Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

06/10/2011

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno su "Il Parlamento nell'evoluzione costituzionale nazionale ed europea"

Autorità, Signore e Signori!

Sono particolarmente lieto di partecipare al Convegno che la Camera dei deputati ha organizzato, su iniziativa del Vice Presidente Antonio Leone (che ringrazio vivamente), per discutere sul ruolo che i Parlamenti nazionali sono chiamati a ricoprire nella complessa e faticosa prospettiva di piena integrazione europea.

L'iniziativa di oggi è, quindi, oggettivamente importante non solo per la presenza degli illustri relatori che, da qui a breve, prenderanno la parola, ma anche perché essa costituisce un'occasione utile per riflettere sul futuro stesso dell'Europa nel momento in cui il "governo europeo dei conti pubblici" si trova a fronteggiare la più grave crisi economico-finanziaria dal dopoguerra.

E' di tutta evidenza, infatti, che l'Europa sta vivendo una fase di profonda trasformazione e che la crisi ha vanificato anni di progressi economici e sociali, mettendo in luce tutte le carenze strutturali dell'economia europea.

E' giunto, pertanto, il momento della verità per l'Europa. Abbiamo bisogno di una strategia organica che, attraverso l'aggiornamento degli strumenti di intervento e un più intenso coordinamento delle decisioni di politica economica-finianziaria, ci consenta di uscire dalla crisi e di trasformare l'Unione Europea in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da alti livelli di occupazione e di produttività.

L'Europa ce la può fare e ce la deve fare! Possiamo, infatti, contare sul talento e sulla creatività dei nostri cittadini, su una solida base industriale, su un terziario dinamico, su un settore agricolo prospero e di alta qualità, sul nostro mercato unico e sulla moneta comune, così come sulla nostra posizione come primo blocco commerciale del mondo e principale destinataria degli investimenti esteri diretti.

Molti dei nostri Stati membri figurano tra le economie più innovative e sviluppate del mondo, ma per ottenere i migliori risultati l'Europa deve agire in modo collettivo, in quanto Unione.

E ora vengo al tema che costituisce l'oggetto specifico del dibattito di oggi: qual è il contributo che le assemblee parlamentari degli Stati membri possono fornire per rafforzare il processo di integrazione europea e per incrementare il loro potere di partecipazione democratica all'interno dei procedimenti decisionali europei?

Com'è noto, a prescindere dalle differenti esperienze costituzionali, i parlamenti degli Stati membri, in unione con il Parlamento europeo, sono sempre stati chiamati ad allargare gli spazi di rappresentanza e di dibattito politico nella fase preliminare di elaborazione di progetti sui massimi temi politico-costituzionali dell'Unione Europea.

Da ciò si può, dunque, ricavare un'indicazione a favore di un maggiore impegno dei parlamenti nazionali nel dibattito politico almeno sui maggiori indirizzi politici dell'Unione, in collegamento con il Parlamento europeo.

Questo nuovo ruolo delle assemblee nazionali affiora già nella procedura di esame del programma legislativo annuale della Commissione europea, nonché degli altri strumenti di programmazione politica e legislativa dell'Unione Europea.

Collegare le arene politiche nazionali alla dimensione europea giova alla causa stessa del Parlamento europeo: significa favorire il rapporto con quest'ultimo, diversamente dalla creazione di una "seconda camera" rappresentativa delle assemblee, che lo indebolirebbe molto, rinchiudendo anche le assemblee nazionali nella logica assai limitativa delle delegazioni specializzate.

E' in questa più ampia prospettiva storico-giuridica che si possono sciogliere, nel modo più positivo ed innovativo, le antinomie di cui ancora oggi è lastricata la vita dei parlamenti nazionali.

Se è vero, infatti, che il processo di integrazione europea sottrae ai parlamenti nazionali cospicue quote della loro tipica funzione legislativa, è altrettanto vero, come più volte ha evidenziato la nostra Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 183 del 1973, che "l'azione delle istituzioni comunitarie si svolge con la costante e diretta partecipazione del nostro governo e, quindi, anche sotto il controllo indiretto, ma non perciò meno vigile ed attento, del Parlamento italiano".

Più in generale, quindi, anche se i meccanismi di elaborazione degli atti normativi e dell'indirizzo politico dell'Unione Europea privilegiano gli esecutivi nazionali, resta, invece, costantemente aperto un canale di comunicazione tra i parlamenti degli Stati membri e le istituzioni comunitarie, per il tramite del controllo politico sui governi nazionali, originariamente "signori" non solo dei Trattati, ma anche di tutto il diritto comunitario derivato, grazie alla centralità del Consiglio dei ministri europeo nella struttura istituzionale comune.

Ovviamente, diverso è il peso e il ruolo che ciascuna assemblea nazionale ha saputo e continua a svolgere nell'ambito dei propri poteri di controllo sulle politiche europee.

La prima riflessione da sviluppare è che non si può parlare di un unico modello di partecipazione dei parlamenti nazionali alla vita istituzionale dell'Unione europea. La posizione dei parlamenti degli Stati membri è caratterizzata, infatti, da una pluralità di situazioni, assai diverse fra loro, che annovera una gamma di sfumature che vanno dall'assoluta marginalità delle assemblee parlamentari francesi fino al ruolo dominante del parlamento danese e di quello britannico, passando per un'ampia varietà di situazioni intermedie.

Tuttavia, strumenti come i poteri di osservazione e di risoluzione, così come sono stati configurati all'interno dei vari ordinamenti nazionali, tendono tutti ad operare sul piano della funzione legislativa, erosa dal processo di integrazione europea.

Nel tentativo, dunque, di restituire ai parlamenti nazionali le funzioni perdute, ogni ordinamento ha preferito incidere sul versante della fase ascendente del processo di produzione normativa europea così da ritagliare tempi e spazi di intervento per gli stessi parlamenti.

Lo spazio politico europeo continua, in ogni caso, a rappresentare un'arena polidimensionale, altamente competitiva e soggetta a rapidi mutamenti negli equilibri interistituzionali.

Per mantenere rilevanza nei processi decisionali europei i parlamenti nazionali debbono giocare contemporaneamente su tutte le dimensioni principali di questo campo d'azione, senza trascurarne nessuna. Debbono assumere l'iniziativa nei confronti dei governi nazionali attraverso l'esercizio di nuovi strumenti di indirizzo e di controllo puntati sulla formazione delle politiche e sulla misurazione dei loro risultati.

La necessità di rendere ancora più democratica ed incisiva l'architettura costituzionale europea richiede, altresì, che i parlamenti nazionali siano maggiormente coinvolti nel processo di attuazione del principio di sussidiarietà al livello di Unione.

Ma, ai fini dell'annosa questione del deficit democratico, anche il maggiore coinvolgimento delle assemblee legislative nazionali rischia, di fatto, di non produrre un diretto e più sicuro giovamento agli interessi dell'Unione, ed ai modi della loro regolazione in ambito sovranazionale, se è vero che le stesse assemblee, tanto isolatamente quanto se considerate nel loro insieme, non sono ancora in grado di soddisfare pienamente gli interessi sovranazionali, bensì soltanto quelli che sono istituzionalmente e quotidianamente chiamate ad incarnare.

Malgrado, infatti, i complicati e tortuosi passaggi procedimentali cui gli atti dell'Unione (specie legislativi) sono obbligati a sottostare prima di venire alla luce, in seno ai quali la "partecipazione" degli operatori istituzionali sia interni che esterni all'Unione è ampiamente assicurata, l'elaborazione degli atti stessi non ha luogo nei modi adeguati e congeniali agli interessi sovranazionali.

Il rimedio, allora, può essere solo rappresentato dall'inserimento stabile nei circuiti decisionali di soggetti rappresentativi della comunità politicamente organizzata.

Sotto questo profilo, pertanto, occorre smascherare l'alibi esibito da quanti, a più voce, hanno dichiarato che, fino a quando non prenderà forma la necessaria maturazione, in seno agli strati sociali più profondi, dell'idea di Europa unita e, conformemente a questa, non si costituiranno in modo spontaneo le forme associative adeguate alla sua realizzazione, non ha senso battersi per l'avvio di un ulteriore processo di cambiamento nelle istituzioni e di avanzamento nell'integrazione.

E' questa, in altri termini ancora, la stessa obiezione riproposta da parte di coloro che si oppongono ad una "costituzionalizzazione", optimo iure, dell'Unione, facendo notare che, in un'Europa fondata sulla logica del mercato e dominata in modo permeante dai governi, essa (vale a dire la "costituzionalizzazione" dell'Unione) non giova alla causa né delle Costituzioni nazionali, né dei cittadini.

Da questo punto di vista, però, il Trattato di Lisbona, ratificato due anni fa all'unanimità dal Parlamento italiano, e da altri 24 Parlamenti degli Stati membri, si pone come una tappa fondamentale nella storia dell'integrazione europea.

Ad esso è ascrivibile il merito di aver rafforzato e reso più efficace e uniforme il metodo decisionale europeo, fondendo i tre "pilastri", velocizzando le procedure decisionali, riconoscendo all'Unione personalità giuridica e dividendo in modo certo le competenze fra Stati e Unione.

Il Trattato ha, altresì, il merito di aver approfondito la dimensione europea della tutela e dei diritti dell'uomo, riconoscendo alla Carta dei diritti fondamentali carattere di fonte primaria. In questo quadro, uno degli elementi che più manifesta una portata innovativa, dal punto di vista istituzionale, consiste proprio nell'attribuzione ai Parlamenti nazionali di un potere di partecipazione democratica all'interno dei procedimenti decisionali europei.

A questa novità se ne aggiungono altre come il contemporaneo rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, realizzato attraverso la generalizzazione della procedura di codecisione, ormai qualificata espressamente come "procedura ordinaria" e, dunque, estesa alla maggior parte delle materie di competenza dell'Unione europea; la partecipazione dei parlamenti europei a una serie di decisioni fondamentali per la vita dell'Unione, quali la revisione ordinaria dei trattati e il ricorso alle cosiddette clausole "passerella"; il potere di eleggere il Presidente della Commissione e, infine, la parificazione al Consiglio nell'ambito della procedura di approvazione del bilancio.

Altro profilo interessante è poi quello relativo all'introduzione, da parte del Trattato di Lisbona, di alcune disposizioni che riguardano la partecipazione popolare, specie per il tramite delle formazioni sociali, e che costituiscono il vero "banco di prova" per il consolidamento di un idem sentire de re pubblica autenticamente sovranazionale.

Mi riferisco, in particolare, a quelle norme che attengono alle ampie consultazioni che la Commissione è chiamata a svolgere in occasione dell'esercizio dei suoi poteri di proposta e che riconoscono, espressamente, per la prima volta, un ruolo dei cittadini e dei corpi intermedi nella formazione delle politiche e della normativa dell'Unione Europea.

Al di là dell'impatto che esse avranno, si tratta di un mutamento oggettivo nella prospettiva stessa del processo di integrazione europea, coerente con la ridefinizione di valori ed obiettivi condivisi da tutti i Paesi che hanno ratificato il nuovo Trattato.

Tutto questo, però, rischia di non bastare.

Al riguardo, infatti, continuo a pensare che, per uscire dalla grave situazione di crisi in cui ci troviamo, occorra, in primo luogo, comprendere che la vera e grande "emergenza" di cui soffre l'Europa sia rappresentata dalla mancanza più che di Istituzioni forti, di un'idea forte in grado di sedimentare, nella cultura dei popoli, lo "spirito costituente" alla base del processo di integrazione europea.

Robert Schuman affermò, in modo lungimirante, (cito testualmente) che "l'Europa, prima di essere un'alleanza militare o un'unione economica, deve essere un'unità culturale nel senso più elevato del termine. L'Europa deve darsi un'anima".

Solo così, dunque, potremo vincere le sfide che stanno dinanzi a noi. Da quelle che investono drammaticamente i nostri sistemi economici e sociali per effetto della globalizzazione e di un radicale mutamento negli equilibri mondiali a quelle che attengono alle emergenze ambientali ed energetiche, cui non è possibile sfuggire.