Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

23/11/2009

Farnesina - Convegno NATO "Rome Atlantic Forum"

Sono particolarmente lieto di portare il saluto della Camera dei deputati e mio personale a questo incontro che il Comitato Atlantico Italiano - presieduto dal collega Enrico La Loggia - ha promosso sul nuovo concetto strategico della NATO ed il futuro delle relazioni transatlantiche con felice intuizione e tempestività.

E' questa, infatti, la prima occasione pubblica di dibattito che si svolge in Italia sulla definizione dei nuovi parametri della sicurezza internazionale che l'Alleanza atlantica sarà chiamata a garantire nel secolo che sta concludendo il suo primo decennio.

Il fatto che la NATO abbia celebrato lo scorso 4 aprile - in un vertice tenutosi tra la Francia e Germania, nelle città di Strasburgo e di Kehl - il suo sessantesimo anniversario proprio avviando la riflessione su un nuovo concetto strategico è la prova della sua vitalità, della sua lungimiranza e della sua capacità di adattamento continuo.

La novità della procedura adottata con l'istituzione di un Gruppo di 12 esperti, presieduti dall'ex Segretario di Stato Madeleine Albright, è in se stessa un segno dei tempi, in virtù dell'individuazione di un percorso pubblico di confronto.

Rispetto all'attuale concetto strategico, elaborato dieci anni fa, l'11 settembre ha rivoluzionato gli schemi tradizionali della difesa collettiva. Nuove nozioni come quelle di "rischio asimmetrico", "Stato fallito", "minaccia non convenzionale" si sono imposte all'attenzione nella lotta al terrorismo internazionale, che continua ad avere in Afghanistan il suo più delicato banco di prova.

Non più tardi di due settimane fa, la NATO ha potuto partecipare alle celebrazioni del ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, rivendicando legittimamente la propria funzione storica di ancoraggio della democrazia in Europa.

Quella della NATO è una storia di successo, anzi è la storia di tre successi. Lo storico risultato, costituito dalla riunificazione del continente europeo, è stato preceduto dall'archiviazione della conflittualità interna all'Occidente - che era sfociata nelle due guerre mondiali novecentesche - e dalla sanzione dell'indissolubilità delle relazioni transatlantiche.

La consapevolezza dei risultati conseguiti si è però talvolta tradotta in interrogativi, talora non privi di strumentalità, sull'inutilità nel presente ed ancor più nel futuro di un'alleanza politico-militare che ha visto venir meno il suo storico nemico.

La scommessa dell'elaborazione del nuovo concetto strategico consiste proprio nella capacità di smentire una simile impostazione, al di fuori della riproposizione di pur nobili e gloriose parole d'ordine, e di corrispondere alle nuove sfide del terrorismo, dei cambiamenti climatici, della sicurezza energetica, marittima e cibernetica.

I cittadini che fanno parte della comunità transatlantica chiedono non solo garanzie, ma anche spiegazioni sulla loro sicurezza e non si accontentano più di slogan. Come ha molto giustamente dichiarato recentemente il nuovo Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, "la gente appoggerà solo quello che riesce a capire e ad apprezzare".

La riflessione deve prendere le mosse da un ampliamento della concezione della sicurezza collettiva, in cui la difesa della sovranità degli stati si integri con il mantenimento delle condizioni necessarie alla prosperità ed allo sviluppo dei popoli.

Occorre in questo senso sgombrare il campo, a mio avviso, da alcuni pericolosi equivoci e false contrapposizioni che hanno nell'ultimo decennio condizionato il dibattito politico sul futuro della NATO.

Mi riferisco innanzitutto alla presunta antitesi tra l'accentuazione della dimensione difensiva territoriale e la proiezione fuori area della capacità operativa dell'Alleanza. A questo proposito, mi sembra che l'opinione pubblica sia più matura di alcuni addetti ai lavori: non sfugge, infatti, più a nessun cittadino europeo o nordamericano la percezione della sicurezza come "bene indivisibile" a prescindere dalle coordinate geografiche.

Penso, in secondo luogo, all'errore speculare in cui di tanto in tanto incorre ciascuna sponda dell'Atlantico nell'immaginare di poter fare a meno l'una dell'altra. Questa presunzione può denominarsi da una sponda isolazionismo oppure unilateralismo, dall'altra terzaforzismo oppure antiamericanismo. In ogni caso, si tratta di un abbaglio, un grave errore fondato su pregiudizi infondati.

Infine, il terzo motivo polemico strumentale da superare riguarda la contrapposizione tra una vecchia e una nuova Europa, per cui la prima avrebbe ormai dimenticato il suo debito di libertà verso gli Stati Uniti, mentre la seconda custodirebbe gelosamente un rapporto di fedeltà esclusiva. In realtà, il ritmo parallelo dell'ampliamento della NATO e dell'Unione europea sta a dimostrare che l'Europa è una sola e che vincolo transatlantico e integrazione europea procedono di pari passo rafforzandosi e non indebolendosi a vicenda.

L'Italia in particolare, che nell'immediato dopoguerra ha saldamente e contemporaneamente ancorato la sua collocazione internazionale all'atlantismo ed all'europeismo, non ha bisogno di prendere nessuna lezione a tale riguardo.

Il mio vivo auspicio è che quindi proprio la dimensione pubblica del dibattito sul nuovo concetto strategico faccia sì che la NATO nel suo complesso acquisti maggiore consapevolezza della sua necessità attuale e superi politicamente i condizionamenti che in fin dei conti non sono che alibi per sfuggire alle proprie responsabilità.

Non si sottolinea, infatti, mai abbastanza che l'Alleanza Atlantica è imprescindibile perché è la sola a riflettere una comunità di valori, i valori dell'Occidente, ed a riconnettere le ragioni della difesa collettiva alla tutela ed alla promozione della libertà civile e della democrazia politica.

Nell'età della globalizzazione, lo strumento politico-militare transatlantico si caratterizza in termini di unicità per coesione, omogeneità ed interoperabilità. Lungi dall'aspirazione ad essere il "gendarme del mondo", la NATO è naturalmente un attore globale nella produzione della sicurezza, in un'ottica multilaterale in cui la pace sia un obiettivo concreto da conseguire, e non una parola vuota da recitare ritualmente.

L'Italia, che non ha mai fatto mancare il suo contributo all'Alleanza atlantica in ogni momento decisivo, intende contribuire con convinzione a far sì che essa continui ad assicurare quella cornice di sicurezza che è indispensabile alla luce delle nuove minacce globali.

Ne deriva innanzitutto la conferma dell'impegno per la stabilizzazione e la ricostruzione dell'Afghanistan, in cui è in gioco la credibilità della NATO anche per il futuro: una presenza militare che oggi implica in particolare l'addestramento delle forze armate afghane e che si accompagna ad un approccio più integrato con la dimensione civile.

Una seconda priorità è rappresentata dalla non proliferazione delle armi di distruzione di massa, da richiamare con vigore in vista della conferenza di riesame del TNP (Trattato di non proliferazione).

Infine, l'Italia dovrà far sentire maggiormente nella riflessione sul futuro della NATO maggiormente l'importanza della cooperazione con l'Unione europea che, avendo finalmente concluso il processo di ratifica del Trattato di Lisbona, dispone ora del quadro istituzionale necessario a portare avanti la PESD (politica europea di sicurezza e difesa).

Un ulteriore incoraggiamento in questa direzione è venuto dal ritorno della Francia nella struttura militare integrata dell'Alleanza. Segnali di persistente diffidenza permangono in taluni Stati membri della NATO ma non dell'UE.

Si tratta da entrambe le parti di superare storici steccati e liquidare vecchie incomprensioni sulla base del riconoscimento di una complementarietà che, soprattutto nel contesto balcanico, sta già dimostrandosi molto positiva. Anche sotto il profilo delle risorse finanziarie, la consapevolezza europea della condivisione dei costi della sicurezza si è accresciuta proprio in virtù dei passi avanti compiuti in seno all'UE.

E' questo uno dei settori in cui si deve poter cominciare ad apprezzare la novità della nomina dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. A questo riguardo desidero far giungere i più fervidi auguri di buon lavoro a Catherine Ashton, per il suo nuovo alto incarico.

Le stesse relazioni con la Russia devono essere al centro delle riflessioni della NATO e della UE. Un dialogo trilaterale potrebbe infatti contribuire a convincere definitivamente la Russia che la NATO non è più il nemico di ieri e che non c'è quindi più bisogno di resuscitare le zone di influenza. Allo stesso modo, i Paesi un tempo satelliti del potere sovietico sarebbero incentivati a scrollarsi di dosso il peso di un'eredità storica che rischia talora di condizionare le loro relazioni con l'antico dominatore.

In conclusione, mi preme evidenziare l'esigenza che il lavoro istruttorio del Gruppo di esperti sul nuovo concetto strategico della Nato coinvolga direttamente la rappresentanza parlamentare, proprio perché esso possa adempiere a quella funzione di "diplomazia pubblica" che la Dichiarazione finale del vertice di Strasburgo e di Kehl ha presagito.

L'Assemblea parlamentare della NATO - cui l'Italia partecipa con una qualificata delegazione - ha già iniziato a discuterne nella sessione appena tenutasi ad Edimburgo, presentando un suo primo contributo di riflessione, come ben sa il collega tedesco Karl Lamers che ne presiede la Commissione Politica.

I Parlamenti nazionali degli Stati membri dovranno però senz'altro approfondire direttamente la questione e diventare interlocutori del Gruppo degli esperti, veicolando politicamente presso i rispettivi Governi anche le analisi e le proposte della società civile.

Il nuovo concetto strategico - il settimo dalla fondazione, che sarà adottato a fine 2010 a Lisbona per far entrare la NATO nel pieno del XXI secolo - sarà allora veramente una cartina di tornasole dei valori condivisi da una comunità di destino, un documento fondamentale sulla sicurezza che orienterà le scelte necessariamente difficili imposte dall'ordine internazionale sulla base di un'ampia legittimazione democratica e popolare.