Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

12/05/2010

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione del volume "Fare pace. La Comunità di Sant'egidio negli scenari internazionali"

La Camera dei deputati è lieta di ospitare la presentazione del volume "Fare Pace" in cui si traccia un bilancio dell'attività svolta in ogni parte del mondo dalla Comunità di Sant'Egidio negli ultimi vent'anni.

E' la storia di un miracolo dell'impegno quotidiano e della fede di tanti uomini e donne che hanno saputo far vivere e comunicare il messaggio evangelico, facendosi carico della più nobile e impegnativa sfida del mondo contemporaneo: la ricerca della pace come strumento della lotta alla povertà.

Non è un caso che, a partire dalla crisi del Mozambico, l'Africa sia stata e sia tutt'ora al centro dell'azione della Comunità di Sant'Egidio. Il continente dimenticato, devastato dalle guerre e dalle epidemie, è diventato il laboratorio di una missione di pace che non si è mai arresa alla logica della rassegnazione e della disperazione.

Proprio l'esempio mozambicano può dare la misura dell'entità della posta in gioco. Mai come in questo caso risulta inequivocabile il linguaggio dei numeri: quindici anni di pace hanno permesso al paese africano di aumentare di sei volte il PIL e di dimezzare la mortalità infantile sotto i cinque anni.

In questa come in altre vicende similari, la Comunità di Sant'Egidio ha dimostrato con i fatti come la guerra sia la "madre di tutte le povertà" e come sia necessario, seguendo la lezione di Papa Giovanni XXIII, "cercare quello che unisce e mettere da parte quello che divide".

Il duplice assunto che ispira Sant'Egidio è molto semplice, quasi disarmante: la pace è sempre possibile, la guerra è sempre la soluzione peggiore.

Coerentemente, le iniziative della comunità si sono svolte attraverso due modalità fondamentali: "dialogo ad oltranza", nella ricostruzione della fiducia tra le parti in conflitto perché maturi la comune volontà dell'accordo; e la ricomposizione delle fratture, nella proposta di una convincente "architettura del futuro comune" che consenta il passaggio dal conflitto armato al confronto politico.

Dal Mozambico al Guatemala, dall'Algeria al Burundi, dall'Albania e dal Kosovo alla Liberia e alla Costa d'Avorio, i volontari di Sant'Egidio hanno dato prova di quanto potere possa avere chi non ha potere, di quale forza straordinaria abbia il disinteresse assoluto rispetto a qualsiasi pur legittimo tornaconto politico economico.

Nella liberalizzazione dei rapporti internazionali seguita alla fine della guerra fredda, la Comunità di Sant'Egidio ha colto le nuove opportunità che si aprivano ad un'azione diplomatica non tradizionale, avulsa non solo dalle contrapposizioni derivanti dai blocchi ideologici, ma anche dagli interessi nazionali dettati dalla geopolitica.

Su questa base, l'età della globalizzazione è stata affrontata nell'ottica di una maggiore responsabilizzazione dei singoli individui e dei singoli popoli rispetto al destino dell'umanità, anche perché - grazie al retroterra religioso - non hanno avuto presa le suggestioni della fine della storia e della pace universale a buon mercato.

Nell'introduzione a questo volume, il fondatore della Comunità, il professor Andrea Riccardi, rifiuta infatti l'etichetta di "pacifista" per il suo movimento e vi preferisce il termine "pacificatore", affermando che la pace è una passione, non una professione.

Nulla è più lontano dal sentire di Sant'Egidio del pacifismo da salotto o da corteo che troppo spesso ha offuscato tante coscienze anche tra le più nobili. Il messaggio che viene da Trastevere è quello di un'assunzione diretta di iniziativa e di responsabilità che privilegia il fare rispetto al parlare, il calarsi nella realtà piuttosto che la declamazione di principio.

A ben vedere la Comunità di Sant'Egidio non ha fatto altro che proiettare a livello internazionale quella scelta che aveva maturato sin dalla sua nascita, nella Roma del 1968, di donarsi agli altri, di rivolgersi ai poveri come amici in Cristo, di prendersi cura degli emarginati vecchi e nuovi della nostra società.

Negli anni in cui i veleni ideologici contagiavano i giovani e li orientavano finanche alla violenza terroristica, un gruppo di liceali ed universitari riusciva a sottrarsi al richiamo dell'estremismo e si dedicava anima e corpo alla testimonianza dell'amore verso il prossimo.

C'è indubbiamente, dietro questa speranza, tutta la ricchezza della lezione evangelica e tutta la vocazione ecumenica del cattolicesimo, ma credo che difficilmente la Comunità avrebbe raggiunto gli attuali risultati senza il decisivo incontro con la straordinaria personalità di Papa Giovanni Paolo II, da cui sono nati gli incontri internazionali di Assisi per il dialogo interreligioso.

In una sua celebre allocuzione ai membri della Comunità, che ormai risale a trent'anni fa, Papa Woytila ne condensava le caratteristiche in "tre esse": speranza, solidarietà e spiritualità.

In tempi non sospetti, ben prima delle teorizzazioni sullo scontro tra le civiltà, non sfuggiva agli uomini e alle donne di Sant'Egidio l'importanza per i popoli della religione, che non poteva essere confinata a fatto privato come un certo laicismo (che nulla ha a che vedere con la laicità) avrebbe voluto e che tuttavia non doveva mai essere strumentalizzata a fini politici.

Lungi dall'essere una riedizione della concezione della religione come instrumentum regni, la testimonianza della fede diventa invece una forza di legittimazione morale da valorizzare nella dimensione del dialogo e del reciproco rispetto, perché ciascun popolo possa riconoscervisi su una base di pari dignità.

Mi sembra significativo, al riguardo, che molti dei protagonisti delle iniziative della Comunità siano degli storici di formazione e di professione, che hanno riversato nella loro attività la capacità di analizzare e di comprendere i singoli contesti e di cogliere il fattore umano che risulta determinante nella scelta tra la guerra e la pace.

Ne è scaturita una vera e propria scuola di mediatori internazionali, di facilitatori di intese, di promotori di colloqui al di sopra delle parti, la cui credibilità si è via via accresciuta grazie alle armi dell'amicizia, del dialogo e della flessibilità.

Anche come presidente di un'assemblea parlamentare di un paese del G8, ritengo che la comunità internazionale debba essere grata a questa organizzazione per la sua instancabile azione di pace e debba sostenerne le iniziative umanitarie con sempre maggiore convinzione.

Penso non solo ai processi di pace e di riconciliazione, ma anche alla campagna, promossa insieme all'associazione "Nessuno tocchi Caino", che ha condotto di recente all'approvazione da parte delle Nazioni Unite della moratoria universale della pena capitale, in cui il Governo italiano è stato attore determinante.

Penso all'impegno profuso nella lotta all'AIDS in Africa grazie al programma Dream, in cui per la prima volta la prevenzione si coniuga alla terapia.

Penso infine all'appello a tutti i parlamentari italiani in vista del dibattito sulla riforma della cittadinanza, perché sia introdotto nella nostra legislazione lo jus soli per i bambini che nascono in Italia e sono destinati ad essere parte non secondaria del futuro del nostro Paese.

La Comunità di Sant'Egidio si è dunque rivelata, in oltre quarant'anni di vita, una riserva di energia morale per l'Italia, in quanto soggetto pacificatore e non pacifista in grado di affrontare con successo la nuova complessa realtà internazionale. Per questo rappresenta un patrimonio spirituale del nostro essere testimoni di una umanità che non rinuncia, nonostante tutto, a credere di poter essere migliore.