Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

24/11/2011

Roma - Assemblea Nazionale della Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa

Autorità, Signore e Signori!

E' a tutti noto che fra i maggiori Paesi europei, l'Italia è, senza alcun dubbio, quella che tradizionalmente si caratterizza per la maggiore incidenza che le piccole e medie imprese hanno sul tessuto produttivo.

Oltre l'81% dei lavoratori che operano nel settore imprenditoriale è, infatti, impiegato in piccole e medie imprese e soltanto poco più del 18% nelle grandi imprese.

Nella media europea, le percentuali sono rispettivamente il 67 e il 33%.

Non deve, quindi, meravigliare se oltre il 71% del valore aggiunto è prodotto in Italia dalle piccole e medie imprese, mentre nella media dell'Unione Europea questa percentuale scende al 58%.

Questa peculiarità della nostra economia è antica e persiste nel tempo, nonostante, negli ultimi anni, si sia registrata una tendenza più accentuata alla crescita, in termini numerici, delle imprese di medie dimensioni e un più frequente ricorso alle società di capitali.

Il che, presumibilmente, è indicativo di un processo evolutivo verso forme organizzative più articolate, in particolare a scapito dell'impresa a conduzione familiare.

Contemporaneamente, va, però, ricordato che, negli ultimi anni, numerosissime sono state le analisi e le ricerche che hanno sottolineato gli elementi di fragilità delle nostre piccole e medie imprese chiamate ad operare in uno scenario internazionale contraddistinto dall'accentuazione della competizione per la progressiva liberalizzazione dei mercati, per la caduta di vincoli e misure protezionistiche, per l'impatto davvero impressionante rappresentato dalla concorrenza dei cosiddetti paesi emergenti e, in particolare, della Cina che concentra ormai una percentuale significativa delle attività manifatturiere dell'intero pianeta.

In sostanza, è stata più volte denunciata una crescente difficoltà delle piccole e medie imprese italiane a far fronte alle sfide derivanti:

a) dall'accelerazione dei tempi di innovazione dei processi produttivi;

b) dall'adozione di tecnologie sempre più avanzate e sofisticate;

c) dal difficile reperimento delle risorse necessarie per la ricerca e lo sviluppo, fattore imprescindibile per la crescita.

Parallelamente è stata evidenziata la persistente diffidenza delle piccole e medie imprese italiane a modificare i propri assetti proprietari attraverso l'apertura del capitale a soci esterni, a partire dal canale prioritario costituito dall'accesso al mercato borsistico.

Da tutto ciò ne discende che è innegabile che l'avanzamento della cosiddetta globalizzazione abbia messo a dura prova il sistema produttivo nazionale, come dimostra il fatto che molti dei settori produttivi tradizionali hanno subìto un forte ridimensionamento del fatturato per la concorrenza delle nuove economie emergenti.

La globalizzazione, in sostanza, ha enfatizzato una tendenza già da tempo riscontrabile nel capitalismo maturo, vale a dire lo spostamento della competizione non più tra le singole imprese, ma a un livello più alto, cioè tra i paesi e tra le aree geografiche.

Nella competizione globale è via via emersa con crescente evidenza l'importanza del valore aggiunto costituito dall'adozione di logiche di sistema-paese.

In altre parole, sono avvantaggiati quei paesi che riescono a realizzare politiche coordinate e coerenti tra loro, in grado di coinvolgere diversi attori, pubblici e privati, e tali da creare le condizioni complessivamente favorevoli all'avvio e alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale, alla crescita delle dimensioni delle imprese e soprattutto della loro capacità di muoversi nei mercati nazionali e in quelli esteri.

La timidezza con cui in Italia le istituzioni si sono mosse in questa direzione è proprio il limite strutturale più grave di cui soffre il nostro Paese; da ciò derivano le difficoltà maggiori, che le singole imprese nazionali devono affrontare, e ciò al di là delle scelte operate da ciascuna di esse per quanto riguarda i settori di attività, le caratteristiche dimensionali o gli assetti organizzativi.

Anche se è spiacevole, dobbiamo onestamente ammettere che l'Italia è ancora molto lontana dal concepire e realizzare politiche per l'impresa che affrontino in un'ottica complessiva i diversi profili di criticità e che cerchino di rimuoverli secondo un disegno generale, non frammentario o episodico, basato su un progetto-paese negli anni a venire.

Da troppi anni l'Italia è priva di una politica industriale vera e propria; le imprese sono state abbandonate sostanzialmente a se stesse e nella difficilissima congiuntura apertasi con l'esplosione della crisi, presto tramutatasi in una vera e propria fase recessiva, ciò ha esasperato le difficoltà già innescate dalla competizione a livello globale.

Il primo elemento da cui occorre ripartire è quindi proprio il recupero, da parte della politica, di una prospettiva più oggettiva, e di lungo respiro, che analizzi le possibilità di ripresa e di crescita del sistema produttivo nazionale senza pregiudizi ideologici.

Assumendo una prospettiva di questo tipo non si può, ad esempio, trascurare il fatto che le piccole e medie imprese presentano innegabili vantaggi rispetto alla grande impresa, a partire dal minore impatto sul territorio e l'ambiente e dalla funzione di coesione sociale e di contenimento dei conflitti sociali che esse possono svolgere.

Un'imprenditorialità diffusa, come quella che contraddistingue la società italiana, è, infatti, un fattore di dinamismo e di oggettiva intraprendenza: sono due elementi su cui occorre far leva soprattutto se si pensa alle più giovani generazioni cui occorre garantire una condizione più favorevole per misurare le proprie capacità imprenditoriali.

Un secondo innegabile vantaggio del sistema delle piccole e medie imprese è evidenziato dai dati statistici: nell'ultimo decennio è questo il comparto che si è rilevato più dinamico e che ha registrato una più accentuata crescita, mentre le grandi imprese sono rimaste stagnanti.

Un terzo elemento da non trascurare è costituito dalla maggiore flessibilità delle piccole e medie imprese e dalla forza dimostrata nel resistere alle avverse condizioni economiche generali.

Ne è prova il fatto che l'economia italiana ha registrato significative innovazioni nei processi produttivi, anche in quei comparti tradizionali che soltanto una lettura disattenta della realtà può considerare come obsoleti.

I dati comparati offerti dall'Unione Europea dimostrano, ad esempio, che la percentuale di piccole e medie imprese italiane che, negli scorsi anni, hanno reagito alla crisi, introducendo innovazioni di prodotti o processi riguardanti l'organizzazione e la commercializzazione, è superiore a quelle degli altri maggiori partner europei.

Non è casuale che l'andamento produttivo del nostro Paese sia stato trainato essenzialmente dalle esportazioni, sia verso la Germania che verso i mercati emergenti.

Il dato è indicatore significativo della vitalità - nonostante tutto - del sistema produttivo nazionale. Deriva, in primo luogo, dalla capacità di adattamento delle piccole e medie imprese, dalla loro flessibilità.

In sostanza, le piccole e medie imprese sono più pronte, in presenza di shock significativi, a procedere a più marcate modifiche della loro modalità di produzione.

Al riguardo, va segnalato che le performance particolarmente positive delle imprese esportatrici, o comunque orientate ai mercati esteri, smentiscono le tesi semplificatorie di chi ritiene che esistano risposte uniformi valide in tutti i paese ai problemi da affrontare.

Sarebbeun errore molto grave rinunciare alle peculiarità proprie di ciascun paese per affrontare realmente la sfida della crescita. Ciò vale tanto più per l'esperienza italiana

Per noi il problema più urgente da affrontare è allora quello di rimuovere gli ostacoli più alti che si frappongono ad una ripresa produttiva che non faccia esclusivamente affidamento sulla domanda estera, ma che si consolidi con l'adozione di politiche nazionali su diversi fronti: pubblica amministrazione, fisco, infrastrutture, capitale umano.

In sostanza, occorre una strategia complessiva che leghi le diverse politiche e le riconduca ad una coerente ispirazione, ad un medesimo progetto-paese.

Ma ancora una volta, può risultare essenziale, allo scopo, avvalersi pienamente delle precise indicazioni provenienti dalle istituzioni europee.

Mi riferisco, in primo luogo, al cosiddetto "Small business act" e alla Strategia Europa 2020. Si tratta di due occasioni preziose da cui il nostro Paese può trarre quegli indirizzi generali che, finora, non è riuscito a darsi in modo compiuto e coerente.

Lo "Small business act" delinea una vera e propria strategia che affronta contestualmente tutti i profili di criticità che, nell'esperienza non solo italiana contraddistingue le attività delle piccole e medie imprese.

Il programma, che si traduce in una serie articolata di interventi normativi, ha l'importante vantaggio di essere accompagnato da una costante attività di monitoraggio volto a verificarne lo stato di attuazione da parte dei diversi Stati membri dell'Unione.

Alcune delle misure che, in Italia, sono state adottate negli ultimi anni vanno sicuramente nel senso indicato dallo "Small business act".

Mi riferisco soprattutto al tentativo di semplificazione delle pratiche, nel nostro Paese particolarmente lunghe e onerose, per l'avvio di nuove attività produttive, operato attraverso l'introduzione della cosiddetta "CIA" (segnalazione certificata di inizio attività).

Penso al lavoro che è stato avviato per la semplificazione di un quadro normativo che si contraddistingue per la particolare complessità e la stratificazione disordinata ed eccessiva degli interventi legislativi succedutisi nel tempo, un quadro che produce un effetto di disorientamento, di confusione, di incertezza del diritto.

Negli anni scorsi, sono state anche avviate, utilizzando strumenti come la Cassa depositi e prestiti, alcune iniziative per attenuare l'impatto della crisi sul sistema bancario con conseguente contrazione del credito erogato alle imprese produttive, oppure per rafforzare il livello di capitalizzazione delle imprese di minori dimensioni.

A tale riguardo, occorre domandarsi se abbia un senso continuare a giudicare in termini critici la preferenza delle imprese italiane per il finanziamento attraverso il canale bancario, anziché attraverso il mercato borsistico. Me lo chiedo perché occorre considerare, per un verso, il valore positivo del rapporto stretto tra banca e singola impresa e, per altro verso, la ridotta propensione del sistema creditizio nazionale verso forme di investimento più rischiose se non azzardate.

Sempre nel recente passato si è poi cercato di aggiornare la legislazione sui distretti industriali assumendo la novità costituita dalle reti di impresa. Si può, in proposito, rilevare che il limite dimensionale può essere agevolmente superato, promuovendo forme di aggregazione aziendale che, in molte esperienze straniere, hanno già raggiunto livelli particolarmente elevati e che costituiscono oggetto di studio anche da parte di alcune delle economie emergenti.

Sotto questo profilo, le potenzialità individuate nel progetto "Industria 2015" non sono state evidentemente utilizzate interamente e debbono essere quindi quanto prima recuperate.

Accanto a tutti questi positivi interventi che segnano una parziale svolta, restano, tuttavia, invariati alcuni gravi elementi di criticità che attengono essenzialmente alle inefficienze delle amministrazioni pubbliche.

Vale per tutti l'annosa ed irrisolta questione dei ritardi dei pagamenti nei confronti dei fornitori, ritardi che, in Italia, hanno assunto ormai dimensioni patologiche e che, molto spesso, mettono a repentaglio la stessa sopravvivenza delle imprese creditrici, oppure si pensi alla persistente inefficienza della giustizia, specie civile, nonostante alcuni rimedi messi in campo per la composizione extragiudiziaria delle controversie.

Il nostro Paese, inoltre, continua a soffrire dell'assenza di una coerente azione politica a sostegno della ricerca e dello sviluppo che dovrebbe avvalersi, oltre all'agevolazione fiscale, di strumenti per la promozione di iniziative volte a raccordare l'attività dei centri di eccellenza operanti, favorendo così le migliori pratiche per un raccordo tra ricerca applicata, innovazione, produzione.

Non a caso, anche la "strategia Europa 2020" si muove nella stessa direzione laddove fonda su cinque obiettivi prioritari (occupazione, ricerca e innovazione, cambiamento climatico ed energia, istruzione e lotta alla povertà) l'avanzamento del processo di convergenza all'interno dell'Unione Europea e le prospettive di un recupero di più marcati tassi di crescita.

In questo caso occorre domandarsi se le politiche nazionali degli ultimi anni abbiano avuto la sufficiente attenzione al rafforzamento del capitale umano, vale a dire all'innalzamento qualitativo e quantitativo dell'istruzione scolastica e universitaria. Oppure se siano state sufficientemente attente al pieno dispiegamento delle potenzialità amplissime che offre la cosiddetta "green economy", che rappresenta un'occasione epocale di conversione e modernizzazione dei processi produttivi, di aumento dell'occupazione qualificata e di cambiamento delle abitudini di vita.

In conclusione, il sistema ramificato e diffuso delle piccole e medie imprese continua a costituire, pur fra tante difficoltà, un patrimonio prezioso del Paese, in cui si concentra il lavoro e l'inventiva di tanti italiani.

Questo patrimonio va consolidato mediante l'attuazione di politiche lungimiranti perché, e lo ripeto, il problema non è tanto rappresentato dalla frammentazione del nostro tessuto produttivo, ma, piuttosto, dalla frammentazione delle politiche e da miopie e ritardi nel progettare e realizzare un quadro di riforme per rendere competitivo il nostro sistema-paese.

Perché è questa la capacità dell'Italia di competere nell'era globale, la precondizione per una ripresa della nostra capacità economica e per assicurare la competitività delle nostre piccole e imprese. Grazie.