Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

12/05/2011

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione del 7° Rapporto annuale di Federculture "La cultura serve al presente"

Autorità, signore, signori!

La Camera dei deputati è lieta di ospitare la presentazione del 7° Rapporto annuale di Federculture sullo stato delle attività culturali nel nostro Paese.

Saluto e ringrazio gli illustri relatori: il Presidente di Federculture Roberto Grossi, il Presidente dell'Accademia di Brera Salvatore Carrubba, il sociologo Domenico De Masi, il Direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale presso il Ministero dei Beni culturali Mario Resca.

Questo Rapporto, nell'offrire dati di notevole interesse sulla diffusione delle idee, della conoscenza e dei prodotti d'arte nel nostro Paese, propone la riscoperta del valore sociale della cultura, nel suo essere elemento indispensabile al progresso della convivenza civile e alla crescita della vita democratica.

E' una proposta tanto condivisibile quanto necessaria. E' mia opinione infatti che la ricchezza, la prosperità, la vitalità di una Nazione non le troviamo scritte soltanto nelle pur fondamentali grandezze economiche, ma in quello che possiamo definire il suo indice di civiltà. In esso dobbiamo ricomprendere la qualità dell'ambiente e dei servizi , l'ampiezza delle iniziative sociali, il livello dell'istruzione, della formazione universitaria e della ricerca scientifica, il grado di tutela del patrimonio artistico archeologico e, appunto, lo stato di salute della cultura, visto sia sotto il profilo della diffusione delle opere presso il pubblico sia sotto quello della produzione di idee e di eventi.

Un visitatore in più di mostre, musei o siti archeologici, uno spettatore in più di spettacoli teatrali, cinematografici o musicali, un lettore in più di libri sono altrettante risorse in più per la democrazia. Allo stesso modo in cui un film in più, un libro in più, un'opera d'arte in più sono motivi di crescita della ricchezza sociale.

La coscienza di tale valore dovrebbe essere particolarmente diffusa e profonda in un Paese, come l'Italia, il cui patrimonio culturale e artistico è, in virtù della sua straordinaria ricchezza, fattore primario dell'identità nazionale.

Così scriveva, nel 1958, un fine intellettuale come Jean-Francois Revel: "Nelle più piccole città italiane, in certi villaggi che si scoprono soltanto dopo parecchi anni di soggiorno in Italia, ci sono dieci, venti monumenti, ciascuno dei quali sarebbe sufficiente altrove a fare la reputazione di una provincia, anzi, di un intero Paese".

Il problema è che, presso la classe dirigente politica e la pubblica opinione, non appare purtroppo diffusa, come dovrebbe, la consapevolezza dell'inestimabile valore civile di questa ingente ricchezza di arte, bellezza e creatività.

Gli ultimi anni hanno visto una progressiva riduzione delle risorse destinate al patrimonio e alle attività culturali. La cultura continua a essere la Cenerentola della politica, al di là dei frequenti richiami, in tanti discorsi, all'orgoglio per la nostra identità storico artistica .

Il problema è che i discorsi non riescono a tradursi in impegno fattivo e concreto.

Il Rapporto di Federculture presenta dati che fanno riflettere. Riferisce ad esempio che le risorse statali assegnate alla manutenzione e al restauro del nostro patrimonio sono passate dai 335 milioni di euro del 2004 ai 102 milioni attuali. Dunque tre volte di meno in sette anni. E tutto questo mentre l'azione corrosiva degli agenti atmosferici, dell'inquinamento e degli altri fattori di deperimento dei nostri monumenti è continuata implacabilmente.

Guardando al quadro generale, risulta che l'intero investimento pubblico nella cultura -comprensivo degli interventi di Stato, Regioni ed enti locali - è passato dai 7,5 miliardi del 2005 ai 4,8 miliardi del 2011.

Il Rapporto ci ricorda anche che la spesa pubblica per l'istruzione in rapporto al Pil è nettamente inferiore a quella dei Paesi Ocse. E' il 4,5 per cento in Italia. E' il 5,7 nella media delle economie più sviluppate del mondo.

Caso triste ed emblematico è la drastica riduzione di risorse, quasi il settanta per cento in meno nel 2011, per la Società Dante Alighieri, pur svolgendo, questo organismo, una preziosa opera di diffusione della lingua italiana nel mondo. Ed è superfluo sottolineare quanto sia essenziale, per la tutela dell'identità nazionale, la promozione della lingua.

E' dunque il momento di un risveglio civile e di una riconquista di coscienza. Deve essere evidente a tutti che la cultura è cruciale per l'avvenire dell'Italia e che il progressivo disimpegno della politica in questo campo compromette il futuro del Paese.

La crisi economica e gli obblighi di bilancio possono spiegare ma non giustificare questo impoverimento di risorse. Perché la cultura va considerata una priorità.

L'esempio ci viene dai maggiori Pesi europei: come la Germania, che quest'anno, pur a fronte di una manovra finanziaria di rilievo, non ha minimante intaccato il bilancio della cultura.

Il fatto è -come nota giustamente Grossi nel Rapporto- che le spese per la cultura non sono altrove considerate "sovvenzioni, ma investimenti per il futuro della società". In Italia sembra invece prevalere la logica dell'emergenza su quella dell'impiego strategico delle risorse.

Deve insomma diffondersi la consapevolezza che la cultura rappresenta un vantaggio competitivo per l'Italia, che non può continuare a vedere mortificate le sue grandi riserve di ingegno e creatività.

Il superamento di questa anomalia è imposto, tra le altre cose, dall'alta competitività economica internazionale, che tende, come è noto, a premiare l'innovazione, la ricerca, l'inventiva.

Non a caso, tra i fattori che riducono l'indice di competitività dell'Italia, secondo al stima annuale del World Economic Forum, figura la bassa propensione per gli investimenti nell'innovazione e nella ricerca.

I rischi di omologazione e standardizzazione del sistema globale fanno del resto crescere, per reazione, la domanda di originalità, novità, specificità, tutte qualità da sempre associate all'Italia.

Non possiamo continuare a vivere delle invenzioni e della creatività del passato. Abbiamo il dovere di rinnovare il nostro patrimonio di conoscenza e civiltà.

Vale la pena ricordare che l'importanza strategica della cultura è riconosciuta anche dall'Unione Europea che quattro anni fa ha lanciato un'Agenda per la Cultura fondata sulla promozione della diversità culturale, del dialogo interculturale e della cultura come catalizzatore della creatività. La stessa strategia di "Europa 2020", proposta lo scorso anno dalla Commissione di Bruxelles, individua le alte potenzialità di crescita presenti negli investimenti nel campo delle idee.

Va da sé che il criterio di riferimento non può essere soltanto economico. Perché la cultura è il cemento che tiene unita una società e le permette di evolvere. Lo è tanto più nell'odierna società della conoscenza, dell'informazione e della creatività. Lo è tanto più in Italia, la cui unità culturale ha preceduto e preparato lo storico e straordinario traguardo dell'unità politica che celebriamo nel Centocinquantenario.

Nel Rapporto di Federculture è espressa la speranza di un "nuovo Rinascimento", nel senso di una "rinnovata affermazione dell'uomo e dei valori umani nei vari campi: dalle arti alla vita civile".

E' una speranza da condividere pienamente. Ed è interessante ricordare - in questo anno di celebrazione dell'Unità d'Italia - che uno dei massimi esponenti della filosofia del Risorgimento, Bertrando Spaventa, invitava a guardare proprio alla tradizione rinascimentale affinché gli italiani acquistassero pienamente la coscienza di "nazione libera e uguale nella comunità delle nazioni".

Preservare e rilanciare i valori della tradizione storica non è solo omaggio al passato ma costruzione di futuro.

Ed è con questo spirito che, concordando in pieno con Federculture, formulo l'auspicio di una ritrovata centralità della cultura nella vita civile del nostro Paese.