Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

19/05/2010

Montecitorio, Sala del Mappamondo - Presentazione del libro “Per ragionare” di Mario Capanna

La Camera dei deputati è lieta di ospitare la presentazione del libro di Mario Capanna, "Per ragionare", organizzata con la collaborazione della Fondazione per i Diritti genetici.

Saluto l'autore unitamente ai relatori, Emilio Carelli e Giorgio Ruffolo, e a tutti i presenti.

Desidero iniziare ricordando che la discussione è il sale della democrazia, anche e soprattutto quando le opinioni non coincidono. E' la diversità di idee che fa crescere il dibattito. Bisogna guardarsi dall'unifomità, dal conformismo o, peggio ancora, dal dogmatismo. In una società democratica la ragione non deve mai addormentarsi, né rinunciare a interrogarsi e a interrogare. In caso contrario, la cultura politica non cresce e non evolve.

Diverse proposte contenute nel volume non le condivido. Ma devo dare atto all'autore di proporre al dibattito delle idee stimolanti, interessanti ed espresse con uno stile vivace, schietto, diretto, che arriva subito al cuore dei problemi.

Mario Capanna pone una importante questione fin dalla prima pagina. E' laddove descrive l'odierno clima culturale-spirituale con queste parole: «Stiamo subendo un pericoloso arretramento culturale, etico e politico: più che interrogarsi e riflettere prevalgono il tifo e la delega, l'apatia ha soppiantato la partecipazione consapevole, e così la democrazia diviene esangue».

E' una rappresentazione a tinte forti, ma non c'è dubbio che pone un problema reale. Da molto tempo si registra infatti un abbassamento di tono nel dibattito pubblico.

Personalmente non parlerei però di "arretramento" quanto piuttosto di stasi o, se preferite, di attesa, prodotta dalle odierne difficoltà nel trovare ampie, convincenti e coinvolgenti soluzioni ai grandi fenomeni, molti dei quali nuovi, che stanno cambiando la vita sociale: dall'instabilità dei mercati finanziari (che si ripercuote sull'economia reale e sul tenore di vita di milioni di persone) alle crescenti preoccupazioni ecologiche e ambientali, alle incertezze sul futuro della nostra società e soprattutto delle giovani generazioni.

A queste preoccupazioni, che sono comuni a tanti Paesi, potremmo aggiungere, per quello che in particolare riguarda l'Italia, una crescente sfiducia nella politica e nella sua capacità di costruire il futuro, come testimoniato dall'aumento dell'astensionismo.

Però credo anche che il desiderio di cambiamento rimanga altissimo. Ed è un desiderio che si esprime nei grandi segnali di vitalità che arrivano dalla società.

Gli italiani possono talvolta apparire sfiduciati, ma ciò non ci autorizza ad affermare che siano anche rassegnati. Come ha rilevato Giuseppe De Rita, citato non a caso da Capanna nel libro, il nostro Paese appare impensierito dalla crisi economica, ma l'incertezza, secondo il presidente del Censis, può «convertirsi in una necessaria metamorfosi».

C'è tanta preoccupazione, ma c'è anche tanta speranza.

Spetta alle forze culturali e politiche fornire risposte convincenti a queste attese, nella consapevolezza che non esistono ricette belle e pronte e che le trasformazioni in atto richiedono un deciso salto di qualità in primo luogo di carattere culturale. Un salto che naturalmente si deve tradurre in interventi tempestivi ed efficaci.

L'autore richiama l'attenzione su diversi, grandi problemi, come i mutamenti climatici e le grandi sperequazioni di reddito che sono cresciute nel mondo durante gli ultimi anni. Capanna ricorda i dati Onu secondo i quali l'85 per cento della ricchezza mondiale è detenuta dal 10 per cento della popolazione.

Una grande preoccupazione deriva oggi dal peso sempre più preminente assunto dalla speculazione finanziaria rispetto all'economia reale. «Dei miliardi di dollari e di euro -scrive Capanna - che vengono movimentati ogni giorno nel mondo, ben il 95 per cento è impiegato in speculazioni e arbitraggi nell'immenso gioco di fluttuazioni dei cambi e dei differenziali dei tassi d'interesse; solo il 5 per cento riguarda scambi commerciali e transazioni economiche, come materie prime, cibo, medicine». Le possiamo valutare come vogliamo, ma le cifre rimangono cifre e pongono problemi non eludibili a governi, Stati, parlamenti e organizzazioni internazionali.

La causa principale di questi problemi è indicata da Capanna in quella che egli chiama la «dittatura globale del profitto». In alternativa propone la «produzione e il commercio equi e solidali», basati sul criterio dell'«onesto guadagno», che secondo l'autore rappresenta il «contrario del profitto». Capanna fa un riferimento anche alla «teoria della decrescita» precisando che «decrescita non significa andare indietro ma andare avanti verso un progresso capace di soddisfare i pochi, veri bisogni che abbiamo in sintonia con le risorse non illimitate della Terra».

C'è materia per un lunghissimo, e sicuramente appassionante, dibattito economico e politico.

A taluni potrebbe apparire esercizio meramente accademico interrogarsi sulle alternative al modello economico della globalizzazione in questo periodo di emergenza finanziaria e mentre si discute sulle misure da prendere in sede comunitaria per mettere al riparo gli Stati dell'euro dall'instabilità dei mercati. Personalmente credo che concentrare lo sguardo solo sul presente non serva a risolvere i problemi di fondo, che, se irrisolti, si ripresentano sempre, prima o poi.

Non sono però d'accordo con l'autore quando indica nella logica del profitto l'origine dei mali che affliggono l'economia e la società della globalizzazione. Nonostante goda generalmente di una fama non eccelsa, il profitto rimane pur sempre il motore principale dello sviluppo, almeno in una società di mercato.

Semmai ritengo necessario operare chiare distinzioni concettuali. Perché, un conto è il profitto che viene dalla speculazione finanziaria, un conto è il profitto prodotto dall'attività industriale. Ed è opportuno anche ricordare che non tutti gli investitori sul mercato finanziario sono necessariamente degli speculatori. Ci sono ad esempio gli investitori che operano sul lungo termine e che puntano su rendimenti significativi e su prospettive solide. E ci sono invece investitori che spostano capitali enormi nel breve periodo puntando su rendimenti più immediati e più elevati. Ed è proprio in questo caso che si sprigionano le tendenze speculative più forti e arrivano i rischi più gravi.

Né dobbiamo dimenticare che, senza l'accumulazione del capitale finanziario, non ci sarebbe liquidità per il sistema bancario e quindi neanche credito per le attività d'impresa nell'economia reale.

Il problema è quindi quello, non di superare il capitalismo, ma di ristabilire quegli equilibri saltati negli ultimi dieci-quindici anni con l'ipertrofia della finanza e con le varie anomalie che si sono prodotte nel sistema; non ultima quella che ha consentito a diverse banche americane di concedere mutui a privati cittadini trasferendone il rischio a terzi (spesso ignari) attraverso nuovi e sofisticati prodotti finanziari.

In sostanza, ritengo che la grande questione sia quella delle regole da ridefinire in una società di mercato. Occorre avere ben chiaro che l'uscita dalla crisi ci deve portare a un sistema che permetta alla politica di recuperare stabilmente il suo ruolo di indirizzo e di guida della società, senza ricadere negli errori dirigistici del passato.

E' questa la sfida che vede oggi impegnati i governi del G-20 nella ricerca dei legal standard che possano restituire solidità alle economie e agli Stati nazionali.

Ed è questa la stessa sfida intrapresa dal presidente Obama nello spingere la comunità degli affari di Wall Street a collaborare per stabilizzare l'attività finanziaria e tutelare i risparmiatori.

E va ribadito che la necessità di uscire dalla crisi deve essere vista anche come un'opportunità per una seria opera di risanamento e di riforma per quei Paesi, come l'Italia, che vedono ridotte le loro pur notevoli potenzialità di crescita dalla permanenza di handicap strutturali e di sistema: gli sprechi della pubblica amministrazione, le ampie sacche di inefficienza della burocrazia, l'abnorme livello dell'evasione fiscale. Si calcola ad esempio che le risorse sottratte annualmente allo Stato italiano dagli evasori ammontino a circa 120 miliardi di euro. E' certamente impensabile recuperare un cifra tanto elevata, però sarebbe certamente possibile un piano di recupero di risorse, anche solo parziale, nel giro di qualche anno. E ciò permetterebbe di alleggerire il carico fiscale sulle famiglie, sui lavoratori e sulle imprese, fattore indispensabile per contribuire ad elevare la competitività del sistema.

Non voglio comunque sottrarmi alle questione posta da Capanna quando indica la produzione e il commercio "equi e solidali" come alternativa possibile al modello capitalistico. Ritengo che l'affermazione di un'economia, per così dire, "parallela", all'insegna dell'equità e della solidarietà, vada senza dubbio favorita perché contribuirebbe a sottrarre molte persone dalla povertà e costituirebbe un fattore di umanizzazione della società.

Che la produzione e il commercio "equi e solidali" possano però rappresentare una credibile alternativa al sistema liberalcapitalista è ipotesi che mi suscita più di qualche dubbio, per usare una espressione diplomatica. E questo per il semplicissimo motivo che, nell'economia moderna, l'egoismo rimane uno stimolo per la creazione di ricchezza assai più forte della solidarietà. Il "miracolo", se lo vogliamo chiamare così, dell'economia di mercato è proprio quello di indirizzare a fini socialmente profittevoli l'egoismo dei singoli.

Per comprendere il meccanismo rimane insuperabile, anche dopo due secoli e mezzo, una celebre massima di Adam Smith: «Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse». L'economia non ha per scopo di rendere la società più giusta, umana e solidale. A ciò provvedono gli Stati, le associazioni e le Chiese. A ciò dovrebbe tendere la politica.

L'ordine sociale è un ordine spontaneo ed è normalmente il risultato di un equilibrio tra le forze dell'etica, della politica e dell'economia. Un equilibrio certamente instabile, ma proprio per questo è necessaria la politica. Essa deve intervenire con la sua autorità quando l'equilibrio si rompe e il bene comune è seriamente minacciato.

Il libro di Capanna contiene tanti altri stimoli su cui mi piacerebbe soffermarmi. Ma non voglio rubare tempo ai relatori.

Un punto però ci tengo a sottolinearlo. E' l'omaggio - che personalmente mi ha colpito - che l'autore rende alla figura di Jan Palach ricordando che nel gennaio dello scorso anno una delegazione di ex esponenti del Movimento Studentesco si recò a piazza San Venceslao, a Praga, per onorare la memoria del giovane anticomunista che si sacrificò per protestare contro l'invasione del suo Paese da parte delle truppe del Patto di Varsavia. Capanna racconta l'emozione di quel momento con queste parole: «Sentivamo nostri gli ideali di Palach perché i carri armati che invasero la Cecoslovacchia erano un monito terroristico a tutto l'Est per sottrarlo al cambiamento delle nuove speranze».

L'autore collega idealmente il movimento che si produsse nell'Europa occidentale nel 1968 con quello che nel 1989 provocò, nell'Europa orientale, la caduta del Muro di Berlino e la successiva implosione dell'impero sovietico.

E' un riconoscimento significativo. E ritengo che contribuisca alla rilettura del passato di una generazione come un passato per certi aspetti comune, al di là di ogni barriera ideologica. Barriere che indubbiamente ci furono e che produssero tante dolorose lacerazioni all'interno della gioventù italiana ed europea.

Fu una generazione che certo commise grandi errori. E in tal senso dobbiamo fare tesoro delle lezioni della storia. Ma dobbiamo anche riconoscere che quella generazione amò la libertà e credette nella politica.

Riscoprire la pulizia morale e la generosità ideale che comunque la caratterizzarono nella sua generalità è uno dei migliori servigi che possono essere resi alle nuove generazioni, ai giovani di oggi in cerca del loro futuro e della loro libertà.