Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

13/05/2008

Cerimonia di intitolazione della Sala Gialla di Montecitorio ad Aldo Moro

La Camera dei deputati onora la memoria di Aldo Moro, a trent'anni dalla vile esecuzione seguita a 55 giorni di prigionia e al barbaro attentato di via Fani in cui morirono gli uomini della scorta. Oggi intitoliamo allo statista una delle più prestigiose tra le storiche sale di Palazzo Montecitorio. Desidero rivolgere un saluto cordiale alla figlia Agnese, la cui presenza è per tutti noi motivo di particolare onore.

Ricordare Aldo Moro significa ricordare una delle figure centrali della storia repubblicana. La sua iniziativa ha determinato in anni decisivi alcune tra le principali trasformazioni politiche della vita italiana. Uno dei suoi insegnamenti più preziosi è quello di una politica capace di proiettarsi nel futuro anticipando lo svolgimento dei processi sociali. In questa strategia egli esaltava le sue doti di elaborazione intellettuale e il suo spirito di servizio alle istituzioni.

Quella di Moro era una democrazia dell'ascolto. Nella sua concezione, lo Stato doveva superare il fossato con la società civile e accogliere le domande di rappresentanza che venivano da categorie o ceti che si sentivano esclusi. Parlando nel marzo del 1966 in Senato, durante il dibattito per la fiducia al terzo governo da lui presieduto, così riassunse lo spirito che intendeva fornire alla sua azione a Palazzo Chigi: "Questo spirito è la volontà di collaborazione tra i partiti per rendere più sicura, più profonda e più viva la democrazia italiana. E' l'attenzione rivolta ai cittadini, ai gruppi, alle categorie, alle zone del Paese cha hanno subìto una mortificazione , che hanno registrato una inferiorità dalle quali vogliono e debbono riscattarsi".
La sua preoccupazione era per la tenuta delle istituzioni davanti ai nuovi processi sociali e culturali che tendevano a trasformare il volto dell'Italia. Così osservò nel 1974, all'indomani del referendum sul divorzio: "C´è una sproporzione, una disarmonia, una incoerenza fra società civile, ricca di molteplici espressioni ed articolazioni ed una vita politica stanca, ridotta a sintesi inadeguate e talvolta persino impotente".

Questa idea della vicinanza delle istituzioni alla vita concreta dei cittadini, estremamente attuale, nasceva da una visione evolutiva dello Stato e della politica, ma traeva ispirazione anche da quell'umanesimo cristiano che per Moro significa attenzione ai bisogni della persona. La democrazia non poteva dirsi piena finché rimaneva astratta e formale. "Senza che diventi sociale -scriveva sulla rivista "Studium" proprio nel tempo in cui era impegnato nell'Assemblea Costituente - la democrazia non può essere neppure umana, finalizzata all'uomo, cioè con tutte le sue risorse e le sue esigenze. Se essa resta strettamente politica, angustamente politica, questo raccordo con l'uomo, che è per il cristiano ragione essenziale di accettazione, diventa estremamente difficile e, ove pure risultasse stabilito, si risolverebbe effimero e poco costruttivo". E poi completava il concetto affermando che "sarebbe grave colpa per i cristiani creare il mito della democrazia politica, la quale è premessa indispensabile, la base del sistema, ma non tutta la democrazia, che è non solo regime di libertà ma di umanità e di giustizia". E' una concezione che può essere fatta propria anche da chi segue un'ispirazione laica. E questo dato risalta anche oggi. Anzi, direi che oggi risalta in modo particolare, oggi che tante barriere culturali sono saltate e i tanti muri che hanno a lungo diviso gli italiani sono stati smantellati. Tale concezione rimanda a una visione dei rapporti tra politica e società che non teme l'usura del tempo. Anche nell'attuale momento storico s'avverte il bisogno di uno Stato che non escluda, che non emargini, che non neghi i diritti. Uno Stato che non esclude, che non emargina, che non nega i diritti è uno Stato che può esercitare la sua autorità in piena legittimità, senza timore di essere percepito come estraneo e punitivo

Democrazia dell'ascolto e democrazia del dialogo. L'uomo di Stato che oggi ricordiamo puntava a depotenziare il conflitto coinvolgendo il principale avversario nelle scelte del governo del Paese. Quella strategia è stata oggetto - e continua a essere oggetto in sede storiografica - di discussioni accese. Non è certo questa la sede per entrare in tale dibattito. E' opportuno piuttosto soffermarsi sui motivi ispiratori di tale progetto, motivi che vanno al di là delle contingenze storiche in cui esso si dipiegò. Moro si poneva il problema delle anomalie strutturali della politica italiana e cercava una via di uscita che evitasse traumi e lacerazioni. "Nella riflessione di Aldo Moro - ha detto lo storico Pietro Scoppola, scomparso nei mesi scorsi - è centrale l'idea della fragilità delle democrazia italiana, che rende impossibili le dinamiche caratteristiche delle democrazie più mature fondate sui meccanismi dell'alternanza , e obbliga a evitare contrapposizioni nette realizzando aggregazioni politiche articolate e complesse".
I grandi problemi sono quelli della debolezza delle strutture dello Stato, delle forti divisioni interne dell'Italia, della mancanza dell'alternanza al governo. Nella sua concezione, le maggioranze parlamentari hanno compiti più ampi rispetto al semplice sostegno all'azione dell'esecutivo. "L'aggregazione delle forze politiche nelle coalizioni di governo - rileva ancora Scoppola - ha nella sua visione un obiettivo che va al di là della formazione delle maggioranze parlamentari e di governo ma investe i fondamenti stessi della democrazia: le Assemblee rappresentative sono la sede naturale di una reciproca legittimazione e della maturazione di un comune concetto di democrazia". Siamo certo lontani da una concezione che vede nella contrapposizione tra programmi tra loro alternativi l'essenza stessa della politica, che è poi anche l'essenza della democrazia dell'alternanza. Ed è altrettanto vero che, in tale tipo di democrazia, ciò che unisce è altrettanto importante di ciò che divide. E' il grande tema dei valori condivisi e della legittimazione reciproca tra gli avversari politici, princìpi che per l'Italia hanno rappresentano una conquista sofferta e che agli occhi di Moro dovettero presentarsi in termini particolarmente drammatici.

Vale la pena di sottolineare che tale concezione faceva perno sulla capacità dei partiti di raccogliere le domande sociali attraverso il modello dell'organizzazione di massa. "Le democrazie moderne - sosteneva Moro - non possono fare a meno dell'iniziativa politica dei partiti e dell'opera di mediazione che essi svolgono, per dare efficacia, ispirazione ed effettiva base di consenso, in ogni momento, allo Stato democratico". Questa strategia venne interrotta nei 55 terribili giorni che vanno dalla strage di via Fani al doloroso epilogo di via Caetani, nel momento più drammatico della recente storia italiana e nel momento più buio della notte della Repubblica. Ancor oggi risuona il grido di dolore di Paolo VI: "Chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per l'incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente". Sono parole che ancor oggi, a distanza di trent'anni, non possono che turbarci e commuoverci.

In questi ultimi trent'anni la democrazia italiana s'è consolidata. La effettiva garanzia diritti si è allargata e i conflitti hanno perso il carattere potenzialmente esplosivo dei decenni passati. Anche se non possiamo ignorare, come ci ha ricordato il capo dello Stato, i segni lugubri del terrorismo, che riconducono tutti all'unica grande matrice dell'utopismo criminale.
Rimane comunque il fatto che quell'idea di Stato inclusivo che fu di Moro, oggi è diventata patrimonio comune e tende a ispirare i rapporti tra le istituzioni e il cittadino.
Non c'è dubbio che tale processo sia avvenuto con modalità diverse rispetto a quelle che Moro stesso aveva immaginato. I partiti di massa hanno perso la presa sulla società e il quadro politico s'è semplificato. Né possiamo dimenticare che sono stati principalmente i grandi sconvolgimenti internazionali della fine degli anni Ottanta a condurre l'Italia verso la democrazia compiuta, che pure era nei progetti del leader democristiano. L'affermazione della democrazia passa oggi per quel disegno di riforma istituzionale che la generazione di Moro, protagonista della fase costituente della Repubblica, non poteva ancora concepire. Alle istituzioni si continua certo a chiedere rappresentatività e tutela dei diritti, ma si chiede anche capacità di decisione. Le nuove sfide alla democrazia impegnano la politica nella guida dei grandi processi di modernizzazione e di apertura dell'Italia al mondo.
Di lui ci resta l'insegnamento prezioso di una politica lungimirante e di una coerenza personale portata fino all'estremo sacrificio.
"Tempi nuovi s'annunciano e avanzano in fretta come non mai", disse Moro nel Consiglio nazionale della Dc nell'autunno del 1968, in un periodo difficile della nostra storia. Oggi, dopo quarant'anni, s'annunciano tempi altrettanto nuovi. Quella frase sia per tutti un incitamento a guardare sempre avanti.