Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

10/12/2009

Montecitorio, Sala del Mappamondo - Intervento su "Il ruolo della CSCE-OSCE e dei Movimenti di resistenza civica nella fine dell'Unione Sovietica"

Autorità, Signore, Signori,

È particolarmente significativo rivolgermi a questo importante consesso in occasione della Giornata Mondiale per i diritti umani, nella ricorrenza della Dichiarazione Universale del 10 dicembre 1948. Dignità, diritti, ragione, coscienza e fratellanza: sono i cinque concetti contenuti nell'incipit della Dichiarazione che rappresentano la stella polare delle politiche promosse dalle organizzazioni impegnate in questi anni nella tutela e promozione dei diritti umani, ed in particolare dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa che voi oggi rappresentate ai massimi livelli.

L'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa costituisce oggi un riferimento imprescindibile per lo sviluppo di quella cultura dei diritti umani cui la Dichiarazione fa riferimento. La prospettiva è quella della promozione di una cultura della pace, del dialogo politico, della giustizia e della cooperazione. Con i suoi 56 paesi membri, l'OSCE si pone come la più vasta organizzazione regionale per la sicurezza.

Ritengo che per inquadrare al meglio il tema che è al centro dell'incontro odierno occorra preliminarmente tornare con la memoria ai difficili anni Settanta, quando l'antesignano dell'OSCE, ovvero la Conferenza sulla Sicurezza e sulla Cooperazione in Europa (CSCE), muoveva i primi timidi passi: è proprio la speranza di creare un dialogo, di risvegliare coscienze anche in condizioni difficili ciò che idealmente unisce la vostra Organizzazione con i protagonisti dell'epopea della dissidenza e dell'opposizione ai regimi totalitari presenti in Europa Centro-orientale nello scorso secolo.

Pensiamo agli incontri di Helsinki del luglio 1973 e all'Atto Finale, due anni dopo, della Conferenza: quegli esordi dell'Organizzazione che voi oggi rappresentate ci ricordano cosa vuol dire "sperare pur nella disperazione". E' così che possiamo disporci a rendere il giusto tributo a quei movimenti di resistenza civica nell'ex blocco sovietico che hanno tenuto viva una scintilla nel buio.

Davanti al sussulto di dignità, di libertà e di civiltà che tali esperienze rappresentarono vengono in mente queste alte parole di Giovanni Paolo II - il quale peraltro ebbe un ruolo di assoluto protagonista nelle dinamiche che oggi studiamo - : "E' necessario che l'uomo prenda consapevolezza della propria grandezza".

Ecco, oggi celebriamo episodi di grandezza dell'uomo, che ci ricordano come sia presente nelle persone una "esigenza incoercibile di esprimere la propria libertà" come ricordò un altro grande polacco, Bronislaw Geremek, considerato un precursore sul cammino di apertura della Polonia all'Europa.

Oggi celebriamo una dignità che non cedette alla disperazione. Esprime bene questa potente voglia di riscatto morale quanto troviamo scritto in un samizdat, una pubblicazione clandestina della resistenza in Unione Sovietica: "La vera angoscia non è la persecuzione, ma il timore di essere dimenticati". Oggi credo che il primo pensiero debba andare innanzitutto ai dimenticati, a chi ha compiuto gesta eroiche in nome della dignità dell'uomo ma che è stato vittima della "congiura del silenzio".

I dissidenti volevano essere d'esempio e risvegliare le coscienze. Mi ha sempre colpito una frase scritta da Jan Palach nel gennaio di 40 anni fa, mentre si accingeva a sacrificare la sua vita per la libertà del suo Paese: « Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo"

Quei dissidenti, quegli oppositori, quei "destatori di coscienze" seppero comprendere quanto può fare un uomo con la propria testimonianza. Molto spesso la loro azione di dissenso consisteva nel reclamare il rispetto degli accordi internazionali sottoscritti dai loro Paesi, come gli Accordi di Helsinki. Quelle iniziative erano la premessa di un'assunzione collettiva di responsabilità capace di vincere la rassegnazione.

E' in quel clima di risveglio morale e ideale che si sono affermate figure come Václav Havel, che ha proposto con coerenza un modello di "vita nella verità" contro il sistema della menzogna che è proprio dei regimi totalitari. Da questo impegno, da questo appello alla ragione nacque in Cecoslovacchia il movimento Charta 77, uno dei primi grandi movimenti di libertà che si produssero nell'Europa dell'Est sull'onda dell'esperienza di Helsinki. Più tardi, sulle stesse basi, prese forma in Germania Orientale l'appello "svolta ?89" lanciato da un'altra grande protagonista del dissenso, Barbel Bohley, che porterà alla nascita del "nuovo Forum" e alle giornate di libertà a Berlino.

Fu un movimento trasversale quello che attraversò i regimi dell'Est europeo nei decenni post-bellici. A parteciparvi furono innanzi tutto operai. Quei gruppi di opposizione volevano porre fine alla dittatura del proletariato, che rivelava ai popoli oppressi dal comunismo il suo vero volto di dittatura sul proletariato.

L'esperienza di Solidarnosc, di cui fu leader carismatico Lech Walesa, rappresentò una delle massime espressioni di quel movimento. In essa si rivelò un altro aspetto della dissidenza, quello relativo alle reti sociali e alle organizzazioni di cittadini. Uno dei protagonisti del dissenso polacco, Jacek Kuron, promosse l'idea di una società che deve cercare di darsi forme di organizzazione indipendenti dal potere. L'idea era quella di creare rappresentanze di operai e di contadini, organizzazioni autonome delle scuole superiori, movimenti studenteschi indipendenti, in una cultura libera e in un ventaglio di associazioni d'iniziativa sociale.

Al contrario di quello che scrissero per anni gli storici marxisti, il movimento della dissidenza non faceva capo a pochi gruppi di nostalgici portatori di un'ideologia "borghese". Si trattò del sacrificio e, in alcuni casi, del martirio di interi popoli: pensiamo ai Paesi baltici che vissero, a distanza di pochi anni, prima l'atroce occupazione nazista, poi l'altrettanto atroce inglobamento nel sistema comunista
Pensiamo all'Ucraina che conobbe, oltre alle repressioni militari, la crudeltà di un sistema delle carestie «pilotate», ottenute riducendo le derrate alimentari e i generi di prima necessità.

Pensiamo al martirio che vissero popoli desiderosi di affermare la loro identità religiosa: la Polonia di Padre Jerzy Popieluszko, la Germania orientale del Pastore Walter Schilling, le sofferenze delle comunità di credenti in Albania e in Romania.

Un movimento ampio e composito, che - dispiace ricordarlo, ma va ricordato - i media e gli intellettuali occidentali trattarono poco e male, a causa di un diffuso conformismo ideologico o di un malinteso senso della realpolitik.

L'Europa deve allora interrogarsi sul perché, non solo delle falsificazioni ma soprattutto delle omissioni, delle cancellazioni tout court di fatti e di personaggi. Desidero tributare un ricordo sentito ad un intellettuale russo, ma italiano di adozione, morto il 26 novembre scorso, Viktor Zaslavski, ed al difficile lavoro da lui svolto per ricostruire ciò che era stato dimenticato, negli archivi di Mosca e dell'Occidente.

Desidero anche ricordare un emblematico episodio di cui fu protagonista il dissidente ungherese Istvan Bibo. Nel 1967 egli scrisse una lettera a Jean Paul Sartre - recapitatagli in modo rocambolesco attraverso amici comuni che la fecero uscire clandestinamente dall'Ungheria - chiedendogli di intervenire per la liberazione dei patrioti ancora in carcere, nonostante l'amnistia. Non ricevette alcuna risposta e annotò con grande amarezza che gli intellettuali, in Occidente, erano sordi agli appelli in difesa dei diritti umani all'Est.

Le parole di Bibo risuonano come monito oggi, quando troppi esseri umani vivono nella privazione della libertà in tanti Paesi ove tirannie, di diverso colore e ispirazione, continuano a opprimere i popoli.

Oggi come ieri, la grande e decisiva battaglia deve essere diretta a risvegliare la coscienza degli uomini autenticamente liberi.

Alla vostra Organizzazione, che in meno di quindici anni di vita, ha costruito un baluardo in difesa dei diritti umani, spetta il compito di sviluppare politiche che abbiano al centro la dignità della persona.

A voi, eredi di quella "Carta di Parigi per una Nuova Europa" che nel 1990 riapriva la storia unitaria del nostro continente, spetta la nobile missione di richiamare costantemente l'attenzione degli Stati nazionali e delle organizzazioni sopranazionali - a cominciare dall'Unione Europea- sulla necessità di far sì che i diritti umani siano sempre la stella polare della loro azione nel mondo.

Buon lavoro e buona ricorrenza della Giornata Mondiale per i Diritti Umani.