Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

23/11/2010

Latina, Università degli Studi - Lectio magistralis sul tema "L'economia locale nell'era della globalizzazione"

Magnifico Rettore dell'Università "La Sapienza" di Roma, Signor Preside della Facoltà di Economia e Commercio, Illustri Professori, Autorità, Signore e Signori, Cari studenti!

"Globale" e "locale" sono i due termini intorno ai quali negli ultimi anni si sono misurati studiosi ed esperti delle diverse scienze sociali. Queste definizioni, tendenzialmente antitetiche, hanno alimentato, quasi dappertutto, un vivace, e non sempre sereno, confronto politico e sociale.

In linea di massima, l'approccio prevalente tende ad esaltare il valore della dimensione locale come antidoto all'impetuosa e, almeno in apparenza, inarrestabile pressione esercitata dal fenomeno della globalizzazione.

Questo è quanto sostengono sia i movimenti che affondano le loro radici nelle ideologie anticapitalistiche, e che trovano ampio seguito soprattutto nei paesi in via di sviluppo (si pensi, in primo luogo, al Sudamerica), sia quelli a matrice "populista".

Se, nel primo caso, la globalizzazione incarna la forma più evoluta del carattere intrinsecamente imperialista del capitalismo maturo, nel secondo caso, invece, emergono diversi elementi di interesse soprattutto per chi si proponga di comprendere ed interpretare gli orientamenti dell'opinione pubblica, presupposto indispensabile per svolgere un ruolo attivo nel sistema politico-democratico.

In altri termini, l'orgogliosa rivendicazione del valore del localismo costituisce il tratto più tipico del "populismo" contemporaneo. Al riguardo, appare esemplare il caso degli Stati Uniti d'America dove il culto del particolarismo territoriale costituisce il più forte elemento cui fanno ricorso le forze conservatrici, non direttamente riconducibili alla matrice religiosa, per contrastare il predominio delle elite economico-sociali concentrate nelle grandi città e soprattutto attive nel settore terziario.

In questo caso, il localismo coincide con la rivendicazione del carattere virtuoso e "sano" dell'economia reale, prevalentemente agricola o tutt'al più industriale, comunque saldamente ancorata, rispetto a quella finanziaria, alle tradizionali vocazioni dei diversi territori.

D'altronde, anche nel nostro Paese, il localismo ha costituito il terreno fertile su cui ha costruito la sua "fortuna" un movimento politico. Ma, in questo caso, il localismo ha assunto una dimensione quasi "mitica", trasfigurando e distorcendo l'esperienza concreta di una dimensione locale che, in realtà, presenta evidenti tratti di artificiosità, in quanto riferita ad una macroregione che, pur rappresentata in termini omogenei, ha, al suo interno, fortissime differenze.

La presunta omogeneità è strumentale all'obiettivo di raffigurare questa realtà territoriale come una sorta di fortino assediato dalle pretese irragionevoli della restante parte del Paese e, allo stesso tempo, da quelli che vengono considerati come "nemici" costituiti, vale a dire i concorrenti sleali che operano nei mercati internazionali.

Poiché stiamo parlando di fenomeni di massa estremamente complessi, è necessario evitare atteggiamenti pregiudizialmente critici e denigratori e sforzarsi, invece, di cogliere i fattori che ne sono all'origine. Soltanto in questo modo si potranno individuare possibili risposte a problemi oggettivi e concreti, senza cadere nella trappola della sterile strumentalizzazione di tipo ansiogeno.

E' innegabile, infatti, che la globalizzazione presenta alcuni aspetti che possiamo definire "inquietanti", ma non si deve, però, commettere l'errore di ignorare quelli positivi.

L'economia globale ha imposto delle logiche nuove ed ha innescato delle dinamiche sociali fortissime che, per i soggetti politico-istituzionali, sono sempre più difficili da governare soprattutto con gli strumenti tradizionali, dal momento che esse (le dinamiche) hanno generato un impressionante processo di redistribuzione delle funzioni e della ricchezza.

Il centro propulsivo dello sviluppo economico e dell'attività industriale si è trasferito dal triangolo "Europa - Stati Uniti -Giappone", affermatosi nel secondo dopoguerra, ai cosiddetti paesi emergenti (Cina, India e Brasile in primo luogo).

L'aspetto più evidente della globalizzazione sta proprio nella dimensione economica e aziendale, che si configura soprattutto come un potentissimo fattore di ricollocazione geografica dei fattori produttivi, delle fabbriche, degli uffici e dei servizi: ormai le grandi multinazionali decentrano quote crescenti della propria produzione in paesi diversi dallo Stato di origine.

Si diffondono "export processing zones", vale a dire "zone a regime tariffario e fiscale agevolato" che permettono alle aziende di esportare, per ulteriori lavorazioni, prodotti parzialmente finiti in paesi con bassi salari, per poi reimportarli nel paese di origine senza tariffe.

Si assiste al trasferimento all'estero non solo del lavoro manifatturiero tradizionale, ma anche del lavoro impiegatizio, come testimoniano le cosiddette "clerical factories", stabilitesi in molti paesi dell'Estremo Oriente.

Queste nuove forme di "nomadismo" dell'economia globale provocano una sorta di destrutturazione dell'economia e delle forme organizzative collaudate delle grandi aziende.

Le multinazionali erano in passato "come piramidi costruite per durare nei secoli". Oggi, per citare l'economista giapponese Kenichi Ohmae, "assomigliano piuttosto a tende da piantare, elevare in fretta, ma facilmente abbattibili". In questo processo, i confini non hanno più ruolo e le imprese hanno patria ovunque, emancipandosi dai vincoli dello spazio.

Ma è soprattutto il fattore capitale a conoscere un incessante processo di accelerazione della mobilità, creando i presupposti per una "volatilità" che non è più contingente, bensì strutturale.

Si è, in altre parole, registrata una crescita impetuosa della produzione di massa, creando una omologazione dei prodotti e un abbattimento drastico dei costi di produzione e, allo stesso tempo, una mobilità dei capitali motivata essenzialmente da finalità di speculazione o, comunque, di investimento a breve termine.

Ne è derivato, nei paesi ad economie mature, un effetto di spiazzamento che ha generato, oltre che un rallentamento strutturale dei tassi di crescita, un aumento della precarietà e dell'incertezza sulle prospettive future, in primo luogo a scapito delle generazioni più giovani.

Se poi si considera che anche altri fenomeni - dalla minaccia terroristica all'internazionalizzazione delle organizzazioni criminali, alla gestione dei flussi immigratori - hanno assunto le logiche, le tecniche e le modalità proprie della globalizzazione, non è difficile comprendere le ragioni per cui la globalizzazione stessa, quasi sempre, è vista con sospetto, allarme e preoccupazione.

In verità, in questo modo, si finiscono per trascurare gli innegabili profili positivi che la globalizzazione presenta quali, ad esempio: 1) la riduzione delle barriere alla circolazione di beni e fattori produttivi per il costante miglioramento delle tecniche di trasporto e delle vie di comunicazione; 2) lo sviluppo della "information technology", con la disponibilità di informazioni in tempo reale; 3) la liberalizzazione dei flussi commerciali e degli investimenti internazionali, grazie agli interventi crescenti dell'Uruguay Round e del GATT, con l'ampliamento delle opportunità di sviluppo per paesi in precedenza esclusi dai processi economici mondiali; 4) le privatizzazioni e i processi di deregulation, che hanno creato nuove opportunità per gli investimenti diretti all'estero.

Se si vuole essere realisti e concreti, senza tuttavia rinunciare all'ambizione di comprendere i processi in atto e di concorrere alla loro gestione, occorre evitare l'approccio catastrofista di chi, limitandosi a constatare che i problemi da affrontare hanno dimensioni troppo ampie, finisce per accettare l'inerzia, ma occorre anche sottrarsi alla pretesa velleitaria di poter governare interamente le dinamiche innescate dalla globalizzazione.

I margini di intervento, a disposizione delle istituzioni e dei protagonisti della politica, sono oggettivamente più ridotti che in passato. Cionondimeno, vi è sicuramente lo spazio per esercitare una funzione di contenimento, ovvero di correzione di alcune dinamiche, a condizione che si lavori per un radicale aggiornamento delle logiche e degli strumenti, ormai logori, per calibrare meglio le risposte operative agli obiettivi che si intendono perseguire.

Come ci spiega molto bene la sociologa ed economista statunitense Saskia Sassen, è in atto un prodigioso "processo di denazionalizzazione del territorio", dal momento che sempre più si diffondono nuovi strumenti giuridici, come l'arbitrato commerciale internazionale, che superano ormai le singole legislazioni giuridiche nazionali, fondando le controversie commerciali tra operatori economici globali su soluzioni di tipo prevalentemente privato, proprio per evitare gli elevati costi connessi alla difficile armonizzazione delle normative dei diversi Stati.

Si tratta, quindi, di sfruttare i vantaggi offerti dalla cooperazione a carattere transnazionale per consentire alla politica di assumere dimensioni di scala paragonabili a quelle dei principali problemi da fronteggiare.

Le opportunità aperte negli ultimi anni, dai vertici mondiali ed europei, devono essere esplorate e sfruttate fino in fondo, coinvolgendo, a diversi livelli, il maggior numero possibile di attori, così da dare una prospettiva positiva alle generazioni attuali e, ancor più, a quelle future.

Questa impostazione, autorevolmente sostenuta dal sociologo tedesco Ulrich Beck, può paradossalmente costituire l'occasione più importante per rivitalizzare la funzione degli Stati nazionali, ciascuno dei quali, considerato isolatamente, sembra inevitabilmente destinato ad un progressivo ridimensionamento del proprio ruolo.

Naturalmente, non si prospetta la rinuncia alle prerogative e competenze proprie dello Stato nazionale, bensì la presa d'atto, ormai ineludibile, che soltanto la condivisione di strategie comuni può fornire le capacità di intervento necessarie.

Questa esigenza è particolarmente sentita in Europa; nessuno dei paesi dell'Unione dispone della forza adeguata per fronteggiare da solo la competizione e le sfide che si presentano a livello internazionale.

Le vicende degli ultimi mesi offrono innumerevoli conferme delle molte difficoltà che il nostro continente incontrerà nel tentativo di recuperare soddisfacenti e duraturi tassi di crescita senza strategie concordate e coerenti che fissino gli obiettivi da perseguire e permettano di massimizzare i risultati sulla base delle risorse impegnabili.

Questa visione risponde all'obiettivo di rinnovare gli strumenti e le strategie della politica, ma, di per sé, essa non è in grado di soddisfare l'esigenza primaria di assicurare la piena legittimazione ai sistemi democratici e una dialettica politica vivace e propositiva.

A tale scopo, è sempre opportuno garantire una più stretta integrazione a livello sovranazionale con l'obiettivo di creare adeguati spazi per far emergere tutte le potenzialità delle diverse realtà territoriali.

Gli enti locali, in questi ultimi anni, hanno acquisito maggiore consapevolezza del ruolo fondamentale che essi possono svolgere nei processi di sviluppo non solo in ambito economico, ma anche in quello sociale, politico e culturale.

Si è aperta la possibilità di un ampio "protagonismo", con riguardo, in particolare, alla necessità di incidere sui processi e sulla qualità dello sviluppo e di intervenire nella politica internazionale attraverso la cooperazione decentrata e la cosiddetta "diplomazia dal basso".

I sistemi territoriali, soprattutto nel nostro Paese, sono laboratori sociali ed economici, di partecipazione e di sviluppo, ricchi di storia, di cultura, di soggetti, di esperienza e di innovazioni; sono gli spazi idonei dove progettare le strategie in grado di raccogliere le sfide globali del nuovo millennio.

Il progetto politico su cui lavorare dovrebbe pertanto valorizzare le risorse e le differenze locali, promuovendo un processo di "autonomia cosciente e responsabile", e rifiutando, invece, la passiva "etero direzione" delle logiche omologanti del mercato.

Lo sviluppo locale così inteso, che si identifica, in primo luogo, con la crescita delle reti civiche e del "buon governo" della società locale, non può divenire un semplice localismo chiuso e "difensivo", ma deve favorire la costruzione di reti differenziate e, allo stesso tempo, integrate alle reti globali, attraverso rapporti di cooperazione non gerarchica e non strumentale.

In tal senso, si può prospettare uno scenario definibile anche come "globalizzazione dal basso" e "solidale", la cui natura è, comunque, quella di una rete strategica (anche internazionale) tra società locali. Questa architettura politica va costruendosi partendo dall'implementazione delle attività locali, operata dal forum sociale mondiale.

Per realizzare un futuro sostenibile, fondato sulla crescita delle società locali e sulla valorizzazione dei patrimoni ambientali e culturali propri di ciascun luogo, gli enti pubblici territoriali debbono calibrare attentamente le competenze e le possibilità di intervento diretto nel governo dell'economia.

E per determinare, in forme socialmente condivise, le funzioni della governance locale, bisogna attivare nuovi meccanismi di partecipazione democratica. Solo il rafforzamento delle società locali e dei sistemi democratici di decisione può consentire, da un lato, di resistere agli effetti dominanti della globalizzazione economica e politica e, dall'altro, di aprirsi all'esterno, promuovendo reti a struttura fortemente avanzata.

Nuovi sistemi di autogoverno sono resi possibili dalla crescita del lavoro autonomo, della microimpresa, del volontariato, del lavoro sociale, delle imprese a finalità etica, solidale, ambientale, ecc.. Questa concezione moderna e "democratica" della società locale, oggi sempre più multiculturale e autogovernata, e' destinata, non soltanto a crescere e a rafforzarsi, ma a costituire, in un futuro ormai prossimo, il vero antidoto alla globalizzazione e all'instabilità economica.

Ma è soprattutto il mercato finanziario globale a caratterizzare in modo crescente i rapporti economici internazionali.

D'altronde, i mutamenti di scenario che le imprese, i governi e le istituzioni si trovano a dover affrontare sono riconducibili essenzialmente a tre fenomeni tra loro strettamente collegati: la nuova rivalità territoriale, il ruolo delle economie esterne e delle politiche locali come fattore competitivo e, infine, l'evoluzione dei sistemi di governo dell'economia a scala locale.

Accanto alla tradizionale concorrenza tra imprese e paesi, si va sempre più affermando un antagonismo tra sistemi territoriali la cui scala operativa, sicuramente inferiore a quella nazionale è, però, superiore a quella delle singole imprese o anche dell'insieme di imprese che fanno parte di una determinata regione.

Il sistema territoriale non è costituito, infatti, solo ed esclusivamente dalla produttività commerciale e industriale, ma anche dagli enti locali, dalle infrastrutture, dalle università e dai servizi che insistono su un determinato territorio.

Più che del "sistema-paese", quindi, è opportuno parlare dei "sistemi" che sono presenti all'interno di ogni nazione e che si confrontano con altri "sistemi" di paesi diversi.

La struttura di produzione dell'era "post-fordista" domina ormai la logica delle cosiddette "reti", che comprende sia l'impresa a rete, cioè la grande impresa che si organizza in modo decentrato, sia le reti di imprese (piccole e medie) tra loro strategicamente integrate.

Per effetto di questi cambiamenti organizzativi e dei più generali fenomeni di globalizzazione dell'economia, i rapporti tra imprese e territorio tendono, ormai, a mutare rapidamente: le grandi imprese, che partivano da una situazione di debolezza, possono anche diventare forti, mentre per i sistemi di piccole e medie imprese si può assistere ad una dissociazione tra imprese e territorio, in quanto non vi è più una necessaria coincidenza tra lo sviluppo delle une e lo sviluppo dell'altro.

Il sistema territoriale, pertanto, non è sempre e necessariamente caratterizzato da una continuità fisica, ma può presentare fenomeni di discontinuità, cioè una "parte" del territorio e una "parte" delle imprese possono essere in rete con altre "parti", anche molto distanti, secondo la logica del "locale-globale", di cui spesso si parla.

Si va così affermando una e propria "gara" territoriale basata sempre più sulle differenti specializzazioni e sulla capacità di costruire canali di relazione sia interni che esterni.

Quest'aspetto chiama in causa quella che possiamo definire la seconda "macro tendenza": i sistemi territoriali non competono più tra loro esclusivamente sulla base della loro struttura produttiva, ma ora, tra i diversi fattori, entrano in scena anche le strategie che gli attori locali pongono in essere per vincere la concorrenza.

Appare evidente, allora, che un sistema locale cresce e si sviluppa solo se ci sono nuove imprese e se crescono quelle esistenti, per questo sono fondamentali le strategie pubbliche e private che hanno un impatto positivo su questi temi.

In definitiva, un equilibrio tra "globale" e "locale" che sappia cogliere gli aspetti positivi di queste due tendenze riducendone i limiti, ma soprattutto i rischi, sembra non solo realizzabile, ma anzi fortemente auspicabile.

Soltanto in questo modo sarà, infatti, possibile valorizzare la ricchezza e le potenzialità dei diversi territori, sempre in una chiave che garantisca soddisfacenti possibilità di accedere ai mercati esteri, assicurando, al contempo, prospettive di investimento e di innovazione per limitare i pericoli della micro dimensione e delle produzioni fortemente caratterizzate sul piano territoriale e che contraddistinguono il sistema produttivo italiano.

Gli obiettivi di assumere come riferimento gli scenari finanziari e di fronteggiare una concorrenza più ampia non possono che rafforzare le imprese perché innescano conseguenze positive dal punto di vista della crescita dimensionale, della propensione all'innovazione, del miglioramento della qualità dei prodotti e dei rapporti con il sistema finanziario.

Non bisogna, però, dimenticare che un ruolo decisivo può essere svolto dalle banche che devono mostrare maggiore attenzione nei confronti delle specificità e delle vocazioni dei diversi territori, aiutando le imprese nei processi di riconversione e di ristrutturazione, oltre che nell'affrontare i limiti della sottocapitalizzazione e della limitatezza dimensionale.

In questa prospettiva, si può affrontare anche il problema del divario tradizionale tra Nord e Sud in una chiave "originale". Infatti, oltre ai più generali problemi di contesto (carenza di infrastrutture; scarso spirito imprenditoriale; diffusa illegalità soprattutto in alcune parti del nostro territorio; sacche di inefficienza in determinati settori della pubblica amministrazione), è indubbio che il Mezzogiorno soffra, in particolare, della difficoltà di far emergere, con la dovuta attenzione, le potenzialità specifiche delle diverse realtà territoriali.

Al riguardo, il Mezzogiorno è in grado di offrire un contributo potentissimo ad un assetto equilibrato tra la dimensione "globale" e quella "locale"; d'altronde, le "storie di successo" collegate a particolari produzioni tipiche e di alta qualità trovano concreti riscontri al Sud soprattutto per quanto concerne l'agricoltura e l'industria alimentare.

Tutto ciò fa pensare che grandi possono essere le possibilità di un turismo di tipo nuovo incentrato, in alcune importanti zone come il Salento e la Sicilia Iblea, sulle peculiari ricchezze artistiche del territorio e sull'offerta di prodotti di eccellenza per quanto riguarda la crescente domanda eno-gastronomica.

Si tratta di un positivo processo di sviluppo già in atto in alcune aree privilegiate del nostro Sud, ma è ancora un fenomeno che si manifesta per così dire "a macchia di leopardo", mentre esistono molte zone ricche di potenzialità per un turismo intelligente che può essere anche ben individuato attraverso particolari "targets".

In questo contesto, il ruolo degli enti locali è del tutto determinante: ad essi, infatti, è affidata innanzi tutto la tutela dei valori ecologici e paesaggistici delle aree di loro competenza, la qualificazione del decoro urbano e, più in generale, tutte quelle misure di manutenzione e di valorizzazione del patrimonio edilizio che rende unici molti centri del nostro meridione.

Questi sono obiettivi certamente non facili da realizzare: sarà, quindi, necessario che gli enti locali mobilitino verso questi traguardi le crescenti forze del volontariato e l'impegno dei giovani canalizzando, a tal fine, le risorse poste a disposizione anche dai fondi europei a ciò destinati.

Il nostro Paese sta attraversando un'inquietante situazione di stallo con riguardo alle molte e necessarie iniziative da assumere: questo momento difficile potrà essere superato solo attraverso la promozione di una nuova cultura che si fondi sul rispetto per l'ambiente che ci circonda e per i suoi valori.

E' questo è un obiettivo che non dobbiamo considerare ambizioso e che deve coinvolgere le energie di tutti soprattutto attraverso un'educazione collettiva in cui le scuole e le università dovranno giocare una parte fondamentale in ogni parte del nostro territorio!

L'estrema varietà delle situazioni economico-sociali riscontrabili e la consapevolezza della necessità di trovare un più avanzato punto di equilibrio tra dimensione statuale, realtà locali e scenari globalizzati richiedono peraltro una nuova articolazione dell'unità nazionale basata sul rafforzamento delle autonomie.

A tale proposito, unità e sistema delle autonomie non sono in contrapposizione, ma rappresentano i poli all'interno dei quali trova piena realizzazione una delle dimensioni fondamentali del disegno pluralistico della nostra democrazia.

Si deve, quindi, sempre tener presente che le caratteristiche più autentiche e più apprezzate dell'italianità nascono proprio dalla ricchissima pluralità di identità, di tradizioni, di città e di territori.

I festeggiamenti per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia offrono, a questo riguardo, un'irrepetibile occasione per richiamare l'attenzione sul significato dell'unificazione e sulla necessità di salvaguardare questo inestimabile patrimonio di valori, combattendo tutti i fattori di disgregazione e, specialmente, quelli non dichiarati e, pertanto, in quanto tali, ancor più pericolosi in una prospettiva di effettivo consolidamento dei nuovi assetti di potere istituzionale, da cui dipende non solo la stabilità del nostro ordinamento repubblicano, ma anche la crescita armonica e serena delle nostre future generazioni.