Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

26/04/2010

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione del Rapporto del CNEL "Sull'impresa che cambia"

Autorità, Signore e Signori!
Il Rapporto del CNEL "sull'impresa che cambia", che oggi presentiamo, costituisce un'occasione utile per riflettere sullo "stato di salute" del nostro sistema imprenditoriale.
Come è noto, la crisi economica ha tratto origine da gravi patologie del sistema finanziario e da alcune carenze che hanno contrassegnato l'attività delle istituzioni e delle autorità che avrebbero dovuto, con maggiore oculatezza e tempestività, esercitare le funzioni di vigilanza.
Il paradosso è, tuttavia, che gli effetti della crisi si stanno rilevando particolarmente negativi per il sistema produttivo non soltanto per la contrazione degli ordinativi e, conseguentemente, del fatturato, a causa del crollo della domanda interna ed estera, ma anche per i nuovi comportamenti del mondo creditizio.
E' in atto, infatti, una contrazione del credito concesso alle imprese, per i timori dell'aumento del rischio di insolvenza dei clienti, contrazione che risulta particolarmente penalizzante per le aziende di minori dimensioni, meno capitalizzate e più dipendenti dai finanziamenti bancari.
Suscitano preoccupazione anche alcune delle ipotizzate proposte di modifica della disciplina del comparto finanziario, a partire dalla possibilità di una revisione in aumento dei coefficienti patrimoniali della banche, nell'ambito di Basilea 3, che potrebbe indurre quest'ultime a contrarre le attività nei confronti di clienti meno solidi dal punto di vista patrimoniale.
Si tratta di rischi gravi che meritano di essere considerati con la massima attenzione per evitare di trovarci nell'assurda situazione di aver assecondato decisioni e comportamenti che, pur ispirati dalle migliori intenzioni, potrebbero produrre danni irreversibili al sistema delle piccole e medie imprese, che rappresentano la struttura portante del sistema produttivo italiano.
Il valore dell'esperienza italiana delle piccole e medie imprese è ampiamente riconosciuto a livello europeo. E' un modello cui s'ispirano da tempo molti dei paesi che, uscendo dalla condizione del sottosviluppo, sono alla ricerca di soluzioni che evitino, o quanto meno riducano, i danni sociali ed ambientali provocati da processi di industrializzazione forzati, basati quasi esclusivamente sulle imprese di grandi dimensioni, tali da provocare un impatto fortissimo sugli assetti economico-sociali e sul territorio.
Le piccole e medie imprese sono il canale privilegiato attraverso il quale si realizza un'imprenditoria diffusa suscettibile di innescare dinamiche positive.
Questo è il motivo per cui le istituzioni europee assegnano notevole importanza all'adozione di politiche organiche e coerenti di tutela delle piccole e medie imprese attraverso il cosiddetto "Small Business Act", che si traduce in una serie di iniziative tra cui l'attenuazione dei vincoli relativi agli aiuti di Stato, la semplificazione degli adempimenti e degli oneri per l'avvio di attività di impresa e, soprattutto, il mutamento di approccio da parte delle pubbliche amministrazioni.
A quest'ultimo riguardo, deve essere prioritario rimediare a quella che, in Italia, è diventata una vera e propria emergenza, vale a dire i ritardi con i quali le amministrazioni pubbliche provvedono al pagamento dei debiti contratti con i loro fornitori e che espongono le imprese, specie quelle di minori dimensioni, a gravissime difficoltà, spesso privandole della liquidità necessaria alla prosecuzione dell'attività.
A ciò si deve aggiungere la considerazione di carattere generale, che, già a partire dalla fine degli anni '90, l'economia mondiale ha subito un processo di profonda trasformazione che ha cambiato la natura dei prodotti, i sistemi di produzione e di distribuzione dei beni e servizi, determinando nuove forme di globalizzazione del mercato.
Dobbiamo sempre ricordare che è cambiato il funzionamento dell'economia europea ed internazionale entro cui operava anche il sistema italiano: l'adozione dell'euro, l'accentuata instabilità dei mercati monetari e borsistici, la rivoluzione tecnologica negli USA, le innovazioni dell'informazione e della comunicazione, l'irruzione sui mercati di Paesi a basso costo del lavoro sono stati fattori essenziali nel determinare il cambiamento di scenario.
La globalizzazione ha quindi allargato sia le frontiere geografiche che quelle della conoscenza, con la conseguenza che oggi, in Italia, la sopravvivenza e lo sviluppo delle imprese si giocano sul versante della qualità dei prodotti e dei servizi, su quello della capacità di innovare i processi produttivi, nonché sulla capacità di aprirsi a nuovi mercati con lungimiranza, flessibilità ed intraprendenza.
Tutte queste caratteristiche hanno trovato, anche se con fatica, risposta nelle specializzazioni convergenti di un fitto tessuto di operatori di servizi e di aziende produttive che finora hanno dimostrato una straordinaria vitalità; una vitalità ed una competitività sul piano internazionale basata, però, più che sull'innovazione strettamente intesa, sulla flessibilità e sulla capacità di adattamento.
Il modello di crescita basato quasi esclusivamente sull'industria "medio-piccola", che pure ha registrato tanti successi in passato, oggi potrebbe, tuttavia, non rivelarsi più adeguato ad assicurare gli spazi di crescita necessari per affrontare i gravi problemi sociali di cui soffre anche l'Italia.
Affinché quel modello possa continuare ad esprimere tutte le potenzialità positive che ha saputo manifestare negli scorsi decenni è indispensabile ricondurre gli interventi a sostegno delle PMI in un quadro coerente e sistematico di interventi e di politiche per lo sviluppo.
Occorre, in altri termini, concepire una politica per lo sviluppo mirata anche, ma non esclusivamente, alle PMI che garantisca la coerenza degli interventi nel breve e nel medio periodo e nei diversi aspetti, così da evitare una dispersione delle poche risorse disponibili.
E' chiaro che la possibilità di ripristinare un ritmo elevato di crescita dipende non solo dalla capacità di resistenza e di adeguamento degli imprenditori, ma anche da un generale miglioramento della competitività del sistema italiano nel suo complesso.
E' un obiettivo che richiede un deciso e qualificato impulso politico, perché si tratta di aumentare la qualità dei servizi pubblici; garantire la certezza del diritto e l'efficienza del sistema giudiziario; giungere ad una efficiente dotazione d'infrastrutture; tutelare effettive condizioni di concorrenza; rafforzare la capacità del nostro sistema finanziario di accompagnare il recupero e la crescita delle imprese esistenti; semplificare e razionalizzare il sistema di incentivi; rivitalizzare, in forme profondamente rinnovate, la programmazione negoziata.
I sistemi economici non cambiano per legge, ma è certo che il problema di fondo che ci troviamo davanti è essenzialmente un problema politico, dal momento che la prospettiva di cambiamento, da guidare e sorreggere, non riguarda solo il sistema imprenditoriale o economico, ma la società italiana nel suo complesso.
La competizione sui mercati internazionali, che vede oggi l'Italia in difficoltà, è, infatti, sempre meno fra singole imprese e sempre di più fra sistemi-paese. Per tale motivo, è indispensabile che la trasformazione del sistema economico trovi corrispondenza nella maggiore efficienza delle istituzioni che operano sul territorio, dando vita ad un vero e proprio sistema virtuoso, in grado di aumentare le interazioni e la cooperazione fra i diversi attori, privati e pubblici.
Un sistema in cui, ad esempio, l'istruzione professionale e le specializzazioni universitarie abbiano ben presenti le esigenze del sistema delle imprese ed in cui le attività di ricerca delle imprese trovino sponde nel sistema di formazione pubblica. Un Sistema, per fare un altro esempio, in cui un'efficace pianificazione territoriale favorisca un'ordinata espansione delle aree produttive anche attraverso il recupero dell'enorme quantità di edifici e manufatti esistenti e ormai privi di un'adeguata utilizzazione.
Analogo discorso può essere fatto per quanto riguarda la logistica ed i trasporti, mortificati in Italia non tanto dalla carenza di investimenti, quanto piuttosto da vincoli di tipo burocratico e da interferenze e resistenze di vario tipo.
Il Governo, in sinergia con tutti gli altri livelli di governo territoriale, ha un compito gravoso che deve essere svolto con grande impegno, dal momento che solo i contesti territoriali competitivi possono attrarre talenti ed investimenti e l'Italia, a differenza di ciò che accadeva fino agli anni '70, è fuori dal circuito degli investimenti internazionali ed ha difficoltà ad offrire ai giovani adeguate opportunità di lavoro e di studio.
E' una triste realtà che il nostro Paese, nonostante gli sforzi che varie istituzioni compiono quotidianamente, non attragga più "cervelli", ma anzi assista alla fuga di molti giovani talenti dalle indubbie capacità intellettuali.
Investire su di loro, sulla loro istruzione, sul loro inserimento nel mondo della ricerca e del lavoro vuol dire rendere più moderne le imprese e la società: significa, in altri termini, dar vita ad iniziative capaci di rilanciare l'economia e di agganciare il nostro sistema economico e sociale alle dinamiche emergenti a livello globale.
È necessaria una politica di rigore nei conti, che deve essere realizzata con dei tagli selettivi, e non orizzontali, i quali finiscono per colpire indiscriminatamente ogni settore dell'economia e della società
Per farlo è però necessario reperire adeguate risorse finanziarie anche con il concorso della finanza regionale e locale, dal momento che il territorio torna ad essere rilevante non più soltanto come luogo in cui si realizza il ciclo produttivo, ma anche come ambiente sociale in cui far crescere le attività di produzione, di servizi e di ricerca.
In questo quadro, l'introduzione del cosiddetto federalismo fiscale carica i governi locali di nuovi compiti e di nuove responsabilità, perché, come ha detto di recente il Capo dello Stato, "non c'è alternativa al crescere insieme, Nord e Sud, essendo storicamente insostenibili ed obiettivamente inimmaginabili nell'Europa e nel mondo d'oggi prospettive separatiste o indipendentiste, e più semplicemente ipotesi di sviluppo autosufficiente di una parte soltanto, fosse anche la più avanzata economicamente, dell'Italia unita".
Ovviamente di tali questioni avremo modo di parlarne in Parlamento in altre occasioni.