Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

04/12/2008

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno organizzato dalla Fondazione della Camera dei deputati in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo - "60 anni di diritti umani: cosa è cambiato?"

L'anniversario che intendiamo celebrare con il convegno odierno è di grande importanza per un Paese, come il nostro, che si è sempre impegnato a fondo nella battaglia in difesa dei diritti dell'uomo.
Ringrazio il Presidente della Fondazione della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, per l'invito e lo saluto unitamente al Ministro degli Esteri , Franco Frattini, alla Vice Presidente del Senato, Emma Bonino, al Presidente del Comitato permanente sui diritti umani della Commissione Affari Esteri della Camera, Furio Colombo e alle autorità che sono presenti.
Questo convegno induce a porci un interrogativo fondamentale: che cosa è cambiato nel mondo sessant'anni dopo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo?
Non si può dare una risposta semplicistica a tale interrogativo. Ma è bene partire dalla considerazione che il mondo, grazie proprio a quel documento, non è più lo stesso. E' un mondo assai più civile, più attento alla dignità, libertà e l'integrità delle persone, rispetto a quanto accadeva in quel difficile 1948, quando molti Paesi recavano le ferite ancora aperte delle immani devastazioni del secondo conflitto mondiale e quando i popoli assistevano al delinearsi dell'inquietante prospettiva della Guerra Fredda .
La "Dichiarazione Universale" ruppe quel clima perché accese la speranza di un mondo più giusto e più libero. E fu una speranza potente. Una speranza che ha dato considerevoli frutti nel tempo.
Tutto questo non ci impedisce tuttavia di riconoscere che c'è ancora molto da fare per l'affermazione dei diritti dell'uomo. La libertà, la dignità, la vita stessa delle persone continuano a essere minacciate in troppi Paesi.
L'attuazione dei princìpi d'umanità richiede, dopo sessant'anni, un impegno sempre più alto e intenso.

Rilevo con soddisfazione che in tutti questi anni si sono moltiplicate le iniziative in difesa dei diritti umani. Si sta consolidando nelle coscienze dei popoli un sostegno convinto all'azione delle Istituzioni nazionali e delle Organizzazioni internazionali contro le discriminazioni, le aggressioni, le ingiuste detenzioni, le torture perpetrate ai danni di uomini e donne in molte parti della Terra.
Non possiamo non ricordare in proposito il ruolo di primo piano recentemente svolto dall'Italia per l'approvazione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della Risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali, sancita il 18 dicembre 2007.
E' scontato osservare che l'attenzione riservata oggi ai diritti umani è anche il frutto delle mutate condizioni storiche. E non c'è dubbio che un ruolo fondamentale sia stato svolto dall'affermazione su scala planetaria delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Ma il dato oggi da sottolineare è che la Dichiarazione ha aperto la strada ad una coscienza universale dei diritti e ha fatto nascere una nuova "etica cosmopolitica". E' infatti il primo documento a carattere planetario ad aver sancito precise prerogative spettanti ad ogni essere umano, abitante in qualsiasi parte del mondo, appartenente a qualsiasi popolo e a qualsiasi Stato.
La cultura dei diritti dell'uomo pervade oggi, come mai era accaduto prima, le Istituzioni e la società civile in larga parte del mondo.
L'annuale Rapporto di Amnesty International sulla condizione dei diritti umani rappresenta un momento obbligato di riflessione per governi, parlamenti e opinione pubblica. E sempre più numerose sono le Organizzazioni non Governative che attuano una meritoria opera di sensibilizzazione rivolta alle Istituzioni, ai mass media e ai cittadini . L'illustrazione completa dei progressi compiuti in questi sessant'anni richiederebbe tempi non compatibili con la durata di un convegno. Pertanto, mi limito qui a ricordare il ruolo di primo piano svolto dall'Europa, a partire dalla Convenzione europea per i diritti dell'Uomo e le libertà fondamentali del 1950.
I suoi princìpi, insieme con quelli della Dichiarazione del 1948, sono inoltre recepiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre del 2000 e nuovamente approvata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, ai fini del suo richiamo formale nel testo del Trattato di Lisbona.

Questi risultati possono essere oramai considerati patrimonio consolidato della società odierna e dell'umanità. Ma accanto a tante luci dobbiamo purtroppo annoverare ancora numerose ombre.
Alle aggressioni dirette contro la vita e le libertà, si aggiungono piaghe non meno dolorose e intollerabili come lo sterminio silenzioso prodotto dalla povertà estrema, dalla carestia, dalle malattie e dall'insufficiente accesso all'acqua, che affliggono molte zone della Terra.
L'articolo 25 della Dichiarazione stabilisce che "ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari". E' amaro constatare come questo principio non trovi applicazione ancor oggi in numerosi Paesi.
Molte di tali piaghe dipendono dalle ingiustizie sociali che continuano a colpire i più deboli e i più poveri. Ma l'indigenza delle popolazioni è spesso l'effetto dei conflitti, delle tensioni e delle discriminazioni che agitano le aree di crisi del mondo.
Uno degli aspetti più orribili e inquietanti delle nuove guerre è rappresentato dall'alto tributo di sangue pagato dalla popolazione civile.
La furia bellica si accanisce oggi prevalentemente contro gli inermi. Fa riflettere un dato più volte denunciato nel recente passato dalle organizzazioni umanitarie: se nelle guerre d'inizio Novecento moriva un civile ogni otto militari, alla fine del secolo scorso la macabra proporzione era ribaltata: otto civili, e in quanto tali innocenti, per ciascun militare caduto in combattimento.
Abbiamo assistito negli ultimi quindici anni a conflitti che hanno presentato i caratteri delle guerre di sterminio e della pulizia etnica. La nostra coscienza si riempie di un senso di orrore al ricordo del genocidio commesso in Ruanda nel decennio passato.
E un analogo sgomento lo proviamo rievocando la guerra nella ex Jugoslavia, che conobbe crimini orrendi, come il massacro di Srebrenica e di altre località della Bosnia o come l'ignobile pratica dello stupro che si svolse in numerose zone di quello sfortunato Paese.

Di fronte a questi crimini contro l'umanità, è cresciuta in questi anni la consapevolezza che la tutela dei diritti umani passa, non solo attraverso le iniziative delle Istituzioni nazionali e delle Organizzazioni internazionali, ma anche grazie all'affermazione del principio della giustizia internazionale.
L'idea kantiana del "diritto cosmopolitico" è uno dei frutti più alti della cultura dell'illuminismo che vengono a maturazione nel mondo di oggi.
Quell'ideale, sviluppato nel Novecento da Hans Kelsen, ha rinnovato la cultura dei rapporti internazionali. Al centro di questa concezione c'è l'idea che la pace universale possa essere raggiunta anche attraverso un ordinamento giuridico mondiale.
Non sono mancate le critiche di astrattezza a tale teoria. Ma il dibattito internazionale che s'è sviluppato ha dato frutti fecondi, dal momento che s'è fatta progressivamente strada l'idea che i rapporti mondiali vadano regolati con la forza del diritto e non con il diritto della forza.
L'ideale di una giurisdizione mondiale in nome dell'umanità non è più un'utopia. L'idea di un tribunale internazionale trova la sua legittimazione morale e culturale proprio nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.
Questa cultura ha prodotto prima la nascita delle Corti Speciali che giudicano i crimini commessi nella ex Jugoslavia e in Ruanda. E successivamente la creazione di un tribunale con una competenza "globale" in materia di tutela dei diritti umani: la Corte Penale Internazionale.
Questo ultimo evento rappresenta per l'Italia un motivo di particolare soddisfazione visto che la Corte Penale Internazionale è stata istituita, proprio grazie all'impegno del Governo italiano, con l'adozione dello Statuto di Roma durante la Conferenza Diplomatica delle Nazioni Unite che si svolse nella Capitale il 17 luglio del 1998.
L'Italia è stato uno dei primi Paesi al mondo ad aver ratificato lo Statuto della CPI. E vale la pena sottolineare che il voto favorevole del Parlamento vide la convergenza unanime, con spirito "bipartisan" si direbbe oggi, delle forze politiche, a riprova di quanto profonda e diffusa sia la cultura del rispetto dei diritti umani nel nostro Paese.
Al tal proposito, sarà interessante ascoltare Monica Donini, coordinatrice della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, che presenterà nel corso di questo convegno una ricerca promossa dalla Conferenza stessa sul tema "I giovani e la Dichiarazione Universale dei Diritti umani".
E' un sentimento, quello dei diritti umani, che affonda le sue radici nella grande tradizione civiltà del nostro popolo e che ritroviamo nei princìpi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione. Molti dei contenuti morali espressi nella Dichiarazione Universale vennero anticipati pochi mesi prima dalla Legge Fondamentale dello Stato italiano.
Ritengo che sia carica di significato la coincidenza di ricorrenze tra il Sessantesimo della Carta mondiale diritti umani e il Sessantesimo della nostra Carta costituzionale.

Questo patrimonio etico, culturale e politico deve impegnare il nostro Paese a continuare con determinazione e convinzione la sua azione di sostegno dei diritti umani e di promozione della pace nel mondo.
Pace e diritti costituiscono un binomio inscindibile. La tutela della libertà e dignità della persona sarà piena solo in un mondo affrancato dal ricatto delle armi, della violenza e della discriminazione.
Nuovi pericoli vengono oggi alla civiltà dell'uomo. Le tragedie di questi ultimi giorni - mi riferisco all'India, alla Nigeria e al Congo - ci ricordano amaramente quanto sia difficile sradicare l'odio politico, il razzismo e il fanatismo dalla vita dei popoli.
Ma il realismo deve essere stimolo all'azione, non alla rassegnazione.
I diritti umani possono e debbono costituire la base di quella che John Rawls chiamava una "società dei popoli ragionevolmente giusta". Attorno a questa società si può edificare un mondo nuovo.
L'articolo 28 della Carta dei diritti umani sancisce che "ogni individuo ha diritto a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati".
E' un obiettivo che attende di essere ancora raggiunto .
Ma è un obiettivo possibile. E richiede l'impegno costante delle istituzioni e della società civile mondiale. Con l'Italia in prima fila.