Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

22/01/2010

Roma, Università Tor Vergata - Lectio Magistralis sul tema "Democrazia partecipativa e processi di decisione politica nei sistemi costituzionali dell'Occidente"

Magnifico Rettore, Magnifico Prorettore, Signor Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Illustri Professori, Autorità, Signore e Signori, Cari studenti!

Secondo il celebre paradosso di Zenone, per quanto Achille si sforzasse di raggiungere la goffa e lenta tartaruga, il piè veloce non sarebbe mai riuscito né a raggiungerla, né, tanto meno, a superarla.

Stessa sorte, utilizzando analoga argomentazione dialettica, spetta alla democrazia reale, che, nel suo infinito perfezionamento, non giungerà mai a realizzare l'ideale democratico. Eppure, così come, nel paradosso, ad Achille non basta la sua fama per vincere contro la lenta tartaruga, allo stesso modo alla democrazia non è consentito soltanto di autocelebrarsi, ma, per funzionare al meglio delle sue potenzialità, deve anche sapersi alimentare attraverso costanti sollecitazioni e nuove forme di partecipazione.

Tale premessa di ordine teorico è utile a dimostrare quanto non siano condivisibili le tesi sostenute da alcune autorevoli correnti di pensiero - penso soprattutto ai recenti studi compiuti dal politologo statunitense Francis Fukuyama - secondo cui la democrazia liberale avrebbe vinto tutte le sfide che nel corso della sua lunga storia le si sono presentate, superando le contraddizioni che essa possedeva al suo interno e proclamando così, in modo irrevocabile, "la propria superiorità" e la "propria definitività".

Non è strano, quindi, che, secondo questa tesi, si giunga a perdere di vista la specificità e la natura stessa dei sistemi democratici, sostenendo l'impossibilità di apportare miglioramenti al concetto stesso di democrazia.

Se accettassimo tale impostazione, non ci sarebbe però più bisogno di interrogarsi sul futuro della democrazia.

E, invece, all'indomani del crollo improvviso del Muro di Berlino, e dei regimi comunisti, sono spuntate, più o meno violente, più o meno gravose, nuove sfide, nuove minacce, nuove crisi e nuovi malesseri della democrazia costretta a difendersi, ad interrogarsi e, a volte, a trasformarsi.

In un certo senso, per richiamarci all'insegnamento di Norberto Bobbio, la democrazia contemporanea di stampo liberale (cito testualmente) "si è democratizzata, scoperchiando il vaso di Pandora dei problemi interni e ponendo nuovamente il suo essere democratico al cospetto dell'onnipresente dover essere più democratico".

In realtà, la democrazia è stata sempre considerata come un "qualcosa di incompiuto", non solo per le imperfezioni congenite alle forme rappresentative e ai sistemi elettorali, ma anche perché i regimi democratici, nati in seno allo Stato moderno come Stato burocratico, si sono fondati su una doppia legittimazione: da un lato, il suffragio universale e, dall'altro, l'amministrazione pubblica.

E quest'ultima, in tempi recenti, ha aumentato la sua autonomia fondata sulla competenza, giocando un ruolo decisivo come elemento compensatore dell'indebolimento della legittimità elettorale.

In tale contesto, peraltro, di fronte alla crescente complessità dei problemi che le società devono affrontare, tornano ad affiorare, in molti paesi dell'occidente, sentimenti quali la sfiducia nei confronti della democrazia rappresentativa e dei livelli di governo, espressione del potere politico-partitico.

Come evidenzia lo storico francese Pierre Rosanvallon ("La contre-démocratie. La politique à l'age de la défiance", Paris 2006), la democrazia fondata sul principio della rappresentanza sperimenta, oggigiorno, una crisi che ha prodotto la cosiddetta "società della diffidenza", dal momento che tra il "demos" e la "polis" molto sta cambiando sul piano dei meccanismi che determinano il consenso politico.

Il tramonto delle ideologie, la tendenza degli interessi ad autorappresentarsi, l'influenza dei mass-media, divenuti canali di trasmissione della domanda politica, i processi di "deterritorializzazione" dell'autorità politica, l'interdipendenza dei mercati globali sono tra le cause indiscusse che hanno messo a dura prova la democraticità dei sistemi, facendo emergere una crisi fra istituzioni rappresentative e cittadini elettori, che, in verità, presenta radici ben più profonde.

Le "disfunzioni" della democrazia risalgono, infatti, al concetto stesso che ne sta alla base, cioè alla centralità del momento elettorale di designazione della rappresentanza, che determina la formazione di una maggioranza alla quale è affidata la decisione per il popolo.

Oggi lo stesso processo di deliberazione si scontra con un problema diffuso: un disaccordo generalizzato ed anche permanente. Un obiettivo centrale dei "nuovi patti costituzionali" dovrebbe consistere proprio nella gestione di questa contrapposizione, in parte facendo del disaccordo una risorsa creativa.

Naturalmente l'ideale della democrazia può essere interpretato in modi assai diversi. Alcuni pensano che la democrazia richieda soltanto la regola della maggioranza; altri, invece, pensano che un sistema democratico si possa definire tale solo se è molto sensibile alla volontà popolare.

Al riguardo, sono fermamente convinto che compito della politica sia quello di promuovere la democrazia partecipativa: un'idea che intende unire la responsabilità politica con un alto grado di riflessione ed un impegno generale allo scambio di ragioni.

"Nella vita quotidiana - come ha scritto il filosofo statunitense John Rawls recentemente scomparso - scambiare opinioni con gli altri diminuisce la nostra parzialità e allarga i nostri orizzonti; siamo condotti a vedere le cose nella prospettiva degli altri, e comprendiamo i limiti della nostra visione [...]. I benefici provenienti dalla discussione stanno nel fatto che anche i legislatori rappresentativi hanno limiti nella conoscenza e nella capacità di ragionare. Nessuno di loro conosce tutto ciò che gli altri conoscono e la discussione è un mezzo per combinare le informazioni ed allargare l'ambito dei temi".

Un governo che si basa legittimamente sul potere costituito e sui voti è, dunque, un governo autenticamente democratico se sa anche riconoscere le ragioni e le argomentazioni degli altri.

La democrazia, infatti, ha una sua propria moralità intrinseca, che richiede la protezione costituzionale di fondamentali diritti come quelli relativi alla libera espressione, all'effettiva uguaglianza politica, alla tutela delle minoranze.

La democrazia, peraltro, proteggendo i diritti, limita ciò che le maggioranze sono in grado di fare agli individui o ai gruppi ed è essenziale, per una democrazia differenziata al proprio interno, creare istituzioni che assicurino che il potere del governo non sia fruibile solo da alcuni segmenti della società, ma venga legittimato, nell'ambito di un quadro di regole condivise, dal consenso del maggior numero di membri della comunità.

Questo è il modo migliore di intendere il sistema dei pesi o contrappesi, o la divisione dei poteri.

In questo scenario, pertanto, diviene sempre più pressante l'esigenza di predisporre nuovi strumenti atti a rivitalizzare non solo le classiche forme rappresentative - i parlamenti, i partiti, i sistemi elettorali, il concatenamento tra i diversi livelli territoriali di potere - ma anche gli "spazi pubblici politici", quali luoghi, ovviamente non metafisici, in cui si muove la società civile con tutta la varietà di attori che la compongono.

E' Habermas a dirci che,"al di là dei confini della politica deliberativa fondata sul discorso", caratteristica della democrazia partecipativa è che società e istituzioni si incontrino "entro procedure negoziate così da produrre una oggettiva affermazione della legittimità di entrambe secondo un riconoscimento reciproco che supera la storica separatezza tra due entità già considerate come mondi a sé".

La teoria della partecipazione diviene di conseguenza elemento naturale delle procedure amministrative proprio perché si è sedimentata la percezione che l'amministrazione non è più l'unico soggetto chiamato ad interpretare il modo di essere degli interessi e della loro soddisfazione, perché con essa concorrono anche la collettività o i suoi membri che sono direttamente coinvolti nella decisione.

Dal punto di vista dei soggetti, la democrazia partecipativa accorda partecipazione a tutti gli individui, non solo a quelli che sono portatori di interessi tutelati e riconosciuti dall'ordinamento, ma anche a quelli che sono comunque coinvolti o potenzialmente toccati da un problema, al di là delle responsabilità e delle prerogative giuridiche.

D'altra parte, le esperienze dell'interventismo pubblico che ruotano attorno ai cosiddetti diritti di "seconda" (libertà individuali e collettive) e di "terza generazione" ("diritti economici e sociali") conducono lo Stato democratico a fare i conti con un pluralismo sociale articolato in vere e proprie organizzazioni complesse, ponendo, di conseguenza, il problema prima politico, e poi propriamente giuridico-costituzionale, del grado di rilevanza che assume il tema dell'"inclusione" o del "riconoscimento" degli interessi organizzati nei processi di definizione delle scelte pubbliche.

La stessa tesi schmittiana della sostanziale contraddittorietà tra la pretesa espansiva dello Stato e la conflittualità propria di una società solcata in profondità da divisioni e tensioni interne si è rivelata alla prova dei fatti eccessivamente pessimistica, ma ha comunque colto nel segno laddove ha posto in evidenza l'insufficienza della concezione meramente procedurale della democrazia a coagulare il consenso attorno ad un nucleo di valori comuni che realizzino in ogni sistema politico quel minimum di omogeneità ritenuta indispensabile per la tenuta di un ordinamento statuale.

Se il dibattito teorico sul ruolo degli interessi organizzati nelle forme di Stato contemporanee ha subìto, fino al 1989, gli influssi di natura ideologica, è soltanto a partire da questa data che si sono rafforzate le voci autorevoli di chi ha ritenuto - ed è il caso di Peter Häberle - che spetti alla cosiddetta "Costituzione del pluralismo" definire l'equilibrio tra gli interessi sociali, grazie all'elaborazione di processi di partecipazione che facciano seguire all'espansione quantitativa dei compiti dello Stato la valorizzazione delle istanze di cui è portatrice, sotto varie forme, la società civile.

A tale riguardo, la ricomposizione degli interessi organizzati è legata anche alla progressiva ed inarrestabile erosione della funzione svolta dal sistema dei partiti politici, la cui debolezza, testimoniata dalla perdita di radicamento sociale e, talvolta di legittimazione culturale e morale, lascia intravedere un processo di lento, ma inesorabile, esaurimento della capacità di mediazione e di sintesi dimostrata in passato dai grandi partiti di massa.

Anche per questo motivo le potenzialità di sviluppo del modello dell'autonomia delle formazioni sociali nel quadro dell'ispirazione pluralistica degli ordinamenti democratici tendono a fare emergere sempre di più i temi della cosiddetta sussidiarietà, in un contesto socio-economico segnato, come ha scritto Paolo Ridola, "da un privato-sociale più capace di autoorganizzarsi e di occupare spazi di rappresentanza di domande sociali".

E' stato, infatti, acutamente osservato come la dialettica tra i princìpi della statualità e della socialità abbia trovato proprio nelle riflessioni sulla sussidiarietà un punto di osservazione privilegiato e ciò in virtù dell'attitudine della stessa sussidiarietà sia a fungere da momento di garanzia dell'autonomia dei corpi sociali di fronte alle pretese invasive dei pubblici poteri, sia a fornire alle istanze sociali spazi di partecipazione e di integrazione all'interno dei circuiti di formazione delle scelte decisionali.

E' in questo contesto di feconda interazione che si collocano peraltro anche i portatori di interessi e di valori che, organizzandosi in gruppi di pressione, rappresentano il vasto universo delle lobbies le quali, per raggiungere i propri obiettivi, hanno necessità di comunicarli all'interno delle istituzioni dove sono assunte le decisioni pubbliche.

Si tratta, com'è noto, di un fenomeno, quello del lobbying, disciplinato dai diversi ordinamenti nazionali in modo non uniforme: in alcuni di questi (Stati Uniti d'America, Germania, Giappone) l'accesso dei gruppi di pressione ai luoghi decisionali è da tempo oggetto di specifica legislazione, in cui sono indicati obblighi e diritti; in altri (Francia, Regno Unito), contano molto le procedure consuetudinarie o i codici di condotta e di deontologia professionale; in altri ancora (è il caso dell'Italia e della Spagna) manca ogni normazione come se la questione non si ponesse.

Le analisi di diritto comparato evidenziano, comunque, come nei sistemi in cui il Parlamento è "forte" - nel senso che gioca un ruolo chiave nei processi politici - esista una regolamentazione della rappresentanza parlamentare delle lobbies; all'opposto, al Parlamento debole corrispondono interessi oscuri.

Non a caso, nell'ambito dell'Unione europea, con il rafforzamento del ruolo decisionale del Parlamento si è posta la questione di come regolamentare i rapporti tra l'organo elettivo e le attività dei gruppi di pressione, nonostante la preminenza di istituzioni come la Commissione ed il Consiglio, da sempre interlocutrici privilegiate in ordine a temi quali l'ambiente o le politiche sociali e di sviluppo.

In Italia, infine, a fronte del progressivo trasferimento di poteri normativi in capo al Governo, il problema della legittimazione dei soggetti portatori di interessi nei procedimenti di formazione delle decisioni si interseca soprattutto con il forte ruolo che la pubblica amministrazione riveste nella definizione degli interessi pubblici da perseguire.

Anche se in molti settori il confronto non è più necessario perché la gestione pubblica è stata restituita al mercato, in altri, invece, resta ferma l'esigenza di legittimare l'aggregazione e la sintesi degli interessi, ammettendoli ad un'istruttoria procedimentale formale che non ha ovviamente l'obiettivo di favorire la nascita di un neo-corporativismo, ma che porterebbe certamente ad una migliore compenetrazione con l'interesse pubblico per costruire una migliore decisione.

Sotto questo profilo, la trasparenza delle procedure garantirebbe un altro principio fondamentale: il diritto, a parità di condizioni, di accedere al terreno del confronto che altrimenti verrebbe alterato a vantaggio di chi detiene il potere amministrativo.

Questo è un grande problema di democrazia, perché, nel momento in cui preventivamente abbiamo affermato il principio della legittimazione di soggetti realmente portatori di interessi, che possono contribuire alla formazione di una decisione migliore, e poi, invece, discriminiamo la possibilità di accesso perché neghiamo la parità di condizioni, favoriamo ovviamente il lobbismo deteriore, quello del canale indiretto, quello del rapporto personale che è fonte di corruzione.

Il lobbismo in Italia va, quindi, regolato al più presto e non solo facendo riferimento alla dimensione nazionale, ma anche, a mio avviso, a quella regionale, dando trasparenza ai rapporti tra imprese e amministrazioni pubbliche in modo che i cittadini possano avere elementi per verificare la correttezza ed i costi delle decisioni assunte dalle istituzioni.

Queste considerazioni spiegano perché la questione della regolamentazione del lobbying debba essere ricompresa nelle dinamiche istituzionali più generali, investendo i meccanismi di funzionamento delle istituzioni politiche, governative, rappresentative, burocratiche, oltre che la definizione di ruoli, di competenze e di status giuridico dei lobbisti.

Manca oggi, per come si sta sviluppando in Italia, una percezione politica e scientifica sull'argomento.

Il nostro Stato ha bisogno di colmare il deficit di partecipazione democratica in ordine a tutti i livelli di governance dove si assumono le decisioni pubbliche. E', infatti, anche sul terreno della valorizzazione dei corpi intermedi che il sistema può ragionevolmente ricercare quei canali di partecipazione per far sì, come avrebbe detto Mortati, che "l'ordinamento democratico non rimanga in superficie, ma che, invece, si disponga a ricevere il contributo di chi è portatore di valori accomunanti".

Grazie.