Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

04/03/2010

Montecitorio, Sala del Mappamondo - Presentazione del libro di Ignazio Marino "Nelle tue mani. Medicina, fede, etica e diritti"

Un celebre aforisma di Schopenhauer, colmo di saggezza, recita : «La salute non è tutto. Ma, senza la salute, tutto è niente».

Penso che questa massima di grande buon senso sia il modo migliore per predisporsi alla lettura del bel libro di Ignazio Marino. L'autore è un chirurgo di fama internazionale e un senatore autorevole. In questo libro affronta temi che riguardano direttamente ogni cittadino, a prescindere dal ruolo sociale e dalle convinzioni politiche.


Perché dei progressi della scienza medica devono poter godere tutti, poveri e ricchi, giovani e vecchi. Perché i problemi etici legati a questo progresso, o legati alla condizione delle persone in stato vegetativo irreversibile, interrogano la coscienza di ognuno, sia egli laico o cattolico, credente, non credente oppure diversamente credente.


Il libro presenta il pregio della competenza scientifica, ma anche quello della testimonianza. L'autore inserisce infatti nella narrazione la sua diretta esperienza di medico. Testimonianza professionale e testimonianza umana si fondono. Marino ricorda che «è innegabile che il medico faccia parte di un meccanismo complesso qual è la sanità moderna», però sottolinea anche l'importanza del rapporto umano con il paziente proponendo anche l'inserimento, nei piani di studio delle facoltà di medicina, di corsi sul modo migliore di colloquiare con il paziente.


Sul doloroso e delicatissimo tema del fine vita, ampiamente analizzato nel volume, è noto che l'Italia tende a dividersi, come è emerso in modo eclatante durante i giorni del drammatico caso Englaro.


Non ritengo però che sia giusto parlare di una sorta di "polarizzazione" dell'opinione pubblica, come è stato scritto da vari commentatori, in particolare da tanti giornalisti e Marcello Masi potrà fornire eventualmente qualche indicazione al riguardo.

Non penso cioè che sia né veritiero né costruttivo applicare gli schemi ordinari della polemica politica a questioni che coinvolgono le sfere più profonde della coscienza. In certi casi, si deve solo tentare di immedesimarsi in coloro che vivono realmente il dramma; e chiedersi, con onestà intellettuale e sensibilità umana , «cosa farei io se mi trovassi nelle situazione di quel padre o di quella madre», e occorre farlo nella convinzione che qualsiasi scelta merita rispetto e sincera partecipazione.


Il mio primo auspicio è che quindi sul fine vita , sul testamento biologico e sui più complessi temi bioetici si sviluppi nel nostro Paese una discussione quanto più possibile serena e civile, come sempre la discussione dovrebbe essere in una società libera e aperta, com'è (o come dovrebbe essere) la società italiana.


Un cittadino infatti non è "meno di destra", "meno di centro" o "meno di sinistra" se in certi casi drammatici obbedisce alla propria coscienza, indipendentemente da quello che può essere l'orientamento prevalente nello schieramento cui egli sente di appartenere.


La posizione di Ignazio Marino può essere ben riassunta in questa sua proposizione: «Di fronte alla concretezza dei dati scritti in un documento scientifico - egli scrive -, sono convinto che una legge che stabilisca alcune regole sulla questione del fine vita sia necessaria. Non mi pare degno per un Paese maturo come dovrebbe essere il nostro che le decisioni sul fine vita di una persona siano assunte senza tenere conto delle indicazioni della persona stessa e senza un dialogo aperto e sereno tra medici e familiari». Sono parole che sottoscrivo pienamente.


Deve essere comunque chiaro che libertà di coscienza non vuol dire relativismo. So bene che il concetto di relativismo etico è materia molto dibattuta in sede filosofica, soprattutto oggi che il progresso scientifico offre nuove e inesplorate possibilità all'uomo. Non spetta a me entrare nella discussione, sulla quale potrà peraltro offrirci interessanti considerazioni di grande rilievo il teologo Vito Mancuso che partecipa a questo dibattito.


Credo però che una società libera e aperta non per questo risulti necessariamente priva di un fondamento morale comune e condiviso, cioè di un nucleo di valori che non possono essere negati senza negare il fondamento stesso della nostra convivenza civile. E, tra questi valori, quello che nella discussione sui concetti di fine vita e di accanimento terapeutico può essere richiamato come preciso punto di riferimento credo sia in primis il valore della dignità della persona.


E' un principio sancito dalla nostra Costituzione, laddove all'articolo 32 si afferma che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».


E' un principio che devono rispettare tutti i cittadini, ma che la politica ha il dovere di affermare con particolare forza, nella consapevolezza che non ci sono né ci possono essere verità ideologiche da far prevalere ma condizioni minime di umanità da garantire e da affermare.


Credo che, a tale riguardo, queste parole ci possono aiutare: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le sue risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un'inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l'ora ineluttabile e sacra dell'incontro dell'anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita». Sono parole di Paolo VI nella Lettera pontificale indirizzata ai medici cattolici nel 1970.


Una politica libera da dogmi e da ideologismi non è affatto una politica più debole. Penso, al contrario, che sia una politica più "forte". Ed è tale proprio perché più umana, perché più vicina ai cittadini e alle dimensione reale dei loro problemi.


Quanto più la politica sarà a misura d'uomo, tanto più essa risulterà autorevole. Uno dei passi del libro che mi sento di sottoscrivere con più forza è laddove Marino invita tutti a un abbassamento di toni di fronte a questioni tanto drammatiche. «La politica -scrive- può fare molto, può risolvere grandi problemi con un po' di umiltà, ponendosi come primo impegno il bene collettivo e il miglioramento generale delle condizioni dei cittadini». «Penso - osserva ancora - sia indispensabile ascoltare gli altri, le ragioni di tutti senza pretendere di conoscere la verità».


Il libro di Ignazio Marino non è naturalmente solo un libro sul fine vita, ma, più in generale, un'opera che descrive le grandi questioni etiche e politiche poste dal progresso delle biotecnologie e delle scienze biomediche, a partire dalla ricerca genetica, che tante discussioni suscita, con particolare riferimento alla sperimentazione sulle cellule staminali embrionali.

Sono temi di frontiera sui quali Marino afferma il principio della "laicità della scienza".


L'autore sostiene che non esistono conflitti tra le ragioni della fede e le ragioni della scienza e dichiara egli stesso di essere credente. Il suo invito è quello di interrogarsi sui temi della bioetica avendo «capacità di ascolto nei confronti della ragioni della scienza».


Anche qui ci troviamo di fronte a una discussione difficile ma fondamentale che coinvolge da molto tempo l'intera cultura occidentale. Le opinioni, come è naturale, non sono univoche, né potrebbero esserlo, dal momento che si tratta di problemi enormi, nei quali si pongono necessità diverse ed egualmente legittime: da un lato l'esigenza di dare speranza a tanti malati e favorire il progresso della medicina; dall'altro l'esigenza altrettanto sacrosanta di permettere alla società di mantenere i suoi caratteri di umanità, salvaguardandola da manipolazioni e abusi che confliggono con i valori fondamentali della nostra civiltà.


Ritengo che su questi temi la politica possa svolgere un ruolo decisivo, dal momento che le sue scelte si ripercuotono concretamente sulla vita di milioni di persone. Poi, certamente, non spetta alla politica risolvere i problemi del rapporto tra fede, etica e scienza; suo compito è quello di scegliere strade che conducano all'effettivo miglioramento della qualità della vita per il maggior numero possibile di uomini e di donne. E ciò nella convinzione che la promozione della ricerca scientifica è comunque uno degli scopi fondamentali di ogni classe dirigente che abbia a cuore l'obiettivo di assicurare il bene comune.


Qui è amaro dover rilevare che gli investimenti nella ricerca non sembrano purtroppo essere una priorità per la politica italiana, nonostante tutti ne riconoscano almeno a parole il carattere strategico. La triste realtà è che il nostro Paese - fatte naturalmente salve tante luminose eccezioni e tante situazioni di eccellenza - si trova in posizioni arretrate in un settore in cui pur avrebbe tutte le potenzialità per eccellere.


Ciò detto, va anche osservato che stabilire quale sia la strada migliore, di fronte a ricerche o applicazioni che sollevano rilevanti questioni etiche, non sempre è, per la politica, un'operazione semplice.


La nostra è una società in cammino, che affronta problemi e si trova di fronte a possibilità, fino a pochi anni fa, inaudite e per certi aspetti nemmeno immaginabili. A guidarci dovrà essere una bussola che indichi chiaramente i punti cardinali della libertà e della dignità: ha senso, infatti, parlare di progresso solo se questo porta ad aumentare la libertà dell'uomo, quindi ad accrescere le sue possibilità di scelta sulla propria vita e sul proprio futuro. Non è progresso quello che ne coarta, anche nelle forme più subdole, la capacità di decisione e che ne viola la dignità.


Lo stesso Marino ci mette in guardia, in alcune pagine tra le più intriganti dal punto di vista culturale, da alcune possibilità agghiaccianti. Ad esempio quando stigmatizza l'abominio rappresentato dalla compravendita di organi umani. Su certe pratiche esiste fortunatamente una condanna generalizzata. Eppure l'autore ci ricorda la circostanza che si stanno facendo strada, anche nel mondo occidentale, inquietanti teorie che in qualche modo giustificano tale ignominia.


Sul piano strettamente politico, dobbiamo infine sempre ricordare che enormi interessi economici sono inevitabilmente coinvolti nell'applicazione delle scienze biomediche. Non c'è assolutamente da scandalizzarsene, dal momento che senza investimenti industriali e senza profitti non ci sarebbero nemmeno tante ricerche e molti ricercatori non sarebbero in condizione di studiare.


Ma la politica - nel più rigoroso rispetto, beninteso, della libertà di ricerca - deve avere sempre di mira la salvaguardia del bene comune e quindi dell'interesse generale.

E' un compito che passa anche per un coordinamento di iniziative a livello internazionale (e questo è uno degli aspetti del libro che trovo più rimarchevoli). In tal senso l'autore auspica che tutti i Paesi leader nella ricerca scientifica concordino «strategie comuni cui attenersi, in un'ottica di progresso ma nello stesso tempo nel rispetto del principio di precauzione». Il problema è complicato dall'elevata competizione che si svolge all'interno del mondo scientifico. Non sempre la competizione svolge infatti una positiva funzione di stimolo: «E' importante - osserva sempre Ignazio Marino - arrivare per primi a una scoperta, per il prestigio che questo primato comporta ma anche per gli interessi economici ad esso collegati, per ottenere nuovi fondi, arrivare ai brevetti e a eventuali applicazioni cliniche». Di qui la necessità che la politica stabilisca, nei settori strategicamente più rilevanti le necessarie "linee di indirizzo".


Insomma, la politica, le istituzioni, i parlamenti ed i governi si sono ritrovati, nel giro di pochi anni, a dover affrontare enormità di nuovi problemi, che vanno dalle più delicate questioni bioetiche alla necessità di convogliare grandi energie di ricerca verso obiettivi di progresso collettivo.


In entrambi i casi, parliamo di questioni decisive per l'avvenire della nostra società. Anche per questo, è quanto mai auspicabile che l'Italia recuperi al più presto il suo ritardo in un settore tanto delicato e cruciale. E' un obiettivo sicuramente alla nostra portata. Ma la condizione essenziale è che il dibattito pubblico su questi argomenti compia il necessario salto di qualità.

E, a mio avviso, il libro di Ignazio Marino dà di certo un pregevole contributo nella direzione giusta.