Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

19/03/2012

Montecitorio, Sala della Lupa - Commemorazione di Marco Biagi nel decimo anniversario della morte, alla presenza del Capo dello Stato

Autorità, Signore e Signori!

Dopo quella drammatica sera del 19 marzo 2002, un caro amico di Marco Biagi, il professor Marcello Pedrazzoli, con poche parole raffigurò il senso profondo della scomparsa del compianto giuslavorista. Cito testualmente: "Tutto capitò in una tiepida sera di marzo, al rincasare dopo una giornata costruttiva, piena di rapida operosità, atteso da Marina e dai figli Francesco e Lorenzo, bici accostata e borsa rovesciata sotto il portico di via Valdonica, in un dedalo di viuzze da cui sembra impossibile districarsi anche per chi aggredisca nel modo più vile. Aveva impiegato buona parte dei suoi cinquant'anni con il solo, dominante, pensiero di come ammodernare il nostro Paese in un punto cruciale".

Sono parole che ben sottolineano come - a dieci anni dal suo barbaro assassinio - quello che ci resta di Lui è un'eredità semplice, lineare, fortemente autentica, che consente a tutti coloro che vogliono un'Italia più giusta di guardare con fiducia alla concreta attuazione dell'articolo 1 della nostra Carta costituzionale, che ricorda che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Per attuare pienamente questo principio, ancora oggi non si può infatti prescindere dal contributo fornito da un'intelligenza attiva e propositiva come quella di Biagi, consolidatasi in trent'anni di studi, di valutazioni, di analisi, di confronto, non solo accademico, ma anche a contatto con le istituzioni.

In questo percorso, Marco Biagi fu - senza alcun dubbio - quello che oggi si definirebbe un "vero riformista", un uomo dotato di elevata e profonda cultura giuridica, accompagnata al senso pratico e alla capacità di intercettare i temi e i tempi della politica: un formidabile mediatore di idee e di saperi, secondo una logica finalizzata alla semplificazione dei processi e al progresso delle condizioni economico-sociali dei lavoratori.

Ecco perché, a dieci anni di distanza dalla sua scomparsa, i temi che Egli contribuì in modo originale a portare nell'agenda della politica sociale sono ancora davanti a noi, quasi negli stessi termini e di certo con le stesse attese di modernizzazione del Paese.

Al riguardo, va ricordato che, già nel Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia, redatto nell'ottobre 2001 dall'apposito Gruppo di lavoro coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi, si partiva dalla constatazione che le caratteristiche del mercato del lavoro italiano rendevano estremamente lunga la strada da percorrere prima di raggiungere gli obiettivi che, con riferimento ai tassi di occupazione, l'Europa aveva indicato agli Stati membri.

La disoccupazione giovanile, la disoccupazione di lunga durata, la concentrazione della disoccupazione nel Mezzogiorno, il modesto tasso di partecipazione delle donne e degli anziani erano valutati tutti come gravi fattori di debolezza strutturale della nostra economia, in grado di limitarne la competitività.

Per far fronte alle criticità evidenziate, il Libro Bianco dettava soluzioni chiare e lineari: prevedere interventi di carattere strutturale per rimediare all'elevata disoccupazione e al basso tasso di crescita, in modo da ridurre le "strozzature" che limitano le potenzialità di sviluppo economico del Paese.

Prima di ogni altra cosa, dunque, la soluzione era quella di partire dalla mobilitazione dell'offerta di lavoro, di agire sui fattori che rendono più conveniente l'impiego del capitale umano da parte delle imprese, di sviluppare la domanda di lavoro attraverso interventi sul costo del lavoro per unità di prodotto e, più in particolare, sulle singole componenti in cui esso si articola: retribuzioni, cuneo fiscale e produttività.

Credo che non a caso in un bel libro che Giuliano Cazzola ha dedicato nel 2008 a Marco Biagi, si legge: "La vera differenza sta nel fare o nel non fare, nell'innovare con responsabilità e coraggio o nel conservare con egoismo ed ostinazione. Ecco perché Governi di diverso orientamento politico parlano il medesimo linguaggio ed avanzano proposte simili quando decidono di agire nel campo delle riforme sociali e del lavoro".

Sembra banale, ma è forse questo il punto decisivo che sta alla base della "riforma Biagi" e che va tenuto presente ancor oggi.

Il desiderio di innovare, senza pregiudizi o tabù, può produrre frutti positivi solo se unito a coraggio e assunzione di responsabilità.

E' la ragione per la quale a mio modesto avviso la politica, in tema di relazioni industriali e mercato del lavoro, non deve limitarsi a "registrare" solo le richieste delle organizzazioni sindacali e datoriali, ma deve soprattutto individuare soluzioni di alto profilo, idonee a rispondere alle esigenze dei nostri tempi e, soprattutto, delle generazioni più giovani.

E' necessario provare ad uscire dalla logica della tutela del posto di lavoro, per entrare in quella - meno agevole, ma più ambiziosa - della tutela del lavoratore, affrontando il tema della riforma del lavoro con senso di responsabilità e con lo sguardo rivolto al futuro: in tale ottica, una delle priorità nell'agenda della modernizzazione è certamente quella della flessibilità, in entrata e in uscita.

Su questo versante, tutti dovrebbero riflettere sulle parole dello stesso Marco Biagi, in un suo saggio del 2001, quando ancora si discuteva del contenuto definitivo che avrebbe dovuto assumere la legge delega che oggi porta il suo nome (cito testualmente): "Non credo che realisticamente qualcuno possa pensare che, nel nostro Paese, debba essere introdotta la libertà di licenziare. Questa libertà sarebbe comunque impedita dalla stessa Carta Sociale Europea, che vuole che i licenziamenti siano giustificati e, quindi, sindacabili (...). Non sono questi i termini della questione. In realtà, nessuno propone i licenziamenti facili o senza giustificazione da parte del datore di lavoro (...). La regola fondamentale resta quella per cui gli atti estintivi del rapporto di lavoro devono essere giustificati e motivati dal datore di lavoro, nonché sottoposti eventualmente al vaglio di un'autorità indipendente".

E' evidente, alla luce di queste parole, che una vera riforma del mercato del lavoro deve partire da questi punti fermi, evitando impostazioni di natura ideologica.

Ed è proprio con queste parole - straordinariamente attuali ad oltre un decennio di distanza - che voglio concludere il mio ricordo del professor Marco Biagi.