Autorità, Colleghe e Colleghi, Signore, Signori!
La Camera dei deputati è particolarmente lieta di ospitare oggi questo importante convegno sui temi della pace e della riconciliazioneorganizzato d'intesa con l'Associazione Ara Pacis Initiative, presieduta da Nicoletta Gaida.
Il mio più cordiale benvenuto al Premio Nobel per la Pace, Leymah Gbowee, che oggi onora la Camera dei deputati con la sua alta testimonianza umana e civile.
Un saluto e un ringraziamento agli illustri relatori: il Ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, il Presidente dell'Istituto per la Democrazia e i Diritti Umani della Pontificia Università Cattolica del Perù, Salomon Lerner Febres, il Segretario Esecutivo della Commissione di Unità di Riconciliazione nazionale del Rwanda, Jean Baptiste Habyalimana.
L'ideale della dimensione umana della pace, che ispira l'azione dell'Ara Pacis Iniziative, si sintetizza nel monito "non c'è vera pace senza pacificazione". Non c'è vera pace se ad esempio, dopo un trattato che pone fine a un conflitto, non seguono concrete iniziative di riconciliazione e non si pone fine alla spirale delle vendette e dei rancori.
E' quello che tante volte è accaduto nel passato e che vediamo purtroppo in tanti Paesi che continuano ad essere afflitti dall'odio etnico, politico e religioso.
La dimensione umana della pace è dunque il recupero concreto della speranza che è reso possibile solo dall'azione convergente delle associazioni, dei governi, della comunità internazionale.
E' anche un ideale che rimanda a una storica, profonda e insopprimibile aspirazione umana alla pace presente nella civiltà dell'uomo. Perché, come affermava Spinoza, la pace non è soltanto assenza di guerra: "è una virtù, uno stato d'animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia".
Questo ideale di pacificazione vive nella grande testimonianza di Leymah Gbowee, che è riuscita a imprimere una positiva svolta alla vita della Liberia e del suo popolo grazie alla sua coerente e incrollabile fiducia nella forza dell'umanità e dell'amore.
La sua storia è nota, ma credo sia opportuno ripercorrerne alcune tappe.
Gbowee ha combattuto per mettere fine alla guerra civile nel suo Paese mobilitando le donne liberiane di ogni etnia e religione. Ha lavorato per la pace e per la pacificazione come operatore sociale aiutando le donne violentate, in Liberia e in altri paesi africani, quali la Repubblica Democratica del Congo. Ha lavorato per il recupero degli ex bambini soldato dell'esercito di Taylor. Erano anni in cui l'informazione non poteva sfruttare tutta la potenza della Rete con le sue capacità di mobilitazione e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica internazionale. Erano anni in cui i volontari della pace operavano spesso nel silenzio e nel disinteresse dei media internazionali.
Tuttavia, grazie al suo impegno infaticabile, Gbowee è riuscita a raggiungere risultati fondamentali per la pacificazione delle diverse etnie anche grazie alla promozione della cittadinanza attiva femminile. Nel 2002 fondò la 'Women of Liberia Mass Action for Peace', movimento che unì le donne cristiane e musulmane nella lotta non violenta.
Sono indimenticabili le immagini delle attiviste che, in abiti bianchi, organizzarono incontri di preghiera e manifestazioni per fare pressioni sulle fazioni in guerra.
Nel 2003 Gbowee ha portato migliaia di donne a protestare a Monrovia, favorendo la deposizione di Taylor e la fine del conflitto. L'elezione di Sirleaf, prima donna presidente in uno Stato africano, è stata favorita dal movimento di Gbowee, ed ha consacrato una delle sue battaglie più belle: la partecipazione femminile alla vita politica del Paese.
Un impegno che prosegue anche oggi in diversi organismi internazionali, tra i quali appunto l'Ara Pacis Initiative, la cui meritoria opera prende le mosse proprio dalla necessità di dover lavorare per la pace umana e sociale dopo che gli Stati belligeranti, o le parti in guerra, hanno raggiunto la pace diplomatica.
L'associazione si concentra sugli aspetti soggettivi, umani del conflitto, come rabbia, paura, umiliazione, perdita di speranza, minacce all'identità, piuttosto che sulle cause oggettive e più riconoscibili della violenza e del conflitto, ovvero i fattori economici, culturali, sociali, e politici.
Pone al centro della sua azione l'essere umano con le sue esigenze, risorse morali e spirituali, aspirazioni, dignità e capacità di dialogo e convivenza. Sono ideali che seguono l'insegnamento di uomini e donne straordinari, come Gandhi, Maria Teresa di Calcutta, Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi, Martin Luther King, Giovanni Paolo II.
Questo tipo di azione, che tende a estirpare le radici dell'odio in società sconvolte da conflitti, rappresenta un complemento necessario agli interventi di peacekeeping e agli interventi politici o economici volti a ristabilire le condizioni generali della convivenza pacifica.
Il valore della dimensione umana della pace assume ancora oggi un significato politico e civile di grande rilievo per le aree della Terra che conoscono la recrudescenza dei conflitti. Penso in particolare alla Nigeria o al Kenya, dove le comunità cristiane sono vittime di una atroce e allarmante ondata di attentanti terroristici e di violenze che costituisce una grave motivo di preoccupazione per tutta la comunità internazionale.
Proprio in quelle realtà drammatiche deve essere riaffermato il principio - ed in tal senso si muove l'iniziativa di Ara Pacis - che le grandi religioni dell'umanità hanno tutte alla loro base un messaggio di pace per tutti gli uomini, al di là di ogni differenza di credo, che non deve essere mai strumentalizzata per fini politici o ideologici, ma che deve invece costituire un fattore di incontro e di dialogo.
Ma il valore della dimensione umana della pace presenta un grande significato storico e morale anche per le società europee, che da molti anni hanno definitivamente imboccato la strada della convivenza pacifica, ma che avevano in precedenza conosciuto una lunga stagione di conflitti, culminata in due spaventose guerre mondiali.
Solida e radicata è oggi la convinzione, in tutta Europa e nella comunità internazionale, che la pace si fonda sul rispetto della dignità della persona. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 sancisce infatti che "il riconoscimento della dignità specifica e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della società umana è la base di libertà, giustizia e pace nel Mondo".
Come ha affermato Papa Benedetto XVI in occasione dell'incontro con i membri dell'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nell'aprile 2008, "la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali".
In conclusione, il valore della pace è strettamente legato al principio della riconciliazione e del perdono.
Pensiamo a grandi personalità come quella di Giovanni Paolo II, che seppe chiedere perdono per quanto avvenuto secoli e secoli prima, durante le Crociate e l'Inquisizione.
E, tra i grandi gesti di Papa Wojtyla, va ricordato anche il perdono al suo attentatore, Alì Agca.
Saper chiedere perdono e saper perdonare è un atto di grande umiltà ma soprattutto è un atto di grande coraggio e libertà.
Ecco perché l'esempio di Leymah Gbowee è per noi un vero insegnamento morale, politico e civile, ricordandoci che, quello per la pace, deve essere l'impegno di ogni giorno.
Voglio concludere con una frase di Martin Luther King: "Abbiamo imparato a nuotare come pesci, a volare come uccelli. Ma non a vivere come fratelli".
Le testimonianze che ascolteremo oggi ci dimostreranno come questo auspicio può diventare realtà.