Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

15/12/2011

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno del Forum PA sul tema "Innovazione sociale, Big Society e Sussidiarietà"

Autorità, Signore e Signori!

La Camera dei deputati è particolarmente lieta di ospitare il Convegno organizzato da FORUM PA, in collaborazione con il CNEL, che si caratterizza per l'originalità dell'impostazione perché associa al tema della sussidiarietà, già ampiamente dibattuto nel nostro Paese, quello più innovativo della cosiddetta "Big society", che appartiene, specificamente, alla cultura politica e all'esperienza anglosassone, in particolare della Gran Bretagna.

Proprio in questo Paese, di recente, il Governo ha richiamato l'attenzione sulla questione della "big society", proponendo alcune misure finalizzate ad affidare ai cittadini, e soprattutto all'associazionismo, la gestione di una serie di attività già svolte in regime di monopolio dalle amministrazioni pubbliche.

La "big society", in sostanza, ripropone, sia pure in termini parzialmente innovativi, una tesi che, periodicamente, si riaffaccia nella discussione politica, oltre che economica, per cui ad un ridimensionamento del ruolo dello Stato dovrebbe accompagnarsi la valorizzazione delle espressioni più evolute della società civile organizzata.

Tale tesi, tuttavia, ha suscitato forti e diffuse critiche soprattutto da parte di coloro i quali l'hanno interpretata come il tentativo di "nobilitare", l'obiettivo più prosaico di smantellare lo Stato sociale allo scopo di ridimensionare il volume della spesa pubblica.

In particolare, viene contestato il fatto che i sostenitori della "big society" non si preoccupano di chiarire chi, e con quali risorse, dovrebbe farsi carico degli oneri connessi all'esercizio di funzioni pubbliche essenziali e in che modo verrebbe garantito lo svolgimento ordinato di tali funzioni, nel rispetto di regole e criteri condivisi ed equi.

Il Convegno di oggi rappresenta, pertanto, una preziosa occasione per interrogarci sugli aggiornamenti da apportare ai modelli di Stato sociale e all'articolazione delle politiche pubbliche, consapevoli del fatto che siamo di fronte ad una questione che, pur rivestendo carattere generale, ha, però, implicazioni molto concrete, che chiamano in causa il tema del buon governo e che incidono, in modo diretto, sulla vita dei cittadini.

Si tratta, quindi, di inserire convintamente, tra i parametri decisivi per l'individuazione della titolarità del concreto esercizio di pubbliche funzioni, quello dell'efficienza, con riferimento ai risultati che si conseguono a seguito delle risorse utilizzate.

Questa è la vera sfida che la politica è chiamata ad affrontare.

Del resto, le società contemporanee, disponendo di ampie risorse, in termini di spirito di iniziativa, di professionalità e di capacità propositive dei singoli e delle associazioni, devono essere messe nella condizione di favorire l'assunzione di responsabilità da parte dei cittadini nei confronti del bene comune.

Allo stesso tempo, occorre evitare che il parziale arretramento dell'ambito di intervento delle amministrazioni pubbliche esponga i soggetti più deboli al rischio di vedersi privati dei servizi essenziali.

Questo compito compete principalmente alla politica, che può ritrovare la sua centralità assumendo la responsabilità di adottare decisioni di carattere strategico, ivi comprese quelle che comportano sacrifici o scelte impopolari.

Al riguardo, com'è noto, da diversi anni l'Italia ha avviato un processo di riassetto strutturale incentrato sul risanamento della finanza pubblica, al fine di raggiungere il pareggio di bilancio e la riduzione del peso dello stock di debito pubblico sul prodotto interno lordo.

Tutto ciò comporta, inevitabilmente, modifiche al nostro sistema di Stato sociale, che va ripensato non solo alla luce delle nuove esigenze che scaturiscono dalla crisi globale dei mercati finanziari, così come dagli andamenti demografici connessi all'invecchiamento della popolazione e alla gestione dei flussi migratori,ma anche alla luce delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

Per evitare, infatti, "la crisi sociale dello Stato", la cosiddetta "spending review" del Welfare, su cui peraltro si sta incentrando l'azione programmatica dell'attuale Governo, non si deve tradurre in un mero esercizio contabile volto a disporre tagli.

Già Keynes, nel 1930, sosteneva, con lungimiranza, la necessità che la <<big society>> fosse articolata su un'offerta in cui siano sempre più presenti le agenzie di promozione sociale, dal momento che la piena realizzazione dell'individuo, e lo stesso sistema di Welfare, non possono avere luogo se non vengono garantite la libera iniziativa, la libertà di impresa, la libertà di mercato e la proprietà privata.

Di recente, riproponendo un'economia sociale di mercato imperniata sulla sussidiarietà, la Fondazione Bertelsmann ha precisato (cito testualmente) che <<non esiste alcuna contraddizione tra il mercato e la prospettiva sociale sia perché le strutture istituzionali e la rule of law sono in grado di coordinare i comportamenti centrati sull'interesse individuale, orientandoli a conseguire risultati moralmente accettabili, sia perché la concorrenza è il mezzo per scoprire e realizzare i potenziali guadagni che possono scaturire soltanto dal rafforzamento della divisione nazionale ed internazionalizzazione del lavoro>>.

La produzione e la distribuzione si stanno riorganizzando, puntando su tre caratteristiche che resteranno tali anche dopo il superamento della crisi finanziaria: mi riferisco alla scomposizione geografica della catena del lavoro, all'importanza crescente delle relazioni interpersonali, alla sempre maggiore eterogeneità, versatilità e flessibilità del lavoro.

Ciò rischia, però, di creare una nuova categoria di "perdenti", se l'incontro-scontro tra "Stato forte" e "Mercato forte" non dovesse avvenire lungo il sentiero che necessariamente dovrebbe condurre ad un giusto equilibrio tra l'esaltazione del ruolo dell'individuo e l'esaltazione del ruolo dello Stato, con il riconoscimento di uno spazio adeguato ai soggetti intermedi.

Per molto tempo, di fronte al fenomeno dell'integrazione economica internazionale, si sono confrontate, all'interno dei sistemi capitalistici, due visioni alternative fra di loro: una "difensiva" secondo cui si sarebbero dovuti difendere a tutti i costi alcuni "diritti quesiti" di base, propri dello Stato sociale, ed una "propositiva", o "aggressiva", secondo cui chi ha a cuore le fasce deboli avrebbe dovuto individuare percorsi, strumenti ed istituti atti a far sì che i livelli più bassi di reddito e di consumo traessero maggiori vantaggi dall'integrazione economica internazionale.

Quest'ultima, anche se oggi è rallentata dalla crisi o frenata dagli inevitabili contraccolpi, è vista dagli osservatori più attenti come un processo di specializzazione in cui oggettivamente aumentano le differenze di reddito sia verticalmente (tra i livelli più alti e quelli più bassi delle categorie professionali), che orizzontalmente (tra le aree geografiche).

E' evidente, pertanto, che è sempre più "costoso" partecipare all'integrazione internazionale, dal momento che quello che si sta verificando è una vera e propria "contrazione endemica della ricchezza", per usare un'espressione cara all'economista tedesco Hans Sinn, in virtù della quale imprese, individui e famiglie sono costretti ad adeguarsi all'indirizzo di severe politiche pubbliche che non riescono più ad abbassare la pressione tributaria, in quanto incapaci di massimizzare l'apporto che solo le idee più innovative e meno burocratiche del passato possono dare alla collettività, in termini di produzione e fornitura di servizi.

L'attuale crisi finanziaria fornisce, quindi, una forte motivazione per la rivendicazione di uno spazio adeguato alla politica e alle istituzioni pubbliche.

Ciò che è mancato, e che forse tuttora sembra mancare nelle iniziative assunte anche in sede di Unione Europea, è la capacità di affermare con la necessaria fermezza e coerenza, in modo da essere pienamente convincenti, la solidità dei sistemi economici e finanziari europei in presenza di una speculazione che inevitabilmente ha infierito per la debolezza delle risposte adottate.

Solo così potremo difendere l'esperienza del modello di Stato sociale di mercato, assumendoci, però, anche la responsabilità di rivederne gli aspetti che appaiono superati e non più sostenibili.