Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

26/01/2012

Montecitorio, Sala della Regina - Convegno su "L'Immigrazione e l'integrazione: una sfida da vincere per l'Europa"

Autorità, Colleghi, Signore, Signori!

Sono lieto di porgere il benvenuto alla Camera dei deputati all'onorevole Rachida Dati, parlamentare europea, già Ministro della Giustizia della Repubblica francese, che affronterà un tema - quello del passaggio dall'immigrazione all'integrazione - decisivo per il futuro dell'Europa, ancor più oggi che la crisi economica e finanziaria sta mettendo a repentaglio la fiducia e la coesione sociale del nostro Continente.

Rachida Dati è figura di prestigio nel panorama politico francese ed europeo. Il suo spirito riformatore nel campo della giustizia e la sua elevata cultura giuridica ne fanno una voce particolarmente autorevole in tema di diritti e di libertà.

Tutti ricordiamo la profonda impressione che suscitò non solo in Francia nel 2007 la nomina di una francese di origine maghrebina ad una delle cariche governative più prestigiose e significative da parte dell'allora neo-eletto Presidente Sarkozy.

Ancora una volta, la Nazione della Grande Rivoluzione dava un esempio all'Europa in tema di libertà, uguaglianza e fratellanza. Lo stesso Presidente Sarkozy ebbe a dichiarare che la nomina di Rachida Dati rappresentava un messaggio per tutti i giovani francesi; nel loro Paese tutto era possibile grazie al lavoro ed al merito.

Un caso di successo politico simile a quello di Rachida Dati non è ancora maturato nel nostro Paese, in cui la storia dell'immigrazione è del resto più recente rispetto alla Francia. Occorre sottolineare però che, in questa legislatura, sono componenti della Camera dei deputati due cittadini di origine extra-comunitaria, che si sono fortemente impegnati per la piena integrazione degli immigrati. Mi riferisco all'onorevole Souad Sbai ed all'onorevole Jéan-Leonard Touadi, che partecipa al dibattito odierno, insieme al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, Andrea Riccardi, e alla collega Margherita Boniver, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen. Agli illustri relatori il mio saluto e il mio ringraziamento.

L'attribuzione per la prima volta in Italia di una responsabilità ministeriale specifica in materia di integrazione costituisce un'ulteriore traccia della crescente sensibilità istituzionale che sta maturando nel nostro Paese su questo tema decisivo e strategico.

Nessuno, peraltro, credo possa mettere in dubbio l'importanza del contributo dell'immigrazione alla popolazione attiva, al sistema fiscale e previdenziale, all'assistenza sociale ed alla natalità dell'Italia, così come di tanti altri Paesi in Europa.

Da tempo e da più parti si rileva, al riguardo, come la legislazione italiana sulla cittadinanza richieda un necessario adeguamento alle nuove dinamiche sociali indotte dalle grandi migrazioni e dalla globalizzazione.

Di primaria importanza, in tale ambito, è l'attenzione da riservare ai giovani immigrati. Chi è nato in Italia, o chi vi ha compiuto un ciclo di studi, deve poter diventare cittadino italiano molto prima di compiere diciotto anni. E questo affinché la sua condizione giuridica corrisponda al sentimento del suo cuore; affinché egli non trascorra gli anni decisivi della sua formazione umana e civile nella condizione dello straniero o, in qualche caso, dell'emarginato, del diverso.

Il tema della cittadinanza, nella sua stretta relazione con quello dell'integrazione, deve essere naturalmente affrontato non solo nella sua dimensione nazionale ma anche nella sua prospettiva europea.

La grande sfida in cui l'Italia, la Francia e tutti i Paesi del Continente devono sentirsi oggi particolarmente impegnati è quella di costruire un grande spazio di libertà, di diritti e di opportunità per realizzare, anche nel XXI secolo, quei valori di progresso e di civiltà che fanno parte integrante della più feconda tradizione europea.

Questi valori devono costituire un riferimento comune anche e soprattutto in un momento, come l'attuale, caratterizzato dalla necessità di rafforzare la stabilità finanziaria dell'eurozona e di far ripartire il motore della crescita europea attraverso scelte coraggiose e lungimiranti.

Mai come oggi, Governi, Parlamenti e Istituzioni comunitarie devono ricordare che, quella europea, è una "missione", un alto mandato ideale che la generazione degli Schuman, dei Monnet, degli Adenauer e dei De Gasperi ha affidato alle generazioni future e di cui le classi dirigenti odierne devono riconquistare piena consapevolezza.

Come si legge nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, "i popoli europei, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni".

E, nell'ambito dell'affermazione di questi valori comuni di libertà e di dignità della persona, devono essere necessariamente ricomprese le politiche di integrazione economica e civile dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie.

Non dobbiamo del resto dimenticare che l'odierna crisi economica e finanziaria è avvertita con particolare gravità proprio dai cittadini immigrati. E ciò non solo perché essi risultano spesso tra i primi ad essere sospinti ai margini del mercato del lavoro; ma anche perché rischiano di diventare il capro espiatorio delle frustrazioni derivanti dall'impoverimento diffuso della popolazione europea.

Desidero in proposito ricordare che, in un lucido articolo apparso circa un anno fa, a breve distanza di tempo in Francia su "Le Monde" ed in Italia su "La Stampa", Rachida Dati ha denunciato la "marea populista che sale in Europa", invitando a non permettere alla crisi di imbarbarire la nostra società.

Credo sia un appello che debba essere appieno condiviso.

Al dunque, l'urgenza di affrontare con incisività la questione dell'integrazione impone all'Europa di delineare un approccio comune e condiviso, che vada al di là del pur importante Programma di Stoccolma impostato nell'ambito dello "Spazio di libertà, sicurezza e giustizia". Anche perché quel Programma risulta sbilanciato sul contrasto all'immigrazione clandestina, rispetto alle misure per l'integrazione degli immigrati regolari a cui è doveroso dare prospettive di vita dignitosa se non si vogliono alimentare sacche di marginalità.

Come è noto, non esiste oggi un unico modello europeo di integrazione degli immigrati. Ciascun Paese europeo ha fatto i conti con la propria storia particolare e con la propria particolare articolazione sociale, territoriale e demografica.

In alcuni contesti ed in alcune fasi, è prevalso il modello assimilazionista, che ha però generato un diffuso spaesamento identitario nelle seconde generazioni. In altri casi, si è adottato il cosiddetto "multiculturalismo comunitario" che ha però condotto alla formazione di enclaves che si sottraggono spesso all'integrazione.

Ritengo che la soluzione al problema sia nel proporre l'idea di integrazione nel suo binomio con quello di reciprocità. La reciprocità si fonda essenzialmente sul riconoscimento e sul rispetto. Riconoscimento, rispetto e disponibilità, da parte dei Paesi europei, nei confronti della cultura d'origine delle persone che vivono il processo di integrazione e, parallelamente, riconoscimento, rispetto e disponibilità alla condivisione, da parte degli immigrati, della cultura e, soprattutto, dei valori di fondo che sostengono ed uniscono le società del Continente.

Ecco perché la doppia appartenenza culturale degli immigrati di seconda generazione deve essere vista come una ricchezza. Una ricchezza per loro. Una ricchezza per il Paese che li accoglie.

In questa ottica, l'iniziativa nazionale può trovare nel livello di governo europeo la sponda necessaria a rendere più efficaci i principali strumenti dell'integrazione: la scuola e il lavoro. L'azione comune può inoltre consentire di affinare i meccanismi di promozione della piccola imprenditoria, soprattutto in questa fase critica dell'economia, e di valorizzare il ruolo delle donne immigrate in virtù della loro maggiore flessibilità e propensione all'incontro interculturale.

Secondo i dati EUROSTAT 2010, gli stranieri residenti nell'Unione europea sono circa 20 milioni, pari al 4 per cento della popolazione totale. Il Trattato di Lisbona ha fornito finalmente una base giuridica esplicita per agevolare le politiche di integrazione, sia pure limitatamente al sostegno all'azione degli Stati membri.

Pochi mesi fa, in settembre, la Commissione Europea ha adottato l'Agenda europea per l'integrazione, che insiste in modo particolare sulla formazione linguistica, l'educazione civica, il riconoscimento delle qualifiche e delle competenze dei migranti.

Un altro versante di intervento potrebbe riguardare la predisposizione di incentivi volti a valorizzare il ruolo degli immigrati nelle relazioni economiche con i Paesi di origine, allo stesso modo in cui - a titolo d'esempio - i discendenti degli emigrati italiani sono oggi per noi una straordinaria risorsa per gli scambi commerciali ed il trasferimento di conoscenze. In questo modo si potrebbe rafforzare, senza ingerenze che sono antistoriche e sarebbero controproducenti, il sostegno alle trasformazioni politiche e sociali che si sono avviate spesso nel mondo arabo.

La globalizzazione fa sì che l'immigrazione non sia più un fenomeno eccezionale nello spazio e nel tempo, ma sia un dato permanente e strutturale di un mondo sempre più interconnesso ed interdipendente. Prima ce ne renderemo conto, prima riusciremo a raccogliere una sfida che è innanzitutto morale e culturale e meglio sarà per la nostra società.

Una sfida che il pensiero e l'esempio di personalità come Rachida Dati contribuiranno sicuramente a far vincere all'Europa.