Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

05/05/2011

Montecitorio, Sala della Lupa – Convegno “Quando la Patria non è la terra dei padri” in occasione della pubblicazione del Rapporto di Save the Children Italia

Autorità, signore, signori!

La Camera dei deputati è lieta di ospitare la presentazione del Secondo Rapporto di Save the Children Italia dedicato alla condizione di vita dei minori stranieri nel nostro Paese.

Dei temi sollevati da questo interessante documento parleranno gli illustri relatori che ringrazio e saluto: il Presidente di Save The Childern Italia, Claudio Tesauro, il Direttore generale della stessa organizzazione, Valerio Neri, il Presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, il Preside della facoltà di Sociologia dell'Università Cattolica di Milano, Mauro Magatti.

Un saluto particolare a Noel Felix Bugingo e a Igiaba Scego, che ci offriranno la loro testimonianza sul percorso di integrazione di tanti giovani di origine straniera nella nostra società. Bugingo, di origine ruandese, lavora nella cooperazione internazionale. Scego, di origine somala, è giornalista e scrittrice.

Il Rapporto di Save The Children ci permette di valutare in tutta la sua ampiezza e profondità la grande trasformazione in atto nella nostra società per effetto delle migrazioni. Si tratta di un contributo di conoscenza significativo nella prospettiva dell'inclusione dei giovani immigrati di seconda generazione nella vita sociale, economica e politica del nostro Paese.

Un elemento su cui è importante innanzi tutto soffermarsi è l'alto incremento in pochi anni della popolazione dei minori stranieri in Italia. In sei anni il loro numero è più che raddoppiato. Erano poco più di 400 mila nel 2004, sono oltre 900 mila secondo il dato del 2010.

Una circostanza di notevole rilievo è che più della metà di questi ragazzi e di questi bambini è nata in Italia. Sono per l'esattezza 572 mila. Ciò significa, tra le altre cose, che la popolazione immigrata sostiene in modo significativo la natalità globale del nostro Paese. Lo scorso anno sono venuti al mondo 104 mila bimbi da coppie straniere, pari a quasi il 19 per cento del totale delle nascite in Italia.

E' superfluo sottolineare l'importanza di questo dato sotto il duplice profilo della crescita della nostra società e della sua fisionomia prossima ventura. Ecco perché la politica, se vuole adeguatamente assolvere al compito di preparare l'avvenire della Nazione, deve favorire la piena acquisizione della cittadinanza alla giovane generazione di nuovi italiani.

Nessuno può togliere a questi 572 mila nati in Italia il diritto di sentirsi - come effettivamente si sentono - cittadini italiani. Perché questi ragazzi e questi bambini frequentano, o si apprestano a frequentare, le nostre scuole. Perché questi ragazzi e questi bambini parlano lo stesso dialetto delle città italiane in cui abitano, tifano per le squadre di calcio locali, respirano lo stesso clima politico, culturale e sociale dei loro coetanei nati da famiglie italiane.

Ovviamente, lo stesso discorso vale anche per quegli altri ragazzi che compiono il loro percorso di formazione nelle nostre città e nelle nostre scuole pur essendo arrivati da piccoli nel nostro Paese.

Per tutti costoro l'avvenire di una nuova Italia è già cominciato. Di questa rilevante evoluzione socio culturale devono acquisire una sempre maggiore consapevolezza le Istituzioni, le forze politiche e sociali, l'opinione pubblica del Paese. Occorre rimuovere fobie ingiustificate, ritardi culturali e psicologici, cedimenti alle aberrazioni dell'etnonazionalismo che ostacolano il governo delle grandi trasformazioni sociali. Occorre superare la logica dell'emergenza e definire un progetto di società più aperta, più evolutiva e più libera.

Devono essere certamente soddisfatte fondamentali esigenze di giustizia, civiltà e umanità, ma va anche perseguito l'essenziale obiettivo della stabilità sociale. Il futuro non deve esplodere all'improvviso, senza essere stato né pensato né governato. Quando ciò accade, il futuro stesso può essere portatore di tensioni e di conflitti.

La prima risposta da dare è quella della cittadinanza: chi è nato in Italia, o chi vi ha compiuto un ciclo di studi, deve poter diventare cittadino italiano prima di compiere diciotto anni. E questo affinché la sua condizione giuridica corrisponda al sentimento del suo cuore. Affinché egli non trascorra gli anni cruciali della sua formazione umana e civile nella condizione dello straniero o, in qualche caso, dell'emarginato, del diverso.

Affinché, soprattutto, l'Italia sia da lui percepita come la comunità civile e politica nella quale trovare opportunità e diritti, ovviamente onorando doveri e garantendo impegno.

Condizione essenziale per la conquista della cittadinanza politica è la garanzia della cittadinanza sociale, che vuol dire accesso ai servizi pubblici, con particolare riferimento - visto che parliamo di giovani - al diritto allo studio.

Anche in questo caso il Rapporto di Save the Children ci offre dati di notevole interesse, che fotografano una situazione in rapida evoluzione. Sempre in riferimento al 2010, risulta che il 7 per cento della popolazione scolastica italiana è composto da figli di immigrati. E si tratta di una percentuale sicuramente destinata a crescere nei prossimi anni.

La riuscita del processo d'integrazione dipende dalla capacità della scuola di trasmettere a questi ragazzi valori e culture, garantendo adeguati percorsi di inclusione nella nostra società insieme con quelle possibilità di crescita e di affermazione cui i minori immigrati hanno diritto al pari dei giovani italiani.

E' fondamentale che il percorso formativo prosegua anche dopo la scuola dell'obbligo, in modo da consentire a questi ragazzi un completo inserimento nel nostro tessuto sociale e produttivo; e in modo da permettere anche alla comunità nazionale di avvalersi appieno delle riserve di intelligenza e creatività presenti in questa generazione di nuovi italiani.

Il possesso degli strumenti culturali è condizione essenziale per una cittadinanza matura e consapevole. Cruciale è in tal senso, accanto alla trasmissione dei saperi, anche la trasmissione dei princìpi che sono alla base della nostra Costituzione. L'integrazione non va infatti intesa in senso burocratico e formale, non è solo rispetto delle regole, poiché implica la condivisione dei valori di fondo della nostra società, innanzi tutto quelli universali della dignità e della libertà della persona.

La condivisione di valori deve andare di pari passo con la condivisione degli obiettivi di crescita comune. Va da sé che ogni progetto di inclusione deve potersi inserire nel più vasto progetto dell'Italia da costruire, l'Italia di domani, una nuova ed evolutiva idea di Nazione alla quale cominciare a lavorare fin da oggi.

Ed è essenziale in tal senso che l'insieme delle forze politiche e sociali recuperino una visione fiduciosa e dinamica dell'avvenire del Paese.

Perché la paura e la chiusura verso l'orizzonte globale vanno sempre registrati come preoccupanti segni di crisi e di decadenza, soprattutto per una civiltà, come quella italiana, storicamente vocata all'incontro delle genti e delle culture. Vale la pena ricordare che storicamente l'Italia è un paese di emigranti che si cimenta da poco con la sfida opposta, l'esperienza dell'immigrazione.

L'obiettivo deve essere quello di definire una via italiana all'integrazione innovativa e anticipatrice. Un modello che faccia tesoro delle esperienze europee e che ben si inserisca nel quadro dei valori sanciti dalla UE.

Occorre superare i limiti contenuti nei modelli di integrazione seguiti in altre società: penso in particolare all'"assimilazionismo", da una parte, e al "multiculturalismo comunitario", dall'altra.

I limiti del primo modello vengono dal fatto che non si può costringere gli immigrati di seconda generazione ad avvertire il Paese in cui sono nati o vivono come la loro Patria in senso stretto, cioè come la "terra dei padri". Potranno e dovranno percepirlo invece come la loro Patria in senso più largo, cioè civile e politico, più esattamente come la loro Nazione, che è il luogo della loro cittadinanza attiva, là dove si condividono valori , esperienze e progetti.

Il modello del "multiculturalismo comunitario" - che recentemente è stato criticato da David Cameron- rischia di produrre invece la situazione dell'autoesclusione, come nel mosaico etnico-metropolitano meglio conosciuto - nella semplificazione mediatica - come "Londonistan". Far nascere tante enclave chiuse e autoreferenziali può portare alla frantumazione del legame sociale e all'indebolimento della comunità politica.

La parola Patria e la parola Nazione devono dunque risuonare nella coscienza degli immigrati di seconda generazione - come, più in generale, nella coscienza di tutti gli italiani e di tutti gli europei - con accenti di libertà e di emancipazione, ben lontani dai toni chiusi del nazionalismo e dell'integralismo più deteriori.

Nuovi e vecchi italiani devono poter percepire, allo stesso modo , la Nazione come valore morale e ideale da testimoniare. Come progetto di libertà e prosperità da realizzare.

Tutti possono condividere queste parole scritte centoquaranta anni fa da Ernest Renan: «L'uomo - affermò lo scrittore francese - non è schiavo né della sua razza, né della sua lingua, né della sua religione, né del corso dei fiumi, né della direzione delle catene montagnose. Una grande aggregazione di uomini, sana di spirito e generosa di cuore, crea una coscienza morale che si chiama Nazione».

E' con questa idea e con questa ispirazione che possiamo costruire, tutti insieme, l'Italia di domani.