Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

10/03/2009

Montecitorio, Sala della Regina - Proiezione dello sceneggiato Rai "Pane e libertà" di Alberto Negrini dedicato a Giuseppe Di Vittorio

Oggi la Camera ricorda una delle grandi figure della storia italiana del Novecento, Giuseppe Di Vittorio, che guidò la Cgil negli anni cruciali del dopoguerra, della ricostruzione e nella prima fase del miracolo economico. Lo facciamo presentando in anteprima la fiction "Pane e libertà" che racconta la vita e l'opera del grande sindacalista pugliese. Ringrazio il Segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani e il regista Alberto Negrin. Li saluto unitamente alle personalità presenti. Un saluto particolare ai famigliari di Di Vittorio.

La figura di Giuseppe Di Vittorio appartiene a pieno titolo alla storia di tutti gli italiani. La sua opera fa parte del patrimonio ideale della Repubblica e della nazione.
Naturalmente il suo nome è particolarmente caro alla Cgil e alla Sinistra, i cui ideali egli seppe peraltro interpretare con spirito di autonomia e di libertà, dando prova di coraggioso anticonformismo, come quando non esitò a condannare l'aggressione sovietica all'Ungheria nel 1956 e per tale motivo sostenne un duro scontro con il suo partito, il Pci.
Il carisma di Di Vittorio nasceva da diversi elementi. Veniva dalla passione e dalla dedizione per la causa dei braccianti agricoli pugliesi prima e di tutti i lavoratori italiani poi. Ma veniva anche da un forte senso della responsabilità nazionale. Aveva capito che il riscatto effettivo delle fasce più povere della società sarebbe potuto avvenire solo con il consolidamento della democrazia e senza mai porre gli interessi dei lavoratori in conflitto con quelli più generali del Paese. L'ansia di giustizia sociale era per lui fattore di progresso nazionale.

Questa idea dei rapporti tra le parti sociali è largamente diffusa nell'Italia di oggi , anche se non sempre è facile applicarla nella dialettica sociale e far sì che le legittime rivendicazioni di categorie di lavoratori si svolgano senza ledere i diritti degli altri cittadini e del più generale interesse nazionale.
Assai più difficile era comunque la situazione del dopoguerra, quando la stragrande maggioranza del Paese viveva nell'indigenza, quando i braccianti occupavano le terre spinti dalla misera e dal desiderio di giustizia, quando l'inflazione falcidiava i già minimi salari, quando lo scontro politico e sociale avrebbe potuto imboccare strade sbagliate, tali da compromettere lo sforzo della ricostruzione e la stessa fragile democrazia.
In quella difficile stagione, Di Vittorio si batté per un'idea di sindacato che non si limitasse alle rivendicazioni salariali e normative, ma che sapesse guardare con responsabilità anche ai problemi dello sviluppo economico. "Il benessere generalizzato dei lavoratori - sono sue parole - non può che derivare da un maggior sviluppo dell'economia nazionale, da un aumento incessante della produzione, da un maggior arricchimento del Paese, oltre che da una più giusta ripartizione dei suoi prodotti".
I rapporti sindacali hanno certo conosciuto momenti di confronto anche molto aspro, circostanza peraltro fisiologica quando a confrontarsi sono i rappresentanti di grandi interessi collettivi.
Ma se la storia italiana della seconda metà del Novecento è stata caratterizzata -pur tra fasi alterne - dal dialogo tra le parti sociali e se il confronto tra mondo del lavoro e imprenditori non è mai arrivato a compromettere seriamente la stabilità sociale, tali risultati li dobbiamo anche all'eredità lasciata da uomini come Di Vittorio.
Questo è un merito che va esteso all'insieme o comunque alla maggior parte della classe dirigente italiana dell'epoca, a quella politica e a quella imprenditoriale, la quale, almeno nei suoi massimi livelli, si trovò in quegli anni a compiere una non meno significativa maturazione democratica e civile, passando da una visione paternalistica dei rapporti tra dipendenti e datori di lavoro a una moderna concezione delle relazioni aziendali.
Ha scritto lo storico dell'economia Valerio Castronovo che le politiche di sviluppo seguite dai governi di allora erano dovute a un forte impulso esercitato dal basso, "alla volontà e all'impegno di cui stavano dando prova gli italiani per non finire nel limbo dell'arretratezza e diventare padroni del proprio destino".
Il senso di quella civiltà di rapporti emerge bene dalle parole con le quali Angelo Costa, che fu più volte presidente della Confindustria, descrisse Di Vittorio: "Serbo di lui il ricordo di una controparte onesta, capace, sinceramente legata agli interessi dei lavoratori, con la quale è stato possibile fare un buon lavoro nell'interesse del Paese". Potremmo dire che quell'Italia, consapevolmente o meno, viveva e applicava quel valore del lavoro posto a fondamento della Carta costituzionale, intendendolo nella pienezza dei suoi significati, cioè come condizione prima della cittadinanza sociale, come fattore di promozione umana, come elemento produttore di progresso.

Ripercorrere l'esperienza di figure come Di Vittorio - anche e soprattutto grazie alle opere destinate al grande pubblico come questa fiction di Negrin - deve portarci a riscoprire l'insegnamento profondo che ci arriva dai grandi protagonisti della storia italiana.
Ritengo che l'Italia di oggi abbia bisogno di recuperare lo spirito della ricostruzione che fu della generazione del grande sindacalista e della sua controparte imprenditoriale.
Lo spirito di uno sforzo comune in nome di un comune destino nazionale.
E' un messaggio valido ancora oggi, oggi che sono fortunatamente lontane le idee del conflitto di classe -il che non vuole naturalmente dire che non esista contrapposizione di interessi - ; oggi che la necessità di fronteggiare le conseguenze della crisi economica internazionale deve vedere l'impegno corale delle Istituzioni, delle parti sociali e delle forze politiche.
In tutti deve essere presente la centralità del valore del lavoro. Come è garantito dalla Costituzione. E come è presente nella storia più bella del nostro popolo.