Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

04/10/2011

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno su “Mino Martinazzoli: tra cattolicesimo liberale e cattolicesimo democratico”

Autorità, Signore e Signori!

Rivolgo un cordiale benvenuto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ci onora con la sua presenza.

Saluto gli illustri relatori: Monsignor Francesco Beschi, Guido Bodrato, Pierluigi Castagnetti, Giuseppe Frigo, Agnese Moro, Giuseppe Vacca.

Un saluto particolare alla moglie di Martinazzoli, signora Giuseppina Ferrari.

A tutti un sincero ringraziamento per aver voluto condividere il ricordo di un insigne uomo politico, o, più semplicemente, - come forse lui stesso avrebbe gradito che lo si qualificasse - di un cittadino onesto e libero come è stato Mino Martinazzoli.

Nel rievocarne l'azione politica e istituzionale, è doveroso ricordare - specie ai più giovani - che la sua figura fu sempre circondata, per la sobrietà del suo stile e la ricchezza della sua umanità, dalla stima sia del mondo politico che dell'opinione pubblica del Paese.

Nei venti anni di presenza attiva in Parlamento, fra il 1972 ed il 1994, come senatore, deputato e membro del governo, fu testimone ed interprete di un periodo di radicale mutamento della società italiana.

Un mutamento di cui cercò di decifrare le ragioni più profonde contribuendo a guidarne, per quanto possibile, gli sviluppi attraverso la finezza del suo pensiero, la profondità del suo senso dello Stato, la coerenza della sua adesione ai valori del cattolicesimo democratico.

Furono anni di intenso impegno e di alte responsabilità, come quando, nel travagliato biennio 1992-1994, divenne l'ultimo Segretario politico della Democrazia Cristiana, incarico da lui onorato, al di là di ogni valutazione di parte, con saldezza, coraggio ed equilibrio.

Nell'ambito della sua attività di parlamentare e di uomo di governo voglio evidenziare in particolare il suo impegno nel settore della giustizia, culminato nei tre anni, tra il 1983 e il 1986, in cui fu Guardasigilli nel governo Craxi.

In tale veste, Martinazzoli fornì un contributo fondamentale al progresso civile e alla crescita delle Istituzioni, promuovendo l'introduzione del rito penale accusatorio, contribuendo ad arricchire la legislazione per l'umanizzazione della pena carceraria, promuovendo la sottoscrizione dei nuovi trattati di estradizione (tra cui quello, importantissimo, con gli Stati Uniti), e, infine, sovraintendendo, nell'ambito delle sue competenze, all'allestimento del primo maxi-processo di Palermo contro la mafia.

Nella linea seguita da Martinazzoli per affrontare i complessi problemi della giustizia è ben rintracciabile la sua cifra personale e culturale, fatta di concretezza e pragmatismo quanto di adesione al valore del primato della Persona.

Per un uomo della formazione di Martinazzoli rappresentavano un indubbio punto di riferimento le parole pronunciate in Assemblea Costituente da Giorgio La Pira per sintetizzare il principio ispiratore della Costituzione della Repubblica: "Lo Stato per la Persona e non la Persona per lo Stato".

"Per far funzionare le cose- troviamo scritto nel suo libro di memorie uscito due anni fa - bisogna uscire dalla retorica delle grandi visioni hegeliane, entrare nel terreno concreto, rifuggire da ogni ideologismo"

In questo atteggiamento emerge chiara la lezione del pensiero di Aldo Moro, nella sua costante ricerca di soluzioni politiche e giuridiche capaci di rispecchiare la complessità, piuttosto che perseguire a tutti i costi la scorciatoia della semplificazione.

A proposito dello stile di Moro, così leggiamo ancora nelle memorie di Martinazzoli: "Anche quando la Dc poteva contare su un solido appoggio parlamentare, -cito testualmente - Moro non smise mai di credere nell'importanza dell'alternanza. E di essere convinto che la maggioranza non è depositaria di tutte le ragioni. Il potere si legittima laddove è capace di interpretare veramente le esigenze del popolo".

Oggi sappiamo che, se questa sintonia viene meno e la politica perde la sua capacità di ascolto della società, a risentirne sono in primo luogo la qualità e la vitalità del sistema democratico. La consapevolezza di questo rischio di "stanchezza della democrazia" - secondo l'espressione di Moro -, è un'altra delle caratteristiche salienti della lezione politica di Martinazzoli.

Una consapevolezza di cui s'avverte sempre più la forte necessità per disattivare oggi le spinte verso l'antipolitica e il qualunquismo, riaffermando un'idea nobile della politica stessa e applicando, con convinzione e coerenza, i princìpi della democrazia liberale.

In questa prospettiva, un'ulteriore lezione valida anche oggi viene dal modo in cui la generazione di Martinazzoli affrontò alcuni passaggi cruciali della nostra storia politica e legislativa, soprattutto in importanti ambiti della vita personale dei cittadini.

Penso ad esempio alla riforma del diritto di famiglia, a metà degli anni Settanta, maturata sulla spinta del referendum sul divorzio del maggio 1974. In merito, Martinazzoli ha ricordato in anni recenti -cito testualmente - che "lo stato d'animo era favorevole a che si facesse un buon lavoro perché coloro che avevano perso, come noi democristiani, capivano che occorreva non essere timidi nell'innovazione. E quelli che avevano vinto , volevano colmare e ridurre la lacerazione che si era consumata nel Paese con quella consultazione".

A tanti anni di distanza va onestamente riconosciuta a quel tipo di politica -che pure agiva nel tempo delle ideologie - la capacità di trasformare la pluralità culturale del popolo italiano, soprattutto sui delicati temi della coscienza e dell'etica personale, in un fattore di crescita democratica, non già in un motivo di scontro e di contrapposizione frontale.

La fiducia nella democrazia e la visione alta della politica consentono anche di inquadrare il periodo in cui Martinazzoli fu alla guida della Democrazia Cristiana, nell'ultimo tratto del cammino storico di questa'ultima.

Uno dei suoi slogan era "più progetto e meno potere". Erano parole ispirate dall'idea, coessenziale nella democrazia, che il potere viene conferito dal popolo in relazione ad un progetto, non già in virtù di un carisma che guiderebbe misteriosamente la storia, ma finendo per riportare sempre la politica all'anno zero.

La convinzione di Martinazzoli era che il rinnovamento dei partiti non potesse avvenire senza la consapevolezza della comune storia democratica.

"Tra lo cose che ho avuto la fortuna di imparare da quella storia -affermò - vorrei ricordare due concetti che mi sono cari: la mitezza della politica e il limite della politica".

La mitezza della politica e il limite della politica: sono i concetti che il Presidente Napolitano ha richiamato nel suo intenso ricordo di Martinazzoli pubblicato oggi dal "Corriere della Sera".

E' un insegnamento quanto mai valido, specie in questa travagliata fase della vita economica e sociale che richiede alla politica un rinnovato impegno nel porsi in ascolto della società, evitando ogni forma di autoreferenzialità.

Perché la politica, come ha saputo testimoniare Martinazzoli, deve saper riconquistare pienamente, nei momenti difficili, lo spirito di servizio, nella consapevolezza, come disse un Konrad Adenauer, che i partiti "esistono non per se stessi ma per il popolo".