Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

27/04/2010

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione della Relazione annuale sulle attività svolte dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS)


E' da tempo ormai che il sistema previdenziale, in Italia come negli altri paesi dell'Unione Europea, non assolve più alla tradizionale funzione di stabilizzatore automatico dell'economia; molteplici fattori, soprattutto di carattere demografico, ma anche di ordine sociale e politico-istituzionale, hanno inevitabilmente segnato il tramonto di questa antica funzione.
In Italia, l'evoluzione del sistema è ampiamente nota: dopo gli anni '50 e '60, quando prevalevano alti tassi di crescita economica, sostanziali incrementi della forza lavoro, tassi di disoccupazione relativamente bassi, si è passati, con le crisi petrolifere degli anni '70, ad un sensibile rallentamento della produttività che, di conseguenza, ha reso più difficoltosa la ridistribuzione dei redditi.
Questa involuzione è stata inoltre rafforzata, da un lato, dal progressivo mutamento della famiglia tradizionale (è emersa una tipologia di famiglie con un solo genitore, spesso alle prese con la disoccupazione o con lavori precari e spesso mal retribuiti) e, dall'altro, dall'invecchiamento della popolazione con conseguente caduta del tasso di attività e aumento della domanda di servizi sanitari.
Tutti questi cambiamenti hanno avuto ovviamente l'effetto di incidere anche sulla sostenibilità dei costi dei sistemi pensionistici.
Non a caso, l'equilibrio finanziario della spesa previdenziale è stato l'obiettivo della "riforma Dini", che, introducendo il sistema contributivo, ha stabilito una relazione diretta tra la pensione percepita e i contribuiti accumulati nell'arco dell'intera attività lavorativa.
In questo contesto, oltre alla legge 335 del '95, che rappresenta ancora oggi un valido modello di riforma strutturale si sono avuti altri interventi normativi e legislativi che hanno profondamente inciso sul mercato del lavoro e sul sistema della previdenza sociale.
Mi riferisco, in particolare, all'accordo-quadro del 1993, per il contenimento del costo del lavoro, e al cosiddetto "pacchetto Treu", che ha introdotto le prime forme di lavoro flessibile, in seguito più compiutamente articolate e sistematizzate dalla "legge 30", meglio conosciuta come "legge Biagi".
Alla "flessibilizzazione" del mercato del lavoro, che ha consentito una crescita costante del livello di occupazione, sia per quanto riguarda il lavoro dipendente, che autonomo ed agricolo, il Governo, su impulso del Ministro Sacconi, ha di recente risposto con significativi interventi nell'ambito degli ammortizzatori sociali e dei programmi di ampliamento dell'area delle tutele per le prestazioni a sostegno del reddito.
Se, dunque, la dinamica salariale è materia che deve essere lasciata al mercato e alla libera contrattazione delle parti sociali, è, invece, prerogativa del legislatore dare risposte credibili alle giovani generazioni, attraverso interventi che favoriscano lo sviluppo dei processi produttivi, così da consentire la crescita dei salari senza pregiudicare la competitività delle imprese.
Ed è in questo scenario che si colloca la questione della copertura previdenziale da assicurare alle future generazioni.
Se, infatti, la pensione erogata dal sistema pubblico è la risultanza esclusiva di un calcolo attuariale, c'è da chiedersi come sia possibile dare sostegno ai giovani nella fase iniziale della loro attività lavorativa, quando la flessibilità del mercato può determinare carenze contributive e conseguenti future pensioni molto basse.
In altre parole: il sistema pensionistico può essere indifferente ad un mercato del lavoro che non favorisce accumuli contributivi continui e significativi?
Che la pensione debba essere conseguenza del risparmio previdenziale accantonato è un principio ampiamente condiviso e irreversibile, ma per la stessa tenuta del sistema previdenziale occorre, a mio avviso, stabilire obiettivi raggiungibili e concreti anche per quei lavoratori che potranno realizzare solo risparmi previdenziali ridotti.
Tutelare le fasce più deboli, evitare la rottura del patto generazionale, garantire il potere d'acquisto delle pensioni future costituiscono le tre grandi sfide del futuro.
Se non studiamo nuove soluzioni per rendere socialmente più sostenibili gli esiti della "riforma Dini", accadrà, ad esempio, che, nel 2035, "il tasso di sostituzione tecnica", vale a dire il livello di copertura pensionistica, sarà, per i lavoratori autonomi e per i lavoratori subordinati, rispettivamente del 43% e del 58% dell'ultimo reddito da lavoro.
Basterebbe questo dato a dimostrare che lo sviluppo di un adeguato sistema di previdenza complementare deve rappresentare per il nostro Paese una priorità strategica.
È un fatto, invece, che, nonostante i recenti interventi legislativi, la previdenza complementare in Italia stenti ancora a decollare e ciò è ancora più significativo se si considera che la riforma contenuta nel decreto legislativo n. 252 del 2005, ed avviata nel 2007, ha previsto il meccanismo del silenzio-assenso per il conferimento ai Fondi pensione delle quote maturande del trattamento di fine rapporto.
La mia opinione è che in assenza di un serio punto di riferimento istituzionale, i lavoratori non hanno riposto la fiducia sperata nel cosiddetto "secondo pilastro", perché ai dubbi ed alle preoccupazioni per la prospettata rinuncia alla liquidazione, si sono aggiunti i rischi connessi all'accaparramento del sistema da parte del mondo bancario ed assicurativo.
L'azione combinata di un polo pubblico di garanzia, per quanto riguarda i fondi complementari ed il sistema finanziario per l'investimento dei contributi versati, potrebbe invece favorire un'adesione massimizzata al sistema e un migliore risultato in termini di trattamenti pensionistici complementari.
Sono considerazioni di ordine generale che credo sia opportuno svolgere nel momento in cui presentiamo il Rapporto annuale dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
Mi auguro che in questo momento, in cui è sempre più urgente massimizzare l'efficienza dei sistemi di protezione sociale, anche il Parlamento sappia intensificare gli sforzi per garantire, nel rispetto degli stringenti vincoli di finanza pubblica, la dovuta attenzione verso una questione che rappresenta davvero, soprattutto per le future generazioni, una delle sfide più impegnative del nuovo millennio.