Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

16/05/2011

Montecitorio, Sala del Mappamondo – Convegno sul tema “Antisemitismo e islamofobia. Tra ostilità e convivenza” in occasione della presentazione della ricerca a cura del Comitato “Passatopresente”

Autorità, signore, signori!

La Camera dei deputati è lieta di presentare l'importante ricerca su antisemitismo e islamofobia realizzata su iniziativa del Comitato "Passatopresente".

Questo convegno è stato organizzato d'intesa con l'Associazione "A buon diritto" e con l'Associazione di cultura ebraica "Hans Jonas", rispettivamente presiedute da Luigi Manconi e Tobia Zevi che saluto e ringrazio unitamente agli altri illustri relatori: Saul Meghnagi, Direttore scientifico dell'Associazione "Hans Jonas", Adriano Prosperi, professore ordinario di Storia moderna alla Scuola normale Superiore di Pisa, Claudio Vercelli, Coordinatore del Comitato "Passatopresente".

Prima di soffermarmi brevemente sui problemi culturali, sociali e politici sollevati da questa ricerca , desidero esprimere il mio plauso ai promotori dell'iniziativa per il carattere innovativo e originale della metodologia seguita, consistente nell'analizzare in modo comparativo e approfondito i fenomeni dell'antisemitismo e dell'islamofobia.

Si tratta di un contributo prezioso alla conoscenza delle tristi dinamiche del pregiudizio etnico, razziale e religioso che si sono da tempo riattivate all'interno della società italiana ed europea.

E' mio auspicio che le Istituzioni sappiano trarre da ricerche come questa lo spunto e l'impulso necessari a moltiplicare gli sforzi per la salvaguardia della comunità nazionale da ogni pulsione razzista, integralista e xenofoba.

Venendo ai contenuti della ricerca, dobbiamo subito osservare che vi emerge, come dato generale, il preoccupante aumento, nel giro di qualche anno, della ignoranza, della preconcetta diffidenza, se non della aperta insofferenza nei confronti delle minoranze etniche e religiose.

Così leggiamo nel documento: "Il razzismo e il pregiudizio razziale, ritenuti un residuo di sistemi sociali obsoleti e superati, sta riemergendo nel profondo delle società occidentali con caratteristiche differenti dal passato ma con una virulenza sorprendente e preoccupante".

Quello che ci arriva, purtroppo sempre più frequentemente, dalle zone di intolleranza presenti nella nostra società è confermato e analizzato con accurati strumenti scientifici.

Per quanto riguarda specificamente l'antisemitismo, è importante notare come la ricerca registri, accanto alla inquietante permanenza dei vecchi pregiudizi che rimandano ai periodi più bui della storia europea, l'insorgenza di nuove forme di intolleranza culturale verso gli ebrei, a loro volta collegate all'avversione preconcetta verso lo Stato di Israele: come gli osservatori più attenti sanno bene, l'antisionismo in molti casi non è che una forma dissimulata di antisemitismo, quando non ne rappresenta già in partenza, nei casi più eclatanti, un diretto corollario ideologico.

Per quanto invece si riferisce al pregiudizio anti-islamico, i ricercatori avvertono che si tratta di un sentimento collegato a fenomeni più generali come il sospetto e l'avversione nei confronti dell'immigrazione diffusi in una parte, fortunamente minoritaria ma purtroppo non trascurabile, della popolazione italiana ed europea.

Uno dei dati più preoccupanti è che il pregiudizio anti-islamico tende a riprodurre le forme del vecchio pregiudizio anti-ebraico. "L'antisemitismo -osservano gli autori- è una forma storica di razzismo. Talmente elaborata da costituire un modello per gli altri gruppi".

Questo dato è confermato dal fatto che i due pregiudizi tendono a sovrapporsi tra loro, come dimostrano le risultanze delle interviste sul campione di indagine analizzato dai ricercatori. Oltre il sessanta per cento di chi è dichiaratamente antisemita è anche anti-islamico.

"Ebrei e musulmani - leggiamo sempre nel documento - sono, seppure con percentuali difformi, oggetto di un pregiudizio unico, caratterizzato da indifferenza per le sue vittime e da un'inquietante proprietà transitiva che lo fa muovere con facilità da un target all'altro".

Se ne trae una conclusione che deve destare preoccupazione e inquietudine. "Ci troviamo di fronte - come scrivono gli autori - all'affermarsi di un discorso pubblico razzista" che vede genericamente una minaccia "nello straniero o nel diversamente italiano od europeo".

Il senso dei diritti dell'uomo e i princìpi cardine della società liberale e democratica sono certamente solidi e ben radicati nel popolo italiano e nei popoli europei. Ma questa considerazione non deve in alcun modo portare a sottovalutare le tendenze regressive in atto, che devono invece trovare una risposta pronta e, possibilmente, di alto profilo da parte delle Istituzioni.

Si impone la necessità, non solo di contrastare con decisione i fenomeni di intolleranza etnica e razziale, ma anche di recuperare ai valori della civiltà dell'uomo e della dignità della persona quei settori di opinione pubblica che, per ritardo culturale, rancore sociale o per un abnorme senso di insicurezza, si trovano in una condizione di smarrimento etico e ideale, quando non rimangono vittima di equivoci ideologici e di oscure pulsioni collettive.

Occorre preliminarmente promuovere un'efficace opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, combattendo quei tentativi di minimizzare il fenomeno, se non addirittura a negarlo, che affiorano da tempo in una parte del mondo dell'informazione e all'interno dello stesso mondo della politica.

Riconoscere l'esistenza della malattia rappresenta -come suggerisce il buon senso comune - il primo passo verso la guarigione.

C'è infatti da considerare che il razzismo potenzialmente più pericoloso è quello, subdolo e insidioso, che non si manifesta apertamente, tendendo a mimetizzarsi negli stereotipi, nelle paure e nei luoghi comuni più diffusi.

Esiste una zona grigia fatta di superficialità, pigrizia, sensazionalismo - pensiamo soltanto a certi titoli dei giornali che puntano ad attirare l'attenzione del lettore enfatizzando il coinvolgimento di immigrati nella notizia di un crimine - , una zona grigia fatta anche di conformismo, ignoranza e inopportuna leggerezza che offre oggi un naturale brodo di coltura alla diffusione dei pregiudizi razziali.

E' quindi necessaria un'attenzione più vigile e partecipe da parte di chi ha la responsabilità di orientare sia l'opinione pubblica sia il consenso dei cittadini. Perché, come ha detto Martin Luther King, "la cosa peggiore non è la cattiveria dei malvagi ma il silenzio dei giusti".

La diretta azione di contrasto alle nuove e vecchie forme di razzismo non è il solo piano di intervento che deve essere previsto dalle Istituzioni.

La grande sfida odierna è quella di rilanciare la fiducia sociale e di restituire ai cittadini solide prospettive di benessere economico in un momento delicato e complesso per la società europea, che sta avvertendo gli effetti negativi della recente crisi economica e finanziaria anche sul piano civile e politico.

La sfiducia verso le Istituzioni nazionali e sovranazionali, i timori verso la globalità e l'apertura delle frontiere, che in questi momenti di difficoltà tendono a diffondersi in varie fasce della popolazione, favoriscono oggettivamente la tendenza alla chiusura nei confronti della diversità, quale che sia la diversità.

Mai come oggi è necessario realizzare per le leadership politiche un progetto di società aperta, libera e inclusiva, restituendo la speranza in un futuro di diritti e di opportunità ai settori sociali più inclini alla sfiducia e al pessimismo. E questo obiettivo può essere raggiunto anche e soprattutto attraverso un incisivo e convinto piano di reali riforme economiche.

Deve essere ben radicata e ben diffusa l'idea - contro le tendenze nazionalistiche e contro i pregiudizi etnici e religiosi da esse favoriti - che una società più aperta, più libera e più inclusiva è, per ciò stesso, anche una società più prospera, più moderna e più dinamica, pur nella realistica quanto dolorosa consapevolezza delle difficoltà e degli ostacoli che una vasta e ambiziosa opera di costruzione civile può sempre incontrare sul suo cammino.

Nell'immediato, sarebbe già un grande risultato se la politica rinunciasse ad assecondare e vellicare - come troppo frequentemente accade - le paure irragionevoli e le pulsioni oscure variamente presenti nella pubblica opinione.

Si producono ad esempio danni profondi alla tenuta civile della società quando si rappresenta l'arrivo di migranti con l'immagine pericolosamente fuorviante dell' "invasione". Si mettono in questi casi in circolazione, inconsapevolmente o meno, stereotipi potenzialmente rovinosi e si alimentano nuove paure sociali.

La legge della domanda e dell'offerta non va applicata, in politica, come la si applica nel commercio. Perché accade, in politica, che sia spesso l'offerta a orientare e far crescere la domanda. E non c'è dubbio che, quando la politica offre paure e rassicurazioni ingiustificate, genera a sua volta, nei cittadini, altre paure e altre richieste immediate quanto ingiustificate di rassicurazione, in un circuito vizioso che danneggia la tenuta sociale della democrazia.

Il mio auspicio è che la vita pubblica italiana torni ad essere caratterizzata da un alto senso di responsabilità politico e morale per la salvaguardia dei valori che sono a fondamento della convivenza civile e democratica. Il primo fondamentale valore credo che sia il rispetto della dignità della persona umana quale che sia il suo credo religioso.

Occorre il rilancio di un grande progetto educativo che sappia contrastare i pregiudizi razziali e religiosi rinvigorendo la coesione sociale e realizzando una società più libera e plurale.

E questa ricerca del Comitato "Passatopresente" offre un valido apporto di idee e di analisi a questa fondamentale opera di costruzione civile che deve essere intrapresa da tutte le forze democratiche quale che sia la loro collocazione politica.