Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

07/11/2011

Aula dei Gruppi parlamentari – Presentazione del libro di Michele Vietti “La fatica dei giusti”

Signor Presidente del Senato, Autorità, Onorevoli Colleghi, Signore e Signori!

La Camera dei deputati è particolarmente lieta di ospitare, nella nuova "Aula" dei Gruppi parlamentari, la presentazione del libro di Michele Vietti, intitolato "La fatica dei giusti. Come la giustizia può funzionare".

Nella duplice veste di Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e di esperto di questioni legate al complesso "mondo" della giustizia, l'Autore ci offre, con il suo prezioso contributo scientifico, un'occasione utile per discutere politicamente di idee e progetti per una riforma della giustizia ispirata a criteri di maggiore equità ed efficienza.

La premessa - indubbiamente condivisibile - da cui parte Vietti è che le dinamiche di mercato hanno dimostrato, anche agli studiosi più tradizionalisti, che la relazione tra lo sviluppo economico e il diritto non è più riconducibile allo schematismo di impostazione ottocentesca e di matrice idealista, quanto piuttosto all'esigenza di soddisfare interessi primari della società moderna tra cui figura il diritto di vedere riconosciute le pretese giuridiche in un contesto in cui (e cito testualmente Vietti) "il mercato è sempre più, prima che un luogo economico, un luogo giuridico, nel quale lo scambio non avviene se non vi sono le precondizioni giuridiche e di sicurezza che rendano quello scambio possibile e prevedibile nei suoi esiti".

"Giustizia", dunque, non come "potere", ma come "servizio" nel senso più elevato dell'espressione, cui si chiede, in primo luogo, di garantire l'effettività dei diritti e degli interessi di tutti i cittadini.

Un servizio i cui costi e i cui problemi devono essere considerati per accrescere il bene della collettività. Come in ogni servizio che si rispetti, vi è bisogno, anche per la giustizia, di un momento in cui si "dia conto" ai cittadini-utenti del suo andamento, delle carenze che si riscontrano, dei problemi esistenti e delle possibili soluzioni in conformità ai princìpi costituzionali del diritto di difesa e del "giusto processo" introdotti dal rinnovato articolo 111 della Costituzione.

Per Vietti è questa, infatti, la doverosa riflessione da cui partire per riformare il settore della giustizia, se non si vuole correre il rischio di varare misure correttive svincolate da una logica d'insieme necessaria per garantire la piena organicità e funzionalità dell'ordinamento.

A tale riguardo, i "numeri" della giustizia in Italia, parlano chiaro: noi siamo al penultimo posto, su 39 paesi considerati dal "Rapporto Cepej 2010" sui sistemi giudiziari europei, per quanto riguarda il contenzioso civile; né va meglio la situazione della giustizia penale, dal momento che, in questo campo, il nostro Paese guadagna addirittura, con riferimento ai livelli di produttività e all'arretrato dei procedimenti pendenti, il primo gradino del podio.

Ne consegue che le indispensabili riforme da attuare, oltre a dover scaturire da un ampio confronto parlamentare tra le forze politiche e tutti gli operatori del settore, dovranno soprattutto derivare da attente valutazioni delle patologie strutturali del nostro sistema giudiziario.

E', quindi, auspicabile, ad esempio, con riguardo al processo civile, che, oltre alla semplificazione delle varie fasi del processo, compresa quella istruttoria, si giunga ad un'autentica riforma che potenzi anche gli istituti di risoluzione alternativa delle controversie in materia di diritti disponibili, così come già avviene da tempo in tanti altri paesi.

Allo stesso modo, con riferimento al settore penale, è auspicabile - ed anche in questo concordo con Vietti - che la doverosa attuazione del principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, posto a garanzia dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non sia, come avviene adesso, affidata, in realtà, alla discrezionalità dei pubblici ministeri nella scelta quotidiana della miriade di reati da perseguire, bensì si concentri sulle fattispecie delittuose che destano maggiore allarme sociale, trasformando, nel contempo, un'ampia serie di fattispecie minori in illeciti amministrativi.

Da qui, l'esigenza di procedere ad un'attenta opera di individuazione dei reati che è necessario depenalizzare.

Le riforme, ovviamente, dovranno riguardare anche il sistema di progressione in carriera dei magistrati, nell'ottica di favorire la meritocrazia attraverso l'ulteriore riduzione degli automatismi legati alla mera anzianità di servizio.

Quanto, invece, alla annosa questione della separazione delle carriere, giudicanti e requirenti, in funzione della "terzietà" del giudice, è evidente che le eventuali modifiche non potranno mai avvenire a discapito dell'autonomia e dell'indipendenza del pubblico ministero, il quale deve rimanere incardinato nell'ambito del potere giudiziario.

A questo proposito, interrogarsi sul senso dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura, come fa Vietti (e cito testualmente), "significa, ancora oggi, riscoprire le ragioni fondanti l'ordine democratico, poiché l'organizzazione della giurisdizione costituisce uno dei cardini fondamentali di ogni Stato ed anche attraverso l'esercizio della giurisdizione si realizzano i diritti del cittadino che lo Stato deve garantire".

Del resto, dobbiamo ricordare che anche in Italia il ruolo della magistratura, e non solo di quella ordinaria, è cresciuto progressivamente nel tempo per i profondi cambiamenti della società contemporanea.

La nascita del cosiddetto "Welfare State", l'affermazione del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, i principi del mutuo riconoscimento hanno aumentato gli spazi riservati ai nuovi diritti e le domande di tutela a garanzia dei medesimi.

All'ampliamento delle tutele giurisdizionali, non è, tuttavia, corrisposto nel nostro Paese lo sviluppo parallelo di un efficiente sistema giudiziario basato su un apparato organizzativo adeguato ai bisogni da soddisfare.

L'efficacia del controllo di legalità e della funzione giurisdizionale continua, infatti, a risentire pesantemente della inadeguatezza di norme e di strutture cui da troppo tempo governi e Parlamento, nel succedersi delle legislature, non hanno posto rimedio in modo ordinato e coerente, a partire dallo stanziamento di adeguate risorse finanziarie.

Recuperare efficienza, credibilità e fiducia nel sistema giudiziario italiano è, dunque, una questione vitale per la democrazia, un vero e proprio imperativo categorico per ristabilire la certezza del diritto.

Lo chiedono innanzi tutto i cittadini e le imprese che, da utenti, subiscono in prima persona le disfunzioni del "servizio giustizia", che finiscono per coinvolgere negativamente anche le possibilità di sviluppo economico del nostro Paese come impietosamente evidenziano alcune prestigiose istituzioni internazionali.

Ma lo chiede anche la stragrande maggioranza degli operatori del settore - magistrati, avvocati, dipendenti dell'amministrazione giudiziaria, forze dell'ordine - che svolgono il proprio lavoro con passione, onestà e assoluta devozione alle istituzioni repubblicane.

Si tratta ora di passare dalle parole ai fatti. E per riuscirci, come autorevolmente ci esorta a fare il Capo dello Stato, occorre "mettere da parte lo spirito di partigianeria per conseguire, in questo campo, obiettivi di crescita morale e civile, senza i quali non c'e' alcun progresso di libertà e giustizia" (cfr. discorso del 17 dicembre 2008 e del 9 giugno 2009, rispettivamente alle Alte Magistrature della Repubblica e al Consiglio Superiore della Magistratura). Si stratta di un monito dal quale tutte le forze politiche trarranno le doverose conseguenze.

Grazie.