Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

26/01/2009

Palazzo Marini, Sala del Refettorio - Convegno internazionale: "La V Repubblica francese nel dibattito e nella prassi istituzionale in Italia"

Nel corso del dibattito sulle riforme istituzionali, che ormai da più di vent'anni si sviluppa in Italia, il "regime" della "Quinta Repubblica" francese ha rappresentato, senza alcun dubbio, uno dei principali modelli di riferimento.

In alcune fenomenologie del sistema politico italiano, quali la crisi del sistema dei partiti, l'instabilità dei governi o la loro difficoltà ad assicurare in Parlamento l'integrità dell'indirizzo politico di maggioranza, sono stati ravvisati molti elementi di similitudine rispetto alla situazione politica d'oltralpe da cui trasse origine la nuova Carta costituzionale del 1958.

M(u)ovendo da tale considerazione, sono stati ipotizzati possibili sviluppi del nostro sistema costituzionale secondo il "modello francese", caratterizzato da una razionalizzazione del sistema parlamentare e dal correlativo rafforzamento della capacità decisionale dell'Esecutivo.

Inoltre, sul tema del "presidenzialismo", o del "semi-presidenzialismo", e, più in generale, per quanto riguarda i rapporti fra Governo e Parlamento, ha suscitato interesse la formula della cosiddetta "diarchia flessibile", [secondo l'espressione di Giovanni Sartori], in relazione a cui il sistema francese ha dato prova di sapersi adattare nell'alternarsi di maggioranze congiunte e disgiunte fra Presidente della Repubblica e Primo Ministro.

In questa formula, la dottrina ha individuato, in particolare, una possibile soluzione di compromesso dinamico che, in ultima analisi, demanda alla periodica decisione popolare l'avvicendamento fra presidenzialismo e parlamentarismo, entrambi potenzialmente esprimibili dal sistema francese al mutare delle combinazioni maggioritarie.

E' questione apparentemente più consona ai costituzionalisti, che ai politici, quella di determinare se tale potenzialità di avvicendamento esaurisca il contenuto caratterizzante del sistema francese o se, più problematicamente, essa configuri uno dei tratti qualificanti di un sistema misto.

Un sistema in cui la prevalenza del Presidente della Repubblica eletto dal popolo, o del Primo Ministro espressione di una maggioranza parlamentare eventualmente divergente da quella presidenziale, può anche dipendere o essere condizionato da fattori inerenti a quella che può essere definita la "Costituzione materiale".

La valutazione politica trae spunto e motivo di arricchimento dall'analisi tecnica costituzionalistica. Ma a questa si aggiunge doverosamente la necessaria ponderazione di quelle variabili socio-politiche che notoriamente influenzano, spesso in modo determinante, l'esportabilità dei modelli costituzionali.

Dalla ricca e variegata rappresentanza di studiosi di altissimo livello nazionale ed europeo che interverranno a questo seminario, ci aspettiamo un prezioso contributo di riflessione a poco più di cinquant'anni dall'approvazione della Costituzione della "Quinta Repubblica" con il referendum del 28 settembre 1958; ad ancor minore distanza di tempo dall'ulteriore referendum con cui, il 28 ottobre 1962, venne ratificata la proposta del Generale de Gaulle circa l'elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica; e soprattutto, a quasi sei mesi dall'ultima riforma costituzionale del 23 luglio 2008, con cui, a Versailles, l'Assemblea Nazionale ed il Senato, riuniti in Congresso, hanno approvato la più ampia revisione costituzionale verificatasi nella vita della "Quinta Repubblica", che ha riguardato circa la metà degli articoli della Costituzione.

Proprio su quest'ultimo punto sembrano essersi concentrati, non solo in Francia, tanto la riflessione dottrinale che il dibattito politico.

Ed anzi, l'itinerario delle riforme costituzionali e regolamentari che ne ha finora scandito l'evoluzione sembra trovare un filo conduttore proprio nel graduale recupero di una maggiore capacità di incidenza del Parlamento nei processi di formazione e valutazione di efficacia delle decisioni politiche.

E' noto, infatti, come la fase iniziale della "Quinta Repubblica" sia stata caratterizzata, sotto il profilo istituzionale, da un significativo ridimensionamento dei poteri del Parlamento.

Ciò in ragione di alcune specifiche disposizioni della Costituzione del '58. Ricordo, ad esempio, nella loro originaria formulazione, quelle relative ai tempi di lavoro ed alla predisposizione dell'ordine del giorno delle assemblee parlamentari, [art. 48 Cost. ]; alla cosiddetta "procedura del voto bloccato" [art. 44, comma 3, Cost. ] od alla espressa inammissibilità delle proposte e degli emendamenti parlamentari da cui conseguano aumenti di spesa o riduzioni di entrate, [art. 40 Cost. ].

Ma ciò anche in ragione di una "parallela" giurisprudenza del Consiglio costituzionale che limitava fortemente l'ambito operativo delle risoluzioni parlamentari e che è rimasta sostanzialmente invariata fino al 1992.

Del resto, come ha scritto, nel 1994, Raymond Janot, nel suo saggio, sotto forma di intervista, dal titolo "Le memorie di un Architetto costituzionale", - cito testualmente - "la conoscenza pratica dei vizi dell'esperienza costituzionale dal '46 al '58 ha portato molti di noi a convincerci che la centralità parlamentare fosse rimasta niente di più di una evocazione rituale. La concreta vicenda istituzionale della IV Repubblica aveva portato il Parlamento ad essere sempre meno in grado di controllare lo spazio politico che gli era stato concesso. Alla fine, il suo potere era stato svuotato dall'interno, ed in sua vece erano divenuti altri i poteri effettivi. La Carta del '58 ha razionalizzato il potere del Parlamento, permettendogli di svolgere effettivamente quel lavoro che, negli ultimi tempi della IV Repubblica, non era stato più in grado di assicurare".

Dopo le riforme costituzionali del 1958 e del 1962, scaturì, peraltro, in Francia, un vivace dibattito politico e dottrinale sulla conformità delle stesse riforme alla gloriosa tradizione repubblicana francese e, per quanto riguarda il Parlamento, tale scenario ispirò il significativo titolo di un noto contributo dottrinale: "Un Parlamento, per farne cosa?" [Un Parlement, pour quoi faire? André Chandernagor, 1967].

Da tale contesto politico-istituzionale, scaturì, tuttavia, un lento, ma progressivo itinerario di rivalutazione del ruolo del Parlamento, scandito gradualmente dal passaggio alla sessione parlamentare unica; da una più strutturata attivazione delle funzioni parlamentari d'informazione e di valutazione d'impatto della legislazione settoriale; dalla reviviscenza della risoluzione parlamentare come strumento d'indirizzo relativamente ai testi e documenti dell'Unione Europea trasmessi al Parlamento e, da ultimo, dalla riforma costituzionale del 23 luglio 2008.

Quali insegnamenti, dunque, si possono trarre da questa complessa esperienza? Quali stimolanti riflessioni essa suggerisce alla migliore dottrina costituzionalistica francese ed a quella italiana, che sono oggi qui rappresentate? Quali utili elementi operativi possono derivare da tali riflessioni alla decisione politica sulle riforme costituzionali in Italia?

Da questi interrogativi trae origine l'iniziativa di questa importante iniziativa culturale ed intorno ad essi desidero sollecitare il prezioso contributo di riflessione critica che ciascuno dei relatori vorrà offrirci.

Storicamente e politicamente, fra l'esperienza italiana e quella francese, si ravvisano svariati elementi di similitudine, ma anche significativi profili di difformità.

La transizione costituzionale dalla "Quarta" alla "Quinta" Repubblica avvenne in Francia in circostanze di assoluta emergenza, connesse alla crisi algerina del maggio 1958 da cui originò, agli inizi del giugno successivo, il conferimento dei pieni poteri per sei mesi al Generale de Gaulle ed il successivo affidamento del mandato di redigere una nuova Costituzione da sottoporre ad una ratifica referendaria.

Fra il 3 giugno del 1958 - data in cui il Parlamento conferisce al nuovo Capo del governo questo mandato - ed il 28 settembre successivo - data dell'approvazione popolare della nuova Costituzione con circa l'80% dei suffragi - trascorrono quattro mesi scarsi. Ancora meno, se si tiene conto che il nuovo testo costituzionale era stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 settembre ed illustrato il giorno successivo dallo stesso de Gaulle alla folla radunata a Parigi, significativamente, in Place de la République.

Questa rapidità decisionale su temi così delicati, indubbiamente senza precedenti anche nel contesto francese, era dovuta soprattutto agli sviluppi di una crisi che sembrava investire l'identità stessa dello Stato e quasi la dimensione fondativa della legittimità del potere pubblico: cioè la capacità del governo di provvedere efficacemente alla tutela degli interessi nazionali, con una azione congiunta di politica estera e di difesa nazionale.

Tutto questo non appartiene all'esperienza italiana!

L'esigenza perdurante e prioritaria di mantenere la coesione del sistema sociale ed istituzionale del Paese ha precluso, anche nei momenti più tragici della nostra storia politica, la praticabilità di soluzioni emergenziali. Ciò, particolarmente, in materia di riforme costituzionali, nella pur tormentata ricerca di un nuovo e necessario equilibrio fra efficienza decisionale delle istituzioni politiche e rappresentatività delle loro decisioni.

In Italia, si è proceduto per aggiustamenti graduali e progressivi che, negli ultimi vent'anni, hanno scandito, a Costituzione invariata, per quanto concerne i rapporti fra Governo e Parlamento, un itinerario di rafforzamento tendenzialmente condiviso della capacità d'incidenza del Governo nella programmazione dei lavori parlamentari ed una correlativa limitazione delle potenzialità ostruzionistiche di alcuni istituti procedurali previsti dai Regolamenti parlamentari del 1971.

Non va trascurato, inoltre, nel contesto francese del secondo dopoguerra, il particolarissimo ruolo del Generale de Gaulle e il diffuso prestigio personale che gli derivò dall'essere stato, durante la guerra, l'indiscussa figura di riferimento della Francia libera.

Tale unicità di ruolo gli consentì di praticare quella personalizzazione della politica che lo portò ad incarnare, agli occhi dei francesi, lo spirito della "Quinta Repubblica" e ad interpretare, spesso con espressioni assai caustiche, ma senza degenerazioni anticostituzionali, la diffidenza diffusa nel Paese nei confronti del sistema dei partiti.

Un sistema dei partiti che, come sembra testimoniare il più recente sviluppo delle riforme costituzionali, ha intrapreso in Francia un cammino di riaccreditamento che deve molto al contributo di altri prestigiosi esponenti dei diversi schieramenti politici e che, necessariamente, passa attraverso un graduale rafforzamento del ruolo istituzionale del Parlamento.

Quali siano state le linee di tendenza di tale rafforzamento - e ne chiedo conferma ai nostri relatori - sembrano suggerirlo le parole di un altro grande personaggio della storia politica francese ed europea, René Pleven, che, in un suo intervento all'Assemblea nazionale, il 21 gennaio 1959, disse: «Richiamo l'attenzione dell'Assemblea sul fatto che, nella lettera e nello spirito, la Costituzione del 1958 ha assegnato al Parlamento due prerogative essenziali: il Parlamento deve legiferare e deve controllare».

Legislazione e controllo sono, per molti aspetti, le due funzioni identitarie del Parlamento; quelle più immediatamente visibili e comprensibili dai cittadini e, come tali, quelle che, in maggior misura, influenzano la percezione del Parlamento da parte dei cittadini, pur a fronte dell'ampio novero di funzioni che i Parlamenti contemporanei assolvono sul versante politico ed istituzionale nazionale, europeo ed internazionale.

Sul tema della legislazione, la Francia, come è noto, ha beneficiato di una significativa tradizione di codificazione della legislazione settoriale - in omaggio ai più grandi filosofi del diritto di epoca illuministica - su cui sono venute saldandosi le iniziative, prevalentemente governative, in tema di qualità della legislazione e di "better regulation".

Ciò sembra rendere oggi più agevole, nell'ordinamento francese, l'individuazione del diritto vigente, specie in determinati settori particolarmente tormentati della legislazione.

Nello stesso ambito, pur partendo da una diversa organizzazione della legislazione settoriale e da un diverso grado di complessità dovuto al più accentuato sviluppo dell'ordinamento regionale, anche l'Italia non è stata inerte sul versante della razionalizzazione del sistema normativo, come dimostrano le significative e numerose iniziative assunte, a partire soprattutto dagli ultimi anni '90, sia a livello governativo che a livello parlamentare.

Dal punto di vista quantitativo, la produzione legislativa rimane abbondante nei due Paesi: segno, forse, della necessità di avviare una più approfondita riflessione sul rilancio del Parlamento attraverso "meno leggi, ma più importanti".

"Legiferare meno per legiferare meglio", così da accreditare il Parlamento, agli occhi dei cittadini, come la sede istituzionale privilegiata in cui si discutono e si decidono i grandi temi della vita politica ed economica del Paese, nel rispetto del dovere della maggioranza di governare e del diritto dell'opposizione di far emergere la propria visione alternativa.

Sul tema del controllo, rivestono particolare interesse gli sviluppi dell'esperienza delle "missioni di informazione" e dell'attività di valutazione che, a partire dagli anni '70, secondo alcuni commentatori, hanno trasformato il Parlamento francese in un "Parlamento valutatore", rafforzando il dibattito pubblico soprattutto per quanto concerne l'efficacia della legislazione e della spesa pubblica per le politiche settoriali.

Anche su questo versante le opinioni sono naturalmente discordi e sarà particolarmente interessante ascoltare, dai relatori che sono qui presenti, se, a questo riguardo, sia possibile prospettare oggi un bilancio dell'esperienza francese e trarne utili elementi di cui tener conto ai fini di una ridefinizione, anche in tal senso, della funzione di controllo parlamentare nel nostro Paese.

Sono, quindi, molti i profili di grande interesse che potranno essere tecnicamente affrontati. Dal punto di vista della cultura politica c'è, tuttavia, un elemento che sembra accomunare le esperienze dei nostri due Paesi, pur nella diversità delle loro fasi di sviluppo.

Come in Francia, il confronto sui temi istituzionali ha talora assunto anche in Italia il sapore di una battaglia fra due concezioni diverse della Repubblica e della democrazia.

Ciò fa doverosamente parte della fisiologia del confronto politico, almeno fino a quando non si risolve, nel lungo periodo, in una stasi decisionale.

Da qui l'utilità di moltiplicare le occasioni e le sedi del confronto e della riflessione conoscitiva - ed il convegno di oggi ne è una testimonianza -, così da contribuire alla più ampia diffusione possibile della consapevolezza che il buon funzionamento delle istituzioni è un patrimonio ed un valore comune che tutti i cittadini sono chiamati ad alimentare e a difendere.

Spetta alla riflessione tecnica ed alla decisione politica di individuare le soluzioni più idonee a garantire, nei singoli contesti nazionali, la struttura istituzionale più equilibrata ed adeguata ai diversi momenti storici.

Il resto, come affermò pragmaticamente il Generale de Gaulle di fronte alla folla radunata a Parigi il 4 settembre 1958, dipenderà dagli uomini.