Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

03/11/2010

Roma, Palazzo Barberini - Convegno su "Storia ed attualità della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nel sessantesimo anniversario della firma"

Sono lieto di intervenire all'inaugurazione di questa giornata dedicata alla storia e all'attualità della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo a sessant'anni dalla sua firma, avvenuta a Roma nel 1950, proprio nella splendida cornice di Palazzo Barberini.

Rivolgo un saluto al Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, al Vice Presidente della Commissione europea, Antonio Tajani, al Ministro degli Affari esteri, Franco Frattini, al presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, al Rettore dell'Università "La Sapienza" di Roma, Luigi Frati, nonché al collega onorevole Luigi Vitali che presiede la delegazione parlamentare italiana presso il Consiglio d'Europa.

I fatti di queste ultime settimane ripropongono con forza all'attenzione dell'opinione pubblica e della comunità internazionale il tema della ineludibile connessione tra diritti umani e democrazia.

Mi riferisco alle reazioni al conferimento del Premio Nobel al dissidente cinese Liu Xiaobo e del Premio Sacharov al dissidente cubano Farinas. Mi riferisco anche alle resistenze che incontra la moratoria universale delle esecuzioni capitali, rese ancor più evidenti dalla condanna a morte di Tareq Aziz e dalla annunciata esecuzione della donna iraniana Sakineh. Né posso omettere di ricordare le iniziative contro la lapidazione, pratica disumana ancora in vigore in alcuni paesi islamici.

Guardando a quello che accade ancora in troppe parti del mondo, dobbiamo con rammarico constatare che il diritto alla vita e la dignità della persona non sono riconosciuti dunque come valori assoluti e indiscussi.

E' vittima al riguardo di un fondamentale malinteso chi, ad esempio, vota contro o si astiene sull'abolizione della pena di morte invocando l'autorità statuale. In tali casi, lo Stato stesso viene inteso in modo erroneo, cioè come entità che si autogiustifica, laddove esso va invece considerato come strumento per il conseguimento del benessere dei cittadini nella salvaguardia dei valori fondamentali dell'uomo.

L'esercizio di qualsiasi autorità deve insomma arrestarsi sulla soglia della dignità della persona.

In tema di diritti umani, va poi confutato un ulteriore, erroneo convincimento, che scaturisce da una sorta di relativismo etico e da un malinteso realismo politico-economico. E cioè che, in taluni Paesi di recente industrializzazione, la puntuale tutela dei diritti della persona rappresenterebbe un fattore di freno alla crescita.

Sulla base di questi argomenti pretestuosi si accantonano con troppa disinvoltura riforme democratiche o la lotta a fenomeni altamente lesivi della dignità umana senza tenere nel giusto conto che oggi non è la grandezza economica intesa in senso quantitativo a dare legittimità e prestigio politico ad un Paese ma innanzitutto la tutela della dignità dell'uomo.

In ogni caso, non possiamo affermare che esista vera prosperità, vera crescita e vero progresso laddove, per le persone, non vi sia né la libertà di espressione né la libertà dall'oppressione.

Non si tratta di una petizione di principio derivante dalla necessità di rivendicare su tale terreno una presunta superiorità eurocentrica, che ci deriverebbe dall'essere cittadini di Paesi firmatari di nobili documenti come la Convenzione del '50. Si tratta di una presa d'atto degli effetti irreversibili del processo di globalizzazione e dei mutamenti di sensibilità in atto in tutta la società globale, principalmente grazie alla diffusione dell'informazione via web, per cui la percezione sullo stato di salute dei diritti umani diventa sempre più omogenea, da Roma a Kandahar, da Pechino e Teheran a Washington.

E' la ragione per cui non basta più proclamare il rispetto dei diritti umani. Ciò che conta è disporre di meccanismi efficaci di verifica, cui gli Stati spontaneamente aderiscano anche per timore degli effetti negativi derivanti da comprovate violazioni per la loro credibilità e legittimità internazionale.

In questo contesto, si conferma lo straordinario valore della Convenzione europea, che rappresenta a tutt'oggi il sistema di tutela dei diritti umani più efficace ed incisivo tra quelli elaborati dalla comunità internazionale. E' quindi necessario valorizzarne le potenzialità e affrontarne con coraggio le criticità, per garantire che la Convenzione rappresenti anche nel futuro un grande fattore di stimolo verso il miglioramento della prestazione degli Stati nazionali in tema di diritti umani.

Riferendoci alla storia, sono note le resistenze che gli Stati europei opposero alla trasposizione nel diritto positivo dei diritti naturali dell'uomo. Non fu rapido il passaggio - al quale in Italia contribuì Pasquale Stanislao Mancini con l'affermazione del principio di nazionalità come fondamento del diritto delle genti - dalla visione incentrata sul trattamento umanitario dello straniero e sull'idea che solo gli Stati fossero soggetti del diritto internazionale, a quella fondata sulla persona umana in quanto tale.

Fu solo dopo l'immane trauma della Seconda guerra mondiale e dopo la dolorosa esperienza delle aberrazioni causate da regimi totalitari indifferenti alla dignità della persona, che la tutela dei diritti umani poté essere posta a fondamento delle Nazioni civili. Questo decisivo passaggio storico fu solennemente sancito dalla Carta dell'Onu del 1948 e dall'impegno assunto dagli Stati che la sottoscrissero.

In Europa l'azione per la tutela dei diritti fu ancora più specifica e si sostanziò nell'avvio del processo di integrazione economica del Continente supportato, a rafforzamento della ritrovata democrazia, dall'azione del Consiglio d'Europa, istituzione pensata da Churchill come la "nuova famiglia d'Europa" fondata sui tre pilastri dei diritti umani, della preminenza del diritto e dei principi di democrazia.

Alcuni accorgimenti, innanzitutto la previsione di un meccanismo di gradualità e del principio di sussidiarietà, consentirono di pervenire, dopo soli due anni dalla Dichiarazione del 1948 alla firma della Convenzione europea e, nel 1959, all'istituzione della Corte europea dei diritti dell'uomo. Tuttavia, solo nel 1998, con l'adozione del Protocollo n. 11, il sistema si poté dire compiuto, in quanto i 47 Stati membri acconsentirono ad assegnare alla Corte la funzione di filtro dei ricorsi, a sottrarre al Comitato dei ministri ogni potere di natura giudiziaria, a dare a ogni individuo la facoltà di ricorso e ad accordare ai ricorrenti la possibilità di partecipare a pieno titolo ai procedimenti.

Ciò comportò l'affermazione di una grande novità giuridica e politica: l'equiparazione tra i due soggetti contendenti, lo Stato, da una parte, e l'individuo dall'altra. Nel sistema elaborato dalla Convenzione il rapporto di parità tra lo Stato e l'individuo è mediato dai diritti e dalle libertà fondamentali. E' una concezione che non ha eguali in consessi pur rilevantissimi come il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani o il Comitato europeo contro la tortura.

L'unicità di questo modello deriva anche dal suo essere fondato sull'impianto della Convenzione che trova immediata risposta attuativa nella Corte quale organo giurisdizionale dotato di poteri di accertamento dei fatti e di delibazione di sentenze giuridicamente vincolanti.

In questo assetto appare evidente che il futuro della Convenzione è strettamente condizionato a quello della Corte, la cui funzionalità è messa in pericolo dalla crescita esponenziale dei ricorsi, passati dai 404 del 1981 ai 4750 nel 1997, fino ai 120 mila attualmente pendenti.

Certo, anche l'Italia contribuisce a questi numeri, perchè è tra i Paesi che registrano un ampio contenzioso a Strasburgo. Anche per questo la Presidenza della Camera, a partire dalla XIV legislatura, ha mostrato particolare attenzione alla giurisprudenza della Corte europea, esprimendo indirizzi affinché, nell'istruttoria legislativa delle Commissioni parlamentari, sia valutata la compatibilità dei progetti di legge con il diritto della Convenzione come interpretato dalla Corte europea. In relazione a tali indirizzi è stato istituito presso la Camera un Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte di Strasburgo le cui pronunce hanno spesso un forte impatto politico e sociale.

L'entrata in vigore dal 1° giugno 2010 del Protocollo n. 14 consentirà un incremento della capacità decisionale della Corte grazie a disposizioni come quelle che consentono un effettivo filtraggio dei ricorsi manifestamente infondati, l'introduzione di un nuovo criterio di ammissibilità e diverse sedi decisionali per i ricorsi meno complessi.

In ogni caso, appare adesso essenziale dare attuazione alle determinazioni raggiunte dalla Conferenza sul futuro della CEDU, svoltasi in febbraio ad Interlaeken su iniziativa della Presidenza svizzera, e al relativo Piano d'azione rivolto ad un ulteriore rafforzamento della funzione di filtro e all'applicazione del criterio della sussidiarietà.

In particolare, è essenziale che la Corte non rappresenti un ideale quarto grado di giudizio, conservando il suo ruolo di giudice sull'attuazione della Convenzione e applicando in modo rigoroso il principio di derivazione giurisprudenziale sul giusto apprezzamento ogni qualvolta essa sia chiamata in causa su controversie che riguardano in modo diretto culture e sensibilità nazionali.

Occorre inoltre preservare l'univocità della giurisprudenza della Corte europea evitando modelli organizzativi troppo articolati o che pregiudichino l'indipendenza dei giudici non vincolati ad oggi in alcun modo allo Stato di appartenenza.

Tali requisiti appaiono essenziali tenuto conto che la Convenzione rappresenta ormai un punto di riferimento per gli organi dell'Unione europea: la Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado in primis, e, con il perfezionamento delle procedure di adesione dell'Unione europea alla CEDU, le stesse istituzioni comunitarie, inclusa la Corte di Lussemburgo, potranno essere convenute in giudizio a Strasburgo.

Nell'auspicio che dai lavori di oggi possano emergere spunti concreti per compiere progressi su tali delicate questioni, voglio concludere con un bell'aforisma. Albert Camus definì la storia "null'altro che lo sforzo disperato degli uomini di dar corpo ai più chiaroveggenti fra i loro sogni." Nel nostro caso il sogno è la tutela universale dei diritti e delle libertà fondamentali dell'uomo, un sogno alla cui realizzazione il Consiglio d'Europa ha storicamente dato un contributo imprescindibile.