportamento del soggetto che non versa l'IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è assimilato dal legislatore, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto d'imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti...»;
              le condizioni per la rilevanza penale dell'omesso versamento del saldo IVA sono dunque due: una temporale ed una relativa all'ammontare dell'imposta non versata ed il reato si consuma nel momento in cui l'omesso versamento si protrae oltre «il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo»;
              tenuto conto che il versamento dell'acconto IVA è fissato al 27 dicembre, la citata Circolare n.  28/E ha specificato che: «... per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l'omissione del versamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo d'imposta di riferimento»;
              il predetto principio è stato sancito anche dalla Corte di cassazione, nella Sentenza 3 novembre 2010, n.  38619;
              il merito alla condizione quantitativa prevista per l'applicazione della sanzione penale, il citato articolo 10-ter richiama i limiti previsti dall'articolo 10-bis del decreto legislativo n.  74 del 2000, e pertanto l'omesso versamento dell'IVA assume rilevanza penale soltanto qualora, trascorso il termine sopra indicato, l'imposta non versata è di ammontare superiore a euro 50.000 per ciascun periodo d'imposta: è pertanto evidente che non assumono rilevanza penale, e sono sanzionati solo a livello amministrativo (con sanzione pari al 30 per cento) gli omessi versamenti relativi ai saldi delle liquidazioni IVA periodiche (mensili o trimestrali);
              la fattispecie penale di omesso versamento IVA sopra soglia, oltre che di quello in materia di ritenute certificate, di cui ai predetti articoli 10-bis e 10-ter del decreto legislativo n.  74 del 2000, oggi classificata quale «reato istantaneo», necessiterebbe di un'attenta rivisitazione, soprattutto alla luce della perdurante congiuntura economica sfavorevole: in sostanza, considerata la modesta entità della soglia (50.000 euro) oltre la quale il debito non onorato determina l'ipotesi di fattispecie penale, sovente gli imprenditori in difficoltà preferiscono privilegiare il pagamento di salari e stipendi, ovvero provvedere ad attività dirette al salvataggio delle proprie aziende, differendo il soddisfacimento delle pretese erariali;
              considerato ciò, non sono infrequenti casi rispetto ai quali un'interpretazione eccessivamente rigoristica della normativa vigente in materia risulta quanto meno discutibile: si consideri, ad esempio, il caso di un amministratore di società che non riesce a versare le imposte (IVA o ritenute), perché a sua volta un proprio cliente non ha onorato gli impegni verso l'azienda che amministra, ovvero a causa della carenza di liquidità dovuta alla congiuntura economica sfavorevole;
              con la stessa logica occorre riflettere sulla possibilità di cancellare tale reato in caso di eventuale accordo con l'amministrazione finanziaria (con successivo ed effettivo pagamento delle rate), successivo alla scadenza del termine ultimo di pagamento, avente per oggetto un piano di rientro del debito;
              in tale contesto dovrebbe pertanto essere accolto con favore l'orientamento, espresso dal tribunale di Firenze, secondo cui la condizione di illiquidità non rende l'amministratore perseguibile penalmente, anche se questi risulti inadempiente al pagamento dell'IVA,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di modificare la soglia quantitativa oltre la quale l'omesso versamento IVA si configura come illecito penale, provvedendo ad innalzarla da 50.000 euro ad almeno 100.000 euro.
(7-01073) «Pagano».


      La VI Commissione,
          premesso che:
              la gestione del patrimonio pubblico, in particolare per quanto riguarda i beni immobili del demanio, rappresenta uno fattore essenziale per la politica economica del Paese;
              nelle attuali condizioni della finanza pubblica, un'operazione di corretta ed equilibrata valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti locali rappresenta uno strumento fondamentale per recuperare nuove risorse da destinare ai prioritari obiettivi di politica economica;
              è evidente, infatti, come non sia opportuno procedere ad ulteriori innalzamenti della pressione fiscale, che ha già raggiunto livelli elevati, e come sia quindi necessario incrementare le altre risorse di cui lo Stato può disporre;
              in tale contesto, da tempo è in corso un dibattito su quali siano le modalità e gli strumenti più adatti per fare in modo che l'ingentissimo patrimonio immobiliare dello Stato, cui si aggiunge quello degli enti locali, possa diventare una fonte cui attingere per abbattere il debito pubblico, riequilibrare il carico tributario, nonché individuare risorse da destinare al sostegno dei consumi delle famiglie e al rilancio degli investimenti produttivi;
              nonostante i numerosi interventi normativi che hanno interessato, almeno nelle ultime tre legislature, tale settore, non sono stati ancora realizzati passi avanti decisivi in merito;
              in particolare, un elemento preliminare per consentire una razionale gestione e un'efficace valorizzazione di tali cespiti è rappresentato dal meccanismo di censimento degli immobili pubblici e del loro utilizzo (cosiddetto progetto «patrimonio della pubblica amministrazione»), previsto dall'articolo 2, comma 222, della legge n.  191 del 2009, il quale, tra l'altro, stabilisce che:
                  tutte le amministrazioni pubbliche che utilizzano o detengono, a qualunque titolo, immobili di proprietà dello Stato o di proprietà dei medesimi soggetti pubblici, trasmettono al Ministero dell'economia e delle finanze l'elenco identificativo dei predetti beni, ai fini della redazione del rendiconto patrimoniale delle amministrazioni pubbliche a valori di mercato, e comunicano annualmente le eventuali variazioni intervenute;
                  le amministrazioni dello Stato comunicano annualmente all'Agenzia del demanio la previsione triennale circa il loro fabbisogno di spazio allocativo e delle superfici da esse occupate non più necessarie;
                  le medesime amministrazioni comunicano all'Agenzia del demanio, entro 30 giorni dalla stipula, l'avvenuta sottoscrizione del contratto di locazione e trasmettono alla stessa Agenzia copia del contratto;
                  le predette amministrazioni comunicano all'Agenzia del demanio, entro il 30 giugno 2010, l'elenco dei beni immobili di proprietà di terzi utilizzati a qualsiasi titolo, al fine della predisposizione di un piano di razionalizzazione degli spazi, da parte dell'Agenzia del demanio;
                  gli enti di previdenza inclusi tra le pubbliche amministrazioni effettuano un censimento degli immobili di loro proprietà, con specifica indicazione degli immobili strumentali e di quelli in godimento a terzi;
              tale problematica è stata posta, nel corso dell'intera legislatura, al centro dei lavori della Commissione finanze, la quale ha svolto un'indagine conoscitiva sull'utilizzo degli immobili di proprietà dello Stato da parte delle amministrazioni pubbliche, ha esaminato in sede referente la proposta di legge C. 4149 Comaroli, volta a fissare parametri in base ai quali stabilire l'effettivo fabbisogno di spazi da parte dalle singole amministrazioni e a ottimizzare la gestione degli immobili pubblici, il cui contenuto è in larga parte confluito nell'articolo 3 del decreto-legge n.  95 del 2012, ed ha inoltre svolto negli ultimi mesi le audizioni del direttore dell'Agenzia del demanio, dell'Amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti e del direttore della direzione finanza e privatizzazioni del dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze;
              nell'ambito di tale articolato lavoro istruttorio e legislativo è emerso come uno dei problemi principali che stanno rallentando il processo di valutazione circa la consistenza e il valore degli immobili demaniali pubblici sia rappresentato dai ritardi nei flussi informativi che le amministrazioni proprietarie o utilizzatrici degli immobili stessi sono tenuti a far pervenire, nonché dalla mancanza di un disegno sinergico che metta a fattor comune le competenze ed il patrimonio informativo posseduto dalle diverse amministrazioni statali, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra Ministero dell'economia e delle finanze e agenzie fiscali;
              al riguardo si è rilevato, infatti, come su circa 11.000 amministrazioni coinvolte nel progetto, al momento la risposta alla rilevazione sia stata data da solo circa 5.900 amministrazioni, per una percentuale complessiva del 53 per cento;
              appare pertanto necessario un ulteriore intervento del Governo che permetta di compiere un cambio di passo in tale processo, innanzitutto realizzando un più forte coordinamento tra tutte le amministrazioni interessate, incrementando la consapevolezza, da parte di queste ultime, circa la strategicità del progetto, in quanto la conoscenza del patrimonio pubblico è presupposto ineludibile per porre in essere operazioni di valorizzazione o vendita credibili ed efficaci,

impegna il Governo:

          a rafforzare in termini incisivi la disciplina in materia di censimento del patrimonio immobiliare pubblico di cui all'articolo 2, comma 222, della legge n.  191 del 2009, al fine di portare a conclusione tale procedura di rilevazione delle consistenze degli attivi patrimoniali delle amministrazioni pubbliche per quanto riguarda i fabbricati e i terreni, e di disporre di un insieme esaustivo di dati relativi a tutti gli immobili pubblici, che contenga l'anagrafica completa dei singoli immobili, in particolare prevedendo, a tal fine:
              a) più strette forme di coordinamento e collaborazione istituzionale ed operativa tra tutte le articolazioni della pubblica amministrazione coinvolte nel predetto processo, eliminando le lacune emerse finora in termini di comunicazione e condivisione delle informazioni tra di esse;
              b) l'utilizzo del patrimonio di conoscenze accumulato dall'Agenzia del territorio, ora accorpata nell'Agenzia delle entrate, in particolare disponendo che l'Agenzia sia pienamente coinvolta nel meccanismo di censimento e successiva valorizzazione dei beni, in specie per quanto riguarda la fornitura dei dati catastali relativi ai singoli immobili e la realizzazione delle valutazioni circa il valore di mercato degli immobili stessi;
              c) estendere concretamente, oltre che in linea di principio come previsto dalla disciplina vigente, anche alle amministrazioni locali, le quali risultano proprietarie di una fetta significativa del patrimonio immobiliare (ad esempio dell'80 per cento delle unità immobiliari), il meccanismo di rilevazione, e individuare più efficaci forme di supporto ed affiancamento da parte delle amministrazioni pubbliche che dispongano di professionalità specifiche in materia di rilevazione, valutazione e valorizzazione del patrimonio pubblico (in particolare l'Agenzia del territorio, l'Agenzia del demanio e le competenti strutture del dipartimento del tesoro) nei confronti delle predette amministrazioni locali, soprattutto con riferimento alle piccole realtà locali, che non dispongono delle necessarie risorse umane e strumentali.
(7-01074) «Bernardo, Fluvi, Fugatti, Cera, Della Vedova, Barbato, Pugliese».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              il fatturato complessivo delle aziende che si occupano di ricerche di mercato, sondaggi di opinione e ricerca sociale è di oltre 600 milioni di euro e rappresenta circa l'80 per cento del volume complessivo di affari dell'intero settore;
              il settore delle ricerche di mercato coinvolge, in Italia, circa 160 aziende con un totale di 5.900 addetti e circa 20.000 collaboratori;
              il settore si occupa di fornire consulenza a enti pubblici e aziende private offrendo una base informativa necessaria a decisioni strategiche, indispensabili per gli investimenti che si vogliono sviluppare e attrarre in Italia;
              l'attività degli istituti si concretizza in circa 18.000 progetti di ricerca/consulenza all'anno;
              ciascuno dei suddetti progetti prevede il reperimento di informazioni presso i cittadini/consumatori, le aziende e/o l'osservazione di ciò che accade;
              per lo svolgimento delle proprie attività gli istituti si avvalgono di personale addetto alla raccolta di dati/informazioni che opera effettivamente in modo autonomo, secondo la propria disponibilità di tempo;
              tale personale-rappresentato da 20.000 collaboratori-viene attivato ad hoc per ciascuna commessa, rappresentando quindi una voce di costo variabile direttamente legata alla presenza di una attività da svolgere;
              fino a prima della recente riforma «Fornero» tali collaboratori erano inquadrati con contratti di lavoro a progetto;
              le norme dettate dalla legge n.  92 del 2012 in tema di lavoro a progetto impongono soluzioni normative non compatibili con la particolare tipologia di attività connessa con la raccolta dati/informazioni;
              tale situazione rischia di porre in seria difficoltà tutte le aziende del settore che, trovandosi gli attuali contratti in scadenza (buona parte al 31 dicembre 2012) non è in grado di identificare una nuova forma contrattuale di inquadramento;
              le aziende del settore necessitano di uno strumento flessibile e modulabile in relazione alle variabili e imprevedibili esigenze della clientela;
              l'applicazione generalizzata del contratto di lavoro subordinato, come disciplinato dalla riforma «Fornero», rischia di generare costi insostenibili per il settore, a fronte di una tipologia contrattuale fin troppo vincolante per il collaboratore, fatto che potrebbe anche causare la chiusura/il trasferimento all'estero di attività che generano ricchezza in Italia;

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza per l'introduzione di una specifica eccezione ai contratti di lavoro a progetto – di cui al comma 1 dell'articolo 61 del decreto legislativo n.  276 del 2003 – per cui qualora si debba stipulare un contratto a progetto nel settore delle ricerche di mercato, statistiche e scientifiche non finalizzate alla vendita diretta di beni, il progetto possa prescindere da un determinato risultato finale riconducibile all'attività del singolo operatore, a condizione che venga salvaguardata l'autonomia dello stesso, considerato che intervenire in tal senso risulta di importanza vitale per le aziende del comparto che, in assenza di tale misura, rischiano di essere messe fuori mercato a causa di una eccessiva ed ingiustificata rigidità nella gestione dei collaboratori, cosa che avrebbe, come immediata conseguenza, che i contratti degli attuali 20.000 collaboratori non sarebbero rinnovabili, e che sarebbero a rischio anche i posti di lavoro dei 5.900 addetti del settore.
(7-01076) «Moffa, Antonino Foti, Pelino».


      La XII Commissione,
          premesso che:
              è interesse diffuso e condiviso, oltre che obiettivo lungamente atteso dalle persone affette da epilessia e dalle loro famiglie, il potenziamento delle norme riguardanti il riconoscimento della guarigione delle persone affette da epilessia, per poter garantire un pieno riconoscimento dei loro diritti sul piano dell'integrazione sociale. Questa risoluzione intende dare testimonianza del forte interesse per vedere risolte definitivamente alcune questioni che da troppo tempo attendono risposta;
              il termine epilessia deriva dal greco «epilepsis», che significa attacco (il verbo è epilambanein «essere sopraffatti, essere colti di sorpresa») e sta ad indicare una modalità di reazione del sistema nervoso centrale a stimoli diversi. L'epilessia è quindi una sindrome neurologica con crisi improvvise. Le crisi epilettiche sono provocate da un'iperattività delle cellule nervose cerebrali evidenziabile con l'elettroencefalogramma, seguita da un periodo più o meno lungo di completa inattività. In questi casi si verifica un'eccessiva attività funzionale del sistema nervoso per cui, alcuni neuroni della corteccia cerebrale, incominciano ad attivarsi ad un ritmo molto superiore al normale, producendo una scarica. Fin dal 1965, con un decreto dell'allora Ministero della sanità venne riconosciuta come malattia sociale. Ancora oggi preconcetti e pregiudizi che circondano la malattia creano disagio nelle persone che ne sono affette e le spingono a non parlare del loro status, nel timore di essere mal compresi e discriminati;
              l'epilessia colpisce fra lo 0,6 e l'1 per cento della popolazione (si stima che in Italia siano fra 350.00 e 500.00 le persone affette da epilessia) e può manifestarsi ad ogni età ed in forme assai diverse; data la sua varietà, si parla genericamente di epilessie ed è quindi importante, nel classificarle, tenere conto della loro causa e distinguere quelle sintomatiche, che si manifestano nel corso di altri stati morbosi, dall'epilessia idiopatica, di cui non si conosce l'origine. In un buon numero di casi non si riesce a trovare la causa dell'epilessia che viene pertanto definita cripto genica;
              la recente relazione sullo stato sanitario nel paese 2010-2011 afferma che in Italia le persone affette da epilessia sono circa 500.000, di cui circa 125.000 presentano forme resistenti alla terapia farmacologica. L'incidenza annuale di epilessia in Italia è di 33,1 nuovi casi per 100.000 abitanti, per un totale di 29.500-32.500 nuovi casi per anno. Occorre ricordare che l'epilessia è una malattia neurologica che si esprime in forme molto diverse. Fra le sindromi epilettiche si distinguono epilessie generalizzate e localizzate, sintomatiche (dovute a malformazioni, traumi, tumori ed altre cause) e idiopatiche (causate da un difetto genetico). Tale diversità si riflette nelle prognosi relative alle diverse patologie: la maggior parte delle epilessie sono compatibili con una vita assolutamente normale; mentre alcune forme presentano invece una maggior gravità. L'incidenza dell'epilessia, con le crisi che la caratterizzano, è più alta nel primo anno di vita del bambino e si riduce successivamente;
              viene abitualmente curata con terapia farmacologica e in alcuni casi con una chirurgia specifica. La terapia farmacologica prevede l'utilizzo di farmaci antiepilettici (FAE), per impedire l'insorgere delle crisi. I farmaci tradizionali, utilizzati fin dalla anni ’80, quando vengono prescritti in modo appropriato, consentono al 55 per cento dei pazienti di nuova diagnosi di ottenere il controllo completo delle crisi immediatamente dopo l'inizio del trattamento, mentre un ulteriore 10-20 per cento raggiunge la remissione dopo una o più variazioni nel dosaggio dei farmaci o dopo aver cambiato il tipo di farmaco. Soltanto il 30-40 per cento dei pazienti risulta resistente al trattamento farmacologico con i FAE tradizionali. L'utilizzo dei FAE è condizionato oltre che dall'efficacia anche dalla tollerabilità. A partire dagli armi ’90 sono stati sviluppati e messi in commercio nuovi FAE, il cui impiego è risultato più tollerato e la cui efficacia risulta più incisive;
              nonostante l'adeguatezza del trattamento farmacologico, circa il 20-30 per cento dei pazienti risulta resistente ai farmaci a disposizione. Un'importante quota di questi pazienti (circa il 15-20 per cento) può giovarsi di un intervento neurochirurgico. La chirurgia dell'epilessia ha lo scopo di migliorare un'epilessia non trattabile con i farmaci, abolendone o riducendo significativamente le crisi ed è attuabile soltanto nelle forme con crisi focali. Attualmente, in Italia vengono operati circa 200-250 pazienti per anno, mentre i possibili candidati si aggirano attorno a 7000-8000. La chirurgia dell'epilessia deve essere effettuata in centri di alta qualificazione, richiede la stretta collaborazione di un gruppo di specialisti con competenze diverse e deve possedere condizioni tecniche appropriate, che rispondano a standard di qualità necessari per essere accreditati. I pazienti farmacoresistenti che non possono effettuare la chirurgia resettiva tradizionale (circa il 30-40 per cento) possono essere sottoposti all'impianto di stimolazione vagale (VNS), una ulteriore opzione terapeutica attraverso la quale, con un meccanismo di stimolazione del nervo vago, si determina una diminuzione della frequenza delle scariche elettriche al cervello consentendo un miglioramento ed anche la scomparsa delle crisi epilettiche;
              si può affermare che gran parte delle sindromi epilettiche, in particolare quelle idiopatiche, possono essere controllate con cure adeguate fino alla completa remissione; chi ne è affetto può condurre una normale vita scolastica, lavorativa e sociale. In Italia i servizi sanitari che si rivolgono ai pazienti con epilessia sono strutturati in modo vario e diversificato nelle diverse regioni e prevedono la presenza di neurologi dell'adulto o dell'età evolutiva. I centri per l'epilessia dedicati presentano una adeguata organizzazione e strutturazione con la cooperazione di medici con competenze epilettologiche specifiche e di altri professionisti (psicologi, tecnici di neurofisiopatologia, infermieri professionali, assistenti sociali). Nelle linee Guida per la Diagnosi e il trattamento dell'epilessia si sottolinea inoltre l'importanza della creazione di una rete regionale o interregionale per le epilessie, per garantire il conseguimento di obiettivi assistenziali comuni da sottoporre a verifica continua;
              in definitiva, per quanto riguarda la prognosi, ossia l'evoluzione delle epilessie, si può dire che ci sono epilessie che hanno una prognosi eccellente, il 20-30 per cento, come ad esempio le epilessie idiopatiche dell'infanzia che possono guarire anche in assenza di terapia. Esistono poi delle epilessie con una prognosi buona, come la maggioranza delle epilessie, che possono avere non solo una completa remissione ma per le quali si può anche programmare la sospensione della terapia quando si sia arrivati alla guarigione. Ci sono però anche epilessie a prognosi incerta e a prognosi sfavorevole, in cui effettivamente la probabilità di arrivare ad una remissione delle crisi, allo stato attuale, non è ancora ipotizzabile. Ognuno di questi pazienti ha bisogno diversi a cui occorre dare risposte adeguate;
              le persone affette da epilessia sono spesso costrette ad affrontare i problemi correlati non solo alla malattia, ma anche ai pregiudizi e alla disinformazione collegati alla patologia, che vale la pena ricordare presenta molte varianti accomunate dalla stessa connotazione neurologica, ma distinte per prognosi e per approccio terapeutico. I persistenti preconcetti culturali e la mancanza di un'adeguata conoscenza della malattia, «costituiscono la base concreta della condizione discriminante» delle persone affette da epilessia, una malattia sociale, come qualificata dal decreto del Ministero della sanità 5 novembre 1965, per la quale viene riconosciuta l'importanza, dell'informazione e dell'educazione sanitaria, nonché della predisposizione di adeguati programmi;
              la piena integrazione sociale delle persone affette da epilessia richiede, quindi, un intervento di natura culturale, che passa attraverso un'informazione corretta che non può rimanere circoscritta agli esperti del settore ma, dopo aver offerto ai genitori dei bambini epilettici un opportuno piano di educazione medica, deve raggiungere capillarmente insegnanti, animatori sociali, responsabili del personale e comunque la maggior parte possibile della opinione pubblica;
              servono non solo azioni concrete per migliorare le terapie, ma anche interventi puntuali per favorire l'integrazione delle persone affette da epilessia. A tutti deve apparire chiaro che di epilessia si guarisce: almeno nel 60 per cento dei casi, e questa percentuale può crescere con il miglioramento delle conoscenze scientifiche. Riconosciuto superamento della condizione patologica deve contribuire a rimuovere le limitazioni e le discriminazioni generate non solo dalla patologia, ma anche dal pregiudizio che circonda la patologia stessa. Tutto ciò è funzionale ad un pieno riconoscimento dei loro diritti di cittadinanza;
              nel 2011 con un'ampissima convergenza di consensi il Parlamento europeo ha approvato una dichiarazione in cui si invitavano la Commissione e il Consiglio a:
                  incoraggiare la ricerca e l'innovazione nel settore della prevenzione e della diagnosi precoce e il trattamento di epilessia;
                  porre l'epilessia quale priorità in quanto malattia grave che impone un onere significativo in tutta Europa;
                  adottare iniziative per incoraggiare gli Stati membri a garantire pari qualità di vita, anche in materia di istruzione, occupazione, trasporti e sanità pubblica, per le persone con epilessia, per esempio stimolando lo scambio di buone pratiche;
                  favorire efficaci valutazioni dell'impatto sanitario su tutte le principali politiche europee e nazionali, sollecitando gli Stati membri ad introdurre una normativa adeguata per proteggere i diritti di tutte le persone con epilessia;
              atti parlamentari depositati in questo ramo del Parlamento evidenziano l'interesse generale del tutto scevro da pregiudizi e la piena collaborazione con le principali associazioni scientifiche che si occupano di epilessia quali la LICE (Lega italiana contro l'epilessia) e la SINP (Società italiana di neurologia pediatrica) e con le Associazioni di persone affette da epilessia, l'AICE (Associazione italiana contro l'epilessia) e la FIE (Federazione italiana epilessie), alla quale fanno riferimento molte altre associazioni che si occupano di persone con epilessia sul territorio nazionale. Si tratta di uno dei punti più alti della collaborazione tra il mondo della politica e il mondo scientifico, tra le istituzioni impegnate nella tutela dei diritti dei malati e le associazioni delle persone direttamente interessate ai problemi in questione,

impegna il Governo:

          a promuovere il riconoscimento della piena cittadinanza delle persone con epilessia e la rimozione delle cause che ne generano discriminazione, tra i principi di universalità, indivisibilità ed interdipendenza dei diritti, sanciti dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (13 dicembre 2006) ratificata con la legge 3 marzo 2009, n.  18;
          ad adottare ogni possibile iniziativa volta a fare decadere tutte le limitazioni e le discriminazioni legate alla precedente condizione di malattia e alla persona, ivi comprese anche le dichiarazioni, ora obbligatorie, riferite alla precedente condizione;
          ad assicurare che la cura della persona con epilessia, in età evolutiva, adulta o anziana, avvenga su progetto individuale ed offra, in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, almeno per quanto riguarda i livelli essenziali, sia per l'aspetto sanitario sia sociale, personale medico altamente specializzato – in neurologia e discipline affini quali la neuro psichiatria infantile e la neuro pediatria – e percorsi d'inclusione scolastica, lavorativa e comunque sociale che evitino possibili forme di discriminazione;
          ad assumere iniziative normative urgenti che garantiscano ai bambini affetti da epilessia di essere seguiti sotto il profilo terapeutico da personale medico altamente specializzato proprio sul piano della neuro pediatria e di poter trovare nel contesto scolastico tutti gli aiuti didattici di cui hanno bisogno, senza che questo crei possibili forme di discriminazione;
          a garantire che i soggetti che presentano farmaco-resistenza, circa il 30 per cento delle quasi 500.000 persone con epilessia in Italia, possano avere accesso a terapie adeguate anche sotto il profilo chirurgico e possano contare sulla necessaria assistenza medica senza incorrere in inutili e faticose trafile burocratiche;
          ad assumere ogni iniziativa di competenza volta a promuovere, attraverso investimenti urgenti in questo campo, corsi post universitari di neurologia come pure di neuro-pediatria e discipline affini, sempre più qualificati e atti a garantire che la ricerca scientifica in questo campo possa proseguire con la consapevolezza che questa patologia ha conquistato oggi oltre il 50 per cento di remissione completa in tempi brevi e questo margine si potrebbe dilatare se fosse possibile attivare una più intensa e concreta ricerca in campo farmacologico, e non solo;
          ad assumere iniziative per la costituzione di un organismo per lo studio delle epilessie, grazie anche ad una collaborazione ampia ed articolata con le scuole di specializzazione di neurologia e di neuro-pediatria, affinché sostengano l'acquisizione di competenze specifiche nel campo della epilettologia e della gestione del paziente affetto da epilessia;
          a promuovere una normativa quadro sulla epilessia che offra risposte integrate a tutti i bisogni delle persone affette da epilessia, grazie anche alla collaborazione di un Comitato nazionale permanente, a cui possano partecipare i rappresentanti delle persone con epilessia e i professionisti impegnati nei servizi alla loro cura, dando così piena cittadinanza a chi vive questa patologia, riconosciuta come «malattia sociale» con decreto ministeriale n.  249 del 1965.
(7-01075) «Binetti, Barani, Livia Turco, Mosella, Farina Coscioni, Nunzio Francesco Testa, De Poli, Patarino, Bocciardo, Castellani, Porcu, Roccella, Ciccioli, Oliveri, Pedoto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


      BELLANOVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          dagli organi di comunicazione si apprende che i lavoratori dell'emittente pugliese Antenna sud sono in stato di agitazione e lamentano di non ricevere lo stipendio ormai dalla scorsa estate e di trovarsi in forti difficoltà;
          queste situazioni drammatiche che vedono coinvolti i lavoratori e gli operatori del mondo della comunicazione oramai, purtroppo, si susseguono in modo inquietante. La stessa interrogante nel corso di questi ultimi mesi ha presentato numerosi atti parlamentari per segnare questa escalation di tragiche vicende personali e collettive che minano la serenità familiare ed economica di tantissimi lavoratori;
          a testimoniare la drammaticità di queste situazioni, semmai ce ne fosse ancora bisogno, c’è una nota pubblica nella quale si legge che «i lavoratori di Antenna Sud, riuniti sotto le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, da oggi e sino al 15 dicembre sono in sciopero perché non possono più garantire i livelli elementari di sussistenza per se stessi e per le proprie famiglie. L'ultimo stipendio percepito è stato quello di agosto scorso, e l'ultima quota di cassa integrazione ricevuta risale al luglio scorso. All'insolvibilità da parte dell'azienda, si è aggiunta l'insolvenza degli enti preposti al pagamento degli ammortizzatori sociali, nonché l'indifferenza silenziosa da parte dello Stato e delle istituzioni»;
          i primi di dicembre è stata approvata la legge sull'equo compenso, compiendo, finalmente, un passo in avanti verso la tutela dei diritti dei giornalisti e di tutti quei professionisti che per troppo tempo sono stati vittime di sfruttamento. Nel corso di questi anni si è assistito al verificarsi di situazioni aberranti fatti di precarietà e svalutazione del lavoro professionalizzato. Troppi lavoratori, dalle storie di vita che emergono anche a mezzo stampa, sono stati sottoposti ad una condizione di estrema ricattabilità, anche da parte di imprese editoriali beneficiarie di finanziamenti pubblici. Con il provvedimento sull'equo compenso si è riuscito a dar corpo a quanto reca l'articolo 36 della nostra Costituzione «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa». È indispensabile sapere, però, che se questo provvedimento vale per il futuro le istituzioni hanno il dovere di dare un segnale d'apporto e di ausilio in tutte quelle situazioni, come quella che oggi si porta ad esempio, se si vuole lavorare effettivamente per una tutela della libertà d'informazione e dell'autonomia del giornalismo  –:
          in che modo il Governo intenda intervenire per tutelare questa platea di lavoratori ad oggi fortemente penalizzata e quali iniziative si intendano assumere per acclarare le motivazioni per le quali questi lavoratori non percepiscono l'indennizzo previsto dagli ammortizzatori sociali dal mese di luglio ed intervenire di conseguenza;
          quali iniziative si intendano adottare per assicurare al settore dell'emittenza locale le risorse spettanti ai sensi dell'articolo 10 della legge n.  422 del 1993, decurtate nel corso degli ultimi anni.
(4-19078)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il centro Imid Unit (Immune mediated inflammatory disorder) di Campi Salentina Asl-Lecce, diretto dal dottor Mauro Minelli, immunologo, nel 2011 ha realizzato oltre 300 ricoveri e oltre 1500 prestazioni fra ambulatori;
          un trend positivo confermato anche nel 2012;
          il centro, collocato in un contesto logistico complessivamente dedicato alla gestione della cronicità, può contare sulle attività specialistiche avanzate che, in termini di diagnostica molecolare, possono essere fornite dal dipartimento di scienze biotecnologiche dell'università del Salento;
          al suo interno sono attivi percorsi diagnostici dedicati all'inquadramento e alla presa in carico delle malattie da scompenso del sistema immunitario, patologie autoimmuni, immunodeficienze, sindromi complesse da determinanti ambientali, come ad esempio la Multiple Chemical Sensitivity (MCS), per la quale la Imid Unit di Campi è centro regionale di riferimento, così come lo è per le patologie sistemiche da metalli pesanti. Il Centro è ormai raggiunto da pazienti provenienti da tutte le regioni d'Italia, risultando una delle strutture ospedaliere più vantaggiose in termini di mobilità attiva;
          l'Imid Unit rientra nel presidio dell'ospedale Padre Pio da Pietrelcina di Campi Salentina ed è al momento un nosocomio che va subendo un processo di valorizzazione e di recupero del ruolo e della funzionalità. Lo scopo è quello di conferire all'ospedale le caratteristiche per essere struttura ospedaliera di riferimento distrettuale;
          risulta già essere una ottima struttura ospedaliera a livello nazionale e internazionale;
          unico centro in Italia al quale possono ricorrere le persone affette ad esempio da Multiple Chemical Sensitivity (MCS), l'origine dei sintomi in queste persone è al momento da considerarsi sconosciuta;
          per tale motivo l'unico trattamento medico che può essere raccomandato è quello sintomatico da effettuarsi, sempre secondo le norme di best practice e evidence base medicine. E, d'altro canto, proprio in considerazione dell'attuale mancanza di dati certi, si ritiene che qualsiasi trattamento farmacologico (non esclusivamente sintomatico) debba essere sottoposto ad adeguata sperimentazione clinica controllata per accertarne l'efficacia e gli eventuali effetti collaterali. Alcuni pazienti hanno seguito trattamenti stravaganti e costosi e possono apparire alla disperata ricerca di terapie non «ortodosse» come la neutralizzazione sublinguale o vari programmi di detossificazione;
          se da un lato è giusto che il medico non «giudichi» il comportamento di questi pazienti, spesso semplicemente etichettati come «psichiatrici», dall'altro è altrettanto giusto tenere una posizione critica e costruttiva applicando quanto previsto dalla normativa sanitaria regionale e nazionale, che tuttavia ad oggi manca;
          si assiste, non di rado, alla pretesa (supportata dalla certificazione di alcuni medici prescrittori) di essere autorizzati a viaggi costosissimi presso strutture private (Es: Environmental Health Center a Dallas; Breakspear Hosp. a Londra; eccetera) da dove si ritorna con protocolli terapeutici variamente impostati sulla somministrazione di «vaccini» non meglio precisati, vitamina C, glutatione a dosi elevate, terapie chelanti, camere iperbariche, saune, ed integratori molto alternativi dai quali, per ciò che è dato di valutare, non sembrano comunque emergere segni evidenti di stabilizzazione clinica;
          la struttura (IMID Unit) istituita dalla regione Puglia con apposito atto deliberativo (n.  1653 del 19 luglio 2011) ed operante presso il presidio di Campi Salentina, centro di riferimento «dedicato» (tra i pochissimi in Italia, se non l'unico) destinato proprio alla presa in carico di questi pazienti (con la conseguente istituzione di «percorsi dedicati» fragrance-free, gluten/nickel-free...), intende promuovere l'istituzione di un Comitato tecnico-scientifico nazionale composto da un immunologo clinico, un medico del lavoro, un tossicologo farmacologo, neurologo, fisico medico, biologo molecolare, in grado, oltre che di esaminare il dato clinico obiettivo dell'eventuale paziente chiamato a valutazione clinica collegiale, anche e soprattutto di stilare linee-guida certamente aperte alla comprensione della patologia di per sé complessa e alla interazione diretta con il paziente, ma anche indicative di percorsi univoci e scientificamente oltre che normativamente validati e condivisi;
          nell'intento di rendere ufficiale e autorevole il lavoro del suddetto Comitato, sarebbe pertanto utile il riconoscimento del lavoro fin qui svolto dal centro IMID di Campi Salentina su decine di pazienti affetti da sensibilità chimica multipla, la previsione di un fondo minimo dedicato alla implementazione delle attività cliniche e scientifiche della struttura operante ASL Lecce, dunque su territorio nazionale e l'attivazione di tutti gli adempimenti procedurali finalizzati alla nomina della nuova Commissione;
          esiste un gruppo di studio nazionale scientificamente accreditato, dedicato allo studio delle malattie infiammatorie croniche (Gruppo «Gimicron» - www.gimicron.com) che, in forza della presenza nel proprio ambito associativo di figure specialistiche appartenenti ad ambiti disciplinari diversificati, si dispone al possibile impegno scientifico nel contesto descritto  -:
          se il Ministro della salute intenda alla luce dei fatti esposti in premessa e per la necessità di tante persone di ricorrere alle cure ed all'assistenza di quest'unico centro in Italia preposto alla malattia chimica multipla ad esempio, creare un permanente comitato scientifico interdisciplinare dedicato all'eventuale inquadramento clinico «collegiale» di pazienti affetti da sindromi da iperreattività sistemica in qualche modo connessa all'azione di interferenti ambientali (la più nota delle quali rimane, ad oggi, la cosiddetta appunto «sindrome da sensibilità chimica multipla»), potenziando strumenti e risorse utili alla situazione per ottimizzare sempre più il rapporto ambiente, paziente, medico. (4-19082)


      PELUFFO, MARCO CARRA, ZUCCHI, DE BIASI, FARINONE e MOSCA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 agosto 2011 sono stati nominati il commissario straordinario del Governo per la realizzazione dell'Expo 2015 e il commissario generale dell'Expo Milano 2015, rispettivamente l'avvocato Giuliano Pisapia e il dottor Roberto Formigoni;
          da notizie apparse sulla stampa il presidente della regione Lombardia in riferimento alle vicende politiche riguardanti la regione ha ricordato che la carica di commissario generale legata all'esposizione universale è «ad personam»; si tratta di «una scelta del Governo Italiano per rappresentarlo davanti al mondo. Il commissario generale non è il presidente pro tempore della regione Lombardia» facendo quindi intuire che, qualora si andasse al voto anticipato, la sua scelta sarebbe quella di non dimettersi dal ruolo di commissario generale;
          nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 agosto 2011 in cui vengono nominati l'avvocato Giuliano Pisapia e il dottor Roberto Formigoni è ad avviso dell'interrogante evidente che la scelta è avvenuta in quanto sindaco di Milano e presidente della regione Lombardia  –:
          se non ritenga opportuno, qualora si andasse al voto come preannunciato dallo stesso presidente della regione Lombardia, nominare nel rispetto delle procedure previste dalla legge un nuovo commissario generale che sostituisca il dottor Roberto Formigoni. (4-19087)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in occasioni dei mondiali di nuoto, tenutisi a Roma nell'estate 2009, fu costruito appositamente il polo natatorio di Valco San Paolo, in carico all'unità di missione della Presidenza del Consiglio dei ministri;
          doveva essere una struttura modernissima si legge il 6 dicembre 2012 sul messaggero.it a firma di Elena Panarella;
          costruito lungo l'ansa del Tevere, a pochi passi da viale Marconi e dall'università Roma Tre;
          oggi è completamente inutilizzato;
          intorno alla grandissima struttura discariche abusive, insediamenti rom, campetti di calcio e una totale incuria. Un luogo spettrale e fatiscente con ancora impalcature e impianti che visto lo stato di degrado in cui si trovano andrebbero completamente risistemati. Fuori non c’è nessun cartello che segnala l'inizio e la fine dei lavori, né tantomeno chi li gestisce;
          sono stati 16 i milioni di euro spesi;
          due piscine coperte non ancora ultimate, una piscina all'aperto completamente abbandonata, una palestra inagibile e una sala per le conferenze da terminare. Le rassicurazioni sulla previsione dei tempi dei lavori di completamento dell'opera, ferma da quasi tre anni, sono state totalmente disattese;
          dello scandalo si è occupato anche il programma satirico «Striscia la Notizia» in data 15 dicembre 2012 mostrando le immagini del polo abbandonato;
          risulterebbe che il polo sia stato in funzione solamente un mese, il tempo appunto di svolgimento dei mondiali di nuoto;
          quello che doveva essere l'edificio-paesaggio, con l'integrazione di spazi artificiali e naturali, oggi presenta sul suo tetto anziché l'erba e gli accorgimenti termici d'avanguardia, un desolante aspetto che lo rende più simile all'asfalto;
          nel maggio 2012 il Governo ha fatto appello agli italiani affinché segnalassero gli sprechi;
          questo è un esemplare spreco di strutture economicamente sfarzose ma praticamente inutilizzate  –:
          se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure intenda assumere per quanto di competenza affinché l'opera sia completata laddove in via di completamento o affidata a disoccupati, associazioni, cooperative che possano valorizzarne la portata formativa per i giovani del quartiere e rispettare i soldi impiegati per costruirla. (4-19092)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          a Cardito (Napoli) sabato 15 dicembre 2012 alle ore undici circa presso l'istituto elementare Marco Polo si è verificato in piena lezione di «italiano» il crollo di parti di intonaco e parti di laterizio del solaio;
          sono rimasti feriti due bimbi e due maestre subito trasportati all'ospedale di Frattamaggiore con prognosi di dieci giorni per contusioni, ematomi su tutto il corpo e ferite lacero-contuse;
          l'aula interessata dal crollo è stata sequestrata;
          l'istituto è stato evacuato e chiuso ed indaga la magistratura;
          il sindaco del comune di Cardito ha disposto l'evacuazione dello stabile ed ha emesso un'ordinanza di chiusura per la verifica statica della scuola;
          la classe che ospita la scuola ha 24 alunni mentre in tutto il plesso ci sono 400 studenti, alla base del crollo potrebbero esserci delle infiltrazioni d'acqua;
          l'edificio che ospita l'istituto è stato dichiarato inagibile dai Vigili del Fuoco che hanno disposto sopralluoghi e controlli per verificare lo stato in cui versano gli altri solai della scuola. Non si esclude che il crollo sia stato determinato anche dalle eventuali vetuste condizioni dei solai, circostanza che dovrà essere verificata  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intendano adottare, nell'ambito delle loro competenze, in merito alla manutenzione ed alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, in special modo in Campania, anche al fine di tutelare l'incolumità degli studenti e di tutti i soggetti facenti parte del mondo scolastico;
          a che punto siano le eventuali procedure di attivazione per la creazione dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica;
          se non ritengano opportuno assumere iniziative di competenza per incrementare le risorse per la messa in sicurezza dell'edilizia scolastica. (4-19094)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la Campania è una regione esposta al problema sismico ed idrogeologico si apprende da metropolisweb.it i dati forniti al dipartimento di protezione civile: solo 214 comuni su 551 hanno un piano di emergenza;
          un dato che lascia sgomenti  –:
          quali misure si intendano assumere rispetto ai fatti esposti per favorire la redazione di un piano di emergenza nei comuni che ne sono privi. (4-19098)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          per «scie chimiche», o «chemtrails» in inglese si intende indicare delle scie che negli ultimi anni stanno destando enorme preoccupazione in moltissimi italiani;
          il termine è apparso per la prima volta su un documento del 2001, nel programma di disarmo presentato al senato americano col nome di space preservation act 2001. Le chemtrails vengono nominate nella sezione riguardante le «armi esotiche» ma questo documento non viene approvato. L'anno successivo viene approvato lo Space Preservaction Act 2002: il capitolo riguardante le «exotic weapons», e quindi la voce sulle chemtrails, non compare;
          attraverso le analisi di alcuni ricercatori e scienziati indipendenti, si suppone che le scie chimiche contengano sostanze chimiche, quali sali di bario, ossido di alluminio, torio e altri metalli pesanti;
          dal momento che nessun ente governativo ha mai confermato l'esistenza delle chemtrails, dichiarato lo scopo del loro utilizzo e da quanto tempo vengono adoperate, molti ricercatori hanno iniziato a indagare e a raccogliere indizi e informazioni utili per comprendere il fenomeno;
          diversi gli articoli reperibili on line, i libri disponibili in libreria, le conferenze tenute ad hoc, oltre al libro «Scie Chimiche: la verità nascosta. Le Prove» e il numero speciale dell'ottobre 2010 della rivista Il Discepolo, sempre Draco Edizioni, ormai sono numerosi gli studi nazionali ed internazionali che si occupano del problema. Tanti i blog sorti negli ultimi anni;
          nel sito www.sciechimiche.org è possibile reperire sull'argomento ampio materiale anche inquietante laddove fondato nei contenuti esposti;
          si riferisce a scie formate da composti chimici, dannosi per l'ambiente e per la nostra salute, che sarebbero utilizzate presumibilmente per scopi militari e in relazione al progetto Haarp, il fenomeno è iniziato ad emergere verso la metà degli anni novanta, le sperimentazioni sono iniziate negli anni precedenti, l'irrorazione si sarebbe intensificata all'inizio del nuovo millennio;
          il giorno 5 dicembre alle ore 20,45 presso l'Auditorium Fagnana, via Tiziano 7 a Buccinasco (Milano), – si legge su Milano Today del 3 dicembre 2012 – con il Patrocinio del Comune di Buccinasco, si terrà la conferenza di divulgazione «Scie in cielo timori sulla Terra – Attività segrete di geoingegneria e guerra del clima ?» L'evento, già proposto in molte altre città, ha l'intento di portare all'attenzione, oltre che della popolazione, dei media e delle autorità il fenomeno ancora poco trattato, ma che è osservabile da chiunque e ormai ampiamente documentato. All'incontro, organizzato dalla Draco Edizioni e dalle associazioni Riprendiamoci il Pianeta – MRU (Movimento di resistenza umana) di Modena e Galileo di Parma, interverranno l'editore del libro Scie Chimiche: la verità nascosta. Le Prove, Massimo Rodolfi, il biologo e giornalista Giorgio Pattera e Domenico Azzone, 1o Maresciallo Esperto Meteo dell'Aeronautica Militare  –:
          di quali notizie disponga il Governo per quanto di propria competenza, circa i fatti esposti che, se veri, sarebbero gravissimi, quali studi siano condotti, se sia vero che vi sia un segreto militare e che tali scie chimiche sarebbero rilasciate con un piano preciso dai continui voli di aerei militari riempiendo la volta celeste di una spessa coltre grigio-lattiginosa, definita comunemente dai meteo «innocue velature», espressione contestata dai promotori del convegno milanese per il tentativo di semplificare e ridimensionare il problema che vi ravvisano. (4-19099)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in data 14 dicembre 2012 Adam Lanza ha fatto fuoco in una scuola elementare del Connecticut negli Usa uccidendo 26 persone, tra cui 20 bambini;
          un fatto sconvolgente;
          il giovane era in possesso di tre armi, regolarmente acquistate dalla madre di Adam, uccisa dal figlio nella sua abitazione prima della strage (una semiautomatica 223 Bushmaster, una Glock e una Sig Sauer che Lanza aveva addosso);
          secondo il New York Times, che ha raccolto le testimonianze dei suoi ex compagni di scuola, Lanza si presentava in classe portando con sé una 24 ore nera e si sedeva sempre vicino alla porta, pronto a uscire. Quando veniva interrogato appariva nervoso e irrequieto e rispondeva a monosillabi, come se parlare gli costasse fatica;
          altri ancora raccontano che era affetto anche dalla sindrome di Asperger, una grave forma di autismo che, tra i sintomi, figurano la fobia sociale e la personalità schizoide;
          si noti come in Italia negli ultimi tre anni i fondi destinati alla salute mentale si sono sempre più assottigliati ed in qualche caso ridotti o soppressi con gravi ripercussioni sociali;
          uno dei suoi ex compagni di classe racconta che sul volto di Adam non comparivano emozioni;
          i fatti esposti hanno suscitato profonda commozione in tutto il mondo oltre che indignazione perché protagonisti sono dei bambini indifesi  –:
          alla luce della strage americana quali misure intendano assumere nell'immediato per quanto attiene il possesso, la circolazione e il mantenimento di armi ed in particolare dell'acquisto on line delle stesse;
          se non ritengano di restringere le norme circa l'acquisto, possesso e porto d'armi nonché favorire politiche di cura ed assistenza dei soggetti mentalmente deboli della società assumendo iniziative, per quanto di competenza, per favorire l'attribuzione di risorse ai dipartimenti di Salute Mentale italiani. (4-19100)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          Rosaria Capacchione nota giornalista anticamorra del quotidiano Il Mattino in data 12 dicembre 2012 ha firmato un articolo riportato anche sul sito del quotidiano dal titolo: «Rifiuti, il pentito: “Il percolato scioglieva la plastica. Dicevano che era concime per i campi”»;
          si parla di «Un buco. Anzi, una voragine che aveva ingoiato, fagocitato, dissolto, tre milioni di tonnellate di rifiuti tossici e nocivi che risultavano prodotti e non smaltiti: un decimo delle scorie industriali dichiarate da diciotto regioni italiane. Un buco che si intendeva colmare “con programmi di emergenza e con la promozione di impianti di smaltimento» per i quali il Governo aveva stanziato 600 miliardi di lire, soldi del 1991, una frazione del fiume di denaro pubblico riversato nel ventennio successivo nella famelica struttura emergenziale del commissariato straordinario»;
          si rievoca «il caso Tamburrino, l'autotrasportatore intossicato dai veleni che aveva trasportato da Cuneo fino alle campagne del Giuglianese. In quel tempo, quasi ventidue anni fa, dunque già si sapeva dell'esistenza di un buco nero che aveva inghiottito i veleni industriali e che questi finivano in Campania. L'amministratore unico della Ecomovil, la ditta piemontese che aveva prodotto i solventi sversati nel Giuglianese, aveva già ammesso di aver affidato le sue scorie alla Transfermar di La Spezia e da questa spediti (documentalmente), con i camion della Tanagro Trasporti, a Sant'Anastasia o alla Difrabi, a Napoli. Veleni che invece finivano nella terra. Si sapeva ma fu fatto poco o nulla. Non fu facilissimo individuare il cimitero dei rifiuti industriali ma neppure un'operazione impossibile. Nel 1992, infatti, l'area compresa tra la discarica Resit di Parete-Giugliano, gli impianti dei fratelli Vassallo a Villaricca e i laghetti di Castelvolturno, quelli che si sono formati in virtù del riaffioramento della falda provocato dagli scavi della sabbia, era stata indicata quale luogo di smaltimento dei rifiuti industriali che il clan dei Casalesi importava dalle regioni del Centro-Nord. Area localizzata dai carabinieri di Napoli all'epoca dell'operazione Adelphi (che accertò il ruolo del clan Bidognetti, attraverso Gaetano Cerci, e delle famiglie Schiavone e Iovine, oltre a quello – centrale, di Cipriano Chianese). Nel 1993 ne aveva riparlato Carmine Schiavone, nel 1996 era arrivata la denuncia, dettagliatissima, di Dario De Simone, che aveva raccontato nel dettaglio il sistema societario e le modalità di partecipazione della camorra al grande business delle ecomafie, inventato proprio dai Casalesi tra il 1988 e il 1989. Ci sarebbe stato tutto il tempo per bonificare i terreni e fermare il traffico Nord-Sud, e non fu fatto. Si continuò, invece, sulla strada dell'intervento straordinario sollecitato dal ministro Ruffolo e rilanciato dalla regione Campania (e dai consorzi). Per ragioni imprecisate, bisognerà arrivare alla primavera del 2008, e al pentimento di Gaetano Vassallo, per accertare che effettivamente alcuni dei siti indicati erano discariche di veleni»;
          negli anni delle prime denunce più di un miliardo di chili di sostanze tossiche erano finiti sotto terra nel Giuglianese. Nelle casse della camorra, tra il 1989 e il 1992, erano confluiti 18 milioni di euro, il canone pagato dagli industriali per far sparire fanghi industriali, amianto, fusti tossici, rifiuti ospedalieri, persino le ceneri spente della centrale termoelettrica Enel di Brindisi. Più tardi, sotto gli occhi di centinaia di migliaia di persone – cittadini impotenti ed esasperati – arriveranno anche le scorie dell'Acna di Cengio e quelle della Cyba Geigy, azienda farmaceutica di Castellammare di Stabia. Ha raccontato Vassallo: «Dicevano che il materiale conferito era idoneo alla produzione di legumi ma sulla terra dove veniva smaltito il rifiuto non ho mai visto nascere alcuna frutta o ortaggio. I rifiuti liquidi erano talmente inquinanti che quando venivano sversati producevano la morte immediata di tutti i ratti. Ricordo altresì che i rifiuti della Meridional Bulloni, quando giungevano con cisterne speciali in acciaio inox anticorrosive, friggevano e scioglievano persino i rifiuti in plastica»;      
          i fatti esposti in premessa sono ad avviso dell'interrogante gravissimi  –:
          quali misure ciascun Ministro per quanto di propria competenza intenda assumere, in particolare se il Ministro della giustizia intenda assumere un'iniziativa normativa per inasprire pene per chi si macchia di reati contro l'ambiente;
          se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali intenda procedere alla mappa dei siti inquinati onde salvaguardare i prodotti agricoli e l'allevamento praticato sul terreno oggetto negli ultimi 20 anni di un atroce saccheggio da parte della camorra trasformando la Campania felix in Campania infelix. (4-19102)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in Italia nel 1898 uno dei primi café chantant è stato il Salone Margherita di Roma noto anche come il locale del «Bagaglino» che, ispirandosi ai corrispondenti locali francesi ne importò le principali vedettes. Poco dopo approdarono comici e primedonne nostrane, bellissime cantanti e ballerine, nuove chanteuses non più d'importazione;
          la svolta arriva nel 1965. A Milano era nato il Derby, un cabaret di ispirazione francese che vide il debutto di Enzo Jannacci, Cochi e Renato, Lino Toffolo, Bruno Lauzi e tanti altri. Ma la battaglia fu stravinta da Il Bagaglino un cabaret nato per iniziativa di un gruppetto di giornalisti romani;
          Mario Castellacci era appunto uno del gruppetto: trenta entusiasti sostenitori alla prima riunione, solo sei più un musicista al via diedero origine a quello che diventerà il più famoso cabaret d'Italia. La bizzarra avventura del cabaret cambiò la vita di Mario Castellacci;
          poi il Bagaglino approda allo storico Salone Margherita. Dalla cantina di Panico il cabaret si trasferiva tra gli stucchi e le specchiere di un fastoso liberty dove Ettore Petrolini aveva recitato il suo «Nerone» e cantato la filastrocca dei «salamini». E vennero, quindi, i grandi spettacoli televisivi: «Dove sta Zazzà» e «Mazzabubu». E moltissimi altri;
          dal remoto debutto underground del ’65 sono trascorsi quarant'anni, il tempo più o meno di due generazioni, ma la voce del Bagaglino non si è più spenta, e l'incomprensibile sigla, che pareva una bizzarria destinata ad una breve occasione, è invece diventata l'insegna di un epoca e appartiene oggi con pieno diritto alla storia del costume italiano. Se il libero spirito del Bagaglino sopravvivrà alla scomparsa di Castellacci, lo si deve al talento e all'ingegno di Pierfrancesco Pingitore, artefice inesauribile di innumerevoli spettacoli dai molteplici successi (http://www.salonemargherita.com/bagaglino.php);
          in data 14 dicembre 2012 è stata diffusa la notizia da diversi organi di stampa che il raggruppamento temporaneo d'impresa formato da Colliers International Italia e Exitone, in qualità di advisor di Banca d'Italia per la vendita degli immobili di sua proprietà, comunica che le attività per la cessione del secondo lotto avranno inizio dal 16 dicembre 2012;
          oggetto di questa seconda fase di dismissione sono 63 complessi immobiliari localizzati su tutto il territorio nazionale. Si tratta di ex filiali e immobili cielo-terra con una superficie totale di circa 240mila metri quadrati) il cui valore complessivo ammonta a circa 408 milioni di euro. Gli immobili saranno venduti attraverso procedura di asta pubblica. Il termine ultimo per la presentazione di un'offerta irrevocabile di acquisto è fissato al giorno 19 aprile 2013, sia per l'intero portafoglio immobiliare che per i singoli cespiti;
          fra gli immobili messi in vendita c’è anche il Salone Margherita sede del teatro Il Bagaglino ad un palmo da piazza di Spagna  –:
          di quali notizie dispongano i Ministri interrogati e quali iniziative si intendano assumere a difesa di un patrimonio artistico che potrebbe correre il rischio di andare disperso. (4-19105)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Striscia la notizia è un programma televisivo creato da Antonio Ricci, iniziato il 7 novembre 1988 su Italia 1 che l'ha trasmesso fino all'8 dicembre 1989;
          trasmesso da 24 anni è adesso mandato in onda su Canale 5;
          show satirico che va in onda dal lunedì al sabato nell’access prime time, dall'ultima settimana di settembre alla prima settimana di giugno;
          condotto da due comici/presentatori o dalla coppia Ezio Greggio-Michelle Hunziker;
          il programma viene trasmesso in replica quotidianamente attorno all'1,30 di notte dopo l'edizione del TG5;
          nel corso del programma alle gag e battute in studio si introducono servizi esterni di vario genere tra questi denunce, che molta eco hanno trovato nei mass media, come gli sprechi italiani nelle costruzioni di beni pubblici, i trucchi dei gestori telefonici ai danni degli utenti, i maghi e indovini imbonitori e truffaldini, i casi di pubblicità occulta e le irregolarità di alcune trasmissioni televisive;
          quasi ogni sera si affronta uno spreco legato ad opere dal costo-spreco milionario e poi abbandonate a se stesse;
          il numero di servizi ad hoc mandati in onda rappresenta un importo consistente di risorse statali andate in fumo  –:
          se il Governo per quanto di competenza, intenda valutare l'opportunità di richiedere al programma satirico l'elenco completo di tutte le opere di propria conoscenza di cui gli inviati vari si sono occupati, documentandole, con le immagini video, e da queste partire con un immediato monitoraggio delle costruzioni inconcluse o deturpate dall'incuria ovvero di quanto in Italia resta in attesa di cura o completamento nell'interesse dei cittadini e nel rispetto del denaro loro chiesto, versato e poi sprecato. (4-19107)


      CONTENTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          da anni la Valcellina, in provincia di Pordenone, resta sistematicamente isolata dalle continue esondazioni del torrente Varma, un corso d'acqua il cui greto risulta eccessivamente congestionato di inerti;
          l'unica via di accesso all'Alta Valcellina è l’ex statale 251, ora di competenza regionale;
          durante le tracimazioni del Varma i residenti sono costretti ad una deviazione di centinaia di chilometri attraverso Vittorio Veneto e il Bellunese;
          la situazione necessita di un intervento di questo Governo, non foss'altro che per un'operazione di coordinamento delle varie amministrazioni interessate, mettendo a disposizione le proprie competenze tecniche;
          durante le ondate di maltempo diventa, infatti, di evidente gravità il potenziale pericolo per la sicurezza pubblica, atteso che un mezzo di soccorso impiegherebbe delle ore prima di poter raggiungere gli abitati di Claut, Cimolais e Erto e Casso e che le condizioni meteo non consentono sempre un sorvolo delle zone alluvionate;
          le proteste e le raccolte di firme sono ormai cicliche, con tanto di minaccia di azioni legali da parte degli utenti e di class action dei pendolari (solo nelle ultime settimane la zona è rimasta interdetta al traffico per due volte consecutive, bastando una precipitazione atmosferica più intensa del solito per far uscire il Varma dal proprio alveo)  –:
          se il Governo non ritenga di dover attivare un tavolo di concertazione nazionale sull'ormai annosa questione delle esondazioni del torrente Varma, in Valcellina, attese la continue tensioni sociali provocate dai fenomeni di dissesto idrogeologico. (4-19119)


      BARBATO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il poliuretano è un polimero estremamente versatile che permette di ottenere una vasta gamma di prodotti con proprietà isolanti e impieghi diversi;
          dai pannelli ai materassi e cuscini fino alle imbottiture dei caschi, sono diverse le tipologie di prodotti con questa materia prima  –:
          di quali notizie dispongano i Ministri interrogati sull'argomento esposto in premessa e quali misure si intendano assumere a salvaguardia della salute umana a fronte di questo nuovo materiale entrato nel benessere quotidiano, di quali studi si disponga e quali siano i criteri di importazione per riparare dai possibili rischi coloro che utilizzano prodotti lavorati con questa materia prima. (4-19152)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sabato sera è stato lanciato un ordigno al centro di una carreggiata stradale, danneggiando nove auto in sosta e provocato il lieve ferimento di una ragazzina di 13 anni e di un bambino di 9. Un altro ordigno è stato trovato stamane in un piazzale deserto: era arrugginito e non è esploso solo per un difetto meccanico, ma rappresentava sicuramente un letale avvertimento, come il precedente;
          Francesco, 9 anni, è stato ferito al viso da schegge dei vetri infranti di un'auto. Alcuni dei tremendi pallini metallici della bomba hanno raggiunto Michela, 13 anni, appena uscita da un vicino supermercato, provocandole contusioni a una gamba e all'addome. Il bimbo guarirà in cinque giorni, la ragazzina in sette: ma l'angoscia, lo choc per essere stati catapultati all'improvviso in uno scenario di guerra sarà molto più difficile da dimenticare;
          «Lotto G» per la bomba esplosa, «case celesti» per quella che ha fatto cilecca: in entrambi i casi territori controllati dai «Girati», una delle due famiglie impegnate nella sanguinosa lotta per il controllo delle piazze di spaccio della droga nel quartiere di Scampia;
          qui, negli ultimi mesi si è riaccesa una guerra tra clan locali testimoniata da episodi senza esclusione di persone innocenti;
          l'efferatezza sta assumendo contorni sempre più insostenibili in uno Stato che si dica «civile»;
          nessun territorio d'Italia può essere lasciato in balia di se stesso;
          agli omicidi, l'ultimo addirittura nel cortile di una scuola, nella faida di Scampia compaiono ora le bombe usate nella guerra della ex Jugoslavia. Ordigni micidiali, fatti di esplosivo al plastico e di migliaia di microsfere metalliche pronte a dilaniare;
          a lanciare gli ordigni sarebbero stati i rivali del clan Abbinente, un appartenente a questo gruppo rimase vittima il 5 dicembre del clamoroso agguato conclusosi con i colpi di grazia esplosi nel cortile di un asilo, mentre i bimbi cantavano per la recita di Natale (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it);
          si ritiene – riferisce il corriere.it in data 17 dicembre 2012 – che gli Abbinente abbiano scelto di rispondere piuttosto con l'ennesimo omicidio, bensì usando due bombe (non direttamente contro un bersaglio ma invadendo l’enclave rivale);
          è un segnale da non sottovalutare: l'inizio di una possibile escalation dalle conseguenze imprevedibili;
          a Scampia è in atto una guerra nemmeno tanto silenziosa tra clan locali;
          i fatti esposti in premessa sono ad avviso dell'interrogante gravissimi  –:
          quali misure intendano assumere, per quanto di competenza, a difesa dei minori, affinché possano avere un modello diverso sul territorio a cui ispirarsi, consentendo agli onesti di continuare a credere nelle istituzioni. (4-19153)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 7 dicembre è andata in onda su Radio Radicale la consueta puntata de «Il Rovescio del Diritto», rubrica settimanale curata dall'avvocato Giandomenico Caiazza;
          nel corso del citato programma radiofonico è stata affrontata la rocambolesca e drammatica vicenda processuale del signor Giuseppe (Pino) Lo Porto;
          il signor Lo Porto, 80enne, cittadino italiano, cardiopatico e operato per cancro alla prostata, è stato estradato in appena due settimane negli Stati Uniti dopo il suo arresto; arresto avvenuto il 7 maggio 2012 per mano dei carabinieri di Pieve di Cadore in esecuzione del decreto di estradizione R. EP 584 2005 SR del 26 maggio 2006;
          il predetto decreto di estradizione, emanato dal Ministero di giustizia italiano su sollecitazione degli Stati Uniti, non è mai notificato al signor Lo Porto nel corso dei sei anni precedenti il suo arresto;
          peraltro il suddetto decreto di estradizione è stato emesso nei confronti del «cittadino statunitense Giuseppe Lo Porto», benché lo stesso sia stato emanato dieci giorni dopo l'avvenuto riacquisto della cittadinanza italiana da parte del signor Lo Porto, il che in effetti è avvenuto il 16 maggio 2006, soprattutto grazie alla solerzia della dottoressa Leone del Ministero dell'interno e nonostante le artificiose difficoltà frapposte dal consolato USA a Roma;
          molti anni fa il signor Pino Lo Porto ha sposato una donna statunitense, divorziata, adottandone il figlio e la figlia, sennonché nel 1995, divenuto facoltoso imprenditore, la moglie ha chiesto il divorzio e lo ha denunciato per abusi sessuali sulla figlia; abusi iniziati, secondo quanto riferito dalla signora, cinque anni, prima, ovvero quando Kathrin aveva otto anni. Nei cinque anni precedenti non vi fu alcuna denuncia né alcun comportamento della bambina che adombrasse queste presunte violenze;
          a seguito della denuncia – e sebbene vi fosse una perizia a sua difesa e le accuse fossero fumose – il signor Lo Porto è finito in carcere. Dopodiché è riuscito ad ottenere la libertà su cauzione, ma il carcere e lo stravolgimento della sua vita avevano nel frattempo mandato in rovina anche il suo lavoro, sicché, con il fallimento della società che garantiva per la sua cauzione, per l'uomo si sono riaperte le porte del carcere;
          dopo aver nuovamente ottenuto la liberazione, il signor Lo Porto si è rifugiato in Italia e ha scritto un libro molto critico verso il sistema giudiziario statunitense intitolato «L'altra faccia dell'America». La pubblicazione del predetto libro è stato un errore, atteso che, da quel momento, David Whetstone, procuratore di Baldwin, ha cercato in tutti i modi di riportare il signor Lo Porto nelle carceri statunitensi;
          il signor Lo Porto ha pubblicamente riferito di aver avuto sentore del fatto che stavano per estradarlo allorquando ricevette una strana telefonata da un anonimo funzionario del Ministero di giustizia che cercò di estorcergli del denaro;
          dopo essersi rifugiato in Olanda, il signor Lo Porto è stato raggiunto dalla richiesta di estradizione, quindi messo agli arresti e giudicato dal tribunale di Middelburg. La sentenza emanata dalle autorità olandesi ha dichiarato l'estradizione «inammissibile» per mancanza di prove, posto che gli unici elementi probatori presentati dalle autorità statunitensi (le dichiarazioni della presunta vittima) risultano viziate dall'assenza di garanzie nell'audizione della minorenne presunta vittima di abusi sessuali, la quale peraltro ha denunciato il fatto «quando era in atto una procedura di divorzio fra sua madre e l'estradando»;
          rilasciato immediatamente per ordine del tribunale di Middelburg, il 20 dicembre 2010 il signor Lo Porto ha fatto rientro in Italia presumendo che tutto fosse appianato. Ma così non fu, venne infatti arrestato, come s’è detto, dai carabinieri di Pieve di Cadore, due anni dopo, ossia nel 2012, per la medesima richiesta di estradizione già respinta dall'Olanda;
          lo scorso 9 settembre 2012 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha dichiarato la nullità del decreto italiano di estradizione, ma la pronuncia è arrivata quando già il signor Lo Porto risultava essere estradato da quattro mesi. Peraltro la sentenza del TAR riforma anche la precedente sentenza della corte d'appello di Venezia, con la quale i giudici amministrativi concessero frettolosamente l'estradizione a carico del «cittadino statunitense» Giuseppe Lo Porto;
          ad oggi pertanto il cittadino italiano Giuseppe Lo Porto risulta estradato negli Stati Uniti sulla base di un decreto di estradizione giudicato nullo dalla magistratura italiana;
          sul sito webpierolaporta.it/giustizia-per-pino è apparso un appello rivolto alle autorità italiane «affinché il cittadino italiano Pino Lo Porto sia ricondotto in Italia e la Giustizia italiana riesamini nuovamente la richiesta di Estradizione delle autorità statunitensi, nel rispetto della legge, dei cittadini italiani, degli ordinamenti italiani ed europei e del trattato di estradizione vigente con gli USA»  –:
          se gli uffici del Ministero, nell'istruire il provvedimento ministeriale con il quale è stato richiesto alle autorità competenti di disporre la cattura del signor Lo Porto, abbiano preso in considerazione il fatto che nei confronti del medesimo soggetto, e per gli stessi fatti, le autorità olandesi avessero già rigettato la richiesta di estradizione avanzata dalle autorità statunitensi;
          per quali motivi sia stata disposta l'estradizione del signor Lo Porto senza prima attendere il pronunciamento del TAR Lazio;
          se ritenga, più in generale, che con riferimento alla procedura di estradizione richiamata in premessa sia stata garantita la tutela dei diritti fondamentali della persona estradata e il pieno rispetto dei principi sanciti dal diritto internazionale e dalla normativa cogente in materia di estradizione;
          se e come intenda attivarsi il Governo italiano presso le autorità statunitensi al fine di rivedere l'intera procedura di estradizione descritta in premessa anche alla luce delle decisioni adottate sul punto dalle autorità giudiziarie olandesi e italiane. (4-19155)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la sentenza n.  2010/148, ruolo n.  2010/0474; Cron.  N. 2012/886 emessa dal tribunale di Rimini sostiene che un vaccino può far diventare autistico un bambino. Nella fattispecie è stato accolto il ricorso presentato da una coppia di genitori contro il Ministero della salute per chiedere il pagamento dell'indennizzo per complicanze irreversibili causate da una vaccinazione;
          il vaccino in questione è quello contro il morbillo, parotite e rosolia;
          secondo i genitori, infatti, i sintomi dell'autismo in loro figlio sarebbero insorti proprio a seguito dell'inoculazione. Addirittura il giorno stesso, come si legge nella sentenza;
          tornato dall'Auls di Riccione, il 26 marzo 2004, il bambino avrebbe iniziato a manifestare sintomi preoccupanti (diarrea e nervosismo) mentre tra il 2004 e il 2005 sarebbero sopraggiunti segni di grave disagio psico-fisico fino al riconoscimento, il 31 agosto 2007, dell'invalidità totale e permanente al 100 per cento. Che questo fosse riconducibile alle vaccinazioni praticate lo affermava già lo specialista Niglio nel giugno 2008 e a confermarlo arrivava, un anno dopo, anche lo specialista Montanari;
          la nota rivista medica Lancet ha infatti ufficialmente ritirato lo studio sui possibili collegamenti tra autismo e vaccino trivalente MPR. L'articolo, pubblicato nel 1998 e scritto dal medico britannico Andrew Wakefield, è stato causa di una lunga disputa scientifica durata quasi 12 anni. Wakefield sosteneva che il vaccino fosse causa di infezioni intestinali, a loro volta legate alla sindrome di Kanner;
          Stefano Montanari, esperto di nanopatologie, ha dichiarato: «Analizzammo 19 vaccini diversi tra loro, alcuni dei quali ottenuti con qualche difficoltà, e li trovammo tutti e 19 inquinati da particelle solide, inorganiche, non biodegradabili e non biocompatibili. Insomma, le nostre. Sia chiaro: le analisi furono limitate ad un solo campione per ogni prodotto, ma il fatto di trovare 19 positività su 19 è quanto meno un fatto degno di attenzione. In seguito analizzammo un ventesimo vaccino e pure quello non era esente da inquinamento di particelle. Si trattava di granelli a volte di dimensioni sotto il micron, le più aggressive: acciaio, titanio, tungsteno, piombo... Nessuno mi chieda come erano finite lì. Il fatto è che c'erano e su questo non si discute. Le case farmaceutiche reagirono con un muro di gomma. In fondo, il nostro tipo d'indagine sarà pure frutto di progetti della Comunità europea, ma la legge non chiede che siano effettuate sui vaccini. E qui, la sorpresa: l'Istituto superiore di sanità afferma che quelle analisi non hanno significato perché “Tutti i lotti di vaccini immessi in commercio sono testati attraverso una serie di controlli di qualità stringenti e standardizzati da parte di diversi istituti europei, tra cui anche l'Istituto superiore di sanità. I controlli sono complessi e di qualità certificata, non fanno testo osservazioni di singoli studi effettuati in modo estemporaneo e non riproducibili”» (Il Salvagente, n.  38 del 27 settembre 2012, pag. 41);
          il dottor Stefano Montanari ha anche detto: «Che le case farmaceutiche siano le detentrici quasi assolute di quella che si continua a chiamare ricerca, distorcendo con questo la cultura dei medici, è un fatto assodato che io ho denunciato ripetutamente, e che le vaccinazioni praticate nei bambini rasentino o superino la soglia del crimine è mia opinione più volte espressa»;
          i fatti esposti ad avviso dell'interrogante sono gravissimi e tali da richiedere uno studio sulla correlazione tra vaccini ed autismo nonché la composizione degli stessi sui bambini in particolare la loro sicurezza ed efficacia  –:
          se il Ministro intenda assumere misure urgenti ed improrogabili a difesa e tutela della salute dei più piccoli e per la tranquillità dei genitori. (4-19163)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          false perizie effettuate da biologi non abilitati in laboratori allestiti alla meno peggio: così due società incaricate di gestire gli impianti di depurazione in dieci comuni della provincia di Avellino, quattro soltanto ad Ariano Irpino, truccavano i dati sull'inquinamento delle acque, benché negli ultimi quattro anni avessero incassato una somma pari ad un milione di euro;
          la notizia è stata data il 17 dicembre 2012 dalla testata on line La Città di Salerno nel servizio: «False perizie e dati truccati. Sequestrati 16 depuratori»;
          l'operazione è stata condotta dal Noe di Salerno in Alta Irpinia;
          si truccavano i valori degli impianti in ben dieci comuni della provincia di Avellino;
          sedici i depuratori sequestrati dai carabinieri delle compagnie di Ariano Irpino e Mirabella Eclano che si sono avvalsi della collaborazione dei militari del nucleo operativo ecologico di Salerno;
          gli impianti, che sono stati affidati ai responsabili degli uffici tecnici comunali, sono quelli di Mirabella Ecelano, Fontanarosa, Sant'Angelo all'Esca, Ariano, Carife, Castel Baronia, Greci, Savignano, Villanova del Battista e Zungoli;
          a far scattare i controlli non sono stati gli occhi vigili dello Stato sugli impianti depurativi ma il senso civico dei cittadini che avevano presentato denunce ai carabinieri sullo stato del fiume Calore, lungo il cui corso ciclicamente affioravano centinaia di pesci morti (http://lacittadisalerno.gelocal.it);
          si è trattato di «Un lavoro paziente», ha spiegato il procuratore di Ariano Irpino, Luciano D'Emmanuele nel corso della conferenza stampa tenuta ad Avellino insieme al comandante provinciale dei carabinieri, Giovanni Adinolfi, che ha consentito di mettere fine a gravi pregiudizi per l'ambiente e le acque nella Valle del Calore e dell'Ufita;
          si apprende che la Ibi, con sede a Napoli, in passato aveva avuto problemi con la certificazione anticamorra e per questa ragione aveva dato vita a sua volta alla Entei. I due arrestati, devono rispondere di frode in pubblica fornitura, truffa e falso ideologico, mentre i biologi che fornivano le false attestazioni sono anche accusati di esercizio abusivo della professione;
          due persone tratte in arresto, sei indagate, di cui tre biologi  –:
          di quali notizie dispongano i Ministri interrogati sui fatti esposti in premessa e quali misure intendano adottare promuovendo, anche attraverso il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, subito un monitoraggio su tutti gli impianti di depurazione presenti in Campania ed in primis a Napoli ed a Salerno. (4-19164)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          il celebre aforisma di quel geniale inventore di aforismi sul filo del paradosso che è stato Oscar Wilde torna prepotentemente in mente durante la lettura della nuova classifica della corruzione stilata da Transparency International;
          l'Italia, un Paese del G7, che era già al 69o posto l'anno scorso, è sceso ancor più, sino al 72o posto, con un voto di 42/100, quindi insufficienza piena;
          più onesti del nostro sono considerati Paesi di cui gli interroganti omettono i nomi per brevità di esposizione (la classifica completa è reperibile sul sito www.transparency.it);
          i politici e gli amministratori pubblici italiani vengono considerati dalla comunità internazionale subito a ridosso dei governanti che si appropriano illegittimamente degli aiuti internazionali destinati alle loro popolazioni affamate;
          era auspicabile beneficiare almeno in parte del cosiddetto «effetto Monti», cosa purtroppo non accaduta;
          dalle dichiarazioni di esponenti del Governo sulla questione in oggetto sembrerebbe che gli stranieri non investono in Italia a causa della legislazione sul lavoro, e non perché appena mettono piede nel nostro Paese sono costretti a fare i conti con il problema della corruzione a livello circoscrizionale, comunale, provinciale, regionale è statale. Se si considerano i Paesi con i quali ci si dovrebbe confrontare, il più «vicino» è la Spagna che è al 30o posto ed esibisce un bel 65/100 (più che sufficiente), poi la Francia è al 22o con il voto di 71/100, il Regno Unito al 17o posto con 74/100 e la Germania che è al 13o con 79/100. Ci si chiede come si fa a competere con costoro;
          la notizia della deprimente classifica quasi non è stata neanche data dai quotidiani o dagli altri media come la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. Ciò è particolarmente grave, perché, direttamente o indirettamente, si induce l'elettore a votare per candidati come quelli che si sono distinti in negativo, come nel caso dei consiglieri regionali di Lazio e Lombardia, solo per citare le vicende più gravi e note, non denunciate da nessuno che appartiene al sistema dei partiti rappresentati nelle istituzioni, tranne i Radicali;
          lo stesso linguaggio utilizzato, gergalmente detto «politichesi», non è solo un lessico, ma è divenuto, ad avviso degli interroganti, una forma mentis. D'altro canto la stessa Transparency International ha dato in altri rapporti sulla nostra stampa giudizi poco lusinghieri del tipo «in generale, la qualità dell'informazione rimane mediocre. La maggior parte dell'informazione è “allineata”»  –:
          quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere per dare soluzione a quella che agli interroganti appare una degerazione del sistema Paese. (4-19166)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          Giuseppe Ambrosio è l'ex capo di gabinetto dei ministri Galan e Zaia soprannominato «Centurione», attuale capo segreteria del sottosegretario Braga e direttore generale del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura;
          il 3 marzo 2011 si legge che «l'accusa di abuso d'ufficio e concussione sia piombata su sei dirigenti di via XX Settembre a Roma, tra cui il capo di gabinetto Giuseppe Ambrosio. Secondo un'inchiesta della procura di Roma la moglie di Ambrosio, la sua segretaria e altri a lui vicini avrebbero vinto negli anni scorsi concorsi da dirigenti pur non essendo in possesso di una laurea riconosciuta. Il titolo di studio, necessario per l'attribuzione del posto, è risultato conseguito presso la Link Campus University of Malta, ma non riconosciuto in Italia. Si tratta della seconda importante indagine che vede coinvolto Ambrosio, dopo quella sull'Enoteca d'Italia, una società del Ministero al centro della polemica sugli sprechi, su cui la Corte dei conti non ha però rilevato irregolarità»;
          il 31 marzo 2011 il Fatto Quotidiano informa che: «Chi sarebbe riuscito nell'intento, truffando per anni in un colpo solo Stato, Ue, produttori e consumatori? Secondo le indagini i responsabili sono, principalmente, un ente governativo (Agea) e un'agenzia ministeriale (Izs di Teramo). Uomini dello Stato. Un ruolo chiave, riferiscono i Nac, lo svolge il capo gabinetto del Ministero dell'agricoltura. Una casella occupata da Giuseppe Ambrosio»;
          in data 12 dicembre 2012 scoppia l'inchiesta giudiziaria che coinvolge diversi esponenti del Ministero dell'agricoltura, tra questi Giuseppe Ambrosio, tra i destinatari della misura in carcere, considerato figura centrale dell'inchiesta, assieme alla moglie Stefania Ricciardi, dirigente del Ministero, arrestata anche lei;
          in data 12 dicembre 2012 il TgCom 24 scrive sul proprio portale d'informazione continua; «Era già stato rinviato a giudizio due volte per truffa, ma dalla sua poltrona nessuno era riuscito a spostarlo. Ieri però, a finire in carcere con altri 10 dirigenti delle Politiche agricole, c'era anche lui, Giuseppe Ambrosio, braccio destro del sottosegretario Franco Braga. Una macchina da soldi per moglie, figlia e amanti: tutte piazzate al ministero, tra assunzioni e consulenze. Ambrosio ha una storia importante alle spalle (...) sapeva come fare carriera. A portarlo al ministero fu Alfonso Pecoraro Scanio. Come racconta Carlo Bonini su Repubblica in un inquietante ritratto, Ambrosio si fa strada con Alemanno e sopravvive a tutti i terremoti politici, rimanendo in sella anche sotto il Governo dei tecnici: a marzo viene nominato direttore generale del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura. La moglie Stefania Ricciardi (finita in carcere con lui) viene piazzata come dirigente sempre alle Politiche agricole, e riceve 89 mila euro in un'occasione per gli appalti. Poi c’è una nipote, Monica Ricciardi, anche lei sistemata al ministero. E ancora una figlia, Benedetta, e il suo fidanzato, Ludovico Bruno, che vengono sistemati di volta in volta dove capita. C’è poi un non meglio specificato faccendiere Michele Mariani, assistente amministrativo e membro delle commissioni di controllo sull'erogazione dei fondi ministeriali. E infine ci sono due amanti, Amelia Fucino da Grazzanise e Izabela Malgorzata Krupa, polacca: la prima viene ripagata con consulenze al ministero, la seconda con un'assunzione in una delle società vincitrici degli appalti, pilotate da Ambrosio»;
          il reddito dichiarato dal dottor Ambrosio è di 303 mila euro lordi l'anno. Ma lui sa bene come integrare le entrate e guadagnarsi favori, tra giri di appalti ed erogazioni pubbliche manovrate alle aziende «giuste»;
          ci sono intercettazioni di telefonate di Ambrosio con Massimo Spagnolo, direttore della Irepa onlus, società di biologia marina che ha ricevuto dal Ministero fondi per 9,7 milioni di euro, conversazioni in cui si parla di «bufale» e «mozzarelle»;
          c’è una telefonata di cortesia, a Natale del 2010, tra Ambrosio e Mario Di Trani, sindaco di Maratea, che riceve dal Ministero un contributo di 63 mila euro. Proprio a Maratea Ambrosio è proprietario di due villini e, in cambio del «regalino», il primo cittadino evita di fare il controllo edilizio sugli immobili, per poi prodigarsi in ringraziamenti. Ambrosio gli promette che avrà «la copia del decreto sotto l'albero di Natale» e Di Trani elogia «le attenzioni» che Ambrosio «riserva a questa terra...». Attenzioni che Ambrosio dedica a piene mani anche a Todi, dove si assiste allo stesso copione: lui costruisce la sua villa e a Todi vengono erogati 125 mila euro. Più un cortese sms in cui Ambrosio si rivolge con queste parole al suo amico umbro: «Carissimo Giuseppe, nel ringraziarTi per tutto l'aiuto che ci dai, ti auguro un sereno Natale. Dio Ti Benedica», in profluvio di maiuscole parole benaugurali;
          i fatti esposti in premessa sono ad avviso dell'interrogante gravissimi  –:
          se il Governo non intenda procedere ad un immediato monitoraggio dei dirigenti attualmente in seno a tutti i Ministeri e rimuovere tutti coloro che sono stati condannati per truffa, peculato, falsa testimonianza, corruzione ed ogni altro reato incompatibile con le funzioni svolte nell'ambito del ruolo riconosciutogli;
          come sia stato possibile mantenere un dirigente come Giuseppe Ambrosio già rinviato a giudizio due volte per truffa ed ora tratto in arresto per una vicenda di appalti e favori proprio nell'ambito funzioni svolte. (4-19183)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il signor Ettore Gotti Tedeschi dal 2009 è consigliere di amministrazione della Cassa depositi e prestiti su nomina del Ministro Giulio Tremonti, carica che aveva già ricoperto su nomina dello stesso Ministro dell'economia e delle finanze per il periodo 2004-2007;
          dal maggio 2009, in rappresentanza della Cassa depositi e prestiti è presidente di F2i, il patrimonio del Fondo è gestito dalla società di gestione del risparmio F2i SGR, con interventi sui settori infrastrutturali in cui F2i investe e che includono, tra l'altro: infrastrutture di trasporto, persone e merci: porti, aeroporti, autostrade, interporti, ferrovie e terminal ferroviari, e altro; reti di trasporto e distribuzione di elettricità, gas e acqua, nonché depositi di stoccaggio; reti di telecomunicazione e media; impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e tradizionali; sanità, servizi pubblici locali e infrastrutture sociali; attività correlate alle categorie in elenco. In pochi anni, F2i ha acquisito il controllo del 17 per cento del mercato italiano del gas e, in termini di clienti gestiti, è secondo solo al gruppo Eni (ugualmente partecipato da Cassa depositi e prestiti spa). Nel settore dei servizi idrici, il fondo F2i è socio (40 per cento, della multiutility Iren SpA in Mediterranea delle Acque spa, soggetto gestore dell'acqua di Genova e provincia, considerata base di partenza per diventare «uno dei principali operatori del servizio idrico in Italia» (dal sito di F2i). Nel campo delle telecomunicazioni, F2i, attraverso il possesso dell'87,5 per cento di F2i Reti Tlc, controlla il 61,4 per cento di Metroweb, per un piano di sviluppo della fibra ottica superveloce in 30 città italiane. Nel campo delle infrastrutture F2i ha acquisito il 29,8 per cento di Sea, la società che controlla gli aeroporti della città di Milano, e sta attivamente trattando per investire in Serravalle, la società delle autostrade milanesi. Infine, nel settore dei rifiuti, è recentissima l'apertura di una trattativa fra F2i ed Iren SpA per costruire, a partire da Torino e Genova di un polo nazionale dei rifiuti;
          principali investitori del Fondo, sono:
              a) Biis – Banca infrastrutture innovazione e sviluppo. Banca del gruppo Intesa Sanpaolo, è specializzata nella finanza per le infrastrutture e per il settore pubblici, con posizione di leadership in Italia e crescente presenza anche all'estero. Biis opera nei settori che incidono maggiormente sullo sviluppo economico del Paese, in particolare: infrastrutture, sistema sanitario, servizi pubblici e di pubblica utilità, progetti urbanistici e di sviluppo del territorio, strumenti innovativi per la gestione dell'operatività bancaria per enti e aziende. Intesa Sanpaolo ha lanciato il primo fondo a partecipazione pubblico/privato: il Fondo PPP Italia. Rappresentanti di Biis negli organi sociali di F2i Sgr sono: Maurizio Pagani, membro del Cda; Stefano Lodigiani, membro del comitato investimenti;
              b) Cdp – Cassa depositi e prestiti. Istituzione finanziaria controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze (70 per cento) e da fondazioni bancarie (30 per cento), Cdp è partner di riferimento degli enti locali italiani. Cassa depositi e prestiti vanta partecipazioni rilevanti in molte società di interesse pubblico: Eni, Enel, Terna, ST Microelectronics e Poste italiane; partecipa attivamente a fondi di investimento specializzati nel settore delle infrastrutture e dell’housing sociale. La sua missione include, tra l'altro, lo sviluppo di infrastrutture per i servizi pubblici a carattere locale. Rappresentanti di Cdp negli organi sociali di F2i Sgr sono: Ettore Gotti Tedeschi, presidente del Cda; Anna Molinotti, membro del comitato investimenti;
              c) Merrill Lynch Infrastructure Holding S.a.r.l. (Gruppo Bank of America). Parte del gruppo Bank of America, è una delle principali banche d'affari mondiali, attiva nei settori wealth management, capital markets e advisory. In qualità di banca d'investimenti, Bank of America Merrill Lynch è uno degli operatori leader nel trading e underwriting di un'ampia gamma di strumenti finanziari e assiste come advisor finanziario società, governi, istituzioni e investitori privati in ogni parte del mondo. Bank of America Merrill Lynch ha una forte presenza nel nostro Paese e ha preso parte a molte delle privatizzazioni effettuate in Italia negli ultimi anni, con una consolidata esperienza come advisor in operazioni di M&A e underwriting di equity e debito nel settore delle infrastrutture a livello globale. Rappresentanti di Merrill Lynch negli organi sociali di F2i Sgr sono: Mauro Maioli, membro del comitato investimenti;
              d) Unicredit Group. Rappresenta il principale gruppo bancario italiano e uno dei primi in Europa. Il suo impegno nel settore infrastrutture è sottolineato anche dalla presenza, all'interno del gruppo, di una società interamente dedicata a tale settore: Unicredit infrastrutture. Rappresentanti di Unicredit negli organi sociali di F2i Sgr sono: Davide Mereghetti, membro del Cda; Cesare Buzzi Ferraris, membro del comitato investimenti;
              e) le Fondazioni bancarie italiane. Cariplo, Cassa di risparmio di Torino, Cassa di risparmio di Cuneo, Cassa di risparmio di Lucca, Cassa di risparmio di Padova e Rovigo e Cassa di risparmio di Forlì, che storicamente controllavano le maggiori banche italiane e che ancora oggi figurano tra i maggiori azionisti delle principali istituzioni finanziarie del Paese. Rappresentanti delle fondazioni bancarie italiane nel Cda di F2i Sgr sono: Antonio Giuseppe Branca; Riccardo Conti; Fiorenzo Tasso; Paolo Morerio;
              f) le Casse di previdenza. Inarcassa (cassa nazionale di previdenza e assistenza per gli ingegneri e architetti liberi professionisti) e Cipag (Cassa di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti). Rappresentante delle Casse di previdenza nel Cda di F2i Sgr è Giancarlo Giorgi;
          dal 1993 il signor Gotti Tedeschi è nel gruppo Banco Santander con i seguenti principali ruoli: consigliere del presidente, rappresentante per l'Italia (senior country manager), presidente di Santander Consumer Bank e rappresentante della banca nel Patto di Sindacato, nel consiglio di amministrazione e nel comitato esecutivo del San Paolo di Torino;
          con il Banco Santander vi è una esposizione attuale del gruppo Finmeccanica di 552 milioni di euro;
          nel 2008 è stato chiamato a far parte del comitato consultivo del Governatorato della Città del Vaticano, Stato presso il quale dal 23 settembre 2009 al 24 maggio 2012 è stato nominato presidente dello IOR, l'Istituto per le opere di religione  –:
          se risulti se per assumere i ruoli nello Stato Città del Vaticano il dottor Ettore Gotti Tedeschi abbia informato le autorità italiane e, se del caso, se abbia ottenuto una sorta di autorizzazione o di nulla osta da parte delle autorità italiane per assumerne le funzioni, da chi e con quale motivazione;
          quali iniziative siano state prese per prevenire commistioni tra i diversi ruoli di rilevanza pubblica ricoperti nella Repubblica italiana e nello Stato Città del Vaticano nel periodo 2008/2012. (4-19184)


      BARBATO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Antonio Mastrapasqua, presidente INPS, è il rappresentante legale dell'Istituto. Nominato con decreto del Presidente della Repubblica e dura in carica 4 anni. Il presidente predispone il bilancio e i piani di spesa e investimento, attua le linee di indirizzo strategico dell'istituto e regolamenta l'organizzazione del personale e degli uffici, può assistere alle sedute del Consiglio di indirizzo e vigilanza;
          nato a Roma il 20 settembre 1959 è titolare dello studio Mastrapasqua in Roma;
          ha diretto la «Rivista Finanziaria – Osservatorio mensile sui mercati finanziari», mensile del Centro studi di economia e finanza;
          dal luglio 1992 è nominato vice presidente vicario e membro della giunta esecutiva dell'ENPSDI, Ente nazionale promozione sportiva disabili;
          ad aprile 2002 viene nominato Amministratore delegato di Italia previdenza – società italiana di servizi per la previdenza integrativa S.p.A.;
          a luglio 2004 viene nominato consigliere Inps;
          a novembre 2005 viene nominato vice presidente esecutivo di Equitalia S.p.A.;
          ha svolto per gruppi industriali e di servizi interventi di risanamento aziendale seguendo gli aspetti finanziari, organizzativi e societari. Nel corso dell'attività professionale ha effettuato lavori di revisione, di natura contabile e fiscale, ed ha svolto consulenza di carattere tributario e societario, nei confronti di aziende industriali o di servizi di società ed enti pubblici e privati;
              Mastrapasqua conta – stante diversi organi di informazione online e cartacei – 25 incarichi per oltre un milione di euro l'anno, di seguito:
              Presidente – istituto Nazionale per la Previdenza Sociale;
              Presidente – Equitalia Sud S.p.A.;
              Presidente – IDeA FIMIT SGR S.p.A.;
              Vice Presidente – Equitalia S.p.A.;
              Vice Presidente – Equitalia Nord S.p.A.;
              Vice Presidente – Equitalia Centro S.p.A.;
              Amministratore Delegato – Italia Previdenza S.p.A.;
              Direttore Generale – Ospedale Israelitico;
              Presidente del collegio sindacale – Aeroporti di Roma Engineering S.p.A.;
              Presidente del collegio sindacale – Aquadrome s.r.l.;
              Presidente del collegio sindacale – Cons. Cert. Qualità Impianti;
              Presidente del collegio sindacale – EMSA Servizi S.p.A. (in liquidazione);
              Presidente del collegio sindacale – Eur Congressi Roma s.r.l.;
              Presidente del collegio sindacale – Eur Power s.r.l.;
              Presidente del collegio sindacale – Eur Tel s.r.l.;
              Presidente del collegio sindacale – Fondetir Fondo Pensione Complementare Dirigenti;
              Presidente del collegio sindacale – Groma s.r.l.;
              Presidente del collegio sindacale – Italia Evolution S.p.A. (in liquidazione);
              Presidente del collegio sindacale – Mediterranean Nautilus Italy S.p.A.;
              Presidente del collegio sindacale – Quadrifoglio Immobiliare s.r.l.;
              Presidente del collegio sindacale – Rete Autostrade Mediterranee S.p.A.;
              Presidente del collegio sindacale – Telecontact Center S.p.A.;
              Presidente del collegio sindacale – Telenergia s.r.l.;
              sindaco effettivo – Autostrade per l'Italia S.p.A.;
              sindaco effettivo – Autostar Holdeing S.p.A.;
              sindaco effettivo – CONI Servizi S.p.A.;
              sindaco effettivo – Fandango s.r.l.;
              sindaco effettivo – Loquenda S.p.A.;
              sindaco effettivo – Pa.th.net S.p.A.;
              sindaco effettivo – Terotec;
              sindaco effettivo – Spiral Tools S.p.A.;
              sindaco effettivo – Pastificio Bettini Zannetto S.p.A.;
              sindaco effettivo – Consorzio Elis per la Formazione Professionale Superiore;
              sindaco supplente – Telecom Italia Media S.p.A.;
              revisore – Almaviva S.p.A.;
              consigliere di gestione – Centro Sanità S.p.A.;
              liquidatore – Office Automation Products s.r.;
          di recente il ministro Patroni Griffi ha, reso noti gli stipendi dei super-manager ma nella lista presentata non sono compresi i cumuli e doppi incarichi;
          emblematico il caso di Antonio Mastrapasqua, che nella lista del Ministero compare solo con il compenso come presidente Inps ovvero 216.711,67 euro;
          in questo conteggio non c’è il compenso che Mastrapasqua riceve in qualità di vicepresidente di Equitalia e quelli per gli altri 22 incarichi. Il Corriere della Sera stima il reddito complessivo e reale in un milione e duecentomila (presunti) euro;
          in data 12 giugno 2012 ilgiornale.it nel riferire della questione esodati ed il numero che stenta ad essere definitivamente chiaro informa: «L'errata corrige che ieri sera è arrivata dagli uffici dell'istituto di previdenza e il vertice d'emergenza notturno non sono certo bastati a far sbollire il Ministro del Welfare che oggi è tornata a tuonare contro Mastrapasqua. Nel settore privato le strutture responsabili della diffusione di un documento parziale e non spiegato come quello dell'Inps sarebbero sfiduciate», ha detto senza mezzi termini la Fornero sottolineando che, sul tema degli esodati, l'esecutivo ha promesso «serietà e impegno», mentre c’è «chi preferisce il gioco al massacro». La tentazione di far saltare qualche testa, di «riconsiderare i vertici» per dirlo con le parole del ministro, è tutt'altro che lontana;
          in data 24 ottobre 2012 la Federcontribuenti nazionale ha scritto sul proprio sito: «L'Inps non ha nemmeno un consiglio di amministrazione, è tutto nelle mani di quest'uomo e di Befera. Se l'Inps deve diventare una gigantesca macchina mangia soldi privata, come avviene per la riscossione per mano di Equitalia, non solo si chiede di intervenire politicamente e giuridicamente contro i 25 incarichi di Mastrapasqua, ma di modificare la legge sulla contribuzione e permettere a tutti i cittadini, lavoratori e imprenditori la giusta libertà di scegliersi con quale società legarsi per pagare i contributi previdenziali. Non si vede il motivo, per cui un cittadino italiano debba subire un simile, incondizionato, lucroso, potere e abuso»;
          dal 25 ottobre 2012 il presidente Inps ha iniziato la dismissione di 150 sedi dell'Inps lasciando a casa migliaia di impiegati statali e milioni di contribuenti senza un ufficio al quale accedere. Un chiaro conflitto di interesse, spreco delle risorse pubbliche, danneggiamento dei servizi ai cittadini;
          Mastrapasqua presidente dell'Inps, per volontà del Governo Berlusconi, è anche vice presidente di Equitalia nord, sud e centro e presidente del fondo immobiliare Idea Fimit, la più potente società immobiliare della nazione  –:
          se le informazioni esposte in premessa corrispondono al vero e quali misure si intendano porre in essere per evitare il ripetersi di tali situazioni salvo richiedere al Presidente Inps la rinuncia ad alcuni incarichi ciò nell'interesse dei cittadini contribuenti, in quanto non si capisce come umanamente sia possibile gestire una moltitudine di incarichi senza sacrificarne qualcuno o più;
          se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda assumere iniziative di propria competenza sul caso, recepire i suggerimenti di Federcontribuenti, spiegare in quale direzione si stia andando dopo la fusione INPS, Inpdap ed Enpals e se il manager Mastrapasqua con i suoi 25 incarichi sia in grado di realizzare questa operazione. (4-19185)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


      MENIA e DI BIAGIO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 157 del decreto legislativo n.  103 del 2000 recante «Disciplina del personale assunto localmente dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura all'estero, a norma dell'articolo 4 della legge 28 luglio 1999, n.  266», sancisce che «la retribuzione (del personale a contratto) è di norma fissata e corrisposta in valuta locale, salva la possibilità di ricorrere ad altra valuta in presenza di particolari motivi»;
          l'articolo 1 del decreto ministeriale del 12 dicembre 2002 prevede che dal 1o gennaio 2003 la retribuzione del personale di cui sopra, viene determinata e corrisposta in euro, ad avviso degli interroganti in aperta violazione di quanto sancito dall'articolo n.  157 del decreto legislativo n.  103 del 2000;
          attualmente molti impiegati a contratto – assunti dopo il 2003 – rientranti nella fattispecie di cui sopra, usufruiscono di una retribuzione in euro. Si tratta di un aspetto di particolare criticità per quanto riguarda i lavoratori impegnati ad esempio, in Svizzera, Brasile, Canada, Australia, Slovacchia;
          infatti, nella definizione delle retribuzioni, il Ministero degli affari esteri, in deroga alla legge, applica il cambio in euro invece che in valuta locale, comportando un non trascurabile svantaggio economico, oltre che serie difficoltà al personale dei Paesi sopra menzionati;
          di contro, sarebbe auspicabile – ai fini della opportuna tutela di adeguati standard di vita degli impiegati – che, laddove gli stipendi locali risultino più alti di quelli italiani e laddove circoli una valuta diversa dall'euro, si definisca la retribuzione con valuta locale, adeguandola opportunamente ai panieri di riferimento locali;
          la conversione in euro di uno stipendio che nasce in valuta locale comporta inevitabilmente dei vizi di cambio, poiché spesso non vi è rispondenza tra il tasso di cambio applicato e quello realmente in vigore, con conseguenti difficoltà per gli impiegati che si ritrovano a percepire una retribuzione ben lontana dai valori di riferimento di uno stipendio locale;
          sotto il profilo contributivo del suindicato profilo lavorativo, il regolamento (CE) n.  833/2004 prevede, all'articolo 16, che due o più Stati membri o gli organismi designati da tali autorità possano di comune accordo prevedere su richiesta degli interessati, il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali nel Paese di residenza, ma tale «ipotesi» normativamente sancita risulta essere ottemperata molto raramente;
          malgrado le sollecitazioni e le richieste di chiarimento nei confronti dell'amministrazione da parte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, non risulta ancora chiaro se i lavoratori suindicati possano o meno usufruire degli interventi di sostegno al reddito, di indennità di disoccupazione e di pensioni nel Paese di residenza, sussistendo l'ipotesi opzionale sancita dal citato articolo 16 del regolamento comunitario;
          l'amministrazione non ha fornito chiarimenti in merito al perché il calcolo dei contributi venga definito su uno stipendio convenzionale, mentre le aliquote Irpef vengono calcolate sull'importo dello stipendio lordo;
          grave risulta il danno ai fini pensionistici per i connazionali che risiedono in Paesi in cui esiste un alto costo della vita considerando che i contributi – siano essi versati in Italia o nello stesso Paese di residenza – sono rapportati allo stipendio lordo non essendo quest'ultimo caratterizzato da un assegno di sede  –:
          se, alla luce delle criticità di cui in premessa in cui versa un'intera categoria di lavoratori impiegati dallo Stato italiano oltre confine, si intenda valutare l'opportunità di rivedere i termini dell'articolo 1 del decreto ministeriale del 12 dicembre 2002, al fine di garantire la corretta applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo n.  103 del 2000, escludendo l'ipotesi di sussistenza di una normativa in chiaro contrasto. (5-08688)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BUCCHINO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Messico rappresenta per l'Italia un Paese di notevole interesse sia sul piano delle relazioni bilaterali che su quello dell'interscambio economico, per la sua collocazione geopolitica e per il trend espansivo di cui gode da alcuni anni la sua economia;
          la comunità italiana assicura nel paese un ruolo di riferimento e di mediazione dell'immagine dell'Italia che va ben al di là della sua dimensione quantitativa;
          la promozione della cultura e della lingua italiana all'estero, come è stato confermato nei recenti lavori seminariali svolti presso il Ministero degli affari esteri, riveste una funzione strategica per la proiezione globale del Paese, non solo come strumento di affermazione del suo profilo culturale e politico, ma anche come supporto all'internazionalizzazione delle nostre imprese e dei nostri prodotti;
          l'offerta culturale fatta negli anni passati dall'Istituto italiano di cultura ha risposto in modo adeguato alla domanda della nostra comunità e a quella abbastanza estesa dei messicani, interessati alla nostra cultura e all'apprendimento della nostra lingua;
          l'attività culturale del nostro istituto ha conosciuto negli ultimi tempi una flessione di ordine quantitativo e qualitativo, dovuta sia alla riduzione delle risorse destinate in generale alla rete dei nostri istituti che a motivi specifici attinenti alla programmazione e alla realizzazione in loco dell'intervento;
          in particolare, è diminuito il numero degli eventi culturali, alcuni dei quali realizzabili a costo minimo o nullo, e dell'insegnamento linguistico, come testimonia il fatto che i corsi nell'anno corrente sono diminuiti del 14 per cento rispetto a quelli dell'anno precedente e gli utenti di circa il 18 per cento;
          non si avvertono apprezzabili segni di rilancio promozionale dei corsi di lingua né di riorganizzazione per quanto attiene al rinnovamento dei programmi didattici e all'elaborazione del materiale didattico; sono altresì scomparse le attività di aggiornamento e specializzazione degli insegnanti;
          la stessa promozione dell'Istituto mediante le reti sociali appare parziale, statica e poco attraente, con informazioni datate e saltuariamente aggiornate;
          il rapporto autoritario e privo di regole con il personale adibito all'espletamento dei corsi contribuisce ad accentuare la precarietà della situazione e a insidiare la stabilità e la continuità del servizio; importanti prerogative previste nei contratti a favore del personale e le indicazioni contenute nel Contratto etico del personale insegnante, sottoscritto fin dal 2008, ricevono scarsa considerazione  –:
          se non ritenga di dovere sollecitare, tramite un intervento diretto della nostra rappresentanza diplomatico-consolare, un rilancio dell'offerta culturale italiana in Messico attraverso una più incisiva attività del locale istituto di cultura, perché essa diventi più adeguata alla domanda culturale e linguistica presente nel Paese e più attenta ai diritti del personale che a vario titolo concorrono a realizzarla;
          se non ritenga opportuno fare in modo che le relazioni professionali del personale a contratto presso gli istituti di cultura si svolgano in un quadro di regole certe e rispettose dei fondamentali diritti di lavoro, con beneficio degli stessi istituti e della stabilità del rapporto con gli utenti. (4-19077)


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del regolamento (CE) n.  847/2004, la legge 28 gennaio 2009 n.  2 prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con il Pakistan, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore  –:
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          in caso di positiva conclusione, se vi siano ulteriori elementi migliorativi che il nostro Paese intende ulteriormente richiedere;
          se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-19133)


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del regolamento (CE) n.  847/2004, la legge 28 gennaio 2009 n.  2 prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con il Qatar, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore  –:
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          in caso di positiva conclusione, se vi siano ulteriori elementi migliorativi che il nostro Paese intende ulteriormente richiedere;
          se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-19134)


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del regolamento (CE) n.  847/2004, la legge 28 gennaio 2009 n.  2 prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con la Russia, inviando una Nota Verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore;
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          in caso di positiva conclusione, se vi siano ulteriori elementi migliorativi che il nostro Paese intende ulteriormente richiedere;
          se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-19135)


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del regolamento (CE) n.  847/2004, la legge 28 gennaio 2009 n.  2 prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con il Sud Africa, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore  –:
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          in caso di positiva conclusione, se vi siano ulteriori elementi migliorativi che il nostro Paese intende ulteriormente richiedere;
          se e quali iniziative il Governo intende attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-19136)

AFFARI REGIONALI, TURISMO E SPORT

Interrogazioni a risposta scritta:


      REGUZZONI. — Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Varese esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              a Cocquio Trevisago – Villa Della Porta. Edificio ampiamente rimaneggiato ed ampliato. Interessante il rapporto ambientale e paesistico, in parte costituito dal parco, in parte da campagne ben tenute, con viale a belvedere in posizione elevata. Villa De Maddalena Schiroli. L'elemento architettonico più interessante della casa è costituito dal cortile allungato, con porticato su doppio ordine, con colonne in granito e archi molto ribassati, tipici dell'architettura minore. Pergolato e balconi con parapetti settecenteschi, loggetta sull'ala occidentale, costruita in forme liberty. Le sale interne in parte hanno soffitti a cassettoni, in parte a botte, specie nell'ala orientale che poggia direttamente contro il fianco della collina. Località Carnisio Inferiore, Villa Morlin Visconti. Benché rechi tracce di muratura molto antiche, forse del tardo Medioevo, la villa è un edificio del Settecento realizzato in forme assai semplici, in posizione paesistica interessante. Fino al 1825 essa era composta dal solo corpo ad U, con ali simmetriche, successivamente a questa data veniva aggiunto un piccolo edificio ad est, in stile eclettico, con tre archivolti ricavati sulla facciata verso il cortile. Interessanti le sale principali interne, con arredi e decorazioni ottocentesche, una delle quali interamente affrescata con scene di caccia e belle vedute. In località S. Andrea, Villa Tagliabò Vallardi. Costruita alla fine del XIX secolo come «addizione» ad un rustico settecentesco, la villa si presenta in forme eclettiche, con un corpo ad L alla cui intersezione si leva la torretta romantica. Gli ambienti interni tentano una riproduzione stilistica del Settecento, soprattutto nei soffitti in legno naturale lucidato, oppure verniciati e decorati con motivi a «passasotto»;
              a Luvinate – Villa Mazzorin.  Villa di grande interesse paesistico-ambientale, in posizione elevata. Il parco all'inglese si imposta su di un ampio «cannocchiale», tenuto a prato, in corrispondenza della facciata, fiancheggiato da fitte conifere e terminante a valle con un'ampia cancellata. Il parco si spinge anche a monte, a nord delle case, oltrepassando con un ponte la strada comunale. La villa si presenta in forme eclettiche, con interessanti sale decorate a stucco o con rivestimenti lignei. Da ricordare anche, nell'ambito della proprietà, la presenza di un rustico realizzato in forme neogotiche;
              a Comerio – Villa con parco Tatti Tallachini. Villa in posizione dominante rispetto al lago e concepita attorno all'assialità data dal rapporto panoramico, sulla quale si realizza anche la grande e complessa struttura del giardino. Planimetricamente l'edificio è composto da un corpo principale e da due ali minori, non disposte ad U, ma su di una sola linea. Il corpo principale a tre piani, è fortemente aggettante rispetto alle ali. Una di queste, quella occidentale, è in realtà una semplice cortina muraria che simula la facciata dell'edificio, in coerenza con la veste stilistica di tutto il complesso. Tutti gli affacci sono ciechi, ad eccezione di un'apertura che comunica con lo spazio pubblico retrostante la villa. L'ala orientale è, invece, un reale corpo di fabbrica. I prospetti dell'intera struttura architettonica presentano facciate fortemente scandite da lesene. Ambienti interni decorati con affreschi e stucchi, soffitti lignei dipinti, pregevoli parapetti in ferro battuto secondo il gusto settecentesco. La villa, affacciata sull'ampio terrapieno che costituisce il livello più elevato del giardino, riflette l'idea di una balconata sullo spazio aperto, immagine che viene riproposta nello schema architettonica del giardino, lungo il quale si discende attraverso una serie di terrazzamenti. Tale discesa è accompagnata da cascatelle d'acqua e da rimandi da fontana a fontana, fino all'ultimo grande bacino. Villa Sartorelli. Importante villa in stile Neoclassico Palladiano, opera dell'architetto Domenico de Benedetti. La struttura, su due piani, richiama le dimore patrizie romane. Alcuni soffitti sono affrescati con scene ispirate alla mitologia greca e romana;
              a Gugliate Fabiasco – Casa Moscatelli;
              a Cuvio – Palazzo Cotta Litta Arese. Imponente edificio posto in posizione dominante rispetto all'aggregato residenziale di Cuvio. Si tratta di un complesso probabilmente frutto di trasformazioni ed ampliamenti di una più antica fortificazione. L'ala orientale e quella settentrionale si elevano su tre piani di altezza, mentre più bassi sono gli altri corpi di fabbrica. Essi sono disposti attorno ad un cortile, il cui lato meridionale è formato ad esedra. L'ala signorile, con portico a tre arcate, è quella settentrionale e fu probabilmente organizzata nel XVII secolo;
              a Gallarate – Palazzo del Broletto. Eretto in Via Cavour, sull'area dell'ex convento di S. Michele, il palazzo fu inaugurato nel 1861 quale sede del comune. Dell'antico convento viene conservato il «Broletto» vero e proprio, cioè lo spazio compreso fra il giro dei portici del chiostro  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso;
          se ed in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dalla provincia di Varese.
(4-19125)


      REGUZZONI. — Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Varese esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              a INDUNO OLONA Villa Porro Pirelli. Proprietà: Comune di Induno Olona. Destinazione d'uso attuale: Ricettivo – congressuale. Edificio di imponente severità. La sua architettura fronteggia gli spazi del monumentale giardino, articolato su diversi terrazzamenti e con varie scalinate di raccordo. L'impianto scenografico che ne risulta rivela il gusto seicentesco di questa residenza signorile;
          Villa Castiglioni. Albergo con ristorante. Villa tardo-neoclassica, dei primi anni dell'Ottocento, utilizza, probabilmente, parte di una casa più antica. Il complesso si presenta con una pianta ad L, ma in realtà l'ala nobile della casa è chiaramente identificabile nel corpo di fabbrica disposto secondo l'asse Nord-Sud, che si eleva leggermente più alto dell'ala settentrionale, più semplice e povera, determinando verso strada una specie di cortile d'onore. Il parco si sviluppa con ricca vegetazione a occidente e a settentrione della villa, interrotto dalla cortina dei fabbricati rustici. Interessante il vicino nucleo denominato «La Quadronna». Villa Tansini. Caratteristica casa dominicale, di probabile origine seicentesca, presenta pianta rettangolare con facciata rivolta verso valle;
          il corpo di fabbrica, su tre piani, è dotato, al piano terreno, di un profondo porticato sostenuto da colonne in pietra che media il passaggio dall'abitazione al giardino e, attraverso un corpo scale, dal giardino ai piani superiori. Al primo piano sono collocate le stanze, tutte affacciate verso meridione, mentre l'ultimo piano è coronato da profondo loggiato che ha le stesse dimensioni del portico, con archi a sesto ribassato;
          Villa Buzzi Ballo. È una dimora sorta dal frazionamento di un'antica residenza signorile. La casa si presenta in continuità con i rustici, alcuni dei quali adibiti all'attività rurale, altri più strettamente connessi alla funzione residenziale. Sul lato anteriore della villa, un giardino garantiva lo spazio necessario a dare rilievo alla facciata, mentre sul retro si estendeva una parte a bosco. Nel secolo XIX, con la realizzazione di due villini separati, l'assetto della casa venne profondamente manomesso;
          Villa Bianchi. Proprietà: Comune di Induno Olona. Destinazione d'uso attuale: Municipio. Costruzione a due piani, ideata secondo uno spirito già caratterizzato in senso borghese, in linea con le origini della famiglia. Presenta una semplice ma rigorosa simmetria nella facciata, con partito centrale concluso da timpano e scandito, a metà altezza, dalla sporgenza di una balconata. La costruzione attualmente esistente non è che l'ala superstite di un complesso, che si articolava su quattro lati attorno ad un cortile, demolito nel 1968;
          in località Frascarolo, Castello e Torre Medici di Marignano. Dimora cinquecentesca, conserva l'antico impianto fortificato la grande torre ovest a pianta quadrata (XII secolo), attorno alla quale si stenta a riconoscere la disposizione dei corpi di fabbrica riconducibili al vero e proprio castello. L'ipotesi più attendibile attorno all'origine del complesso, risulta quella di una modesta fortificazione, raccolta attorno all'attuale cortile sud-ovest e addossata all'unica torre. Le torri minori, completate nella parte superiore da Luca Beltrami agli inizi del nostro secolo, sarebbero frutto della trasformazione cinquecentesca, che volle il motivo della doppia torre con funzione esclusivamente simbolico-rappresentativa. Malgrado l'ingresso monumentale praticato sul lato nord-est, con lunga rampa e il portale affiancato dalla doppia fronte di cappella, gli ambienti della casa si articolano attorno a spazi appartati, protetti dalla lunga cortina dei rustici. L'asse principale è il prolungamento della rampa d'accesso che determina una terrazza rettangolare allungata, sul cui fondale un altro andito ripete il primo. A valle di questo cortile si svolge il giardino terrazzato all'italiana, a monte la casa con i due cortili, dei quali il primo è complementare alla terrazza, mentre il secondo, appartato, si apre mediante un cancello sui giardini e le campagne a monte. Il primo cortile, strettamente legato agli spazi del giardino italiano, è trattato come fondale ad esso, con grande ricchezza di decorazioni a fresco. Fasce e riquadri, tra finestra e finestra, continuano anche lungo il fronte sud-est, che guarda più direttamente sul giardino. Questa probabilmente, rappresenta la prima parte investita dalle trasformazioni cinquecentesche, come rivela l'uso di colonne più antiche nella parte di fondo del porticato. Più rigido il cortile di sud-ovest, destinato a fare da contrappunto al possente torrione, è arricchito da partiti decorativi a bugne e da una loggetta rinascimentale al piano superiore. Interessanti interni con saloni e locali decorati  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso;
          se ed in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dalla provincia di Varese.
(4-19128)


      REGUZZONI. — Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Varese esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              a) Porto Valtravaglia – Villa Isolabella. Edificio che presenta sul lato rivolto a monte un semplice ma interessante colonnato. Villa Zamarra Ferrarlo. Dimora a pianta quadrilatera, a due piani, con ali sensibilmente diverse negli elementi distributivi, tali da lasciar supporre una disposizione preesistente. Originalissima l'ala occidentale, autentica invenzione tardo barocca, che ha la sola funzione di raccordo tra le ali settentrionali e meridionali, a chiusura del cortile. Essa permette al piano terreno la continuità dello spazio porticato e realizza, al piano superiore, una zona coperta con doppio affaccio, sul cortile e verso l'esterno. Su di essa, inoltre, è impostata una torretta quadrata, molto elevata, con funzione panoramica. Tra gli ambienti interni, vanno ricordate due ampie aule a piano terreno dell'ala settentrionale, coperte a volta, e un ambiente rustico con volta a botte, nell'angolo sud-orientale dell'edificio, contiguo al porticato. Sono infine di grande suggestione i muraglioni di cinta del giardino, realizzati in pietra;
              b) Osmate – Villa Bruno di Tornaforte, Barone, Livio. Antica casa, si presenta attualmente in forme settecentesche, con l'aggiunta ottocentesca di una torretta panoramica a nord. L'accesso avviene dal borgo attraverso un bel portale, arretrato rispetto al filo stradale e raccordato da muri curvilinei, parzialmente rifatti. Cortile interno con ala nobile porticata e doppio andito nelle ali minori, che comunicano con le corti rustiche. Il porticato disimpegna direttamente il salone, con affaccio sul parco, e lo scalone con balaustra in pietra permette l'accesso alla galleria superiore. Dal salone, attraverso una duplice terrazza, è possibile accedere al parco, che degrada ad oriente verso il lago di Monate, con una veduta amplissima dei colli e dei monti che fanno cerchia alla conca di Varese;
              c) Osmate – Villa Garavaglia Castelbarco. Interessante villa, già declinante verso i modi del villino borghese tardo ottocentesco, realizzata nel 1859. Costruzione molto semplice, a pianta rettangolare, presenta elementi stilistici tipici della tradizione eclettica lombarda, quali l'uso di cornici riportate dal tardo gotico inglese. L'interesse maggiore del complesso consiste nel rapporto della casa con il parco, probabilmente organizzato dall'Alemagna, ricco di vedute panoramiche;
              d) Rancio Valcuvia – Villa II Casone. Semplice impianto, presenta facciata con tre archi sostenuti da colonne in pietra. A questo corpo sono addossati altri due corpi trasversali a un solo piano, anch'essi porticati con pilastri in pietra, tali da formare una disposizione ad U, aperta sulla strada che attraversa la Valcuvia; Casa Velati. Casa con corpo principale a tre piani, formato da un porticato a cui si sovrappongono due profondi loggiati, forse frutto di un'aggiunta ottocentesca. Un semplice portale, che si apre nel muro di cinta, introduce nella corte rurale. Villa Velati. Edificio a corte centrale, con una disposizione planimetrica che ricalca lo schema quadrilatero del castello. L'ala principale presenta una facciata su strada delimitata da due torrette d'angolo, portale d'ingresso in pietra con arco a tutto sesto, sormontato da un architrave. Sulla parte centrale di questo corpo di fabbrica si eleva una robusta torre quadrata, che conferisce al complesso un aspetto castellano. Cortile interno quadrato, delimitato da ali su due livelli, con affacci che conservano un disegno regolare. L'ala principale, a piano terreno, presenta un bel colonnato. Sul versante settentrionale, verso cui è rivolta la facciata del corpo principale della villa, si apre l'estensione un tempo adibita a giardino, segnalata da un monumentale controportale che ne stabilisce l'accesso; Villa Barassi Bonario. Edificio a due piani, con piccolo giardino sulla parte anteriore. La facciata prospiciente la strada è ordinata secondo il tipico modulo neoclassico, con due partiti laterali incorniciati da lesene ed il partito centrale, leggermente sfondato, formato da semicolonne con capitelli ionici. Al centro un balconcino con colonnine in pietra. Vecchio convento. Di antica origine conventuale, sede degli Umiliati, divenne casa con l'abolizione dell'Ordine stesso (1571), subendo profonde trasformazioni. Della sua origine, la casa conserva l'impianto planimetrico, con due ali del quadrilatero che compone la corte domestica, probabilmente di età medievale. Di queste l'ala orientale, che risulta la meno manomessa, presenta un portico sostenuto da colonnette ottagonali in pietra, sovrastato da loggiato ad archi a tutto sesto, soluzione forse successiva ma ben misurata. Le altre due ali del quadrilatero sono composte da edifici rustici. Originariamente sul lato meridionale esisteva un passaggio in asse con l'androne d'accesso, chiuso in tempi successivi, che collegava il borgo con una cappella edificata sulla collina retrostante, di cui oggi rimangono solo alcuni resti. Interessante infine la posizione di tale complesso che, elevandosi accanto al ripido e impetuoso torrente che attraversa Rancio, ne sfruttava in passato le capacità difensive  –:
          se e quali interventi il governo abbia attuato o intenda attuare per valorizzare le potenzialità turistiche del comune di Sesto Calende e delle aree limitrofe, territorio a forte valenza turistica e di straordinaria bellezza paesaggistica e naturale;
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso. (4-19131)


      REGUZZONI. — Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Luino (Va) sono localizzati numerosi edifici di significativa importanza storica ed architettonica, tra i quali:
              a) la chiesa con convento della Madonna del Carmine. Fondata nel XV secolo, conserva l'impianto originario nella navata e nella prima cappella sinistra, rivestita da interessanti affreschi cinquecenteschi. Altre pitture murali quattrocentesche sussistono alle pareti della cappella attigua;
              b) la chiesa di S. Pietro in Campagna. Indagini archeologiche hanno accertato che la chiesa venne eretta nel secolo XI-XII sulle fondamenta di un edificio più antico, del quale sono stati identificati i muri dell'abside e un muro rettilineo sotto l'attuale navata centrale. Nel secolo XI-XII venne eretta una chiesetta a navata unica chiusa da abside e dotata di quel campanile che si è conservato fino ai nostri giorni. Nella seconda metà del XV secolo venne aggiunta la cappella dedicata alla Vergine, per coprire l'affresco omonimo che si trovava sul fianco del campanile. Nel 1572 la Chiesa venne ampliata con l'aggiunta di due navate laterali. Verso la metà del secolo XVII la chiesa venne quasi integralmente abbattuta e ampliata. Nel 1732 venne edificata la cappella ossario. L'interno, su tre navate, conserva importanti affreschi. Sulla parete di fondo «Natività» secolo XIV-XV, nella parete accanto lunetta con «Conversazione spirituale», sotto «Adorazione dei Magi», forse opera giovanile di Bernardino Luini, più avanti tracce di antichi affreschi (secolo XIV-XV). Pregevoli il crocifisso dell'arco trionfale e la pala d'altare;
              c) la chiesa di S. Giuseppe Chiesa consacrata nel 1665 su progetto di G. Quadrio. Nelle nicchie della facciata sono poste le seicentesche statue di S. Dionigi e S. Giuseppe. All'interno pala d'altare del secolo XVII raffigurante il «Matrimonio della Vergine»  -:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico;
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intende attuare per valorizzare le potenzialità turistiche del comune di Luino e del luinese area a forte valenza turistica e di straordinaria bellezza paesaggistica e naturale. (4-19144)


      REGUZZONI. — Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Sesto Calende (Varese) sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali:
              l'abbazia e chiesa parrocchiale di S. Donato. Fondata nel IX secolo e ricostruita nel corso dell'XI-XII secolo, la chiesa si rifà a modelli basilicali milanesi, non solo nell'impianto ma anche in alcuni motivi architettonici, come il coronamento a fornici dell'abside maggiore. L'absidiola settentrionale è la parte più antica e faceva parte dell'edificio primitivo. Alla chiesa si accede attraverso un nartece, originariamente aperto, di una raffinata policromia di blocchi di serizzo e pietra d'Angera. Esso si articola su tre navate per due campate, coperte da volte a crociera rette da colonne con capitelli. Nella navata destra si trova il battistero affrescato (XV-XVI secolo). Sulla facciata del nartece si trovavano gli affreschi della «Madonna con Bambino e S. Rocco» del XV secolo e di «S. Donato» (1684-1687), ora staccati e trasportati all'interno. La chiesa è costituita da tre navate ed è stata ripetutamente rimaneggiata. Nella navata destra affresco raffigurante il «Battesimo di Cristo» (XVI secolo), in fondo alla navata «Ultima cena», opera datata 1581 e firmati da G.B. Tarilli. La navata sinistra, chiusa dall'abside originaria del XII secolo, è decorata da affreschi quattrocenteschi sotto i quali si intravedono affreschi più antichi; nel catino absidale «Cristo Pantocratore» entro mandorla. Nella navata centrale, al secondo pilastro di destra, affresco quattrocentesco della «Madonna del latte». Alla natura monastica della chiesa va collegata la presenza di un presbiterio molto profondo e sopraelevato sulla cripta, ornato di affreschi di Biagio Bellotti (1759) entro le prospettive architettoniche dei fratelli Baroffio. Nella cappella a sinistra del presbiterio, affreschi del XV secolo. La cripta conserva affreschi monocromi con scene della vita della Vergine risalenti al XV secolo. Il campanile è del XII secolo;
              la Chiesa di S. Vincenzo o Oratorio dei Re Magi. Una primitiva chiesa sorse fra il V-VI secolo sulle fondamenta di un edificio romano (secoli I-II dopo Cristo). Fu in uso in epoca longobarda e nel secolo XI venne riedificata con l'erezione di una nuova abside ad est, dopo l'abbattimento di quella originaria posta a ovest. Nel 1534 passò all'Ospedale Maggiore di Milano; l'edificio è ad aula unica, con copertura a capriate lignee. L'abside è divisa esternamente in tre scomparti scanditi da lesene in pietra squadrata, entro i quali si aprono due finestre con ghiera in cotto, materiale usato anche per sottolineare una serie di archetti pensili. La parete destra mostra un'antica muratura a spina di pesce. La Chiesa conserva interessanti affreschi (dal XIV al XVIII secolo). Il campanile a vela fu aggiunto nel XVIII secolo  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per valorizzare le potenzialità turistiche del comune di Sesto Calende e delle aree limitrofe, territorio a forte valenza turistica e di straordinaria bellezza paesaggistica e naturale;
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico. (4-19148)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


      REALACCI e MARIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          venerdì 13 gennaio 2012, intorno le ore 21.30, mentre stava effettuando una crociera nel Mediterraneo con partenza da Civitavecchia e successivo scalo previsto a Savona, la nave Concordia, ha urtato gli scogli a 500 metri dal porto dell'Isola del Giglio, provocando gravi danni ed uno squarcio di 70 metri nello scafo incagliandosi, fuori rotta e inclinata di ottanta gradi, presso punta La Gabbianata, proprio di fronte Giglio Porto;
          l'evacuazione totale delle circa 4.229 persone tra equipaggio e passeggeri ha causato, anche per il quasi totale inabissamento dello scafo, diversi morti, alcuni feriti e numerosi dispersi e alcuni sversamenti di liquidi inquinanti in mare;
          la nave Costa Concordia si stava dirigendo verso l'Isola del Giglio, percorrendo una rotta atipica e non «economica» per raggiungere il porto di Savona, con l'intento di effettuare quello che nella consuetudine della pratica marinara viene chiamato «inchino», ovvero un passaggio di saluto dell'imbarcazione molto a ridosso del Giglio;
          nave Concordia è una nave di grosse dimensioni lunga 290,20 metri e larga 35,50 metri, con una stazza lorda di oltre 114.000 tonnellate, e sei motori con potenza totale di 76Kw. Le operazione per il recupero del natante sono state appaltate dalla società Costa Crociere, sotto il controllo del dipartimento della protezione civile e degli istituti specializzati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          il 13 dicembre 2012, è notizia apparsa sulle agenzie e sulle edizioni online dei maggiori quotidiani nazionali della forte preoccupazione espressa dal Ministro dell'ambiente Corrado Clini sulle condizioni dello scafo del relitto: ancora adagiato nello spazio di mare antistante il porto del Giglio. In particolare si sottolinea la questione dei ritardi nelle operazioni di recupero e il corretto smaltimento di Concordia  –:
          se i Ministri interrogati intendano in primis rendere note le condizioni necessarie per garantire che l'effettiva rimozione e il ricovero del relitto avvengano in sicurezza e senza ulteriori danni per l'ambiente;
          se non ritengano indispensabile chiarire le ragioni dei ritardi e quale sia attualmente lo stato dell'ecosistema marino dell'arcipelago Toscano interessato dall'incidente di nave Costa;
          quali azioni intenda altresì mettere in campo il Governo per accelerare la rimozione dello scafo, quali siano i tempi di realizzazione dei lavori e quando sarà completata la rimozione totale del relitto, auspicando fortemente che ciò avvenga prima dell'inizio della stagione estiva;
          quali siano poi i tempi necessari per l'allestimento del cantiere di lavoro nel porto di Piombino, destinato ad accogliere il relitto, quanti fondi siano effettivamente necessari all'espletamento della rimozione e della messa in sicurezza della nave e chiare assicurazioni sul fatto che i costi e i risarcimenti ricadranno in via esclusiva sui responsabili del disastro della Costa Concordia. (4-19079)


      BARBATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere premesso che:
          dei 312.619 autocarri per il trasporto merci che circolavano in Campania all'1o gennaio 2012 il 98,34 per cento erano alimentati in maniera tradizionale, e cioè a benzina o a gasolio. Solo il restante 1,66 per cento del parco circolante era composto da autocarri verdi e quindi alimentati a metano, a GPL o elettrici. Tra le province campane quella con la percentuale maggiore di autocarri verdi è Napoli (2,04 per cento), seguita da Salerno (1,48 per cento) e Avellino (1,41 per cento). Sempre ad inizio 2012 in Italia dei 4.021.413 autocarri circolanti solo 99.448 (che corrispondono al 2,47 per cento) erano alimentati a metano, a GPL o elettrici, mentre i restanti 3.921.965 (e cioè il 97,53 per cento) erano a benzina o a gasolio;
          nella graduatoria delle regioni stilata in base alla percentuale di autocarri ecologici sul totale del parco circolante di autocarri la Campania si colloca in undicesima posizione;
          i dati sono dell'osservatorio Metanauto (struttura di ricerca sul metano per autotrazione) su dati Aci;
          il dato emerge da un servizio della testata metropolisweb.it che ha pubblicato il monitoraggio in data 12 dicembre 2012  –:
          quali misure si intendano assumere a difesa dell'ambiente e della salute per incentivare e favorire la scelta di autocarri (leggeri o pesanti) ad alimentazione alternativa disponibili sul mercato includendovi oggi una varietà di modelli (come suggerito dal presidente di Federmetano ed a capo dell'osservatorio metanauto) imponendo eventualmente alla pubblica amministrazione l'utilizzo esclusivo di auto ecologiche e comunque alternative a quelle inquinanti. (4-19095)


      RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'abitato di San Maurizio ha avuto diversi alluvioni tra le quali le più disastrose si sono verificate nel 1976 e nel 2002, mettendo a durissima prova i cittadini;
          l'opera in corso è un singolo lotto di un progetto più ampio e mette in sicurezza solamente la parte a monte dell'abitato di San Maurizio Al Lambro;
          i tempi di realizzazione dei rimanenti lotti sono ad oggi sconosciuti;
          il progetto di risanamento prevede la realizzazione di un argine sulla riva sinistra del fiume a tutela di un'area adibita a deposito peraltro priva di abitazione o edifici con permanenza di persone;
          appena a valle di detta area è presente il ponte di via San Maurizio;
          tale sovrappasso al corso d'acqua provoca una sorta di vasca di laminazione che attenuerebbe l'impatto della forza dell'acqua sul ponte immediatamente a valle nel caso di importanti eventi di piena a cui il corso d'acqua è periodicamente soggetto;
          una eventuale arginazione del fiume a monte del ponte, in caso di forti precipitazioni, causerebbe un aumento della velocità delle acque e quindi una maggiore potenza delle stesse che si riverberebbero poi sull'abitato di S. Maurizio al Lambro e sulla stabilità del ponte stesso;
          l'argine già presente crea un'area golenaria (o vasca di esondazione) artificiale. All'arrivo della piena e riempita la vasca, le acque ritornano nell'alveo prima del Ponte di San Maurizio;
          in caso di piena, all'altezza del ponte autostradale, l'acqua eccedente devierebbe nella Roggia Molinara, la quale si ricongiunge al fiume prima del ponte di San Maurizio;
          tra gli interventi da attuare si prevede l'innalzamento degli argini a livello della strada con lastricatura della sponda sinistra fino al Ponte di San Maurizio, al fine d'impedire la fuoriuscita nei campi di Brugherio e innalzando il livello del fiume;
          in caso di piena, all'altezza del Ponte di San Maurizio arriverà sicuramente una quantità d'acqua superiore alla portata stessa del ponte. La portata del ponte è fissa, e quindi all'arrivo dell'acqua ci sarà un innalzamento del livello fiume e conseguentemente lo scavalcamento del ponte stesso. Dal momento che il ponte è collocato nella parte più alta di San Maurizio e le vie si districano con forte pendenza in discesa, la conseguenza sarà l'inondazione completa di tutto l'abitato di San Maurizio al Lambro;
          la ragione del probabile disastro risiede nel fatto che l'opera è stata divisa in lotti separati, quindi si tratta di interventi parziali e non lotti funzionali. In teoria sono già stati previsti interventi correttivi a valle del Ponte, che però hanno tempi di realizzazione differenti e posticipati rispetto a questo. Nell'attesa che gli altri interventi a valle del ponte di San Maurizio siano portati a realizzazione, quest'opera espone la popolazione a rischi molto elevati di esondazione;
          sebbene le statistiche ufficiali delle esondazioni descrivano un tempo di ritorno dell'esondazioni di circa 20 anni, le mutate condizioni climatiche globali rendono tale stima non reale dato che le esondazioni, negli ultimi anni, avvengono più di frequente;
          si sollevano seri dubbi sulla circostanza che tale progetto tuteli di fatto la sicurezza e l'incolumità fisica dei cittadini di San Maurizio al Lambro;
          una valutazione del progetto prevede l'arginatura del fiume Lambro a monte del ponte di via S. Maurizio:
          si ritiene che potrebbe essere migliorativo per la situazione del bacino fluviale evitare l'arginatura della riva sinistra del fiume a monte del ponte e considerare l'area adiacente  –:
          se non ritenga opportuno intervenire per avviare un accurato approfondimento circa le perplessità sollevate in premessa e, nel caso, assumere iniziative di competenza, anche per il tramite della Autorità di bacino del Po procedere all'interruzione immediata dei lavori in parola. (4-19106)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il cinema tridimensionale (noto anche come cinema 3-D è in forte crescita anche nel nostro Paese;
          è apprezzato da adulti e, in special modo, dai bambini e ragazzi;
          si caratterizza come una proiezione cinematografica, che grazie ad alcune specifiche tecniche di ripresa, fornisce una visione stereoscopica delle immagini. Per la corretta fruizione sono necessari per la visione degli occhiali ad hoc;
          attualmente le due tecniche utilizzate sono quelle della luce polarizzata, alla quale appartiene ad esempio il sistema RealD, e quella degli otturatori alternati o shutter glasses, alla quale appartengono gli occhiali elettronici a cristalli liquidi;
          la tecnica 3D viene applicata in prevalenza a film d'animazione, film d'azione o dove è più grande la necessità dell’«effetto speciale» per il coinvolgimento sensoriale del pubblico;
          gli occhialini speciali per la fruizione della visione tridimensionale possono essere di varie tipologie, tuttavia, una circolare risalente al 2010 denominata «Occhiali 3D per la visione di spettacoli cinematografici» sulla base di indicazioni del Consiglio superiore di sanità fissa dei criteri precisi: monouso o disinfettati;
          il provvedimento è stato inviato agli esercenti delle sale cinematografiche, ai dipartimenti di prevenzione delle Asl e al Nas, il Comando dei carabinieri per la tutela della salute. Nella circolare si sottolinea che il Consiglio, constatata la presenza in commercio di diverse tipologie di occhiali 3D nonché la diversa tipologia di materiali con i quali questi sono realizzati, e preso atto delle diverse indicazioni riportate dai produttori in merito al riutilizzo o meno degli stessi occhiali, ha ribadito la necessità di una speciale attenzione ai possibili rischi di trasmissione di infezioni ed ha auspicato che le tecniche produttive possano evolvere garantendo, ove possibile, l'approccio monouso;
          in talune sale cinematografiche è in uso di consegnare gli occhialini accompagnati da una salviettina detergente allo scopo di pulirla prima dell'uso degli stessi;
          gli occhialini stando al parere medico possono essere veicolo di infezioni agli occhi laddove gli occhialini non fossero di buona qualità e più volte in uso  –:
          quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati per quanto di competenza, nell'assumere misure tese a tutelare la salute oftalmica degli spettatori assumendo eventuali iniziative per rendere obbligatorio l'uso nelle sale di esclusivi occhialini usa e getta indi monouso considerando che talune sale possono riusare più volte gli occhialini; se si intendano incentivare i controlli sulla qualità degli occhialini prodotti con riferimento ai materiali impiegati. (4-19083)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Varese esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              a CASALE LITTA – in località S. Pancrazio, Casa Galliani Besozzi Melzi – in località Tordera, Casa Manzi Zaccheo Prevosti – a CASCIAGO – Villa Adreani Castelbarco – In frazione Morosolo, Villa Stampa Foscarini – a Lonate Pozzolo – in località Sant'Antonino Ticino, villa Oltrona Visconti. Notevole complesso di corpi di fabbrica rimaneggiati e ampliati nel corso dei secoli XVII-XVIII, la cui origine potrebbe risalire più indietro nel tempo. Anche se appartata e isolata da un vasto giardino, la villa è in stretta connessione con gli spazi pubblici, attraverso un elemento comune, costituito dalla chiesa parrocchiale che è, allo stesso tempo, cappella gentilizia, lungo il cui fianco settentrionale si svolge il cortile d'onore, sbarrato da un bel cancello in ferro battuto. Attorno a questo cortile si dispongono gli ambienti della casa, secondo uno schema ad U, con il grande salone su due piani lungo l'asse principale. Al di là dell'ala nord si sviluppa la corte rustica e tutto attorno l'ampio parco. Malgrado la complessità planimetrica, la residenza si rivela esternamente con un'architettura modesta e presenta semplici interni, dai quali si scosta solo il salone delle feste, con soffitto classicheggiante, e qualche cassettonato di fattura più antica;
          in località Tornavento, Villa Alessandri Parravicini. I corpi di fabbrica della casa si raggruppano attorno a due cortili interni, presentandosi esternamente come una massa compatta, non priva di accorgimenti prospettici, quali la sistemazione lungo un unico asse degli anditi di accesso ai cortili, di cui il primo costituisce un magnifico terrazzo verso valle;
          a CASORATE SEMPIONE Cà Torretta. Costruita dall'architetto Cecilio Arpesani nel 1900, la villa si inserisce nell'ambito della cultura architettonica dell'Eclettismo. Interessante la collocazione paesistica dell'edificio, che sorge in posizione elevata all'interno di un vasto parco;
          a CASTELLANZA Villa Carminati Brambilla. Destinazione d'uso attuale: Municipio Edificio dalle forme raffinate, opera di Giuseppe Pollack, figlio di Leopoldo, fu progettata nel 1789. Lo schema ad U è composto da un corpo di fabbrica centrale leggermente più alto e massiccio degli altri, nel quale a piano terreno si apre un porticato a tre arcate, scandito da colonne doriche. Le ali, leggermente più basse, si chiudono con una risega, determinando una certa complessità sia planimetrica che volumetrica. Gli ambienti interni sono stati adattati a sede municipale. Il parco ad occidente, racchiuso da una lunga ala di rustici, ha trovato un'opportuna destinazione parco pubblico, con un'immediata integrazione negli spazi urbani, con i quali ora l'edificio si trova inscindibilmente legato, in località Castagnate, Villa Daverio Piola Prandini;
          a GAZZADA Villa Perabò Cagnola. Istituto religioso. Dall'analisi planimetrica del complesso, risulta evidente il sovrapporsi di elementi diversi nel tempo. Lo schema ad U è appena avvertibile, il cortile racchiuso dalle ali appare completamente recinto come corte chiusa. L'ala sud, al piano terreno, è completamente traforata da un portico a colonne binate a tre campate, sia in larghezza che in profondità. La struttura di questa ala meridionale risulta posteriore all'originario corpo ad L, con lato minore traforato da un andito. L'intervento ottocentesco ad opera del Cagnola ha influenzato sia gli ambienti esterni, con l'inserimento dell'ampio porticato, che soprattutto quelli interni, trasformati in un vero e proprio museo, con arredi, suppellettili e importanti dipinti del Trecento e Quattrocento, salvati dalle demolizioni di palazzi milanesi e pavesi. La posizione panoramica, con splendida veduta sul Lago di Varese e delle creste alpine, ha suggerito nel tempo il formarsi di un vasto parco, con essenze rare e pregiate, di notevole importanza paesistica;
          a GORLA MAGGIORE Torre Colombera. Casa-forte medievale, presenta una successiva trasformazione dell'ultimo piano in colombaia. Gli ingressi al piano terreno e le finestre con arco gotico sul lato sud risalgono al XV secolo, periodo in cui prevalse l'uso residenziale della struttura;
          a GORLA MINORE Villa con parco Terzaghi Burini, detta «La Magna». Villa probabilmente della fine del XVI secolo, si presenta oggi in forme che oscillano tra il tardo-barocco e il neoclassico. L'articolazione planimetrica dell'edificio rivela una particolare sensibilità nel rapporto con il parco circostante. Il cortile, infatti, si apre verso il giardino secondo due assi, di cui il principale trova un suggestivo diaframma nel porticato con tettoia in legno. Quello secondario, invece, permette una veduta ed un collegamento con il parco tramite una doppia quinta, che sottolinea il carattere scenografico del rapporto. Il vasto parco, di gusto romantico, circonda la casa su tre lati, e si protende sulla valle dell'Olona  –:
          se quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso;
          se ed in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dalla provincia di Varese.
(4-19123)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Varese esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              ad Azzate, Casa Bossi, Alemagna, Ferrario. Probabile origine XIV secolo. Ristrutturazione ed elementi decorativi XVII-XVIII secolo. Edificio profondamente trasformato nella seconda metà del XVII secolo, epoca alla quale si può ascrivere il bel portale d'accesso sul lato destro della facciata. Del XVIII secolo sono gli splendidi soffitti a «passasotto» e il completamento stilistico delle aperture, con cornici elaborate del tardo Barocco lombardo. Cortile con giardino a meridione;
              ad Azzate, Palazzo Bossi, Castellani, Benizzi. Origine XV secolo Ristrutturazione XVIII-XIX secolo Destinazione d'uso attuale: Sede del Municipio. Importante edificio nella cui ala settentrionale sono ricavati gli ambienti di rappresentanza, disimpegnati da un porticato con scalone a lato. Un andito collega il cortile ad occidente con il parco, di modesta estensione. Ad eccezione del porticato (primi decenni del XVIII secolo), le sale del piano terreno risultano trasformate nel XIX secolo. Meglio conservato il volto barocco dei saloni al piano nobile, con notevoli soffitti a cassettoni. Degni di nota sono le fasce ad affresco che coronano i locali, forse opera del Magatti, la balaustra in marmo rosso dello scalone e il camino in pietra collocato nel salone da ballo, al piano nobile;
              ad Azzate, Casa Riva Cottalorda XVIII secolo. Stilisticamente l'edificio presenta due volti diversi. La casa padronale, con bella facciata su strada, si affaccia internamente su un cortile rettangolare con lato porticato. All'interno ambienti di pregio. I rustici rappresentano una concessione alla moda neogotica lombarda del secondo Ottocento;
          ad Azzate, Casa Comolli Piana, Villa Cottalorda XIX-XX sec. su preesistenze. In località Belvedere, Villa Ca’ Mera Cottalorda Orsi, in località Castello, Villa Bossi Zampolli. Il complesso mostra la compresenza di tre organismi: Resti di edificio tardo medioevale, ad oriente. Villa settecentesca con servizi, al centro, rustici con relativa corte, ad occidente. Gli edifici ad oriente sono sicuramente parte del castello medievale, databile tra il XIV e il XV secolo. Tali corpi di fabbrica sono estranei all'attuale conformazione spaziale della villa. La struttura settecentesca della villa si è inserita nel contesto medievale, di cui Incorpora il preesistente Oratorio si S. Lorenzo, organizzandosi attorno ad un unico asse longitudinale;
              A Besozzo, Casa Besozzi Adamoli. Edificio frutto della trasformazione di una casa-forte, con interventi tipici della struttura della villa settecentesca. Un bel portale rinascimentale immette nel complesso, organizzato con schema ad U e porticato sul lato centrale, dove fa capo lo scalone. Il parco ingloba resti di fortificazioni con torre in conci di pietra viva;
              A Bodio Lomnago, Villa Gadola. Struttura sorta su preesistenze, come lascia supporre la disposizione della torre e le grosse murature delle ali della casa, fu ripresa nel XVII secolo (loggiato su due piani), quindi in età neoclassica con la costruzione del corpo posto a chiusura del cortile sud. Esso contiene i saloni che prospettano sul giardino, organizzato con scalinate, terrazze e muraglioni che si affacciano sui colli di Lomnago. Neoclassica la facciata settentrionale con bel portale. Interventi romantici ottocenteschi nella torre;
              A Ispra, Villa Ranci Ortigosa. La villa sorge su di una preesistente struttura originaria di tipo conventuale, di cui conserva due cellette con volte a crociera, al piano superiore dell'edificio, ambienti rustici coperti con volte a botte, al piano terreno, tracce di un arco a tutto sesto e un affresco recuperato nell'antico portico, raffigurante la Vergine con Bambino e Santi. La casa è composta da un corpo a L, con un'ala che si prolunga fino a comporre un lato del cortiletto d'ingresso, a cui si accede direttamente dalla piazza pubblica. Da tale cortile si passa, attraverso l'androne, al giardino, ricco di essenze, il cui spazio si dilata, aprendosi sulla veduta panoramica del lago;
          Villa Consonni Bassi. Si tratta di una struttura a due piani, costituita da un corpo semplice. Alla fine dell'Ottocento o all'inizio del Novecento, l'edificio, dapprima a destinazione rurale, venne trasformato in residenza e utilizzato come villa di campagna, quindi, nel dopoguerra, ulteriormente risistemato dall'architetto Albini;
          Villa «La Quassa» Cadorna. Villa, circondata da una vastissima tenuta che si estende dal lago fino alla strada per Angera, è protetta da un alto muro di cinta e circondata da un parco. Il corpo della villa è semplice e monumentale. All'ingresso principale, edificio di custodia di gusto eclettico;
          Villa «Maria Giuseppina» Suardi Castelbarco Sagramoso. Risale alla metà dell'Ottocento la trasformazione dell'antica casa rurale, circondata da rustici, in casa signorile dotata di vastissimo parco. L'edificio ad L, è disposto con il braccio lungo rivolto a mezzogiorno e quello breve prospettante il lago, sul lato occidentale. L'ala con fronte a mezzogiorno presenta un corpo centrale leggermente aggettante, in grado di creare una simmetria che sottolinea la distinzione fra corpo padronale e rustici contigui. La facciata opposta è definita da un intervento recente (1930), con inserimento di una veranda, volto ad assicurare una continuità di spazi tra l'interno e i giardini esterni. Importante il legame paesaggistico della villa, posta su di un altipiano, con il lago. Proprio questo rapporto favorì nell'Ottocento la trasformazione del territorio, che da agricolo venne mutato in parco, con molteplici articolazioni ambientali di gusto romantico, come ponticelli, grotte artificiali, passaggi su diversi livelli. Da segnalare il mausoleo sepolcrale eretto all'inizio dell'Ottocento dai Litta Albani  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso;
          se ed in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dalla provincia di Varese.
(4-19124)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          a Castiglione Olona esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              Palazzo Branda Castiglioni. Residenza saltuaria del cardinale Branda, consta di un'ala trecentesca interna e di una quattrocentesca rivolta verso strada, riconfigurata nei due secoli successivi, con portale in pietra molera adorno dei simboli della casata. Tramite un piccolo cortile si accede alla loggetta affrescata. Sotto il cornicione della parete destra, «Natura morta» attribuita a Masolino da Panicale e a Paolo Schiavo. Alcuni gradini conducono al salone con monumentale camino in arenaria. Si accede quindi alla camera del cardinale, le cui pareti sono per intero ricoperte da pitture a fresco di vita cortese, datate 1423. Accanto si trova lo studio del cardinale, sulla cui parete di fondo campeggia il «Paesaggio ungherese di Veszprém», sede vescovile del cardinale Branda, dipinto quasi certamente dallo stesso Masolino. Una piccola porta comunica con la balconata, che caratterizza l'ala più antica del palazzo e consente l'osservazione del cortile interno con giardino. Volgendo verso l'uscita, si visita al piano terra la cappella gentilizia dedicata a S. Martino, adorna di affreschi attribuiti a un pittore toscano, probabilmente Lorenzo Vecchietta;
              Casa Castiglioni. Degno di nota, sul lato settentrionale del cortile, l'antico portico ripartito in cinque arcate, forse eretto nel XVII secolo. Il grandioso portale d'ingresso in pietra molera, consiste in un arco a tutto sesto con capitelli decorati. La fascia che compone l'arco è ripartita in quindici formelle che rappresentano simboli ed emblemi della casata. Belle finestre in cotto. Palazzo Castiglioni Monteruzzo. Il palazzo si presenta in forme castellane, con planimetria ad U, aperta verso la valle dell'Olona attraverso una terrazza con parapetto, continuazione dello spazio del cortile. Questo presenta, nel lato centrale, un porticato a cinque campate con archi ribassati, che risvolta sulle ali con altre tre campate per parte. Sugli spigoli esterni della facciata si alzano le due torri, con merli e caditoie;
              Casa Magenta. Edificio rivolto verso ponente, con corpi di fabbrica a due piani e ala posta a settentrione a tre piani. Attraverso un elegante portale d'ingresso si raggiunge il cortile, ben appartato grazie ad un'alta cinta muraria, con semplice colonnato. Sotto il portico, sul lato sinistro, si innesta il corpo scale che porta al piano superiore, al quale è possibile accedere anche direttamente dalla strada. Dal piano superiore, attraverso un passaggio aereo, avviene il collegamento con un edificio minore posto sull'altro lato della via, ala secondaria della dimora stessa. Il giardino della villa non si pone come spazio privato, ma è visivamente fruibile, attraverso un pergolato sostenuto da colonnette in pietra, che delimita il giardino sul lato prospiciente la strada;
              Casa Clerici. Casa di notevoli dimensioni, alla quale si accede attraverso un portale d'ingresso ben disegnato. Percorrendo l'androne si giunge nel severo cortile quadrato, chiuso sui quattro lati. Esso presenta, nella parte frontale, un colonnato ad archi a tutto sesto. Attraverso il portico si accede al percorso che porta al piano superiore. Sul lato meridionale, lungo l'alto muro di cinta, si trova un lungo percorso a ballatoio chiuso, che collega l'ala orientale con quella occidentale dell'edificio;
              Scuola di Canto e Grammatica. Oggi sede del Municipio, fu un'opera umanistica voluta dal Cardinale Branda Castiglioni per i suoi concittadini: l'istituzione di una scuola, nel 1423. La parte più antica si sviluppa al primo piano (la parte superiore venne aggiunta alla fine dell'800) con il porticato e il cortile. Sulla facciata d'ingresso sono ancora visibili un affresco rappresentante la Madonna col Bambino e i due Santi e il fregio ornamentale con medaglioni ad affresco con le figure di Aristotele e Cicerone, che affiancano il busto in terracotta del Cardinale Branda Castiglioni, protetto da una nicchia circolare;
              Pio Luogo dei Poveri di Cristo. Luogo di accoglienza, costruito nella seconda metà del XV secolo per volontà del Cardinale Branda Castiglioni, affinché fosse offerto agli abitanti del borgo, iscritti all’«elenco dei poveri» e ai pellegrini di passaggio. Vi si accede attraverso un portone con arco a tutto sesto in arenaria, chiuso in chiave di volta dall'effige del «beneficio di Pio Nicola Castiglioni» (tardo XV secolo), rappresentato in bassorilievo nell'atto di squarciarsi gli abiti, mentre nutre con il proprio sangue i puttini che lo circondano, secondo la tradizionale iconografia del Pellicano che sfama i suoi piccoli. Esternamente si presenta come sobrio edificio ad U i cui corpi di fabbrica sono collegati tra loro da un pregevole loggiato rinascimentale. Il Pio luogo dei Poveri divenne un'istituzione civica molto importante per la realtà del suo tempo e conservò nei secoli la sua originaria funzione;
              Palazzo dei Castiglioni di Monteruzzo, detto Corte del Doro. Il Palazzo è composto da due corpi di fabbrica perpendicolari all'antico decumano romano del V secolo, l'attuale Via Roma, che si affacciano su corti rustiche «alla lombarda». La parte ad occidente, cui si accede da un portale quattrocentesco, impreziosito da un affresco di un anonimo pittore del XV secolo, con una scena della «Annunciazione alla Vergine Maria», è oggi completamente trasformata. Perfettamente conservata è, invece, quella ad oriente, che si apre sul cortile detto «Corte del Doro», dal nome del venditore di verdura che per ultimo vi abitò. L'origine del palazzo è certamente medioevale, come dimostrano le murature in ciottoli di fiume disposti a spina di pesce databili attorno al XII e XIII secolo; vi furono aggiunte parti in laterizio nel secolo XV. La dimora appartenne, dal XII secolo, al casato Castiglioni, ramo Monteruzzo, oggi è di proprietà comunale;
              Castello di Monteruzzo. Villa seicentesca, trasformata in castello neo gotico nell'Ottocento. Abbandonata come residenza, divenne proprietà comunale. Dopo un periodo di decadenza è stata recuperata a biblioteca e a centro polifunzionale tra il 2004 ed il 2006  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso;
          se ed in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dal comune di Castiglione.
       (4-19126)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Varese esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              ad ARSAGO SEPRIO il Castello (XIV) dei Visconti di Arsago. Situato in posizione elevata e dominante, era posto in connessione visiva coi castelli di Besnate e di Somma Lombardo, a controllo della zona a Nord di Gallarate, tra Ticino e Olona. L'unico resto del castello è una torre quadrangolare, conservata in una buona parte per tre lati. Presenta possenti murature in blocchi di pietra disposti a corsi regolari e ben squadrati in corrispondenza degli angoli. Adiacente alla torre è il palazzo, frutto di numerose trasformazioni, denominato nel 700 «castello»;
              a BEDERO VALCUVIA una Torre del XII - XIX secolo;
              a BESNATE il Castello (XIV) dei Visconti di Besnate. Assai rimaneggiato nel corso dei secoli e soggetto a recenti opere di ristrutturazione, risulta non facilmente decifrabile come fortilizio. Gli elementi al riguardo più significativi sono gli avanzi di due torri (originariamente a struttura in pietra) e tracce di finestre archiacute con comici in cotto. L'origine viscontea è ricordata dalla presenza dello stemma posto sopra un archivolto;
              a BESOZZO, il Castello Besozzi – Cadario e il Palazzo Besozzi – Adamoli. Sorge nel nucleo originario, l'attuale Besozzo Superiore. Il fortilizio era collegato con la cinta di mura che proteggeva il borgo. Difendeva e controllava gli antichi percorsi che da Sud risalivano le colline della sponda lombarda del Verbano, per immettersi a Nord nella Valcuvia in direzione dei passi alpini. Gli attuali edifici che costituiscono il «Castello» rappresentano modifiche e sovrapposizioni avvenute durante i sec. XV e XVI sul nucleo originario. Si tratta di due importanti edifici, il castello Besozzi-Cadario e il palazzo Besozzi-Adamoli, che mantengono però diverse strutture dell'antico fortilizio. La testimonianza più vistosa è la torre quadrangolare ubicata nel giardino di palazzo Adamoli. Essa presenta muri a struttura di pietra a scaglie, con testate d'angolo in conci squadrati, e s'innalza da una breve scarpa basamentale sormontata da cornice torica. Vicino alla torre si conservano anche altri resti di mura, raccordati da una torretta d'angolo (forse avanzi delle mura del borgo). Un altro elemento significativo è la torre d'ingresso al palazzo Besozzi Caldario, superiormente coronata da un elegante loggiato quattrocentesco su sporto sostenuto da beccatelli in pietra, mentre lo spigolo esterno, il portale e le finestre sono impreziositi da un motivo a bugnati barocco;
              a BISUSCHIO, Villa Cicogna Mozzoni. Attraverso il monumentale portale d'ingresso, si accede al cortile d'onore, chiuso su tre lati e aperto sul giardino. Le volte dei portici sono decorate a motivi floreali e figure mitologiche, sui muri affreschi con scene di caccia e agresti, sulle facciate putti intercalati a stemmi nobiliari, figure mitologiche e personaggi. Si ritiene che le decorazioni esterne ed interne, siano opera dei fratelli Campi di Cremona, portate a termine nel 1559. Un monumentale scalone d'onore con pareti affrescate porta dal grande porticato ovest al piano superiore, che conserva una preziosa biblioteca, originariamente sala da musica, con affreschi e camino intarsiato e dipinto. Notevoli ambienti con soffitti a cassettoni decorati, di maggior raffinatezza nel «quadro delle donne», affreschi e preziosi mobili sei-settecenteschi. Grande salone d'onore, con monumentale camino in pietra di Viggiù riccamente scolpito, collegato al giardino mediante un terrazzamento. Il giardino si sviluppa su tre diversi livelli: giardino interno all'italiana (Quota m piano terreno), organizzato secondo gli elementi tipici di tale schema, presenta aiole e fontane, nicchie e grottesche, giochi d'acqua e peschiera; giardino seicentesco (Quota m pianerottolo intermedio dello scalone); parco a monte (dalla Quota m pavimento primo piano), organizzato attorno alla scenografica scalinata con cascatelle. Sul colle si estende l'ottocentesco giardino all'inglese  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso;
          se ed in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dalla provincia di Varese.
(4-19127)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Varese esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              a) a Laveno Mombello Villa Tinelli. Villa sorta in epoca barocca su preesistenze probabilmente medievali, è formata da un corpo di fabbrica ad U, che separa il giardino interno da quello esterno all'italiana, di notevoli proporzioni, che si estende nella zona a monte, in cui i dislivelli del terreno sono sfruttati per ottenere eleganti scalinate e balconate, disegnate con tipico gusto seicentesco. La casa, nelle sue parti rustiche, ha subito trasformazioni e rifacimenti anche in tempi recenti; Villa Tinelli De Angeli Prua. Villa aperta sul borgo con articolazione di ambienti nobili e rustici. La disposizione planimetrica dell'edificio evidenzia un originario corpo ad L, la cui struttura permane intatta nel definitivo assetto della villa, ed una parte settecentesca aggiunta, costituita dall'atrio d'ingresso e dalle ali minori. La facciata sulla via pubblica, che nasconde i corpi preesistenti, introduce un partito unitario con un elegante portale al centro. Verso il giardino interno, la nuova edificazione settecentesca si innesta sugli edifici preesistenti. Essa consta di due ali laterali prospettanti sul parco, con, al centro, un atrio d'ingresso quadrato e ripartito in tre campate, da cui parte lo scalone d'onore. Tramite questo collegamento si accede al salone, posto al primo piano e agli ambienti delle due ali minori. Facciata verso il giardino con corpo centrale in aggetto definito da una disposizione simmetrica degli affacci; Casa Terruggia. Antica residenza a tre piani, circondata da edificato di tipo rurale, con porticato a tre archi sostenuto da colonne in granito e, ai piani superiori, loggiato retto da pilastri. Per queste caratteristiche l'edificio, pur di impronta rurale, si distingue come residenza padronale; Casa Milanesi. Struttura, probabilmente già presente in epoca seicentesca, di cui si conosce la primitiva strutturazione a volte del piano terreno, successivamente sostituita da soffitti piani. Tale piano era originariamente composto da un porticato aperto sul giardino, situato su un terrazzamento che permette il necessario distacco rispetto agli edifici circostanti. La casa è formata da un corpo semplice disposto a L, con l'accesso che dà direttamente sul parco. Tutti gli ambienti del piano terreno godono di questa continuità, che rappresenta l'elemento di pregio della dimora; In località Cerro, Palazzo rinascimentale Guilizzoni Perabò. Proprietà: Comunale. Destinazione d'uso attuale: Museo della Ceramica, Civica Raccolta di Terraglia. Il palazzo, che ha origini cinquecentesche, ha subito successive integrazioni ed ingrandimenti. Di notevole pregio il doppio chiostro con deambulazione superiore.
              b) Luino la Villa Lucchini Cerrini. Residenza di grande interesse architettonico e urbanistico, si presenta con la facciata principale prospettante il lago, caratterizzata da un androne centrale che conduce al primo cortile. L'ala di acceso è porticata sulla sua facciata interna, ripartita in sette archi a tutto sesto, poggianti su colonne in granito. I due corpi laterali del cortile sono semplici strutture a due piani, mentre è di notevole originalità architettonica l'ala di chiusura, non destinata a residenza, ma a locali di servizio. Essa presenta al secondo piano una galleria coperta, con volte a crociera sostenute da colonnette. Nella parte inferiore questo corpo comunica con una successiva corte, delimitata in parte dal prolungamento delle ali laterali della residenza, attraverso un'apertura a tre archi a tutto sesto sostenuti da pilastri, in asse con l'androne principale; Casa Luini. Dimora composta da quattro piccole ali a due piani, con cortile interno a cui si accede, attraverso un bel portale d'ingresso, direttamente dalla piazza. L'ala settentrionale presenta un piccolo porticato a tre archi, sostenuti da colonne. Il piano superiore ne riprende la scansione con rilievi ad intonaco ed affacci centrati con gli archi sottostanti; Villa Maria. Edificio con facciata principale prospettante l'ampio giardino. Tale facciata, dal partito assai semplice e regolare, presenta al centro, sulla sommità, una torretta colombaria; Casa Moro Ferrini. Edificio dal semplice e ordinato disegno di facciata, caratterizzata da balconcini con parapetti in ferro battuto e portale a tutto sesto. L'androne, coperto da volta a vela, permette l'ingresso nel cortile quadrilatero. Delle quattro ali che lo compongono, solo quella contenente l'androne è elevata su tre piani, le altre sono a due piani. I tre diversi livelli sono composti in facciata da un triplice ordine di colonnati: quello inferiore costituisce il tradizionale portico, quelli superiori formano un doppio loggiato. Uno scalone d'onore, di epoca seicentesca, posto in angolo alle due ali, permette la salita ai piani superiori. Villa Menotti. Edificio monumentale all'interno di un vastissimo parco, gode della vista panoramica del lago. La sua disposizione planimetrica, aperta verso il parco, è costituita da tre ali su tre piani, con porticato a doppio ordine a riempimento dello spazio fra le ali parallele, chiuso alla sommità da un'ampia terrazza  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intende attuare per valorizzare le potenzialità turistiche del comune di Sesto Calende e delle aree limitrofe, territorio a forte valenza turistica e di straordinaria bellezza paesaggistica e naturale;    
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso. (4-19129)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Varese esistono numerosi insediamenti storici, di grande rilevanza culturale, architettonica e artistica, tra i quali:
              a Busto Arsizio, Palazzo Marliani Cicogna. Destinazione d'uso attuale: ospita la biblioteca, una sala per mostre e le civiche raccolte d'arte. La residenza fu costruita in forme barocche ai margini del nucleo edificato, in modo da prospettare con il cortile d'onore verso gli spazi del borgo e con la fronte secondaria verso l'aperta campagna. Il carattere anche pubblico del palazzo è sottolineato dalla continuità tra la piazza antistante e il cortile, racchiuso fra i tre corpi di fabbrica. Contrariamente agli schemi più comuni, non esistono logge o porticati ed il collegamento tra cortile e giardino posteriore è ottenuto per mezzo di un andito, in asse con il portale principale. La severità dei corpi di fabbrica, in contrasto con la leggerezza del motivo di chiusura verso piazza, potrebbero indurre ad una datazione piuttosto antica della casa, verso la fine del XVI secolo. Il rapporto della villa con la campagna era mediato da un vasto giardino quadrato, intersecato da due viali perpendicolari, come appare dalle mappe settecentesche, a Borsano, Casa Rasini. La casa, con caratteri di villa e palazzo a residenza stabile nello stesso tempo, fu costruita alla fine del XVII secolo. Si tratta di un complesso di indubbia importanza, come testimonia anche la presenza di una cappella gentilizia di notevoli dimensioni. La facciata principale dà direttamente sulla strada ed accenna ad uno schema ad U. Dal portale si giunge, attraverso un andito, al porticato, che prospetta sul cortile, fiancheggiato dai rustici, e sugli spazi un tempo destinati a giardino;
              a Olgiate Olona, Villa Greppi Gonzaga. La villa, con il complesso dei rustici e il grande parco, sorge sul ciglio occidentale della valle del fiume Olona, attorniata dal nucleo primitivo del borgo di Olgiate. Villa ottocentesca realizzata in forme neoclassiche. Il motivo centrale della grande facciata è costituito, al piano terreno, da un porticato dorico a cinque campate, che reggono una grande balconata, e imponente timpano a conclusione del prospetto. La villa è attorniata da nuovi padiglioni e da una cappella;
              a Cadegliano Viconago:
                  a) in località Cadegliano, Villa Pellini;
                  b) in località Cadegliano, Villa Pellini Pellegatta;
                  c) in località Cadegliano, Villa Righini;
                  d) in località Cadegliano, Villa Bianchini;
                  e) in località Gaggio, Villa Menotti;
              a Origgio, Villa Borromeo. Tra i castelli residenziali del tardo medioevo milanese, trova posto la struttura originaria di questo palazzo, costituito da un quadrilatero chiuso, con ingresso su un lato, protetto da un'alta torre di difesa. Le esigenze residenziali, dal XVI secolo in poi, suggerirono alcune modifiche nel vecchio organismo, di cui venne conservato l'ingresso principale con la torre, valorizzato da un lungo viale d'accesso. Con la parziale demolizione dei corpi di fabbrica posti a nord-est, nacque l'attuale struttura a L del palazzo, con giardino all'italiana di grande suggestione ambientale. Alla trasformazione seicentesca si deve anche l'elegante loggiato che conclude l'andito fortificato, composto da tre arcate su due piani, con parapetto e balaustre in pietra, di buona fattura architettonica. Le sale interne conservano l'originaria semplicità del primitivo organismo fortificato –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per valorizzare le potenzialità turistiche del comune di Sesto Calende e delle aree limitrofe, territorio a forte valenza turistica e di straordinaria bellezza paesaggistica e naturale;
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private nel lodevole sforzo finora profuso;
          se ed in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dalla provincia di Varese. (4-19130)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Cislago sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali:
              il Piccolo oratorio del Castello, piccolo oratorio detto «Chiesa nova», con aperture ogivali e archetti trilobati;
              la Chiesa di S. Maria Iniziata o della Neve, Oratorio campestre con facciata a capanna. All'interno la parte più antica è costituita dalla navata, cui sono stati successivamente accostati presbiterio, cappella di S. Antonio, sacrestia e campanile. L'aula centrale conserva gli affreschi più antichi dedicati al culto mariano e ai Santi (seconda metà ’500) fra cui la venerata «Madonna del parto» (ora collocata presso l'altare). Nel presbiterio, con volta a crociera, lunette, angeli musicanti e «Nascita di Maria» attribuiti al Fiamminghino (XVII secolo). Nel muro di cinta scultura con sole raggiante, probabile simbolo di S. Bernardino da Siena  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico. (4-19137)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Clivio (Varese) sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali:
              la chiesa di S. Materno, che conserva affreschi del secolo XVI;
              la chiesa di S. Maria della Rosa, con affreschi di varie epoche, di cui uno tardo gotico;
          in comune di Cuveglio (Varese) sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali:
              la Chiesa di S. Maria nel bosco. Chiesa diroccata. Edificio romanico dal quale sono stati strappati due affreschi, ora conservati nella sala consiliare del municipio, raffiguranti «S. Maurizio» (XI secolo) e la «Crocifissione» (XV secolo);
          la Collegiata di San Lorenza. Edificio ad impianto romanico, rifacimento XVIII secolo con Torre campanaria Romanica, la Collegiata fu il centro spirituale della Pieve di Cuvio. Appartenente sin dalle origini alla diocesi di Como, passò nel 1176 sotto il controllo del municipio di Milano. Essa, probabilmente, venne organizzata nei secoli IX-X, ed arrivò a possedere oltre un sesto del territorio della valle. L'originario edificio romanico venne rifatto nel XVIII secolo; è invece rimasta intatta la possente torre campanaria che aveva anche funzioni difensive. Nel 1985 è stata ripristinata una cripta situata nella navata centrale, davanti all'altare. Si tratta di un vano rettangolare con volta ribassata che presenta alle pareti tredici scranni, forse il numero dei primi canonici;
          in comune di Daverio (Varese) si trova la Chiesa e attiguo (ex) monastero di S. Maria Assunta. Conserva affreschi del XVI secolo  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico. (4-19138)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Viggiù (Varese) sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali:
              la chiesa Parrocchiale di S. Stefano. Chiesa duecentesca con facciata del 1574/75 e torre campanaria (1594) progettata da Martino Longhi il Vecchio. Dalla duecentesca chiesa, di cui sopravvivono alcune vestigia, l'imperatore Sigismondo emanò l'editto di convocazione del Concilio di Costanza (1413);
              la chiesa di S. Martino, Chiesa a forma di unico parallelepipedo senza absidi sporgenti, ha muratura in pietra a vista e un piccolo campanile a vela. La strada in ciottoli che conduce alla chiesa è fiancheggiata da cappellette che ricordano i Misteri Dolorosi;
              la chiesa della Madonna della Croce. Chiesa a una navata con monumenti sepolcrali neoclassici e, all'altare, «Madonna col Bambino», affresco del Quattrocento. La facciata è di Giacomo Buzzi Leone;
              la chiesa di S. Siro, chiesa romanica inserita in complesso rustico, conserva affreschi del sec. XV-XVI. Nell'abside, databile attorno alla seconda metà del XV secolo, «Cristo Pantocratore» entro mandorla e i quattro Evangelisti. Il semicerchio absidale presenta una decorazione ripresa e, in alcune parti, totalmente rifatta in successive epoche. Vi sono rappresentati otto santi disposti simmetricamente attorno ad una «Madonna con Bambino»;
              la chiesa di S. Elia Chiesa presso la quale ebbe vita (dal XI al XIV sec.) un eremo cluniacense. Affreschi del diciassettesimo secolo  –:
          se e quali interventi il governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali nel lodevole sforzo finora profuso. (4-19139)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Venegono Inferiore (Varese) sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali:
              chiesa di S. Michele Arcangelo. Nella chiesa è presente un affresco di pittore lombardo, attivo tra il III e il IV decennio del XVI secolo, raffigurante «Madonna in trono con Bambino tra i Santi Antonio Abate e Sebastiano» di «scuola luinesca»;
              il seminario arcivescovile di Milano, maestosa costruzione iniziata nel 1927 sul colle Belvedere. Opera dell'ingegnere Maggi, intitolata a Papa Pio XI e da lui fortemente voluta. Inaugurata nel 1933 dal Cardinale Schuster, può ospitare diverse centinaia di seminaristi  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico, aiutare gli enti locali nel lodevole sforzo finora profuso. (4-19140)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Valganna (Varese) sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali:
              cappella di S. Gemolo. Edificata, secondo la tradizione, sul luogo di martirio del Santo, la cappella presenta un aspetto seicentesco. Sorta probabilmente nel corso del secolo XIV, come due pilastrini lasciano supporre, conserva all'interno un cinquecentesco affresco raffigurante San Gemolo e tracce di dipinti tre-quattrocenteschi;
              chiesa di SS. Croce. Chiesa decorata da un interessante ciclo di affreschi attribuiti ad Antonio Busca (XVII secolo);
              in località Ganna, la Badia di San Gemolo, abbazia e convento. Monastero-ospizio dei Benedettini Fruttuariensi dal 1095 al 1556, alla sua costruzione e sviluppo sono legate le vicende storiche dell'intera valle, per gran parte di proprietà del monastero stesso. Nel secolo XIV, periodo di massimo fulgore, tale patrimonio si estenderà anche alle convalli vicine. Dopo la fase commendataria (secolo XV), i beni della badia passarono all'Ospedale maggiore di Milano (dal 1556 al 1797). Il complesso si compone della chiesa (XI secolo) a tre navate, due delle quali coperte da volte a crociera, divise da grossi pilastri rettangolari, con avanzi di affreschi della metà del Trecento e della seconda metà del Quattrocento, fra cui «Madonna della Misericordia», databile tra il 1471 e il 1484; del campanile romanico in pietra porfiroide e arenaria; del chiostrino pentagonale, eseguito per tre lati alla metà del Trecento, per due nel Seicento; di un corpo di abitazioni claustrali verso valle (XII-XIV secolo); del chiostro gotico, conservato per un lato. Le cappelle e l'abside della chiesa sono dovute a trasformazioni di epoche successive  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico;
          se ed in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dalla provincia di Varese.
(4-19141)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Brusimpiano (Varese) è localizzata la chiesa parrocchiale di Beata Vergine Assunta, che conserva affreschi del XVI secolo;
          in comune di Cadegliano Viconago (Varese) è localizzata la Chiesa di S. Antonio Abate, originariamente dedicata a S. Maria. L'edificio risulta costruito in tre fasi successive: pre romanica (X-XI secolo) nelle facciate coronate da timpano con finestrella a croce; romanica (XII secolo) nella navata aggiunta sul fianco sinistro, aperta da un singolare portale laterale, architravato e decorato con tre croci di tipo longobardo; tardo rinascimentale con influenze gotiche nella navata destra. Numerosi gli affreschi luineschi datati e firmati (Bartolomeo di Ponte Tresa, 1531)  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, supportare gli sforzi di istituzioni pubbliche e private ed enti locali;
          se e in che modo il Governo intenda coinvolgere il territorio citato nei circuiti turistici legati all'Expo 2015, manifestazione che avrà luogo a pochi chilometri di distanza dai comuni in argomento.
(4-19142)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Azzio è localizzato l'oratorio di S. Eusebio; originariamente era annesso al convento di S. Maria degli Angeli dei Frati minori riformati, eretto nel 1608, di cui nulla rimane della struttura originaria. Nell'Oratorio si trovano, accanto all'altare, affreschi di G.B. Ronchelli e statue lignee del diciassettesimo secolo;
          in comune di Besano si trova la chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista (XVII secolo). Nel Santuario si conservano affreschi di Giuseppe Antonio Petrini (C. 1750). Nel presbiterio: «S. Martino e il povero», «Giona e la balena», «Visione di S. Giovanni Evangelista a Patmos», nelle due cappelle laterali: «Storie del Battista», parzialmente conservate, e figure dei Santi Antonio Abate, Giuseppe, Lucia e Apollonia;
          in comune di Buguggiate (Va) è localizzata la chiesa di S. Caterina di Erbamolle, edificio composto da un'aula rettangolare con copertura a due spioventi. L'edificio venne alterato nella sua primitiva fisionomia quattrocentesca in seguito a trasformazioni avvenute dopo il 1504. L'oratorio, il cui valore architettonico resta assai povero, acquista un particolare significato per la presenza di affreschi che ne decorano le pareti, attribuiti a Galdino da Varese. Internamente il lato nord accoglie due gruppi coevi, di cui uno datato 1504: a sinistra «S. Vittore a cavallo», «S. Antonio Abate», «Madonna in trono», «S. Caterina»; a destra «S. Rocco» e una Santa martire. In facciata la chiesa presenta affreschi datati 1498, anch'essi attribuiti a Galdino, coevi e stilisticamente affini alle opere presenti nella chiesa di S. Stefano a Bizzozero  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intende attuare per conservare i beni in argomento, assicurarne la preservazione futura e migliorarne la fruibilità attuale. (4-19143)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Malnate (Varese) sono localizzati numerosi edifici di significativa importanza storica ed architettonica, tra i quali:
              la chiesa di S. Matteo. Chiesetta romanica della quale si è ben conservata l'abside;
              la Cappella di S. Rocco. Eretta nel 1513/30, conserva un coevo affresco di scuola lombarda, raffigurante lo ’Sposalizio mistico di S. Caterina. A sinistra S. Agostino ( ?), S. Bernardo, S. Caterina e il donatore, a destra S. Rocco e S. Sebastiano. La scena è ambientata in una prospettiva architettonica sapientemente impostata quale ideale continuazione dell'architettura tridimensionale prospiciente. La parte frontale dell'edificio è interessata da affreschi: sui pilastri raffigurazione di Santi, sopra l'arco due stemmi, di cui uno appartenente alla famiglia Medici  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico. (4-19145)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Porto Valtravaglia (Varese) sono localizzati numerosi edifici di significativa importanza storica ed architettonica, tra i quali:
              in località Domo, chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta. Sorge nel centro di Domo, affiancata alla Chiesa di S. Stefano. Questa chiesa, che fu l'edificio più importante dell'intero complesso, venne completamente rifatta alla fine del ’700, riutilizzando parte della muratura laterale, dove è ancora possibile vedere tracce di una finestrella di tipo romanico. Il campanile, che presenta un basamento massiccio, liscio e con poche feritoie, fu edificato presumibilmente su fondazioni di una torre tardo romana. La parte centrale ha la fisionomia tipica del romanico della Valtravaglia, con larghe lesene angolari e gruppi di archetti formati da conci in tufo, tipici del XII secolo;
              chiesa di S. Stefano, che sorge nel centro di Domo, affiancata alla chiesa di S. Maria Assunta. La Chiesa, oggi trasformata in abitazione, conserva all'interno notevoli affreschi cinquecenteschi. Essi rispondono ad un complesso programma iconografico che comprende Evangelisti e Padri della Chiesa nella volta, apostoli e scene narrative sui muri del presbiterio. Degna di nota è in particolare la Crocifissione sul muro di fondo;
              sempre in località Domo, davanti alla chiesa di S. Maria Assunta, sorge il Battistero di S. Giovanni Battista. Edificio gravemente rimaneggiato e inglobato in altre costruzioni, è riconosciuto come uno dei pochi esempi rimasti in Lombardia del passaggio tra architettura altomedievale e romanica, individuabile attorno al IX-X secolo. La sua pianta appare grossolanamente circolare, ma era in origine un ottagono, seppure molto irregolare. Testimonianze documentano l'esistenza di un'abside rivolta ad est, la cui demolizione avvenne probabilmente in concomitanza con la costruzione ottocentesca della cupola, che comportò anche svariati interventi sulla muratura interna. All'esterno è riconoscibile la decorazione formata da archi ciechi binati, poggianti su mensole ampie ed allungate, secondo un motivo di origine carolingia. Tra il battistero e gli altri edifici si stendeva un'area cimiteriale  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico. (4-19146)


      REGUZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          in comune di Samarate (Varese) sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali la Chiesa di S. Protaso. Chiesa a pianta quadrata con volta a vela e unica abside, sorge su antiche preesistenze, probabilmente databili fra il V e l'VIII secolo. All'interno conserva tre affreschi tardo settecenteschi. Sul lato destro «Santa Valeria», al centro «Scena del martirio di S. Protaso» e sul lato sinistro «S. Daniele»;
          in comune di Marchirolo (Varese) sono localizzati numerosi edifici religiosi degni di attenzione, tra i quali la chiesa parrocchiale di S. Martino, collocata in posizione dominante rispetto all'abitato, presenta una monumentale scala d'accesso  –:
          se e quali interventi il Governo abbia attuato o intenda attuare per conservare i beni in argomento, migliorarne la fruibilità, aumentarne l'attrattività dal punto di vista turistico. (4-19147)

ECONOMIA E FINANZE

VI Commissione:

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:


      ANTONIO PEPE e CONTENTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, come risultante dalle modifiche successivamente intervenute, ha istituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati avviati allo smaltimento, a decorrere dal 1° gennaio 2013;
          il predetto articolo 14, al comma 10 definisce la superficie assoggettabile al tributo, e specifica, al comma 11, la composizione della tariffa, rinviando inoltre, al comma 12, ad un regolamento i criteri per l'individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa stessa;
          il comma 13 del medesimo articolo prevede altresì una maggiorazione della tariffa medesima, in misura pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, stabilendo che tale maggiorazione sia modificabile in aumento, fino a 0,40 euro, con delibera del consiglio comunale;
          tuttavia il regolamento previsto dal comma 12, che avrebbe dovuto essere emanato entro il 31 ottobre 2012, non risulta ancora intervenuto, ragion per cui, secondo il dettato dell'ultimo periodo del comma, dovrebbero trovare applicazione, in via transitoria, le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n.  158, recante il regolamento per l'elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani  –:
          se, in conseguenza della mancata adozione, entro i termini fissati, del regolamento previsto del comma 12 del predetto articolo 14 del decreto-legge n.  201 del 2011, non sia inibita l'applicazione della maggiorazione di cui al comma 13 del citato articolo. (5-08689)


      CESARIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  39 del 2009, ha definito le regole principali per l'introduzione e l'autorizzazione dei sistemi di gioco con videoterminali, cosiddetta VLT, per la raccolta di gioco con vincite in denaro mediante reti specializzate affidate in concessione dall'Amministrazione autonoma dei monopoli fiscali;
          il medesimo decreto-legge ha affidato alla Società generale di informatica (SOGEI), struttura tecnica specializzata del Ministero dell'economia e delle finanze, la responsabilità delle procedure di verifica e controllo atte a consentire, o meno, l'approvazione da parte dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di ciascun sistema di gioco, facente parte della rete di controllo della dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato stessa;
          la regolazione tecnica ministeriale (decreto dall'Amministrazione autonoma dei monopoli fiscali del 22 gennaio 2010) ha previsto – oltre ad una iniziale fase di sperimentazione per i produttori di tecnologia che avessero già messo a disposizione i sistemi ai singoli concessionari – che «I procedimenti per il controllo e l'approvazione dei sistemi di gioco sono finalizzati ad individuare la necessità di integrazione delle caratteristiche tecniche e le modalità di funzionamento dei sistemi di gioco»;
          la raccolta di gioco con sistemi VLT costituisce, in quanto caratterizzata da controllo in linea ed in tempo reale, la modalità di offerta al pubblico tecnologicamente più avanzata, oltre che più controllata dal punto di vista della pubblica sicurezza e della tutela dei giocatori, svolgendosi esclusivamente in locali dedicati;
          è stato da più parti riscontrato come, nella prima fase di sperimentazione e collaudo dei sistemi, molti fornitori di tecnologie VLT abbiano manifestato difficoltà di approccio ad un ambito tecnologico che impone, per la tutela degli interessi pubblici, requisiti peculiari e più stringenti di quelli già utilizzati per i sistemi di gioco da parte dei produttori – tutti esteri – in contesti diversi (quali i sistemi di casinò); nonostante queste difficoltà dei produttori di tecnologia, la SOGEI ha effettuato nel corso di circa un triennio (con l'impegno di risorse dedicate) il collaudo di almeno 18 sistemi, consentendo l'avvio operativo della raccolta di gioco per alcuni di essi già dalla metà del 2010;
          l'adattamento di alcuni dei sistemi di gioco VLT alla rigorosa normativa italiana ha portato SOGEI a formulare continui rapporti di non conformità di tali sistemi, a causa dei quali i processi di collaudo sono risultati più onerosi e complessi e, in alcuni casi, estremamente lunghi nel tempo;
          la particolare durata di alcuni procedimenti di collaudo ha reso necessario anche il continuo impegno di risorse professionali specializzate di SOGEI, sottraendole pertanto ad altri collaudi o differenti impieghi nell'ambito dei compiti istituzionali dell'azienda  –:
          quale sia il regime giuridico, nell'ordinamento italiano, dei produttori di tecnologia VLT, stante il ruolo essenziale degli stessi nella predisposizione e nella gestione dei sistemi, parte delle reti pubbliche di raccolta e controllo del gioco con vincite in denaro; se si siano verificati casi di durata dei procedimenti di collaudo dei sistemi sensibilmente più elevata della media dei procedimenti stessi, a causa delle rilevanti non conformità segnalate da SOGEI al produttore di tecnologia; e se siano previste – nei casi di imperizia o negligenza tecnica dei fornitori dei sistemi VLT, evidenziata dalla non conformità in sede di collaudo – specifiche sanzioni amministrative, ovvero la possibilità di inserimento, nei contenuti minimi contrattuali ai quali gli affidatari delle concessioni per la gestione del gioco sono vincolati nei rapporti con i terzi, di penali contrattuali atte a risarcire i danni che si siano provocati dai ritardi o dalle imperizie dei produttori di sistemi VLT. (5-08690)


      PICCOLO e FLUVI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Isveimer (Istituto per lo sviluppo economico dell'Italia meridionale), ente di diritto pubblico, trasformato in società per azioni nel 1993, è stato posto in liquidazione nel 1996;
          la società agli inizi del 1999, ha liquidato il Fondo di previdenza per il personale e, in qualità di sostituto di imposta, ha versato all'Erario, per conto di ogni ex pensionato, l'imposta relativa a ciascuna quota di spettanza;
          successivamente al versamento, l'Isveimer, nella liquidazione delle imposte, ha constatato di aver erroneamente omesso di detrarre dall'imponibile complessivo gli interessi per lire 29.485.269.557 su titoli, già assoggettati alla ritenuta alla fonte a titolo d'imposta e, pertanto, non più tassabili in sede di ripartizione agli aventi diritto, in applicazione del principio «ne bis in idem»;
          in aggiunta, la stessa Isveimer ha riconosciuto di aver erroneamente omesso di detrarre dall'imponibile complessivo i contributi versati dai lavoratori al Fondo pensioni nei limiti del 4 per cento della retribuzione imponibile annua (al netto dei contributi obbligatori per legge) percepita in dipendenza del rapporto di lavoro, per un importo complessivo di lire 13.358.954.615;
          al fine di ottenere il rimborso da parte dell'Agenzia delle entrate delle quote di imposta non dovute, ed erroneamente versate, l'Isveimer ha adito le vie legali sostenendo con successo i tre gradi di giudizio e ottenendo, con la sentenza n.  2741 del 5 febbraio 2009 della Corte di cassazione, l'accoglimento dell'istanza da essa proposta, già adottata, rispettivamente, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli (n.  528/03) e dalla Commissione tributaria regionale della Campania (n.  264/18/05);

l'Agenzia delle entrate, dopo tre anni dalla citata sentenza, ha provveduto a rimborsare all'Isveimer l'imposta non dovuta, che la società a sua volta avrebbe dovuto retrocedere ai singoli ex pensionati ai quali è stata ingiustamente accollata all'atto della liquidazione del Fondo di previdenza;
          di recente (giugno/luglio del 2012) la società ha provveduto a corrispondere l'importo delle imposte non dovute solo ad una parte degli ex pensionati sulla base di un elenco che sarebbe, secondo la stessa Isveimer, stato trasmesso dall'Agenzia delle entrate;
          la procedura attivata negherebbe quindi il rimborso ad una parte degli ex pensionati che, pur aventi diritto, non risultano iscritti nel suddetto elenco;
          ad alcuni di essi, l'Isveimer ha inviato una lettera asserendo testualmente che non erano «compresi nell'elenco dettagliato dei nominativi che, all'esito del complesso lavoro svolto dall'Agenzia delle entrate di ricostruzione delle singole posizioni dei potenziali beneficiari del rimborso delle somme corrispondenti alle ritenute operate, hanno titolo a ricevere il rimborso» e che, quindi, non c'erano importi da rimborsare a loro riferiti;
          l'assenza di alcuni nominativi dall'elenco trasmesso dall'Agenzia delle entrate per il rimborso risulterebbe incomprensibile ed assolutamente ingiustificato, dal momento che gli ex pensionati dell'Isveimer si trovavano tutti nella medesima posizione giuridica, avendo tutti identica causa petendi;
          appare quanto mai opportuno ed urgente verificare l'operato dell'Agenzia delle entrate in merito ai criteri di definizione degli aventi diritto il rimborso erariale, al fine di rimuovere una censurabile discriminazione che, peraltro, darebbe luogo inevitabilmente ad un ulteriore, dispendioso contenzioso a danno della stessa Agenzia, con un aggravio evidente di oneri  –:
          quali siano i criteri adottati dall'Agenzia delle entrate nella redazione del citato elenco degli aventi diritto al rimborso erariale per le ritenute operate indebitamente a carico dei soggetti iscritti, in considerazione del fatto che molti ex pensionati dell'Isveimer sembrerebbero, con evidente discriminazione, essere stati esclusi dal beneficio pur avendo i requisiti e trovandosi nella medesima posizione giuridica dei soggetti inseriti in elenco, anche al fine di provvedere all'immediato pagamento delle somme a loro dovute.
(5-08691)


      LO MONTE, ANTONIONE, GAVA e SARDELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la Guardia di finanza, stazione navale di Trieste, al fine di verificare l'avvenuto pagamento della tassa annuale sulle unità da diporto, ha invitato un numero imprecisato di proprietari di imbarcazioni, a presentarsi personalmente o attraverso un proprio delegato munito di procura speciale, negli uffici della stessa Guardia di Finanza, con la documentazione che certifichi l'avvenuto pagamento;
          tale procedura è, ad avviso degli interroganti, assolutamente sbagliata e persecutoria nei confronti dei contribuenti onesti, in quanto, avendo adempiuto nella sostanza e nella forma alle disposizioni di legge, vengono anche chiamati a documentare, per volontà o negligenza degli Organi finanziari di controllo, l'effettivo pagamento;
          i suddetti contribuenti, per poter corrispondere alla richiesta di «invito a presentarsi», sono spesso costretti a perdere preziose ore di lavoro, subendo un'ulteriore penalizzazione economica, o, alternativamente devono sostenere i costi sia economici sia temporali per delegare altre persone munite di «procura speciale»;
          tale procedura ha un costo rilevante per lo Stato sia in termini di mezzi (comunicazioni tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento) sia di uomini, che potrebbero essere utilizzati per altre operazioni;
          l'Amministrazione finanziaria dello Stato potrebbe individuare modalità di pagamento di tale tassa, tali da consentire agli organi preposti al controllo di esercitare la loro funzione utilizzando le moderne tecnologie informatiche che consentono controlli incrociati meno onerosi per lo Stato, con impiego di minori risorse umane e soprattutto senza affliggere i contribuenti con costi aggiuntivi  –:
          quanti siano i proprietari di imbarcazioni che la Guardia di Finanza di Trieste ha convocato per eseguire la verifica illustrata in premessa e quanti siano gli uomini impegnati e i costi che l'Amministrazione deve sostenere per questa operazione;
          se tale operazione sia stata pianificata da una indicazione ministeriale, dal Comando generale di Roma o da altra articolazione territoriale, e se ancora tale operazione venga svolta esclusivamente a Trieste o sia estesa a tutto il territorio nazionale, e quali misure intenda adottare per modificare tale procedura. (5-08692)


      GALLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 13-ter del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, ha apportate alcune modifiche all'articolo 35 del decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223, in materia di responsabilità solidale dell'appaltatore relativamente agli obblighi di versamento all'Erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'IVA dovute dal subappaltatore;
          da più parti è stato segnalato come, proprio in seguito a tali nuove disposizioni, si siano verificati dubbi ed incertezze tra gli operatori economici che hanno, in alcuni casi, bloccato o ritardato i pagamenti dovuti da alcune aziende ai loro fornitori sulla base di un ritenuta generale applicazione delle medesime;
          in tale contesto la circolare emanata dall'Agenzia delle entrate in proposito (circolare n.  40/E del 8 ottobre 2012) non è riuscita a fugare i dubbi relativi all'applicazione delle nuove norme;
          posto, infatti che la normativa utilizza genericamente i termini di «committente», «appaltatore» e «subappaltatore» si è diffusa un'opinione in forza della quale esse non si applicherebbero solo agli appalti concernenti il settore edilizio (come risulterebbe facendo riferimento al capo III del decreto-legge n.  83 del 2012), ma si estenderebbero anche agli appalti di opere o servizi non riferibili al medesimo settore e, addirittura, ai contratti d'opera previsti dall'articolo 2222 del codice civile o, addirittura ai contratti di semplice fornitura di beni o servizi  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro in relazione alla problematica evidenziata e quali iniziative intenda adottare per ovviare agli inconvenienti interpretativi denunciati. (5-08693)


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          gli scandali che hanno interessato recentemente l'utilizzo, da parte dei gruppi consiliari costituiti presso i consigli regionali di numerose regioni d'Italia, delle risorse pubbliche erogate in loro favore a carico dai rispettivi bilanci regionali, ha gettato gravissimo discredito sull'intera classe politica, evidenziando una situazione di illegalità diffusa e di vera e propria malversazione nell'utilizzo di ingenti risorse pubbliche;
          in particolare, è emerso come molti gruppi consiliari usassero attribuire ad alcuni consiglieri, senza alcuna effettiva giustificazione, emolumenti aggiuntivi ulteriori rispetto a quelli già riconosciuti a questi ultimi dai consigli regionali, di solito utilizzati per spese personali di carattere voluttuario, e che non sembra siano stati dichiarati dai beneficiari ai fini IRPEF;
          in tale contesto, oltre all'esigenza di assicurare la massima trasparenza e il pieno rispetto della legalità nella gestione dei finanziamenti pubblici erogati ai gruppi costituiti nei consigli regionali, si pone anche il tema del rispetto dalla normativa tributaria, al fine di verificare che le somme riconosciute ai propri componenti dai predetti gruppi consiliari, le quali costituiscono evidentemente componenti positive di reddito, vengano sottoposte correttamente al regime tributario vigente;
          al riguardo l'articolo 50, comma 1, lettera f), del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  917 del 1986 assoggetta ad IRPEF le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dalle regioni, dalle province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni, mentre la lettera g) del medesimo comma 1 assimila parimenti ai redditi di lavoro dipendente le indennità riconosciute ai membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo, e ai titolari di cariche elettive in ambito regionale, provinciale e comunale, nonché gli assegni vitalizi percepiti in dipendenza dalla cessazione delle suddette cariche;
          unica, limitata eccezione a tale principio è quella stabilita dall'articolo 52, comma 1, lettera b), del medesimo TUIR, il quale esclude dal reddito imponibile «le somme erogate ai titolari di cariche elettive pubbliche..., a titolo di rimborso di spese, purché l'erogazione di tali somme e i relativi criteri siano disposti dagli organi competenti a determinare i trattamenti dei soggetti stessi»;
          pertanto, l'ordinamento tributario vigente stabilisce, in linea generale, l'imponibilità delle indennità riconosciute ai titolari di cariche elettive pubbliche, con la sola esclusione delle somme percepite a titolo di rimborso spese, come determinati ed erogati dai competenti organi interni;    
          ciò trova conferma nella risposta fornita dal Governo all'interrogazione a risposta immediata n.  5-08348, a prima firma del presentatore di quest'atto di sindacato ispettivo e svolta presso la Commissione finanze della Camera dei deputati il 31 ottobre 2012, nella quale il Ministero dell'economia e delle finanze, richiamandosi all'interpretazione della normativa tributaria in materia fornita dall'Agenzia delle entrate, ha correttamente affermato che, per quanto riguarda i componenti delle Camere, la non imponibilità a fini IRPEF dei predetti rimborsi riguarda solo quelli riconosciuti ai parlamentari dagli organi delle Camere competenti a determinare ed erogare tali rimborsi, escludendo dunque ogni altra somma riconosciuta ai componenti dei gruppi parlamentari;
          a maggior ragione, si deve ritenere che ogni altro emolumento riconosciuto ai consiglieri regionali dai gruppi di appartenenza non goda di alcun beneficio tributario, e debba pertanto essere integralmente assoggettato all'IRPEF;
          al di là di ogni analisi di natura giuridico-tributaria, non è comunque in alcun modo tollerabile che, soprattutto nell'attuale fase di recessione economica che sta sconvolgendo la vita dei cittadini meno abbienti, costretti dal Governo a pagare il prezzo per la stabilizzazione della finanza pubblica ed a subire le drammatiche conseguenze dell'esorbitante incremento della pressione fiscale, sia tollerata alcuna forma di privilegio o di illegalità a vantaggio dei rappresentanti elettivi di qualsiasi livello, i quali, alla luce del principio generale di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, e nel rispetto del principio stabilito dall'articolo 53 della Costituzione, sono anch'essi chiamati «a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva», senza alcuno sconto o favore;
          come già segnalato in occasione dello svolgimento della citata interrogazione a risposta immediata n.  5-08348, tale tematica assume rilievo, non solo sotto il profilo delle entrate tributarie, ma, soprattutto, sotto quello etico-politico;
          in tale contesto appare dunque necessario che il Governo assuma tutte le iniziative opportune a garantire anche in questo campo il pieno e rigoroso rispetto degli obblighi tributari  –:
          quali iniziative urgenti intenda assumere per ribadire con la massima chiarezza che le somme riconosciute, a titolo diverso dai rimborsi spese erogati dai competenti organi dei consigli regionali, dai gruppi politici costituiti presso le assemblee regionali a loro componenti, devono essere assoggettate all'IRPEF e se non ritenga comunque doveroso intervenire a livello normativo per eliminare ogni comportamento illecito in merito, al fine di sottoporre doverosamente a prelievo tutte le somme erogate a tali rappresentanti eletti, nonché se intenda impartire direttive all'Amministrazione finanziaria per verificare la piena e corretta applicazione della disciplina in tale materia. (5-08694)


      FORCOLIN, FUGATTI, COMAROLI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Agenzia delle entrate ha avviato dal 2010 un processo generale di riorganizzazione territoriale in tutto il Paese, con l'obiettivo dichiarato di rendere più incisiva la lotta all'elusione ed all'evasione fiscale attraverso una razionalizzazione della presenza dell'Agenzia sul territorio;
          tale riorganizzazione, secondo quanto risposto dal Governo ad una precedente interrogazione sul medesimo argomento presentata dai firmatari del presente atto di sindacato ispettivo, prevede l'istituzione di nuove strutture operative, denominate «direzioni provinciali», che sostituiscono progressivamente, assorbendone la competenza, gli attuali uffici locali;
          l'Agenzia delle entrate ha precisato che «questa modifica organizzativa avrebbe il grande vantaggio di consentire una maggiore omogeneità, efficacia e qualità dell'azione accertatrice, poiché renderebbe di per sé possibili significative economie di scala e di specializzazione nell'utilizzo di risorse professionali molto qualificate, la cui disponibilità, specie nelle regioni ove si concentra la ricchezza del nostro Paese, è generalmente scarsa rispetto al fabbisogno»;
          il processo di riorganizzazione, sebbene sia in linea teorica coerente e correttamente inserito in un processo generale di «spending review» avviato da tutte le amministrazioni pubbliche, non può, a parere degli interroganti, portare ai risultati sperati: in primo luogo perché nella maggior parte dei casi non sono previste chiusure di sedi locali e quindi non si avranno risparmi in termini di minori locazioni passive, utenze, arredi ed altre spese; in secondo luogo perché non è previsto un ridimensionamento dell'organico e quindi non si genereranno risparmi sui costi del personale;
          ai mancati risparmi di tale riorganizzazione si accompagnerà un sicuro maggior disagio per le aziende e per i contribuenti in genere, dal momento che le attività di accertamento sui contribuenti di maggiori dimensioni (quelli che hanno un volume d'affari, ricavi o compensi uguale o superiore a cento milioni di euro) vengono concentrate a livello regionale, mentre per le altre attività di accertamento più qualificate la direzione sale dal livello subprovinciale a quello provinciale  –:
          se l'obiettivo della riorganizzazione territoriale dell'Agenzia dell'entrate sia confermato, a che punto sia tale processo riorganizzativo; e quali siano i risultati prodotti fino ad ora da tale processo, sia in termini di maggior efficacia ed efficienza dell'azione dell'Agenzia, sia in termini di minori costi gestionali e strutturali. (5-08695)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CESARIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  39 del 2009 ha definito le regole principali per l'introduzione e l'autorizzazione dei sistemi di gioco con videoterminali, cosiddetti VLT, per la raccolta di gioco con vincite in denaro mediante reti specializzate affidate in concessione dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
          il medesimo decreto-legge ha affidato alla Società generale di informatica (SOGEI), struttura tecnica specializzata del Ministero dell'economia e delle finanze, la responsabilità delle procedure di verifica e controllo atte a consentire, o meno, l'approvazione da parte dell'Amministrazione dei monopoli di Stato (AMS) di ciascun sistema di gioco, facente parte della rete di controllo della Amministrazione di monopoli di Stato stessa;
          la regolazione tecnica ministeriale (decreto AMS del 22 gennaio 2010) ha previsto – oltre ad una iniziale fase di sperimentazione per i produttori di tecnologia che avessero già messo a disposizione i sistemi ai singoli concessionari – che «I procedimenti per il controllo e l'approvazione dei sistemi di gioco sono finalizzati ad individuare la necessità di integrazione delle caratteristiche tecniche e le modalità di funzionamento dei sistemi di gioco»;
          la raccolta di gioco con sistemi VLT costituisce, in quanto caratterizzata da controllo in linea ed in tempo reale, la modalità di offerta al pubblico tecnologicamente più avanzata, oltre che più controllata dal punto di vista della pubblica sicurezza e della tutela dei giocatori, svolgendosi esclusivamente in locali dedicati;
          è stato da più parti riscontrato come, nella prima fase di sperimentazione e collaudo dei sistemi, molti fornitori di tecnologie VLT abbiano manifestato difficoltà di approccio ad un ambito tecnologico che impone, per la tutela degli interessi pubblici, requisiti peculiari e più stringenti di quelli già utilizzati per i sistemi di gioco da parte dei produttori – tutti esteri – in contesti diversi (quali i sistemi di casinò). Nonostante queste difficoltà dei produttori di tecnologia, la SOGEI ha effettuato nel corso di circa un triennio (con l'impegno di risorse dedicate) il collaudo di almeno 18 sistemi, consentendo l'avvio operativo della raccolta di gioco per alcuni di essi già dalla metà del 2010;
          l'adattamento di alcuni dei sistemi di gioco VLT alla rigorosa normativa italiana ha portato Sogei a formulare continui rapporti di non conformità di tali sistemi, a causa dei quali i processi di collaudo sono risultati più onerosi e complessi e, in alcuni casi, estremamente lunghi nel tempo;
          la particolare durata di alcuni procedimenti di collaudo ha reso necessario anche il continuo impegno di risorse professionali specializzate di SOGEI, sottraendole pertanto ad altri collaudi o differenti impieghi nell'ambito dei compiti istituzionali dell'azienda  –:
          quale sia il regime giuridico, nell'ordinamento italiano, dei produttori di tecnologia VLT, stante il ruolo essenziale degli stessi nella predisposizione e nella gestione dei sistemi, parte delle reti pubbliche di raccolta e controllo del gioco con vincite in denaro;
          se si siano verificati casi di durata dei procedimenti di collaudo dei sistemi sensibilmente più elevata della media dei procedimenti stessi, a causa delle rilevanti non conformità segnalate da SOGEI al produttore di tecnologia;
          se siano previste – nei casi di imperizia o negligenza tecnica dei fornitori dei sistemi VLT, evidenziata dalle non conformità in sede di collaudo – specifiche sanzioni amministrative, ovvero la possibilità di inserimento, nei contenuti minimi contrattuali ai quali gli affidatari delle concessioni per la gestione del gioco sono vincolati nei rapporti con i terzi, di penali contrattuali atte a risarcire i danni che si siano provocati dai ritardi o dalle imperizie dei produttori di sistemi VLT.
(5-08673)


      GALLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          non risulta ancora emanato il decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione di cui all'articolo 12, comma 18-bis del decreto-legge n.  95 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  135 del 2012 del 7 agosto 2012, che prevede la soppressione di Buonitalia spa in liquidazione ed il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane della suddetta società in liquidazione, all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
          tale ritardo appare abnorme, determinando incertezza e apprensione al personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato che dovrebbe essere trasferito;
          il sistema agroalimentare sta subendo, forse più di altri comparti, le conseguenze della crisi economica in atto e questa stato di inerzia non contribuisce certamente ad una sua ripresa anche per il ritardo che stanno accumulando molti progetti di promozione del nostro made in Italy nei mercati internazionali, senza dimenticare la crescente preoccupazione del personale che peraltro aspirerebbe a fornire il suo contributo professionale in questa situazione;
          risulterebbe che mentre il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed il Ministero dello sviluppo economico avrebbero già firmato il decreto, il Ministero dell'economia e delle finanze non avrebbe ancora dato il suo placet  –:
          se tali notizie corrispondano al vero e conseguentemente se non ritenga di procedere senza ulteriori ritardi alla firma del decreto di cui in premessa. (5-08675)


      GALLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 4 della legge 6 febbraio 2009, n.  7, «Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008», prevede il riconoscimento di un ulteriore indennizzo ai soggetti titolari di beni, diritti ed interessi sottoposti in Libia a misure limitative;
          per la copertura di tali indennizzi erano stati stanziati, per il periodo 2009-2011, 150 milioni di euro cui vennero aggiunti altri 50 milioni grazie alla estensione della misura anche per il 2012, disposta dal decreto-legge 216 del 29 dicembre 2011;
          i soggetti interessati avevano lamentato, oltre alla inadeguatezza dello stanziamento ed al ritardo nell'emanazione del decreto attuativo, criteri fortemente penalizzanti introdotti dallo stesso decreto attuativo con indennizzi inferiori alle attese;
          poiché la presenza di un coefficiente prudenziale, ha comportato che i fondi impegnati (compresi i 50 milioni del 2012) risultassero assai inferiori allo stanziamento, è stata prevista una ridistribuzione pro-quota dei resti fra tutti gli aventi diritto;
          non si comprende se, per questa seconda ondata di pagamenti, sia necessario un secondo decreto attuativo che potrebbe, però, incontrare difficoltà a causa della chiusura anticipata della legislatura;
          sarebbe altresì opportuno prevedere un nuovo stanziamento di risorse per il biennio 2013-2014  –:
          se non ritenga di procedere in tempi rapidissimi e senza ulteriori dilazioni all'erogazione di questa seconda tornata di liquidazione in favore dei nostri concittadini che attendono fiduciosi una pronta risposta delle istituzioni alle loro giuste rivendicazioni. (5-08676)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in data 5 luglio 2012 nella V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione) il Ministero dell'economia e delle finanze per voce del Sottosegretario Polillo rispondeva alla interrogazione a risposta in Commissione n.  5-05976 Farina Coscioni e altri relativa all'utilizzo delle risorse assegnate all'Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla) ONLUS;
          l'interrogazione citata rendeva conto del fatto che «(...) con decreto ministeriale 0077740 è stata tra gli altri finanziata l’“Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla) ONLUS-Milano” per la “realizzazione di strutture di assistenza malati” con euro 1.000.000» e si chiedeva di sapere: «dove saranno realizzate le strutture di assistenza malati; quante ne saranno realizzate; chi realizzerà le strutture medesime; chi saranno i beneficiari delle strutture; se e quali iniziative siano state prese per verificare che la stessa opera non sia stata già finanziata con i fondi pubblici.»;
          «Con la nota che si riscontra, codesto Ufficio Legislativo ha chiesto di conoscere gli elementi di competenza utili per la risposta ai quesiti posti nell'interrogazione a risposta scritta indicata in oggetto, presentata dall'onorevole Farina Coscioni ed altri, intesa ad ottenere chiarimenti in ordine al contributo statale di euro 1.000.000,00 concesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 3-quater, del decreto-legge n.  112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133 del 2008, in favore dell'Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica Onlus di Milano, per la realizzazione di strutture di assistenza ai malati.
      Più precisamente, gli interroganti chiedono di conoscere: 1) dove saranno realizzate le strutture di assistenza ai malati, 2) quante ne saranno realizzate; 3) chi realizzerà le strutture medesime; 4) chi saranno i beneficiari delle strutture; 5) se e quali iniziative siano state prese per verificare che la stessa opera non sia già stata finanziata con i fondi pubblici.
      A tale riguardo, si rappresenta in via preliminare che l'articolo 13, comma 3-quater, del citato decreto-legge n.  112 del 2008 ha previsto l'istituzione di uno specifico Fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio, al fine di concedere contributi statali per interventi da realizzare nell'ambito dei rispettivi territori, da parte degli enti beneficiari, sia pubblici che privati, per il risanamento e il recupero dell'ambiente e dello sviluppo economico dei territori stessi; lo stesso articolo 13, comma 3-quater, stabilisce, inoltre, che alla ripartizione delle somme previste nonché all'individuazione degli interventi e degli enti beneficiari si provvede con l'emanazione di un decreto del Ministro dell'economia e finanze, adottato in coerenza con le indicazioni, anche in termini di finanziamento, previste da apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.
      In considerazione di ciò, al Ministero dell'economia e finanze, nell'assegnare i contributi in parola, non viene richiesta alcuna attività istruttoria volta ad esaminare e valutare le istanze e i progetti da ammettere al finanziamento di cui alla richiamata disposizione del decreto-legge n.  112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133 del 2008, atteso che la risoluzione parlamentare prevista dalle disposizioni sopra indicate impegna il Governo ad attenersi alle priorità dalla stessa puntualmente indicate.
      Nel caso in esame, il decreto ministeriale 28 ottobre 2010, con il quale è stato attribuito, tra gli altri, alla Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica Onlus di Milano il contributo di 1.000.000,00 di euro, è stato adottato in coerenza con quanto indicato nella risoluzione parlamentare n.  8-00087 approvata nella seduta del 30 luglio 2010 dalla V Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati e successivamente modificata dalla stessa Commissione.
      Alla luce delle particolari modalità di attribuzione dei finanziamenti disposti a valere sul Fondo di cui all'articolo 13, comma 3-quater, del citato decreto-legge n.  112 del 2008, pertanto, questo ufficio non dispone di elementi di conoscenza in merito a quanto richiesto dagli interroganti circa le modalità con cui sarà utilizzato il contributo concesso né se lo stesso intervento abbia già formato oggetto di finanziamento da parte di altre istituzioni pubbliche.»;
          sul sito www.rgs.mef.gov.it sono disponibili, tra gli altri, il decreto n.  0077740 del 28 ottobre 2010 di individuazione degli enti beneficiari dei contributi statali di cui all'articolo 13, comma 3-quater, del decreto-legge n.  112 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n.  133 del 2008, e l'elenco n.  1 allegato al decreto n.  0077740 del 28 ottobre 2010;
          per consentire l'erogazione dei contributi occorre inviare al dipartimento della ragioneria generale dello Stato un'attestazione conforme al modello A (per gli enti pubblici) e al modello B (per i soggetti non di diritto pubblico) secondo gli schemi previsti dal citato decreto ministeriale;
          con decreto n.  0077740 il Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della ragioneria generale dello Stato – I.GE.P.A. – Ufficio IX prevede:
              all'Articolo 3: 1. Ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall'articolo 1, i soggetti non di diritto pubblico rientranti tra quelli elencati nell'allegato elenco 1 sono tenuti a compilare, per ciascuno degli interventi finanziati, una dichiarazione conforme all'allegato modello B, che fa parte integrante del presente decreto, con la quale il legale rappresentante dell'ente dichiara, sotto la propria responsabilità, di destinare il contributo statale esclusivamente al finanziamento puntuale dell'intervento per il quale è prevista l'assegnazione.
      2. La dichiarazione di cui al comma 1 deve, altresì, indicare le modalità di accredito del contributo e riportare, in allegato, idonea fotocopia di un documento di riconoscimento, in corso di validità, del firmatario, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n.  445, e, nel caso di più finanziamenti riferiti allo stesso soggetto beneficiario, deve essere compilata e sottoscritta per ciascuno degli interventi indicati nell'allegato elenco 1, non essendo consentito l'invio di una unica attestazione riepilogativa.
              Articolo 4: 1. Le attestazioni previste dagli articoli 2 e 3, debitamente sottoscritte, devono essere trasmesse al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato Generale per la Finanza delle Pubbliche Amministrazioni (I.Ge.P.A.) – Ufficio IX – Via XX Settembre n.  97, 00187 Roma – esclusivamente con raccomandata A.R., entro il termine perentorio di 45 giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, a pena di decadenza del contributo assegnato.
      2. Al fine della verifica dei termini indicati al comma 1, fa fede la data del timbro postale di accettazione della raccomandata AR.
      3. Le attestazioni trasmesse con modalità diverse da quelle previste dal comma 1 non saranno considerate valide. (...).
              Articolo 6: 1. I contributi statali individuati nell'allegato elenco 1 per i quali il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato non ha potuto provvedere alla relativa erogazione per il mancato espletamento, da parte degli enti beneficiari, degli adempimenti previsti dagli articoli 2, 3 e 4, devono intendersi revocati;
          il modello B prevede la dichiarazione che l'AISLA avrebbe dovuto presentare per consentire l'erogazione dei contributi proprio al dipartimento della ragioneria generale dello Stato  –:
          perché nella risposta all'atto di sindacato ispettivo fornita dal Governo, con gli elementi di conoscenza, propri dell'ufficio dipartimento della ragioneria generale dello Stato del Ministero stesso, luogo depositario dei modelli per consentire l'erogazione dei contributi pubblici, non si faccia alcuna menzione della conoscenza di tale documentazione;
          se tale documentazione sia mai stata presentata dall'Aisla al dipartimento della ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e finanze;
          se tale documentazione non è stata presentata dall'Aisla, perché sia stata comunque disposta l'erogazione del contributo pubblico di 1 milione di euro;
          se non sia il caso, in mancanza degli adempimenti posti a carico degli enti beneficiari ai fini dell'erogazione dei contributi stessi da parte del dipartimento della ragioneria generale dello Stato, di revocare il contributo. (5-08680)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in data 12 dicembre 2012, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Vieri Ceriani, nella risposta all'interrogazione 5-08533 Maurizio Turco concernente l'operatività in Italia dell'Istituto, opere di religione (IOR), ha dichiarato che «la Banca d'Italia ha comunicato di non aver autorizzato lo IOR ad operare sul territorio della Repubblica Italiana tramite succursali, ovvero in regime di prestazione di servizi senza stabilimento»  –:
          se risulti se e quando l'Istituto per le Opere di Religione, ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del Testo unico bancario, abbia richiesto l'autorizzazione alla Banca d'Italia di poter operare in Italia senza stabilirvi succursali;
          se risulti, nel caso di respingimento dell'eventuale richiesta dell'IOR, con quale motivazione la Banca d'Italia e/o la CONSOB abbiano negato l'autorizzazione ad operare in Italia. (5-08696)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il sito d'informazione Fanpage.it in data 15 settembre 2012 ha scritto: «lo Stato non vuole il registro dei tumori in Campania. Il motivo ? Costerebbe tanto, troppo, per una regione in disavanzo sanitario. La legge regionale, approvata nel luglio di quest'anno, aveva l'obiettivo appunto di raccogliere, elaborare e registrare di dati statistici completi, di buona qualità e validati scientificamente, provenienti da molteplici fonti di flussi informativi in campo sanitario, per incidenza, prevalenza e sopravvivenza, secondo l'andamento spaziale e temporale, dei casi di tumore anche infantili che si verificano nella popolazione della Regione Campania. Molteplici gli obiettivi: strumento di ricerca e allo stesso tempo campanello d'allarme se è vero – come riferiscono numerosi ricercatori di fama internazionale – che la Campania soffre di un aumento esponenziale dei casi di cancro. Una spesa iniziale, dunque, ma con l'obiettivo di far migliorare l'efficienza dei programmi di screening oncologici, tradizionali e sperimentali attivi ed operativi presso le Aziende sanitarie locali della Regione Campania. Dunque fare prevenzione ed evitare le successive cure, in alcuni casi costose e disperate o peggio ancora i costosi viaggi della speranza fuori regione o all'estero»;
          i promotori dell'iniziativa hanno riferito che sono state consegnate 18.365 firme per chiedere il registro tumori in Campania, raccolte in appena 9 giorni a Terzigno, Boscoreale, Boscotrecase, Trecase e altri comuni vesuviani;
          la notizia è stata data il 15 dicembre 2012 dal quotidiano repubblica.it;
          i fatti esposti ad avviso dell'interrogante sono tali da richiedere lo sblocco degli ostacoli burocratici ed economici che impediscono ad oggi le procedure di attivazione per la creazione del registro dei tumori in Campania  –:
          se sia vero che le mancata attivazione del registro regionale dei tumori dipenda da esigenze di equilibrio economico della regione, sottoposta a piano di rientro e se intendano i Ministri, per quanto di competenza, favorire il superamento di tali problemi per monitorare la crescita esponenziale delle patologie tumorali causate dal saccheggio indiscriminato dei territori per roghi tossici e sversamenti incontrollati di rifiuti anche nocivi. (4-19091)


      GASBARRA e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          Roma e il Lazio in questi ultimi tre anni hanno visto la pressione fiscale più alta d'Italia grazie alle politiche messe in campo dai Governi che guidano la capitale e la regione Lazio;
          si registra la totale assenza di politiche di concertazione e di politiche anti-crisi per riaccendere il motore di un'area che è più grande dell'Irlanda;
          va tenuto conto del fardello del ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione e in particolare dei crediti che circa 14.700 imprese vantano con Roma Capitale e con la regione Lazio per una stima complessiva pari a 10 miliardi di euro;
          il rivoluzionario decreto (n.  95 del 2012), convertito, con modificazioni dalla legge n.  135 del 2012 messo in campo dal Governo Monti, è stato completamente disatteso;
          accolto con entusiasmo dal Pd e dalle altre forze di minoranza, il progetto di ridare ossigeno alle imprese creditrici con le amministrazioni pubbliche, attraverso la certificazione e quindi la compensazione delle loro esposizioni, e riaccendere così il motore di un sistema produttivo come quello «romano», fino pochissimi anni fa a quattro ruote motrici e ridotto oggi ad essere trainato dai fondi della cassa integrazione cresciuta del 327 per cento, è rimasto lettera morta;
          il sistema produttivo del Lazio in cui la disoccupazione regionale (+11 per cento) ha superato per la prima volta il dato nazionale; Roma è prima in Italia nel 2012 per numero dei protesti; il saldo del numero di imprese del terzo trimestre è il peggiore dal Dopoguerra;
          Roma Capitale ha portato ogni tariffa comunale al livello massimo, così da conquistare il primo posto tra le città d'Italia per carico fiscale su ogni cittadino (in media 3.042 euro) così come sulle imprese, in particolare le medio-piccole;
          alcuni importanti gruppi imprenditoriali romani sono stati ceduti a capitali stranieri, con un vero e proprio boom dal 2010, mentre il Lazio e la capitale hanno perso posizioni per la presenza di grandi holding internazionali, fondamentali per creare occupazione: nel 2008 la percentuale di addetti impiegati in multinazionali straniere con base a Roma era del 8 per cento sul totale degli occupati;
          nel 2012 il valore è sceso al 6 per cento;
          il Consiglio dei ministri ha recepito la direttiva «late payments» dell'Unione europea 2011/7, che da gennaio 2013 prevede il pagamento entro 30 o al massimo 60 giorni;
          il progetto di «sbloccare i crediti» era ed è fondamentale, un'innovazione positiva che ha portato camera di commercio e quindi Abi e Ministero dell'economia e delle finanze a sottoscrivere un protocollo per tutelare e creare corsie preferenziali al sistema crediti/debiti delle imprese;
          nel 2011 l'indebitamento della sola regione Lazio è cresciuto del 7,36 per cento, arrivando a 11,08 miliardi di euro. Verso i fornitori è di 7,6 miliardi di euro (+11,5 per cento);
          l'amministrazione regionale ha una media di pagamento pari a 420 giorni, le aziende sanitarie superano i 240, mentre Roma Capitale si ferma a quota 400 giorni;
          a causa di questi patologici ritardi e delle difficoltà del sistema bancario, il dato relativo al 38 per cento di imprese fallite nel 2011, a Roma e nel Lazio, ha avuto come causa principale proprio l'esposizione verso la pubblica amministrazione  –:
          di quali dati disponga il Governo sullo stato di attuazione del decreto-legge n.  95 del 2012 e se intenda promuovere un monitoraggio sui ritardi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni nelle diverse realtà territoriali, incluse la regione Lazio e Roma Capitale dove si rischia di far morire l'economia e i sacrifici di migliaia di piccoli e medi imprenditori; quali iniziative urgenti di competenza si intendano assumere, in collaborazione con le regioni e gli enti locali, per risolvere più efficacemente la questione dei ritardi di pagamento. (4-19113)


      POLLEDRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          secondo le ultime rilevazioni, circa 55 mila aziende hanno chiuso i battenti nei primi 9 mesi del 2012, una media di 200 al giorno; i fallimenti sono stati in tutto quasi 9 mila (2 per cento in più dell'anno precedente) e hanno coinvolto in misura maggiore le Pmi;
          esse appaiono compresse tra una difficoltà di accedere al credito, un ingiustificato ritardo nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni e una giustizia dai tempi eccessivamente dilatati;
          in particolare, secondo la CGIA di Mestre, la media italiana di aziende che falliscono a causa dei ritardi nei pagamenti si attesta attorno al 31 per cento: con il recepimento della direttiva 2011/7/ Unione europea, l'Italia punta a sanare una situazione troppo pesante che vede le aziende pagate mediamente dopo 180 giorni (in Francia dopo 65 giorni, in Gran Bretagna dopo 43 ed in Germania dopo appena 36);
          per quanto concerne la lentezza della giustizia, essa, come ha ricordato il Governatore della Banca d'Italia, è un ostacolo alla crescita dimensionale delle aziende le quali spesso si trovano a dover sopportare l'onere di un processo civile che impone un cospicuo esborso di denaro e che occupa un ridante spazio temporale: ben oltre i 2 mila giorni tra appello e Cassazione (secondo la Banca mondiale, l'Italia è al 157esimo posto su 183);
          un tipico esempio delle difficoltà sistemiche in cui le aziende italiane si trovano ad operare è quello della Nani Termosanitaria, società artigiana che negli anni 1998/1999 ha iniziato i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla linea ferroviaria Piacenza-Bologna;
          sebbene tali lavori, del valore complessivo di oltre 900 mila euro, fossero stati subappaltati alla Nani dalla società Nie Arcadia nuovi impianti, la quale a sua volta aveva ottenuto in appalto un pacchetto di lavori dalle Ferrovie dello Stato, in realtà l'azienda Nani, nell'esecuzione dei lavori, ha avuto rapporti direttamente con le Ferrovie dello Stato, ufficio compartimento di Bologna;
          essendosi poco dopo aperto un contenzioso tra le Ferrovie e la Nie Arcadia, avente tuttavia ad oggetto accordi differenti da quelli riguardanti anche la Nani, la prima ha inteso sospendere tutti i pagamenti verso la seconda, compresi quelli relativi ai lavori, peraltro perfettamente ultimati come da contratto, eseguiti dalla Nani;
          nelle more la Nie è fallita (fallimento 5 luglio 2002 – tribunale di Oristano) e la Nani, la quale nel frattempo ha dovuto indebitarsi per pagare i propri fornitori ed evitare la chiusura, ha ridotto drasticamente il personale e ha avviato, da ormai 10 anni, una causa per il recupero dei crediti che peraltro è stata sospesa, in quanto il tribunale di Oristano è in attesa del pronunciamento del Tribunale di Roma, che, dopo tanti rinvii, ha ulteriormente posticipato la decisione al 2013;
          quello appena descritto è un caso concreto che dimostra le traversie cui aziende e cittadini italiani sono sottoposti per vedere riconosciuti diritti loro acquisiti  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della complicata vicenda esposta in premessa e se non ritengano opportuno assumere conseguentemente iniziative, se del caso normative, per tutelare la condizione di chi vede i propri diritti inspiegabilmente violati. (4-19156)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          tra il 2002 e il 2006 Google Italy avrebbe registrato un reddito imponibile pari a 240 milioni di euro, evitando di versare un valore IVA che supera i 96 milioni di euro. Come evidenziato in una interrogazione presentata sull'argomento, la sede irlandese di Google «non presenterebbe dichiarazione dei redditi in Italia perché la filiale milanese farebbe solo assistenza (marketing services) per conto di Google Ireland»;
          su questa vicenda sta indagando la guardia di finanza;
          dal 2006 ad oggi, il fatturato realizzato in Italia sarebbe ulteriormente cresciuto. Stando ad alcune stime del settore, e tenendo conto che Google Ireland dal 2010 non deposita più il bilancio avvalendosi di una norma locale che le consente di rifarsi a quello della capogruppo americana, in Italia i ricavi avrebbero superato i 400 milioni di euro nel 2009, 550 nel 2011 e probabilmente 700 milioni in quest'anno;
          ad avviso dell'Agenzia delle entrate, è difficile agire contro «società digitali transnazionali» che sfruttano quelle che vengono definite «ingegnerie finanziarie offerte da evidenti lacune nella normativa nazionale ed internazionale» per non pagare le tasse in Italia. Il fisco ha così avviato una prima fase di screening sulle attività di gruppi multinazionali attivi nel settore dell'elettronica e dell’e-commerce;
          un portavoce di Google ha dichiarato: «Rispettiamo le leggi fiscali in tutti i paesi in cui operiamo e siamo convinti di rispettare anche la legge italiana – Continueremo a collaborare con le autorità locali per rispondere alle loro domande relative a Google Italy e ai nostri servizi. È normale che un'azienda sia sottoposta a controlli fiscali ed è da tempo che lavoriamo con le autorità italiane. Ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna richiesta di pagare ulteriori tasse in Italia» –:
          se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, a quale stadio di avanzamento siano giunte le verifiche della guardia di finanza. (4-19165)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall’Unione Sarda il 13 dicembre 2012, il carcere cagliaritano di Buoncammino è pieno di topi che circolano indisturbati;
          la presenza dei topi ha reso la situazione dei detenuti ancora più difficile, visto che gli stessi sono comprensibilmente preoccupati per il rischio di contrarre malattie;
          il problema lamentato dai detenuti è dovuto al fatto che una colonia di animali nocivi è proliferata nelle vicinanze del penitenziario. In particolare, nella zona dietro il carcere, vi sarebbe un sito in abbandono con sterpaglie e rifiuti dove si annidano i ratti  –:
          di quali informazioni disponga circa i fatti narrati in premessa;
          a quando risalga l'ultima ispezione effettuata dalla ASL competente presso l'istituto di pena cagliaritano;
          se non intenda disporre con urgenza un intervento di derattizzazione all'interno del carcere di Buoncammino. (4-19088)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 13 dicembre 2012, Arcangelo Navarrino, detenuto nel carcere di Foggia, con fine pena al 2029 una condanna definitiva a 20 anni di reclusione per l'omicidio di un coetaneo, si è tolto la vita impiccandosi in cella con un lembo del lenzuolo legato alla finestra;
          la notizia è stata resa nota dal vicesegretario generale nazionale Osapp, Domenico Mastrulli, il quale ha dichiarato: «Il penitenziario di Foggia alla data odierna contiene circa 760 detenuti contro una forza regolamentare di 330 reclusi di cui 38 donne e due bambini. Non a caso dal primo gennaio del 2012 nel carcere di Foggia si sono verificate almeno cinque aggressioni. Ma non solo; perché sempre nel penitenziario foggiano si sarebbero verificati 5 episodi di ingerimento di sostanze nocive; 12 colluttazioni; 14 episodi di autolesionismo; 1 decesso per cause naturali e soprattutto, con quello di oggi, due suicidi e ben 10 tentativi di suicidio»  –:
          quali iniziative siano state adottate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per assicurare l'incolumità di Arcangelo Navarrino;
          in particolare se e come il 13 dicembre 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Foggia;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Foggia, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni minime di vivibilità all'interno della struttura penitenziaria in questione. (4-19089)


      BARBATO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dal 2011 era attiva una falsa associazione onlus con base a Napoli che chiedeva offerte e soldi per organizzare eventi di clown terapy spacciandosi come referenti ed al servizio anche di importanti ospedali di assistenza per bambini;
          la truffa portata alla luce grazie agli uomini dell'Arma ha permesso alla banda di incassare in soli sei mesi almeno 100 mila euro in 35 province e 93 comuni;
          dieci le denunce per associazione a delinquere e truffa;
          si spacciavano per volontari di onlus e raccoglievano fondi per bimbi malati di tumore;
          accattonavano nei centri commerciali, nelle fiere e nei mercati: con educazione e professionalità chiedevano denaro per organizzare sedute di clown terapy per alleviare le sofferenze dei piccoli pazienti (fonte Repubblica, 15 dicembre 2012);
          un cittadino di Ariccia, ai Castelli Romani, dopo aver fatto la propria offerta a un volontario ha cercato il nome della onlus su internet e si è imbattuto in un sito in costruzione. E partita così l'operazione «clown», con cui i carabinieri hanno individuato un'organizzazione formata da «una serie di associazioni a struttura piramidale, con un meccanismo tipo “scatole cinesi” in cui gli stessi soggetti erano di volta in volta presidenti, amministratori, soci, tesorieri». Individui spesso legati da rapporti di parentela, quasi tutti con precedenti per truffa o fogli di via rilasciati dai comuni nei quali raccoglievano i fondi  –:
          se il Governo intenda assumere iniziative normative dirette a prevedere pene maggiormente severe e restrittive per reati di questo genere;
          se il Governo intenda assumere iniziative normative dirette a permettere, a tutela dei bambini in nome dei quali è stato speculato perpetrando il reato, allo Stato di essere parte civile contro questi truffatori. (4-19093)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento alla nota vicenda del giornalista Sallusti;
          per la soluzione della questione potrebbe essere utile un provvedimento di amnistia, per ricondurre l'Italia, nel novero degli Stati che rispettano le proprie stesse leggi e che fondano la propria legittimazione democratica sul rispetto del principio dello Stato di diritto  –:
          se non ritenga necessario assumere con urgenza iniziative normative volte a prevedere l'amnistia per garantire la coerenza dell'ordinamento giuridico rispetto ai principi supremi contenuti nella Costituzione, attualmente a giudizio degli interroganti violati in modo manifesto, così come il rispetto di trattati internazionali che vigono nell'ordinamento domestico in base a disposizioni di rango costituzionale.
(4-19122)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci conduce una propria personale battaglia contro i «teppisti del web». Non solo quelli che frequentano il suo profilo Facebook, ma anche tutti quelli che scrivono di lui su internet. «Scandaglierò il web» ha dichiarato – e li trascinerà in tribunale;
          tutto nasce da una indecorosa vicenda ravennate che coinvolge banche, curia, suore, amministratori locali e tribunali a margine della eredità di un nobile locale che decise a suo tempo di dare rifugio alle orfanelle della città. Ma se la diatriba a margine dell'orfanotrofio Galletti Abbiosi, ora trasformato in elegante bed and breakfast, è istruttiva ma non ci riguarda direttamente, la vicenda del sindaco con la comunicazione elettronica è utile a svelare un mondo;
          a colpi di esposti ai carabinieri pubblicati in copia sulla sua pagina Facebook, Fabrizio Matteucci ha presentato la contabilità delle offese che lo riguardano. Si tratta di espressioni tipo «ladro», «bugiardo» e anche alcune minacce personali, pubblicate in alcuni commenti su Facebook. Dopo alcuni giorni di grande rigidità il sindaco sembra poi averci un po’ ripensato ed ha scritto, sempre su Facebook, che chi lo ha offeso verrà semplicemente «bannato» (così come altri ravennati che affermano sempre su Facebook di essere stati «bannati» alla pagina del sindaco in conseguenza delle critiche espresse);
          fatte salve le prerogative difensive di ognuno, compresa quella di intasare le aule dei tribunali con cause per diffamazione verso persone che mostrano in rete il proprio risentimento, l'iniziativa del primo cittadino di Ravenna ha raccolto su Facebook un numero piuttosto ampio di commenti delusi da parte dei suoi elettori ma può soprattutto essere utilizzata come esempio quella che agli interroganti appare una incapacità molto ampia e diffusa a comprendere i nuovi limiti che la comunicazione elettronica impone al valore delle parole;
          si tratta di un tema spinoso ed importante del quale le istituzioni ancora non si sono fatte carico ma che non potrà essere evitato ancora per molto. Semplificando al massimo si potrebbe dire che internet oggi è un luogo di relazioni sociali molto prima che di qualsiasi altra cosa. Lo è da sempre ma negli anni la vocazione relazionale della rete ha travolto quasi tutto il resto, imponendo strumenti come Facebook o Twitter dove il pensiero istantaneo diventa segno editoriale;
          ad avviso degli interroganti, il sindaco, come molti altri, confonde il borbottio vocale con la parola scritta. In entrambi si presentano nella medesima forma digitale, ma mantengono valore semantico profondamente differente. Ci si chiede cosa farebbe il sindaco di Ravenna se possedesse un enorme orecchio capace di registrare tutte le conversazioni dei suoi concittadini nelle piazze, dentro i negozi, negli uffici e nelle case, ci si domanda se denuncerebbe ai carabinieri ogni singola espressione offensiva a lui dedicata fatto che questo grande orecchio oggi esista e sia pubblico complica molte cose ma dovrà prima o poi spostare, almeno in parte, la percezione e la soglia di punibilità delle espressioni oggi considerate diffamatorie. È un tema di adeguamento legale alla comunicazione elettronica per i prossimi anni che in molti fingono di non vedere;
          sta emergendo una preoccupante incapacità da parte della classe politica ad ammettere le proprie peculiarità simboliche, dando corpo all'altro paradosso secondo il quale sono proprio i nostri rappresentanti, quelli fisiologicamente maggiormente esposti alle critiche ed al giudizio dei cittadini, a mostrare soglie molto basse di sopportazione verso le contestazioni più o meno educate al loro operato;
          Facebook e Twitter, ma anche i blog e i commenti in giro per la rete, secondo la vulgata corrente, hanno scatenato il peggio di ciascuno: il diaframma protettivo dello schermo ha liberato parole che un tempo non sarebbero state condivise e ha trasformato gli utenti in legioni di anonimi codardi, silenziosi ed accondiscendenti di fronte al potere in carne ed ossa ma scatenati ed imprudenti appena quella stessa autorità volta le spalle. La descrizione riportata, ad avviso degli interroganti, in qualche misura è vera, e in questa direzione si dovrà procedere per avvicinare la nostra identità digitale ai parametri di responsabilità cui siamo abituati alla vita precedente. Mentre tutto questo lentamente accade, non pare avventato ipotizzare che le persone sono sempre le stesse, qualsiasi siano gli ambienti che frequentano. Esistono buoni e cattivi politici, buoni e cattivi cittadini. Quello che non si può fare è adattare le regole della convivenza ai peggiori di entrambi  –:
          se non ritenga utile e necessario assumere iniziative normativa in grado di regolare la pacifica convivenza sociale in presenza di un mutato contesto tecno-culturale che, se non governato, rischia di lasciare ai soli singoli giudici il compito di interpretare norme antiche per dare soluzione a controversie postmoderne. (4-19157)


      DI BIAGIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 7 settembre 2012, n.  155, emanato in attuazione della delega di cui alla legge 14 settembre 2011, n.  148, di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, reca norme in materia di revisione della distribuzione degli uffici giudiziari;
          il suddetto provvedimento, nello specifico, prevede la soppressione di 31 tribunali ordinari e relative procure, e 220 sezioni distaccate di tribunale;
          l'articolo 1, comma 2, lettera b), della citata legge 14 settembre 2011, n.  148, dispone che la ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici giudiziari avvenga «secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»;
          malgrado la sussistenza dei suddetti criteri oggettivi, tra le sezioni distaccate oggetto di soppressione di cui alla tabella A del suindicato decreto legislativo vi sono alcune sezioni la cui configurazione risulta particolarmente delicata in termini di bacino di utenza, di efficienza giudiziaria e di impatto della criminalità sul territorio di riferimento: tra queste la sezione di Ostia che opera in maniera virtuosa con un bacino di utenza di 226.084 unità, nell'ambito di un territorio ad alto tasso di criminalità, come taluni casi di attualità sembrano confermare;
          a conferma del carattere critico dell'intervento normativo, di cui al citato decreto legislativo, si colloca quanto evidenziato in data 31 luglio 2012 dalla commissione giustizia del Senato, chiamata ad esprimersi in merito allo schema di decreto legislativo recante la riorganizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero: la Commissione ha reso alla schema di provvedimento un parere favorevole condizionato, evidenziando infatti che «nell'esercizio del potere delegato il Governo non si sia strettamente attenuto, nella individuazione degli uffici da mantenere o da sopprimere, a tutti i criteri di delega disattendendo di fatto alcuni dei principi indicati»;
          la suddetta Commissione parlamentare ha evidenziato ulteriormente come «non conforme ai criteri di delega la decisione governativa di procedere alla totale soppressione di tutte le sezioni distaccate (...)» sottolineando inoltre che «ai fini della soppressione non si sia tenuto in adeguato conto né del rapporto tra i costi attuali relativi a ciascun ufficio di primo grado e quelli eventualmente necessari per modificare o ricollocare le sedi di destinazione, né della effettiva disponibilità ed idoneità delle strutture immobiliari delle sedi accorpanti, né delle gravi diseconomie derivanti dalla mancata utilizzazione conseguente alla soppressione e all'accorpamento di strutture già realizzate e che resterebbero prive di specifico utilizzo»;
          nel citato parere parlamentare per quanto concerne le sezioni distaccate, la Commissione giustizia ha evidenziato come condizione, il mantenimento di 39 sezioni distaccate anche in ragione dell'esigenza di garantire piena attuazione ai principi di delega delineate nella citata legge n. 148 del 2011;
          malgrado siffatta evidenza, il Governo non ha considerato la posizione della Commissione, confermando i cosiddetti tagli lineari delineati nello schema di decreto sottoposto ai pareri delle commissioni parlamentari competenti;
          la configurazione della nuova geografia giudiziaria così come delineata dal Governo, caratterizzata da soppressioni disarmoniche rispetto alle linee guida definite dalla delega e da accorpamenti forzati a strutture giudiziarie già sature sotto il profilo operativo, rischia di criticizzare in maniera ancora più evidente il funzionamento del sistema giustizia con gravi ripercussioni sulle modalità, sui tempi e sulla qualità dei servizi resi ai cittadini;
          appare ulteriormente significativo evidenziare che alcune delle sezioni distaccate dei tribunali, come la citata realtà di Ostia, risultano presidi giudiziari particolarmente virtuosi ed efficienti con significativa capacità di smaltimento dei procedimenti in tempi celeri: malgrado tale dato sia stato oggetto di confronto e di analisi con il Ministro interrogato al fine di richiedere una revisione degli attuali termini di rimodulazione della geografia giudiziaria del Paese e malgrado il moltiplicarsi delle proteste e delle critiche in molteplici cornici istituzionali, ad oggi non risulta essere prevista alcuna rettifica della normativa citata  –:
          quali iniziative, anche a carattere di urgenza, si intendano intraprendere anche in considerazione dei tempi ristretti dell'attuale legislatura, al fine di rettificare la normativa in premessa consentendo eventualmente il mantenimento, come auspicato dalla Commissione giustizia del Senato, delle 39 sezioni distaccate, evidenziate dalla stessa Commissione, al fine di consentire la salvaguardia della qualità e dell'efficienza del servizio giudiziario in aree particolarmente sensibili sotto più profili. (4-19158)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          dal nuovo orario di Trenitalia, entrato in vigore il 9 dicembre 2012, si evince che la società ha deciso di cancellare a partire dal 9 dicembre 2012, due treni Intercity notte sulla linea Trieste-Roma;
          il treno Intercity notte 773 proveniente da Roma in direzione Trieste era utilizzato da molti lavoratori e studenti pendolari del Veneto e del basso Friuli. Il convoglio, infatti, partiva dalla stazione di Venezia Mestre alle 5.32 e raggiungeva la destinazione attraverso la via ferroviaria di Cervignano-Portogruaro, sostando alle stazioni di Latisana, San Giorgio di Nogaro, Monfalcone;
          il treno Intercity notte 772, proveniente da Trieste in direzione Roma, effettuava il tragitto inverso al precedente ed era il collegamento serale utilizzato da molti lavoratori e studenti pendolari. Anche in questo caso la via ferroviaria percorsa era quella di Cervignano-Portogruaro e il treno fermava alle stazioni di Latisana, San Giorgio di Nogaro, Monfalcone;
          l'utilizzo numeroso di questi treni era dovuto al percorso e all'orario di partenza e arrivo che consentivano, la mattina, di arrivare in orario sul posto di lavoro o nel luogo di studio e, la sera, di poter far rientro a casa terminato l'orario di lavoro e di studio. Questi collegamenti, infatti, erano i soli a garantire questo servizio per queste fasce orarie;
          la soppressione di questi due collegamenti ha creato molti disagi ai lavoratori e agli studenti pendolari perché la tratta non è coperta nemmeno da un treno regionale e questo sta comportando grandi difficoltà soprattutto, per quanto riguarda la sera, ai lavoratori dei turni serali che non hanno più modo di fare rientro a casa;
          ad oggi l'ultimo collegamento ferroviario via Cervignano-Portogruaro parte alle ore 19.18 e quindi non è fruibile da molti studenti universitari e dai lavoratori che terminano il loro orario di lavoro attorno alle 20;
          da alcune agenzie di stampa si è evinto che Trenitalia si sarebbe impegnata a ripristinare il collegamento Intercity notte 773 Roma-Trieste a partire dal 17 dicembre, e si sarebbe impegnata a lavorare sulla possibilità di reintrodurre l’Intercity notte 772, Trieste-Roma;
          all'interrogante risulta, però, che, ad oggi, Trenitalia non ha ancora presentato alcuna proposta di ripristino della tratta, nonostante le rassicurazioni in tal senso  –:
          se il Ministro possa confermare che a partire dal 17 dicembre 2012, l’Intercity notte 773 Roma-Trieste sarà ripristinato, come da impegno assunto da Trenitalia;
          se il Ministro possa sollecitare Trenitalia a ripristinare quanto prima il collegamento serale Intercity notte 772 Trieste-Roma, viste le forti necessità espresse in premessa che riguardano molti studenti e lavoratori pendolari del Veneto e del basso Friuli. (4-19076)


      TORAZZI, MAGGIONI e DESIDERATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la stazione ferroviaria della città di Crema festeggerà l'anno prossimo i 150 anni di esistenza;
          la stazione è un servizio essenziale per la città e il suo territorio utilizzata ogni giorno da migliaia di utenti;
          dall'anno prossimo con l'entrata in funzione di un nuovo sottopasso verrà meno la necessità del controllo diretto degli operatori sul preesistente passaggio a livello, in conseguenza di ciò, RFI ha deciso di annullare la presenza di operatori nella struttura di Crema;
          compito del presidio di personale è anche il supporto agli utenti, supporto che verrebbe conseguentemente annullato;
          oltre all'evidente necessità di un presidio fisico nel caso, frequente, di problemi di servizio, e della funzione di controllo e sicurezza all'interno della stazione esercitata dai dipendenti di RFI, non tutti gli utenti sono in grado di utilizzare propriamente senza assistenza i sistemi automatici previsti;
          la comunità cremasca è ai vertici nazionali in termini di contributo pro-capite al finanziamento della macchina pubblica, e la Stazione Ferroviaria è un servizio essenziale per i suoi cittadini e la sua economia, pertanto la diminuzione del servizio derivante dalla soppressione del presidio fisico è ulteriormente inaccettabile per i contribuenti/utenti che assistono preoccupati al progressivo deterioramento in termini qualitativi del servizio di trasporto ferroviario  –:
          se il Ministro sia al corrente dei disagi che le politiche di RFI provocano sul territorio e quali iniziative intenda prendere al fine di evitare questo ulteriore indebolimento del servizio che si aggiunge a numerosi disservizi sulla stessa tratta già segnalati in precedenti interrogazioni.
(4-19090)


      BARBATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere premesso che:
          Adriana Musella, presidente del coordinamento antimafia «Riferimenti» è figlia dell'imprenditore salernitano Gennaro Musella ucciso dalla mafia, particolarmente impegnata nel sociale;
          il 13 dicembre 2012 viaggiava sull'intercity Reggio Calabria-Roma, arrivata alla stazione di destinazione, Salerno, si è trovata nell'impossibilità di scendere dal treno per mancata apertura delle porte che sono rimaste chiuse non in un solo vagone ma in tre;
          inascoltate le richieste di bloccare la partenza del treno che, nel frattempo, ha continuato la sua corsa e la donna, colta da malore non è potuta scendere, costretta a lasciare il treno solamente alla stazione successiva: Napoli;
          per l'impegno antimafia la presidente di Riferimenti è abitualmente sottoposta a dispositivi di tutela;
          pertanto, anche la scorta con la quale viaggiava è stata costretta a scendere nella stazione partenopea;
          secondo organi di stampa sarebbe stata presentata una denuncia a carico di Trenitalia  –:
          come sia noto possibile che si sia verificato quanto descritto in premessa e se intenda acquisire per tramite di Trenitalia, le giustificazioni del caso che appare gravissimo, richiedendo, come azionista la sostituzione immediata dei vagoni usurati e non pienamente funzionanti che l'amministratore delegato Moretti continua a mantenere in circolazione, sapendo che la sostituzione degli stessi favorirebbe più sicurezza per i viaggiatori e lavoro per i cittadini. (4-19097)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data 14 dicembre 2010 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha fornito dei chiarimenti per installazione lungo la viabilità provinciale di dissuasori di velocità a cabina (Speed Check o similari) nei centri abitati, specificando che tali manufatti non «non sono inquadrabili in alcuna delle categorie previste dal Codice della strada (Decreto legislativo n. 285 del 1992) e dal connesso regolamento di esecuzione e di attuazione (decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992) e dunque per essi non risulta concessa alcuna approvazione» da parte del Ministero;
          l'articolo 60 della legge 29 luglio 2010, n.  120 «Disposizioni in materia di sicurezza stradale» rinvia ad apposito decreto ministeriale, non ancora emanato, la definizione delle caratteristiche degli impianti da impiegare per la regolazione della velocità;
          a quanto si evince dalla suddetta nota ministeriale, «l'unico impiego consentito dei dissuasori di velocità è quello che prevede l'installazione al loro interno di misuratori di velocità di tipo approvato e in tal caso si applica la disciplina vigente in materia di controllo della velocità»;
          il medesimo Ministero ha ribadito tale interpretazione anche con una nota del 24 luglio 2012, in cui specifica che «l'unico impiego consentito dei dissuasori di velocità è quello che prevede l'istallazione al loro interno di misuratori di velocità di tipo approvato ovvero quando è previsto, nell'ambito delle strategie di controllo delle infrazioni, adottate dagli organi di polizia stradale, un ricorso frequente all'utilizzo di box di contenimento per collocarvi un rilevatore mobile, considerato che anche una collocazione fissa non implica necessariamente un'attività di rilevamento continuativa; in tali casi si applicano le disposizioni vigenti in materia di controllo della velocità»;
          le interpretazioni del Ministero lasciano comunque dubbi alle amministrazioni locali sulla possibilità di mantenere in luogo speed check anche quando il manufatto risulti privo di un misuratore di velocità  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno chiarire inequivocabilmente se la nuda postazione «speed check» possa rimanere in luogo anche quando risulti priva all'interno di un misuratore di velocità, ovvero se il suo utilizzo sia indissolubilmente legato alla presenza di quest'ultimo.
       (4-19132)


      GIBIINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data 4 dicembre 2011 è entrato in vigore il regolamento (CE), n.  1071/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Unione europea del 21 ottobre 2009 che stabilisce nuove regole per l'esercizio della professione di autotrasportatore di merci per conto terzi;
          l'articolo 7 del suscitato regolamento, stabilisce che ai fini dell'accesso alla professione di autotrasporto di merci in conto terzi, le imprese dimostrino il requisito dell'idoneità finanziaria «mediante un'attestazione, quale una garanzia bancaria o un'assicurazione, inclusa rassicurazione di responsabilità professionale di una o più banche o di altri organismi finanziari, comprese le compagnie di assicurazione, che si dichiarano fidejussori in solido dell'impresa per gli importi»;
          la circolare dell'11 maggio 2012 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con l'intento di fare chiarezza sulle zone d'ombra del regolamento, ha affermato che in aggiunta alla fidejussione bancaria o assicurativa, il requisito della capacità finanziaria, poteva dimostrarsi anche con una dichiarazione della compagnia assicurativa attestante l'esistenza di una polizza di responsabilità professionale, purché «in regola con la vigente normativa»;
          risulta difficile definire la validità di una polizza di responsabilità professionale soprattutto se riferita all'espressione «in regola con la vigente normativa» dal momento che non esistono polizze di questo genere e di guisa i relativi contenuti non sono interessati da alcun complesso normativo;
          con una nota del 26 novembre 2012, la direzione generale per il trasporto modale e per l'intermodalità, in attesa della predisposizione di una specifica polizza di assicurazione professionale, ha autorizzato in via transitoria l'utilizzo della polizza di responsabilità del vettore stradale per la dimostrazione della capacità finanziaria, a giudizio dell'interrogante contravvenendo così alla normativa europea che prescrive inderogabilmente gli strumento alternativi ai conti certificati per dimostrare il predetto requisito;
          la decisione rischia di generare divergenze interpretative tra le amministrazioni provinciali addette alla tenuta dell'albo degli autotrasportatori, e di produrre gravi responsabilità in capo ai funzionari ministeriali che dettano degli indirizzi interpretativi in palese contrasto con i dettami europei  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare affinché sia garantita applicazione della norma, onde evitare danni alle imprese coinvolte e responsabilità per i funzionari ministeriali. (4-19159)


      GIBIINO, GIOACCHINO ALFANO, ARMOSINO, BELLOTTI, BERNARDO, CASERO, CASSINELLI, CERONI, CESARO, CICCIOLI, COSENZA, DE CORATO, DEL TENNO, DISTASO, VINCENZO ANTONIO FONTANA, FORMICHELLA, FUCCI, GARAGNANI, GAROFALO, GIRO, LA LOGGIA, LANDOLFI, LISI, MINARDO, MISURACA, NASTRI, NIZZI, NOLA, PAGANO, PALMIERI, PALUMBO, PAPA e PIANETTA. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          L'Ecobonus, istituito dalla legge n.  265 del 2002, è l'incentivo nazionale diretto a tutti gli autotrasportatori che ha come obiettivo quello di sostenere le imprese a fare il miglior uso possibile delle rotte marittime;
          nello specifico il bonus prevede il rimborso fino ad un massimo del 30 per cento, del prezzo pagato dalle imprese di autotrasporto che scelgono la via marittima ritenuta fondamentale in termini di decongestionamento del traffico viario e maggiormente opportuna sotto il profilo dell'impatto ambientale;
          un ulteriore obiettivo della legge n.  265 è quello di incoraggiare forme di associazione tra imprese di piccole dimensioni che utilizzano in modo efficiente le alternative marittime al trasporto su gomma e a beneficiarne sono tutte le imprese di autotrasporto, compresi i consorzi temporanei o permanenti esistenti, così come le semplici associazioni di operatori del trasporto che imbarcano autocarri e autoarticolati conformemente alle norme comunitarie (accompagnati o meno dagli autisti) su navi merci (Ro-Ro e Ro-Pax);
          il sistema italiano dell'Ecobonus dal 2007 al 2009 ha erogato circa 170 milioni di euro e dal rapporto stilato dalla Rete autostrade mediterranee emerge che nello stesso periodo sono state trasportate 44 milioni di tonnellate di merci;
          si è calcolato peraltro che, sulla rete stradale nazionale, sono transitati 500 mila Tir in meno, con un risparmio di 411 milioni di euro in termini sociali (calo del tasso di incidentalità) ed ambientali (minore consumo energetico, decongestione del traffico stradale e riduzione delle emissioni inquinanti);
          anche la Commissione europea nell'autorizzazione all'ecobonus relativamente al triennio 2007-2009 ha definito la misura una best practice in grado rispettare gli obiettivi fissati nel libro bianco del 2001 sulla politica europea dei trasporti dal quale emerge la necessità di adottare misure che armonizzano tecnica ed interoperabilità fra i diversi sistemi soprattutto se riferiti al traffico dei container;
          l'interscambio marittimo nel 2011 ha generato oltre 242 miliardi di euro, il 15,3 per cento del totale del prodotto interno lordo italiano. Anche nel 2009, anno nefasto per i mercati di tutto il mondo, si sono stimati traffici per 171 miliardi di euro, l'11,3 per cento del prodotto interno lordo e nel 2010 la percentuale d'incidenza sulla ricchezza nazionale è cresciuta di nuovo attestandosi al 13,9 per cento. In buona sostanza, nel periodo 2008-2011, nonostante il nero 2009, i traffici marittimi nazionali sono aumentati complessivamente di oltre 10 miliardi di euro;
          i dati Coeweb 2012 confermano gli effetti positivi dell'Ecobonus: dal 2007 al 2011 il trasporto viario è diminuito del 17,5 per cento mentre quello marittimo è aumentato del 4,3 per cento. In particolare il peso del trasporto stradale sul totale dei traffici ha subito una contrazione dell'8,9 per cento passando dal 30,9 per cento al 31,2 per cento;
          tuttavia, in agosto la Commissione europea ha comunicato al Governo italiano di considerare aiuto di Stato il contributo per il trasporto combinato strada-mare relativo ai due esercizi passati e ha dato tempo all'Italia fino al 27 agosto per replicare a questi sospetti con risposte motivate;
          a quanto consta agli interpellanti secondo le prime indicazioni di Bruxelles, che sembra aver rigettato in toto giustificazioni delle autorità italiane, gli eco bonus sarebbero da considerarsi a tutti gli effetti aiuti di Stato e in quanto tali in contrasto con la normativa comunitaria;
          il 5 ottobre 2012, sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, la Commissione ha ribadito l'illiceità del contributo finanziario concesso agli autotrasportatori per imbarcare i propri veicoli sulle navi o meglio lo ha ritenuto lecito solo per il triennio 2007-2009;
          la Commissione ha inoltre affermato che dopo il 2009 il flusso di trasferimento dalla strada al mare doveva camminare da solo, anzi bisognava garantire un quantitativo di tratte analogo a quello del triennio in cui l'ecobonus era stato erogato. Andare oltre il triennio senza aver rispettato anche l'aspetto quantitativo costituirebbe un aiuto di Stato e, pertanto, l'erogazione degli eco bonus relativi agli anni 2010 e 2011 viene messa in discussione;
          le mancate erogazioni arrecano ingenti danni economici a tutte quelle imprese che, credendo nella validità del progetto, avevano optato per la modalità di trasporto marittimo e a farne letteralmente le «spese» sono le aziende meno strutturate, per le quali il rimborso dell'Ecobonus rappresenta almeno il 30 per cento dei propri bilanci;
          la decisione della Commissione europea di non erogare le somme stanziate per le annualità pregresse sta mettendo in ginocchio soprattutto le 700 imprese siciliane, che certe delle sovvenzioni hanno continuato ad investire in Autostrade del mare. Si tratta di imprese che hanno creduto nel progetto eco bonus e lo hanno condiviso nella consapevolezza, inoltre, che il sistema viario della propria regione, versa in condizioni pessime e che il trasporto marittimo rappresenta di conseguenza un «passaggio obbligato» per lo sviluppo economico del territorio  –:
          quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare affinché l'unione europea consenta l'erogazione degli incentivi 2010-2011, tenuto conto, per di più, che i mezzi pesanti che abitualmente utilizzano le «Autostrade del mare» sono 1.500.000 e che esiste la concreta possibilità di incrementare del 50 per cento il trasporto marittimo a tutto vantaggio dell'economia e senza costi aggiuntivi;
          se il Governo, nell'ipotesi di un inasprimento delle posizioni dell'Unione europea, intenda ricorrere ad altre forme di incentivi a favore delle imprese di autotrasporto anche per il triennio 2012-2014, affinché il trasporto marittimo faccia da traino per l'economia italiana in quanto volano di internazionalizzazione, investimenti infrastrutturali, di occupazione e crescita del prodotto interno lordo.
(4-19161)


      CONTENTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la Val Tramontina e la Carnia, due delle principali aree alpine del Friuli Venezia Giulia, risultano materialmente divise da un rilievo montano;
          in particolar modo, della Val Tramontina subisce un semisolamento invernale a causa della neve, in quanto il tratto di strada che sale in Carnia viene sistematicamente interdetto al transito (a questo punto il sito diventa accessibile solo dalla provincia di Pordenone e non già anche da quella di Udine);
          un collegamento tra le due località garantirebbe sicuri benefìci per evitare lo spopolamento delle zone più decentrate del Friuli ma anche per il rilancio del turismo e, più in generale, dell'economia silvo-rurale;
          da anni si discute del progetto di realizzare un nuovo tratto di carreggiata che, mediante un breve tunnel, superi i punti del declivio più impervi e soggetti a dissesto  –:
          se ritenga fattibile un piano di investimenti, magari mediante l'istituto del project financing e la compartecipazione di più amministrazioni che consenta un rapido e funzionale collegamento viario tra la Val Tramontina, in provincia di Pordenone, e la Carnia udinese. (4-19167)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


      LIBÈ. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 10 del decreto-legge n.  174 del 10 ottobre 2012 «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012» al comma 2 così recita:
              «2. La Scuola Superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale, di seguito denominata: “Scuola”, è soppressa. Il Ministero dell'interno succede a titolo universale alla predetta Scuola e le risorse strumentali e finanziarie e di personale ivi in servizio sono trasferite al Ministero medesimo»;
          pertanto, dall'11 ottobre 2012, giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del predetto decreto-legge, il Ministero dell'interno è succeduto a titolo universale alla predetta scuola;
          all'interrogante risulterebbe, tuttavia, che i vertici in carica della predetta scuola «soppressa» continuino a mantenere il loro incarico nonché tutti i benefit a ciò collegati compresa l'auto di servizio e l'autista  –:
          se tali fatti corrispondano al vero e, conseguentemente, quali iniziative intendano adottare a riguardo. (3-02660)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'Unione italiana ciechi e degli ipovedenti ONLUS eretta in ente morale con regio decreto 29 luglio 1923, n.  1789, è divenuta un'organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), con personalità giuridica di diritto privato per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, che ha assunto la nuova denominazione di Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti ONLUS;
          l'Unione è, inoltre, membro della Federazione tra le associazioni nazionali disabili (FAND);
          l'Unione italiana ciechi e ipovedenti ONLUS è sottoposta al controllo della Corte dei conti in base alla legge 21 marzo 1958, n.  259, che in base all'articolo 7 deve periodicamente riferire al Parlamento sulle gestioni finanziarie degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria;
          l'articolo 7 della citata legge dunque prevede che: «Non oltre i sei mesi successivi alla presentazione dei documenti di cui al primo comma dell'articolo 4, la Corte dei conti comunica alla Presidenza del Senato della Repubblica e alla Presidenza della Camera dei deputati i documenti stessi e riferisce il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria»;
          l'articolo 4 della citata legge richiama a che: «Gli enti sottoposti alla disciplina della presente legge debbono far pervenire alla Corte dei conti i conti consuntivi ed i bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre quindici giorni dalla loro approvazione e, in ogni caso, non oltre sei mesi e quindici giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario al quale si riferiscono. Egualmente sono trasmesse alla Corte dei conti le relazioni degli organi di revisione che vengano presentate in corso di esercizio»;
          la corte ha riferito al Parlamento con determinazione n.  86/2010 sulla gestione dell'Unione italiana ciechi fino sulla gestione finanziaria per gli esercizi 2005-2009 e sui fatti significativi sino alla data corrente, dalla quale si evince che l'Unione genera il 46 per cento delle risorse occorrenti alla sua attività, mentre i contributi statali rappresentato il 54 per cento, ed ancora nel 2005 costituivano il 62 per cento;
          non risulta agli interroganti che la Corte a norma dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n.  259, abbia riferito sulla gestione dell'Unione italiana ciechi e degli ipovedenti ONLUS per gli esercizi finanziari 2010 e 2011  –:
          di quali elementi disponga il Governo, alla luce delle citate disposizioni, con riferimento ai conti consuntivi ed ai bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione dell'Unione successivi al 2009, se siano stati fatti rilievi sui medesimi, e se risulti che tali documenti siano stati trasmessi alla Corte dei conti da parte dell'Unione italiana ciechi e ipovedenti ONLUS. (5-08679)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la Corte dei conti con determinazione n.  105 del 2012 dopo anni di ritardo sui tempi previsti dalla legge per la presentazione delle relazioni al Parlamento in merito al controllo sulla gestione finanziaria dell'E.N.S. – ONLUS per gli esercizi finanziari 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, comunica alle Presidenze delle due Camere del Parlamento una sola relazione, insieme con i bilanci per gli esercizi 2006-2010, con la quale riferisce il risultato del controllo eseguito per i detti esercizi;
          in tale relazione al punto 5.1. La vigilanza ministeriale la Corte dei conti rileva che: «a tutt'oggi, il Ministero dell'interno non ha dato notizia alla stessa dell'avvenuta approvazione dei bilanci consuntivi degli esercizi dal 2006 al 2010, né di quelli preventivi dal 2006 al 2012 dell'ENS. Alla Corte non è pervenuto il bilancio consuntivo dell'ENS del 2011, il che determina l'impossibilità di verificare la situazione economica, finanziaria e patrimoniale di quell'esercizio»  –:
          se e in quale modo sia stata in concreto espletata la funzione di vigilanza da parte del Ministro dell'interno.
(5-08682)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la Corte dei conti con determinazione n.  105 del 2012, dopo anni di ritardo sui tempi previsti dalla legge per la presentazione delle relazioni al Parlamento in merito al controllo sulla gestione finanziaria dell'ENS ONLUS per gli esercizi finanziari 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, comunica alle Presidenze delle due Camere del Parlamento una sola relazione, insieme con i bilanci per gli esercizi 2006-2010, con la quale riferisce il risultato del controllo eseguito per i detti esercizi;
          la Corte dei conti nelle considerazioni conclusive della citata Determinazione rileva (...) che non risulta che la funzione di vigilanza, di cui all'articolo 3 della legge n.  698 del 1950, sia stata efficacemente svolta, né che sia stata valutata l'applicabilità nei confronti dell'ENS delle disposizioni di cui all'articolo 15 del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito nella legge n.  111 del 2011, che prevedono: «(...), quando la situazione economica, finanziaria e patrimoniale di un ente sottoposto alla vigilanza dello Stato raggiunga un livello di criticità tale da non poter assicurare la sostenibilità e l'assolvimento delle funzioni indispensabili, ovvero l'ente stesso non possa far fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti di terzi, con decreto del Ministro vigilante, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'ente è posto in liquidazione coatta amministrativa; i relativi organi decadono ed è nominato un commissario (...) nei casi in cui il bilancio (...) presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi, i relativi organi, ad eccezione del collegio dei revisori o sindacale, decadono ed è nominato un commissario (...)  –:
          quanto il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze intenda emanare il decreto nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 15 decreto-legge n.  98 del 2011, convertito nella legge n.  111 del 2011, una volta accertatene i presupposti. (5-08683)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la Corte dei conti con determinazione n.  105 del 2012 dopo anni di ritardo sui tempi previsti dalla legge per la presentazione delle relazioni al Parlamento in merito al controllo sulla gestione finanziaria dell'E.N.S. – ONLUS per gli esercizi finanziari 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, comunica alle Presidenze delle due Camere del Parlamento una sola relazione, insieme con i bilanci per gli esercizi 2006-2010, con la quale riferisce il risultato del controllo eseguito per i detti esercizi;
          in tale relazione al punto 5.1. la vigilanza ministeriale la Corte dei conti rileva che: «a tutt'oggi, il Ministero dell'interno non ha dato notizia alla stessa dell'avvenuta approvazione dei bilanci consuntivi degli esercizi dal 2006 al 2010, né di quelli preventivi dal 2006 al 2012 dell'ENS. Alla Corte non è pervenuto il bilancio consuntivo dell'ENS del 2011, il che determina l'impossibilità di verificare la situazione economica, finanziaria e patrimoniale di quell'esercizio (...)»;
          la Corte dei conti sempre nella relazione citata al punto 5.1.: «resta in attesa di conoscere (...) se il Ministero dell'interno ritenga che sussistano le condizioni per disporre gli interventi di cui al decreto-legge n. 98 del 2011  –:
          quando il Ministro dell'interno intenda valutare l'applicabilità nei confronti dell'ENS delle disposizioni di cui all'articolo 15 del decreto-legge n. 98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011 che prevedono: «(...), quando la situazione economica, finanziaria e patrimoniale di un ente sottoposto alla vigilanza dello Stato raggiunga un livello di criticità tale da non poter assicurare la sostenibilità e l'assolvimento delle funzioni indispensabili, ovvero l'ente stesso non possa far fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti di terzi, con decreto del Ministro Vigilante, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'ente è posto in liquidazione coatta amministrativa; i relativi organi decadono ed è nominato un commissario. (...) nei casi in cui il bilancio (...) presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi, i relativi organi, ad eccezione del collegio dei revisori o sindacale, decadono ed è nominato un commissario (...)». (5-08684)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GARAGNANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 79 del decreto legislativo n.  267 del 2000 prevede, al comma 1, che «I lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, hanno diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento. Nel caso in cui i consigli si svolgano in orario serale, i predetti lavoratori hanno diritto di non riprendere il lavoro prima delle ore 8 del giorno successivo; nel caso in cui i lavori dei consigli si protraggano oltre la mezzanotte, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata successiva»;
          in particolare il comma 2 prevede che «le disposizioni di cui al comma 1 si applicano altresì nei confronti dei militari di leva o richiamati e di coloro che svolgono il servizio sostitutivo previsto dalla legge. Ai sindaci, ai presidenti di provincia, ai presidenti delle comunità montane che svolgono servizio militare di leva o che sono richiamati o che svolgono il servizio sostitutivo, spetta, a richiesta, una licenza illimitata in attesa di congedo per la durata del mandato»;
          il comma 3 prevede che «I lavoratori dipendenti facenti parte delle giunte comunali, provinciali, metropolitane, delle comunità montane, nonché degli organi esecutivi dei consigli circoscrizionali, dei municipi, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, ovvero facenti parte delle commissioni consiliari o circoscrizionali formalmente istituite nonché delle commissioni comunali previste per legge, ovvero membri delle conferenze dei capogruppo e degli organismi di pari opportunità, previsti dagli statuti e dai regolamenti consiliari, hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata. Il diritto di assentarsi di cui al presente comma comprende il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì nei confronti dei militari di leva o di coloro che sono richiamati o che svolgono il servizio sostitutivo»;
          il comma 5 stabilisce che «I lavoratori dipendenti di cui al presente articolo hanno diritto ad ulteriori permessi non retribuiti sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili qualora risultino necessari per l'espletamento del mandato»;
          sulla base della normativa citata, alcuni comandi della guardia di finanza, dell'esercito e delle forze dell'ordine in generale non concedono ai consiglieri circoscrizionali (in particolare del comune di Bologna) di comuni con meno di 500.000 abitanti i permessi in questione  –:
          se il Ministro interrogato intenda chiarire se gli appartenenti alla Guardia di finanza o alle forze dell'ordine in generale che rivestono il ruolo di consiglieri circoscrizionali in comuni con popolazione compresa tra i 250.000 e i 500.000 abitanti possano godere dei permessi sopra richiamati e in particolare quelli di cui al comma 3. (4-19081)


      D'AMICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a Cernusco sul Naviglio (MI) le forze dell'ordine hanno proceduto recentemente ad una campagna di arresti nel contesto di un'indagine avente ad oggetto l'acquisizione, da parte di elementi criminali, di un'impresa che fatturava tredici milioni di euro;
          il numero dei fermi effettuati dimostra l'entità dell'infiltrazione ’ndranghetista nell'area; la crescita della presenza della grande criminalità organizzata si accompagna ad un più generale degrado delle condizioni di sicurezza in tutta la zona ad est di Milano territorialmente definita «Martesana»;
          in particolare, sempre nel comune di Cernusco si segnalano, nell'ordine, la crescita dei furti di biciclette, fenomeno che richiama alla memoria situazioni risalenti ad un triste passato che si sperava dimenticato; il moltiplicarsi dei furti e degli atti di vandalismo contro la proprietà pubblica e privata, in particolare i furti nelle abitazioni, e la crescita della narcocriminalità;
          fenomeni analoghi si riscontrano in tutta la provincia di Milano come ad esempio nei comuni che vanno da Segrate a Cassina de'Pecchi, dove si è registrata anche l'evasione di un detenuto ai domiciliari; a Pioltello, a Melzo e a Liscate;
          nonostante il costante e fattivo lavoro delle forze dell'ordine presenti in zona la sensazione è di un notevole aumento della presenza di criminali e dell'aumento dei reati commessi;
          questi fatti continuano a creare un forte allarme sociale ed ad aumentare la preoccupazione nella popolazione;
          in molti casi, gli episodi riportati dalla stampa locale chiamano in causa cittadini stranieri, fatto che non costituisce certamente una novità, riflettendo una tendenza in atto su tutto il territorio nazionale, ma desta comunque preoccupazione, alla luce del suo prevedibile aggravarsi in connessione con il protrarsi della crisi economica  –:
          quale sia l'esatto numero delle denunce di reato negli ultimi 4 anni nella provincia di Milano ed in particolare nella zona est della stessa, con il dettaglio sia comune per comune che per tipologia;
          quali siano gli orientamenti del Governo in merito alle condizioni dell'ordine pubblico nei comuni della provincia di Milano, alla congruità dei presidi locali delle forze dell'ordine ed infine relativamente alle iniziative che si conta di assumere per il miglioramento della situazione;
          se non si intenda intervenire in modo urgente e straordinario per garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini.
(4-19086)


      NICOLA MOLTENI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero dell'economia e delle finanze, con una nota inviata al Ministero e alla ragioneria generale dello Stato, ha negato la proroga per la permanenza del personale «distaccato» presso l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie; senza addetti, va da se, le cinque sedi dell'Agenzia saranno costrette alla chiusura;
          come risulta dalla stampa nazionale, sia l'Agenzia che il Ministero dell'interno stanno ricercando delle «alternative» al fine di evitare la chiusura, purtroppo tutte proposte che propendono per una soluzione «tampone»;
          l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie aveva chiesto la proroga che le consentirebbe di utilizzare personale in posizione di comando, distacco e fuori ruolo fino alla fine del 2013 (attualmente è prevista fino alla fine dell'anno in corso). Il Ministero dell'economia e delle finanze, chiamato a esprimersi, ha negato l'autorizzazione, e le circa 60 unità che sono state «prestate» da altre amministrazioni pubbliche, se non si troverà una soluzione in extremis, torneranno alle amministrazioni di appartenenza sancendo di fatto «la morte» o «l'azzeramento» dell'Agenzia;
          purtroppo non sembra che sia stato sufficientemente evidenziato che l'Agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia organizzativa e contabile. Dispone dunque di fondi propri con cui provvedere, senza oneri per lo Stato;
          il 18 gennaio il direttore dell'Agenzia nazionale si era già presentato in Commissione parlamentare antimafia lamentando che vi erano appena 60 addetti in distacco sui 100 previsti. Lo stesso direttore il 24 luglio 2011, aveva suggerito al legislatore la trasformazione dell'Agenzia in ente pubblico economico, alla pari dell'Agenzia del demanio. In questo modo l'Agenzia potrebbe operare con strumenti privatistici e procedere ad assunzioni dirette per quei profili necessari (avvocati, commercialisti, ingegneri, architetti, agronomi) e potrebbe dotarsi di una propria contrattazione collettiva all'interno della quale prevedere inventivi per il personale. Il budget annuale, per la parte eccedente i 4,2 milioni stanziati dallo Stato, dovrebbe essere stabilito sulla base di un contratto di servizi con il Viminale per sei milioni, senza farlo così dipendere dalla destinazione dei beni per l'autofinanziamento;
          appare alquanto urgente un immediato intervento al fine di consentire all'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie di funzionare in modo efficiente ed efficace  –:
          quali urgenti interventi il Ministro interrogato intenda assumere, anche in relazione all'immediata costituzione dell'organico. (4-19104)


      OLIVERIO e LARATTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella serata di sabato 15 dicembre 2012 ignoti hanno dato fuoco all'autovettura del sindaco del comune di Soriano Calabro, architetto Francesco Paolo Bartone, parcheggiata in via Quasimodo nei pressi della propria abitazione. A seguito dell'incendio è andata distrutta anche la porta e la finestra di un abitazione privata nei pressi della quale sostava l'autovettura incendiata e sono stati danneggiati diversi cavi dell'illuminazione pubblica;
          è stata corale la solidarietà manifestata da tutte le istituzioni locali e dalle forze politiche per il grave atto intimidatorio subito dal primo cittadino. L'episodio – i cui autori sono al momento ancora sconosciuti – ha tra l'altro causato forte preoccupazione in tutta la popolazione locale di questo piccolo centro calabrese dato che nel corso dell'ultimo anno lo stesso sindaco Bartone ed il vicesindaco signor Vincenzo Bellissimo hanno ripetutamente subito intimidazioni personali, fino a sfociare nel gravissimo episodio degli scorsi giorni;
          l'amministrazione Bartone a guida di una lista civica si è insediata nel giugno 2009 ed è stata eletta dopo lo scioglimento della precedente amministrazione per condizionamenti mafiosi che ha comportato un lungo commissariamento per il comune;
          il suddetto episodio è solo l'ultimo di una lunghissima lista di vili atti intimidatori che dall'inizio del 2011 si sono registrati in Calabria contro amministratori locali, che in zone difficili e isolate amministrano onestamente la cosa pubblica. Il trend di crescita rischia di aumentare notevolmente in occasione dell'imminente competizione elettorale per le prossime elezioni politiche  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda repentinamente adottare per favorire un'immediata identificazione degli autori del vile atto intimidatorio suddetto per far sì che venga assicurata l'incolumità e la sicurezza del sindaco Bartone e dell'intera amministrazione comunale impegnata al ripristino della legalità e nello sviluppo dell'intera comunità locale;
          se il Ministro interrogato non ritenga che, per una più incisiva azione di contrasto della criminalità, sia necessaria una maggiore presenza delle forze dell'ordine in numero tale da assicurare il controllo del territorio in una provincia come quella del vibonese già colpita da gravi problemi economici e sociali, ciò anche al fine di riaffermare nei territori soggetti alla influenza della criminalità organizzata la presenza dello Stato a tutela dell'incolumità personale dei cittadini. (4-19150)


      BARBATO. —Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          Andrea Calevo, imprenditore di 31 anni, è stato rapito in data 17 dicembre 2012;
          domenica sera ignoti si sono introdotti nella sua villa sulle colline di Lerici, in provincia di La Spezia, erano con il volto coperto e le pistole spianate;
          i banditi hanno costretto la madre (65 anni) dell'imprenditore ad aprire la cassaforte, hanno messo le mani sul contenuto: 3 mila euro in contanti e gioielli che forse non li hanno soddisfatti. Alla donna uno degli aggressori (quattro, o forse tre secondo differenti fonti investigative, tutti con il volto nascosto da maschere o passamontagna), avrebbe detto: «Tuo figlio ce lo portiamo con noi per sicurezza, ma non ti preoccupare, poi lo liberiamo». Il sospetto è che contassero su un bottino ben più consistente. Dalla frase pronunciata la donna avrebbe identificato l'accento dell'est. La signora Calevo, poco dopo, è riuscita a liberarsi e a dare l'allarme correndo dai vicini;
          l'obiettivo era forse, una rapina, ma la banda si è portato via il giovane, erede del gruppo specializzato in commercio e consulenza nel settore dell'edilizia;
          l'auto dell'uomo, una Audi 3, è stata usata probabilmente per la fuga, e ritrovata semi sommersa nel letto del fiume Magra. Ora è a disposizione dei carabinieri del Racis di Parma per le analisi;
          del caso si stanno occupando i carabinieri del Ros;
          l'ipotesi battuta è quella di una rapina finita in un sequestro di persona a scopo di estorsione;
          sarebbe stato avviato il protocollo antisequestri;
          secondo il corriere.it i telefoni cellulari del giovane sono stati trovati nel giardino della villa, anche se prima uno di loro ha agganciato la cella di Monte Marcello, a circa cinque km in linea d'aria dal luogo del rapimento. Con il telefonino sarebbe stato trovato anche il telefono cordless della villa. La famiglia Calevo dal 1888 è titolare di un'importante azienda edile a Romito Magra, a pochi chilometri di distanza dal luogo della rapina e del sequestro;
          Sergio Zavoli, attuale presidente commissione vigilanza Rai, la sera del 3 dicembre 2012 nella sua casa di Monteporziocatone, comune alle porte di Roma, dove si trovava con i propri domestici è stato rapinato, picchiato e rinchiuso in una stanza e sottoposto per tre volte alla roulette russa alle tempia;
          i rapinatori, almeno quattro con il volto coperto e armati di pistola, hanno portato via una cassaforte estratta da una parete;
          sulla vicenda indagano i carabinieri di Frascati e il Ris che sta eseguendo i rilievi. Il bottino della rapina non è stato ancora quantificato. Zavoli è stato soccorso e portato in ospedale, dove è stato medicato;
          quei rapinatori avevano l'accento di cittadini dell'est Europa e il volto coperto dal cappuccio – ha riferito Zavoli;
          numerose altre rapine in tutta Italia si stanno susseguendo da mesi, alcune finite nel sangue;
          gli italiani non sono più sicuri nelle proprie case;
          gli assalti non tengono conto nemmeno di bambini e donne incinte o anziani;
          l'efferatezza di questi malviventi nell'agire non trova più limiti davanti ai quali fermarsi  –:
          quali misure si intendano assumere rispetto ai fatti esposti in premessa, ad avviso dell'interrogante, gravissimi per tutelare le famiglie italiane ed i loro beni nelle proprie abitazioni e se i ministri intendano assumere iniziative urgenti per inasprire le pene. (4-19151)


      SANTORI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  121 del 1981 istituì l'ispettore di polizia reclutato sulla base di requisiti soggettivi e previo esito positivo di prove preselettive (visite mediche e test psicoattitudinali), con uno specifico concorso, comprensivo di prove scritte ed orali, tra soggetti provenienti dalla vita civile in possesso del diploma di scuola media superiore nonché formati mediante un corso di addestramento per svolgere compiti e funzioni di natura prevalentemente investigativa;
          il ruolo degli ispettori era collocato, sin dalle origini (legge n.  121 del 1981, articolo 36, e decreto del Presidente della Repubblica n.  335 del 1982, articolo 3), in posizione inequivocabilmente superiore nella scala gerarchica rispetto al ruolo dei sovrintendenti;
          la legge 10 ottobre 1986, n.  668 (Modifiche e integrazioni alla legge 1o aprile 1981, n.  121) e relativi decreti di attuazione consentirono l'inquadramento nel ruolo degli «ispettori» di tutto il personale costituito dai marescialli provenienti dal disciolto «Corpo delle guardie di pubblica sicurezza», da 400 sovrintendenti (quindi ex brigadieri appartenenti al disciolto «Corpo delle guardie di pubblica sicurezza») nonché dalle assistenti provenienti dal disciolto «Corpo di polizia femminile» (solo per le quali fu subito dopo prevista, altresì, la progressione al ruolo superiore di commissario mediante concorso riservato per soli esami), con modalità diverse e pressoché automatiche, stravolgendone la peculiarità investigativa nonché determinando una commistione di «ruoli» diversi e di soggetti in possesso di requisiti non omogenei;
          ciò generava un'automatica ed incontrollata immissione in un ruolo superiore di personale già inquadrato in un ruolo inferiore, senza previo accertamento attraverso un'idonea procedura selettiva delle relative competenze professionali;
          il decreto del Presidente della Repubblica 12 maggio 1995, n.  197, ed il decreto-legge 10 settembre 2004, n.  238, poi convertito dalla legge 5 novembre 2004, n.  263, consentivano a tutti i sovrintendenti di essere collocati, ope legis, senza alcuna procedura di selezione ed addirittura in carenza del prescritto titolo di studio del diploma di scuola media superiore, in un nuovo ruolo ispettori dove è stato fatto confluire pure tutto il personale già appartenente ruolo degli ispettori, vincitore del relativo concorso pubblico esterno, per la cui partecipazione era previsto il possesso del diploma di scuola media superiore;
          pertanto il legislatore non prevedeva anche una progressione degli ispettori ante-riordino, che ormai poteva avvenire solo mediante immissione nella qualifica iniziale del ruolo susseguente di vice commissario, peraltro vacante;
          con le innovazioni apportate dal decreto del Presidente della Repubblica 12 maggio 1995, n.  197, il nuovo ruolo degli ispettori rispetto all'originario, conservava soltanto la sterile denominazione, in quanto perdeva quell'esclusività nelle fondamentali funzioni di intelligence con il margine di iniziativa nell'ambito delle direttive generali ed assumeva, invece, le mansioni che già venivano svolte dal precedente ruolo dei sovrintendenti;
          tale demansionamento veniva esplicato dalla circolare del Ministero dell'interno n.  1333-A/9807.F.A2 del 1o settembre 1995, dalla quale si evinceva che in applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n.  197 del 1995 l'impiego degli ispettori nel settore investigativo non poteva più ritenersi, né prevalente né esclusivo e che gli appartenenti al «nuovo ruolo» assunto dagli ispettori avrebbero potuto assumere la direzione di distaccamenti sottosezioni e posti di polizia, ai quali fino ad allora erano stati preposti i sovrintendenti;
          il Ministro della funzione pubblica pro tempore Franco Frattini, l'11 maggio 1995 (si noti il giorno prima dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n.  197 del 1995), in occasione di un'audizione sull'argomento presso le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Difesa, prendeva atto della situazione nella quale si erano venuti a trovare gli ispettori vincitori di concorso pubblico (vedi verbale alla pagina 5: «Un tema che rimane tuttora da definire riguarda coloro che possono trovarsi affiancati e scavalcati ...») e si impegnava ad ulteriori tempestivi interventi in sanatoria, mediate una progressione interna analoga a quella già esistente nell'Arma dei Carabinieri;
          tuttavia, solo dopo cinque anni veniva approvata la legge delega 31 marzo 2000, n.  78, con la quale il Governo veniva delegato ad emanare un decreto legislativo che disciplinasse il diritto alla progressione interna degli ispettori del concorso esterno ad un ruolo superiore, già goduto fin dall'anno 1980 dal personale dell'Arma dei carabinieri e delle altre forze di polizia e delle Forze Armate;
          tale previsione non è stata mai attuata atteso che la legge finanziaria relativa all'anno 2006 (articolo 261) ne prevedeva la sospensione;
          sono, dunque, evidenti, ad avviso dell'interrogante, le problematiche relative alle legittime aspirazioni di avanzamento in carriera del personale del «primo corso straordinario ispettori della polizia di Stato», che rivestono la qualifica di sostituti commissari di polizia di Stato da oltre 11 anni  –:
          se e con quali iniziative il Ministro intenda intervenire in merito a tale situazione, considerata l'evidente penalizzazione nella progressione di carriera del personale del primo corso straordinario ispettori della polizia di Stato che peraltro non ha mai goduto di benefici di legge oltre ad essere stato depauperato delle originarie funzioni e demansionato con la sua ormai di fatto inesorabile parificazione al ruolo immediatamente sottordinato;
          se ritenga opportuno e meno oneroso far transitare il personale del primo corso straordinario vice ispettori nell'attuale ruolo dei commissari con la sola valutazione dei titoli di merito e dell'anzianità di servizio acquisiti, eliminando, quindi, l’iter concorsuale (e tutto quello che ne consegue ossia trasferimento del personale, accasermamento, retribuzione dei docenti esterni, e altro) e riducendo la durata del corso di aggiornamento presso le scuole di formazione. (4-19160)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Casaleone di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Casaleone (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Casaleone (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Casaleone (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19168)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Legnago di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Legnago (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Legnago (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Legnago (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19169)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Sanguinetto di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Sanguinetto (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Sanguinetto (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatte salve le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Sanguinetto (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19170)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Angiari di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Angiari (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Angiari (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Angiari (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19171)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Concamarise di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Concamarise (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Concamarise (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatte salve le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Concamarise (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19172)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Veronella di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Veronella (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Veronella (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Veronella (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19173)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Zevio di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Zevio (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Zevio (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatto salve le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Zevio (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19174)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Verona di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Verona a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Verona, così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Verona e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19175)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Buttapietra di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Buttapietra (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Buttapietra (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatte salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Buttapietra (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19176)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Ronco all'Adige di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Ronco all'Adige (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Ronco all'Adige (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Ronco all'Adige (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19177)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Bovolone di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Bovolone (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Bovolone (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Bovolone (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19178)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Roverchiara di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Roverchiara (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Roverchiara (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Roverchiara (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19179)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Salizzole di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Salizzole (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Salizzole (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per la approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Salizzole (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19180)


      LENZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          è stata segnalata all'interrogante la presenza all'interno del manuale di preparazione al recente concorso per l'Arma dei carabinieri che l'epilessia sarebbe un possibile segnale in un elenco di malattie atte a identificare soggetti pericolosi;
          dal manuale in questione si evince che: «notevole importanza nella storia del pregiudicato ha il suo stato di salute, per l'influenza che certe malattie hanno sullo sviluppo della capacità a delinquere e della pericolosità sociale (esempio tubercolosi, sifilide, epilessia, intossicazioni acute o croniche da alcol o da stupefacenti eccetera)»;
          tali indicazioni sono prive di serio supporto scientifico, salvo che non si voglia «resuscitare» Lombroso;
          in particolare, nei confronti dei malati di epilessia è in atto da tempo una campagna informativa atta a demolire arcaici pregiudizi, tanto è vero che è incardinato in dodicesima Commissione l'esame delle proposte di legge per la piena integrazione delle persone affette da epilessia  –:
          se tale notizia corrisponda la vero e quali iniziative il Ministro intenda assumere con urgenza per porre rimedio a tale ingiustificata discriminazione. (4-19181)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SIRAGUSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante ha presentato l'interrogazione a risposta in Commissione 5-08603 concernente la problematica dei riservisti;
          all'interrogante risulta, da diverse segnalazioni che pervenute, che anche a Salerno, Palermo, Brindisi e in altre città d'Italia, si verifichino situazioni di mancate assunzioni di riservisti sui posti annuali disponibili per le assunzioni a tempo indeterminato nella scuola;
          quanto si sta verificando rappresenta un fatto grave che si pone in contrasto con la legge n.  68 del 1999 e nega ai riservisti il diritto al lavoro  –:
          se, alla luce di quanto illustrato in premessa, il Ministro non intenda intervenire con urgenza per far si che gli uffici scolastici regionali applichino correttamente la legge n.  68 del 1999. (5-08672)


      MARIO PEPE (MISTO-R-A). — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nonostante le ripetute segnalazioni di malfunzionamento, protrattesi per anni e provenienti da più parti politiche e presentate sotto forma di atti di sindacato ispettivo, il Ministro interrogato ha lasciato incancrenire la situazione economica, didattica e persino l'agibilità dell'Accademia nazionale di danza;
          dal 5 dicembre 2012 L'Accademia è in rivolta; gli studenti sono convocati in assemblea straordinaria ad oltranza e sono bloccate le lezioni; sono riuniti per chiedere al Ministero dall'istruzione, dell'università e della ricerca che venga approvato, entro sette giorni, il regolamento didattico che giace nei cassetti del Ministero da quasi cinque anni; il regolamento determina profondamente la vita scolastica e la didattica: il riconoscimento degli esami, i requisiti d'accesso, il piano di studi, le bocciature e le promozioni;
          secondo la Consulta degli studenti, prevista dallo statuto dell'Accademia, senza il regolamento: «tutto viene deciso in corso d'opera, secondo regole non codificate e disparità di trattamento...» per gli studenti: «...non è possibile che si debba vivere nell'incertezza e nell'anarchia...»;
          inoltre, gli studenti denunciano «...la mancata ristrutturazione delle aule che non sono idonee a svolgere le attività di danza, in quanto i pavimenti di legno vecchi e sfaldati causano danni fisici ad alunni e professori»; denunciano gli spazi «...insufficienti per lo svolgimento della didattica coreutica, l'assenza di aule studio»; denunciano la scarsa conformità dell'Accademia con il sistema universitario e una insufficiente organizzazione amministrativa, denunciano infine che in Accademia regnano caos e disorganizzazione  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda prendere il Ministro interrogato per lo sblocco immediato del regolamento didattico dell'Accademia nazionale di danza, fermo presso la direzione generale Afam, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica, da circa 5 anni;
          quali provvedimenti urgenti intenda il Ministro interrogato prendere per il ripristino dell'agibilità, della vivibilità e di un regolare corso della didattica;
          se non ritenga, il Ministro interrogato, che parte della responsabilità dell'attuale situazione debba addebitarsi alla gestione dell'attuale direttore dell'Accademia che ha trascurato l'approvazione regolamento e l'attuazione dello stesso statuto, per portare avanti una sua politica ad avviso dell'interrogante personalistica, come avviene da ben 16 anni. (5-08677)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZAZZERA e DI PIETRO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          si apprende l'esistenza di una serie di controversie relative all'impugnazione:
              a) della tabella di valutazione dei titoli della terza fascia delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo delle scuole ed istituti di ogni ordine e grado, allegata (n.  2) al decreto ministeriale n.  42 dell'8 aprile 2009 e;
              b) del decreto ministeriale n.  44 del 12 maggio 2011, nella parte in cui, punto A.5, stabilisce che: «Per le abilitazioni o titoli abilitanti all'insegnamento, con esclusione di quella per la quale è stato attribuito il punteggio di cui al punto A.4, in aggiunta al punteggio di cui ai punti A.1 o A.3, sono attribuiti ulteriori punti 6»;
              c) delle emanande graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo per il conferimento di incarichi a tempo determinato ed indeterminato, rispettivamente, per gli anni scolastici 2009/11 e 2011/2014;
          tali controversie sono state presentate fino al 2009 innanzi il TAR del Lazio e successivamente, a seguito del mutamento di giurisdizione in materia di impugnazione delle graduatorie scolastiche in favore del giudice ordinario (ordinanze del 2010 delle sezioni unite della Corte di Cassazione rese su regolamento di giurisdizione), dinanzi il tribunale del Lavoro;
          la base normativa su cui è stata fondata la richiesta di riconoscimento del diritto ad un punteggio aggiuntivo agli abilitati SSIS è costituita dal combinato disposto dell'articolo 1, comma 6-ter, del decreto-legge 28 agosto 2000, n.  240, convertito dalla legge 27 ottobre 2000, n.  306, dell'articolo 3 del decreto ministeriale 24 novembre 1998, n.  460, e dell'articolo 8 del decreto ministeriale del 4 giugno 2001, n.  268;
          contrariamente alle eccezioni sollevate da taluni uffici scolastici, tale impianto normativo è tuttora vigente e non è mai venuto meno per abrogazione implicita ad opera del decreto-legge n.  97 del 2004, convertito dalla legge n.  143 del 2004, atteso che su di esso si fondano le più recenti sentenze del TAR del Lazio, la n.  12417 del 2009, la n.  33881 del 2010 e la n.  33878 del 2010, la n.  33992 del 2010;
          nello specifico, in merito alla sentenza 33992/2010, il Consiglio di Stato, nell'ordinanza n.  4711/201, non ne ha ordinato la sospensione ed ha invece osservato come il gravame proposto non appaia provvisto del prescritto fumus in relazione all'orientamento espresso dallo stesso Consiglio di Stato in materia di punteggio attribuibile ai possessori di abilitazioni diverse da quella conseguita presso le S.S.I.S. e ai neoabilitati delle S.S.I.S;
          tutte le succitate sentenze fondano il riconoscimento del punteggio aggiuntivo per l'abilitazione SSIS rispetto alle abilitazioni non-SSIS sull’«articolo 1, comma 6-ter, della legge n.  306/2000 nella parte in cui demanda a un futuro decreto ministeriale – il successivo decreto ministeriale n.  268/2001 – “il punteggio da attribuire al risultato dell'esame finale... in coerenza con quanto previsto dall'articolo 3 del decreto del Ministro della pubblica istruzione del 24 novembre 1998”»;
          il tribunale del lavoro di Teramo, in numerosissime ordinanze emesse nel 2012 (n.  1660/12, n.  1516/12, n.  162/12, n.  1363/12, n.  3708/12, n.  592/12, n.  961/12, n.  1360/12, n.  1274/12), relative ai ricorsi ex articolo 700 c.p.c. diretti all'attribuzione di n.  6 punti aggiuntivi alle abilitazioni SSIS, ha fondato il riconoscimento del diritto al punteggio aggiuntivo sulla consolidata giurisprudenza amministrativa in materia e sul combinato disposto dell'articolo 6, comma 1-ter, della legge n.  306 del 2000, dell'articolo 3 del decreto ministeriale 24 novembre 1998 e dell'articolo 8 del decreto ministeriale n.  268 del 2001, accertando e dichiarando il diritto dei ricorrenti ad ottenere n.  6 punti aggiuntivi per le rispettive classi di concorso, con conseguente rettifica delle rispettive graduatorie;
          il valore aggiunto retribuito con un punteggio ulteriore all'abilitazione SSIS, come ribadito con costanza ed unanimità negli anni dalla giustizia amministrativa, consiste nell'attribuzione dei 6 punti previsti dalla succitata normativa per il superamento dell'esame finale, mentre i 24 punti sono calibrati sull'impegno richiesto nel biennio per la frequenza della scuola di specializzazione e della conseguente incompatibilità di detto impegno con la contemporanea prestazione di attività di insegnamento;
          nello specifico, i corsisti dovevano partecipare ad un elevato monte ore di lezioni e di laboratorio didattico, preparare e superare numerose prove di valutazione durante il corso, prendere parte ad intense attività di tirocinio con insegnamento diretto presso le istituzioni scolastiche, senza possibilità sia di fatto che di diritto di poter cumulare detto punteggio di 24 punti, diversamente dal personale docente già abilitato in virtù della normativa previgente all'istituzione delle scuole di specializzazione (i cosiddetti concorsisti), il quale nel medesimo biennio aveva invece potuto svolgere attività di servizio (retribuito) conseguendo pur esso 24 punti per l'insegnamento prestato (12 per anno);
          gli uffici scolastici nel dare esecuzione alle sentenze del TAR del Lazio decidevano di maggiorare di 6 punti il punteggio spettante ai ricorrenti vittoriosi anziché decurtare quello dei candidati inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento in possesso di abilitazioni non-SSIS «in considerazione della difficoltà di individuare tutti i controinteressati», ammettendo essi stessi nelle rispettive costituzioni in giudizio che, se ciò aveva consentito di ripristinare la corretta posizione in graduatoria dei ricorrenti e dei controinteressati sprovvisti di abilitazione SSIS, aveva, tuttavia, finito per pregiudicare «i diritti dei controinteressati abilitati SSIS non beneficiari delle citate sentenze e tra questi gli odierni ricorrenti»;
          altri docenti parimente abilitati SSIS hanno presentato, pertanto, ricorso ai giudici del lavoro territorialmente competenti per la rispettiva sede di lavoro ma sono stati destinatari di sentenze di rigetto, con la conseguenza che sia essi, sia quegli stessi docenti che pur essendo abilitati SSIS non hanno tuttavia proposto alcun ricorso, si sono venuti a trovare tutti con un punteggio inferiore di ben 6 punti per il titolo abilitante;
          si è pertanto venuta a creare una situazione paradossale in cui vi sono centinaia di docenti con 6 punti in meno rispetto ad altri, sebbene abbiano tutti la medesima abilitazione all'insegnamento;
          tale situazione di inammissibile disparità si protrarrà anche negli anni a venire, posto che il punteggio aggiuntivo è confluito a giudizio dell'interrogante, scorrettamente, nel pregresso e di ciò si avvantaggeranno i docenti assegnatari del maggior punteggio anche alla riapertura delle prossime graduatorie scolastiche;
          è inammissibile che lo stesso titolo abilitate venga ad avere una valutazione di punteggio differente da provincia a provincia, per via: a) della contemporanea sussistenza, in ogni provincia, sia delle graduatorie ad esaurimento sia di quelle di istituto, e per le quali spesso dai docenti (precari) vengono scelte province differenti così da avere maggiori aspettative di lavoro; b) del diritto alla mobilità provinciale degli insegnanti alla riaperture delle graduatorie scolastiche, posto che tale libera circolazione verrebbe chiaramente limitata da una differente valutazione dell'abilitazione SSIS sul territorio nazionale;
          è infine da segnalare una chiara difformità nell'operato degli uffici scolastici provinciali, che non può essere tollerata se si considera la necessità di tutelare l'unità e l'efficienza del sistema scolastico nazionale  –:
          se il Ministro intenda chiarire con apposita circolare la posizione degli abilitati SSIS, tenendo conto del valore del titolo, al fine di una applicazione uniforme delle sentenze succitate. (4-19108)


      ZAZZERA e DI PIETRO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          come ha affermato Giuseppe Lavra, vicepresidente dell'Ordine dei medici di Roma, nei prossimi 10 anni ci si troverà con 40mila medici in meno rispetto al fabbisogno reale del sistema sanitario nazionale;
          secondo la denuncia di Lavra, il problema non viene seriamente preso in considerazione solo perché tale carenza verrà avvertita nei prossimi anni;
          secondo gli ultimi dati del rapporto Migrantes 2012, 42mila giovani italiani studiano attualmente all'estero e 2mila hanno scelto di studiare medicina in Romania all'indomani dell'esclusione dai test di ingresso a numero chiuso in Italia;
          durante lo svolgimento dei recenti test di ingresso per le facoltà di medicina si è verificato in diversi atenei un massiccio volantinaggio da parte delle società di tutoraggio CEPU e TutorUniversity, le quali hanno pubblicizzato i loro programmi di assistenza e preparazione per lo svolgimento dei test di ingresso nelle facoltà corrispondenti di diversi Paesi europei;
          in particolare, sul volantino veniva segnalata la possibilità di «aggirare l'ostacolo dei test», frequentando un'università europea e rientrando al secondo anno in Italia;
          tale possibilità, se realmente praticabile, costituisce, a giudizio dell'interrogante, una violazione del principio delle pari opportunità;
          a prescindere da ciò, la possibilità di studiare all'estero è chiaramente preclusa per motivi economici alla maggior parte dei 67.000 esclusi al test di medicina del 2012:
              l'emigrazione degli studenti esclusi rappresenta anche un danno per l'economia italiana poiché, solo in Romania, ogni studente spende in media 4mila euro di tasse ogni anno, che diventano 10 o 12mila con affitto, mantenimento e trasferimenti, i quali moltiplicati per i circa 2mila ragazzi che hanno scelto questa strada costituiscono circa venti milioni di euro ogni anno che le famiglie potrebbero spendere in Italia, invece che in Romania;
          per questi motivi, il sistema dei test di ingresso italiano, oltre ad essere considerato dalla maggior parte della comunità scientifica inefficace ed inutile come metodo di selezione, diviene un ostacolo di carattere prevalentemente economico anziché di merito, oltre ad essere calibrato su parametri relativi esclusivamente alle risorse messe a disposizione e non alle esigenze reali del Paese;
          da qualche anno, inoltre, sono stati accertati casi di titoli ritenuti falsi, come alla Grigore T. Popa di Iasi, e si sono verificati casi di sospensione di autorità accademiche, come il rettore della Spiru Haret di Bucarest;
          la situazione descritta scoraggia gli studenti a ritornare in Italia, tanto che si profila una vera «fuga degli studenti» che si aggiungerebbe a quella attuale dei laureati;
          è necessario potenziare le esperienze di studio all'estero in modo che possano essere un'opportunità per tutti gli studenti e non un escamotage per i più agiati finalizzato a superare le anomalie del sistema italiano nella selezione per le facoltà a numero chiuso  –:
          come e con quali direttive sta operando il Ministero nel riconoscimento dei titoli di studio rilasciati in Paesi al di fuori dell'Unione europea e nell'eventuale riconoscimento di credito formativo universitario maturati all'estero per l'accesso al secondo anno di studi di medicina in Italia;
          come intenda il Ministro fermare la «fuga» dei nostri studenti e se non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere il sistema di accesso all'università, puntando ad un modello di selezione dopo il primo anno di studi. (4-19111)


      ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato sul quotidiano Rinascita del 10 febbraio 2012, il sindacato di base USB ha denunciato l'odissea cui gli ex lavoratori socialmente utili della scuola (ex LSU) sono stati sottoposti a causa dei tagli imposti dal Governo;
          «Gli ex-LSU sono impiegati nelle istituzioni scolastiche da quindici anni. Sino al 2001 sono stati direttamente retribuiti dal pubblico, nel 2001 sono stati costretti a transitare sotto le insegne di imprese e cooperative. Una esternalizzazione figlia di una concezione malata dell'efficienza in campo amministrativo. Un accordo voluto e concluso – secondo l'USB – per favorire e legittimare una serie di concussioni, che hanno caratterizzato negli armi successivi i rapporti tra politici-imprese-sindacati» (Rinascita del 10 febbraio 2012);
          «l'attuale situazione, piuttosto che favorire le casse del Dicastero, finisce per creare un danno di proporzioni non trascurabili. L'assunzione diretta di questi lavoratori permetterebbe di maturare un risparmio di oltre sessanta milioni di euro su base annua» (Rinascita del 10 febbraio 2012);
          per questo personale la situazione è drammatica, visto che a causa della cassa integrazione si vedrà ridurre il reddito già al di sotto della soglia di povertà;
          «Contemporaneamente il Miur, quindi lo Stato, spende tra finanziamento appalti e cassa integrazione, 320 milioni di euro ma se assumesse gli ex LSU come personale ATA, spenderebbe invece 260 milioni» (Rinascita del 10 febbraio 2012);
          andrebbe considerata anche la pioggia di ricorsi contro il cosiddetto concorsone che il Ministero dovrà affrontare  –:
          se i dati riportati in premessa trovino conferma e se intenda assumere iniziative per procedere all'assunzione diretta degli ex LSU anche al fine di evitare sperpero di denaro pubblico. (4-19114)


      ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto denunciato dall'Associazione nazionale docenti disegno e storia dell'arte (ARTEMDOCERE), la riforma «Gelmini» e i provvedimenti ministeriali relativi agli accorpamenti delle classi di concorso, avrebbero creato effetti devastanti sia ai danni degli studenti che dei docenti;
          in particolare, la classe di concorso A025 disegno e storia dell'arte, prima della riforma, secondo quanto disposto dal decreto ministeriale 39 del 1998 era titolo per l'insegnamento di disegno e storia dell'arte nei seguenti istituti: istituti magistrali, licei linguistici, licei scientifici, istituti tecnici femminili, istituti professionali e scuola magistrale;
          secondo ARTEMDOCERE, «I docenti A025 sono personalità complete, formate nelle Accademie di Belle Arti, nelle facoltà di Architettura e nel Dams; profondi conoscitori e studiosi di Storia dell'Arte, la cui preparazione è stata verificata a livello ministeriale, oltre dai vari esami sostenuti in sede universitaria, anche attraverso le due prove in sede di Concorso e di Abilitazione all'insegnamento. [...] Questi docenti partecipano dell'arte, perché ne conoscono la pratica nelle diverse forme, tecniche e procedimenti, perciò svolgono un ruolo importantissimo nella scuola: non si limitano ad insegnare contenuti, nozioni di Storia dell'Arte, bensì ne conoscono le leggi interiori, le strutture compositive e i vari procedimenti utili a far comprendere agli studenti l'evoluzione linguistica, la sintassi dei vari linguaggi che si succedono nel tempo (gli stili, le epoche), senza le quali l'arte non esisterebbe»;
          a causa della riforma «Gelmini», c’è stata una importante riduzione delle ore di insegnamento di tale materia, perché alla classe A025 viene preclusa la possibilità di insegnare storia dell'arte nei licei linguistici e nei licei delle scienze umane;
          inoltre, la riforma ha soppresso gli insegnamenti di disegno professionale e comunicazione visiva della classe di concorso A025 nei seguenti indirizzi scolastici: istituti professionali, istituti tecnici, istituti tecnici I.T.S.O.S.;
          lo schema di regolamento recante disposizioni per la razionalizzazione ed accorpamento della classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento, emesso il 15 maggio 2012, ha poi fatto confluire la classe A025 nella nuova classe 08/A discipline architettoniche, del design e storico artistiche, nella sottoclasse A-208, e viene «disabilitata» dall'insegnamento della storia dell'arte, negli istituti in cui ha sempre operato: Liceo linguistico; liceo delle scienze umane e opzione economico-sociale. L'insegnamento di storia dell'arte risulta dunque assegnato alla classe di concorso A061 storia dell'arte in modo esclusivo, ed in contrasto con il decreto ministeriale 39 del 1998;
          secondo lo schema la classe A061 potrà invece insegnare in tutti i licei scienze umane, linguistici, classici, musicali coreutici, artistici e istituti tecnici, privilegiandola così rispetto a tutte le altre;
          infine la classe A024 disegno e storia del costume e la A027 disegno tecnico ed artistico, confluiscono nei licei scientifici assieme a A025 disegno e storia dell'arte, provocando così un sensibile aumento di perdenti posto;
          per queste ragioni ARTEMDOCERE chiede che la classe A025 possa condividere con la A061 l'insegnamento della disciplina storia dell'arte, nei licei scienze umane e linguistici, e nei nuovi licei musicali e coreutici, oltre a quanto già disposto dallo schema  –:
          se il Ministro intenda assumere iniziative, anche normative, al fine di riesaminare la condizione della classe di concorso A025 disegno e storia dell'arte nel senso descritto in premessa. (4-19115)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in una scuola dell'infanzia, a Fierozzo, nel Trentino, la responsabile pedagogica ha disposto che, a mensa, le insegnanti non sottoponessero i refettori alla recita di preghiere e al segno di croce, un indirizzo conforme al principio di laicità delle istituzioni e alla stessa normativa scolastica che esclude pratiche religiose o segnature confessionali;
          non si è fatta attendere la contrarietà degli ambienti clericali, conclusasi con la condanna da parte del sindaco di Fierozzo e di altri amministratori dell’hinterland;
           la difesa e la trasmissione della tradizione sono posti a fondamento di atteggiamenti a giudizio degli interroganti fondamentalisti che fondano la presupposta intangibilità della identità cristiana che andrebbe proposta, pur se è, ad avviso degli interroganti, una contraddizione pedagogica e una forzatura anticulturale, solo nelle sedi parrocchiali o nelle stesse scuole cattoliche;
          anni addietro si ricorda la opposizione, il rifiuto di due genitori leccesi a questo stato illiberale di cose, contrari al fatto che nell'asilo comunale il figlio venisse, prima della refezione, obbligato al segno di croce;
          per dirimere la contestazione il sindaco interpellò l'ufficio legale che, richiamandosi con originalità al principio della facoltatività, riguardo alla scelta dell'ora di religione, sancì che il bambino andasse allontanato dagli altri, al momento del segno di croce;
          si tratta di una pratica secondo gli interroganti confessionale o paracatechistica esclusa dallo stesso insegnamento religioso, quest'ultimo peraltro non previsto a livello di asilo;
          spiace riscontrare che principi costituzionali di laicità e imparzialità della pubblica amministrazione debbano piegarsi alle preferenze di una parte della popolazione, affiancata irritualmente da poteri civici e autorità ecclesiastiche –:
          se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per evitare il ripetersi di violazioni come quelle descritte in premessa, che causano grave nocumento alla libertà dei cittadini e violano i principi supremi dell'ordinamento della Repubblica contenuti nell'articolo 3 della Costituzione. (4-19149)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          l'articolo 22 del decreto-legge n.  95 del 2012 («spending review»), convertito con modificazioni, dalla legge n.  135 del 2012, ha disposto l'ampliamento di 55 mila unità della platea di lavoratori salvaguardati dall'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico introdotto dalla riforma previdenziale attuata nel dicembre 2011 mediante l'emanazione del decreto «SalvaItalia»;
          il comma 2 del suddetto articolo prevedeva un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (15 agosto 2012), al fine di definire le modalità di attuazione della disposizione;
          nonostante le reiterate rassicurazioni provenienti da parte di autorevoli esponenti governativi, a distanza di quasi 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge n.  135 del 2012 non si ha ancora alcuna notizia ufficiale relativa all’iter del decreto attuativo, dalla cui adozione dipende il futuro di 55 mila famiglie;
          nella giornata del 6 dicembre 2012, l'ufficio per le relazioni con il pubblico della Corte dei conti, in risposta alle sollecitazioni pervenute dal rappresentante di uno dei comitati degli «esodati», ha comunicato che «il decreto in oggetto, pervenuto alla Corte dei conti in data 7 novembre 2012, non è stato ancora registrato. Si è in attesa, al momento, di chiarimenti da parte del Ministero del lavoro»;
          gli interpellanti, consci delle gravi ripercussioni economiche e psicologiche che il ritardo della pubblicazione del decreto attuativo comporta nelle vite di decine di migliaia di famiglie, ritengono non più procrastinabile il compimento di tale atto  –:
          sulla base della comunicazione rilasciata dall'ufficio per le relazioni con il pubblico della Corte dei conti citata in premessa, quali urgenti iniziative intenda adottare allo scopo di fornire i chiarimenti ritenuti necessari per la registrazione e per la conseguente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo dell'articolo 22 del decreto-legge n.  95 del 2012.
(2-01786) «Codurelli, Corsini, Schirru, Albonetti, Argentin, Bindi, Burtone, Capano, Coscia, De Torre, Duilio, Esposito, Fedi, Ferrari, Fontanelli, Lo Moro, Madia, Mariani, Giorgio Merlo, Migliavacca, Miotto, Motta, Pizzetti, Rosato, Rossomando, Santagata, Scarpetti, Tempestini, Touadi, Velo, Verini, Zaccaria, Zampa».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la Corte dei Conti con Determinazione n.  105 del 2012 dopo anni di ritardo sui tempi previsti dalla legge per la presentazione delle relazioni al parlamento in merito al controllo sulla gestione finanziaria dell'Ente nazionale sordi (ENS)-ONLUS per gli esercizi finanziari 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, comunica alle Presidenze delle due Camere del Parlamento una sola relazione, insieme con i bilanci per gli esercizi 2006-2010, con la quale riferisce il risultato del controllo eseguito per i detti esercizi;
          in tale relazione al punto 5.1. La vigilanza ministeriale, la Corte dei conti rileva che: «La legge istitutiva dell'ENS (articolo 3, legge 21 agosto 1950 n.  698) sottopone l'ente alla vigilanza del Ministero dell'Interno, al quale demanda l'approvazione dei bilanci. A tal fine, la disciplina di attuazione (articolo 52, decreto del Presidente della Repubblica del 3 luglio 1957 n.  826) della predetta legge dispone che, entro il mese di ottobre di ogni biennio, l'Ente è tenuto a trasmettere al Ministero dell'interno il bilancio consuntivo del biennio decorso e quello preventivo del biennio successivo, entrambi accompagnati dalla relazione del Collegio centrale dei revisori. Rileva la Corte al riguardo che, a tutt'oggi, il Ministero dell'interno non ha dato notizia alla stessa dell'avvenuta approvazione dei bilanci consuntivi degli esercizi dal 2006 al 2010, né di quelli preventivi dal 2006 al 2012 dell'ENS. Alla Corte non è pervenuto il bilancio consuntivo dell'ENS del 2011, il che determina l'impossibilità di verificare la situazione economica, finanziaria e patrimoniale di quell'esercizio. Si resta pertanto in attesa di conoscere se e in qual modo sia stata in concreto espletata la funzione di vigilanza, nonché, viste le risultanze contabili emerse dai consuntivi esaminati, se il Ministero dell'interno ritenga che sussistano le condizioni per disporre gli interventi di cui al decreto-legge n.  98 del 2011. Su tale ultimo punto è da considerare che, con nota n.  58811 del 4 luglio 2012, il Ministero dell'economia e delle finanze, avendo ritenuto che l'ENS sia soggetto alla vigilanza non del dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, ma a quella del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e rilevato che l'Ente riceve un contributo ordinario annuo statale, si è rivolto al detto Dicastero del Lavoro, manifestando l'opinione che possano trovare applicazione nei confronti dell'ENS le disposizioni, di cui ai commi 1 e 1-bis, dell'articolo 15 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni dalla legge 6 luglio 2011, n.  111, ed integrato dall'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito, con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n.  148, che prevedono: «(...), quando la situazione economica, finanziaria e patrimoniale di un ente sottoposto alla vigilanza dello Stato raggiunga un livello di criticità tale da non potere assicurare la sostenibilità e l'assolvimento delle funzioni Indispensabili, ovvero l'ente stesso non possa far fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti di terzi, con decreto del Ministro vigilante, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'ente è posto in liquidazione coatta amministrativa; i relativi organi decadono ed è nominato un commissario. (...) nel caso in cui il bilancio (.. ) presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi, i relativi organi, ad eccezione del collegio dei revisori o sindacale, decadono ed è nominato un commissario (...)»;
          alla predetta nota, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha replicato, con nota n.  34/9753/MA002.A001 del 27 luglio 2012, manifestando l'avviso che, nonostante la perdita della personalità giuridica di diritto pubblico e l'assunzione di quella di diritto privato, per l'ENS continuino a valere le citate disposizioni, di cui all'articolo 3 della legge n.  698 del 21 agosto 1950, che sottopongono l'ente alla vigilanza del Ministero dell'interno, mentre, ai sensi dell'articolo 3 della legge n.  438 del 1998, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha solo il compito di redigere una relazione per il Parlamento, che illustri le attività poste in essere dall'ENS per il perseguimento delle finalità istituzionali. Il predetto Ministero ha pertanto concluso dichiarandosi non competente ad esprimere valutazioni circa l'applicazione nei confronti dell'ENS delle disposizioni dell'articolo 15 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito dalla legge 6 luglio 2011, n.  111  –:
          se siano stati assolti i compiti di redigere da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali le relazioni per il Parlamento previsti dell'articolo 3 della legge n.  438 del 1998 che illustrino le attività poste in essere dall'ENS per il perseguimento delle finalità istituzionali.
       (5-08681)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BOCCUZZI, SCHIRRU, BERRETTA, MATTESINI, CODURELLI, GNECCHI e GATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in materia di tutela del lavoratore, il sistema normativo prevede che «sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo di neminem laedere, espresso dall'articolo 2043 del codice civile, la cui violazione è fonte di responsabilità extra-contrattuale, sia il più specifico obbligo di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall'articolo 2087 del codice civile ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, la cui violazione è fonte di responsabilità contrattuale;
          l'integrità psicofisica e morale dell'individuo trova riconoscimento giuridico non solo quale interesse tutelato da leggi ordinarie (si pensi agli articoli 581, 582, 590 e 185 del codice penale o all'articolo 5 del codice civile) e da leggi speciali (come l'articolo 9 dello statuto dei lavoratori), ma finanche da norme di rango costituzionale, quali quelle contenute nell'articolo 32 della Costituzione che garantisce la salute come fondamentale diritto dell'individuo, nell'articolo 41 che pone precisi limiti alla esplicazione dell'iniziativa economica privata stabilendo, peraltro, che la stessa non può svolgersi «in modo da arrecare danno alla dignità umana», e nell'articolo 2 che tutela i diritti inviolabili dell'uomo anche «nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità» e richiede l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale. L'articolo 2087 del codice civile è «cristallino e preciso» nell'intimare all'imprenditore un impegno per la sicurezza del lavoratore;
          il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con il decreto interministeriale n.  19 del 24 gennaio 2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ha emanato il regolamento sulle modalità di applicazione del pronto soccorso aziendale in ambito ferroviario. Tale regolamento dà attuazione a quanto disposto dal decreto legislativo n.  81 del 2008, che, con l'articolo 45, al comma 3, definisce le modalità di applicazione in ambito ferroviario del decreto ministeriale 15 luglio 2003, n.  388 e successive modificazioni;
          il decreto interministeriale n.  19 del 2011 nel tentare di regolamentare la materia del soccorso in ambito ferroviario ha trasformato tout court circa 20.000 ferrovieri in lavoratori isolati, cancellando inspiegabilmente le precedenti tutele di prevenzione in tema di sicurezza sino ad oggi riconosciute;
          in ambito ferroviario le aziende esercenti il trasporto applicano un equipaggio di condotta ad agente solo, ovvero un solo agente alla guida dei treni;
          la condizione di assoluta precarietà e pericolosità di questo lavoro che incide sulla sicurezza deve essere supportato dai contenuti del decreto interministeriale n.  19 del 2011 che ritiene si debba garantire ai lavoratori in oggetto un «soccorso qualificato» che, in analogia ai contenuti del decreto presidenziale 27 marzo 1992, debba avvenire, come per tutti i cittadini italiani, in 20 minuti;
          ad oggi numerose denunce di una organizzazione sindacale, in tutto il territorio nazionale, e denunce di numerosissimi RLS/RSU, ritengono assolutamente inesigibile tale determinazione del soccorso, configurando grave nocumento per la sicurezza dei lavoratori e dei passeggeri;
          a tali denunce sono seguite delle «simulazioni» delle aziende ferroviarie che hanno confermato la preoccupazione dei rappresentanti dei lavoratori; il soccorso ai lavoratori ed ai viaggiatori, infatti, in caso di malore dell'unico macchinista alla guida, non rispetta minimamente tali limiti imposti dai decreti attestando i soccorsi a 60 minuti circa;
          una procura piemontese, intervenuta sull'argomento, ha già rinviato a giudizio un datore di lavoro di Trenitalia per «non aver assicurato idonee ed effettive procedure per il pronto intervento»;
          recentemente le ASL di Savona, a seguito di esposti dei lavoratori, hanno contestato, sempre a Trenitalia, l'adozione di un equipaggio di condotta ad agente solo senza garantirne il soccorso. A tal proposito è stato «prescritto» a Trenitalia l'adozione di un equipaggio con 2 agenti di condotta al fine di garantire l'esigibilità dei soccorsi ai lavoratori ed ai viaggiatori in tempi congrui con la normativa ministeriale vigente;
          le aziende ferroviarie, ad oggi, persistono ad utilizzare alla guida dei treni, nel territorio italiano, un solo agente di condotta omettendo le predette sicurezze e di fatto contravvenendo al rispetto dei decreti ministeriali menzionati, condizione reale di rischio per molti lavoratori e utenti del trasporto ferroviario  –:
          quali iniziative si intendano assumere affinché venga comunque assicurato anche al personale viaggiante e agli equipaggi dei treni un «soccorso qualificato», in analogia, per quanto riguarda i termini e i tempi, a quanto previsto per la generalità dei cittadini e dei lavoratori;
          se non si ritenga che l'organizzazione del lavoro con un solo agente alla guida dei treni non assicuri una piena tutela della salute e dell'integrità dei lavoratori, così come previsto dall'articolo 2087, rappresentando un potenziale motivo di rischio anche per i viaggiatori/utenti delle Ferrovie italiane. (4-19075)


      DI PIETRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante ha presentato l'interrogazione n.  4/06308, senza risposta, relativa alla procedura di messa in mobilità, per cessazione dell'attività, di tutto il personale dello stabilimento di Napoli da parte della Peroni spa;
          il programma finalizzato all'attivazione di azioni di sostegno per i lavoratori in esubero prevedeva la cassa integrazione straordinaria per 12 mesi e la ricollocazione del personale da effettuare da parte di aziende-acquirenti;
          durante il periodo di cassa integrazione si sono verificate delle condotte che si ponevano in un contesto di antiteticità rispetto agli accordi raggiunti e, in particolare, si verificavano delle assunzioni senza alcuna forma di selezione tecnico-professionale fra gli ex dipendenti; inoltre, alcuni lavoratori venivano a essere destinatari di fantomatiche proposte di assunzioni provenienti da anonime società che arbitrariamente offrivano lavori con contratto a tempo determinato in dispregio e in violazione del contenuto degli accordi istituzionali intrapresi precedentemente;
          la Minoter spa, l'azienda-acquirente dello stabilimento napoletano, con sede a Cagliari, in data 27 giugno 2006, si impegnava a intraprendere iniziative imprenditoriali volte ad assumere gli ex dipendenti Peroni, impegno ribadito in una riunione con le organizzazioni sindacali del 5 agosto 2010 ma, a oggi, ancora disatteso;
          arbitrariamente si instauravano incresciose trattative di carattere privato che si discostavano enormemente dal contenuto dell'accordo con la stessa Minoter, la quale, avvalendosi di società controllate iniziava una serie indiscriminata di carteggi con i quali si prospettavano ai lavoratori delle offerte di lavoro con contratto flessibile (par-time) ed, inoltre, si offriva un compenso monetario sostitutivo della posizione lavorativa;
          degli ex dipendenti alcuni non percepiscono alcuna forma di sostegno – dallo scadere della mobilità ordinaria nell'aprile 2009 – altri, invece, sono confluiti nel 2010 nel regime di mobilità in deroga in scadenza il prossimo dicembre  –:
          se non ritenga doveroso adottare iniziative normative urgenti volte a prevedere strumenti di tutela per gli ex lavoratori dello stabilimento di Napoli della Peroni spa. (4-19103)


      SCILIPOTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          numerose decine di lavoratori licenziati dalla CGIL a Ragusa, Catania, Cosenza, Padova e altre città italiane avrebbero operato presso la struttura sindacale locale senza godere di un reale contratto, sottoposti a lavoro in nero, lavoro irregolare, o con contratti atipici, finti contratti di collaborazione a progetto, o part-timebypassati dalle reali ore di lavoro, senza che venga riconosciuto nessun rispetto delle norme contrattuali, come ferie e rispetto degli orari, vittime di mobbing, di molestie, di licenziamenti discriminatori o, per rappresaglia e ritorsioni, di intermediazione illegittima;
          il fenomeno è tanto esteso sul territorio ed elevato come numero al punto tale che i lavoratori che hanno subito violazione dei loro diritti elementari hanno dato vita a comitati di coordinamento presenti anche su numerosi blog;
          posto che i sindacati si sostengono con i contributi pubblici, vedendosi devolvere dai lavoratori una cifra annuale dalla loro busta paga per sostenere strutture che dovrebbero garantire loro i diritti, tutto ciò rappresenta un duro colpo all'intero impianto normativo dei diritto del lavoratore in Italia, gettando, inoltre, discredito sull'istituzione del sindacato e sulla sua stessa credibilità;
          il sindacato è chiamato a svolgere un imprescindibile ruolo di protezione del lavoro e dei lavoratori attraverso un'opera di rappresentanza e di contrattazione, che appare svilita dall'emergere di gravi inottemperanze alla normativa in materia di tutela dei lavoratori  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          se e quali iniziative si intendano predisporre e attuare al fine di vigilare sull'eventuale mancato rispetto delle norme contrattuali delle figure operanti all'interno delle strutture sindacali in generale e della CGIL in particolare, nell'intento di ravvisare l'effettiva esistenza di lavoro svolto «a nero»;
          se, in ossequio all'obbligo del rispetto del CCNL vigente per chi svolge funzioni delegate dallo Stato al pari dei titolari di benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di opere pubbliche, debba essere revocata nei territori nei quali la CGIL avrebbe volontariamente e fraudolentemente violato il CCNL l'autorizzazione ad effettuare l'attività di CAF e qualsivoglia opera di patronato. (4-19154)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CALLEGARI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134, stabilisce, all'articolo 18, che le sovvenzioni, i contributi, i sussidi e ausili finanziari concessi ad imprese, nonché i corrispettivi e compensi concessi a privati e ogni altro vantaggio economico attribuito ad enti pubblici e privati, siano soggetti alla pubblicità sulla rete internet, secondo il principio di accessibilità totale di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150, ed obbliga le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali, le aziende speciali e le società in house delle pubbliche amministrazioni a conformarsi a tale disposto entro e non oltre il 31 dicembre 2012;
          il suddetto decreto indica poi nel dettaglio le informazioni e i dati soggetti a pubblicità specificando che essi debbano essere riportati, con link visibile, nella homepage del sito dell'ente che eroga il finanziamento, nell'ambito della sezione «trasparenza, valutazione e merito» e che siano resi di facile consultazione, accessibili ai motori di ricerca ed in formato tabellare aperto, al fine di consentirne il trattamento e i riuso ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.  196;
          per quanto concerne gli ausili finanziari erogati alle imprese agricole, le amministrazioni regionali difficilmente potranno adempiere a tale obbligo entro il prossimo 31 dicembre 2012, in considerazione della mole dei dati e delle informazioni da inserire e soprattutto della complessità dei sistemi di gestione dei Piani di sviluppo rurale nell'ambito dei quali vengono effettuati la maggior parte dei pagamenti spettanti ai beneficiari  –:
          di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto sommariamente riportato in premessa e se non ritenga urgente attivarsi al fine di assumere iniziative per posticipare, di un congruo tempo, il termine entro il quale le amministrazioni regionali sono obbligate a dare pubblicità ai finanziamenti erogati alle imprese agricole. (5-08678)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CONTENTO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi ha fatto scalpore la notizia secondo cui la Corte dei conti avrebbe sollecitato un recupero coattivo delle multe assegnate in sede comunitaria agli allevatori italiani che dal 1996 al 2010 avrebbero superate le così dette quote latte»;
          il tenore del monito dei giudici contabili sarebbe di particolare intensità, atteso che, a parere della Corte, lo Stato italiano avrebbe già perso 475 milioni di euro di crediti nei confronti degli allevatori in quanto ormai inesigibili per prescrizione;
          i dati evocati dalla Corte (4,4 miliardi di euro da richiedere ai produttori nazionali, dei quali 1,7 miliardi già anticipati dall'Italia a Bruxelles) hanno alimentato fortissime preoccupazioni tra gli allevatori;
          il settore caseario sta, infatti, vivendo una delle peggiori crisi dal dopo guerra, con contrazione dei consumi, concorrenza intra ed extra Unione europea e abbandono delle attività;
          una richiesta di tale portata in un momento storico così delicato comporterebbe la chiusura di migliaia di realtà zootecniche del Paese, con ripercussioni negative sull'approvvigionamento alimentare e sulla tutela della ruralità  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e di quali altri elementi statistici disponga sull'argomento, indicando a quanto ammonti la somma complessivamente imputabile agli allevatori nazionale per mancata riscossione delle sanzioni per le «quote latte»;
          se intendano attivare un urgentissimo tavolo di concertazione in sede europea al fine di concordare con le istituzioni europee una moratoria nei pagamenti, onde evitare che il settore zootecnico e caseario, già compromessi, vadano in rapido default. (4-19116)


      CONTENTO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          un recente studio ha evidenziato come le risorse forestali del Paese siano gravemente sottoutilizzate e, molto spesso, abbandonate da decenni;
          un esempio concreto risulta, al proposito, quello del Friuli Venezia Giulia, da tempo soggetto ad acquisti e locazioni di terreni boscati da parte di imprese forestali con sede in Austria e nella Repubblica di Slovenia;
          in mancanza di un adeguato coordinamento della problematica si corre, pertanto, il rischio che delle importanti risorse economiche vengano slittate in modo improprio e senza un adeguato tornaconto locale in termini occupazionali, perdendo occasioni di sviluppo delle zone maggiormente vocate alle attività rurali (si tratta di realtà alpine potenzialmente adatte ad ospitare progetti di micro generazione da biomasse)  –:
          quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per un impiego ecosostenibile delle risorse forestali nazionali, spesso lasciate in balia di aziende estere o, peggio ancora, private di ogni forma di manutenzione. (4-19118)


      CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          in data 13 giugno 2008 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il regolamento (CE) n.  530/2008 della Commissione del 12 giugno 2008 – che istituisce misure di emergenza per quanto riguarda le tonniere con reti a circuizione dedite alla pesca del tonno rosso nell'Oceano atlantico, ad est di 45o di longitudine, e nel mar Mediterraneo, che al settimo «considerato» testualmente recita: «Secondo il comitato scientifico della Commissione Internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico (ICCAT), la sovraccapacità della flotta rappresenta il fattore principale che potrebbe condurre all'esaurimento dello stock di tonno rosso dell'Atlantico Orientale e del Mediterraneo. La sovraccapacità della flotta comporta un rischio elevato di superamento del livello di pesca autorizzato. Inoltre, la capacità di cattura giornaliera di una singola tonniera con reti a circuizione è talmente elevata che il livello di cattura autorizzato può essere raggiunto o superato molto rapidamente. In tali circostanze, qualsiasi superamento del livello di pesca autorizzato rappresenta una grave minaccia per la conservazione dello stock di tonno rosso», a seguito di tali considerazioni il regolamento all'articolo 1 vieta agli Stati membri tra cui l'Italia, la pesca da parte di tonniere con reti a circuizione, a decorrere dal 16 giugno 2008, individuando tale sistema di pesca, implicitamente di fatto unico responsabile della depauperazione degli stock;
          in data 5 giugno 2010 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.  129 il decreto ministeriale Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali 27 aprile 2010 – «Piano di adeguamento dello sforzo di pesca della flotta a circuizione autorizzata alla pesca del tonno rosso in Italia.», che in ottemperanza alla vigente normativa ed indirizzo comunitario sulla pesca del tonno rosso da parte di tonniere con reti a circuizione, predispone un piano adeguamento dello sforzo di pesca del tonno rosso con il sistema «circuizione» ove prevede la riduzione finanziata con i fondi FEP «arresto definitivo» per circa 35 imbarcazioni autorizzate alla pesca del tonno rosso ed un arresto temporaneo finanziato per l'anno 2010 sempre con i fondi F.E.P. (fondo europeo pesca);
          il 70 per cento del contingente di quote tonno assegnato all'Italia è stato assegnato solo ed esclusivamente a 12 imbarcazioni abilitate al sistema «circuizione» con un sistema di trasferimenti privati, che alla data di emanazione del decreto ministeriale 26 novembre 2010, erano in parte sconosciuti all'amministrazione come si evince dal comma 2o dell'articolo 1 del predetto decreto ministeriale: «Gli armatori delle imbarcazioni di cui all'allegato A del decreto ministeriale 1o giugno 2009, elencate nell'allegato A del presente decreto, sono tenuti a comunicare al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali la situazione aggiornata in ordine alla quota individuale di cattura di tonno rosso segnalando tutti gli eventuali trasferimenti di quota avvenuti dopo la adozione del decreto ministeriale sopraindicato»;
          in data 27 gennaio 2011 veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il regolamento (CE) n.  57/2011 del Consiglio del 18 gennaio 2011 – che stabilisce, per il 2011, le possibilità di pesca per alcuni stock ittici o gruppi di stock ittici, applicabili nelle acque dell'Unione europea e, per le navi dell'Unione europea, in determinate acque non dell'Unione europea – riportando come allegato IV la tabella A, ove si evince chiaramente il numero di pescherecci autorizzati derivanti dai piani adottati dagli Stati membri;
          da detta tabella si evince chiaramente la posizione italiana unico Paese membro ad avere in assoluto il minor numero di imbarcazioni abilitate a sistemi artigianali tra cui il «palangaro», in controtendenza con gli altri Stati membri e con i criteri e i principi adottati dal comitato scientifico ICCAT e la conseguente legislazione comunitaria citata nei punti precedenti, che hanno più volte ritenuto implicitamente responsabili del depauperamento degli stock di tonno rosso le tonniere con reti a circuizione, e privilegiato i sistemi di pesca artigianale a cui di fatto sono state concesse deroghe anziché restrizioni dal vigente regolamento (CE) 302/2009;
          il regolamento (CE) 302/2009, vigente in materia di quote tonno, all'articolo 5 recita testualmente:
              comma 1: «Ciascuno stato membro provvede affinché la propria capacità di pesca sia commisurata al suo contingente»;
              comma 6: «Il congelamento della capacità di pesca di cui ai paragrafi 2 e 4 può non essere applicato a uno Stato membro in grado di dimostrare che ha bisogno di sviluppare la propria capacità di pesca per utilizzare pienamente il contingente assegnatogli»;
          al termine dei lavori della 18a sessione straordinaria dell'ICCAT, le parti contraenti hanno deciso di incrementare, dalla prossima campagna di pesca (annualità 2013), il totale ammissibile di cattura (TAC) del tonno rosso;
          il decreto ministeriale del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali n.  0017654 del 29 novembre 2012 sembrerebbe, nella riserva di facoltà di adeguare il numero di permessi e le quote individuali assegnate, prevedere una riduzione del numero di unità autorizzate al sistema circuizione, per esplicita previsione del Consiglio dell'Unione europea  –:
          quali provvedimenti ed iniziative intende assumere il ministro interrogato, in presenza di una presunta diminuzione delle unità abilitate al sistema circuizione ed all'incremento del contingente assegnato all'Italia, per adeguare ed incrementare la posizione delle imprese di pesca italiane con i sistemi artigianali «palangaro» alla media europea e risolvere l'annoso problema legato alle catture accidentali con il sistema palangaro, in ottemperanza dei comma 1 e 6 del vigente regolamento CE 302/2009, evitando di consolidare le posizioni monopolistiche create dalla linea precedentemente seguita dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. (4-19162)


      MESSINA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'Agecontrol spa è stata istituita dalla Comunità europea nel 1985, per i controlli e le azioni comunitarie sull'olio di oliva, cofinanziata dalla stessa Comunità europea e dallo Stato italiano fino al 2005. La riforma della politica agricola comunitaria ha previsto la cessazione del sistema dei controlli e del relativo cofinanziamento comunitario per tutte le agenzie preposte a tale compito, a partire dal 10 novembre 2005;
          il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, durante la gestione del Ministro Alemanno, ha consentito alla società di continuare ad operare con nuove forme, funzioni ed incarichi: il decreto-legislativo n.  99 del 2004, articolo 18, stabilisce infatti il passaggio di Agecontrol sotto il controllo e la vigilanza dell'Agea, allora guidata dal Presidente Antonio Buonfiglio, avvocato di Bagnara Calabra e già esponente, affermato della componente An più vicina ad Alemanno, destra sociale. Con la legge n.  71 del 2005 sono poi stati affidati all'Agecontrol nuovi incarichi nei controlli di conformità dei prodotti ortofrutticoli;
          questo cambiamento portò anche una modificazione negli assetti aziendali con le nomine di un nuovo presidente, Roberto Tundo, già segretario del Fronte della gioventù a Lecce e componente della direzione nazionale An, di un nuovo direttore generale e del consiglio di amministrazione. Questa operazione di spoyl system, come rilevato anche dalla stampa, comportò pesanti oneri pela società tra cui meritano di essere segnalati: 350 mila euro per la fuoriuscita del dottor Sestili, ex direttore generale, per far posto al dottor Camillo Caruso, funzionario della regione Calabria: 120 mila euro al dottor Giacomini, già dirigente del personale, a cui subentra, la dottoressa Pugliese, nominata Capo del personale, moglie del consigliere regionale calabrese del PdL Franco Morelli, agli arresti dal 30 novembre 2011 per collusione con la ’ndrangheta nell'ambito dell'operazione «Infinito» della procura di Milano;
          con la nuova amministrazione iniziano per la società gravi problemi amministrativi e finanziari ben evidenziato in un precedente atto di sindacato ispettivo (4/04325) dell'11 luglio 2007;
          sanato, con fondi pubblici, il deficit 2006 di 7,6 milioni di euro, nel 2007 Bruxelles richiese la restituzione di un milione di euro, concessi per realizzare una serie di progetti, senza aver ricevuto adeguati riscontri;
          conseguentemente, il 9 gennaio 2007 Agea decise di porre in liquidazione Agecontrol nominando come liquidatore il dottor Senes. Detto anomalo provvedimento di liquidazione verrà dichiarato nullo dal TAR del Lazio con sentenza del 9 giugno 2008;
          col provvedimento di liquidazione decadono il direttore generale Caruso e il consiglio di Amministrazione composto da Tundo, Pennaforti, Carbone, Bove e Santi Zappalà (ex consigliere regionale della Calabria arrestato nell'ambito dell'indagine «Reale 3» e condannato in primo grado nel giugno 2011 per corruzione elettorale aggravata dalla partecipazione mafiosa);
          annullata la procedura di liquidazione, viene nominato il nuovo consiglio di amministrazione composto dal manager romano Cesare San Mauro, come presidente e dai consiglieri (ben individuati, politicamente), Rossiello (PD), Zobbi (Udc), Lacirignola (ex presidente della Fiera del Levante e consigliere di Paolo De Castro durante gli incarichi da Ministro). Direttore generale viene nominato il dottor Claudio Versienti, che ha svolto l'intera carriera nell'intelligence, in special modo nel Sisde. Agli inizi degli Ottanta il Versienti è transitato nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri rimanendovi fino a settembre 2007. Dal Sisde passa prima al coordinamento dei servizi segreti (Cesis), poi all'Ucsi (l'ufficio centrale sicurezza) ed infine arriva all'Agecontrol;
          appena nominato il direttore generale Versienti ottiene un contratto che innalza il suo emolumento dai 120 mila euro percepiti dal precedente direttore a 170 mila euro annui, oltre ad un premio di produzione (MBO) pari a 20 mila euro e relativi benefit aziendali (due auto a noleggio per un importo di circa 60 mila euro annui, carte di credito e rimborsi mensili di circa 5.000 euro che vanno a coprire anche cene consumate in noti ristoranti romani). Tale contratto è stato recentemente rinnovato dal Ministro Catania fino al 2016 e, secondo quanto risulterebbe all'interrogante, con un aumento di circa il 15 per cento;
          i compensi degli amministratori, erano invece stati fissati dai consiglio di amministrazione di Agea il 27 novembre 2007, con atto n.  254, che prevedeva per il presidente 94.500 euro lordi l'anno, per i consiglieri 21.600 euro lordi annui oltre a rimborsi spese trasferte e pasti. Per quanto concerne il collegio sindacale, i valori definiti erano i seguenti: Presidente 22.872,48 mila euro lordi annui; Sindaci effettivi 20.976,48 mila euro lordi annui; Sindaci supplenti circa 4 mila euro lordi annui;
          nel 2009, con una modifica statutaria, è stata istituita, oltre al consiglio di amministrazione, la figura dell'amministratore unico per la quale Agea nomina, Alberto Migliorini, contemporaneamente responsabile dell'ufficio monocratico di Agea e dell'area amministrativa (configurando una situazione anomala in cui il controllore Agea e la controllata Agecontrol sono guidati dagli stessi dirigenti). Tale operazione viene giustificata dal presidente Agea in audizione in Senato il 29 maggio 2012, non tanto come un'operazione di taglio dei costi ma piuttosto come un'operazione necessaria, secondo quanto concordato con la direzione generale per l'Agricoltura di Bruxelles, a far rientrare la società in house, permettendo così l'assegnazione diretta di incarichi, senza cioè bandire gare di appalto per servizi di ispettorato e per importi tali da coprire i costi di gestione della società Agecontrol pari a circa 23 milioni di euro;
          nel 2011 il Ministro Romano nomina un nuovo consiglio di amministrazione, presieduto dall'avvocato Massimo Dell'Utri, i cui compensi, evidentemente ritenuti insufficienti venivano modificati il 29 settembre 2011, con delibera n.  22, dall'allora commissario straordinario Agea, Mario Jannelli, che secondo l'interrogante in contrasto con la norma di contenimento della spesa pubblica, comma 3, articolo della legge n.  196 del 2009, che prescrive un taglio del 10 per cento ai compensi dei componenti il consiglio di amministrazione di società inserite nel consolidato della pubblica amministrazione e di società possedute direttamente o indirettamente in misura totalitaria dalla pubblica amministrazione, li aumentava di circa il 20 per cento, fissando in 120 mila euro lordi annui il compenso del presidente Agecontrol e in 25 mila euro il compenso per ogni consigliere;
          lo stesso presidente Agea, in data 24 aprile 2012, ha rilevato che la suddetta delibera del 29 settembre 2011, ha provocato un danno erariale e, con provvedimento d'urgenza, successivamente ratificato dal consiglio di amministrazione Agea (atto n.77 del 24 maggio 2012), sono stati ridefiniti i compensi degli amministratori in 82.050 euro lordi annui e 19.440 lordi annui per i consiglieri con effetto a far data dal 6 settembre 2011. Il Ministro Catania in sede di risposta ad interrogazione alla Camera (Messina n.  3/02572), il 31 ottobre 2012 ha affermato che tali somme sarebbero già state recuperate con procedura di compensazione, tuttavia non risulta chiaro su quali crediti e quale sia l'atto che certifica l'avvenuta compensazione;
          ad oggi i costi di amministratori e dirigenti risultano ancora opachi considerando che, nel bilancio 2011, vengono indicate le voci «emolumenti e rimborsi organi sociali» per un importo pari a euro 258.273, con un incremento rispetto al 2010 di euro 135.991 (in parte giustificabile con il reintegro del consiglio di amministrazione ad agosto 2011), a questo si deve aggiungere l'importo di euro 55.808 per gli organismi di valutazione e di vigilanza, più un importo di euro il 1.232.019 (anche in questo con un incremento rispetto al 2010) sotto la voce «altri costi per il personale». Non risulta chiaro quali siano i costi contemplati in questa voce che ricade all'interno dei «costi per servizi», considerando che tutti i costi per il personale sono già calcolati in uno specifico capitolo di bilancio che comprende tra l'altro anche un'altra voce denominata «altri costi del personale», di importo pari ad euro 1.432.069 comprendente spese per CRAL aziendale, assicurazione sanitaria, assicurazioni specifiche e soprattutto rimborsi spese per missioni;
          anche la gestione del personale, affidata in qualità di dirigente (dal maggio 2007) alla dottoressa Ermelinda Pugliese, come già detto, moglie del consigliere regionale calabro Francesco Morelli (detenuto dal 30 novembre 2011 nel carcere di Milano con l'accusa di corruzione e favoreggiamento al clan Lampada, nelle indagini coordinate dal pubblico ministero Ilda Boccassini, nell'inchiesta «Infinito»), desta non poche perplessità;
          con la conduzione Pugliese il fondo contenzioso della società è infatti notevolmente aumentato passando da 860 mila euro del 2006 (di cui solo 10 mila utilizzati), fino ad arrivare ad 1 milione 397 mila euro nell'anno 2010 con un uso di circa 1 milione di euro tra il 2008 e il 2010. Nel 2011 il fondo è stato incrementato di 521.655 e a chiusura di bilancio ammontava ad euro 1.568.560. In particolare detto incremento è stato necessario per far fronte alle spese legali relative ai contenziosi generati da licenziamenti dichiarati illegittimi, e di 60 dipendenti assunti con contratti a termine, stipulati tra il 2005 e il 2009. Per tali ultimi contratti infatti è stata accertata giudizialmente la «mancanza della causale» o la «genericità» della stessa e nei relativi giudizi Agecontrol è risultata sempre soccombente sia in primo grado che in appello;
          queste vicende hanno generato notevoli spese legali anche per il fatto che, nonostante l'esistenza di un ufficio legale interno, con accesso ad incentivi professionali per i dipendenti (delibera n.  10 del 12 febbraio 2010), viene fatto abitualmente ricorso a legali esterni (cfr. n.  7955 del 30 marzo 2012 inviata dall'Agecontrol ad Agea nella quale si fa riferimento ad una parcella del valore di 150.000 euro oltre IVA, CPA ed accessori come da legge). Nello stesso bilancio 2011 viene chiaramente evidenziato che i costi per l'assistenza professionale hanno subito un incremento per onorari a legali incaricati di assistere la società in giudizio per contenziosi sorti con personale dipendente passando da un importo che era di 295.276 euro nel 2010 a euro 519.183 per il 2011;
          nonostante tale grave situazione, risulta all'interrogante che l'attuale management ha ritenuto di poter elargire nel 2010 MBO a tutti i dirigenti, per un valore compreso tra 15 e 30 mila euro cadauno con un peso complessivo che, secondo fonti sindacali, si aggira intorno ad euro 398.105;
          altro danno rilevante, sia gestionale che economico, è stato il trasferimento ad ottobre del 2009, dallo stabile di via Paolo Bentivoglio 41, agli Uffici di via Palestro 81, vicenda seguita attentamente anche dai sindacati che hanno diramato numerosi comunicati; il trasferimento, affrontato nell'ottica di un ipotetico risparmio si è rivelato a quanto risulta all'interrogante, inutile e avrebbe provocato un aggravio di costi; infatti è stato lasciato un intero stabile per trasferirsi in un immobile di due piani e mezzo del palazzo di via Palestro 81, di proprietà Sin con un aggravio crescente dei costi che passano dai 927.237 euro di spese per contratti di locazione e spese condominiali del 2009 ai 1.191.848 euro del 2010 fino ai 1.213.811 del 2011. Si rileva inoltre un incremento di costi di gestione degli uffici che passano dai circa 844.188 euro del 2009 ai 951.196 euro del 2011;
          tra l'altro, la vecchia sede è stata lasciata senza dare la disdetta prevista dal contratto di locazione con Ecofim (società proprietaria dell'immobile) e ciò ha generato una condanna di Agecontrol al pagamenti delle mensilità di affitto non pagate e non disdettate, pari ad euro 145 mila circa e il conseguente pignoramento di circa 210 mila euro sui conti correnti dell'Agecontrol;
          i controlli rimangono il business core dell'azienda ma, almeno nel bilancio 2010 della società, risulta poco chiaro quale sia il costo del singolo controllo effettuato, considerando il costo medio effettivo comprensivo di rimborsi spese, elemento importante in ordine ad una valutazione complessiva di costi/benefici e del servizio reso dalla società. Rimarrebbe anche da chiarire quanti siano i controlli svolti da dipendenti e quanti da professionisti non dipendenti e se c’è una differenza di costo medio nel controllo effettuato da personale dipendente e in quello effettuato da professionista esterno, stante che, secondo fonti sindacali, questi ultimi inciderebbero ancora eccessivamente sul bilancio fino ad un importo che viene quantificato in 564.000 annui;
          ad oggi l'Agecontrol dispone a Roma di:
              a) una sede centrale, Via Palestro 81 con n.  93 dipendenti;
              b) due uffici distaccati in Via Genova e Via Salandra con un totale di n.  34 unità;
              c) 8 uffici operativi con 71 dipendenti 18 punti di controllo con 60 unità dislocati sull'intero territorio nazionale, per un totale di 258 dipendenti;
          si precisa inoltre che la società Agecontrol opera sotto la direzione ed il controllo di Agea che ne detiene il capitale sociale e ne approva il Programma di attività e relativo Bilancio di previsione e che per il suo funzionamento, l'Agecontrol, necessita di un contributo di circa 23 milioni di euro;
          a gennaio 2012 Agea ha riconosciuto ad Agecontrol un contributo per il funzionamento e l'organizzazione pari a euro 22.300 tale da rendere necessari tagli dei costi. I tagli però non sembrerebbero aver riguardato le problematiche fin qui evidenziate: non hanno in definitiva riguardato né i compensi del direttore generale, né rimborsi e MBO di amministratori e dirigenti, né una revisione delle spese legali e per affitti e gestione delle sedi. Nel bilancio 2011 invece si indica genericamente che il problema risiede nella riduzione dei costi del personale che costituirebbero l'80 per cento delle spese di gestione ed in particolare i rimborsi per le spese di missione del personale dipendente e, con provvedimento del direttore generale, si è andati così ad incidere sui contratti dei dipendenti amministrativi e ispettivi lasciando inalterato tutto il resto della gestione  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e, nel caso, se non ritenga con ciò di approfondire e riscontrare la legittimità dell'operato dei vertici di Agecontrol valutando in particolare:
              quale sia il costo complessivo di amministratori e dirigenti della società considerando che, sebbene il Ministro interrogato, in sede di risposta ad interrogazione in data 31 ottobre 2012, abbia affermato che compensi e retribuzioni di direttore generale e dirigenti rientrano nella media di figure di pari grado della pubblica amministrazione, a questi costi vanno aggiunti quelli di premi aziendali, rimborsi, benefit ad essi assegnati, spese che secondo quanto affermato dal presidente Agea il 29 maggio 2012 in sede di audizione in Senato risulterebbero eccessive;
              quale sia l'atto che certifica l'avvenuta compensazione per il danno erariale causato dalla delibera n.  22 del 29 settembre 2011 del commissario straordinario, che aumentava i compensi degli amministratori;
              se si riscontrino dei danni procurati da errori della dirigenza nella gestione amministrativa e del personale, con particolare riferimento alle vicende su esposte del trasferimento della sede, della gestione delle assunzioni e dei contratti di consulenza, della gestione del trattamento di fine rapporto aziendale, delle eccessive spese legali della società;
              considerato che i controlli rimangono il business core dell'azienda, quale sia il costo del singolo controllo effettuato, considerando il costo medio effettivo comprensivo di rimborsi spese, elemento importante in ordine ad una valutazione complessiva di costi/benefici e del servizio reso dalla società;
          quanti siano i controlli svolti da dipendenti e quanti da professionisti non dipendenti e se ci sia una differenza di costo medio effettivo (comprensivo di rimborsi spese) nel controllo effettuato da personale dipendente ed in quello effettuato invece da professionista esterno, stante che, secondo fonti sindacali, questi ultimi inciderebbero ancora eccessivamente sul bilancio fino ad un importo che viene quantificato in 564.000 annui;
              se il Ministro ritenga che, stante quanto affermato dal presidente Agea in sede di audizione in Commissione Agricoltura in Senato in data 29 maggio 2012, la società Agecontrol, con il ripristino del consiglio di amministrazione, abbia perso i requisiti per operare in house rispetto ad Agea;
          se il Ministro intenda prendere gli opportuni provvedimenti per riorganizzare complessivamente le società controllate dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, facendo in modo che l'Agecontrol venga liquidata con l'eliminazione dei relativi costi di gestione ed il passaggio delle relative competenze e del personale ad Agea, quale unico ente titolare dell'attività di controllo. (4-19182)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          la signora M.S. risulta affetta dalla sindrome MCS (sensibilità chimica multipla) così come certificato da diversi istituti specializzati;
          nonostante nel corso degli ultimi venti anni la ricerca scientifica abbia compiuto notevoli progressi, vi sono ancora moltissimi stati patologici non adeguatamente conosciuti e non ancora classificati, moltissime malattie per le quali non sono possibili né sussidi diagnostici, né adeguate forme di prevenzione, né terapie, ed altre ancora che colpiscono un numero relativamente basso di persone, le cosiddette malattie rare;
          le malattie rare talvolta sono fortemente invalidanti e chi ne è colpito spesso non riesce a sopravvivere; la definizione di «rara» non ha agevolato il processo di ricerca e di attenzione sulle cause delle malattie rare, se non da parte di centri privati, con la conseguenza non solo di non offrire al paziente cure adeguate e una diagnosi tempestiva, ma soprattutto di lasciarlo isolato nell'affrontare la propria malattia insieme alla sua famiglia;
          la sensibilità chimica multipla, malattia rara invalidante, pur essendo stata inserita nelle «linee guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati» grazie ad accordi tra Stato, regioni e province autonome, attualmente non gode di un riconoscimento ufficiale;
          allo stato attuale l'unica possibilità di cura per la signora M.S. rimane il centro Envirronmental Health Center di Dallas gestito dal dottor William Rhea, unica struttura dove viene applicato un protocollo che riesce a salvare persone affette da tale sindrome;
          di diverso avviso, però, sarebbe il direttore del centro di riferimento regionale per la branca di allergologia e immunologia clinica della regione Campania che ha espresso il suo parere negativo alla richiesta della signora M.S. di autorizzazione per cure all'estero;
          la motivazione addotta dallo stesso direttore risiederebbe, a quanto consta agli interpellanti, nel fatto che esiste a Caserta un apposito reparto presso l'AORN S. Anna e S. Sebastiano capace di effettuare interventi specializzati e terapie appropriate;
          pur sottolineando l'eccellenza di tale centro lo stesso non è in grado di poter curare tale sindrome così come certificato dallo stesso Consiglio superiore di sanità laddove il 25 settembre del 2008 ebbe a dichiarare, in relazione alla sindrome sensibilità chimica multipla, la mancanza di centri clinici di riferimento per la diagnosi ed il trattamento di tali disturbi;
          in seguito a tale parere negativo l'Azienda sanitaria locale di Avellino ha negato l'autorizzazione per le cure all'estero, pregiudicando, fortemente, lo stato psico-fisico della paziente  –:
          se non intenda assumere iniziative per il riconoscimento della sensibilità chimica multipla, anche al fine di favorire una positiva soluzione di casi come quello descritto in premessa.
(2-01787) «Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


      MANCUSO, BARANI, GIRO, DE LUCA, CROLLA e GIRLANDA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 7-quater del decreto legislativo n.  502 del 1992, e successive modificazioni e integrazioni è stato recentemente novellato con il decreto legislativo n.  158 del 2012, (cosiddetto «decreto Balduzzi», convertito dalla legge n.  189 del 2012);
          la novella legislativa rende chiara la rilevanza e le conseguenti corrette allocazioni delle strutture dei dipartimenti di prevenzione delle Aassll si occupano di sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare;
          nell'ultimo decennio regioni e aziende sanitarie hanno adottato modelli organizzativi che, pur prendendo spunto dal dettato legislativo nazionale, approdavano poi a piani locali di organizzazione quanto mai disomogenei e spesso assai lontani dalla ratio ispiratrice della norma nazionale, senza che ciò apparisse in alcun modo supportato da chiare esigenze né da oggettive ricadute in termini di maggiore efficacia o efficienza delle azioni sanitarie;
          il recente intervento legislativo ha finalmente delineato un modello dei dipartimenti di prevenzione rispondente alle norme internazionali;
          in direzione del tutto contraria, nella regione Piemonte è in corso una «revisione organizzativa» dei dipartimenti di prevenzione;
          tale revisione, vede, a partire dalla Asl TO 1, che ha già deliberato in merito con provvedimento immediatamente esecutivo, una contrazione dei livelli organizzativi dei dipartimenti, in palese contrasto con il dettato legislativo nazionale;
          tale revisione è foriera di grave danno per le ripercussioni negative che provocherà sulle azioni svolte da detti servizi a tutela della sicurezza alimentare e delle peculiari produzioni regionali e nazionali;
          il danno si ripercuoterà anche sull'imprenditoria di filiera;
          non sono stati interpellati o coinvolti in alcun modo i medici e i veterinari dei servizi che svolgono ogni giorno le funzioni di vigilanza sulle filiere alimentari;
          essendo stati i servizi di prevenzione già ridimensionati nel 2008, la regione Piemonte ha già raggiunto la conformità numerica delle strutture territoriali e i parametri di contenimento dei costi definiti dalla specifica Commissione nazionale  –:    
          se il Governo non ritenga di acquisire elementi sullo stato di attuazione della normativa nazionale relativamente all'organizzazione delle strutture dei dipartimenti di prevenzione e quali iniziative si intendano assumere, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, onde evitare disparità nell'erogazione del servizio tra le diverse realtà regionali cosa che arrecherebbe danno sia ai servizi veterinari, sia ai cittadini utenti. (5-08685)


      BINETTI, CALGARO e NUNZIO FRANCESCO TESTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158, convertito dalla legge 8 novembre 2012, n.  189, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute ha previsto, tra le altre disposizioni, anche il divieto su ogni tipo di media (riviste, quotidiani, cinema, internet) alle pubblicità che inducono al gioco;
          nello specifico sono vietati i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive, radiofoniche, nonché via internet, e nelle rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte ai minori e nei trenta minuti precedenti e successivi alla trasmissione delle stesse;
          è sancito l'obbligo di riportare avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita sulle schedine e tagliandi dei giochi e sugli apparecchi di gioco, cioè quegli apparecchi che si attivano con l'introduzione di moneta metallica ovvero con appositi strumenti di pagamento elettronico;
          ciononostante, allo stato attuale continua a registrarsi una progressiva esplosione di pubblicità nelle forme non tutelate a sufficienza dalla sopracitata legge;
          inoltre, sulle slot machine si sarebbero dovuti intensificare i controlli, ma anche ripianificare la collocazione, evitandone la presenza vicino alle scuole, ai luoghi di culto, agli ospedali; in parte è stato fatto, però sembrerebbe ufficiale che a breve più di mille nuovi giochi di modello slot siano legalmente «online». Basterebbe introdurre codice fiscale e numero di carta di credito, per poter giocare sul computer dal sofà in soggiorno. Questa tipologia di giochi sarà forse lontano dagli ospedali e dalle scuole, dalle chiese, dalle sinagoghe o dalle nuove moschee, come sancisce il decreto «Balduzzi» per difendere i più vulnerabili, ma sarà a portata di tutti, compresi i cassaintegrati rimasti a casa tutto il giorno  –:
          quali urgenti iniziative intenda assumere per rendere operativi i principi contenuti nel decreto «Balduzzi» e quali controlli a tappeto siano previsti per rendere efficaci le disposizioni contenute nel citato decreto. (5-08686)


      LENZI e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in data 16 dicembre 2012 sul quotidiano Corriere della Sera è stato pubblicato un articolo dal titolo «Ivan e gli emofiliaci infettati senza giustizia 20 anni dopo» che racconta la drammatica storia di un ragazzo affetto da emofilia di tipo A, che a causa delle continue trasfusioni di sangue e di emoderivati ha contratto l'infezione del virus HIV con conseguente decesso il 10 settembre 1991, a soli 25 anni;
          fu riconosciuto alla famiglia di Ivan a seguito della normativa prevista dalla legge n.  210 del 1992 un indennizzo di circa 150 milioni di lire in virtù del nesso casuale riscontrato dalla Commissione medica ospedaliera di Ancona tra «la somministrazione di emoderivati con il decesso avvenuto per Aids complicata da polmonite da Pneumocystis carinii-neurotoxoplasmosi»;
          nel 2003 lo Stato riconosce però ai circa 700 emofiliaci il diritto ad avere un risarcimento maggiore pari a 400 mila euro a ai malati ancora in vita e 615 mila ai familiari delle persone decedute e quindi la famiglia di Ivan avvia una causa giudiziaria;
          nel 2007 si avvia l'ipotesi di una possibile transazione che avrebbe riguardato circa 7 mila emofiliaci, talassemici e trasfusi occasionali;
          il 4 maggio 2012 un decreto ministeriale ha escluso dalla transazione i familiari dei deceduti che avevano iniziato una causa dopo oltre 10 anni dal decesso del congiunto e quindi anche la famiglia di Ivan;
          come lo stesso articolo riporta furono 2.605, secondo l'associazione politrasfusi, dei quali circa 550 emofiliaci, gli italiani deceduti tra il 1985 e il 2008 in seguito a una trasfusione con plasma infetto; 76 mila le richieste di risarcimento al Ministero della salute, 49 mila delle quali hanno avuto un modesto assegno di 1.080 euro a bimestre (i vivi) o una tantum (i parenti dei defunti) di 49 mila euro, mentre gli altri sono ancora in attesa di vedere definiti i propri diritti;
          la storia del sangue infetto è una storia lunga e dolorosa dove si intrecciano sia malasanità che carenze giudiziarie, visto che solo sabato 22 dicembre davanti al Gup del tribunale di Napoli si terrà l'udienza preliminare del processo «plasma infetto»  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare affinché venga riconosciuto il diritto al risarcimento di tutte le famiglie coinvolte, in quanto non è possibile che lo Stato invochi i propri ritardi per pretendere la caduta in prescrizione dei reati e negare così ai cittadini il legittimo risarcimento. (5-08687)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GRAZIANO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la rilevazione del fabbisogno delle professioni sanitarie, effettuata dal Ministero della salute ai sensi dell'articolo 6-ter del decreto legislativo n.  502 del 1992, con riguardo all'anno accademico 2012-2013, fissa in 12.494 unità il fabbisogno di medici chirurgo;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con decreto ministeriale del 28 giugno 2012, n.  197, ha determinato in 10.173 unità i posti a livello nazionale per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2012-2013;
          pertanto, nell'anno accademico 2012-2013, a fronte dell'effettivo, reale ed accertato fabbisogno formativo di 12.494 unità, sono stati assegnati alle università solo 10.173 posti, con una differenza in difetto di ben 2.321 unità, e questo con un grave aumento del divario tra la dimensione del reale fabbisogno e quella dei posti assegnati;
          in precedenza, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con decreto ministeriale del 23 novembre 2011, aveva autorizzato l'ampliamento del numero dei posti per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2011-2012 nella misura del 10 per cento, riconoscendo che la programmazione dei posti, come definita dal decreto ministeriale del 5 luglio 2011, era risultata inferiore rispetto alle esigenze del fabbisogno professionale di medici chirurgo, di cui alla rilevazione per l'anno accademico 2011-2012 che il Ministero della salute aveva effettuato ai sensi del citato articolo 6-ter del decreto legislativo n.  502 del 1992, sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 18 maggio 2011;
          ora, il menzionato decreto ministeriale del 28 giugno 2012, n.  197 è stato emanato per consentire, come espressamente riportato nelle sue stesse premesse, la pubblicazione del bando di concorso da parte degli atenei nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 4, comma 1, della legge n.  264 del 1999. Tale necessità tiene in debito conto il fatto che la rilevazione del fabbisogno professionale del medico chirurgo per l'anno accademico 2012-2013, che il Ministero della salute ha trasmesso in data 26 aprile 2012 alla Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome in vista dell'Accordo formale, è stata discussa in sede tecnica il 5 giugno 2012 e ha ricevuto l'assenso del Governo, delle regioni e delle province autonome, nella sua versione definitiva, nella seduta della conferenza del 25 luglio 2012, non avendo avuto luogo quella prevista per il 21 giugno prima;
          il decreto ministeriale richiamato ha previsto per l'anno accademico 2012-2013 di non procedere ad alcun ampliamento del numero dei posti attribuiti con lo stesso, al fine di assicurare l'adeguato inizio delle attività didattiche dei corsi di laurea e che l'utilizzo dei posti relativi al potenziale formativo riservato ai cittadini stranieri deliberati dalle università, rimasti vacanti, possa concorrere a colmare il divario tra il fabbisogno rilevato e l'offerta degli atenei;
          l'introduzione delle aggregazioni delle varie facoltà non ha permesso comunque il verificarsi di quanto auspicato a proposito del regolare inizio delle attività didattiche. Per quanto il bando di concorso avesse previsto che, dal 5 ottobre 2012, per assicurare lo svolgimento delle attività didattiche, le assegnazioni sarebbero state effettuate d'ufficio, alla fine di novembre 2012, almeno per quanto concerne alcuni atenei, e in particolare le aggregazioni delle facoltà dell'università degli studi di Napoli Federico II, della seconda università degli studi di Napoli e di quella di Salerno, è possibile constatare come non si sia verificato quanto stabilito e moltissimi ragazzi, pur rientrando nei posti messi a concorso, sono ancora in attesa di una prima assegnazione o di quella definitiva;
          un ampliamento del numero dei posti contribuirebbe a velocizzare le procedure di assegnazione dei posti in favore di coloro che già inizialmente occupavano posizioni utili in graduatoria e a realizzare un più razionale e regolare avvio delle attività, che a causa dell'accorpamento delle graduatorie, ha subito notevoli e gravosi ritardi;
          un ampliamento del numero dei posti consentirebbe di contemperare le esigenze del fabbisogno professionale con l'offerta formativa delle università e i limiti strutturali delle facoltà e di realizzare le aspettative di studio e le passioni di molti giovani, che al momento risultano esclusi dalle graduatorie degli ammessi per 0,25 punti ovvero per anzianità se a pari punti con altri;
          al fine di adeguare, per l'anno accademico 2012-2013, il numero dei posti assegnati a quello dei posti rilevati, occorrerebbe un ampliamento dei posti per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia non inferiore al 10 per cento, anche attraverso una modifica delle previsioni del decreto ministeriale relativo  –:
          se non ritenga opportuno e urgente adottare iniziative conseguenti alle problematiche rappresentate in premessa, al fine di consentire a tutti gli atenei di ampliare l'offerta formativa e renderla rispondente all'effettivo fabbisogno delle professioni sanitarie. (5-08674)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GALLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l’«Ipovisione» come da segnalazione del consiglio della Low Vision Academy (LVA) dottor Daniele Domanico è quella condizione per cui un soggetto perde una parte più o meno importante delle proprie capacità visive necessarie al normale svolgimento di attività quotidiane come leggere, lavorare, muoversi. Sono persone non totalmente cieche ma nemmeno normovedenti; in Italia si stima siano almeno mezzo milione e le nuove terapie oftalmologiche impedendo o rallentando possibili condizioni di cecità favoriscono invece l'aumento di ipovedenti;
          queste persone potrebbero recuperare un'attività perduta con l'ausilio della «Riabilitazione visiva» che si avvale di semplici terapie di supporto (antiossidanti e sostanze neurotrofiche) unite all'uso di Ausili Specifici con i quali effettuare stimolazioni neuro-oftalmiche-uditive a cicli periodici (una sorta di allenamento per imparare ad usare ciò che rimane della propria vista riabilitando zone retiniche residue);
          stante le premesse, purtroppo la classe degli oculisti si occupa per lo più di clinica e non tiene in considerazione o non conosce affatto le possibilità che la riabilitazione visiva offre a questi pazienti. In tal modo questi ultimi, sentendosi dire che non c’è nulla da fare, entrano in un circolo vizioso di frustrazione e depressione e di visite erranti presso altri oculisti che rafforzano ulteriormente tali sensazioni;
          i centri di riabilitazione visiva sono in realtà poche decine in tutta Italia e sono delle realtà multidisciplinari dove il paziente ipovedente è compreso, indirizzato e sostenuto in relazione a ciò che ha perso ma soprattutto focalizzato a recuperare e sfruttare al massimo il residuo visivo;
          il consiglio direttivo della Low Vision Academy (LVA), un'associazione che riunisce studiosi e ricercatori della materia, lavora ogni anno per stimolare la ricerca in tal senso nonché primi italiani in USA a parlare e diffondere l'argomento finalmente accettato a livello internazionale e denominato come la «scuola italiana» della riabilitazione visiva;
          è quanto mai utile per il paziente ipovedente disporre di una maggiore informazione sull'argomento;
          a tale fine sarebbe importante attivare la possibilità di una pubblicità progresso che permetta all'ipovedente di conoscere l'esistenza della «Riabilitazione visiva» sarebbe già un grande passo comunicativo tra i cultori della materia ed i soggetti diretti fruitori, ignari di progressi così importanti. Che la pubblicità potrebbe per sommi capi come suggerita dalla Low Vison Academy essere impostata su uno dei sintomi principali di tale disturbo ad esempio: una persona partecipa ad una scena di vita, alzandosi da una tavola felice si siede su una poltrona vicino ad una finestra panoramica prendendo un libro in mano. L'inquadratura sul libro mostra una macchia che impedisce la lettura, il paziente guarda fuori dalla finestra ma il panorama è disturbato dalla stessa macchia, guarda al tavolo dove sono ancora sedute le persone e la faccia focalizzata è ancora disturbata dalla stessa macchia fissa;
          le persone affette da tale patologia indirizzate per maggiori informazioni al proprio oculista che maggiormente conscio dei progressi raggiunti indirizzerebbe i pazienti su ciò che offre di meglio il territorio selezionando i centri migliori per serietà e qualità clinico professionale  –:
          se non ritenga quanto mai urgente e necessario di intraprendere una azione da parte del Ministero mirata ad ottenere la pubblicazione nei principali canali mediatici (internet, giornali, tv) di una «pubblicità progresso» sul tema di cui in premessa che può essere per slogan riepilogato nella frase: «Vedere male non è una condizione irrimediabile, la riabilitazione visiva può aiutarti. Chiedi maggiori informazioni al sistema sanitario pubblico o al tuo oculista». (4-19080)


      FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          di recente si è svolto a Roma il VII Convegno internazionale di neonatologia e terapia intensiva neonatale nel quale è emerso il dato secondo cui in Italia ci sarebbe un numero di unità di terapia intensiva neonatale assai ridotto rispetto alle reali necessità;
          tale fenomeno riguarda soprattutto il centro-sud, dove si è ben lontani dal rispettare gli standard internazionali in materia che prevedono un posto di terapia intensiva neonatale ogni 750 nati  –:
          di quali dati disponga in materia e quali eventuali iniziative di competenza ritenga di assumere alla luce dell'importanza del tema. (4-19084)


      FUCCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          alla fine del mese di novembre, come riportato dalla stampa specializzata, presso il Ministero della salute e presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si sono svolti incontri con le parti interessate in merito all'attuale sistema di ammissione alle scuole di specializzazione medica;
          in particolare è emersa la necessità imprescindibile di criteri davvero trasparenti, uniformi e meritocratici per la valutazione degli aspiranti, considerato anche che la carriera medica comincia solo dopo lunghi anni di università e di specializzazione;
          tale tematica è molto importante alla luce di episodi di cronaca poco chiari avvenuti egli ultimi anni e del suo essere al centro di una proposta di legge presentata dall'interrogante (A.C. 1811)  –:
          quali iniziative di competenza i Ministri interrogati ritengano di assumere in merito alla tematica in oggetto. (4-19085)


      BARBATO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la situazione epidemiologica in Campania è «generalmente sfavorevole rispetto al resto d'Italia e, tuttavia, i tassi di mortalità, anche per cause specifiche, sono in diminuzione»: è quanto si evince dalla relazione del gruppo di lavoro per l'approfondimento della situazione epidemiologica della regione Campania, consegnata il 28 settembre 2012 e stilata in collaborazione con esperti dell'Istituto superiore di sanità e con rappresentanti della regione Campania. Il contenuto della relazione è stato reso noto dal sottosegretario alla Sanità alla Camera;
          «Lo svantaggio di salute dei residenti della regione Campania – ha spiegato il Sottosegretario Cardinale – comporta una differenza di attesa di vita alla nascita inferiore di due anni rispetto alla regione Marche, che ha l'attesa di vita più elevata in Italia. Lo svantaggio è presente da tempo e non risulta focalizzato su una singola patologia o su un solo sottogruppo di popolazione. In Campania, come in Italia, nel 2009 sono le malattie del sistema circolatorio a rappresentare la quota maggiore di mortalità; risultano inoltre elevati i tassi di mortalità per malattie dell'apparato respiratorio, digerente e per diabete mellito. Per quest'ultimo la mortalità tra le donne è doppia rispetto al dato nazionale»;
          quanto ai tumori maligni, dalla relazione si evince che «la mortalità in Campania tra gli uomini è superiore ai valori dell'intera Italia. L'eccesso di mortalità è dovuto al contributo solo delle province di Caserta, solo per gli uomini, e di Napoli per entrambi i generi. Nella regione risultano in particolare più elevati i tassi di mortalità per tumori di fegato, laringe, trachea, bronchi e polmoni, prostata e vescica. Nelle donne sono superiori al riferimento nazionale solo i tassi dei tumori del fegato, della laringe e della vescica. Nelle due province di Caserta e Napoli si osservano i tassi più alti per molte sedi tumorali»;
          i fatti esposti ad avviso dell'interrogante sono gravissimi  –:
          quali misure si intendano assumere a tutela della salute di uomini, donne, bambini, anziani ancora più sposti all'inquinamento ambientale della camorra sul territorio nonché ai continui roghi tossici. (4-19109)


      BARBATO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          a Caltanissetta, nel territorio del comune di Niscemi in contrada Ulmo, è in fase di realizzazione il sistema di parabole allestito dalla Marina militare statunitense che è destinato a completare un sistema di radiocomunicazioni satellitare finalizzato a scopi bellici (offesa e difesa) denominato M.U.O.S. (mobile user objetive system);
          il MUOS comprende quattro impianti di stazione a terra;
          le selezioni dei siti sono state completate nel 2007 con la firma di un «memorandum of agreement» (MOA) tra la Marina degli Stati Uniti e il dipartimento della difesa australiano. Le quattro stazioni di terra, ognuna delle quali serve uno dei quattro satelliti attivi saranno ubicate presso: l’Australian Defence Satellite Communications Station a Kojarena a circa 30 chilometri a est di Geraldton, Australia dell'ovest; il Naval Radio Transmitter Facility (NRTF) a Niscemi, a circa 60 chilometri dalla Naval Air Station di Sigonella, in Sicilia; a sud-est della Virginia; il «Naval Computer and telecommunications Area Master Station Pacific» nelle isole Hawaii;
          le antenne paraboliche basculanti hanno un diametro di 20 metri;
          si prevede un totale di 2059 metri quadri di cementificazione;
          tutto iniziò nel 2001 quando venne siglato un accordo bilaterale tra gli USA e l'Italia dal Governo Berlusconi; nel 2006 il Governo Prodi ratifica l'accordo e impone il rispetto delle normative in materia di inquinamento ambientale ed elettromagnetico dando mandato alla regione Siciliana di dare i relativi nulla-osta;
          il 25 febbraio 2009 nasce a Niscemi il comitato «no Muos», organizzazione libera e spontanea di cittadini uniti nella lotta per un unico scopo: dire no all'installazione delle antenne Muos;
          negli stessi luoghi è operativo dal 1991 un grande sistema di radiocomunicazione militare composto da 41 antenne, sempre nella stessa base militare statunitense;
          questi apparati di radiocomunicazione militare operano producendo potenti campi elettromagnetici;
          il M.U.O.S è un sistema satellitare per fini bellici di proprietà degli U.S.A. che viene utilizzato, altresì, per dirigere i droni, nuovi aerei militari privi di pilota;
          dalla fine di gennaio a oggi si sono costituiti numerosi comitati anti-MUOS in tutta la Sicilia orientale, perché queste antenne sono considerate «pericolosissime» per la salute degli esseri umani (e viventi in genere, piante e animali), provocano leucemie, tumori, cataratte e altre malattie che non si è in grado al momento di prevedere. Nello specifico la base militare di Niscemi esiste già ed è operativa dal 1991. Nel 2002 sono stati in servizio in quel luogo diversi militari ragusani, molti di loro si sono ammalati di leucemia. Questo vuol dire che le antenne presenti, anche se molto più piccole di quelle che vogliono piazzare, sono già pericolose e andrebbero smontate (Sabrina D'Amanti, http://nomuos.blogspot.it/p/cose-il-muos.html);
          il Comitato nasce con l'intento di contrastare l'installazione dell'eco-mostro (MUOS), il quale, se installato, potrebbe revocare (secondo fonti scientifiche) le seguenti patologie: tumori di varia natura, leucemie infantili, infarti melanomi, linfomi, malformazioni fetali, sterilità, aborti, alterazione del sistema immunitario e altro;
          i campi elettromagnetici prodotti – stante alle notizie raccolte dal Comitato no Muos – vanno ad interferire con qualunque apparecchiatura «elettrica», inclusi by-pass, sedie a rotelle, pacemaker e altro;
          la costruzione del MUOS, inizialmente prevista a Sigonella, sarebbe stata spostata a Niscemi a causa della pericolosità dello stesso se collegato nelle vicinanze di armi di grossa portata;
          il fascio delle antenne MUOS ovvero il campo elettromagnetico rimane sopra i limiti di legge (legge n.  36 del 2001) per oltre 135 Km (fonte: studio presentato dagli stessi tecnici). Secondo i tecnici USA la dispersione laterale sarebbe trascurabile;
          le esposizioni a lungo termine di campi elettromagnetici ad altissima frequenza, anche se non eccessive ma prolungate nel tempo possono produrre insorgenze tumorali agli organi riproduttivi e leucemie;
          la regione tramite l'assessorato regionale ambiente e territorio inizia l’iter per il rilascio dei nulla osta seguendo l’iter di una comune valutazione di impatto ambientale (VIA);
          nel 2007 viene diramato un decreto che trasmette tutte le competenze di valutazione di impatto ambientale ai comuni su cui ricadono i progetti;
          nell'estate 2008 a Niscemi si viene a conoscenza dell'intento di installare questo sistema;
          i tecnici USA forniscono una relazione dove dimostrano che gli impatti per gli animali e le specie tutelate dalla riserva sono minimi. L'ufficio tecnico, la soprintendenza ai beni culturali di Caltanissetta il dipartimento regionale ambiente e territorio, l'ente gestore della riserva, l'ente foreste demaniali, l'ufficio per la protezione ambientale di Caltanissetta in una conferenza dei servizi del 9 settembre 2008 rendono il parere favorevole a questo studio presentato. L'indomani, il sindaco di Niscemi inizia a chiedere chiarimenti sull'impatto elettromagnetico e sugli effetti per la salute dei cittadini, i quali non sono mai stati minimamente menzionati né analizzati; viene iniziato l'iter per il riesame del parere del 9 settembre e si dà il via ad una delle mobilitazioni popolari più imponenti della storia di Niscemi. L'Agenzia regionale per l'ambiente ed il territorio inizia a fare una campagna di studi elettromagnetici sul sito indicato;
          sono diverse le manifestazioni di protesta ancora in corso;
          si è dato vita ad un movimento popolare diffuso su tutti i territori limitrofi. Sono nati comitati No muos a Gela, Modica, Caltagirone e Niscemi (www.nomuosniscemi.it). Inoltre sono numerosissime le adesioni e i supporti forniti al Comitato e alle amministrazioni locali da parte di quasi la totalità delle associazioni niscemesi e limitrofe (http://www.nomuosniscemi.it/faq-muos/);
          da venerdì 23 novembre 2012 sono sorti due presidi permanenti per impedire il passaggio delle gru;
          si sta realizzando la stazione M.U.O.S all'interno di una riserva naturale: la Sughereta di Niscemi che, unica in Europa, rivestiva un'area di notevole interesse paesaggistico e di pregio naturalistico, riconosciuta come sito di interesse comunitario, oggi deturpata e violata al suo interno;
          con il completamento dell'opera la base militare assumerà un ruolo di obiettivo strategico mondiale, rafforzando la posizione, già grave, della Sicilia come nodo centrale nel Mediterraneo delle politiche militari americane, e, mettendo a serio rischio l'incolumità dell'intero popolo siciliano;
          in Sicilia si deve registrare anche il caso Messina, che sta per essere occupata nella sua area portuale, da un cantiere di dismissione di tutte le forze aereo-navali militari della NATO, molte delle quali a forte impatto di inquinamento;
          l'ubicazione della stazione MUOS è stata spostata dalla piana di Catania in territorio appartenente al comune di Lentini per la vicinanza alla base militare di Sigonella poiché si teme da un lato il pericolo che le frequenze emesse (valori compresi tra i 30 e i 31 GHz) abbiano effettuato di innesco di ordigni militari a detonazione (missili, bombe e altro) nei confronti delle installazioni esistenti e dall'altro i disturbi che essa avrebbe arrecato al traffico aereo di Fontanarossa (fonte documenti militari); di conseguenza rappresenta uno dei rischi l'interferenza con il futuro aereo porto di Comiso che mette in discussione le tanto attese prospettive di sviluppo economico e turistico del territorio;
          a livello internazionale, nell'ambito della «convenzione del Consiglio d'Europa sulla responsabilità civile per i danni provocati da attività pericolose per l'ambiente (Lugano 1993)», si afferma che: «compongono la nozione di ambiente le risorse naturali, le interazioni fra esse, i beni ambientali facenti parte del patrimonio e gli aspetti caratteristici del paesaggio»;
          l’International Cours of Justice, in una pronuncia dell'8 luglio 1966 ha affermato che la nozione di ambiente comprende oltre che il «living space», anche la qualità della vita e la salute degli esseri umani e delle generazioni future;
          l'Unione europea con la direttiva 85/337/CEE nel definire l'oggetto ambiente, da tutelare in sede di impatto ambientale, menziona più fattori: uomo, fauna, flora, suolo, acqua, aria, clima, paesaggio;
          la corte costituzionale con sentenza n.  210 del 1987, ha affermato che l'ambiente non solo deve considerarsi un valore costituzionale, ma anche un diritto fondamentale della persona;
          la Corte costituzionale con sentenze n.  641 del 1987, n.  67 del 1992, n.  356 del 1994 ha definito l'ambiente quale bene immateriale unitario, con varie componenti da tutelare anche separatamente;
          la Costituzione italiana, all'articolo 32, sancisce la tutela al diritto della salute;
          l'articolo 9 secondo comma, della Costituzione italiana, in combinato disposto con l'articolo 32 primo comma, tutela l'ambiente nel senso più ampio del termine, comprendendovi anche la tutela della vita umana;
          fra i princìpi del diritto internazionale, emersi a seguito delle dichiarazioni generali di Stoccolma 1972, Rio 1992, Joannesburg 2002 è sancito l'obbligo di non causare danni, anche ambientali, ad altri Stati, principio affermato ulteriormente nella sentenza Gabcikovo del 1997, anche quando ci si trovi su spazi estranei alla sovranità dello Stato;
          altro principio affermato dalle dichiarazioni di cui sopra è il «principio di cooperazione» che obbliga gli Stati a non porre in essere attività pericolose in altri Stati che potrebbero causare fenomeni rilevanti di degrado all'ambiente e alla popolazione;
          l'articolo 15 della dichiarazione di Rio cita testualmente: «Al fine di proteggere l'ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale»;
          per i paesi dell'Unione europea, il trattato di Roma afferma che le politiche ambientali della Comunità devono essere basate sul «principio di precauzione»;    
          tra i princìpi fondamentali in materia di diritto ambientale europeo (articolo 191, paragrafo 2, TFUE), è elencato il «principio di precauzione», il quale afferma che la mancanza di conoscenze scientifiche certe non può che portare ad evitare l'uso di tecnologie di cui non si conoscono gli effetti;
          la raccomandazione 1999/519/CE del Consiglio europeo e la risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2009 invitano ad adottare il principio di precauzione in tutte quelle circostanze caratterizzate da un alto grado di incertezza scientifica;
          tra i princìpi fondamentali in materia di diritto ambientale europeo è, inoltre, elencato il principio di prevenzione che prescrive il ricorso ad atti volto a prevenire danni irreversibili all'ambiente;
          il sistema M.U.O.S. provocherebbe non solo, quindi, rischi per la salute, ma anche per lo sviluppo economico del territorio;
          Massimo Zucchetti, docente ordinario di impianti nucleari del politecnico di Torino e research-affiliate del Massachusetts Institute of Technology (U.S.A.) e Massimo Coraddu, consulente esterno del dipartimento di energetica del politecnico ed ex ricercatore dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) sostengono che ad esposizioni prolungate a campi di intensità inferiori «Le persone irraggiate accidentalmente potrebbero subire danni gravi ed irreversibili anche per brevi esposizioni»;
          il comitato di base No Muos, in particolare, ha realizzato numerose iniziative fra le quali una raccolta di firme ed un convegno informativo;
          la conferenza dei sindaci ha chiesto la sospensione dei lavori di realizzazione del MUOS e di intraprendere richiesta ufficiale di maggiori studi e monitoraggi all'ARPA per avere garanzie di tutela della salute pubblica;
          vi è la delibera dei comuni limitrofi che si esprime contro la costruzione del MUOS;
          i fatti esposti in premessa sono ad avviso dell'interrogante gravissimi e tali da richiedere un immediato intervento da parte dei Ministri interrogati  –:
          se intendano assumere ogni iniziativa di competenza perché la costruzione del MUOS sia bloccata salvaguardando le ragioni umane su quella militari in nome ed applicazione della legge internazionale e delle dichiarazioni dei diritti umani.
(4-19110)


      FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi la stampa pugliese ha evidenziato la denuncia dell'Associazione dei fornitori ospedalieri della regione Puglia in merito ai tempi sempre più lunghi e insostenibili (tanto da mettere a rischio il pagamento effettivo delle tredicesime ai loro dipendenti) con i quali le ASL pugliesi pagano le forniture ricevute;
          si tratta di un tema molto delicato già oggetto, nel corso della legislatura, di altri atti di sindacato ispettivo dell'interrogante e che, ferme restando le competenze primarie di livello regionale, certamente coinvolgono anche il Ministro interrogato considerando anche le ancora recenti normative di carattere nazionale entrate in vigore a proposito dei tempi limite per il pagamento alle imprese da parte delle pubbliche amministrazioni  –:
          quali iniziative, nell'ambito delle sue specifiche competenze nei rapporti con le regioni sottoposte a piani di rientro sui deficit sanitari, si ritenga di poter assumere in merito a quanto esposto in premessa. (4-19112)


      CONTENTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di stampa risulta che il farmaco Avastin, impiegato per contrastare la maculopatia senile, sia stato soppresso dal prontuario del servizio sanitario nazionale e sostituito con il Lucentis;
          il costo delle due molecole (60 euro a fiala per l'Avastyin e mille e duecento euro per il Lucentis) è notevolmente diverso;
          svariati oculisti hanno contestato tale decisione in quanto nutrono forti perplessità mediche sull'utilità clinica della sostituzione, evocando anche problemi di approvvigionamento della nuova prescrizione tale da mettere a repentaglio la salute dei pazienti in cura  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, in caso di risposta affermativa, per quali obiettive ragioni l'Avastin sia stato soppresso dall'Agenzia del farmaco;
          se i dubbi sollevati dai medici del settore siano fondati e quali iniziative intenda adottare per evitare problemi di qualsiasi genere all'utenza. (4-19117)


      MARSILIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          dal 12 novembre 2012, dopo circa undici anni di attività, è stato chiuso il PSAUT, il centro di primo soccorso ubicato ai primo piano dei locali della ex clinica «San Giovan Giuseppe» nel comune di Ischia, città di 20.000 abitanti, capoluogo dell'omonima isola e sede della grande infrastruttura portuale presso cui transitano giornalmente, per turismo o attività commerciali, diverse migliaia di persone;
          al posto di primo soccorso, chiamato in modo comune «pronto soccorso», hanno fatto ricorso, in oltre dieci anni, decine di migliaia di persone, oltre 30.000 secondo una recente stima;
          a tale struttura, per le situazioni emergenziali, fanno capo anche i comuni di Barano (circa 10.000 abitanti) e Serrara Fontana (circa 3500 abitanti); ad essi si devono aggiungere le centinaia di migliaia di persone che nella stagione turistica, che dura fino a 9 mesi, affollano le strutture ricettive della zona (circa duecento tra alberghi, pensioni e fittacamere); a questi utenti vanno aggiunti inoltre i lavoratori pendolari dei servizi (scuola, posta, banche, ristorazione, edilizia) e le già citate migliaia di persone che giornalmente transitano per il porto di Ischia;
          sul territorio del comune di Ischia insistono inoltre diversi istituti scolastici, frequentati da studenti anche di altri comuni dell'isola, nonché provenienti dall'isola di Procida e, secondo dati recenti, sono presenti diverse centinaia di persone con disabilità o con stringente necessità di cure mediche costanti;
          da quanto esposto si evince che il potenziale del bacino di utenza del PSAUT di Ischia, in condizioni ordinarie, è paragonabile a quello di un capoluogo di provincia o di una qualsiasi media città italiana, con tendenza ad un aumento anche esponenziale nei momenti di alta stagione o di particolare emergenza;
          venendo a mancare tale presidio, tutto il carico precedentemente da esso assorbito si riverserebbe presso l'ospedale di Lacco Ameno, distante 10 chilometri e collegato da un'unica strada, spesso sovraffollata e con tempi di percorrenza particolarmente incerti, in specie nei periodi di alta stagione turistica;
          l'ospedale di Lacco Ameno, già gravato, in rapporto alle dimensioni e al personale in esso operativo, da un carico di prestazioni elevato, avrà certamente difficoltà nell'assorbire tale crescente domanda di nuova utenza, nell'ordinaria gestione e in special modo nei periodi di massimo affollamento turistico dell'isola;
          la carenza di strutture mediche di pronto soccorso potrebbe inoltre suscitare valutazioni negative da parte degli operatori turistici, in particolari di quelli del circuito internazionale, con possibili gravi ripercussioni sull'economia ischitana, dipendente per gran parte da tale settore e già in gravi difficoltà a causa della congiuntura economica sfavorevole;
          a quanto risulta all'interrogante la chiusura del pronto soccorso ha suscitato un'ondata di proteste e sta nascendo una nuova associazione per la difesa della vita e della salute, mentre stanno partendo numerose iniziative, petizioni, segnalazioni per chiedere la riapertura dello stesso;
          secondo notizie in possesso dell'interrogante, il personale del PSAUT di Ischia rimarrebbe comunque in carico al sistema sanitario (dislocato probabilmente a Lacco Ameno) e lo stabile dove esso era ubicato resterebbe comunque nella disponibilità dello stesso, senza quindi alcun risparmio di spese per le casse pubbliche;
          a dispetto dei programmi di contenimento della spesa pubblica, non possono in alcun modo essere intaccati i livelli essenziali di assistenza (LEA), che il servizio sanitario nazionale è tenuto ad erogare a tutti i cittadini  –:
          se sia a conoscenza della vicenda e se risponda al vero quanto in premessa, anche in relazione al mancato possibile risparmio per le casse pubbliche;
          se non ritenga opportuno interessare il Comitato LEA per verificare la sussistenza attuale dei livelli minimi garantiti;
          quali iniziative, per quanto di propria competenza e anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, ritenga opportuno intraprendere, affinché sia scongiurata la chiusura di un tale fondamentale presidio di primo soccorso. (4-19120)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          questo inverno 2013 si notano su bancarelle e in diverse case la borsa elettrica di acqua calda di produzione cinese;
          questa contiene un rivestimento di stoffa plastificata contenente del liquido, non è dato sapere se realmente acqua oppure mista ad altro liquido;
          mediante un foro di tre buchi viene attaccata la spina alla presa rimanendovi per circa 5 minuti;
          spenta la lucetta rossa la borsa è pronta per l'uso;
          taluni consumatori lamentano anche sul web e notizie riferite all'interrogante che la borsa sprigiona nel corso del riscaldamento un terribile olezzo di plastica a dire poco nauseabondo se non cancerogeno;
          una cittadina italiana ha finanche fotografato le conseguenze del calore sulla pelle  –:
          di quali notizie i Ministri interrogati dispongono e quali accertamenti sono stati condotti sulla salubrità di queste borse circolanti attualmente in Italia e ad uso soprattutto degli anziani;
          quali accertamenti siano stati condotti o si intende condurre per accertare il grado di sicurezza nell'utilizzo. (4-19096)


      FRONER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la società Trasco srl di Trento aveva come committente principale la compagnia petrolifera ESSO Italia, del gruppo multinazionale ExxonMobil, che per anni ha servito, effettuando trasporti di benzina e gasolio con i propri camion cisterna, in tutti i distributori del Nord-est;
          la società possedeva più di 70 camion e occupava oltre 100 dipendenti tra Trento e Venezia;
          dal mese di maggio del 2012, la Trasco srl, è stata costretta a fermare la propria attività a causa della decisione di ESSO Italia, che ha omesso di pagarle i servizi di trasporto del mese di marzo e di aprile, per un valore di circa 1.000.000 di euro;
          la ragione del mancato pagamento sarebbe da ricondurre a una sorta di ritorsione conseguente alla richiesta da parte della Trasco srl di vedersi riconosciuti i «costi minimi di sicurezza per l'autotrasporto», previsti dall'articolo 83-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, e determinati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che pubblica periodicamente le relative tabelle;
          il comma 4 del citato articolo 83-bis prevede, in particolare, che, al fine di garantire la tutela della sicurezza stradale e la regolarità del mercato dell'autotrasporto di merci per conto di terzi, nel contratto di trasporto, stipulato in forma scritta, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n.  286, l'importo a favore del vettore deve essere tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio, che garantiscano, comunque, il rispetto dei parametri di sicurezza normativamente previsti;
          ESSO Italia non ha mai riconosciuto alla società Trasco srl l'adeguamento tariffario ai predetti minimi di legge volti a garantire la sicurezza stradale, un valore inestimabile per la collettività, specie nel caso in questione che riguarda cisterne cariche di carburanti e in un periodo nel quale i costi di trasporto sono immensamente cresciuti;
          la presa di posizione di ESSO Italia ha inevitabilmente leso la Trasco srl e ha portato i proprietari dell'azienda ad avviare un'azione giudiziaria, purtroppo impari viste le dimensioni della controparte che, com’è noto, è una multinazionale;
          ad oggi, in funzione di quanto previsto dal citato decreto-legge n.  112 del 2008, la Trasco srl ha ottenuto l'emissione di un decreto ingiuntivo di circa 5.000.000 di euro immediatamente esecutivo, al quale ESSO Italia si è opposta, ottenendo la sospensione dell'esecutività a causa dell'ovvio stato di crisi della società;
          nella grave situazione in cui versa il nostro Paese è inaccettabile che aziende sane come la Trasco srl siano costrette a portare i libri sociali in tribunale, a causa della condotta di una multinazionale che non sembra rispettare le leggi dello Stato italiano, con la conseguenza di rovinare non solo la famiglia dell'imprenditore, ma anche quella di oltre cento dipendenti  –:
          quali misure urgenti intenda assumere per garantire la continuità operativa della Trasco srl e scongiurare l'esito del fallimento di un'azienda sana e con esso il dramma della chiusura per i proprietari e per i dipendenti. (4-19101)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          da diversi anni è in atto un processo di razionalizzazione degli uffici postali avviato da Poste italiane spa, che sta procedendo sia alla chiusura degli stessi, sia alla riduzione degli orari di apertura degli sportelli in diverse aree del territorio nazionale, soprattutto nelle località montane;
          seguendo tale linea di comportamento, pare sia in fase di chiusura entro fine anno anche l'ufficio postale di Breonio, frazione del comune di Fumane (VR), nonostante amministrazione comunale abbia confermato più volte la propria disponibilità ad individuare insieme a Poste Italiane eventuali sostegni per consentire il proseguo dell'attività postale;
          la chiusura dell'ufficio postale comporterà presumibilmente gravi disagi soprattutto per i residenti anziani, che non potranno usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione senza sottoporsi a frequenti e difficili spostamenti;
          il contratto di programma tra lo Stato e Poste Italiane spa per l'espletamento del servizio postale universale prevede, quale dovere per la società, quello di conseguire determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste  –:
          quali iniziative il Ministro intenda adottare per favorire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di rivedere la decisione che decreta la chiusura dell'ufficio postale di Breonio, frazione del comune di Fumane (VR), evitando così che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi agli abitanti delle località montane, privandole dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità. (4-19121)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in commissione De Angelis e Rugghia n.  7-00999, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 dicembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ascierto.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in commissione De Pasquale n.  5-07613, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Ghizzoni.

      L'interrogazione a risposta in commissione Lorenzin n.  5-08456, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Mazzuca.

      L'interrogazione a risposta scritta Farina Coscioni e altri n.  4-18680, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Codurelli.

      L'interrogazione a risposta in commissione Tocci n.  5-08495, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ghizzoni.

      L'interrogazione a risposta in commissione Di Cagno Abbrescia e Calderisi n.  5-08598, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 dicembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Barbieri.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
          interpellanza urgente Gibiino n.  2-01773 del 4 dicembre 2012.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta in commissione Boccuzzi e altri n. 5-06981 del 31 maggio 2012, in interrogazione a risposta scritta n. 4-19075.
          interrogazione a risposta in commissione Peluffo e altri n. 5-08157 del 17 ottobre 2012, in interrogazione a risposta scritta n. 4-19087.
          interrogazione a risposta in commissione Froner n. 5-08668 del 13 dicembre 2012, in interrogazione a risposta scritta n. 4-19101.

ERRATA CORRIGE

      Interrogazione a risposta scritta Barbato n.  4-19029 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 733 del 12 dicembre 2012. Alla pagina 37306, prima colonna, alla riga nona deve leggersi: «di vista procedendo anche alla» e non «di vista anche alla procedendo anche alla», e non «di vista anche alla procedendo anche alla», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      BARBATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          Fulvio Pazzi, nato a Napoli l'8 marzo 1982, è stato arruolato nel 2000 nei Lancieri di Novara (Udine) con la qualifica di esploratore blindo leggera, in qualità di volontario in ferma annuale;
          è stato inquadrato nella missione delle Nazioni Unite Sfor;
          è partito con destinazione militare Bosnia Erzegovina nel 2000 nell'Operazione Nato «Joint Force»;
          al ritorno (2001) dalla citata missione nel Paese Balcanico il militare si è ammalato di tumore, precisamente linfoma non Hodgkin ed è morto a soli 21 anni il 24 agosto 2003;
          nel giugno 2012 diverse testate locali e nazionali riferiscono della richiesta da parte della madre del giovane militare che il proprio figlio venga riconosciuto come «vittima di guerra» in luogo dell'inquadramento avvenuto il 20 marzo 2012 di «vittima del dovere equiparato», che – per la mamma, Teresa Ruocco offende la memoria del militare;
          il 5 giugno 2012 la signora Ruocco nel lancio Ansa – 5 giugno 2012 dichiara; «Chi muore in quelle che chiamano missioni di pace per mano del nemico è uguale a chi la vita l'ha persa in un letto d'ospedale devastato da una malattia contratta per l'esposizione all'uranio impoverito dal quale doveva essere difeso, non devono esserci differenze». «Anzi, – aggiunge – chi parte per le missioni all'estero sa di dovere affrontare un nemico ben definito, è stato finanche addestrato per questo. Mio figlio, e tutti gli altri militari italiani che hanno subito la sua stessa sorte, si sono recati in guerra ignorando a cosa si stavano esponendo e chi doveva proteggerli non lo ha fatto». «Non è una battaglia legata al trattamento finanziario quella che sto portando avanti – conclude – ma una battaglia affinché venga fatta giustizia perché mio figlio non può essere considerato alla stregua di un morto di serie “B” e affinché quello che gli è accaduto non accada più»;
          la vicenda si lega alla tristemente nota storia dell’«uranio impoverito»;
          in Bosnia risulterebbero stati lanciati da aerei Nato oltre 10 mila proiettili all'uranio impoverito;
          i rischi dell'uranio impoverito in Bosnia sono stati confermati a suo tempo anche dal Ministro della salute, professor Sirchia, che ha emanato due decreti legati alla pericolosità della presenza di uranio in derrate alimentari provenienti dai Balcani;
          il militare Pazzi è stato esposto alle nanoparticelle emanate dagli obiettivi colpiti con armi all'uranio impoverito;
          inoltre, lo stesso era privo di misure di protezione;
          la necessità di adottare delle misure di protezione era apparsa evidente già nella missione in Somalia (1992-1994) dove gli Usa avevano impartito rigorose disposizioni di protezione il 14 ottobre 1993;
          in seguito, norme di protezione erano state emanate dalla Kfor (la forza multilaterale nei Balcani) già dal 22 novembre 1999;
          il militare napoletano aveva eseguito operazioni di vigilanza alle infrastrutture militari e di controllo dell'ordine pubblico ai check-point a cui risulta essere stato destinato;
          agli inizi per il caso Pazzi era già stata riconosciuta la «causa di servizio» cioè la dipendenza della malattia da fatto di servizio (tanto che venne assegnato un trattamento pensionistico alla madre);
          una causa di servizio già riconosciuta ma che poi è stata negata;
          il lancio Ansa (del 19 luglio 2012) così recita: «I dinieghi ai risarcimenti per militari e civili che si sono trovati in zone ad alto rischio ambientale, zone contaminate da uranio impoverito e nanoparticelle di metalli pesanti, sono tutti errati e da rifare». È quanto sottolinea Falco Accame, presidente dell'Associazione assistenza vittime arruolate nelle forze armate, che aggiunge: «si basano, infatti, sull'esistenza o meno di un nesso di causa-effetto di tipo deterministico tra la malattia (tumori) e la loro possibile causa. Nei tribunali civili, invece, in procedimenti giudiziari riguardanti risarcimenti da malattie tumorali, viene da sempre adottato, dato che i tumori possono derivare da molteplici cause, il criterio probabilistico, più esat-tamente definito nei termini del “più probabile che non”»  –:
          quali motivi ostino al riconoscimento del militare Fulvio Pazzi quale vittima di guerra in luogo di «vittima del dovere equiparato» (legge n.  466 del 1980 e legge 308 del 1981), se non ritenga il Ministro di intervenire per fare chiarezza sul caso esposto per adottare le misure urgenti per ristabilire equità su un inquadramento che ferisce il sentimento dei familiari di questo giovane militare. (4-17128)

      Risposta. — Il lanciere F.P., arruolatosi quale volontario in ferma annuale il 24 maggio 2000, ha partecipato alla missione Nato «Joint Force» in Bosnia Herzegovina dal 24 novembre 2000 al 5 marzo 2001 ed è deceduto a causa della patologia «linfoma non-hodgkin» il 24 agosto 2003.
      Con decreto ministeriale 1o ottobre 2009, n.  357, alla madre del giovane è stato conferito il trattamento ordinario tabellare di reversibilità e, successivamente, a seguito di specifiche istanze prodotte dalla signora, volte ad ottenere i benefici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n.  243 del 2006 e dal decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010 (articoli da 1078 a 1084) sono stati attribuiti, quale superstite di vittima «equiparata» alle vittime del dovere:
          la speciale elargizione, nella misura di 220.221,70 euro;
          l'assegno vitalizio pari a 258,23 euro mensili, nonché lo speciale assegno vitalizio pari a 1.033,00 euro mensili (soggetti a perequazione automatica).

      Si osserva che, pur essendo stato riconosciuto il diritto alla speciale elargizione, ai sensi dell'articolo 1079 del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010 (malattie uranio-correlate) non si è, tuttavia, proceduto alla liquidazione del beneficio stesso, in quanto, in applicazione dell'art. 1084, comma 1, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010 è previsto il divieto di cumulo tra la speciale elargizione in questione e quella che è stata, invece, attribuita ai sensi delle norme vigenti in favore delle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, del dovere e categorie ad esse equiparate.
      Ciò premesso, riguardo ai motivi ostativi al conferimento dello status – presumibilmente – di «vittima del dovere» (non già, di «vittima di guerra» – come riportato nell'atto in titolo – status riservato ai militari deceduti per causa di servizio di «guerra» o attinente alla «guerra») in luogo di «equiparato», si precisa che, nel caso specifico, non è possibile applicare la normativa richiamata dall'interrogante.
      Ai sensi, infatti, dell'articolo 1895, commi 1 e 2, del decreto legislativo n.  66 del 2010, recante il codice dell'ordinamento militare (nel quale è confluito l'articolo 6, comma 3, della legge n.  308 del 1981) e dell'articolo 3 della legge n.  466 del 1980, la speciale elargizione compete ai militari, appartenenti alle diverse categorie, che risultino deceduti «in attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni causate da eventi di natura violenta, riportate nell'adempimento del servizio» (vittime del servizio), «oppure deceduti o divenuti permanenti invalidi in attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in servizio di ordine pubblico ovvero in operazioni di soccorso o di vigilanza ad infrastrutture civili e militari» (vittime del dovere, categoria, questa ridefinita dall'articolo 1, comma 563, della legge n.  266 del 2005).
      Poiché la dolorosa vicenda del lanciere F.P. non rientra in alcune, di queste due tipologie, si è applicata la legge n.  266 del 2005 che, all'articolo 1, comma 562 – nell'estendere progressivamente in favore delle «vittime del dovere» i benefici già previsti per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata – ha introdotto la categoria dei soggetti definiti tecnicamente «equiparati» (articolo 1 comma 564), considerando tali coloro che «abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative».
      Nella fattispecie in esame è stata applicata, altresì, la disciplina introdotta dall'articolo 5, comma 3-bis, del decreto legislativo n.  228 del 2010 convertito in legge che ha modificato gli articoli 603 e 1907 del decreto legislativo, n.  66 del 2010 (indennizzi al personale italiano che abbia contratto infermità o patologie tumorali per le particolari condizioni ambientali od operative o per l'esposizione a particolari fattori di rischio), emanata, tra l'altro, nell'ottica di rendere più ampio il criterio di accertamento (condizioni ambientali od operative anziché esposizione e utilizzo dell'uranio impoverito e dispersione di nano particelle) posto a base del riconoscimento del nesso di causalità, rendendo meno «stringenti» le condizioni sottostanti l'attribuzione dell'indennizzo.
      Il legislatore è, dunque, intervenuto nel tempo per assicurare specifica tutela a diverse categorie di soggetti in relazione a differenti tipologie di eventi, allorché si sono presentate le varie situazioni cui far fronte; ciò, allo scopo di fornire adeguate risposte alle vittime e alle loro famiglie.
      Concludendo, non si ritiene possibile, in considerazione di quanto finora esposto, porre in atto quanto richiesto dall'interrogante, non essendoci i presupposti per i quali si possa conferire lo status di «vittima del dovere».
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      BITONCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          le parlate locali e i dialetti, soprattutto in Italia, rappresentano senza dubbio un enorme patrimonio storico e culturale, non solo perché sono mezzo di comunicazione tra le persone che utilizzano l'idioma, ma anche in quanto sono strumento di promozione e tutela delle tipicità e della cultura locale;
          la tutela e la promozione delle lingue minoritarie rappresenta un contributo per una positiva politica di integrazione sociale e culturale tanto che l'Unione europea ha espresso nella Carta europea delle lingue regionali e minoritarie del Consiglio d'Europa, con relativa bozza di atto di ratifica del 5 novembre del 1992, il suo favorevole parere sul multilinguismo, affermando il diritto per le popolazioni ad esprimere nelle loro lingue regionali e minoritarie, la carta è stata firmata anche dall'Italia, il 27 giugno del 2000;
          la legge n.  482 del 1999, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», in tal senso, si pone la finalità, chiaramente dichiarata all'articolo 2, di promuovere, oltre alla lingua italiana, lingua ufficiale della Repubblica, «...altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge», basandosi sull'articolo 6 della Costituzione e tutelando la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo;
          idiomi come quello siciliano, veneto o piemontese che, seppur non inseriti all'interno del testo normativo, rappresentano senza dubbio una risorsa culturale per il nostro Paese ed il Veneto in particolar modo, rappresentano indubbiamente massimi esempi di lingue minoritarie parlate oggigiorno nella nostra penisola, sia per l'elevato grado di diffusione che queste parlate hanno, sia per la lunga storia linguistica che le connota;
          il Consiglio dei ministri, riunitosi il 9 marzo del 2012, su proposta del Ministro degli affari esteri e del Ministro per gli affari regionali, ha approvato il disegno di legge di ratifica della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie;
          la tutela delle lingue minoritarie, dodici in tutto, l'albanese, il catalano, il germanico, il greco, lo sloveno, il croato, il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo, prevede, tra le altre cose, la possibilità di insegnamento nelle scuole e di utilizzo nelle circoscrizioni giudiziarie, oltre che la diffusione attraverso programmi culturali e i principali mezzi di comunicazione;
          l'ampiezza della parlata veneta è confermata non solo dal fatto che, come sostenuto dall'Istat nel 2006, oltre il 60 per cento dei veneti utilizza quotidianamente la parlata locale come principale mezzo di comunicazione, al lavoro come in famiglia, ma anche dal fatto che l'espressione veneta è ampiamente diffusa, pur con ovvie diversità, anche in regioni diverse dal Veneto, come nel caso della variante della lingua veneta diffusa nei paesi dell'agropontino, o nei paesi della Sardegna, nella zona dell'Arborea, nell'Istria, nel Montenegro oltre che nel Messico, in Argentina o in Brasile;
          l'UNESCO, non a caso, riconosce da tempo la lingua veneta inserendola nel suo Red book of endangered languages dell'eminente linguista Tapani Salminen dell'università di Helsinki, mentre il volume pubblicato dal Summer institute of liguistics, «ethnologue, languages of the World», a sua volta, riconosce inconfutabilmente lo status di «lingua» alla parlata veneta, troppo spesso erroneamente definita come «dialetto»;
          la regione Veneto, su impegno richiesto del consiglio provinciale di Vicenza, ha provveduto ad emanare una legge regionale, la n.  8 del 13 aprile 2007, definendo «il veneto e le parlate storiche delle terre venete senza ombra di dubbio come lingua e non come dialetto», attivandosi, al contempo, per la loro salvaguardia e tutela  –:
          se in ragione dell'ampia diffusione della lingua veneta, il Governo non ritenga opportuno adottare le opportune iniziative per inserire nella norma nazionale che tutela le parlate locali italiane anche quelle riconosciute dalle singole regioni. (4-15340)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede se, in ragione dell'ampia diffusione della lingua veneta, il Governo non ritenga opportuno adottare adeguate iniziative per inserire nella normativa nazionale che tutela le minoranze linguistiche storiche, ossia la legge n.  482 del 15 dicembre 1999, anche quelle riconosciute dalle singole regioni, si comunica quanto segue.
      La sopra menzionata legge del 15 dicembre 1999, n.  482, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione, ha come obiettivo la promozione e la valorizzazione delle lingue e delle culture delle minoranze linguistiche storiche.
      La legge citata, in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, riconosce l'esistenza di dodici minoranze linguistiche, definite «storiche», e ne prevede la tutela.
      Le lingue espressamente elencate nell'articolo 2 sono:
          lingua albanese (Abruzzo; Basilicata Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia);
          lingua catalana (Sardegna, il solo comune di Alghero);
          lingue germaniche (Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Valle d'Aosta, Piemonte);
          lingua greca (Puglia, Calabria e Sicilia);
          lingua slovena (Friuli Venezia Giulia);
          lingua croata (Molise);
          lingua francese (Valle d'Aosta e Piemonte);
          lingua franco-provenzale (Valle d'Aosta, Piemonte, Puglia);
          lingua friulana (Friuli Venezia Giulia, Veneto);
          lingua ladina (Trentino Alto Adige, Veneto);
          lingua occitana (Piemonte, Liguria, Calabria);
          lingua sarda (Sardegna).

      Il quadro legislativo per la tutela delle minoranze è stato ampliato grazie all'adozione, da parte di varie regioni o province, di leggi regionali che regolamentano la tutela delle suddette minoranze linguistiche presenti nei rispettivi territori.
      Richieste di riconoscimento di lingua minoritaria per diverse parlate regionali (Piemontese, Veneto) sono state formulate a livello locale, ma non hanno avuto esito positivo.
      La più volte richiamata legge di tutela n.  482 del 15 dicembre 1999, per individuare le minoranze linguistiche da sottoporre a tutela, ha adottato gli stessi criteri indicati nella Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata dal Consiglio d'Europa il 25 giugno 1992, menzionata dall'interrogante, selezionando quelle storicamente presenti nel territorio e le cui lingue avessero origine da ceppi linguistici diversi da quello ufficiale (italico), escludendo i dialetti, anche se diffusamente utilizzati e aventi connotazioni peculiari rispetto alla lingua ufficiale.
      A tal riguardo, si segnala che la regione Piemonte, con la legge regionale del 7 aprile 2009, articolo 1 comma 1, aveva introdotto anche la lingua piemontese – oltre all'occitano, al franco-provenzale, al francese ed al walser (germanico) – tra le lingue da sottoporre a tutela e valorizzazione.
      Con sentenza del 13 maggio 2010, n.  170, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità di tale inserimento.
      Alla luce di quanto sopra, si comunica che non sono in corso iniziative da parte del comitato tecnico consultivo per l'applicazione della legislazione in materia di minoranze linguistiche, previsto dall'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n.  345, per estendere la tutela della legge n.  482 del 15 dicembre 1999 a lingue non ricomprese nella stessa.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      CONTENTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          ormai da alcuni mesi il distaccamento provinciale della polizia stradale di Pordenone ha individuato una nuova sede in via delle Crede;
          al momento, però, il presidio di pubblica sicurezza continua a rimanere allocato presso la vecchia sede di viale della Libertà a causa di una non meglio precisata «autorizzazione mancante», nonché della limitatezza dei fondi necessari al concreto trasferimento di attrezzature e mobilio;
          la situazione ha suscitato grande clamore in provincia, non foss'altro che per la constatazione che l'attuale immobile di viale delle Libertà risulta da anni al centro di un procedimento di sfratto per morosità (da notizie rilasciate alla stampa dalla proprietà dell'edificio, vi sarebbe addirittura una sentenza del tribunale di Pordenone con cui si intima la liberazione dei locali entro il 31 ottobre 2011)  –:
          se trovi conferma la vicenda esposta in premessa e, in caso di risposta affermativa, da quali cause burocratiche o finanziarie dipenda l'accaduto;
          sempre in caso di risposta affermativa al precedente quesito, quali iniziative urgenti si intendano adottare al fine di sgomberare al più presto i locali di viale della Libertà e portare a termine il trasloco nella più funzionale sede di via delle Crede. (4-13650)

      Risposta. — Il distaccamento della polizia stradale di Pordenone si è trasferito, nel mese di marzo 2012, nel nuovo stabile.
      In merito ai relativi procedimenti necessari all'acquisizione degli immobili, va evidenziato che per effetto delle modifiche legislative di cui all'articolo 27, comma 4, del decreto-legge n.  201 del 6 dicembre 2011, convertito nella legge n.  214 del 22 dicembre successivo, è mutato il regime delle locazioni.
      Anche nel caso di specie, pertanto, è stato disposto che il relativo contratto venisse sottoscritto nuovamente dall'amministrazione, previo rilascio del nulla osta alla stipula da parte dell'Agenzia del demanio.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      COSENZA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il gioco d'azzardo, negli ultimi anni, ha avuto in Italia un incremento sorprendente, con il nostro Paese che detiene il primato europeo per la maggior cifra giocata ai tavoli da gioco: una media di circa 2.000 euro a persona;
          è dunque comprensibile come si siano moltiplicate le occasioni di gioco e come si cerchi di «reclutare» più giocatori possibili attraverso campagne pubblicitarie sempre più allettanti; nelle ultime settimane è diventato di sempre maggiore attualità, come dimostrato dal risalto che la stampa gli sta dando e dalle numerose iniziative parlamentari provenienti da tutti i gruppi politici in materia, la tematica attinente alla cosiddetta ludopatia, cioè la patologia derivante dalla dipendenza dal gioco d'azzardo che nella maggior parte dei casi porta il giocatore e la sua famiglia alla rovina socio-economica;
          il gioco legale conta circa 31 milioni di persone di cui, secondo il Censis, almeno 100 mila sono colpite da ludopatia grave e, secondo il CNR, circa tre milioni sono ad alto rischio;
          non bisogna cadere nel rischio di demonizzare a priori un intero settore, quale è quello dei giochi, che oggettivamente ha molta importanza nel nostro Paese sia per le sue ricadute occupazionali che per i generosi proventi fiscali garantiti all'Erario, ma prendere atto che in Italia stanno crescendo situazioni di rischio e di dipendenza patologica dal gioco  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in merito a quanto esposto in premessa. (4-16356)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante esprime preoccupazione per l'incremento del fenomeno del gioco d'azzardo e per il rischio che anche il gioco legale possa determinare fenomeni di ludopatia, si rappresenta quanto segue.
      La questione dei potenziali pericoli del gioco era già stata affrontata con la legge di stabilità 2011 (legge n.  220 del 2010), che all'articolo 1, comma 70, ha introdotto nella normativa il concetto di ludopatia conseguente a gioco compulsivo.
      Inoltre, il decreto n.  98 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, ha stabilito il divieto di partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di anni diciotto e le relative sanzioni a carico dei titolari delle licenze o dei locali che ne consentano la partecipazione.
      Lo stesso decreto affidava, ai fini del miglior conseguimento degli obiettivi di tutela del giocatore e di contrasto ai fenomeni di ludopatia connessi, al Ministero dell'economia e delle finanze ed all'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato l'avvio di procedure di analisi e di verifica dei comportamenti di gioco volti ad introdurre misure di prevenzione dei fenomeni ludopatici.
      La Commissione europea, nel libro verde avente ad oggetto lo studio del fenomeno del gioco compulsivo, ha evidenziato, in base agli studi effettuati da molti Stati membri, che le comunicazioni commerciali possono incitare gruppi particolarmente vulnerabili a causa o della loro situazione finanziaria (giocatori a basso reddito) o della loro inesperienza (in particolare i giovani adulti di età compresa tra diciotto e ventuno) e le persone che non sono consapevoli dei rischi connessi con il gioco d'azzardo problematico. Dagli studi è anche emerso che sono particolarmente vulnerabili soggetti con precedenti di dipendenza ad una sostanza chimica.
      Anche il Parlamento europeo è intervenuto nella materia, adottando una risoluzione tesa a stimolare contributi sugli strumenti normativi e tecnici che gli Stati membri utilizzano o potrebbero utilizzare per garantire la tutela dei consumatori e la salvaguardia dell'ordine pubblico o di altri interessi pubblici.
      Il gioco d'azzardo patologico è stato, inoltre, oggetto di una approfondita indagine conoscitiva condotta presso la XII Commissione affari sociali della Camera dei deputati.
      Nell'ambito dell'indagine è emersa chiaramente la necessità di un approccio integrato nella materia, che non si limiti a riconoscere il contenuto patologico di determinate forme di propensione al gioco, garantendo la presa in carico da parte del servizio sanitario nazionale dei soggetti affetti da ludopatia, ma anche ad intervenire nel campo della prevenzione primaria attraverso la promozione di campagne di sensibilizzazione sull'uso responsabile del denaro, sulla limitazione all'accesso al debito e sui rischi collegati al gioco d'azzardo particolarmente nelle scuole.
      Nella seduta del 12 agosto 2012, la XII Commissione affari sociali della Camera ha approvato il documento conclusivo dell'indagine, nel quale è stata evidenziata l'esigenza di disporre di una maggiore conoscenza dei dati ed è stata sottolineata l'opportunità di intervenire nel campo della pubblicità, di operare una limitazione dei giochi, di «sistematizzare» la cura della patologia del gioco d'azzardo mediante il riconoscimento e l'inserimento della patologia nei cosiddetti livelli essenziali di assistenza, di avviare un'operazione di trasparenza nelle procedure di concessione e di definire una legge.
      Nel documento conclusivo dell'indagine, sono stati affrontati tutti i temi inerenti la problematica, quali il quadro del fenomeno, l'evoluzione e l'entità dello stesso, il profilo dei giocatori, gli aspetti sanitari e, tra questi, il ruolo della pubblicità.
      Lo stesso documento ha, inoltre, evidenziato la necessità di una puntuale e rigorosa informazione diretta al giocatore, al fine di renderlo edotto sulla probabilità di vincita per ogni giocata, nonché la sperimentazione di formule organizzative che prevedano l'accesso ai giochi esclusivamente con una card personale per autolimitare la spesa da impiegare nel gioco ed impedire l'accesso ai minori.
      In più occasioni ho dichiarato che, a mio avviso, la pratica del gioco con vincita in denaro deve essere prerogativa esclusivamente di soggetti maggiorenni e consapevoli dell'alea della vincita in relazione alla posta in gioco.
      Già da tempo avevo dato mandato ai miei uffici di approfondire la questione e di formulare alcune proposte normative, da sottoporre alla valutazione delle altre amministrazioni coinvolte, per disciplinare e distinguere meglio le funzioni di governo e le competenze.
      L'attenzione che la Commissione affari sociali della Camera ha dedicato al fenomeno delle degenerazioni comportamentali nelle attività di gioco e le numerose proposte di legge all'attenzione del Parlamento hanno rafforzato l'intento mio e di tutto il Governo di intervenire con urgenza nella materia.
      La questione è stata, affrontata già con il disegno di legge «delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, approvato dal Consiglio dei ministri il 16 aprile 2012, attualmente all'esame della Camera.
      Tale provvedimento prevede la delega al Governo in materia di giochi pubblici. Nell'ambito di tale delega venivano previste, oltre ad una raccolta sistematica della disciplina e ad un riordino del prelievo erariale sui singoli giochi, specifiche disposizioni volte alla tutela dei minori dalla pubblicità dei giochi ed al recupero dei soggetti interessati dal fenomeno della ludopatia.
      Nel provvedimento, attualmente all'esame del Senato, viene confermato il modello organizzativo fondato sul regime concessorio ed autorizzatorio, ritenuto indispensabile per la tutela della fede, dell'ordine e della sicurezza pubblici, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi.
      Non essendosi celermente concluso l’iter parlamentare della legge delega, con il Ministro Balduzzi e con gli altri colleghi del Governo, abbiamo ritenuto che fosse necessario affrontare la problematica con urgenza, nell'ambito del decreto-legge n.  158 del 2012 convertito dalla legge n.  158 del 2012 recante «disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute.».
      In considerazione della diffusione della cosiddetta sindrome da gioco con vincita di denaro, che sta acquistando in alcune fasce di popolazione un carattere epidemico, generando forti disagi di carattere socio-economico e sanitario, viene previsto il riconoscimento della ludopatia, quale patologia che caratterizza i soggetti affetti da dipendenza comportamentale dal gioco d'azzardo patologico, ai fini dell'aggiornamento delle prestazioni erogabili dal Servizio sanitario. Viene, altresì, stabilita un'equiparazione di tale patologia alle altre dipendenze, al fine di garantire ai suddetti soggetti, il bisogno di salute, l'equità nell'accesso all'assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza.
      Con lo stesso provvedimento sono state introdotte altre disposizioni urgenti in materia di misure di contrasto alla ludopatia. Tali misure consentono di soddisfare l'esigenza di uno specifico intervento su alcuni fondamentali aspetti dei corretti stili di vita, il cui mancato controllo genera patologie per una larga fascia di cittadini ed incremento di spesa per il servizio sanitario nazionale.
      In particolare, si interviene con una regolamentazione degli spot televisivi in determinate fasce orarie e nei programmi e nelle rappresentazioni rivolte ai minori.
      Si prevede, altresì, il divieto di pubblicità in determinati luoghi protetti frequentati prevalentemente da minori, quali le sale cinematografiche in occasione della proiezione di film destinati prevalentemente alla visione dei minori, nonché sui mezzi di trasporto pubblico e sulla stampa giornaliera e periodica destinata ai minori.
      Sono vietati i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro che incitino al gioco, ovvero ne esaltino la pratica e quelli in cui vi sia la presenza di minori.
      Nei messaggi devono, inoltre, essere presenti formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica del gioco e di note informative sulle probabilità di vincita, pubblicate sul sito istituzionale dell'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, su quelli dei singoli concessionari dei giochi, nonché presso i punti di raccolta dei giochi.
      Inoltre, viene stabilita l'entità delle sanzioni per la violazione dei divieti previsti, disponendo una sanzione di maggiore entità nel caso in cui la violazione del divieto avvenga in mancanza delle prescritte autorizzazioni o concessioni governative.
      La nuova normativa mira a sottrarre le fasce più deboli della popolazione dall'influsso negativo del sistema pubblicitario che, invitando al gioco con scommesse con vincita in denaro, conduce le categorie più vulnerabili all'abuso di tale pratica.
      Peraltro, nel procedimento di conversione, la Camera ha introdotto il divieto di mettere a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on line, da soggetti autorizzati all'esercizio dei giochi a distanza, ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio od autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità.
      I gestori di sale da gioco e di esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici, ovvero di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, sono tenuti a esporre, all'ingresso e all'interno dei locali, il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali, diretto a evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul territorio dei servizi di assistenza pubblici e del privato sociale dedicati alla cura e al reinserimento sociale delle persone con patologie correlate alla sindrome da gioco d'azzardo (G.A.P.), come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità.
      Competente in merito alle attività di contestazione degli illeciti e di irrogazione delle sanzioni, ai sensi della legge n.  689 del 1981 è l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
      Con un'altra modifica introdotta dalla Camera viene previsto che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca segnali agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del tema del gioco responsabile, affinché gli istituti, nell'ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco ed i potenziali rischi connessi all'abuso o all'errata percezione del medesimo.
      Sono state inasprite le sanzioni concernenti il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di diciotto anni.
      A tal fine, i giocatori devono essere identificati mediante richiesta di esibizione di un idoneo documento di riconoscimento, tranne nei casi in cui la maggiore età sia manifesta. Il titolare dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco che consente la partecipazione ai giochi pubblici a minori di diciotto anni, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila a ventimila euro (in precedenza da cinquecento a mille euro).
      Indipendentemente dalla sanzione amministrativa pecuniaria e anche nel caso di pagamento in misura ridotta della stessa, la violazione prevista è punita con la chiusura dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco da dieci fino a trenta giorni (in precedenza fino a quindici giorni). Inoltre, per i soggetti che nel corso di un triennio commettono tre violazioni, anche non continuative, è disposta la revoca di qualunque autorizzazione o concessione amministrativa.
      In base ad un'altra norma aggiunta dalla Camera, il Ministero dell'economia e delle finanze, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, emana un decreto per la progressiva introduzione obbligatoria di idonee soluzioni tecniche, volte a bloccare automaticamente l'accesso ai giochi per i minori, nonché ad avvertire automaticamente il giocatore dei pericoli di dipendenza dal gioco.
      Viene previsto un piano annuale di controlli, predisposto dall'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, d'intesa con la società italiana autori ed editori, la polizia di Stato, l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza, consistente in almeno diecimila verifiche, specificamente destinate al contrasto del gioco minorile, nei confronti degli esercizi commerciali in cui sono presenti apparecchi di gioco Amusement with prizes (AWP), cioè quegli apparecchi che si attivano con l'introduzione di moneta metallica ovvero con appositi strumenti di pagamento elettronico, nelle aree e nelle sale con videoterminali o attività di scommessa su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, collocati in prossimità di istituti scolastici primari e secondari, di strutture sanitarie ed ospedaliere, di luoghi di culto.
      Si prevede, inoltre, la possibilità di segnalazione all'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato da parte degli agenti di polizia locale di violazioni in materia di giochi con vincite in denaro constatate nel corso della loro attività ordinaria.
      È prevista anche una progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta di alcuni giochi, con riferimento ai punti prossimi a istituti scolastici primari e secondari, strutture sanitarie ed ospedaliere, luoghi di culto.
      Viene prevista, infine, l'istituzione di un osservatorio per la valutazione delle misure più efficaci a contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave.
      Ritengo che il Governo e il Parlamento abbiano affrontato il preoccupante fenomeno delle patologie correlate al gioco con vincita in denaro con grande tempestività e serietà ma, soprattutto, con grande sensibilità nei confronti delle fasce più deboli della popolazione.
      Mi auguro che l'entrata in vigore dell'intera disciplina dia un importante ed efficace contributo alla prevenzione, al contrasto ed alla cura della ludopatia.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      D'AMICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel comune di Gorgonzola (Milano) è situata una caserma dei vigili del fuoco in una struttura di proprietà dell'amministrazione comunale. La caserma è considerata di estrema importanza, in quanto assicura una copertura di buona parte del territorio provinciale ad est di Milano;
          la caserma necessita di urgenti lavori di manutenzione che se non effettuati a breve ne pregiudicherebbero l'operatività;
          l'amministrazione comunale ha, anche a causa dei continui tagli ai trasferimenti di fondi dallo Stato, difficoltà a far fronte alla situazione;
          ad aggravare ulteriormente la situazione vi è il fatto che l'amministrazione dell'interno non corrisponde dal 2008 il canone annuo d'affitto al comune di Gorgonzola per un totale dovuto e non riscosso pari complessivamente ad euro 332.573,50  –:
          per quali motivi non sia stato corrisposto il dovuto canone di locazione;
          se esistano ancora motivi ostativi al pagamento del suddetto canone e se, considerata la gravità della situazione, sia possibile corrispondere urgentemente al comune di Gorgonzola gli importi dovuti per il canone di locazione dell'immobile in cui è ubicata la locale caserma dei vigili del fuoco, in modo da onorare il contratto di locazione permettendo poi la realizzazione di lavori di manutenzione.
(4-15026)

      Risposta. — La sede del distaccamento dei vigili del fuoco di Gorgonzola è ubicata in un immobile di proprietà comunale e, dal 23 aprile 2007, è in vigore un contratto di locazione per la durata di sei anni, con scadenza 22 aprile 2013, in base al quale al comune di Gorgonzola viene corrisposto un canone annuo pari ad euro 85.215,40.
      Tale contratto di locazione è stato approvato con decreto ministeriale registrato alla Corte dei conti e la direzione Provinciale del tesoro di Milano è stata autorizzata, con ruolo di spesa fissa, a pagare il predetto canone annuo di euro 85.215,40 per il periodo 23 aprile 2007-22 aprile 2013.
      Il ruolo in argomento è stato poi inviato, in data 4 aprile 2012, al Ministero dell'economia e delle finanze – Direzione-Centrale dei Servizi del tesoro, subentrata alle direzioni provinciali del tesoro nella gestione dei ruoli di spesa fissa.
      La citata direzione-centrale ha peraltro comunicato al dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile che il ruolo in argomento non risulta inserito nel proprio sistema ed ha chiesto un ulteriore invio della relativa documentazione, cui l'ufficio competente ha immediatamente dato seguito, adempiendo tempestivamente a tutti gli incombenti necessari per il pagamento del corrispettivo di locazione al Comune di Gorgonzola, essendo gli ulteriori provvedimenti di esclusiva competenza del Ministero dell'economia e delle finanze.
      Per quanto attiene ai periodi antecedenti l'approvazione dell'ultimo contratto di locazione, gli stessi sono stati saldati, con pagamenti riferiti ad una occupazione di tipo extracontrattuale: con decreto di riconoscimento del debito, in data 23 luglio 2009, in forza del quale è stato corrisposto il pagamento di euro 434.361,50.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Giovanni Ferrara.


      DE POLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in Italia, l'adozione internazionale è regolata dalla legge n.  184 del 1983 così come modificata dalla legge n.  476 del 1998 e dalla legge n.  149 del 2001. Secondo questa norma, le persone residenti in Italia che intendono adottare un minore straniero residente all'estero, presentano dichiarazione di disponibilità al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza e chiedono che lo stesso dichiari la loro idoneità all'adozione. Sono tre i requisiti fondamentali: i coniugi devono essere sposati da almeno tre anni, la differenza di età tra i coniugi e l'adottato deve essere compresa tra i 18 e i 45 anni, infine i coniugi devono essere idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare. Letti i pareri e la relazione dei servizi socio-assistenziali degli enti locali, il tribunale dei minori, previo ulteriore colloquio con il giudice, dichiara l'idoneità o l'insussistenza dei requisiti all'adozione della coppia;
          Amici dei Bambini (Ai.Bi.) è uno degli enti storici dell'adozione internazionale in Italia operativo in 20 Paesi dell'Europa, America, Asia, Africa che in tutto il mondo aiuta i bambini e i genitori in difficoltà, accompagnando le coppie in percorsi orientati all'adozione internazionale;
          nel 2009 una coppia ha iniziato le procedure per un'adozione internazionale, dopo numerose peripezie e lungaggini burocratiche; ha ricevuto la chiamata nel 2011 da parte dell'ente AiBi, dopo essere stata messa a conoscenza dell'abbinamento con una bambina di 9 mesi dello Sri Lanka di cui sono state fornite anche le foto; i coniugi sarebbero dovuti partire da lì a poco per il Paese per completare la pratica di adozione e tornare finalmente con la bambina. Dopo alcuni giorni però per vicende legate all'orfanotrofio dove la bambina risiede, lo Sri Lanka ha sospeso di fatto tutte le adozioni. Da allora non si sa più nulla di ufficiale; ci si è trovati così di fronte al classico «muro di gomma» non riuscendo più ad avere informazioni;
          in questa situazione si trovano numerose altre coppie italiane che, disperate, non possono fare altro che attendere con speranza qualsiasi tipo di sviluppo  –:
          in che modo il Governo intenda risolvere la situazione che coinvolge molte coppie italiane che intendono adottare un bambino nello Sri Lanka e anche negli altri Stati e quali iniziative intenda assumere affinché casi simili non si ripresentino in futuro. (4-18127)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Governo in merito ad alcune questioni concernenti le adozioni internazionali.
      Più specificamente, l'interrogante, prendendo spunto dalla segnalazione di un caso particolarmente delicato di adozione internazionale nello Sri Lanka, seguito nel 2011 dall'ente Amici dei bambini (Ai.Bi.). segnala le difficoltà che si trovano ad affrontare numerose coppie che intendono adottare un bambino nello Sri Lanka.
      In proposito, mi pare importante riferire che, per quanto concerne la materia delle adozioni, la normativa dello Sri Lanka prevede una competenza ripartita fra organismi a livello locale e centrale.
      In particolare, vi sono le commissioni provinciali le quali sono competenti, in prima battuta, per l'individuazione dei minori da destinare a coppie srilankesi, mentre l'autorità nazionale
(department of probation and child care services) ha competenza per le residuali assegnazioni alle coppie straniere.
      Le commissioni provinciali forniscono, quindi, all'autorità nazionale l'elenco dei minori che non sono stati adottati da famiglie srilankesi e che sono pertanto a disposizione delle coppie straniere.
      Secondo i dati in possesso della commissione per le adozioni internazionali, autorità centrale per la Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, dal 2001 al 2007, si è registrata una media annuale di 6 adozioni di minori srilankesi da parte di coppie italiane. Nel successivo quadriennio, vi è stato un incremento dei procedimenti adottivi (12 nel 2008, 14 nel 2009, 17 nel 2010 e 18 nel 2011), fino alla sospensione degli iter d'adozione internazionale, stabilita dalle autorità locali a seguito di un presunto fenomeno di compravendita di minori.
      La sospensione delle procedure adottive, richiamata anche dall'interrogante, risale al novembre 2011. In quel periodo, infatti, le autorità srilankesi
(National child protection authority) decisero di intervenire nei confronti dell'orfanotrofio prem Nivasa di Moratuwa (20 chilometri a sud di Colombo), gestito dalle suore missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, che era stato accusato di favorire la compravendita di minori a favore di coppie straniere.
      Nell'arco di poche settimane, le accuse all'istituto si rivelarono infondate e il provvedimento sospensivo fu revocato. Tuttavia, a partire da tale episodio, anche per effetto dell'incremento del livello di benessere socio-economico che rende sempre più possibile procedere alle adozioni nazionali, le dinamiche interne in tale settore sono in evoluzione, con conseguente limitazione della possibilità di adozione internazionale.
      Dalla documentazione trasmessa dagli uffici, risulta che da gennaio 2012 ad oggi sono state autorizzate 2 adozioni di minori srilankesi a favore di una coppia italiana.
      Al momento, sono disponibili solamente 4 o 5 minori per le adozioni internazionali, a fronte di un contingente massimo per il 2012, stabilito in
Gazzetta Ufficiale, di 75 bambini. Inoltre, sono circa 400 le famiglie straniere in lista di attesa, nonostante il ridotto numero di minori adottabili.
      Come riferito dagli uffici, le autorità srilankesi seguono – come prassi non scritta – un ordine di priorità per cui un bambino da adottare viene prima proposto a famiglie srilankesi, poi a genitori di cui almeno uno abbia la doppia cittadinanza (srilankese e straniera), successivamente a cittadini stranieri precedentemente srilankesi e, infine e solo in subordine, alle coppie straniere.
      L'attuale politica srilankese in materia è quella di invitare le nuove coppie straniere interessate ad un'adozione in Sri Lanka, a ponderare attentamente le difficoltà presenti ed a considerare eventualmente ipotesi alternative.
      Sono consapevole della delicata situazione in cui si vengono a trovare molte coppie italiane, che intendono adottare un bambino nello Sri Lanka, situazione in merito alla quale è stata richiamata l'attenzione del Governo da parte dell'interrogante.
      Tuttavia, posso assicurare che il Ministero degli affari esteri, tramite la nostra ambasciata a Colombo e in stretto raccordo con la competente commissione per le adozioni internazionali, segue con estrema attenzione la situazione delle adozioni internazionali nello Sri Lanka, nell'interesse dei minori e delle coppie adottanti.

Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      DI STANISLAO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          le adozioni internazionali in Sri Lanka sono ferme da novembre 2011. Sono state bloccate tutte le procedure adottive, compresi gli abbinamenti già formalizzati. Tutto questo è successo in seguito ad un increscioso episodio che ha visto coinvolte le missionarie della carità in Sri Lanka (suore di Madre Teresa di Calcutta); «su denuncia di una telefonata anonima, il 23 novembre 2011, un gruppo di perone guidato da Anoma Dissanayake, Presidente della Ncpa (National child protection authority), ha circondato e fatto irruzione nell'Orfanotrofio, Prem Nivasa di Moratuwa, delle missionarie della carità, accusando Suor Mary Eliza, di adozioni illegali. Il 25 novembre è scattato l'arresto per Suor Eliza, rilasciata poi su cauzione il 29 novembre»;
          il 5 dicembre 2011 il magistrato Yvonne Fernando ha scagionato suor Mary Eliza dall'accusa di adozioni illegali. Il procuratore Nevil Abeyratne ha dichiarato che la Ncpa ha agito «in modo irresponsabile» e ha offuscato l'immagine limpida delle suore di Madre Teresa, che da anni servono la società srilankese;
          nonostante le accuse si siano dimostrate palesemente infondate, il Paese continua la sua chiusura alle adozioni internazionali. L'ultima informazione pervenuta è che una commissione di otto membri avrebbe dovuto rivedere le procedure adottive internazionali e che, in seguito a questa operazione, a maggio 2012, sarebbero riprese le partenze. Purtroppo, nulla è successo;
          gli enti italiani in Sri Lanka sono in attesa di notizie ufficiali da quasi un anno. Le richieste di informazioni al Department of probation and child care services of Sri Lanka (organismo preposto alle adozioni) non hanno avuto risposta. Ancora oggi, le famiglie italiane, non hanno notizie certe ed affidabili da parte del Paese sul fronte della ripresa delle adozioni  –:
          se il Governo intenda verificare la reale posizione del Paese relativamente alle adozioni internazionali e ottenere notizie ufficiali da parte del Department of probation and child services sul futuro delle adozioni italo-cingalesi e, nello specifico, sul futuro delle pratiche adottive di tante famiglie italiane, accolte e non concluse. (4-18494)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Governo in merito ad alcune delicate questioni concernenti le adozioni internazionali, con particolare riferimento a quelle provenienti dallo Sri Lanka.
      L'interrogante, in particolare, richiamando un increscioso episodio che ha visto coinvolte le suore missionarie della carità in Sri Lanka, sottolinea le difficoltà che si trovano ad affrontare numerose coppie che intendono adottare un bambino in tale Paese.
      Al riguardo, posso assicurare che il Governo è a conoscenza della vicenda specificamente segnalata e, più in generale, della difficoltà delle procedure per le adozioni internazionali di bambini provenienti dallo Sri Lanka.
      In proposito, mi pare importante sottolineare che, per quanto concerne la materia delle adozioni, la normativa dello Sri Lanka prevede una competenza ripartita fra organismi a livello locale e centrale.
      In particolare, vi sono le commissioni provinciali le quali sono competenti, in prima battuta, per l'individuazione dei minori da destinare a coppie srilankesi, mentre l'autorità nazionale
(Department of probation and child care services) ha competenza per le residuali assegnazioni alle coppie straniere.
      Le commissioni provinciali forniscono, quindi, all'autorità nazionale l'elenco dei minori che non sono stati adottati da famiglie srilankesi e che sono pertanto a disposizione delle coppie straniere.
      Secondo i dati in possesso della commissione per le adozioni internazionali, autorità centrale per la Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, nel periodo dal 2001 al 2007, si è registrata una media annuale di 6 adozioni di minori srilankesi da parte di coppie italiane.
      Nel successivo quadriennio, vi è stato un incremento dei procedimenti adottivi (12 nel 2008, 14 nel 2009, 17 nel 2010 e 18 nel 2011), fino alla sospensione degli iter d'adozione internazionale, stabilita dalle autorità locali a seguito di un presunto fenomeno di compravendita di minori.
      La sospensione delle procedure adottive, richiamata anche dall'interrogante, risale al novembre 2011. In quel periodo, infatti, le autorità srilankesi
(National child protection authority) decisero di intervenire nei confronti dell'orfanotrofio Prem Nivasa di Moratuwa (20 chilometri a sud di Colombo), gestito dalle suore missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, che era stato accusato di favorire la compravendita di minori a favore di coppie straniere.
      Nell'arco di poche settimane, come riportato anche dall'interrogante, le accuse all'istituto si rivelarono infondate e il provvedimento sospensivo fu revocato.
      Tuttavia, a partire da tale episodio, anche per effetto dell'incremento del livello di benessere socio-economico che rende sempre più concreta la possibilità di procedere alle adozioni nazionali, le dinamiche interne in tale settore sono in evoluzione, con conseguente limitazione della possibilità di adozione internazionale.
      Dalla documentazione trasmessa dagli uffici, risulta che da gennaio 2012 ad oggi sono state autorizzate 2 adozioni di minori srilankesi a favore di una coppia italiana. Al momento, sono disponibili solamente 4 o 5 minori per le adozioni internazionali, a fronte di un contingente massimo per il 2012, stabilito in
Gazzetta Ufficiale, di 75 bambini. Inoltre, sono circa 400 le famiglie straniere in lista di attesa, nonostante il ridotto numero di minori adottabili.
      Come riferito dagli uffici, le autorità srilankesi seguono – come prassi non scritta – un ordine di priorità per cui un bambino da adottare viene prima proposto a famiglie srilankesi, poi a genitori di cui almeno uno abbia la doppia cittadinanza (srilankese e straniera), successivamente a cittadini stranieri precedentemente srilankesi e, infine e solo in subordine, alle coppie straniere.
      L'attuale politica srilankese in materia è quella di invitare le nuove coppie straniere interessate ad un'adozione in Sri Lanka, a ponderare attentamente le difficoltà presenti ed a considerare eventualmente ipotesi alternative.
      Sono consapevole della delicata situazione in cui si vengono a trovare molte coppie italiane, che intendono adottare un bambino nello Sri Lanka, situazione in merito alla quale è stata richiamata l'attenzione del Governo da parte dell'interrogante.
      Sebbene non vi siano accordi bilaterali vigenti con lo Sri Lanka, posso comunque assicurare che il Ministero degli affari esteri, tramite la nostra ambasciata a Colombo e in stretto raccordo con la competente commissione per le adozioni internazionali, segue con estrema attenzione la situazione delle adozioni internazionali nello Sri Lanka, nell'interesse dei minori e delle coppie adottanti.

Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      EVANGELISTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'Ai.Bi. associazione Amici dei Bambini, è un'organizzazione umanitaria, costituita nel 1986 da un movimento di famiglie adottive e affidatarie, che opera in Italia e in altri 25 Paesi per tutelare il diritto di ogni bambino ad avere una famiglia;
          tale associazione realizza interventi volti a: supportare famiglie in difficoltà e bambini a rischio di abbandono; gestire case famiglia e programmi di affido; portare a compimento reinserimento di minori nella famiglia di origine; adozioni nazionali (all'estero) e internazionali; accompagnare l'inserimento degli adolescenti fuori famiglia nella società;
          nel 2009, i signori Grigatti di Buggiano (PT) hanno iniziato la procedura per l'adozione internazionale e, dopo numerose peripezie e lungaggini burocratiche, nel novembre 2011 l'Ai.Bi. comunica loro l'abbinamento con un bambina in Sri Lanka di 9 mesi;
          al momento di partire e raggiungere questo Paese per completare la pratica di adozione, è accaduto un non meglio identificato episodio che ha visto coinvolta una suora cattolica, direttrice proprio dell'orfanotrofio dove la bimba in questione si trovava;
          la suora, anche arrestata, è stata poi scagionata poche settimane dopo con tanto di scuse ufficiali da parte del Governo e del Primo Ministro ma nel frattempo erano state sospese tutte le procedure adottive, compresi gli abbinamenti che erano stato già formalizzati;
          da quel momento in poi la famiglia Grigatti si è trovata di fronte al classico «muro di gomma» non riesce ad avere informazioni e l'ente comunica loro che non possono fare altro che «attendere con speranza»;
          le autorità dello Sri Lanka hanno più volte asserito di non aver bloccato le adozioni internazionali e comunicato alla famiglia che tutto è pronto ma nei fatti si resta fermi a quel 24 novembre 2011 mentre la bimba cresce in un orfanotrofio;
          nella stessa situazione si trovano numerose altre coppie in tutta Italia, tutte con lo stesso problema senza che le autorità ne siano a conoscenza  –:
          se sia a conoscenza della problematica di cui alla premessa e della vicenda citata in particolare;
          di quali informazioni disponga relativamente alle procedure adottive avviate da tante famiglie italiane e non concluse;
          quali siano gli accordi bilaterali vigenti, nella fattispecie con lo Sri Lanka, e se vi siano particolari procedure ostative in caso di adozione. (4-17819)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Governo in merito ad alcune questioni concernenti le adozioni internazionali.
      L'interrogante, in particolare, prendendo spunto dalle problematiche riguardanti la definizione di una procedura di adozione internazionale nello Sri Lanka, seguita nel 2011 dall'ente Amici dei bambini (Ai.Bi.), sottolinea le difficoltà che si trovano ad affrontare numerose coppie che intendono adottare un bambino in tale Paese.
      Al riguardo, posso assicurare che il Governo è a conoscenza della vicenda specificamente segnalata e, più in generale, della difficoltà delle procedure per le adozioni internazionali di bambini provenienti dallo Sri Lanka.
      In proposito mi pare importante sottolineare che, per quanto concerne la materia delle adozioni, la normativa dello Sri Lanka prevede una competenza ripartita fra organismi a livello locale e centrale.
      In particolare, vi sono le commissioni provinciali le quali sono competenti, in prima battuta, per l'individuazione dei minori da destinare a coppie srilankesi, mentre l'autorità nazionale
(department of probation and child care services) ha competenza per le residuali assegnazioni alle coppie straniere.
      Le commissioni provinciali forniscono, quindi, all'autorità nazionale l'elenco dei minori che non sono stati adottati da famiglie srilankesi e che sono pertanto a disposizione delle coppie straniere.
      Secondo i dati in possesso della commissione per le adozioni internazionali, autorità centrale per la Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, nel periodo dal 2001 al 2007, si è registrata una media annuale di 6 adozioni di minori srilankesi da parte di coppie italiane.
      Nel successivo quadriennio, vi è stato un incremento dei procedimenti adottivi (12 nel 2008, 14 nel 2009, 17 nel 2010 e 18 nel 2011), fino alla sospensione degli iter d'adozione internazionale, stabilita dalle autorità locali a seguito di un presunto fenomeno di compravendita di minori.
      La sospensione delle procedure adottive, richiamata anche dall'interrogante, risale al novembre 2011. In quel periodo, infatti, le autorità srilankesi
(National child protection authority) decisero di intervenire nei confronti dell'orfanotrofio Prem Nivasa di Moratuwa (20 chilometri a sud di Colombo), gestito dalle suore missionarie della città di Madre Teresa di Calcutta, che era stato accusato di favorire la compravendita di minori a favore di coppie straniere.
      Nell'arco di poche settimane, le accuse all'istituto si rivelarono infondate e il provvedimento sospensivo fu revocato. Tuttavia, a partire da tale episodio, anche per effetto dell'incremento del livello di benessere socio-economico che rende sempre più concreta la possibilità di procedere alle adozioni nazionali, le dinamiche interne in tale settore sono in evoluzione, con conseguente limitazione della possibilità di adozione internazionale.
      Dalla documentazione trasmessa dagli uffici, risulta che da gennaio 2012 ad oggi sono state autorizzate 2 adozioni di minori srilankesi a favore di una coppia italiana. Al momento, sono disponibili solamente 4 o 5 minori per le adozioni internazionali, a fronte di un contingente massimo per il 2012, stabilito in
Gazzetta Ufficiale, di 75 bambini. Inoltre, sono circa 400 le famiglie straniere in lista di attesa, nonostante il ridotto numero di minori adottabili.
      Come riferito dagli uffici, le autorità srilankesi seguono – come prassi non scritta – un ordine di priorità per cui un bambino da adottare viene prima proposto a famiglie srilankesi, poi a genitori di cui almeno uno abbia la doppia cittadinanza (srilankese e straniera), successivamente a cittadini stranieri precedentemente srilankesi e, infine e solo in subordine, alle coppie straniere.
      L'attuale politica srilankese in materia è quella di invitare le nuove coppie straniere interessate ad un'adozione in Sri Lanka, a ponderare attentamente le difficoltà presenti ed a considerare eventualmente ipotesi alternative.
      Sono consapevole della delicata situazione in cui si vengono a trovare molte coppie italiane, che intendono adottare un bambino nello Sri Lanka, situazione in merito alla quale è stata richiamata l'attenzione del Governo da parte dell'interrogante.
      Sebbene non vi siano accordi bilaterali vigenti con lo Sri Lanka, posso comunque assicurare che il Ministero degli affari esteri, tramite la nostra ambasciata a Colombo e in stretto raccordo con la competente Commissione per le adozioni internazionali, segue con estrema attenzione la situazione delle adozioni internazionali nello Sri Lanka, nell'interesse dei minori e delle coppie adottanti.

Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riferisce l'agenzia «ASCA» il 6 settembre 2011, il dipartimento politiche antidroga, in riferimento alle esternazioni del cantante Vasco Rossi in relazione alle conseguenze inerenti al consumo della cannabis, «concorda con le dichiarazioni rilasciate alla stampa dalla professoressa Bertol, presidente dell'Associazione Scientifica Gruppo Tossicologi Forensi Italiani»;
          secondo quanto riferito dalla professoressa Bertol, e riferito dall'agenzia «ASCA» il consumo di cannabis comporterebbe un elevato grado di pericolosità, «effetti che sono stati per troppo tempo sottovalutati»;
          il capo del dipartimento politiche antidroga dottor Alfonso Serpelloni «non può che condividere la posizione dei tossicologi forensi, tra l'altro i risultati degli studi portati avanti da questo Dipartimento effettuati sui giovani consumatori di cannabis hanno messo in evidenza con risonanze magnetiche come il consumo di cannabis distrugge i neuroni e riduce lo spessore della corteccia cerebrale. Si assiste cioè ad una riduzione dello spessore corticale della sostanza grigia che diventa più sottile soprattutto nei prefrontali. E un cervello malato sotto l'influenza della cannabis, non ci stancheremo mai di ricordare, non funziona a dovere, ma altera la propria rapidità di analisi e di decisione, di attenzione e di coordinamento»  –:
          a quali studi si riferisca la presa di posizione del professor Serpelloni;
          quali giovani consumatori, i citati studi, abbiano coinvolto;
          quali esperti abbiamo potuto partecipare agli studi citati dal professor Serpelloni;
          se i giovani consumatori abbiano dato il loro consenso e siano comunque stati informati dello studio che li riguardava;
          presso quali strutture siano state effettuate queste risonanze magnetiche;
          se e dove sia reperibile la documentazione citata. (4-13396)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede notizie in merito ad uno studio effettuato sui giovani consumatori di cannabis.
      Al riguardo, mi viene riferito che lo studio, commissionato dal dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri (DPA) all'azienda ULSS 20 Verona – dipartimento delle dipendenze, riguarda la mappatura cerebrale delle aree del
craving e del resisting ed identificazione dei danni cerebrali in soggetti tossicodipendenti: uno studio con risonanza magnetica encefalica ad alto campo.
      L'obiettivo della ricerca è quello di descrivere le possibili alterazioni della struttura cerebrale confrontando pazienti tossicodipendenti e un gruppo di controllo. L'uso di tecniche avanzate di neuroimmagine con risonanza magnetica ad alto campo permette infatti per la prima volta in Italia di studiare gli effetti della tossicodipendenza da un punto di ultrastrutturale, correlando le alterazioni cerebrali al tipo di sostanza e dal tempo di utilizzo.
      Lo studio, quindi, si pone l'obiettivo primario di dimostrare come l'uso di droghe possa alterare il corretto funzionamento cerebrale e portare ad alterazioni cerebrali simili a vere e proprie malattie degenerative.
      In particolare, è stata effettuata una analisi dello spessore corticale cerebrale in adolescenti con uso di
cannabis: tramite risonanza magnetica (RM), metodica diagnostica ormai molto diffusa che trova uno dei maggiori campi di impiego nello studio del sistema nervoso centrale, consentendone uno studio particolarmente dettagliato.
      Le condizioni psico-fisiche dei soggetti interessati prima e dopo l'esame sono state monitorate presso l'unità operativa di neuroscienze dell'ULSS 20 di Verona.
      Ad ottobre 2011, i risultati preliminari ottenuti dall'analisi dello spessore corticale nei ragazzi, consumatori abituali di
cannabis, avrebbero mostrato una riduzione del volume cerebrale principalmente nelle regioni temporo-mesiali, normalmente coinvolte nella capacità di memorizzare e quindi di apprendere nuove informazioni. La riduzione corticale sarebbe presente anche a livello parietale, sede della corteccia motoria responsabile del controllo dei movimenti, e delle aree premotorie necessarie alla preparazione delle azioni. Ne sarebbero derivate quindi, a livello comportamentale, delle difficoltà cognitive di apprendimento e motorie di coordinazione normalmente riferite dal soggetto stesso, con negative ripercussioni sulla sua vita quotidiana (ad esempio difficoltà scolastiche).
      Nonostante questi siano ancora dati preliminari è attualmente in corso una fase di ampliamento dei dati per incrementare l'omogeneità e il numero del campione di studio. Sono inoltre in corso delle analisi di correlazione tra i risultati a test neuropsicologici somministrati ai soggetti e gli indici di spessore corticale per il confronto tra alterazione dell'anatomia cerebrale, consumo di
cannabis e deficit cognitivi (apatia, rallentamento motorio e smemoratezza).
      Ricordo anche che lo studio in oggetto ha interessato un gruppo di adolescenti al fine di definire una mappa morfofunzionale di sviluppo neuro-cognitivo e di confrontare i risultati ottenuti dal gruppo di controllo, che non usa droghe, con quella del gruppo di tossicodipendenti.
      In particolare, il campione ha riguardato venti adolescenti: dieci consumatori di
cannabis e altri dieci di pari età non consumatori, di età media di diciassette anni (tra i 16 e i 18), con un uso life time di cannabis in media di due anni, con un'età di inizio d'uso tra i quindici e sedici anni e con una frequenza d'uso quotidiana (per quattro soggetti) o nel week-end (per sei soggetti).
      Lo sviluppo del progetto è stato coordinato dal gruppo di direzione tecnico-scientifica del dipartimento politiche antidroga (DPA), dall'azienda ULSS 20 dipartimento delle dipendenze, dall'azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona Borgo Trento, dipartimento di neuroradiologia e dal comitato scientifico del dipartimento politiche antidroga. Quest'ultimo è un organo che opera in ambito strategico al fine di fornire indicazioni, pareri e criteri generali principalmente nelle aree di interesse scientifico: le neuroscienze nelle tossicodipendenze, gli aspetti psicocomportamentali, gli aspetti sociali ed educativi correlati, gli aspetti farmacologici, clinici, neuroimaging e le ricadute rilevanti per la pratica clinica e riabilitativa. Tutti i partecipanti hanno fornito il consenso informato all'esecuzione dell'esame risonanza magnetica e alle sue modalità (per i minorenni la procedura per il consenso informato prevede un visto firmato da almeno un genitore presente al momento dell'esame). A tutti i partecipanti è stato fornito un foglio di descrizione dell'esame risonanza magnetica, i benefici che derivano dallo studio e gli obiettivi del progetto. Le risonanze magnetiche sono state eseguite presso il servizio di neuroradiologia dell'azienda ospedaliera di Verona dove è stato installato un apparecchio di risonanza magnetica 3.0 Tesla che si caratterizza dal punto di vista tecnico, rispetto agli apparecchi di risonanza magnetica utilizzati a scopi clinici, per la maggiore intensità del campo magnetico statico e che consente di ottenere esami di risonanza magnetica di migliore qualità, nonché di eseguire studi funzionali e di spettroscopia utili ai fini diagnostici. Si segnala che questo tipo di apparecchio permette l'acquisizione di uno studio risonanza magnetica morfologico di maggiore contenuto informativo rispetto al medesimo studio acquisito su apparecchi risonanza magnetica di minore intensità di campo magnetico, l'utilizzazione di tecniche di esame innovative (attivazione, diffusione, perfusione e spettroscopia), che consentono di studiare alcuni importanti fenomeni fisiologici, utili ai fini diagnostici nel modo più dettagliato rispetto ai normali apparecchi di risonanza magnetica.
      La documentazione sanitaria è reperibile presso il dipartimento delle dipendenze, azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona Borgo Trento, dipartimento di neuroradiologia.

Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il quotidiano La Repubblica nella sua edizione del 10 giugno 2012 ha pubblicato una corrispondenza dell'inviato Antonio Fraschilla, significativamente intitolata: «Comiso, pagati per non far nulla nell'aeroporto dei fantasmi»;
          nel citato articolo si riferisce, tra l'altro, che sessanta vigili del fuoco da un anno sono stati distaccati alla caserma di Ragusa per occuparsi della sicurezza dello scalo di Comiso, pronto dal 2007, ma ancora chiuso;
          lo scalo, costato 36 milioni di euro è chiuso a causa di un «pasticcio» burocratico tra Stato, regione ed Enac;
          i vigili del fuoco sono pagati, «per girarsi i pollici tutto il giorno», secondo l'efficace definizione dell'ex sindaco di Comiso Giuseppe Digiacomo, che guida la protesta degli amministratori locali della zona e il mese scorso ha digiunato una settimana chiedendo un intervento sullo «scandalo dell'aeroporto costruito e mai entrato in funzione»;
          a quanto risulta, lo scalo non è operativo perché nessuno vuole pagare i controllori di volo: non il Governo che non lo considera un aeroporto nazionale, non la regione che non ha fondi, non l'Enac perché non è uno scalo strategico, e nemmeno i privati che hanno vinto la gara per gestirlo e non hanno intenzione d'investire altro denaro;
          l'aeroporto è chiuso, ma intanto 60 vigili del fuoco da oltre un anno continuano ad essere distaccati «per assistenza allo scalo di Comiso» in una caserma che ha già di ruolo 149 dipendenti;
          secondo quanto calcolato dalle rappresentanze sindacali «in media ogni vigile guadagna circa 3.000 euro lordi al mese, quindi i 60 colleghi che ci hanno inviato in più nella nostra caserma a oggi sono costati 2,3 milioni di euro»;
          per aggiungere sprechi agli sprechi, nei mesi scorsi i vigili del fuoco hanno partecipato a un corso di formazione particolare per soccorsi aeroportuali;
          lo spreco non finisce qui: sono stati acquistati due grandi mezzi che servono per i soccorsi in caso d'incendio negli scali — circa 400 mila euro l'uno — e risultano da due anni chiusi nei garage delle caserme di Verona e Catania;
          lo scalo chiuso dal 2007 da quando è stato inaugurato dal vice Presidente del Consiglio pro tempore Massimo D'Alema da cinque anni è una cattedrale nel deserto; nel frattempo il comune, sognando incassi d'oro, ha costituito una società di gestione per il 35 per cento pubblica e il resto affidata ai privati con tanto di gara: a vincerla con un'offerta di 18 milioni di euro è stata la Intersac, composta dalla Sac che gestisce lo scalo di Catania e dal gruppo editoriale Ciancio-Sanfilippo;
          la Intersac ha già versato al comune il canone per l'occupazione del suolo per i prossimi 40 anni: 3,2 milioni di euro;    
          appare agli interroganti ingiustificabile che, nell'Italia delle emergenze e dei terremoti, con i vigili del fuoco che a livello nazionale lamentano la carenza del personale nelle zone a più alto rischio, si sia creata a Comiso una «sacca» di lavoro «dorato» quanto inutile  –:
          se quanto sopra esposto ed evidenziato corrisponda a verità;
          in caso affermativo, come si spieghi quello che agli interroganti appare un incredibile sperpero di denaro pubblico;
          quali urgente iniziative, per quanto di competenza, il Governo ritenga di dover promuovere, adottare o sollecitare.
(4-16628)

      Risposta. — L'aeroporto di Comiso «Vincenzo Magliocco», a 15 chilometri dalla città di Ragusa, nato come aeroporto militare, riconvertito all'aviazione generale civile e cargo, è stato inserito nel piano regionale del trasporto aereo siciliano che prevede la costituzione di due poli aeronautici: quello occidentale, costituito dagli aeroporti di Palermo e Trapani, e quello orientale, rappresentato dagli scali di Catania e Comiso.
      I lavori per la realizzazione del nuovo aeroporto di Comiso sono iniziati nel 2004 ed il completamento era stato previsto da ENAC per il 4 aprile 2010.
      L'operatività dei voli di linea, previa autorizzazione degli organi competenti, potrebbe avvenire entro quest'anno, stante l'impegno della regione Sicilia ad assumere economicamente gli oneri necessari per la fase di avvio.
      Allo stato, le maggiori difficoltà che si frappongono all'apertura dell'aerostazione di Comiso riguardano la copertura dei costi connessi ai servizi di assistenza alla navigazione aerea che non possono essere assicurati direttamente dall'ENAV in quanto lo scalo non rientra tra quelli di interesse nazionale. L'ENAV ha, comunque, manifestato la disponibilità ad espletare tali servizi sulla scorta di una convenzione a titolo oneroso di durata biennale, eventualmente prorogabile.
      A tal riguardo la regione siciliana ha assunto in via straordinaria un impegno finanziario di euro 4.500.000,00 e, in data 31 maggio 2012, ha proceduto all'effettivo trasferimento delle somme in favore del comune di Comiso.
      Nelle dotazioni organiche del corpo nazionale dei vigili del fuoco per la provincia di Ragusa, elaborate a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n.  217 del 2005, era stata prevista la copertura anche della sede aeroportuale. A seguito della mancata apertura dell'aeroporto, il personale previsto per tale struttura è attualmente impiegato presso la sede centrale del comando provinciale e presso i distaccamenti territoriali.
      Attualmente il comando di Ragusa presenta un organico effettivo di n.  149 vigili permanenti, ovvero il 16 per cento in più rispetto alla pianta organica, ma registra una carenza di capi reparto dell'83 per cento.
      In relazione a ciò risulta ridotto il numero dei richiami dei vigili volontari (rispetto ad una media annua di 207 richiami, per il 2o quadrimestre 2012 ne sono stati richiesti appena 12).
      Nel complesso, al comando provinciale di Ragusa sono assegnate 209 unità operative dislocate nelle sedi di Ragusa, Modica e Vittoria che vengono impiegate nel servizio di soccorso tecnico urgente e non espletano alcun servizio in ambito aeroportuale, ove peraltro non risulta ancora realizzata la sede di servizio definitiva.
      Non risulta, infine, disposta alcuna assegnazione di automezzi e di attrezzature aeroportuali in favore del comando provinciale di Ragusa, mentre un automezzo per il soccorso aeroportuale ASA, recentemente acquistato, è stato assegnato al comando provinciale di Catania e viene utilizzato per le esigenze operative di quella sede aeroportuale.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Giovanni Ferrara.


      JANNONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera di Trapani, inaugurata nel 2009, è un esempio dell'incontro tra antimafia e attenzione all'ambiente. Dopo la confisca a Vincenzo Virga, boss della mafia trapanese, la società è stata gestita dal 2000 in amministrazione giudiziaria. Parte da li la via crucis. L'azienda, che era stata fiorente in mano al boss, non riceveva più commesse. Nessuno voleva più acquistare il suo calcestruzzo, un tentativo dei poteri mafiosi di sottostimare la società per poterla riacquistare a un costo basso. Ma è un piano fortunatamente non riuscito e dal 2009 l'azienda è gestita da sei soci, già lavoratori dell'azienda prima del sequestro. Nell'area dello stabilimento di Trapani è stato realizzato, accanto alle strutture per la produzione di calcestruzzo, un impianto di riciclaggio di inerti tecnologicamente all'avanguardia. Ciò consente di recuperare materiali altrimenti destinati a finire in discarica o abbandonati nell'ambientale di trasformarli in una risorsa. Per Giacomo Messina, attuale presidente dell'azienda, «questa è l'antimafia dei fatti e non delle parole». Poi spiega la svolta green come «una possibilità in più per affrontare il mercato edilizio dove eravamo boicottati. Questa scelta è stata il risultato di una riflessione con Associazione Libera, Legambiente, Associazione nazionale produttori aggregati riciclati e l'amministratore giudiziario»;
          ancora oggi, però, esistono punti critici. Messina sostiene che «l'azienda viene per lo più utilizzata per disfarsi dei materiali derivanti dall'edilizia. Il prodotto finito, però, non viene valorizzato a causa di un pregiudizio da parte delle istituzioni e degli operatori del settore nei confronti del materiale riciclato». Alla Calcestruzzi Ericina si usa la tecnologia Rose (Recupero omogeneizzato degli scarti in edilizia). Si tratta di una tecnologia capace di garantire il miglior livello qualitativo dell'aggregato riciclato prodotto. All'azienda arrivano i rifiuti dell'edilizia provenienti da costruzioni e demolizioni su autocarro. I materiali vengono controllati tramite una telecamera a colori per verificarne la natura. Il materiale in ingresso viene selezionato. Se rintracciata la presenza di eternit, amianto o altri inquinanti, il carico viene rigettato. Viene alimentato l'impianto con il materiale ritenuto idoneo e si effettua una sgrossatura, vengono escluse, cioè, le parti più piccole che provocherebbero un'inutile usura del mulino e spreco di energia. Questa operazione consente, inoltre, la produzione separata di sabbie e terre naturali. Poi si procede alla macinazione. Le parti abbastanza grandi sono immesse nel mulino che, oltre alla riduzione della grandezza dei granuli, consente il distacco dell'armatura metallica contenuta nei blocchi in cemento armato. La separazione delle parti ferrose procede tramite un magnete. Dopo un'ulteriore selezione basata sulla misura dei granuli di materiale, si ricava l'inerte riciclato. Questo prodotto può essere utilizzato per riempimenti di sottofondi stradali, realizzazione di nuovo calcestruzzo e ripristini ambientali;
          anche se non gestita direttamente da Libera, la Calcestruzzi Ericina fa parte della sua rete e si è avvalsa del suo appoggio per superare i momenti del boicottaggio mafioso. L'attenzione all'ambiente è uno dei capisaldi di Libera. Come spiega Gianluca Faraone, presidente del Consorzio Libera Terra Mediterraneo: «Tutte le nostre aziende hanno le certificazioni del consorzio per il controllo dei prodotti biologici e dell'Istituto per la certificazione etica e ambientale». Oltre alla produzione biologica, l'attenzione all'ambiente di Libera si manifesta su più fronti. La cantina Centopassi ha installato a inizio 2011 i pannelli fotovoltaici che coprono tra il 70 e l'80 per cento del fabbisogno energetico. Durante i campi di volontariato ci si impegna nel ripristino ambientale di ecosistemi per la conservazione di uccelli, anfibi e rettili. Nell'agriturismo Terre di Corleone a Borgo del drago, bene confiscato a Riina, c’è un costone roccioso che si era pensato di valorizzare con un gioco di luce. Ma, alla fine, si è preferito sacrificare l'effetto scenografico per consentire la nidificazione degli uccelli. Quest'impegno è misto alla lotta contro le ecomafie. Don Luigi Ciotti, presidente di Libera ci tiene a sottolineare la costanza del suo impegno: «Da diciotto anni chiediamo che i reati contro l'ambiente siano uniti penalmente, ma non è mai arrivata una risposta. Intanto, in Italia, terra con un alto tasso di condoni, le ecomafie non conoscono crisi e continuano a crescere e a proliferare speculando sull'ambiente». Rispetto alla notizia dell'accertamento nell'anno scorso di 31 mila reati ambientali, con 2 miliardi di tonnellate di rifiuti pericolosi sequestrati, don Ciotti prosegue: «Dobbiamo dire basta, c’è bisogno che si rafforzi l'azione di contrasto alle ecomafie e ai traffici illegali di rifiuti e che si renda concreto e quotidiano il contrasto all'abusivismo edilizio eliminando il ricorso ai condoni  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, anche per il tramite dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al fine di utilizzare al meglio gli edifici sequestrati durante operazioni antimafia e destinarli ad attività socialmente utili, gestite da associazioni sul modello di «Libera». (4-14964)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede al Ministero dell'interno quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di utilizzare al meglio e destinare ad attività socialmente utili gli edifici sequestrati durante operazioni antimafia.
      A tale proposito ricordo che l'agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata fin dalla data di costituzione, in conformità a quanto stabilito dal decreto legislativo n.  159 del 6 settembre 2011, ha trasferito numerosi beni immobili confiscati al patrimonio indisponibile degli enti territoriali.
      L'utilizzo dei beni immobili trasferiti, nella maggior parte dei casi, è di natura sociale nel rispetto del principio che prevede la restituzione alla collettività dei beni che le sono stati indebitamente sottratti dalla criminalità organizzata.
      Significativa è stata la costituzione di cooperative agricole che ha permesso l'immediato riutilizzo di vasti terreni confiscati, favorendo, altresì, la creazione di occasioni di lavoro in favore di giovani disoccupati.
      Altri beni trasferiti al patrimonio degli enti territoriali vengono utilizzati anche al fine di contrastare l'emergenza abitativa.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      MIGLIORI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi tre anni si è riscontrato, da una analisi dei dati, che le adozioni di minori nello Sri Lanka, per motivi di varia natura, si sono pressoché bloccate, situazione denunciata più volte anche dalle associazioni che operano nel settore;
          si evidenzia che per gli anni 2010-2011 e 2012 vi siano 5 coppie destinate all'adozione, di cui quattro in attesa di abbinamento ed una già abbinata, ma in attesa da oltre un anno del completamento di tutto l’iter, burocratico e dell'assegnazione definitiva del minore  –:
          quali iniziative urgenti, il Governo, intenda attuare per verificare lo stato attuale dei rapporti tra il nostro Paese e lo Sri Lanka, come con gli altri Stati in analoghe situazioni, affinché si possa ripristinare una proficua e snella collaborazione e si possa dare finalmente una famiglia ed un'infanzia normale a questi minori affidandoli a famiglie che possano prendersene cura ed amarli. (4-18115)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione del Governo in merito ad alcune delicate questioni concernenti le adozioni internazionali, con particolare riferimento a quelle provenienti dallo Sri Lanka.
      L'interrogante, in particolare, partendo dall'analisi dei dati riportati dalle varie associazioni che operano nel settore che denunciano un pressoché totale blocco delle adozioni nello Sri Lanka, segnala le difficoltà che si trovano ad affrontare numerose coppie che intendono adottare un bambino in tale Paese.
      Da quanto mi riferiscono gli uffici competenti e, in particolare, la commissione per le adozioni internazionali, autorità centrale per la Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, la normativa dello Sri Lanka in materia di adozioni prevede una competenza ripartita fra organismi a livello locale e centrale.
      In particolare, vi sono le commissioni provinciali le quali sono competenti, in prima battuta, per l'individuazione dei minori da destinare a coppie srilankesi, mentre l'autorità nazionale (
Department of probation and child care services) ha competenza per le residuali assegnazioni alle coppie straniere.
      Le commissioni provinciali forniscono, quindi, all'autorità nazionale l'elenco dei minori che non sono stati adottati da famiglie srilankesi e che sono pertanto a disposizione delle coppie straniere.
      Secondo i dati in possesso della commissione per le adozioni internazionali, nel periodo dal 2001 al 2007, si è registrata una media annuale di 6 adozioni di minori srilankesi da parte di coppie italiane.
      Nel successivo quadriennio, vi è stato un incremento dei procedimenti adottivi (12 nel 2008, 14 nel 2009, 17 nel 2010 e 18 nel 2011), fino alla sospensione degli
iter d'adozione internazionale, stabilita dalle autorità locali a seguito di un presunto fenomeno di compravendita di minori.
      La sospensione delle procedure adottive, richiamata anche dall'interrogante, risale al novembre 2011. In quel periodo, infatti, le autorità srilankesi (
National child protection authority) decisero di intervenire nei confronti dell'orfanotrofio Prem Nivasa di Moratuwa (20 chilometri a sud di Colombo), gestito dalle suore missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, che era stato accusato di favorire la compravendita di minori a favore di coppie straniere.
      Nell'arco di poche settimane, le accuse all'istituto si rivelarono infondate e il provvedimento sospensivo fu revocato. Tuttavia, a partire da tale episodio, anche per effetto dell'incremento del livello di benessere socio-economico che rende sempre più concreta la possibilità di procedere alle adozioni nazionali, le dinamiche interne in tale settore sono in evoluzione, con conseguente limitazione della possibilità di adozione internazionale.
      Dalla documentazione trasmessa dagli uffici, risulta che da gennaio 2012 ad oggi sono state autorizzate 2 adozioni di minori srilankesi a favore di una coppia italiana. Al momento, sono disponibili solamente 4 o 5 minori per le adozioni internazionali, a fronte di un contingente massimo per il 2012, stabilito in
Gazzetta Ufficiale, di 75 bambini. Inoltre, sono circa 400 le famiglie straniere in lista di attesa, nonostante il ridotto numero di minori adottabili.
      Come riferito dagli uffici, le autorità srilankesi seguono – come prassi non scritta – un ordine di priorità per cui un bambino da adottare viene prima proposto a famiglie srilankesi, poi a genitori di cui almeno uno abbia la doppia cittadinanza (srilankese e straniera), successivamente a cittadini stranieri precedentemente srilankesi e, infine e solo in subordine, alle coppie straniere.
      L'attuale politica srilankese in materia è quella di invitare le nuove coppie straniere interessate ad un'adozione in Sri Lanka, a ponderare attentamente le difficoltà presenti ed a considerare eventualmente ipotesi alternative.
      Da quanto riferito dagli uffici, non vi sono accordi bilaterali vigenti con lo Sri Lanka. Tuttavia, posso assicurare che il Ministero degli affari esteri, tramite la nostra ambasciata a Colombo, in stretto raccordo con la competente commissione per le adozioni internazionali, segue con estrema attenzione la situazione delle adozioni internazionali nello Sri Lanka, nell'interesse dei minori e delle coppie adottanti.

Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      PALADINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso anno «Teleperformance» un'azienda multinazionale di call center che in Italia impiega 2.817 dipendenti a tempo indeterminato nelle tre sedi di Taranto, Roma e Fiumicino aprì le procedure di licenziamento per 864 dipendenti;
          grazie alla mobilitazione dei lavoratori si arrivò al ritiro della procedura ed alla concessione da parte del Ministero dei contratti di solidarietà in deroga per un anno;
          l'accordo stipulato al Ministero impegnava l'azienda ad investire per il rilancio ponendo un freno alla politica delle delocalizzazioni attuata fino a quel momento dalla stessa azienda;
          Teleperformance ha tuttavia continuato la propria politica di delocalizzazione delle commesse acquisite in Italia incrementando postazioni in altre sedi all'estero aprendo al contempo due procedure di licenziamenti in Italia;
          le azioni poste in essere sono, ad avviso dell'interrogante, il risultato di una politica sbagliata e quanto mai pericolosa per la tenuta occupazionale dell'azienda e per il mercato dei call center;
          è necessario fermare i licenziamenti che coinvolgono 1.464 famiglie per ridare un futuro a migliaia di giovani che credevano di aver trovato un lavoro stabile sul quale basare un progetto di vita  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della descritta situazione;
          se il Ministro interrogato non ritenga necessario, attuare un'attenta riflessione ed un rapido impegno sul modo di investire per il rilancio dell'azienda Teleperformance cercando per quanto di competenza di porre freno alla politica delle delocalizzazioni verso altri paesi. (4-12070)

      Risposta. — La In & Out Spa a socio unico, operante in Italia con il marchio Teleperformance, è attiva, sul territorio nazionale, nelle sedi di Roma, Taranto e Fiumicino.
      A seguito della dichiarazione di un esubero pari a n.  847 unità, la società ha fatto ricorso per il periodo dal 5 luglio 2010 al 4 luglio 2011 al contratto di solidarietà di cui all'articolo 5, comma 5, del decreto-legge n.  148 del 1993 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n.  236 del 1993, concordato per un totale di n.  3.244 lavoratori con una riduzione dell'orario contrattuale nella misura massima del 30 per cento.
      Successivamente la società è stata interessata dal regime di cassa integrazione in deroga concordata per un numero massimo di 900 lavoratori, per il periodo dal 5 luglio al 31 dicembre 2011, a seguito di ulteriore procedura di mobilità avviata sulla base della dichiarazione di esubero di n.  1.464 lavoratori occupati nelle tre unità produttive richiamate.
      Al riguardo si rileva che in data 5 luglio 2010, in sede di accordo sindacale, facendo seguito all'intendimento espresso nell'accordo di solidarietà del 24 giugno 2010 «di consolidare le commesse le quote di mercato, di fatturato e di redditività in Italia», la società si è impegnata per il biennio 2011-2013 a porre in essere ogni strategia tesa a privilegiare il mercato italiano rispetto a quello estero.
      Dall'esame della documentazione esibita dalla società alla competente direzione territoriale del lavoro in merito ad eventuali attività svolte al di fuori del territorio nazionale, è emerso che la
In & Out Spa ha acquisito il servizio di customer care per Alitalia con contratto di appalto sottoscritto in data 7 giugno 2010. Tuttavia, soltanto il 30 per cento del servizio è stato gestito direttamente dalla società italiana con un impegno nell'anno 2011 di n.  60 dipendenti, mentre il restante 70 per cento della commessa è stata affidata in subappalto alla filiale albanese del gruppo Teleperformance (Ams) come espressamente previsto nel contratto
      La
In & Out Spa, a seguito della perdita dell'appalto del servizio di call center commissionato dalla società Alitalia, dal 28 settembre 2012 non gestisce più il servizio di customer care in entrambe le filiali, sia italiana che albanese.
      Con riferimento alla situazione occupazionale, si rappresenta che con comunicazione del 14 ottobre 2011 è stata attivata la procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale nelle unità produttive di Roma e di Taranto per 876 dipendenti complessivi, di cui 413 per l'unità produttiva di Roma (compresi 21 apprendisti), e 463 per l'unità di Taranto.
      A seguito del mancato accordo conclusivo della fase sindacale della citata procedura, su richiesta dell'azienda, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha convocato le parti sociali al fine della prosecuzione del confronto.
      In esito all'esame congiunto, la procedura di mobilità si è conclusa in data 28 dicembre 2011 con la sottoscrizione di verbale di accordo, convenendo le parti di gestire le eccedenze occupazionali dichiarate dall'azienda attraverso gli strumenti della mobilità con il criterio esclusivo della non opposizione al licenziamento e della cassa integrazione guadagni in deroga.
      Più precisamente, le parti hanno convenuto con riguardo a 42 lavoratori, di cui 22 per l'unità produttiva di Roma e 20 per quella di Taranto, – che avevano già manifestato la non opposizione alla collocazione in mobilità – l'accesso al trattamento aggiuntivo di cui all'articolo 18, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98 «pari alla differenza tra il trattamento di disoccupazione spettante e l'indennità di mobilità per un numero di mesi pari alla durata dell'indennità di disoccupazione». Con riguardo ad un'unità occupata con contratto di apprendistato, si è stabilito di far ricorso alla cassa integrazione guadagni in deroga.
      Le restanti eccedenze occupazionali sono state gestite con accordo governativo, sottoscritto il 10 gennaio 2012 al fine di consentire la convocazione necessaria delle regioni interessate, per l'accesso al trattamento di cassa integrazione guadagni in deroga a rotazione.
      Con decreto interministeriale n.  67325 del 31 luglio 2012, ai sensi dell'articolo 33, comma 21, della legge 12 novembre 2011, n.  183, è stata autorizzata, per il periodo dal 1o gennaio 2012 al 31 dicembre 2012, la concessione e la proroga del trattamento straordinario di integrazione salariale, definito nell'accordo intervenuto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 1o gennaio 2012, in favore di un numero massimo di 2.065 unità lavorative, così suddivise:
          sede di Roma: 390 unità lavorative per il periodo dal 1o gennaio 2012 al 30 giugno 2012;
          sede di Taranto: 1.675 unità lavorative sospese a rotazione equivalenti a 1.366 unità lavorative a tempo pieno, su 1.739 lavoratori in organico, con riduzione dell'orario di lavoro del 28 per cento, per il periodo dal 1o gennaio 2012 al 31 dicembre 2012.

      Con comunicazione del 10 aprile 2012 è stata, inoltre, attivata la procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale nell'unità produttiva di Roma per complessivi 377 dipendenti. Con verbale di accordo sottoscritto in data 21 giugno 2012 presso la regione Lazio, al fine di non procedere al licenziamento dei 377 lavoratori della sede di Roma, è stata attivata la cassa integrazione guadagni in deroga per un ulteriore periodo di sei mesi (dal 1o luglio al 31 dicembre 2012) nei confronti di 374 unità occupate nella sede di Roma (in quanto in corso di procedura sono intervenute n.  3 dimissioni).
      Con comunicazione del 27 luglio 2012 la società, a seguito della cessazione dell'attività nella sede di Roma – ad eccezione di una commessa ancora in essere – e della diminuzione dell'attività presso l'unità produttiva sita in Fiumicino – Parco Leonardo, ha attivato la procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale per 569 lavoratori occupati nelle unità produttive di Roma e Fiumicino.
      In conclusione, si può affermare che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha seguito e continua a seguire in modo fattivo la situazione rappresentata dall'interrogante, attivando – nei limiti di legge – tutti gli strumenti volti ad attenuare la grave crisi occupazionale rappresentata.

Il Viceministro del lavoro e delle politiche sociali: Michel Martone.


      RIVOLTA, NICOLA MOLTENI e MONTAGNOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          consorzio di cooperative sociali Icaro è ente accreditato di servizio civile, iscritto all'albo nazionale, con sede in provincia di Caserta;
          tale ente nel 2011 ha avuto approvati 4 progetti di servizio civile che prevedevano l'impiego di 112 volontari. I suddetti volontari hanno iniziato l'anno di servizio civile nel corso del 2012;
          su Il fatto quotidiano.it il 17 settembre 2012 è stato pubblicato l'articolo «Icaro, il consorzio anticamorra accusato di cattiva gestione dei beni sottratti ai clan»;
          in tale articolo si segnala come «la prefettura di Napoli ha scritto che “prescindendo da responsabilità penalmente rilevanti secondo il Gip di Napoli, le associazioni a cui erano stati affidati i beni confiscati... tra le quali Icaro... si sono distinte per la loro totale inerzia, permettendo così ai clan di camorra e in particolare al clan Lubrano-Ligato di continuare a ricavare dagli stessi delle rendite”»;
          sempre dall'articolo citato si ricava come numerose amministrazioni comunali, tra cui quella di Napoli, abbiano revocato i servizi affidati al consorzio;
          quanto descritto in premessa evidenzia, secondo gli interroganti, una situazione che potenzialmente risulta essere in contrasto con gli obiettivi formativi e di cittadinanza attiva propri del servizio civile nazionale  –:
          quali attività straordinarie di controllo e di ispezione intenda mettere in atto sui progetti di cui risulta titolare il consorzio di cooperative sociali Icaro, al fine di verificare discrasie tra gli obiettivi formativi del servizio civile nazionale e i comportamenti evidenziati dalla prefettura di Napoli. (4-17725)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame gli interroganti chiedono notizie in merito all'attività del consorzio di cooperative sociali Icaro.
      Come mi è stato riferito, tale organismo, con sede legale a Santa Maria Capua Vetere (Caserta), è un ente iscritto alla 1a classe dell'albo nazionale degli enti di servizio civile ed ha 149 sedi di attuazione di progetto accreditate. Attualmente ha in fase di realizzazione 4 progetti con 104 volontari in servizio, a fronte dei 116 inizialmente previsti, distribuiti su 23 sedi di attuazione.
      In data 17 aprile 2012, la prefettura di Napoli ha emesso nei confronti del predetto consorzio una informativa atipica, ai sensi dell'articolo 1-
septies del decreto-legge n.  629 del 2012, nella considerazione che «prescindendo da responsabilità penalmente rilevanti secondo il giudice per le indagini preliminari di Napoli, le associazioni a cui erano stati affidati i beni confiscati ... tra le quali Icaro ... si sono distinte per la loro totale inerzia, permettendo così ai clan di camorra e in particolare al clan Lubrano-Ligato di continuare a ricavare dagli stessi delle rendite».
      A seguito di ricorso giurisdizionale amministrativo del consorzio Icaro, il Tar Campania, con ordinanza del 10 ottobre 2012, ha accolto la domanda cautelare di sospensiva del predetto provvedimento.
      Il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale ha svolto l'attività di controllo e di ispezione, disciplinata dall'articolo 3-
bis della legge 6 marzo 2001, n.  64, relativo alla efficiente gestione del servizio civile e alla corretta realizzazione dei progetti da parte degli enti che, a tal fine, hanno ricevuto finanziamenti dallo Stato. Tale normativa prevede che, qualora attraverso lo svolgimento di attività ispettive il dipartimento ravvisi le violazioni previste dalla normativa in materia, può comunque avvalersi unicamente di strumenti di natura amministrativa mirati a sanzionarle.
      A tale stregua, a seguito della pubblicazione dell'articolo di stampa «Icaro, il consorzio anticamorra accusato di cattiva gestione dei beni sottratti ai clan», il Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale ha disposto verifiche ispettive volte ad accertare la regolare condotta dell'ente nella realizzazione dei progetti finanziati, sia con riferimento al perseguimento degli obiettivi che al rapporto con i volontari.
      Ed invero ha incaricato tre ispettori di effettuare contemporaneamente, in data 12 ottobre 2012, delle verifiche straordinarie presso tre sedi del consorzio Icaro dove sono in corso di realizzazione alcuni progetti di servizio civile nazionale.
      Sono state sottoposte ad ispezione le seguenti sedi: Cancello Arnone (Caserta) per l'attuazione del progetto «
Beautiful Mind 2», volto all'assistenza a pazienti con patologie invalidanti o in fase terminale, in cui sono impegnati 4 volontari; Francolise (Caserta) per la realizzazione del progetto «L'Orsa Minore», concernente l'assistenza a pazienti disabili, con 12 volontari; e Santa Maria Capua Vetere (Caserta) per lo svolgimento del progetto «Uguali e Diversi 2», per l'assistenza a pazienti disabili con 4 volontari.
      In seguito a tali visite ispettive non sono emerse irregolarità nella gestione dei tre progetti sopra indicati. I tre ispettori nei relativi verbali hanno dichiarato la corretta gestione dei progetti da parte delle sedi di attuazione dell'ente – nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 4 febbraio 2009 concernente «Disciplina dei rapporti tra Enti e volontari del servizio civile nazionale» – e l'insussistenza di condotte illecite perseguibili a norma del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 febbraio 2009 (recante approvazione del «Prontuario contenente disposizioni per lo svolgimento delle funzioni di controllo e verifica sull'attuazione dei progetti di servizio civile nazionale. Doveri degli enti di servizio civile e infrazioni punibili con le sanzioni amministrative dell'articolo 3-
bis della legge 6 marzo 2001, n.  64»).
      Il dipartimento, peraltro, ha effettuato una comparazione di interessi tra l'interruzione dei progetti di servizio civile e la prosecuzione degli stessi ed ha ritenuto che, nelle more dell'eventuale accertamento di profili di responsabilità in sede giudiziaria, fosse prevalente l'interesse a concludere la realizzazione dei progetti, garantendo in tal modo ai volontari di completare l'esperienza formativa e agli utenti finali, appartenenti a categorie sociali disagiate, di continuare ad usufruire dei servizi previsti dai progetti fino alla scadenza naturale degli stessi.
      Qualora in capo al consorzio Icaro venga accertata la condotta illecita paventata, il dipartimento provvederà ad escludere l'ente dal sistema del servizio civile nazionale.

Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      SCILIPOTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          mercoledì 23 marzo 2011, a Palermo, esponenti dei centri sociali legati all'estrema sinistra hanno inscenato una vera e propria guerriglia per le strade cittadine al fine di impedire la presentazione del libro «Nessun dolore. Una storia di CasaPound» (Rizzoli) alla libreria Mondadori Multicenter;
          tali disordini hanno causato il ferimento di nove agenti e hanno visto la devastazione del centro cittadino con lanci di pietre, bottiglie, fumogeni e una bomba carta contro poliziotti;
          la presentazione del medesimo romanzo, sempre a Palermo, nella suddetta libreria, era già stata fatta saltare lo scorso 11 febbraio «per motivi d'ordine pubblico» in seguito alle minacce dei centri sociali;
          pochi giorni prima della presentazione di mercoledì scorso erano comparse, sulle pareti esterne della libreria Mondadori Multicenter scritte minacciose e stelle a cinque punte e che, durante un agguato notturno, un gruppetto di militanti dell'associazione di promozione sociale CasaPound Italia era stato aggredito da una ronda dei centri sociali mentre un commando contiguo agli stessi ambienti estremistici di sinistra aveva appiccato il fuoco alla sede del movimento, danneggiando seriamente anche due auto parcheggiate davanti al portone;
          il 10 marzo 2011 nella libreria Battei di Parma una presentazione del libro «Nessun dolore» era stata annullata in seguito alla ricezione, da parte dei titolari della libreria, di più di 20 telefonate minatorie e diversi fax di minacce  –:
          se il Ministro interrogato abbia elementi che lascino temere che le suddette azioni possano rientrare in un preciso disegno strategico di destabilizzazione sociale;
          se il Ministro intenda concretamente adottare azioni idonee per impedire il ripetersi di ulteriori violenze, che è compito del Ministro prevenire e reprimere, garantendo la libera attività associativa, operativa e di pensiero da parte di qualunque associazione che persegua fini di indirizzo sociale. (4-11420)

      Risposta. — La mattina del 23 marzo 2011, presso la sala conferenze della Mondadori multicenter di Palermo, ha avuto luogo la presentazione del libro «Nessun Dolore. Una storia di CasaPound», dell'avvocato romano Domenico Di Tullio, esponente del movimento politico di estrema destra CasaPound.
      Tale evento è stato preceduto da atti intimidatori, tra i quali l'aggressione, nella notte tra il 19 e il 20 marzo, di cinque militanti di CasaPound da parte di alcuni esponenti del centro sociale Spazio-Anomalia, quattro dei quali sono stati identificati e denunciati in stato di libertà.
      In occasione della presentazione del libro, un centinaio di esponenti di CasaPound e del movimento Giovane Italia si è riunito davanti la libreria Mondadori per un
sit-in regolarmente preavvisato, mentre un gruppo dell'area antagonista ha cercato di raggiungere il medesimo luogo, rendendo necessario l'intervento delle Forze dell'ordine. Durante gli scontri sono stati feriti alcuni agenti.
      La presentazione del medesimo libro è avvenuta a Parma, dove la Digos, a causa di telefonate e
fax di minaccia, ha immediatamente avviato indagini, dandone comunicazione all'autorità giudiziaria.
      Durante l'evento, una cinquantina di manifestanti aderenti alla locale area antagonista hanno dato luogo a una contestazione non violenta di dissenso nei confronti di organizzatori e autore. La presenza delle forze dell'ordine ha garantito il regolare svolgimento dell'evento.
      Sia a Parma che a Palermo non si sono verificati ulteriori episodi di violenza politica volti ad impedire la presentazione del libro.
      Assicuro che le forze di polizia seguono l'evolversi dei casi di violenza politica, dedicando particolare attenzione alle attività dei gruppi politici estremisti e alle frange più radicali in tutte le zone d'Italia. L'attività di prevenzione è attuata mediante un attento monitoraggio ed un'accurata raccolta informativa nei confronti dei movimenti estremisti, sia di destra che di sinistra.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nel conferire recentemente gli incarichi dirigenziali di prima fascia (direttore centrale dell'ufficio centrale per le ispezioni amministrative, vice capo di gabinetto del Ministro della difesa, capo del 1° reparto del segretariato generale della difesa, capo del 2° reparto del segretariato generale della difesa) il Ministro interrogato risulta agli interroganti che non abbia applicato la rigorosa procedura selettiva basata sulla valutazione comparativa dei profili professionali dei dirigenti che hanno presentato, per ciascun incarico da conferire, la propria candidatura, in quanto sembra non risultare agli atti alcuna traccia scritta di tale valutazione comparativa, come invece per converso dichiarato dal Ministro interrogato in risposta all'interrogazione n.  4-10928. Gli atti valutativi certi e documentati comprovanti la asserita valutazione comparativa dei candidati sembrano limitarsi alla frase stereotipata inserita nella proposta di nomina «valutate le manifestazioni di disponibilità provenienti, dagli interessati». Altresì, risulta agli interroganti che alcuni dei citati dirigenti neo-nominati direttori generali non avessero completato, nell'incarico precedente di seconda fascia, il periodo minimo che, per norma, non può essere inferiore a tre anni;
          la norma recata dall'articolo 28-bis del decreto legislativo n.  165 del 2001, come modificato dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150, stabilisce tra l'altro che in tutte le amministrazioni pubbliche, il cinquanta per cento degli incarichi dirigenziali di prima fascia venga attribuito mediante concorso pubblico per titoli ed esami. Tale disposizione non è stata applicata dal Ministero della difesa con la giustificazione della mancata emanazione, al momento delle nomine, del provvedimento recante i criteri generali fissati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, emesso in data 26 ottobre 2010. Vale bene sottolineare l'importanza della norma che si inserisce in un quadro volto a «depolicitizzare» la carriera dirigenziale sottraendola in parte al meccanismo del conferimento intuitu personae da parte dell'autorità politica di vertice, nell'evidente intento di valorizzare i criteri di merito e trasparenza anche nelle carriere pubbliche apicali;
          per i conferimenti in questione inoltre risulta non essere stata tenuta in alcun conto la posizione dei candidati nel ruolo dei dirigenti della difesa (istituito ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165) promuovendo dirigenti posizionati rispettivamente all'80° ed al 72° posto, superando dirigenti più esperti e meritevoli che li precedevano, in quanto, a detto ruolo è stata attribuita «una mera funzione ricognitoria». Tale modalità ha permesso tra l'altro di coprire una ulteriore grave lacuna dell'amministrazione che non procede ad aggiornare il ruolo, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 2003, n.  108, inserendo per ogni dirigente i dati relativi agli incarichi conferiti (come avviene per quelli assegnati ai sensi dell'articolo 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165) secondo la vigente graduazione degli incarichi dirigenziali di seconda fascia, differenziandoli gerarchicamente sulla base dei livelli retributivi attribuiti e specificando per ogni incarico la decorrenza e il termine di scadenza;
          appare allora illogico, agli interroganti, tenere un apposito ruolo dei dirigenti (al contrario, basterebbe un semplice elenco, come richiesto per tutte le altre categorie di dipendenti civili della difesa) ove l'amministrazione si limitasse, come avvenuto, ad un aggiornamento ricognitorio e ragionieristico basato unicamente sulla rilevazione delle entrate e delle uscite dei dirigenti nell'amministrazione, ordinate per anzianità;
          il decreto ministeriale del 5 ottobre 2010 con il quale il Ministro della difesa ha inteso emanare i criteri per il conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale generale si pone ad avviso degli interroganti in contrasto con il decreto legislativo n.  150 del 2009 al quale afferma di adeguarsi. In particolare il provvedimento introduce alcuni criteri totalmente estranei all'articolo 19 del citato decreto legislativo ed in palese violazione di quest'ultimo. In particolare gli interroganti manifestano dubbi sulla legittimità del criterio preso a sostegno delle nomine dirigenziali sopramenzionate, secondo il quale «potranno essere valutate le prospettive di ritorno per l'amministrazione in termini di investimento professionale». Evidentemente con tale meccanismo si mira a negare i meriti ed i titoli attitudinali ai quali la valutazione professionale è strettamente vincolata ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 150 del 2009;
          a tal proposito si segnala il caso del conferimento dell'incarico di direttore dell'ufficio centrale per le ispezioni amministrative; secondo quanto riportato nella proposta di nomina del Ministro il nominato sarebbe titolare di una particolare preparazione culturale nelle «aree di contabilità e di statistica» mentre il curriculum vitae dell'interessato evidenzia una cultura specificatamente di tipo giuridico, nonché di una specifica attività di chiusura della contabilità del funzionario delegato che, agli interroganti risulta devoluta e svolta presso lo stesso ente da un altro dirigente con incarico di «direttore della direzione amministrativa», come anche l'attività di aggiornamento software del «sistema informatico gestione automatizzata per gli arsenali» che risulterebbe esternalizzata e realizzata da un'impresa privata  –:
          se il Ministro interrogato intenda rivedere la posizione assunta in merito alla problematica in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di assicurare presso l'amministrazione della difesa le irrinunciabili condizioni di assoluta legalità, correttezza, trasparenza ed imparzialità che devono necessariamente caratterizzare l'azione amministrativa in ossequio ai precetti di cui all'articolo 97 della Costituzione. (4-13489)

      Risposta. — L'interrogazione in esame ripropone, in larga misura, i contenuti del precedente atto 4-10928 dello stesso interrogante.
      Per tali motivi, si rimanda a quanto già esposto in quella sede per quello che riguarda gli aspetti di carattere generale.
      Ad ogni modo, con riguardo al conferimento di incarichi di livello dirigenziale generale presso il Segretariato generale della difesa/Direzione nazionale degli armamenti (incarichi di capo del 1o reparto e di capo del 2o reparto, attribuiti, rispettivamente, con decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 25 novembre 2010 e in data 29 novembre 2010) soggiungo, per completezza d'informazione, che il Segretario generale
pro-tempore ha acquisito – al termine di un complesso iter procedurale coinvolgente vari attori istituzionali del dicastero – le candidature presentate per i posti dianzi citati, provvedendo di seguito a un completo e approfondito esame dei singoli curricula vitae prodotti dai candidati.
      Tali documenti curriculari esplicitano una dettagliata e minuziosa descrizione di tutti i requisiti personali, culturali e formativi in possesso dei candidati, con specifico accento sulle esperienze professionali maturate, tali da fornire un adeguato orientamento all'autorità preposta a operare scelte comparative.
      Successivamente, il Segretario generale
pro-tempore ha valutato tutti i profili professionali e di carriera contenuti nei ripetuti curricula dei candidati, vagliando attentamente la posizione di ciascuno di essi.
      Ciò, nel rispetto delle specifiche disposizioni contenute nel decreto ministeriale 5 ottobre 2010 (recante i criteri per il conferimento, il mutamento e la revoca degli incarichi di funzione dirigenziale generale in ambito Ministero della difesa) che, giova sottolinearlo, è stato regolarmente registrato alla Corte dei conti senza incorrere in alcun rilievo di legittimità.
      Al termine di siffatto processo cognitivo – in cui, oltre alla ponderazione dei citati profili professionali e di carriera è stata considerata l'esperienza acquisita in precedenti incarichi e, soprattutto, il livello degli incarichi dirigenziali ricoperti – lo stesso Segretario generale
pro-tempore ha individuato una terna di nominativi per la copertura delle menzionate posizioni dirigenziali generali presso il Segretariato generale della difesa/Direzione nazionale degli armamenti, essendo emerso, in tale sede, come i prescelti possedessero nel grado più elevato i requisiti richiesti e fossero pienamente idonei a svolgere incarichi di maggiore responsabilità.
      Anche con riferimento ai due incarichi di vice capo di gabinetto e di direttore centrale dell'ufficio centrale per le ispezioni amministrative (Ispedife), si fa rinvio alla risposta all'interrogazione n.  4-10928.
      Peraltro, tutti gli incarichi sono stati conferiti con proposte ampiamente motivate.
      Queste nel dare atto, tra l'altro, della valutazione delle manifestazioni di disponibilità pervenute e della relativa documentazione, sono articolate secondo una metodologia di apprezzamento del valore del dirigente prescelto, così come per gli altri incarichi.
      Per quanto concerne il riferimento alla posizione dei candidati poi incaricati – nel ruolo dei dirigenti della difesa (istituito ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo n.  16 del 2001), che avrebbero superato «dirigenti più esperti e meritevoli che li precedevano», ribadisco che, come espressamente previsto dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  108 del 2004, il citato ruolo ha valore meramente ricognitorio.
      I dirigenti, infatti, non sono in esso differenziati «gerarchicamente» come pure affermato dall'interrogante, bensì sono inquadrati ed ordinati secondo il criterio dell'anzianità maturata nella fascia di appartenenza ai soli fini della predisposizione e della tenuta del ruolo stesso
      Peraltro, si rappresenta che l'amministrazione ha provveduto regolarmente all'aggiornamento del predetto ruolo.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          una nota di agenzia ha diffuso la notizia «Afghanistan: perizia genitori militare foggiano morto, “investito da blindato” Foggia, 2 feb. (Adnkronos) – Sarebbe stato investito da uno dei blindati del convoglio sul quale viaggiava, il caporal maggiore capo dell'Esercito Francesco Saverio Positano, di San Severo, morto il 23 giugno 2010 durante una missione di perlustrazione nella zona di Herat in Afghanistan: è la conclusione cui è giunta la perizia redatta dall'ingegnere biomedico Gionata Fragomeni e allegata in una denuncia-querela depositata dai parenti dell'alpino alla procura di Roma. Lo hanno reso noto Luigi e Rosa Positano durante una conferenza stampa convocata oggi a Foggia. Secondo la versione ufficiale fornita nella immediatezza del tragico evento, il militare avrebbe avuto un malore e sarebbe caduto dal “Buffalo” durante una manovra. In realtà, già le perizie medico-legali della procura e di parte hanno escluso questa ipotesi, anche in considerazione delle gravi ferite riportate dal militare al cranio e in altre parti del corpo. Scrivono il professor Pietrantonio Ricci, ordinario di medicina legale dell'università della Calabria, e il medico legale Domenico Natale che “l'unica ipotesi che si può escludere con assoluta certezza è appunto la caduta dal mezzo fermo”, così come peraltro conviene anche il perito del pubblico ministero. Ora, lo studio cinematico commissionato dai genitori esclude definitivamente l'ipotesi della “caduta accidentale dal mezzo militare fermo” e propende per “una dinamica più complessa quale l'investimento da parte di un veicolo a bassa velocità in fase di manovra. È ragionevole ipotizzare – scrive l'ingegnere biomedico – che l'investimento sia avvenuto durante la fase di manovra di uno dei veicoli del convoglio mentre la vittima era scesa probabilmente per verificare le distanze o la situazione del mezzo”. La denuncia e la perizia sono state incluse nel nuovo fascicolo di inchiesta che la procura della Capitale ha aperto con l'ipotesi di omicidio colposo proprio a seguito delle numerose istanze e sollecitazioni rivolte dalla famiglia del militare. Una prima indagine era stata infatti avviata nelle ore immediatamente successive alla morte del caporale ed era stata archiviata. “Quello che ci muove – hanno spiegato i genitori del militare – non è il desiderio di vedere punito qualcuno a tutti i costi, né tanto meno un sentimento di vendetta contro il responsabile o i responsabili della morte di Francesco: vogliamo soltanto sapere la verità sulla morte di nostro figlio, quella verità che finora ci è stata negata e a cui invece riteniamo di avere diritto”. “Non ha avuto un malore, nostro figlio – hanno aggiunto – godeva di ottima salute e stava servendo il suo Paese all'estero: qualcuno ha sbagliato e Francesco oggi non c’è più. Agli atti della procura – hanno rilevato gli avvocati Annarita Antonetti e Lucia Frazzano – mancano molti tasselli che sono invece indispensabili per far luce su quanto accaduto: manca un'accurata planimetria del luogo dell'incidente, mancano gli abiti indossati da Positano, manca l'elmetto, per arrivare alle testimonianze, lacunose e per lo più inattendibili”. I legali hanno sottolineato che “in quella missione erano impegnati in venti, compreso Francesco. Di questi soltanto sei sono stati ascoltati sommariamente, come testimoni, subito dopo l'incidente. Le loro dichiarazioni sono così inattendibili che neppure il pubblico ministero che ha archiviato la prima inchiesta le ha ritenute utili. Perfino i rilievi fotografici effettuati dai militari che hanno soccorso invano Francesco – hanno sostenuto gli avvocati – sono stati nella materiale disponibilità della procura soltanto otto mesi dopo il fatto, tanto che l'esperto nominato dal pubblico ministero non ha potuto neppure visionarli prima di consegnare la sua perizia”. “Elmetto, divisa e equipaggiamento – hanno proseguito – dovevano essere conservati con scrupolo e attenzione proprio perché utili ai fini dell'indagine, e invece a oggi non si sa se, da chi e dove sono stati conservati. Se Francesco Positano è stato investito, ci sono profili di responsabilità colposa che vanno accertati – hanno concluso – così come potrebbero esserci profili di inadempimento alle disposizioni regolamentari dell'ordinamento militare: è questo che abbiamo chiesto alla procura di Roma di accertare” (Pas/Zn/Adnkronos) 02-FEB-12 20:15 NNNN»;
          nell'interrogazione n.  4-07795 presentata dagli interroganti il Ministro pro tempore ha affermato «Per quanto riguarda, invece, il decesso del militare i primi elementi d'informazione dei competenti organi tecnico-operativi ipotizzano che lo stesso possa essersi verificato a seguitò dei traumi riportati per effetto della caduta accidentale dal mezzo. Le cause potranno essere meglio chiarite dall'inchiesta sommaria disposta ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare)»  –:
          quali siano stati gli esiti dell'inchiesta disposta ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90;
          quali immediate iniziative di competenza intenda intraprendere affinché alle autorità giudiziarie e ai genitori del militare deceduto sia garantita la piena e incondizionata collaborazione ai fini dell'accertamento della verità e quindi anche l'accesso agli atti e ai materiali facenti parte della dotazione personale o di reparto effettivamente utilizzati dal militare di cui in premessa il giorno del suo decesso e certamente custoditi dall'amministrazione militare. (4-14798)

      Risposta. — In relazione alla questione affrontata con l'interrogazione in esame relativa all'evento nel quale ha perso la vita il 23 giugno 2010 in Afghanistan il caporal maggiore scelto Francesco Saverio Positano, faccio osservare che non sono, nel frattempo, intervenuti elementi di novità rispetto a quanto già rappresentato in risposta all'interrogazione n.  4-11264.
      Pertanto, in merito alle questioni sollevate, nel ribadire che sono tuttora in corso le indagini a cura dell'autorità giudiziaria competente, non posso che rimandare alle conclusioni cui la stessa autorità perverrà.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      VITALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sulla strada statale 7 Brindisi-Lecce, nei pressi di Latiano (Brindisi) poco dopo le 7 di venerdì 1° giugno, due furgoni portavalori sono stati assaltati stamani da un commando di banditi, i quali, dopo aver bloccato la strada con alcune auto e aver sparato numerosi colpi d'arma da fuoco, hanno forzato le lamiere corazzate di uno degli automezzi e si sono impossessati di alcuni plichi contenenti denaro in contante;
          secondo le testimonianze delle guardie giurate in servizio sui due furgoni portavalori, i banditi erano almeno una quindicina, alcuni dei quali armati con fucili a pompa e a canne mozze. I rapinatori sono riusciti a portare via una parte del carico in denaro del primo furgone, dopo aver forzato le pareti blindate con un attrezzo elettrico specialistico;
          dopo l'attentato del 19 maggio a Brindisi davanti alla scuola Morvillo Falcone, si parlò dell'imminente varo di un piano per la sicurezza chiamato «modello Brindisi»; l'assalto avvenuto stamani a un furgone portavalori in un paese del brindisino dimostra tale decisione è ben lontana dall'essere attuata; dimostra infatti assoluta padronanza del territorio, conoscenza dei movimenti delle forze dell'ordine e addirittura personale ridondante (oltre 15 rapinatori) rispetto alle esigenze;
          i parlamentari eletti in Puglia da anni sottolineano l'insufficiente risposta del Governo alla crescita della criminalità organizzata nell'intera regione ed in particolare in provincia di Brindisi; secondo i dati appena pubblicati dal Censis, il 43 per cento dei comuni in Puglia risulta affetto da infiltrazioni criminali e addirittura il 77 per cento della popolazione vive accanto ad attività criminali, anche quelle riconducibili alle organizzazioni malavitose;
          le rappresentanze sindacali delle forze di polizia segnalano l'impossibilità sia diurna che notturna, ad assicurare il completo pattugliamento delle diverse aree, sia per la scarsità di personale, sia per il fatto che solo il 50 per cento degli addetti è destinato al controllo del territorio;
          il 21 maggio 2012, dopo l'attentato di Brindisi, un gruppo di parlamentari dell'area brindisina, hanno posto all'attenzione del Ministro Cancellieri i segnali di pesante ripresa di attività criminale nell'area brindisina, proponendo una serie di misure per recuperare uomini da spendere per la prevenzione e il contrasto alla criminalità, quali ad esempio la disponibilità di altri poliziotti dalla chiusura del Centro di identificazione ed espulsione o l'utilizzo per la lotta alla criminalità degli oltre 400 finanzieri mandati in sovrannumero all'epoca dell’«operazione primavera». Il Ministro aveva assicurato la sua attenzione  –:
          quali urgenti provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per assicurare l'ordine pubblico e riaffermare la presenza dello Stato nelle aree del brindisino afflitte dalla presenza della criminalità organizzata. (4-16418)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesto al Ministero dell'interno quali azioni intenda porre in essere per contrastare efficacemente il fenomeno della criminalità nella provincia di Brindisi.
      La richiesta nasce anche a seguito di una tentata rapina a due furgoni portavalori avvenuta il 1o giugno 2012 sulla strada statale Brindisi-Taranto.
      Premetto che il tema della sicurezza nella provincia di Brindisi è alla costante attenzione del Ministero dell'interno. Esso ha formato oggetto di due incontri tra il Ministro e una delegazione di parlamentari salentini tenutisi l'8 e il 21 maggio 2012, all'indomani dell'attentato all'istituto «Morvillo-Falcone» che ha causato la morte di una giovane studentessa ed il ferimento di altre cinque.
      L'attentato ha avuto vastissima eco a livello nazionale e, come è noto, è culminato nell'arresto di un imprenditore della provincia di Lecce.
      Effettivamente nel corso dell'ultimo anno si è registrato nella citata provincia un aumento dei reati cosiddetti predatori, da ricollegarsi al peggioramento delle condizioni economiche, benché l'andamento della delittuosità non ha fatto registrate significativi scostamenti in aumento.
      In particolare, dal dicembre 2011 si è rilevato un incremento di furti e rapine, spesso a mano armata, in abitazioni per lo più periferiche e in alcuni esercizi commerciali, le cui modalità denotano una caratura di basso profilo criminale, riferibile in misura rilevante a bande di giovanissimi, come pure confermato dai riscontri investigativi.
      L'episodio segnalato dall'interrogante è stato realizzato da circa dieci persone, travisate e armate di fucile, le quali hanno bloccato le due corsie di marcia della citata strada statale al momento del passaggio di due furgoni portavalori.
      Se l'episodio ha destato impressione soprattutto per le modalità con le quali è stato posto in essere, non può sottacersi che lo stesso ha avuto un esito assolutamente modesto (monete per un valore di circa tremila euro), grazie soprattutto all'immediato intervento delle volanti del comando Carabinieri di San Vito dei Normanni.
      L'attività di contrasto di tali fenomenologie criminose si è sviluppata e si sta tuttora svolgendo attraverso una molteplicità di azioni, quali un più incisivo e visibile controllo del territorio con l'impiego coordinato di pattuglie delle diverse forze di polizia.
      Prendono parte al controllo del territorio anche le pattuglie del reparto prevenzione crimine Puglia e della compagnia di intervento operativo (Cio) dell'XI battaglione Carabinieri, con azioni mirate a contrastare il possesso illegale di armi, con una più forte pressione sui soggetti sottoposti a misure di prevenzione e, più in generale, sugli ambienti criminali con l'intensificazione delle attività informative.
      L'azione di coordinamento comprende anche il controllo economico del territorio effettuato da operatori della Guardia di finanza.
      In un'ottica di sicurezza integrata, malgrado le difficoltà che ostacolano una effettiva integrazione dei servizi, è stata potenziata la collaborazione con le diverse Polizie municipali.
      Le attività d'indagine hanno permesso di conseguire importanti risultati tra i quali l'arresto in flagranza di alcuni pregiudicati responsabili di furti in abitazione e ricettazione, nonché l'arresto in flagranza di alcuni minorenni per rapina ad un distributore, risultati poi responsabili di numerose altre rapine poste in essere con analoghe modalità.
      Su un piano più generale, nella provincia di Brindisi concorrono al dispositivo impiegato in compiti operativi nel territorio 1.776 unità – 549 della polizia di Stato, 616 dell'Arma dei carabinieri e 611 della Guardia di finanza – con un sovraorganico più che significativo rispetto alle 1.683 unità previste dai decreti ministeriali.
      Si ricorda, infine, che il 14 marzo 2011 è stato stipulato il patto per la sicurezza tra la prefettura di Brindisi e il comune di Francavilla Fontana.
      Tra le priorità dell'accordo è prevista nel territorio comunale l'implementazione dei sistemi di videosorveglianza collegati con la sala operativa del comando di polizia locale.
      Al riguardo, la prefettura di Brindisi ha proposto diversi progetti per l'implementazione dei sistemi di videosorveglianza come priorità da finanziare con le risorse del programma operativo nazionale sicurezza 2007-2013.
      In tale ambito sono stati già finanziati i progetti per i comuni di Fasano e di Ostuni; per altri comuni è in corso la fase di analisi progettuale che prelude al finanziamento.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.