Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

22/11/2011

Montecitorio, Sala della Lupa - "L'Italia civile di Arturo Carlo Jemolo"

Autorità, colleghi, signore, signori!

Oggi la Camera deputati celebra la figura di una grande giurista e di un grande protagonista della cultura italiana del Novecento: Arturo Carlo Jemolo, di cui quest'anno ricorrono il centoventesimo anniversario della nascita e il trentesimo della scomparsa.

Un cordiale benvenuto al Presidente Napolitano che ancora una volta ci onora della sua presenza.

Un saluto e un ringraziamemento agli illustri relatori: Arrigo Levi, Francesco Margiotta Broglio, Alberto Melloni.

Un saluto particolare alla figlia di Jemolo, Viviana, presente oggi tra noi.

Arturo Carlo Jemolo va innanzi tutto ricordato come un esemplare e coerente maestro di libertà. Lo è stato per il suo esempio personale e lo è stato per il rigore e per l'indipendenza che hanno sempre guidato la sua ricerca intellettuale.

Come tale, Jemolo appartiene alle grandi figure di italiani che la Repubblica ha il dovere di onorare e ricordare; figure che rappresentano una fonte inesauribile di insegnamenti culturali, etici e civili.

I suoi importanti e approfonditi studi sul diritto ecclesiastico e sulla storia dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia sono parte fondamentale della cultura giuridica e storica del nostro Paese. Ma non meno rilevanti sono le sue riflessioni di carattere culturale, sociale e politico, affidate, non solo ai suoi saggi, ma anche ai suoi articoli su "La Stampa" di Torino e sulle riviste che hanno fatto da laboratorio alle grandi idee dell'Italia repubblicana: da "Il Ponte" di Piero Calamandrei a "Il Mondo" di Mario Pannunzio", a "Belfagor" di Luigi Russo, al "Politecnico" di Elio Vittorini, all' "Astrolabio" di Ferruccio Parri, a "Nuova Antologia" di Giovanni Spadolini.

L'insegnamento di Jemolo era l'insegnamento di un liberale e di un cattolico che non rinunciava mai alla sua libertà di coscienza, anche quando questa libertà gli attirava critiche e incomprensioni.

"Il suo spirito critico -disse di lui Spadolini- gli vietava scelte categoriche". Coerentemente con questa impostazione, il grande giurista si teneva lontano dalle dottrine politiche che dispensavano certezze e obbligavano all'uniformità. Il suo invito costante era quello di coltivare il dubbio, la ricerca, il dialogo.

"Dove c'è posto per la ragione- scrisse- non si può mai considerare chiusa l'indagine, chiuso il dialogo con i dissenzienti".

Il professor Margiotta Broglio, che di Jemolo è stato allievo e amico, così ricorda, in un suo recente libro, questo tratto nel carattere del grande intellettuale: "Se non ha dato certezze politiche, Jemolo ha certamente dato certezze morali. Ed ha insegnato a più di una generazione a compiere scelte autonome e personali".

Arturo Carlo Jemolo è normalmente collocato, nella storia del pensiero italiano, tra i cattolici liberali. Ma egli preferiva definirsi "liberal-cattolico" , precisando - come scrisse - che un tale termine dovrebbe essere riservato "a chi, per intensa che sia la sua fede o la sua pratica, pensi secondo gli schemi della società civile e dia gran posto, nelle sue preoccupazioni, alle strutture statali" .

E poi, subito dopo, riconosceva che nella sua formazione avevano "eminentemente agito uomini del mondo laico: Martinetti e Croce, Ruffini ed Einaudi"

Fu dunque laico e cattolico in un'epoca in cui questi due termini venivano spesso posti in conflitto.

Non era, quella duplice identità, frutto di spirito irenista, ma ricerca e apertura di nuove strade. Era, per quello che in particolare riguardava l'Italia, la capacità di guardare alla sostanziale unità morale del nostro popolo, al di là delle contrapposizioni ideologiche e delle divisioni storiche, sociali, culturali.

In un articolo pubblicato dalla "Stampa" di Torino nel 1966, Jemolo ribadì - pur in un periodo di acceso confronto tra le forze laiche e quelle cattoliche sull'introduzione dell'istituto del divorzio nella legislazione italiana, poi avvenuta nel 1970 - che non c'era sostanziale divario tra credenti e non credenti sulla generalità dei precetti morali. E ciò in virtù del fatto che la nostra società si era formata, come scrisse, nella "matrice del cattolicesimo" .

Jemolo credeva fermamente, sulla scorta dell'insegnamento di Francesco Ruffini, nella separazione fra le istituzioni civili e quelle religiose in un quadro di pacifica convivenza. Essere laici, per il grande giurista, non voleva però dire ignorare il ruolo sociale e civile della religione. "Jemolo -osserva lo storico Paolo Valbusa- riversò nella sua opera l'idea di uno Stato la cui laicità non significasse assolutamente indifferenza ai valori morali o religiosi". Una laicità capace comunque di vedere la Chiesa come forza viva e operante nella società.

Si può senza dubbio vedere in questa concezione una prefigurazione di quella "laicità positiva" che si è oggi affermata, a trent'anni dalla scomparsa di Jemolo, all'interno del dibattito politico culturale e che si qualifica proprio per il suo riconoscimento della dimensione pubblica e sociale del fenomeno religioso.

Sempre rimanendo all'Italia di oggi, ritengo importante sottolineare che questo tipo di laicità può e deve essere fattore di una rinnovata coesione morale e culturale della nostra società.

Desidero in proposito citare un bell'articolo di Andrea Riccardi - e colgo qui l'occasione per inviargli il mio più fervido augurio di buon lavoro per la sua recente nomina a ministro alla Cooperazione e l'Integrazione- pubblicato due anni or sono dal "Corriere della Sera". "Occorre lavorare - scrive Riccardi- per una laicità condivisa, che affronti in modo serio le grandi questioni nazionali, umane, antropologiche, con la convinzione che nessuno ha il monopolio della modernità".

"Oggi la laicità -leggiamo ancora nell'articolo- si connette all'identità nazionale. È un grande cantiere culturale ed educativo. Ieri, partiti ideologici erano portatori di visioni del Paese. Oggi è diverso. Laicità è ricerca ragionevole, possibile, del bene comune, al di là del messianismo o delle passioni di parte. Ci sono grandi differenze, ad esempio sui temi della vita. Ma i valori del mondo religioso sono tutt'altro che regresso. Ridire l'identità italiana in modo laico coinvolge la Chiesa, tutt'altro che estranea al Paese per la storia, l'eredità umanistica di pietas che segna l'umanesimo italiano".

Ispirato da questo umanesimo italiano, Jemolo riusciva a individuare, più di mezzo secolo fa e andando in diverse occasioni contro lo spirito del tempo in cui viveva, la fisionomia di un'Italia civile, libera e dialogante, oltre gli schemi e i conformismi scaturiti dai conflitti ideologici e culturali allora in svolgimento.

C'è un altro aspetto del pensiero di Jemolo sul quale desidero soffermarmi in conclusione. E' la sua idea dello Stato come comunità che deve fondarsi su una forte etica della responsabilità dei cittadini, soprattutto per quanto riguarda le esigenze del bilancio pubblico.

"Vorrei -affermò in uno scritto del 1956- che gli italiani ricordassero che lo Stato sono loro e che l'economia dello Stato è la somma delle economie degli italiani".

Anche queste parole risuonano oggi con accenti di grande attualità.

Il liberale Jemolo non era insensibile alle domande di giustizia sociale, ma riteneva che la prima condizione per poterle esaudire risiedeva nel rafforzamento dello Stato di diritto.

Voglio concludere con un appello lanciato dal grande giurista alle forze politiche nei difficili e drammatici momenti del dopoguerra: "I partiti -scrisse Jemolo- sono sorti tutti, in quest'ora così grave, e così decisiva per quella che sarà l'Italia dei prossimi anni, con una grande, sincera sete di giustizia. Non dimentichino che il diritto è l'occhio, il misuratore, la bilancia della giustizia: che nessun istinto, nessuna ispirazione, può sostituirlo".

E' con questo spirito, lo spirito delle regole, del diritto e della coesione morale del nostro popolo che dobbiamo sempre vedere nella lezione di Jemolo un forte e prezioso incitamento all'incessante opera di costruzione e consolidamento dell'Italia civile.