Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

14/12/2011

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione dei Discorsi parlamentari di Beniamino Andreatta

Autorità, colleghi, signore, signori!

La Camera dei deputati è lieta di presentare questa sera la raccolta dei Discorsi parlamentari di Beniamino Andreatta. E' il doveroso omaggio a un uomo di Stato che ha onorato le Istituzioni con una coerente e importante azione svolta nei diversi ambiti dell'attività parlamentare, di quella di governo e di quella universitaria.

Un cordiale benvenuto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ancora una volta ci onora della sua presenza.

Un saluto e un ringraziamento al curatore dell'opera, Enrico Letta, e ai relatori Giuliano Amato, Giovanni Bazoli, Romano Prodi, Giuliano Urbani.

Un saluto particolare alla moglie di Andreatta, signora Giana Petronio, e ai figli Eleonora e Filippo.

Quest'opera dedicata ad Andreatta ci consente di ripercorrere le varie fasi del suo impegno nella vita politica italiana e negli importanti incarichi ricoperti in anni decisivi per la storia della Repubblica.

In questa intensa attività al servizio delle Istituzioni trasfuse il suo alto senso della responsabilità pubblica, la sua forte passione civile e la sua innovativa cultura economica, una cultura che gli consentiva di introdurre nel dibattito politico i risultati delle più aggiornate analisi maturate in ambito scientifico e accademico.

Fu ministro del Bilancio nel primo Governo Cossiga e Ministro del Tesoro nel primo Governo Forlani e nel primo e secondo Governo Spadolini. Nella Decima Legislatura, tra il 1987 e il 1992, ricoprì l'incarico di Presidente della Commissione Bilancio del Senato. Successivamente fu Ministro del Bilancio nel primo Governo Amato, Ministro degli Esteri nel Governo Ciampi e, qualche anno dopo, Ministro della Difesa nel primo Governo Prodi.

Doveroso è anche ricordare il suo impegno politico. Fu esponente di primo piano della Democrazia Cristiana e del Partito Popolare Europeo, per poi essere tra i principali protagonisti della vita dell'Ulivo.

Numerosi sono i momenti del lungo impegno istituzionale e culturale di Andreatta che rimangono nella storia e nella memoria della politica italiana.

E' inevitabile che il più immediato riferimento sia ai primi Anni Ottanta, quando l'economista e uomo politico che oggi ricordiamo si affermò come uno dei maggiori protagonisti del dibattito pubblico, un dibattito che in varie occasioni raggiunse toni aspri - anche all'interno dei governi- sulle strategie da seguire per affrontare una difficile stagione economica e finanziaria. In quegli anni il Paese cominciava ad avvertire il peso sempre più oneroso del debito pubblico subendo anche gli effetti di una crescente spirale inflazionistica.

In qualità di Ministro del Tesoro, Andreatta non esitò a farsi carico di decisioni coraggiose, come nel caso del famoso "divorzio" tra Tesoro e Banca d'Italia, che realizzò l'autonomia della Banca Centrale rispetto al Governo, condizione ritenuta da Andreatta indispensabile per garantire la stabilità finanziaria del Paese. L'8 ottobre 1981, nel suo intervento in Senato, sostenne con fermezza la necessità di procedere -cito testualmente- a "una riduzione non effimera dello squilibrio tra spese e entrate del bilancio dello Stato", affermando subito dopo che l'obiettivo del Governo non era solo il contenimento del disavanzo, ma il recupero della governabilità della finanza stessa.

La linea del rigore finanziario Andreatta la sostenne con immutata decisione anche negli anni successivi, in particolare nel periodo della sua presidenza della Commissione Bilancio del Senato.

Agivano in Andreatta, unitamente al rigore etico e all'alto senso di responsabilità pubblica, una sensibilità lontana da ogni ideologismo e una cultura ben radicata nelle più evolutive correnti del pensiero economico occidentale; una prospettiva intellettuale che lo portava a osservare con lungimiranza il decisivo impatto sociale e politico della crescente interdipendenza dell'economia italiana con il contesto europeo e mondiale.

La rilettura dei discorsi e la ricostruzione delle fasi della sua coerente battaglia per l'equilibrio del bilancio pubblico assumono un significato di stringente attualità in questi mesi delicati e cruciali, non solo per le sorti dell'economia nazionale ma per il destino stesso dell'Unione monetaria europea; mesi che vedono il Governo e il Parlamento impegnati in una imprescindibile opera di risanamento che restituisca solidità finanziaria e opportunità di crescita all'Italia.

Andreatta fu tra i primi a sollevare il problema delle gravi conseguenze sociali ed economiche che sarebbero derivate al nostro Paese dal crescente squilibrio dei suoi conti pubblici. Il deficit finanziario rendeva l'Italia, già negli Anni Ottanta, particolarmente esposta ai contraccolpi di ogni negativo andamento dell'economia internazionale.

"Gli alti tassi di interesse - osservò in occasione della discussione in Senato sul bilancio di previsione dello Stato e della Legge finanziaria per il 1990 - sono, sì, la conseguenza di una congiuntura mondiale e di una serie di mancati coordinamenti delle politiche economiche mondiali, ma nel nostro Paese hanno un sovrappiù determinato dalle difficoltà di collocare mese per mese cifre pari al 3 o al 4 per cento del reddito nazionale nei portafogli delle banche, delle istituzioni finanziarie e delle famiglie".

"E' chiaro - osservava ancora Andreatta - che questo sovrappiù di interessi esercita un effetto depressivo su molti settori che richiedono investimenti a lungo termine".

In quegli anni, i movimenti quotidiani di capitale sulle piazze finanziarie mondiali erano ben lontani dai giganteschi volumi odierni. Ma le dinamiche delle internazionalizzazione finanziaria, l'incipiente sfida dei mercati aperti, e i cambiamenti di paradigma nelle politiche economiche dei Paesi industrializzati ponevano già, e in modo urgente, il problema di ridurre l'enorme debito pubblico accumulato dall'Italia negli anni precedenti.

"Ogni riduzione del deficit - rilevava Andreatta - allenta i vincoli dell'economia italiana e soprattutto allenta quel vincolo che rattrappisce e chiude l'orizzonte delle scelte , cioè il pericolo di una crisi finanziaria".

L'illustre economista e uomo politico era ben consapevole di quanto poco popolare fosse, nell'ambito politico italiano, la linea del rigore finanziario. Ma ciò non gli impedì di sostenere con determinazione e vigore le sue idee di politica economica. E sempre più spesso -come ricorda Enrico Letta nella bella e ricca introduzione all'opera- si trovò a "dover criticare contemporaneamente la maggioranza della quale faceva parte e l'opposizione sulla questione cruciale di una finanza pubblica molto generosa e poco lungimirante".

La sua critica fondamentale alla cultura politica italiana prevalente negli Anni Ottanta era di non aver modernizzato a sufficienza i suoi modelli di riferimento nel campo della politica economica. Intervenendo in Senato alla fine del 1989, criticò il "permanere -cito testualmente- della filosofia economica degli Anni '60, per cui non si tiene conto degli effetti profondamente distorcenti sullo sviluppo del Paese che l'accumulo del debito e l'alto deficit hanno sull'attività produttiva".

Di qui quel "gradualismo esasperato" che aveva portato l'Italia a "diluire negli anni l'operazione di risanamento". E si trattava, a suo parere, di un caso unico rispetto a tutti i Paesi industriali che avevano sperimentato, al pari del nostro, una grave crisi finanziaria negli Anni '70 ed '80.

Ci sono molti altri aspetti, nel profilo politico e istituzionale di Andreatta, che andrebbero sottolineati, come ad esempio la sua moderna ed evolutiva visione del ruolo internazionale dell'Italia espressa negli anni in cui fu Ministro degli Esteri prima e della Difesa poi. La riforma da lui promossa dei vertici militari e del servizio di leva si inquadra negli scenari del dopo guerra fredda degli anni Novanta e del contributo richiesto al nostro Paese.

Il senso complessivo dell'insegnamento che Andreatta ha lasciato alla politica italiana è quella del rigore non solo finanziario ma morale, il senso della dedizione alla Res Publica e dell'impegno per realizzare il bene comune.

Questo impegno è stato da lui testimoniato fino all'ultimo istante della sua vita attiva: rimane in tutti noi dolorosamente vivo e commosso il ricordo della drammatica seduta alla Camera del 15 dicembre 1999, quando Andreatta fu colto da gravissimo malore mentre partecipava ai lavori parlamentari per l'esame della Legge finanziaria.

Voglio citare in conclusione un intenso passaggio del suo discorso in Senato del 28 luglio 1988. E' laddove fa appello, di fronte al peggioramento dell'andamento tendenziale del deficit pubblico, al senso di responsabilità della classe di governo e della classe parlamentare, invitando entrambe a "guardare la realtà non attraverso i miti ideologici" ma con gli occhi del buon senso, nella considerazione che "le dimensioni del deficit pubblico creano uno stato di pericolo che deve essere seriamente affrontato" . L'obiettivo che indicò in quell'occasione fu quello di realizzare una "situazione dove consumi e investimenti siano sostenuti dalla riduzione dei tassi di interesse e dove un maggior volume delle esportazioni sostiene l'andamento dell'economia".

Sono parole che, a tanti anni di distanza, mantengono intatta la loro indiscutibile forza e che evidenziano la grande attualità contenuta nell'insegnamento economico, etico e politico di Beniamino Andreatta.