Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

09/05/2011

Montecitorio, Sala della Lupa – Convegno “Moro e la fine della Prima Repubblica”

Autorità, signore, signori!

Oggi commemoriamo Aldo Moro nel trentatreesimo anniversario della morte. Nell'onorare la figura dello statista ucciso dalla mano vile delle Brigate Rosse, rivolgiamo un deferente omaggio alla memoria degli uomini della scorta barbaramente assassinati dai terroristi nel feroce attentato di via Fani, avvenuto 55 giorni prima.

Saluto gli illustri oratori: Guido Bodrato, Enzo Carra, Pier Ferdinando Casini, Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani, Paolo Franchi, Miguel Gotor, Giuseppe Pisanu, Virginio Rognoni.

Il professor Gotor ha pubblicato in questi giorni un libro sulle carte, rinvenute nel covo brigatista di via Montenevoso a Milano, costituenti il cosiddetto memoriale di Moro e che sono oggetto da anni di discussione storica e politica.

Ritengo che il dato da cui partire sia la visione della politica di Moro, una visione evolutiva e di ampio respiro, che comprendeva la necessità di affermare i princìpi della Costituzione come valori stabilmente condivisi nella dialettica tra partiti.

Uomo di grandi aspirazioni ideali, Moro era consapevole delle difficoltà sociali, culturali e politiche che il processo di affermazione della democrazia incontrava in Italia. Da questo incontro tra idealità e realismo, che trovava in lui alti momenti di elaborazione intellettuale, nasceva la sua vocazione a interrogarsi sull'evoluzione dei processi sociali e politici nel lungo periodo.

Tra questi "pensieri lunghi" -come sono stati giustamente definiti gli orizzonti politico culturali di Moro- c'era la preoccupazione di superare la fragilità della democrazia in Italia. Tale problema assumeva sia un profilo sociale, con le ingiustizie e i ritardi presenti nel Paese, sia un profilo politico, con l'impossibilità di realizzare quell'alternanza alternanza al governo, come era regola nelle democrazie mature dell'Occidente.

Le soluzioni immaginate dallo statista si basavano sul dialogo tra le forze politiche e sul ruolo delle Assemblee rappresentative nella maturazione di un comune concetto di democrazia. Così riassunse nel 1966 lo spirito che intendeva imprimere alla sua azione politica : "Questo spirito è la volontà di collaborazione tra i partiti per rendere più sicura, più profonda e più viva la democrazia italiana. E' l'attenzione rivolta ai cittadini, ai gruppi, alle categorie, alle zone del Paese cha hanno subìto una mortificazione , che hanno registrato una inferiorità dalle quali vogliono e debbono riscattarsi".

Nella seconda metà degli anni Settanta, e attraverso vari passaggi, questa visione morotea si espresse nell'allargamento della base parlamentare di governo al Pci di Berlinguer. Per Moro si trattava di un momento propedeutico alla terza fase della democrazia in Italia, caratterizzata, nel suo progetto, non più dallo scontro ideologico, ma da una dialettica fondata sul consolidamento di una cultura democratica.

Era un processo che presupponeva l'abbandono della logica dell'alternativa tra sistemi politici e l'accoglimento della logica dell'alternanza tra culture di governo. E ciò nel quadro di una democrazia compiuta.

Quella politica è stata oggetto - e continua a essere oggetto, in sede storiografica - di discussioni accese, non potrebbe essere altrimenti, anche in considerazione delle asimmetrie tra l'idea della terza fase elaborata da Moro e la prospettiva del compromesso storico pensata da Berlinguer. Si può inoltre osservare che, alla democrazia dell'alternanza, l'Italia è arrivata solo dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine dell'epoca delle ideologie.

Queste considerazioni non devono portare a ridurre l'ampiezza e la profondità del disegno moroteo nella promozione di una più alta e matura civiltà politica in Italia.

La lezione di Moro è preziosa anche per l'Italia di oggi.

Lo è perché ci ricorda che il confronto tra soggetti politici portatori di istanze e storie diverse, deve sempre avvenire sulla base di valori ben radicati e soprattutto solidamente condivisi.

Lo è perché indica nel progresso della democrazia un traguardo comune a cui tutti devono tendere. E si tratta di un insegnamento quanto mai importante per un'Italia, come quella odierna, che ha bisogno di ritrovare una forte coesione nazionale, una rinnovata spinta riformatrice.

L'insegnamento di Moro è prezioso anche per l'umanesimo cristiano che ispirava la sua visione politica e che gli permise di instaurare un dialogo fecondo con la cultura laica. Nella sua visione giuridica e filosofica, la dialettica tra la "legge naturale" e il diritto positivo rappresentava un alimento primario per la vita democratica, in antitesi a ogni integralismo e ideologismo.

L'obiettivo comune di laici e cattolici doveva essere quello di ricostruire la Res Publica sulle fondamenta dei diritti della persona. "Vi sono nell'esperienza cristiana -scrisse Moro al tempo della Costituente - motivi schiettamente liberali, perché cristiana è l'ansia dell'essenziale, cristiano il rispetto religioso per tutte le espressioni della vita , guardate come manifestazioni irriducibili della persona". Di qui il suo richiamo -cito sempre testualmente- "alla responsabilità dei cristiani di fronte alle urgenze dell'ora, alla necessità di superare chiusure e irrigidimenti che impediscono di prendere la propria parte nel grande sforzo di rinnovamento che i tempi eccezionali sollecitano".

Possiamo in un certo senso dire che, per Moro, i tempi non hanno mai smesso di essere "eccezionali": la sua idea aperta ed inclusiva delle Istituzioni non contemplava momenti di sosta nell'opera di costruzione della democrazia.

C'era, in questa costante ricerca di un raccordo sempre più stretto tra lo Stato e la società, l'ansia realizzatrice della generazione che aveva costruito la Repubblica.

C'era anche una forte e convinta idea sociale della democrazia, che non è solo "regime di libertà ma di umanità e di giustizia" , come scrisse sulla rivista "Studium" alla fine degli anni Quaranta. C'era inoltre l'obiettivo della "piena immissione delle masse nella vita dello Stato", come affermò al Congresso della Dc nel 1959.

Ma c'era soprattutto l'ascolto attento dei movimenti in atto nel Paese, che aveva come necessario corollario il timore di uno scollamento tra le prospettive della politica e le aspirazioni dei cittadini.

Segnali di un distacco crescente li avvertì già verso la metà degli anni Settanta. Così osservò ad esempio nel 1974: "C'è una sproporzione, una disarmonia, una incoerenza fra società civile, ricca di molteplici espressioni ed articolazioni, ed una vita politica stanca, una vita politica ridotta a sintesi inadeguate".

Sono parole di 37 anni fa, che però si adattano molto bene anche alla vita odierna, seppur in un contesto storico fortunatamente meno tragico anche se altrettanto tumultuoso.

I trentatré anni seguiti alla morte di Moro hanno visto, in vario modo e per motivi diversi, una risposta solo parziale e insufficiente all'ansia di rinnovamento e di riforma che ha percorso - e che continua a percorrere - il Paese .

L'Italia ha raggiunto la democrazia dell'alternanza, ma con idealità affievolite - c'è l'impressione che con le ideologie siano finite anche le idealità - e con valori condivisi ancora incerti.

I mass media e i sondaggi d'opinione tendono a rappresentarci un Paese spesso spaccato. In molti casi si tratta sicuramente di un'immagine enfatizzata ed esagerata, ma tali rappresentazioni segnalano comunque la necessità di elevare il tono del confronto democratico.

Il problema della disarmonia tra politica e società rimane dunque un problema aperto, che va naturalmente affrontato con la cultura e la sensibilità che sono proprie della nostra epoca.

Ma va affrontato anche con la consapevolezza storica e con la memoria del passato.

Queste parole di Moro, con le quali egli descriveva - nel dopoguerra - la sua idea dell'attività politica, mantengono intatta, dopo più di sessant'anni, la loro forza. Nell'attività politica -diceva - "ciascuno deve assolvere la sua missione nel mondo, sentendola grande sempre e creatrice di storia".

In conclusione, la democrazia moderna non può vivere solo di pragmatismo e disincanto. Le forze della cultura e della politica devono riconquistare la consapevolezza che il governo dei processi sociali ha bisogno di essere sostenuto dalle passioni e dalle idealità dei cittadini e da una visione di lungo respiro da parte della politica.

Era questa la grande preoccupazione di Moro che, a trentatré anni dalla sua scomparsa, non cessa di essere viva e attuale.