Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

21/05/2010

Firenze, Università degli Studi - Conclusione del seminario Silvano Tosi sul tema "Parlamento, federalismo e unità nazionale"

Ringrazio il Vicepresidente del Senato per le sue parole e ringrazio per l'accoglienza e per l'invito il Magnifico Rettore dell'Università di Firenze, i Presidi e i docenti delle Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche, il Direttore del Centro per gli studi e le ricerche parlamentari.

Saluto il Segretario Generale della Camera, dottor Ugo Zampetti, e i giovani studiosi che hanno frequentato il seminario.

Sono lieto di essere stato chiamato a svolgere la impegnativa lezione conclusiva del seminario 2010 di studi parlamentari "Parlamento, Federalismo e Unità nazionale", che, come è stato detto, segna oltre quarant'anni di ininterrotta e feconda collaborazione tra l'Università di Firenze e le Amministrazioni parlamentari.

Come è noto, l'unificazione italiana e quella della Germania hanno rappresentato le novità più importanti negli equilibri europei della seconda metà dell'800, ma mentre la nascita dell'Impero tedesco suscitò anche timori e tensioni, l'unità d'Italia venne accompagnata da un vasto consenso dell'opinione pubblica internazionale, che in essa vide l'affermazione di principi universali quali il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza nazionale, uniti a processi di costituzionalizzazione e di parlamentarismo.

L'unità d'Italia offrì, infatti, un esempio limpido di nazionalismo liberale, proprio perché a differenza della vicenda tedesca, si caratterizzò - almeno fino al 1922 - per l'assenza di aspirazioni egemoni, circostanza, questa, che fece emergere la capacità di conciliare l'obiettivo fondamentale dell'unificazione della nostra Nazione con l'affermazione dei valori della libertà e delle garanzie costituzionali.

D'altronde, fu immediatamente chiaro a tutti che l'unità, tanto faticosamente perseguita e realizzata, era un bene troppo prezioso per essere messo a repentaglio inseguendo velleitarie ambizioni.

La società liberale non nutre, infatti, aspirazioni di dominio assoluto, non schiaccia la prospettiva individuale; permette, invece, l'avvio di una dialettica fra la cittadinanza intesa come appartenenza, cioè orientata alla costituzione di un'identità civica e affidata al complesso dei valori e di princìpi che ruotano attorno all'idea di nazione, e la cittadinanza quale complesso di diritti imputabili, in primo luogo, al cittadino e, a certe condizioni, anche allo straniero.

L'esperienza dell'unificazione del nostro Paese ha costituito, così, un punto di riferimento per tanti Paesi dell'Est (Polonia, Ungheria, Romania, Serbia, Paesi Baltici) che, proprio richiamandosi alla elaborazione teorica e all'impegno concreto dei grandi protagonisti del Risorgimento italiano, hanno rivendicato il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza nazionale.

Il più grande artefice di questa impresa, Cavour, non solo fu sempre immune da qualsiasi tentazione cesaristica, ma riconobbe nel Parlamento la principale base di legittimazione della politica del Governo, affermando, in un famoso discorso alla Camera dei deputati, cito testualmente, che la "sola rappresentazione del popolo si trova in questa Camera".

All'indomani dell'unificazione d'Italia, fu poi una classe dirigente di formazione essenzialmente parlamentare, come sottolineò efficacemente Federico Chabod, a concentrare le proprie energie e le proprie risorse nello sforzo titanico di unificazione degli ordinamenti giuridici e del territorio.

In questo modo si riuscì a costruire un'unica amministrazione ed un unico esercito, a definire un sistema scolastico universitario comune e a realizzare le infrastrutture ferroviarie indispensabili per superare i vecchi confini e unire il Paese lungo l'asse Nord-Sud.

Fin da subito risultò più evidente che questa vasta opera di aggregazione e di unificazione avrebbe richiesto un impegno lungo e duraturo, in considerazione soprattutto delle forti resistenze al cambiamento e delle principali differenze esistenti tra i diversi territori.

Per queste ragioni, nel rileggere oggi le vicende che contrassegnarono il complesso processo di unificazione, non si può fare a meno di provare una fortissima emozione e una profonda gratitudine di fronte all'encomiabile opera compiuta dalle classi dirigenti postunitarie.

Gli uomini che prima condussero il Paese all'unificazione e che immediatamente dopo lo governarono seppero interpretare al meglio la funzione che è propria di una classe dirigente, vale a dire quella di delineare una strategia e di creare le condizioni per realizzarla, senza limitarsi ad assecondare gli umori dell'opinione pubblica e senza farsi inibire dallo scetticismo, senza ridursi alla mera gestione della quotidianità.

I festeggiamenti per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia offrono, pertanto, un'occasione preziosa per richiamare l'attenzione di tutti, ed in particolare dei più giovani, sul significato dell'unificazione e sulla necessità di salvaguardare questo inestimabile patrimonio di valori, combattendo tutti i fattori di disgregazione, ed in specie quelli non dichiarati e quindi, in quanto tali, ancor più pericolosi.

Non dobbiamo, però, dimenticare che l'impegno di esaltare l'unificazione è stato rinnovato, all'indomani della seconda guerra mondiale, grazie all'esperienza dell'Assemblea costituente, che riuscì a rinnovare ed a rafforzare il patto di unione nazionale tra le maggiori forze politiche, all'epoca di diversa e talora contrapposta ispirazione ideologica e cultura, ma non per questo incapaci di una profonda sintesi, anche valoriale, nel nome dell'interesse nazionale.

E infatti è proprio con la Costituzione repubblicana che l'unità nazionale è divenuta il valore fondante della forte articolazione delle autonomie territoriali.

Unità e sistema delle autonomie non sono, infatti, in contrapposizione, ma rappresentano i poli all'interno dei quali trova piena realizzazione una delle dimensioni fondamentali del disegno pluralistico della nostra democrazia.

Si deve, infatti, sempre tener presente che le caratteristiche più autentiche e più apprezzate della italianità nascono proprio dalla ricchissima pluralità di identità, di tradizioni, di città e di territori.

Questa "diversità", che rappresenta un patrimonio unico in Europa, e probabilmente nel mondo, non può essere considerata un fatto negativo, bensì un fattore di arricchimento che fa della italianità un patrimonio inimitabile, per questo è stato detto che, in epoca di globalizzazione e di competizione, l'Italia è e rimane il miglior marchio di cui dispone la nostra società.

Ma è pur vero che il nostro Paese, nel quadro europeo, è quello che tuttora presenta, al suo interno, le differenze più marcate per quanto riguarda il livello di sviluppo economico e di coesione sociale.

Proprio l'estrema varietà delle situazioni economico-sociali riscontrabili e la consapevolezza della necessità di trovare un più avanzato punto di equilibrio tra dimensione statuale, realtà locali e scenari globalizzati ci devono indurre oggi a riproporre una nuova articolazione dell'unità nazionale in forma di federalismo e di rafforzamento delle autonomie.

Siamo di fronte ad una nuova impegnativa sfida che riguarda, in primis, l'unità sostanziale del Paese. Celebriamo i 150 anni dell'unità d'Italia e, al tempo stesso, siamo chiamati a fornirne una nuova interpretazione in chiave federalista.

Federalismo oggi deve significare, innanzitutto, la riproposizione di una visione del futuro del Paese certamente nuova ma altrettanto certamente condivisa, come seppero fare i nostri antenati al momento dell'unità e i padri costituenti al momento di ricostruirla in forma democratica dopo l'immane tragedia della guerra e della guerra civile.

E' innanzitutto il Parlamento, massimo luogo della rappresentanza nazionale, ad essere chiamato a farsi carico di fondere e racchiudere questi due eventi in una comune visione.

Mi rivolgo ai giovani studiosi del seminario di studi parlamentari ai quali è dedicata questa lezione per condividere con loro l'idea che il Parlamento è, innanzitutto, il luogo dove l'unità del Paese si esprime ogni giorno, una unità che non si realizza oscurando le differenze e marginalizzando i conflitti, ma, proprio all'opposto, rendendo possibile quel libero ed ampio confronto pubblico fra diverse visioni del bene comune che è il sale della democrazia.

Come ho già detto, grazie ad una significativa coincidenza, in Parlamento si incrociano i preparativi per l'anniversario dei 150 anni di storia unitaria con l'avviato percorso di attuazione del federalismo fiscale.

"Parlamento, unità nazionale e federalismo" non è, pertanto, solo il titolo della mia lezione di oggi, ma l'imprescindibile concatenazione di concetti di cui dovrà essere permeata la vita parlamentare nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

Il federalismo può di certo configurarsi come l'assetto dei poteri più rispondente all'obiettivo di preservare e di valorizzare la diversità delle culture e delle tradizioni delle diverse Regioni.

Per alcuni studiosi, il federalismo costituirebbe addirittura l'estremo tentativo di salvaguardare l'essenza dello Stato in una fase storica in cui la sua forma esteriore tenderebbe a disperdersi; secondo altri, invece, deve essere interpretato come la modalità attraverso la quale è possibile procedere all'adeguamento dell'ordinamento istituzionale, nella consapevolezza che, nei sistemi democratici contemporanei, le società complesse non possono essere governate dall'alto, in base a regole rigidamente uniformi.

Si può, quindi, affermare che un assetto federale può offrire l'ulteriore vantaggio di promuovere un più elevato tasso di partecipazione politica (la cosiddetta "cittadinanza attiva"): la moltiplicazione dei centri di potere e la diffusione delle responsabilità di decisione politica consentirebbe, infatti, ai cittadini di esercitare più agevolmente il controllo sull'azione dalle amministrazioni locali.

Queste argomentazioni trovano sostegno, soprattutto in riferimento ai profili di carattere economico-finanziario per i quali l'utilizzo delle risorse pubbliche sarebbe più agevolmente controllabile quando vi sia una più ridotta distanza tra ente di spesa e soggetti passivi che quella spesa sono tenuti a finanziare.

Affinché ciò avvenga, e non prevalgano comportamenti opportunistici da parte dei governi territoriali, tali da determinare un incremento del volume complessivo delle spese piuttosto che un innalzamento del livello di efficienza, è, tuttavia, indispensabile che si attivino alcune essenziali regole comuni, efficaci sistemi per il monitoraggio e strumenti idonei a consentire la comparazione dei comportamenti concretamente assunti, in modo tale da responsabilizzare gli amministratori locali e favorire un effettivo controllo da parte degli amministrati.

Nel caso italiano, l'evoluzione dello Stato in senso federale si colloca in uno scenario contraddistinto, sotto certi aspetti, da una grande varietà di situazioni e di livelli di sviluppo economico-sociale, e, per altri, da una articolazione dei poteri assai complessa.

Coesistono, infatti, nel nostro Paese più livelli di governo territoriale, alcuni dei quali, come i comuni, rispondenti ad antichissime tradizioni e con un forte radicamento nelle popolazioni di riferimento ed altri, come le regioni, titolari di competenze anche legislative, riconosciute direttamente dalla Costituzione.

La complessità del quadro istituzionale e l'esigenza di non assumere decisioni affrettate, suscettibili di mettere a repentaglio il patrimonio irrinunciabile dell'unità, impongono di affrontare il tema con la necessaria attenzione.

La legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che costituisce il risultato più avanzato del lavoro di aggiornamento dell'ordinamento dopo la riforma del titolo V della Costituzione, si propone di realizzare, entro un quadro coerente e non contraddittorio di regole condivise tra i diversi livelli di governo, un più stretto coordinamento tra i centri di spesa e quelli di prelievo, che dovrebbe auspicabilmente comportare una maggiore responsabilizzazione da parte degli enti nella gestione delle risorse.

A tal fine si prefigura la sostituzione del criterio della cosiddetta spesa storica con quello dei costi standard.

La volontà di risolvere in termini equilibrati il nodo essenziale della gestione e dei criteri per il riparto delle risorse finanziarie disponibili tra i diversi territori è certamente lodevole.

Ma è, altresì, evidente che, al di là dei criteri di delega indicati nella legge 42, la bontà delle scelte che verranno effettuate dipenderà dai contenuti dei singoli provvedimenti attuativi, che non possono essere elusi se si vuole davvero giungere ad un assetto efficiente e trasparente dei pubblici poteri nell'interesse dei cittadini e del pieno sviluppo economico e sociale.

In questo scenario, il Parlamento è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale, attraverso la apposita Commissione bicamerale.

Occorrerà dedicare all'esame dei decreti delegati il massimo scrupolo nella consapevolezza che sono in gioco valori fondamentali come la coesione sociale del Paese, intesa come garanzia di universalità delle prestazioni essenziali da assicurare senza discriminazioni geografiche a tutti i cittadini.

Una valutazione complessiva del lavoro sino ad ora svolto per la evoluzione in senso federale del nostro ordinamento è impresa ardua anche perché il disegno del legislatore (ordinario e costituente, per quanto concerne il titolo V) attende ancora, per una parte non secondaria, di essere concretamente attuato.

In linea generale, anche grazie allo sforzo interpretativo compiuto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, si può delineare un quadro per cui, accanto ad un disegno complessivo sul riparto di competenze legislative tra i livelli di governo (Stato e regioni, senza, tuttavia, trascurare la dimensione certo non marginale dell'Unione europea), l'ordinamento prevede e ha già sperimentato forme e strumenti operativi di coordinamento, a cominciare dalla Conferenza unificata.

Si tratta di sistemi di tipo non gerarchico che, in sostanza, non implicano l'imposizione "dall'alto" di prescrizioni di natura statuale, ma che passano attraverso una logica di cooperazione e di ricerca di accordi.

Perché un sistema così articolato e complesso possa ben funzionare e non incepparsi, ovvero non esaurirsi in dispendiose ed infinite mediazioni, è necessario che il modello assuma al suo interno la logica della sussidiarietà, sia in senso verticale sia orizzontale, e sappia fare ricorso a procedure trasparenti e possibili.

Quello della sussidiarietà è un principio dinamico la cui ispirazione di fondo consiste nell'esigenza di limitare il potere statuale preservando il pluralismo che caratterizza la società.

Questa logica può risultare decisiva per canalizzare l'iniziativa privata e dei corpi sociali per lo svolgimento di compiti di interesse generale e per improntare i rapporti tra i diversi livelli di governo in una chiave di efficienza, anziché di sovrapposizione o di conflitto.

In questa prospettiva, federalismo e principio di sussidiarietà non sono assolutamente in contrapposizione; nella sua accezione evoluta, il federalismo non implica, infatti, una ripartizione rigida e statica di competenze secondo regole giuridicamente prestabilite, bensì un criterio mobile per l'allocazione delle competenze non esclusive al livello di volta in volta più appropriato.

Si assicura, in tal modo, flessibilità al sistema, evitando di restringere entro limiti astratti e predefiniti le competenze e rendendole anzi suscettibili di adattamenti ed evoluzioni in base a criteri fattuali.

In questo scenario "mobile" il Parlamento può a ragione rivendicare una sua funzione specifica e un ruolo tutt' altro che marginale.

Il Parlamento si caratterizza, infatti, per la grande varietà delle istanze e degli interessi territoriali e politici che in esso sono rappresentati.

Rispetto ai governi, tendenzialmente più omogenei, i Parlamenti dispongono del valore aggiunto di presentare una più ampia articolazione di posizioni ed interessi.

Nel caso del federalismo, il Parlamento dovrà vigilare affinché, nella concreta attuazione dei criteri di delega, non si creino discriminazioni a discapito delle regioni più svantaggiate e con una minore capacità fiscale.

Le procedure parlamentari si stanno, non a caso, sempre di più conformando ed adeguando per valorizzare la funzione di raccordo e di coordinamento tra i diversi livelli di governance.

Non a caso, una crescente importanza assumono, nella prassi parlamentare, quelle attività istruttorie attraverso le quali il Parlamento dialoga con la società ed acquisisce utili elementi di conoscenza e di valutazione.

Il Parlamento si sta attrezzando per collocare le singole decisioni nel quadro di una logica più ampia che fa riferimento a politiche generali e complessive, in cui confluiscono le misure adottate a livello europeo con quelle proprie dello Stato e degli enti regionali e locali.

Perché un ordinamento giuridico possa dirsi tale non è, infatti, sufficiente che esso sia sovrano ed originario, ma è necessario che esso sia in grado di esprimere un sistema coerente e completo, al fine di escludere, o quanto meno di ridurre, antinomie e occasioni di conflitto.

Perché ciò avvenga non basta stabilire quale autorità sia competente a decidere i conflitti.

Ancor prima, è necessario che l'ordinamento, nel suo concreto operare e nella sua fisiologica dinamica, individui le sedi e le procedure per prevenire le tensioni e per ricondurre i processi decisionali in una logica virtuosa che preservi la coesione sociale e, quindi, la stessa unità della Nazione.

Del resto, come ha detto di recente il Capo dello Stato, in occasione di un convegno celebrativo del 60° anniversario della Costituzione italiana, «non c'è alternativa al crescere insieme, Nord e Sud, essendo storicamente insostenibili ed obiettivamente inimmaginabili nell'Europa e nel mondo d'oggi prospettive separatiste o indipendentiste, e più semplicemente ipotesi di sviluppo autosufficiente di una parte soltanto, fosse anche la più avanzata economicamente, dell'Italia unita».