Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

11/11/2008

Montecitorio, Sala della Lupa - La Fondazione della Camera dei deputati in collaborazione con la Fondazione Fanfani - "Fanfani alla Costituente"

E' con vivo piacere che ho accettato l'invito a pronunciare un breve indirizzo di saluto in apertura di questo Convegno dedicato alla figura di Amintore Fanfani e al ruolo che Egli svolse, in particolare, durante i lavori dell'Assemblea Costituente.

Ricordarlo in questa sede non è solo un segno di rispetto nei confronti dell'illustre statista, ma anche la giusta testimonianza da rendere ad un uomo la cui eredità di pensiero e di impegno politico andrebbe rimeditata ed attualizzata.

Al riguardo, si ha infatti talvolta l'impressione che la sua figura non sia stata sufficientemente valorizzata, così come è invece accaduto per altre personalità cui si deve la costruzione ed il consolidamento nel nostro Paese di una economia liberale e di un sistema politico democratico.

Forse perché Fanfani fu, notoriamente, uomo "di carattere"; persona di grande spessore culturale, insofferente per l'approssimazione e la superficialità o, peggio ancora, per il dogmatismo ideologico, che, all'occorrenza, non esitava a condannare.

Forte era la sua intima convinzione che l'attenzione ai meno privilegiati dovesse trovare risposta essenzialmente tramite politiche capaci di garantire sviluppo economico e maggior creazione di ricchezza.

Tale profondo convincimento risaliva alla matrice più autentica del riformismo cattolico, di cui fu prima fonte di elaborazione l'esperienza maturata all'interno dell'Università cattolica di Milano negli anni'30, sotto la guida spirituale di Agostino Gemelli e sotto l'influenza culturale del pensiero economico di Giuseppe Toniolo e di Angelo Mauri.

Da quell'ambiente discende lo sforzo incessante di Fanfani verso l'elaborazione di una nuova politica economica preoccupata di non disgiungere economia ed etica e ferma nel respingere tanto l'acritica fiducia negli automatismi del mercato liberista, quanto l'utopia del collettivismo marxista da lui ritenuta disumana.

Da quei princìpi, sviluppati anche attraverso una abbondante produzione accademica, derivava la convinzione del ruolo imprescindibile dello Stato nel coordinare e promuovere "un'economia per l'uomo", un sistema che mirasse alla piena espansione della personalità di tutti i cittadini.

In un suo scritto del 1946, Fanfani ebbe modo di approfondire questi concetti e di sostenere, in sintesi, che l'impegno concreto di ciascun Stato nazionale deve consistere nel garantire il coordinamento e la pacifica collaborazione a livello internazionale per prevenire e gestire le crisi congiunturali, ridurre gli squilibri, promuovere lo sviluppo della persona umana, tradurre in pratica i princìpi sanciti dalle dichiarazioni universali.

Queste idee, che mantengono ancora integra la loro modernità, erano già state espresse in occasione della "XIX Settimana sociale dei cattolici italiani", svoltasi a Firenze nell'ottobre del 1945 sul tema "Costituzione e Costituente", e trovarono piena espressione nel contributo di Fanfani ai lavori dell'Assemblea Costituente.

Fu, in particolare, a lui che si deve, dopo un lungo dibattito, la sintesi basilare dell'articolo 1 della Costituzione: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".

In questa formulazione, per Fanfani, l'espressione "democratica" sta ad indicare i caratteri fondanti di libertà e di eguaglianza, senza i quali non v'è democrazia.

Affermando, poi, che la Repubblica è fondata sul lavoro, Fanfani, e lo dirà nel corso della seduta del 22 marzo 1947, esclude "che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui, dovendo, invece, fondarsi sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale".

Determinanti furono anche i suoi contributi alla definizione della finalità ideale dello Stato racchiusa nell'articolo 2 della Costituzione e di quei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale in cui trova fondamento l'elaborazione dei compiti positivi e programmatici del potere pubblico nell'ambito economico.

Si tratta di richiami ideali che, lungi dal costituire un pretesto all'invadenza amministrativa o partitocratica, hanno ispirato in Italia la ricostruzione economica dal dopoguerra fino agli anni ?70.

In una intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari il 10 agosto 1978, rievocando le proprie esperienze di formazione politica, Fanfani racconta: "Eravamo a Milano un piccolo gruppo di professori cattolici. In piena guerra, sul finire del '41. Su iniziativa di Dossetti, cominciavamo a riunirci ogni settimana ed il tema era: che cosa deve fare un cattolico perché rinasca la democrazia".

Questa domanda deve essere riecheggiata molte volte nell'intimo del Ministro del lavoro, dell'Agricoltura, dell'Interno, degli Esteri, nonché del più volte Presidente del Consiglio dei Ministri e del Senato della Repubblica.

A nome di Fanfani sono legati provvedimenti ed iniziative che hanno segnato la storia della ricostruzione economica del nostro Paese ed il suo reinserimento a pieno titolo nel contesto internazionale.

In primo luogo, il "Piano Casa", approvato dal Consiglio dei Ministri il 6 luglio 1948 e tradotto in un disegno di legge presentato alla Camera con carattere di urgenza sotto la significativa denominazione di "Provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per i lavoratori".

La legge finale, entrata in vigore l'8 febbraio 1949, prevedeva, come noto, il coinvolgimento nel progetto complessivo di tutte le parti sociali e dello Stato, in coerenza con la visione solidaristica che Fanfani aveva mutuato dalla propria formazione cattolica, ma che, più in generale, doveva ispirare l'esercizio responsabile della cittadinanza e l'azione di sostegno, controllo e garanzia da parte dei pubblici poteri, con evidenti echi dell'ancora recente lezione del Keynes.

Come Ministro dell'Agricoltura, nel settimo Governo De Gasperi, toccò a Fanfani, fra il 1951 ed il 1952, gestire l'attuazione della "legge stralcio sulla riforma agraria", approvata, su proposta di Antonio Segni, nell'ottobre del 1950.

Fa riflettere, a questo proposito, il testo di una lettera, ora conservata fra le "carte di Fanfani", presso l'Archivio storico del Senato, che una coppia di contadini pugliesi indirizzò al Ministro nel 1952: "I coniugi Giampiero Savino e Maria Fiore di Cerignola, nel momento in cui cessano di essere proletari, ricevendo dalle mani di Vostra Eccellenza il contratto delle terre assegnateci, consegnano a Vostra Eccellenza le tessere del PCI per mai più appartenerle". Insomma, da proletari a piccoli proprietari.

In un'epoca in cui il concetto di "campagna mediatica" non poteva certo beneficiare delle odierne tecnologie dell'informazione, fu sua l'idea di organizzare, dopo l'approvazione della legge sulle zone montane, una serie di "feste della montagna" per valorizzare le tradizioni popolari locali e, nel contempo, dare risalto all'azione di governo in tutte le aree interessate.

A questo proposito, non possiamo dimenticare la sensibilità, per molti versi antesignana, mostrata da Fanfani per la tutela dell'ambiente. Una tutela che egli riteneva implicita nella suddivisione dei latifondi e nelle politiche di riforestazione da lui vigorosamente promosse.

Al medesimo instancabile attivismo si ispirò la sua azione come Ministro degli Esteri. In un contesto internazionale caratterizzato dalla contrapposizione ideologica, secondo lo schema geopolitico della guerra fredda, il Ministro italiano sviluppò una serie di iniziative sui molteplici fronti dell'impegno internazionale. Anzitutto in Europa, intuendo che, a metà degli anni '60, i tempi erano ormai maturi per il completamento della Comunità europea con l'ingresso della Gran Bretagna, nonostante le resistenze francesi.

In secondo luogo, sul versante atlantico, intensificando le relazioni con gli Stati Uniti e con l'Alleanza Atlantica fino ad ottenere che il Consiglio Atlantico invitasse all'unanimità l'Italia ad ospitare il Collegio di difesa della Nato.

E se, allora come oggi, l'Italia non poteva dirsi una grande potenza con riguardo agli armamenti, Fanfani intuì che poteva esserlo a pieno titolo in un altro campo, quello della cultura e dell'arte.

Promosse, così, a partire dal Messico, in cui si recò nel 1965, ed era la prima volta per un Ministro degli Esteri italiano, una serie di "Settimane culturali italiane" che rappresentarono un prezioso canale di dialogo e di accreditamento internazionale del nostro Paese e spesso costituirono la base per avviare fruttuosi scambi ed intense relazioni, anche di carattere politico ed economico, con i Paesi più diversi, dalla Turchia all'Irak, dalla Romania alla Somalia, dalla Russia al Brasile.

Di quella rete di rapporti sagacemente intessuta da Fanfani permane ancora oggi traccia in una serie di trattati internazionali bilaterali di interscambio culturale e commerciale sottoscritti dall'Italia e nell'attività di promozione internazionale della cultura e dell'immagine del nostro Paese che coinvolge enti come l'Istituto Italo-Latinoamericano, Istituto da lui voluto e che rappresentò, all'epoca, una delle realizzazioni di maggior prestigio per la nostra politica estera.

Da questa fin troppo sommaria ricognizione del suo pensiero e della sua azione di governo, emerge chiaramente come l'importanza dell'eredità politica di Fanfani risieda oggi nelle virtù della sua indole, sempre attenta a non disgiungere la teoria dalla pratica, nel valore quanto mai attuale di alcune sue felici intuizioni e nella sua instancabile tenacia nel tradurle in pratica.

C'è, infine, un ulteriore profilo della sua personalità che credo non debba essere trascurato.

Ricordando Angelo Mauri, docente di economia alla Cattolica di Milano, che fu uno dei suoi maestri, Fanfani scrisse: "considerò suo primo dovere illuminare i giovani sui riflessi umani delle azioni economiche".

Anche per Fanfani, "illuminare i giovani" costituì sempre un fronte d'impegno anzitutto morale oltre che accademico; e nonostante la crescente intensità dei suoi impegni politici, cercò sempre di non interrompere la propria attività di docente universitario.

Illuminare i giovani per farli uscire dall'illusione del sapere facile, dal condizionamento dei luoghi comuni, dal conformismo culturale che non produce progresso né per i singoli, né per le comunità.

Illuminare i giovani con la parola e con l'esempio della propria costante aspirazione di crescita morale e materiale.

E' questo l'ultimo grande ammonimento che ci proviene dall'impegno personale e politico di Fanfani; ed è questa, forse, la lezione più attuale di un professore sempre preoccupato, in primo luogo, di insegnare ai suoi allievi che la democrazia va costantemente alimentata innanzi tutto con l'offrire a tutti, nel libero e fecondo confronto di idee, reali opportunità per crescere, per istruirsi e per affermarsi socialmente.