Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

05/01/2010

Napoli - Cerimonia in memoria di Enrico De Nicola nella ricorrenza del cinquantenario della sua scomparsa

Signor Presidente della Repubblica,
Signor Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli,

Commemorare oggi la figura di Enrico De Nicola significa riflettere su una personalità che svolse un ruolo essenziale nella cruciale transizione istituzionale tra il 1946 e il 1948 e che contribuì, con il suo alto senso dello Stato e con il suo indiscusso prestigio morale, a consolidare il sistema democratico in Italia.

La sua esperienza rimane nella storia della Repubblica come esemplare testimonianza di dedizione ai valori della libertà, della democrazia e della nazione.

E' per questo che abbiamo il dovere di ricordarlo, a cinquant'anni dalla scomparsa, come uno dei personaggi-simbolo della pacificazione nazionale e come un uomo che seppe anteporre il superiore interesse dell'Italia alle pur legittime e necessarie idealità di parte.

La sua lealtà alla monarchia non gli impedì infatti di accogliere il voto dell'Assemblea Costituente che lo designò Capo provvisorio dello Stato, permettendo così al Paese di costruire senza lacerazioni destabilizzanti il suo futuro democratico e costituzionale, superando le divisioni tra sostenitori della Repubblica e cittadini rimasti legati alla dinastia sabauda.

Era quella la "missione" che De Nicola svolse con alto senso del dovere verso il Paese. Il suo essere monarchico e liberale offriva infatti le migliori garanzie di una transizione non traumatica alla nuova forma repubblicana. Al tempo stesso, la sua inflessibile indipendenza di giudizio costituiva un indispensabile requisito per l'esercizio di un alto incarico per il quale non esistevano né prassi né precedenti.

Nei quasi due anni in cui esercitò il suo mandato, De Nicola delineò i tratti essenziali di uno stile che ha mantenuto ancora oggi tutta la sua efficacia e credibilità. Era uno stile ispirato in particolare all'idea della ricomposizione morale degli italiani dopo le tremende prove conosciute dal Paese durante la guerra a cui il fascismo aveva condotto l'Italia, durante la fase tragica del conflitto civile e durante le lacerazioni dell'immediato dopoguerra. In un messaggio inviato alla Costituente in occasione del suo giuramento, il 15 luglio 1946, auspicava la partecipazione di "tutte le energie vive della Nazione, non esclusi coloro i quali si siano purificati da fatali errori e da antiche colpe" all'"opera immane di ricostruzione politica e sociale" del Paese.

Seguì i lavori della Costituente con grande attenzione e discrezione. Come ricordò la presidente Iotti, invitava informalmente nel suo "piccolo Quirinale" di Palazzo Giustiniani, i membri della Sottocommissione dei 75, per essere "aggiornato minuziosamente sui temi in discussione, sullo stato di avanzamento dei lavori, sulle decisioni di ciascuno e sulle ragioni di tutti. Lo faceva senza far pesare il suo incarico, ma dando in ogni momento prova di grande, consumata esperienza giuridica".

Ciò non gli impediva di esprimere le sue opinioni quando riteneva che fossero in gioco i destini del Paese. Come quando espresse il suo disappunto con il Governo di allora riguardo al Trattato di pace nel 1947. Insieme con Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando, percepiva quell'accordo internazionale come un'umiliazione ai valori del Risorgimento e come una smentita degli sforzi compiuti dal nostro Paese nella cobelligeranza e nella lotta al nazismo e al fascismo.

Dobbiamo a questo punto rilevare che il senso di quella che potremmo definire l' "indipendenza partecipe" di De Nicola non è stato adeguatamente valorizzato dalle prevalenti correnti storiografiche dei decenni passati, che hanno visto in lui l'espressione del vecchio liberalismo giolittiano. Lontano dai partiti di massa nonché interprete di un filone di pensiero meridionale minoritario, la sua figura non poteva fatalmente trovare un grande spazio nelle culture politiche che hanno dominato la scena pubblica italiana nella seconda metà del XX secolo, culture segnate da forti passioni e da altrettanto forti divisioni.

Non c'è dubbio che tali culture abbiano accompagnato il consolidamento della democrazia nel nostro Paese e abbiano indirizzato la dialettica politica verso i grandi temi dell'estensione dei diritti a tutti i cittadini contro ogni forma di esclusione e discriminazione, come sancito dalla Costituzione.

E non c'è altrettanto dubbio che senza passione è difficile affermare la partecipazione dei cittadini, che si nutre anche delle legittime idealità di parte.

Ma l'affermazione della democrazia dell'alternanza in Italia e la fine delle contrapposizione ideologiche ripropongono l'esigenza di valori unificanti e condivisi, essendo comunemente accettata l'idea che in un sistema bipolare ciò che unisce è altrettanto importante di ciò che divide.

In tal senso, l'esperienza di Enrico De Nicola, con la sua costante attenzione agli interessi superiori del Paese, può e deve essere indicata come prezioso insegnamento sulla via di un rinnovato senso della coesione nazionale.

La cultura dell'Italia liberale e giolittiana in cui lo statista napoletano si era formato è certo assai distante da quella odierna. Ma i valori e gli ideali di quell'Italia lontana devono poter essere riscoperti per vincere le nostre sfide di nazione democratica.

Ci sono ideali che non temono l'usura del tempo, a partire dall'idea della libertà che la generazione di De Nicola seppe affermare e sostenere. Era un'idea che si confrontava, più di un secolo fa, con l'avvento delle masse sulla scena politica e con l'esplosione della questione sociale che avrebbe a lungo caratterizzato il secolo scorso, non solo in Italia ma in tutta Europa.

Quell'idea non era allora, in Italia, abbastanza robusta per resistere alle devastanti ondate totalitarie che si sarebbero abbattute qualche anno dopo sull'intera storia europea.

Ma conteneva già, nella visione dei suoi fautori, tutte le ragioni della sua futura affermazione. Così affermava De Nicola, nel 1907, mentre era agli esordi della sua carriera politica: "Sono un sostenitore della libertà che non degenera in arbitrio, credo nell'evoluzione delle masse operaie e non nella rivoluzione".

A questa fiducia nella libertà e a questa attenzione per i problemi sociali, carica di realismo e di equilibrio, il giurista e uomo politico univa un alto senso del ruolo del Parlamento.

Vale la pena ricordare che il 26 giugno 1920, su impulso di Giolitti, De Nicola venne eletto, con una larghissima votazione, Presidente della Camera. Quanto affermò nel suo discorso d'insediamento può essere ben indicato come esempio di senso dello Stato e delle sue Istituzioni rappresentative: "Con perfetta lealtà e con grande devozione - disse dunque De Nicola - occuperò il posto a cui mi avete chiamato tutelando il diritto di ognuno, che deve trovare nel diritto altrui l'insuperabile barriera e nella austera intangibile dignità dell'Assemblea l'unico ostacolo".

E' opportuno anche ricordare, per tornare agli anni dell'affermazione della Costituzione, che il servizio reso da De Nicola alle Istituzioni repubblicane, continuò anche dopo i due anni in cui ricoprì l'alto incarico di Capo dello Stato.

Negli anni Cinquanta fu anche, per un breve periodo, Presidente del Senato e successivamente Presidente della Corte Costituzionale, esercitando questi mandati con la stessa semplicità austera, con lo stesso senso integerrimo della vita pubblica, con lo stesso personale disinteresse.

De Nicola fu integralmente un uomo delle Istituzioni con un senso forte della responsabilità nazionale, qualità che egli seppe esprimere in momenti difficili e drammatici. La sua vicenda venne ben riassunta da un suo successore alla massima carica dello Stato, Antonio Segni, con queste parole: "Utili sempre ai destini di un popolo, uomini come Enrico De Nicola divengono indispensabili quando c'è tutto da perdere o tutto da salvare".

L'Italia di oggi è assai diversa da come si presentava in quel difficile dopoguerra, pur ricco di grandi speranze e di forti idealità, durante il quale lo statista che oggi ricordiamo espresse il suo magistero istituzionale.
E' un'Italia, quella odierna, dalla consolidata cultura democratica e dove s'avverte con forza la domanda di nuove conquiste civili.

Ma il cammino che ha condotto il nostro Paese a raggiungere tanti e fondamentali traguardi di libertà è stato reso possibile da quegli uomini, come Erico De Nicola, che agirono all'alba della nostra democrazia con grande spirito di dedizione alla comunità nazionale e alle sue Istituzioni.

Il loro insegnamento e il loro esempio rappresentano un patrimonio prezioso e intangibile per la Repubblica.