Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

25/09/2012

Nuova Aula dei Gruppi parlamentari – Apertura dei lavori del Convegno IAI-ISPI dal titolo “Il ruolo dell’Italia nelle missioni internazionali”

Autorità, signore e signori,

il convegno che si tiene oggi per iniziativa di due prestigiosi istituti di ricerca - lo IAI e l'ISPI - vedrà impegnati rappresentanti del Governo, parlamentari ed esperti delle relazioni internazionali su un tema non scontato e non privo di complessità.

L'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, l'autorevolezza dei due istituti promotori, i documenti preparatori del convegno, e la complessa fase internazionale nella quale questa iniziativa si colloca, pongono i relatori di fronte ad un obiettivo ben più ambizioso di quanto non appaia, dalla traccia fornita dal semplice titolo del convegno.

A trent'anni dall'avvio delle storiche missioni in Libano, che segnarono l'inizio della nostra presenza internazionale, non sarebbe certo inutile rivisitare un capitolo della storia del nostro Paese, ripercorrendone le scelte - spesso coraggiose - e ricordando, altresì, tanti episodi di sacrificio, alto senso del dovere e profonda umanità, che hanno visto protagonisti i soldati dei nostri contingenti.

Tuttavia credo che le domande che il convegno di oggi pone richiedano una prospettiva rivolta in primo luogo agli scenari futuri, partendo dal fatto che l'attuale scenario internazionale è caratterizzato da una maggiore imprevedibilità del quadro geo-strategico rispetto al passato.

Gli anni Novanta sono stati caratterizzati da un deciso affermarsi della cultura dei diritti umani nel mondo e dalla diffusione dei valori di libertà e democrazia, specie a seguito del processo di dissoluzione dell'Unione Sovietica. L'avvicinamento di popoli e culture molto diversi tra di loro in nome di questi valori avevano determinato un diffuso clima di ottimismo nella Comunità internazionale. Sembrò allora più vicina la creazione di un mondo nel quale libertà, prosperità e diritti non trovassero più alcun ostacolo.

In realtà gli indicibili orrori del Ruanda e della Bosnia ammonivano già allora sui pericoli sempre presenti del fanatismo, dell'intolleranza e della barbarie.

Oggi, dopo gli eventi tragici del primo decennio del nuovo millennio, la Comunità internazionale affronta con rinnovato timore le sfide che ha di fronte e che assumono in primo luogo la forma del terrorismo fondamentalista, dell'odio etnico-religioso, dell'intolleranza nazionalista.

Fenomeni che la crisi economica mondiale negli ultimi anni ha rafforzato creando situazioni di forte disagio sociale in molte parti del mondo e determinando condizioni favorevoli al riemergere di forze oscure e distruttive.

Occorre evitare un duplice rischio; il primo è ritenere che i processi in corso siano caratterizzati da meccaniche di carattere deterministico sulle quali la Comunità internazionale non può in realtà intervenire o può comunque fare poco. Il secondo consiste nel perdere un chiaro orizzonte strategico, sotto la pressione delle contingenze e sulla base di interessi di breve periodo.

Stiamo certamente vivendo una delle grandi svolte della storia. Molto più grande e più profonda di quanto forse il nostro sguardo non riesca ancora ad abbracciare. E' prudente, quindi, non sottovalutare l'importanza di ciò che accade intorno a noi e la rete fittissima di interdipendenze della quale siamo parte.

Perché è proprio nei grandi tornanti della storia che riprendono vigore gli orientamenti più profondi, i caratteri dei popoli e la storia delle comunità, come ci ricorda il recentissimo saggio di un maestro del pensiero geopolitico, Robert Kaplan, "La vendetta della geografia".

S'iniziano a intravedere alcune tendenze di fondo, quali l'emergere di nuove potenze regionali, l'esigenza di un maggiore impegno degli alleati europei rispetto alla sicurezza e stabilità regionali, la focalizzazione dell'impegno americano verso l'area asiatica e il Pacifico; non è comunque ancora chiaro il quadro d'insieme.

Per affrontare efficacemente questo nuovo e difficile contesto occorre evitare ogni tensione dialettica tra interesse nazionale e dinamiche multilaterali. E' un compito che investe in pieno la politica, nelle sue finalità più alte, quelle che mirano alla definizione del destino di una comunità.

Non è infatti possibile mettere a fuoco l'interesse nazionale senza considerare gli obiettivi di fondo della Comunità internazionale e la necessaria dinamica della cooperazione, bilaterale e multilaterale. E al tempo stesso, dobbiamo essere consci che risulterebbe in fondo sterile il nostro apporto all'azione comune se tra i decisori politici e nella coscienza profonda del Paese si indebolisse l'attenzione al nostro interesse nazionale.

Grazie alla partecipazione alle missioni internazionali l'Italia ha incrementato la sua credibilità internazionale, acquisendo un ruolo più incisivo specie nell'ambito dell'Unione Europea e della Nato. Ciò è dipeso dall'impegno profuso e dalla serietà con la quale abbiamo affrontato queste missioni, alcune delle quali nei contesti più pericolosi e difficili del pianeta. Un ruolo non minore ha svolto la particolare filosofia che anima l'operato dei nostri uomini, tanto da far parlare, in ambito internazionale, di un modello italiano di peace-keeping, caratterizzato dalla specifica attenzione alle esigenze della popolazione civile e più in generale agli aspetti umanitari, culturali e relazionali. Voglio ricordare come il Comandante della missione ISAF in Afghanistan, il Generale Allen, abbia elogiato le soluzioni adottate dagli italiani, nell'ambito del Regional Command West,nel campo dello stato di diritto, del coordinamento con le forze di sicurezza afgane e della vicinanza alla popolazione locale, dichiarando quanto esse siano state vincenti e di esempio agli altri contingenti.

Tuttavia questi importanti risultati non devono far perdere di vista l'elemento più importante: l'Italia e i Paesi alleati nelle più difficili di queste missioni non difendono soltanto il loro prestigio e non svolgono esclusivamente attività di carattere umanitario. Difendono in primo luogo la sicurezza di tutti e di ciascuno; è una circostanza che troppo spesso tendiamo a dimenticare, giudicando aree remote quelle che, sul piano geo-strategico, sono invece punti vitali degli attuali equilibri internazionali che, in quanto tali, coinvolgono direttamente anche nostri interessi fondamentali. Penso in primo luogo all'Afghanistan, Paese in cui la Comunità internazionale sta pianificando una complessa operazione politico-militare e di State-building, volta a determinare le condizioni per un disimpegno quanto più possibile scevro di rischi.

Penso inoltre alla preziosa opera svolta dalla nostra Marina Militare per tutelare la sicurezza di rotte vitali per il nostro approvvigionamento energetico, come quella che dal canale di Suez giunge al Golfo Persico; a questo riguardo è doveroso rivolgere un pensiero ai due fucilieri del Reggimento San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, dei quali tutti auspichiamo un rapido rientro in Italia.

Il nostro interesse nazionale è coinvolto anche dai problemi posti dall'esigenza, di natura non solo tecnica, di garantire l'interoperabilità delle Forze Armate di ciascun Paese con gli apparati di difesa e sicurezza dei Paesi alleati. E' un tema che da molto tempo è all'attenzione dei vertici militari e politici e che ha conseguenze sull'industria della difesa e su tutti i settori ad alta tecnologia, nei quali l'Italia ha ancora importanti eccellenze che occorre sostenere e rafforzare mediante investimenti significativi ed un costante lavoro di ricerca scientifica e di adeguamento tecnologico.

A questo riguardo, le missioni hanno fornito un potente impulso ai processi di innovazione delle nostre Forze Armate avviati dalla professionalizzazione realizzata con le riforme degli anni '90 e del decennio scorso.

Per tali ragioni è necessario che le forze politiche e la società civile operino per mantenere alto il sostegno alle nostre missioni anche in una fase in cui la scarsità di risorse finanziarie può aprire la strada a tentazioni di rinuncia. La congiuntura economico-finanziaria ci impone semmai di definire al meglio i nostri obiettivi e le nostre priorità sullo scenario internazionale.

La definizione di un insieme coerente e realistico di obiettivi strategici, tali da indirizzare scelte operative cruciali per il futuro della presenza dell'Italia nelle missioni internazionali, è quindi punto focale della agenda politica nazionale che dovremo definire partendo dalla consapevolezza che - da Bruxelles alla riva Sud del Mediterraneo - il quadro internazionale è in rapida evoluzione.

A questo fine risulta centrale il ruolo del Parlamento ed è apprezzabile che questo importante convegno sia ospitato alla Camera dei deputati.

Il Parlamento italiano, per espressa disposizione costituzionale, autorizza preventivamente le missioni internazionali, accompagnandole poi nel corso del loro svolgimento.

Se guardiamo complessivamente all'esperienza italiana di controllo democratico della partecipazione a contingenti multilaterali, dobbiamo riconoscere che essa ha raggiunto un equilibrio che risulta fra i più avanzati rispetto alle soluzioni politico-istituzionali adottate dalle principali democrazie occidentali: è un modello che ha saputo temperare efficacemente le esigenze di riservatezza e tempestività insite nell'azione di Governo e le ragioni del controllo democratico e dell'indirizzo politico, prerogative irrinunciabili del Parlamento.

Nel nome di questa consapevolezza, nel dare il benvenuto agli autorevoli relatori e graditi ospiti formulo un fervido augurio di buon lavoro