Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

25/07/2008

Tavola rotonda con i Presidenti di cinque Parlamenti dei Paesi dell'Europa sud-orientale sul tema de "I Parlamenti nei processi di stabilizzazione ed integrazione europea e mediterranea"

Desidero dare il più caloroso benvenuto ai partecipanti a questa tavola rotonda sul ruolo dei Parlamenti nei processi di stabilizzazione ed integrazione europea e mediterranea.
Sono molto grato all'on. Slavica Djukic-Dejanovic, da pochi giorni eletta Presidente dell'Assemblea nazionale serba (colgo l'occasione per porgerle le più vive felicitazioni), all'on. Jozefina Topalli, Presidente del Parlamento albanese, all'on. Ranko Krivocapic, Presidente del Parlamento montenegrino, all'on. Velimir Jukic, rappresentante del Presidente della Camera dei rappresentanti di Bosnia-Erzegovina ed all'on. Liljana Popovska, rappresentante del Presidente dell'Assemblea della Repubblica macedone, per avere aderito a questa iniziativa.
Esprimo il mio più vivo apprezzamento per l'impegno dell'IPALMO e della Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Roma "La Sapienza", che hanno promosso - unitamente alla Camera dei deputati e con il sostegno finanziario del Ministero degli Affari esteri - questo interessante e originale progetto di democracy assistance.
Da tempo sono un assertore convinto delle potenzialità positive dell'Europa sud-orientale, poiché ritengo che nel Continente europeo non vi potrà essere una autentica stabilità a meno che i Paesi dell'area non progettino assieme forme d'integrazione e iniziative, come l'Accordo europeo di libero scambio (CEFTA), basate sulla inequivocabile prospettiva della progressiva integrazione nelle istituzioni europee.
Due recenti notizie mi confortano in questa visione, una enfatizzata dalla stampa ed una meno nota, ma egualmente rilevante di una prospettiva di cambiamento, che percorre la vita politica e la società civile dei Paesi balcanici: mi riferisco alla cattura, a Belgrado, di Radovan Karadzic e alla firma, in Lussemburgo, dell'Accordo comunitario di stabilizzazione ed associazione con la Bosnia-Erzegovina. Si tratta di un importante passo nel percorso europeo già compiuto da altri Paesi della regione, ma che nel caso della Bosnia -teatro di tragici conflitti in un recente passato- ha anche una valenza simbolica.
Sembra davvero che anche per i Balcani occidentali, come accadde per la Germania post-bellica, l'espressione di un "il passato che non passa" possa essere definitivamente archiviata e consegnata alla storia.
Il processo di integrazione europea sta vivendo in questi mesi una fase di rallentamento. C'è una crisi di sfiducia nei cittadini europei, evidenziata dall'esito del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona, che trova riscontro nelle rilevazioni dell'ultimo Eurobarometro. Un pessimismo che coinvolge Paesi membri e Paesi in pre-adesione, per il timore di perdere i primi una quota di benessere, i secondi una parte della sovranità recentemente conquistata. In questo scenario è ancora più urgente definire un percorso di integrale europeizzazione della regione che il Parlamento italiano ha sostenuto, interpretando dinamicamente una vocazione non di sola vicinanza geografica ai Paesi dei Balcani, ma di autentica "prossimità" attiva e solidale.
L'allargamento "balcanico" dell'Unione apporterebbe una pluralità di benefici non soltanto agli Stati di nuova adesione, ma anche a quelli che già appartengono all'Unione europea, consolidandone ulteriormente l'identità politica e ideale, dal momento che - come ha affermato recentemente anche il Pontefice- le tradizioni e la cultura delle Nazioni balcaniche "appartengono allo spirito che permea questo Continente".
Condivido certamente le parole pronunciate il 9 luglio scorso, nel Parlamento europeo, dal Commissario europeo per l'allargamento, Olli Rehn: non possiamo permetterci "congedi sabbatici" dall'impegno comune per l'allargamento dell'Unione, poiché sappiamo che è funzionale agli interessi fondamentali dell'Unione e dei suoi cittadini. Ma ciò, dobbiamo saperlo, richiede anche un accresciuto impegno da parte dei Paesi che aspirano a divenire membri dell'Unione Europea.
Per assicurare un valido contributo al superamento di questa fase di diffidenza e di scetticismo è importante promuovere ed intensificare la cooperazione tra i nostri Parlamenti. I Parlamenti sono infatti chiamati a svolgere un ruolo essenziale e devono potenziare il loro intervento sotto diversi profili.
In primo luogo, l'impegno dei Parlamenti è indispensabile per l'informazione e il coinvolgimento dei cittadini, senza di che non sarà possibile affrontare con la forza necessaria le grandi sfide che questi processi comportano, nei Paesi membri come in quelli candidati.
L'azione dei Parlamenti è infatti indispensabile per rendere pubblico e trasparente il dibattito politico e per farvi partecipare i cittadini.
Spetta inoltre ai Parlamenti il complesso lavoro di adeguamento della legislazione nazionale alla normativa comunitaria, che per molti Paesi candidati può significare una profonda trasformazione dei propri ordinamenti. Ci accomuna, però, la responsabilità di garantire che l'attuazione si traduca in norme chiare e comprensibili, che non creino ostacoli artificiosi tra i cittadini e l'Europa.
Nella definizione degli indirizzi legislativi, i Parlamenti, infatti, devono tener conto delle conseguenze che essi hanno sulla vita e sugli interessi dei cittadini. Partecipare all'elaborazione di una norma e incidere sul suo contenuto significa innanzitutto capirne la concreta applicabilità.
Il problema dell'europeizzazione della legislazione nazionale è stato un punto di criticità del sistema normativo, sin dagli anni Settanta: soltanto con l'introduzione della "legge comunitaria" annuale è stata trovata una soluzione normativa coerente per l'adattamento dell'ordinamento nazionale a quello comunitario.
La legge comunitaria funge da regolatrice del processo di attuazione, poiché annualmente individua le direttive da trasporre nell'ordinamento nazionale, e stabilisce il livello legislativo di attuazione.Questo sistema ha consentito di snellire il processo di recepimento, favorendo un tempestivo adeguamento al diritto comunitario.
Inoltre le nostre Camere hanno introdotto nei loro regolamenti, a partire dai primi anni Novanta, una serie di modifiche volte a potenziare il loro intervento in materia europea. Sono state inoltre rese permanenti le Commissioni competenti per le politiche dell'Unione europea ed è stato introdotta una verifica della compatibilità comunitaria per tutti i progetti di legge.
Inoltre, la Camera dei deputati ha moltiplicato l'attività conoscitiva e di indirizzo nei confronti del Governo sulle politiche dell'Unione europea.
Ho voluto offrire alcuni elementi di informazione circa la prassi della Camera, peraltro ampiamente sviluppati nel corso degli incontri svoltisi presso le cinque Assemblee parlamentari: non intendiamo qui proporre la nostra organizzazione parlamentare come modello ma, nel rispetto delle specificità nazionali, vogliamo mettere a disposizione l'esperienza maturata dal Parlamento italiano in sessant'anni di vita democratica, nella convinzione che lo scambio di esperienze sia strumento fondamentale della cooperazione parlamentare.
Ritengo inoltre che le Assemblee parlamentari dell'area, anche attraverso le dimensioni rappresentative dei raggruppamenti regionali, possano efficacemente cooperare per garantire coerenti sinergie in quei settori in cui la dimensione sopranazionale è prevalente: ad esempio nel campo della disciplina doganale o nella promozione delle grandi reti infrastrutturali.
Il confronto e la cooperazione inteparlamentare possono infatti rivelarsi utili per la valutazione dell'attuazione dei programmi di sostegno finanziario alla transizione economica, che sono promossi dall'Unione europea e dal Consiglio di cooperazione regionale.
I Paesi dei Balcani occidentali ereditano infatti pesanti carenze infrastrutturali che condizionano le relazioni commerciali con l'Europa comunitaria e, segnatamente, con l'Italia. E' quindi essenziale, perché è certamente reciproco interesse, garantire un ulteriore sviluppo della rete di trasporti interni e un maggiore impulso alle direttrici di comunicazione di elevata rilevanza strategica come il Corridoio paneuropeo V (Trieste-Budapest-Kiev), il Corridoio VIII (Bari/Brindisi-Durazzo-Skopje-Varna/Burgas) ed il Corridoio X (dai Balcani alla Germania e all'Austria). Il 16 giugno scorso la Commissione europea, assieme alla Banca europea degli investimenti (BEI) ed alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERD), ha approvato nuovi finanziamenti per una serie di diciotto progetti infrastrutturali che raggiungono un valore complessivo di 800 milioni di euro.
L'attuazione di questi vasti progetti di durata pluriennale, decisivi ai fini dello sviluppo economico e del progresso civile della regione, è oggi rimessa alla valutazione degli organismi tecnico-amministrativi. Ecco perché ne occorre un attento monitoraggio in sede interparlamentare, onde consentire l'esercizio della funzione di indirizzo da parte della rappresentanza politica.
Credo infatti che ancorare i Balcani occidentali all'Unione Europea e alla NATO è certamente un obiettivo fondamentale che accomuna i Paesi del Sud-Est europeo, che anche in questo possono contare sul convinto sostegno di tutta l'opinione italiana. Ciò significa non puntare soltanto sull'integrazione nelle Istituzioni comunitarie e sull'ingresso nell'Alleanza Atlantica, ma guardare con attenzione in direzione del Mediterraneo, un'altra dimensione che ci avvicina non solo geograficamente ma anche culturalmente.
In questa prospettiva, il progetto dell'Unione per il Mediterraneo, lanciato ufficialmente dal Vertice di Parigi del 13 luglio scorso, ha certemente il merito di riparare, in qualche modo, ad una perdurante svista del disegno comunitario, brillantemente evidenziata da Predrag Matvejevic quando disse che l'Unione Europea si è compiuta nel corso dei decenni senza tener conto del Mediterraneo, "come se - parole sue - una persona si potesse formare dopo essere stata privata della sua infanzia, della sua adolescenza."
Il contributo dei popoli dell'Europa sud-orientale, con la varietà delle sue lingue, delle sue fedi religiose e delle sue culture è infatti insostituibile se vogliamo per davvero assicurare al nostro continente stabilità, sicurezza e prosperità.