Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

12/02/2009

Università degli Studi Kore di Enna - Lectio magistralis sul tema "La Costituzione materiale nel processo di costruzione del diritto dell'Unione Europea"

Magnifico Rettore, Illustri Professori, Autorità civili, Signore e Signori, Cari Studenti!

Il tema della identificazione di un nucleo di valori e di princìpi supremi, così inscindibilmente legato alla capacità di un ordinamento costituzionale di imporsi e farsi valere, ma anche di assicurare effettivi ambiti di libertà e di autonomia, si colloca, senza alcun dubbio, al centro di ogni ricostruzione sistematica operata dalla scienza del diritto costituzionale.

Al tema, in particolare, della salvaguardia del diritto obbiettivo hanno dedicato attenzione i classici del pensiero politico e filosofico - da Aristotele a Platone; da Hegel a Montesquieu; da Constant a Jeremy Bentham - ed ogni esposizione organica del diritto costituzionale avverte l'esigenza di esaminare i principali istituti che svolgono una funzione di garanzia costituzionale, in una prospettiva che tenga ferma la connessione tra il tipo di costituzione realmente esistente ed il sistema delle garanzie quali quelle che si desumono dal complesso di "interessi" e "valori" oggetto di protezione giuridica.

Se si considerano alcune forme di "garanzia costituzionale", nonché alcuni istituti qualificati come tali nella storia costituzionale europea, colpisce anzitutto l'eterogeneità e la varietà delle figure giuridiche e delle discipline di volta in volta adottate.

Ciò conferma la difficoltà di procedere in questa materia sulla base di definizioni astratte, alla ricerca dei pretesi caratteri "essenziali" del concetto di garanzia costituzionale, mentre occorrerebbe muovere dalla connessione tra il tipo di ordinamento costituzionale che si tratta di garantire ed i congegni predisposti a tal fine.

A questo riguardo, in Italia, a partire dagli anni '40, un grande giurista e uomo di scienza, Costantino Mortati, iniziava ad elaborare la nozione di "costituzione materiale".

Il presupposto di tutta la concezione mortatiana delle garanzie del diritto obbiettivo e delle garanzie costituzionali è costituito dall'identificazione di alcuni princìpi e finalità fondamentali che individuano un determinato assetto statale nella sua "costituzione materiale" e rappresentano, al tempo stesso, una guida per l'interpretazione del diritto vigente.

Si deve peraltro osservare, al fine di cogliere meglio il senso dei compiti affidati al sistema delle garanzie costituzionali, che la "costituzione materiale" di cui parla Mortati è ben lontana dall'identificarsi con la pura e semplice effettività contingente dell'ordinamento costituzionale.

Essa tende piuttosto ad individuare, nel processo di formazione e di trasformazione costante dell'ordinamento, alcuni valori più stabili, che costituiscono appunto il contenuto o il nucleo essenziale della costituzione, quello che imprime un impulso a tutto l'ordinamento giuridico ed identifica la forma di Stato che si impone in un determinato contesto storico.

La concezione unitaria di tale nucleo di valori supremi si rileva il punto centrale della visione mortatiana del diritto obbiettivo e della "costituzione materiale".

Il rapporto tra il sistema delle garanzie formali e quelle che Mortati chiama le "garanzie sostanziali", vale a dire le forze politiche e sociali che costituiscono il fondamento e la garanzia dell'ordine costituzionale, è legato anch'esso a variabili storiche.

Di conseguenza, col mutare dei valori politico-costituzionali, varia, da un ordinamento all'altro, il tipo ed il ruolo delle garanzie giuridiche, nonché la loro relazione con le forze politiche e sociali che, in un determinato periodo storico, assicurano il mantenimento della "costituzione materiale".

Prodromi, questi a cui mi sono ora richiamato, che rivestono carattere generale, ma senza la cui definizione non sarebbe possibile, a mio avviso, comprendere appieno il significato recondito della nozione culturale di "costituzione materiale" nel caso in cui questa (la nozione) venisse traslata ed adattata alla dimensione democratico-rappresentativa dell'Europa.

Per chiarezza, dirò subito che l'Europa, a mio parere, dispone di una Costituzione, sebbene, allo stato attuale, non esista alcun documento formale che si qualifichi come tale.

In tal senso, a sostegno di questa mia tesi, soccorre, in primo luogo, una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia europea che, a partire dal 1984, ha affermato che i Trattati istitutivi costituiscono, nel loro insieme, la Carta costituzionale fondamentale della Comunità.

Da questo punto di vista, pertanto, neanche le vicende che hanno contrassegnato il fallimento del tentativo ambizioso di sancire la conversione dei Trattati in una vera e propria Costituzione attenuano la forza e il valore di tale assunto giurisprudenziale.

A mio avviso, però, varrebbe la pena interrogarsi, a posteriori, se quel tentativo non abbia risposto in larga misura all'aspirazione di dare una definizione sistematica e coerente al vero o presunto problema della perdurante assenza di un documento che rispondesse al nomen di "Costituzione europea".

Costituzione da intendersi come dinamico processo costituente che si fonda sempre su due aspetti fondamentali: i diritti e l'organizzazione, come da tempo immemorabile ci insegna l'articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, che è alla base del costituzionalismo europeo, e che, cito testualmente, afferma che "Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione".

E, in effetti, il processo di integrazione costituzionale in atto in Europa procede e non può non progredire che lungo due binari: l'organizzazione, da un lato, e, dall'altro, la cultura, la civiltà e, quindi, i diritti.

Al riguardo, Lucien Febvre, nel corso di alcune lezioni tenute, negli anni 1944-45, al Collège de France sulla genesi dell'Europa e della civiltà europea, scriveva che "L'Europa è due cose: un'organizzazione e una civiltà".

La storia contemporanea dell'Europa è tutta segnata dallo sforzo incessante di trovare un punto di equilibrio tra queste due esigenze vitali: quella di definire un assetto organizzativo delle istituzioni sempre più avanzato e democratico e quella di assicurare il pieno riconoscimento e la promozione dei diritti i quali, prima ancora di configurarsi come situazioni giuridiche soggettive, sono espressione di civiltà, di costumi, di valori e di mentalità comuni.

Al tempo stesso, i diritti, attraverso un processo circolare, sono anche un fattore di integrazione e di identità culturale e politica.

In questo senso, l'Europa è una nozione essenzialmente culturale, assai più che una nozione politica e geografica.

Europa come "Comunità culturale" in cui, come ci insegna ancora Lucien Febvre, "il capitolo delle diversità resta importante quanto quello delle somiglianze, poiché unità culturale non significa uniformità".

Tale affermazione è peraltro suffragata dalla constatazione che l'ordinamento fondamentale dell'Unione si è andato costruendo attraverso l'intersecazione di esperienze giuridiche assai diverse fra loro, nonché attraverso l'elaborazione di princìpi e norme comuni in ossequio alla migliore tradizione giuridica europea.

L'"europeizzazione", il "diritto costituzionale europeo" traggono origine, dunque, da questo contesto. L'osmosi continua fra le differenti culture giuridiche nazionali - come dirò meglio dopo - è funzionale al consolidamento di una precisa "identità europea" nella sua peculiare unità e molteplicità.

Il frutto più alto di questo processo è rappresentato dall'affermazione suprema dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini europei, libertà al di là dello "status naturalis".

A questo riguardo, i Padri fondatori delle Comunità europee si ispirarono proprio a questo disegno così alto ed ambizioso: ritrovare gli elementi comuni della civiltà europea per fondare su solide radici, che impedissero il ripetersi delle rivalità e delle guerre storiche, le condizioni per una pace duratura nel continente.

E' pur vero che, in una fase immediatamente successiva, la forte tensione etica e spirituale si affievolì a vantaggio di una "Europa funzionale", di un'Europa in cui la motivazione economica della unificazione dei mercati divenne prevalente.

Questa fase, tuttavia, non è durata a lungo. Nel successivo dispiegarsi del processo di formazione e trasformazione costante dell'ordinamento europeo, un rilievo sempre più significativo è stato acquisito proprio dalla dimensione sociale e dalla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.

Quanto al primo aspetto, quello della dimensione sociale, assume carattere esemplare lo sviluppo delle politiche di coesione ispirate ad una logica di solidarietà in base alla quale le Regioni più ricche si fanno carico di contribuire al superamento dei divari esistenti tra le diverse aree territoriali più svantaggiate.

Non meno importanti appaiono i progressi compiuti sull'altro versante, quello della salvaguardia e della promozione dei diritti sociali affermati nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000 e richiamati, da ultimo, dall'articolo 136 del Trattato di Lisbona che, cito testualmente, afferma che: "La Comunità e gli Stati membri (...) hanno come obiettivi la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione".

Il rinvio di tipo materiale, per effetto del quale il testo della Carta viene ricompreso nel corpus del Trattato di Lisbona, segna, oggettivamente, un'altra tappa storica sotto il profilo di una lettura della Costituzione come patto sociale tra tutti gli Stati membri che riconoscono il valore di un "bill of rights", sia sul fronte della loro applicazione, sia sul piano dell'ampliamento delle competenze dell'Unione.

Nel testo del Trattato di Lisbona è sancito peraltro che i diritti fondamentali, "risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte dell'Unione in quanto princìpi generali".

In questo modo, si superano i limiti secondo cui, per una parte della dottrina giuspubblicistica, l'Unione Europea ha sì l'obbligo di non violare i diritti fondamentali delle persone, ma non avrebbe la competenza a promuoverli.

Non a caso le maggiori aspettative di sviluppo dell'ordinamento dell'Unione sono riposte nel cosiddetto "secondo" e "terzo" pilastro, materie, queste, su cui l'Europa sarà chiamata a dimostrare concretamente la capacità di costruire uno spazio comune di libertà, di sicurezza e di giustizia da cui dipende il futuro dell'Unione Europea come una vera democrazia sovranazionale.

Quanto, invece, agli aspetti che attengono all'organizzazione democratica delle istituzioni, il Trattato di Lisbona risponde, in larga parte, alla necessità di aggiornare procedure e regole di funzionamento in una prospettiva di Europa allargata.

Uno dei profili di miglioramento dell'impianto europeo ad opera del Trattato di riforma è proprio l'estensione del principio di democraticità.

Ma il potere democratico non è solo rappresentanza: esso è anche rappresentazione, identificazione fiduciaria ovvero integrazione del singolo in ente collettivo, in un'ipòstasi sociale, che rassicura e placa il disagio di coesistere. Questo connubio tra cittadino praticante e cittadino credente è inscindibile in un'organizzazione democratica.

L'Europa di oggi si trova, per certi versi, nel "brodo primordiale" che precede la coagulazione di un ente sovrano di livello sopranazionale.

La presenza di forze aventi diversa direzione produce, nel breve periodo, fluttuazioni e risultati inaspettati, ma non altera la direzione di quella che appare la risultante delle forze in gioco, secondo il lungimirante vaticinio di Robert Schuman: "L'Europa non potrà farsi in una volta sola, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto".

Sotto questo profilo, occorre, pertanto, risolvere alcuni problemi che attendono ancora una risposta compiuta, a partire dalla oggettiva complessità ed opacità dei processi decisionali che necessitano di essere rivitalizzati per marcare, in senso autenticamente democratico, il funzionamento delle istituzioni europee.

Conforta, al riguardo, l'impegno profuso anche dallo stesso Parlamento europeo per consentire all'Unione Europea di avvalersi della vera e propria "riserva strategica di democrazia" costituita dai parlamenti degli Stati membri che rappresentano un "valore aggiunto" in termini di politicità e di radicamento nelle vicende nazionali.

Ciò nonostante, questi sforzi rischiano di non soddisfare pienamente le esigenze che scaturiscono dall'annosa questione del deficit democratico se si considera soprattutto il drastico ridimensionamento della funzione di "law making legislature" tradizionalmente esercitata dai parlamenti.

Il Trattato di Lisbona non ignora questo problema, anzi lo affronta, introducendo alcune disposizioni in materia di partecipazione popolare, specie per il tramite delle formazioni sociali, cui si accompagna la previsione di ampie consultazioni, da parte della Commissione europea, ai fini dell'esercizio dei suoi poteri di proposta.

In questo modo viene assegnato sistematicamente un ruolo ai cittadini e ai corpi intermedi nel processo di costruzione delle politiche e del diritto dell'Unione Europea.

Istituzioni adeguatamente rigenerate che traggano linfa dal coinvolgimento degli organismi rappresentativi della società possono risultare decisive per una correzione di rotta.

Dobbiamo però essere consapevoli che, nella relazione tra il "demos" e la democrazia, tutto sta cambiando, come da tempo ci insegna Ralf Dahrendorf.

I metodi tradizionali, dai comizi ai Parlamenti, dai partiti ai sindacati, non soddisfano più i bisogni della decisione democratica.

Siamo chiamati a muoverci su un terreno nuovo e, in larga parte, inesplorato.

Siamo chiamati a sperimentare soluzioni innovative.

Ma questo non ci deve spaventare!

Come scriveva Jean Monnet già nel 1976, concludendo le sue memorie, "non possiamo fermarci quando attorno a noi tutto è in movimento. Come ieri le nostre province, oggi i nostri popoli debbono imparare a vivere insieme sotto regole e istituzioni liberamente consentite se essi vogliono attingere le dimensioni necessarie al loro progresso e conservare la padronanza del loro destino. Le nazioni sovrane del passato non sono più il quadro in cui possano risolversi i problemi del presente".

Dobbiamo, a mio avviso, aggiornare gli strumenti e i metodi della democrazia che devono sempre basarsi sul libero e fecondo confronto di idee, di concezioni, di istanze, soprattutto se diverse tra loro.

La progressiva integrazione dei mercati sotto l'incalzare della tumultuosa crescita dei fenomeni di carattere transazionale evidenzia il "gap" esistente tra le dimensioni di scala di questi fenomeni e gli strumenti di cui, allo stato attuale, dispongono i singoli Stati membri.

E' evidente, ormai, che alcune questioni non possono trovare adeguata risposta e non possono essere gestite se non vengono trattate a livello sovranazionale.

Da questa constatazione discende la necessità di favorire un ampiamento delle sfere di competenza dell'Europa.

Il trasferimento di quote di sovranità dagli Stati membri all'Unione Europea è, a ben vedere, una risposta utile, oltre che inevitabile, per consentire agli stessi Stati di cogestire fenomeni complessi che, altrimenti, non sarebbero in grado di controllare.

In questa prospettiva, anche il tema della supremazia del diritto comunitario su quello nazionale assume una valenza diversa: si prefigura il definitivo superamento della dicotomia tra ordinamento interno ed ordinamento europeo.

Un'ulteriore conferma della necessità di adottare paradigmi interpretativi originali, che tengano conto dell'evoluzione continua dell'ordinamento europeo, ci viene dal rilievo che ha assunto il principio di sussidiarietà come criterio regolatore per l'esercizio delle competenze tra livello europeo e ordinamenti nazionali. E' evidente che con questo principio si compie un netto passo avanti rispetto alla regola, affermata in giurisprudenza e negli stessi Trattati, della prevalenza del diritto europeo, in caso di conflitto.

Assistiamo ad una sorta di "ibridazione" tra sistemi giuridici che nascono diversi, ma che, progressivamente, si integrano.

Come, in modo molto interessante, osserva Peter Häberle, "l'Europa si costruisce come uno spazio costituzionale pluralistico sulla base di un concetto che trasforma le costituzioni nazionali in costituzioni parziali e che mostra l'Europa in senso stretto come comunità costituzionale".

Possiamo davvero affermare che siamo in presenza di un "costituzionalismo multilivello", di un ordine giuridico sui generis che non risponde più a logiche di tipo gerarchico, ma a dinamiche interattive e cooperative.

L'esperienza dell'Europa insegna proprio questo e cioè che, quando le dimensioni territoriali di una "organizzazione sovranazionale" sono assai ampie, e molto ricco è il contesto delle tradizioni culturali e delle storie che in esso devono convivere, indispensabile diventa l'esigenza di assicurare una effettiva tutela dei diritti come vincolo nei confronti di istituzioni politiche che, inevitabilmente, soffrono di insufficiente rappresentatività.

La piena conoscenza e l'apprezzamento del valore del patrimonio culturale, prima ancora che giuridico, costituito dal riconoscimento delle situazioni giuridiche soggettive può risultare l'elemento su cui fare leva affinché i cittadini dell'Europa unita, come ha avuto modo di scrivere nel 2002 Giorgio Napolitano, "possano riconoscersi, identificarsi senza smarrire le loro identità nazionali e operare come soggetti consapevoli e attivi".

In ciò risiede la vera essenza dell'ordinamento europeo!

In ciò risiede quella "Costituzione materiale" che si è andata formando nel tempo attraverso un costante lavoro di aggiornamento e di cui la piena affermazione dei diritti e delle libertà costituisce uno dei tratti distintivi dell'acquis comunitario.

Come scrive Luigi Ferrajoli, "è sulla eguaglianza nei diritti, quale garanzia di tutte le differenze di identità personale, che matura la percezione dei consociati come uguali; ed è sulla garanzia dei propri diritti fondamentali come diritti eguali che matura il senso di appartenenza e l'identità collettiva di una comunità politica".

Il fatto che questi diritti fossero già in larga parte riconosciuti nelle Costituzioni dei diversi Stati membri nulla toglie al significato della scelta di attribuire ad essi uno spazio tanto rilevante all'interno dell'ordinamento europeo.

In questo modo, infatti, la condivisione di valori viene elevata a fondamento di quella "identità europea" che tutti noi vogliamo rafforzare.

Lo stesso processo di allargamento che è in atto in Europa non risponde forse, oltre che alla necessità di sancire la conclusione della dolorosa esperienza dei regimi totalitari nei paesi dell'Europa centro-orientale, all'obiettivo di ancorare quei paesi alla cultura giuridica europea, al fine di stabilizzare i sistemi democratici?

I progressi compiuti dal legislatore europeo servono a legittimare un idem sentire de re pubblica autenticamente sovranazionale.

Anche se è innegabile che, negli ultimi anni, si sono moltiplicati i segnali di disaffezione verso l'Europa non dobbiamo mai sottovalutare che il duro confronto sul progetto di Costituzione europea e, più in generale, sulla modifica dei Trattati istituitivi, ha fatto uscire il dibattito sul futuro dell'Europa, sulle sue istituzioni e sul suo ordinamento dalle sedi specializzate per portarlo dentro e nel cuore della società civile.

Ci sono segnali, su cui basare le nostre speranze, che ci inducono a ritenere che è in corso di forte maturazione una opinione pubblica europea.

Questo processo può giovarsi di una rinnovata capacità dei parlamenti di proporsi, sul piano politico-istituzionale, come la sede, nonché il luogo privilegiato di elaborazione e di approfondimento di progetti sui massimi temi dell'Unione.

Ma anche il mondo della cultura, a cominciare dalle Aule delle Università, da cui possono scaturire i più grandi stimoli all'innovazione, è chiamato a fare la sua parte per corroborare la coscienza comune.

L'Italia ha sempre cercato un ancoraggio forte all'Europa.

La cultura italiana, e la grande tradizione giuridica del nostro Paese, hanno fornito un contributo formidabile alla costruzione e all'avanzamento dell'Europa.

Spetta a noi tutti lavorare per cogliere l'occasione che ci è offerta.

Spetta a noi tutti rinnovare il tessuto connettivo della democrazia attraverso un'Europa più coesa e più consapevole delle proprie responsabilità e dei propri obiettivi!