Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

24/11/2008

Palazzo Marini, Sala delle Colonne - Seminario internazionale organizzato dalla Fondazione De Gasperi sul Trattato di Lisbona e l'avvenire dell'Europa

Desidero, in primo luogo, rivolgere il mio saluto e il mio benvenuto a tutti i presenti. Sono lieto che la Camera ospiti oggi la Fondazione De Gasperi, importante soggetto del dibattito politico-istituzionale, che, in coerenza con gli ideali che la ispirano, ha promosso questa occasione di riflessione e confronto su un tema cruciale quale quello delle prospettive del processo di integrazione europea.
Il Trattato di Lisbona è al centro di queste prospettive: esso è il frutto di un processo "costituzionale europeo" ormai quasi decennale, iniziato nel 1999 con l'elaborazione della "Carta dei diritti fondamentali" dell'UE e proseguito con i lavori della Convenzione Europea presieduta da Giscard d'Estaing.
Un processo connotato da luci ed ombre.
Tra gli aspetti positivi vi è, soprattutto, la capacità dell'Unione Europea di procedere con un metodo condiviso ed inclusivo attraverso il quale tradizioni costituzionali nazionali, "idee di Europa", culture e percorsi storici, situazioni economiche e sociali di Paesi tra loro molto diversi hanno saputo trovare una sintesi e una via per la definizione di una cornice comune.
Positiva è stata sia la capacità - sulla base di questo metodo condiviso - di individuare le carenze dell'assetto istituzionale dell'Unione Europea e di alcune delle sue politiche, sia la capacità di definire una serie di strumenti volti a garantire un migliore funzionamento dell'Unione.
Certo, sarebbe ipocrita non ammettere che vi sono state e vi sono delle "ombre". Alcuni segnali di crisi si sono manifestati nel corso degli ultimi anni e sono emersi, seppur in tempi diversi, proprio quando si pensava che le difficoltà maggiori fossero state superate: penso ai referendum in Francia e nei Paesi Bassi, che, nel giugno del 2005, in rapida sequenza hanno affossato il Trattato costituzionale; penso all'esito negativo del referendum svolto in Irlanda nel giugno scorso sul Trattato di Lisbona; alla decisione del Capo dello Stato polacco di sospendere la firma della ratifica del Trattato - già votata dal Parlamento - in attesa della certezza della sua entrata in vigore; al rinvio della ratifica da parte del Parlamento della Repubblica Ceca, che pure eserciterà la Presidenza dell'Unione europea dal prossimo 1° gennaio; al ricorso pendente presso la Corte costituzionale tedesca, che impedisce, al momento, alla Germania di completare la ratifica del Trattato - già approvata dal Parlamento - con la firma del Capo dello Stato.
Tali segnali di crisi non sembrano, tuttavia, trarre origine dalla volontà di bloccare del tutto il processo di integrazione europea.
Sembra emergere, piuttosto, la percezione di una inadeguatezza dell'assetto attuale dell'UE rispetto alle reali esigenze dei cittadini. E' una sorta di vero e proprio paradosso, perché gli attuali grandi mutamenti economici e sociali su scala globale rendono chiaramente insufficienti le risposte a livello nazionale e postulano, quindi, un'azione che per essere efficace deve essere su scala europea.
Per altro verso, l'azione dell'UE viene percepita come eccessivamente invasiva e, dunque, quale fattore di blocco piuttosto che di promozione della crescita, dello sviluppo e dell'occupazione in Europa.
In altri termini, le opinioni pubbliche percepiscono poca Europa laddove ce ne sarebbe più bisogno e troppa Europa laddove, invece, l'azione a livello nazionale potrebbe essere più adeguata.
Al riguardo, sono convinto che il problema principale sia rappresentato dalla mancanza di un'idea forte in grado di consolidare e rilanciare il processo di integrazione europea. Nella fase dei "Padri fondatori", il collante è stato il mantenimento della pace in Europa; poi, dopo il 1989, "l'idea forte" è stata la riunificazione, o meglio il ritorno all'unità del continente europeo.
Nella fase che viviamo oggi cresce la richiesta di Europa che proviene dal resto del mondo. Dalle regioni vicine, certamente, ma anche dalle aree più lontane, dalle aree di crisi e di conflitto, oltre che dalle stesse organizzazioni multilaterali.
Ecco, io credo che il "mito" europeo oggi possa essere incarnato dal ruolo sempre maggiore che l'Europa deve giocare nella politica internazionale, nell'impegno per la pace, per la sicurezza dei popoli. Anche in occasione della recente crisi russo-georgiana è emersa, con assoluta evidenza, l'esigenza di un'azione comune europea.
Tale esigenza è ancor più sentita per far fronte alle sfide globali rappresentate dall'attuale crisi finanziaria internazionale, dalle emergenze legate all'approvvigionamento energetico e ai cambiamenti climatici. Di fronte a queste realtà il re è nudo: è nuda l'Europa ed è evidente la necessità di garantire una più efficace capacità decisionale che sarà più agevolmente assicurata con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il Trattato, pur con i suoi limiti, porta, infatti, innovazioni importanti, determinanti per le prospettive dell'Unione. Opera, ad esempio, una forte semplificazione della struttura istituzionale e delle procedure decisionali dell'UE, che è il presupposto imprescindibile per assicurare che essa agisca in modo più trasparente, comprensibile, coerente. Inoltre, attribuisce una valenza di ordine "costituzionale" ai diritti contenuti nella "Carta dei diritti fondamentali", il che costituisce, oggettivamente, un ulteriore passo in direzione di un'effettiva integrazione europea.
Il Trattato introduce, poi, una più chiara ripartizione delle competenze tra Unione europea e Stati membri, precisando in primo luogo, rispetto ai Trattati vigenti, che qualsiasi competenza non attribuita all'Unione appartiene agli Stati membri.
Molto significative e fortemente innovative sono anche le disposizioni relative alla partecipazione dei cittadini e all'iniziativa legislativa popolare.
Queste previsioni riconoscono, per la prima volta, espressamente, un ruolo dei cittadini e dei corpi intermedi nella formazione delle politiche e della normativa dell'UE. Al di là dell'effettivo impatto che esse avranno, si tratta di un mutamento non trascurabile nella prospettiva del processo di integrazione europea, coerente con la ridefinizione di valori ed obiettivi dello stesso processo di integrazione.
Inoltre, il Trattato di Lisbona rafforza il ruolo del Parlamento europeo ed assicura ai Parlamenti nazionali la possibilità di assumere concretamente il ruolo di "istituzioni indirette" dell'Unione, partecipando - da attore - alle grandi scelte politiche e alla definizione dei singoli interventi regolativi.
Sarà importante, a questo fine, che i Parlamenti nazionali impostino nel modo migliore i nuovi poteri ad essi attribuiti, in particolare quelli in materia di controllo di sussidiarietà.
Certamente lo farà il Parlamento italiano, per la sua tradizione fortemente europeista.
Due punti saranno importanti: tenere conto del carattere intrinsecamente "dinamico" della sussidiarietà, quale fattore non soltanto di limitazione, ma anche di espansione dell'intervento europeo, ed evitare il rischio che i Parlamenti nazionali si riducano al ruolo di meri guardiani delle competenze nazionali, trascurando la capacità di incidere sul merito delle scelte politiche e regolative dell'UE.

Il Trattato rafforza, inoltre, la capacità dell'Unione di rilanciare, anche in chiave di proiezione esterna, alcune politiche cruciali, come quelle che attengono ai settori della giustizia, dell'energia, dell'ambiente, della politica estera e di sicurezza, della politica di difesa.
Il Trattato di Lisbona potrà, dunque, offrire strumenti nuovi e più efficaci per realizzare un ruolo più forte dell'Europa sulla scena mondiale. Di questo slancio c'è e ci sarà molto bisogno, non solo per far entrare in vigore il Trattato di Lisbona, ma per utilizzare appieno le nuove possibilità che si apriranno per le politiche europee. Molto, naturalmente, dipenderà dalla volontà politica dei governi e dei parlamenti dei Paesi membri.
E', dunque, essenziale che il processo di ratifica del Trattato di Lisbona sia completato nel più breve tempo possibile dai Paesi che mancano. Penso che, a questo punto, difficilmente potrà entrare in vigore prima delle elezioni europee del giugno del 2009, come tutti avevamo auspicato. Ritengo, però, si debba fare di tutto per prevedere che il Trattato di Lisbona entri in vigore con l'avvio della nuova legislatura del Parlamento europeo, così da rigenerare le stesse istituzioni e favorire, al contempo, la nascita di un effettivo "demos" europeo.
Dare questo significato all'appuntamento elettorale di giugno rappresenterebbe la possibilità di dare alla ratifica del Trattato il sostegno del voto di decine di milioni di cittadini europei.