Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

31/10/2012

Montecitorio, Sala Aldo Moro – Presentazione del volume “Meuccio Ruini. Inventario analitico dell’archivio. Bibliografia degli scritti, 1893-2010”, a cura di Ercole Camurani e Roberto Marcuccio

E' con vivo piacere che oggi presentiamo a Palazzo Montecitorio il pregevole volume che raccoglie l'inventario a stampa dell'archivio personale e la bibliografia degli scritti di Meuccio Ruini. Egli fu diretto testimone di oltre settant'anni di storia italiana; fu deputato nella 24a e nella 25a legislatura del Regno d'Italia, fra il 1913 ed il 1921, per poi tornare a Montecitorio come componente della Consulta nazionale e dell'Assemblea costituente fra il 1945 ed il 1947, passando poi al Senato della Repubblica, fino alla quinta legislatura repubblicana.

Per i molti che ne conservano ancora viva la memoria, il nome di Ruini è legato in primo luogo alla sua esperienza di Costituente, di presidente della c.d. Commissione dei 75, incaricata di elaborare e proporre all'Assemblea il progetto di Costituzione della neonata Repubblica.

In realtà, ad un esame più approfondito che proprio strumenti preziosi di ricerca come questo volume consentono, quell'esperienza rappresenta, nella personalità di Ruini, il punto di arrivo di una ricchissima elaborazione culturale e politica precedente ed, al tempo stesso, il punto di partenza del suo futuro impegno civile e politico nel periodo della Repubblica.

Già da questi pochi rilievi si comprende come, al pari di pochi altri protagonisti della nostra storia contemporanea, la figura ed il pensiero di Meuccio Ruini rappresentino un punto di raccordo fra diverse epoche. Egli era figlio di un ambiente del tutto particolare, quello dell'Emilia a cavallo fra Ottocento e Novecento, ed in particolare di Reggio Emilia, dove il 7 gennaio 1797 nacque il Tricolore, simbolo delle aspirazioni unitarie dell'epopea risorgimentale, e dove il 14 dicembre 1877, nacque anche Ruini, artefice della Costituzione repubblicana.

La maturazione dei suoi ideali di libertà, di giustizia ed eguaglianza sociale si svolse in una costante aspirazione al superamento dagli schemi rigidi del materialismo e della lotta di classe, tipici dell'analisi marxista.

Un atteggiamento che in lui traeva origine dall'influenza del pensiero mazziniano e dalle "memorie garibaldine" con cui suo padre, Antonio Ruini, volontario nella terza Campagna d'Indipendenza del 1866, volle espressamente lasciare ai figli, Meuccio e Carlo, una testimonianza di amore di patria e fede nella libertà, unità ed indipendenza nazionale.

Si può leggere qui un primo nucleo essenziale del "pensiero forte" di Meuccio Ruini: la diffidenza per l'enfasi rivoluzionaria ed una più pragmatica fiducia nella mediazione del conflitto e nella composizione degli interessi.

Dalle medesime convinzioni prende forma la sua intuizione circa la necessità di una "terza forza", laica e riformista, che sulla base di un vasto programma di riforme politiche, economiche e sociali avrebbe gradualmente perseguito l'obiettivo di una "democrazia del lavoro", cioè di un regime, democratico in senso politico ed economico, in cui far evolvere gradualmente le strutture e la cultura delle classi dirigenti dello Stato liberale.

L'attenzione di Ruini si soffermava in specie sugli investimenti produttivi nei lavori pubblici come strumento per una politica generale del lavoro, volta ad incrementare la produzione, aumentare i consumi ed elevare il tenore di vita di ampi e diversi strati della popolazione.

Nel riflettere, attraverso la sua esperienza, su alcuni dei momenti più critici della nostra storia nazionale, credo si possa evidenziare l'alto valore pedagogico, oltre che politico, di questa sua attenzione ai "ceti medi", una categoria sociale concettualmente mobile e che, solo grazie ad un'attenzione particolare da parte delle politiche pubbliche, funge da fattore di stabilizzazione della società e delle istituzioni.

Le basi di questa riflessione di fondo, credo si possano leggere in filigrana anche nella esperienza dell'Unione nazionale delle forze liberali e democratiche, promossa da Giovanni Amendola, a cui Ruini aderì nel novembre del 1924 insieme ad alcune delle più eminenti personalità della politica e della cultura dell'epoca - da Giulio Alessio, a Corrado Alvaro, da Piero Calamandrei a Guido De Ruggiero, da Ivanoe Bonomi a Giorgio Levi Della Vida, da Silvio Trentin a Luigi Salvatorelli, a Carlo Sforza, a Nello Rosselli -, personalità molto diverse tra loro, ma accomunate in primo luogo, nella particolare temperie di quel momento storico, dal sentimento di resistenza morale rispetto all'involuzione violenta ed autoritaria del confronto politico.

Con la fine di quella esperienza, iniziò l'esilio in patria di Ruini, caratterizzato, come è noto, da un fecondo impegno intellettuale, a cui si deve una parte importante della sua produzione scientifica, risalente agli anni fra il 1929 ed il 1932.

Circa undici anni dopo, il 9 settembre del 1943, mentre le truppe tedesche entravano a Roma, Ruini è ancora protagonista delle prime fasi di avvio del processo di transizione costituzionale, con la creazione del Comitato di Liberazione Nazionale, primo nucleo di un "governo di fatto" per guidare la lotta per la liberazione.

Già dalla primavera del '43, l'attivismo politico di Ruini si era concentrato nel rilancio, insieme a Bonomi, di una proposta politica demolaburista, erede della tradizione radicale, socialriformista ed amendoliana, da cui sorgerà, il 13 giugno 1944 il Partito democratico del lavoro, che in vista delle elezioni per l'Assemblea Costituente, concorrerà a formare l'Unione democratica nazionale, con il Partito liberale, l'Unione nazionale per la ricostruzione di Nitti ed altri raggruppamenti minori di orientamento liberal-democratico.

Nel suo primo intervento alla Costituente, il 20 luglio 1946, dopo l'elezione alla presidenza della Commissione dei 75, si colgono pienamente lo spirito realizzativo e lo stile sobrio di Ruini.

Il resoconto della seduta della commissione riporta infatti - cito testualmente - che il neo presidente "non intende pronunciare un discorso d'insediamento, anche perché vuole con l'esempio mostrare che qui non si devono fare discorsi, ma soltanto osservazioni e proposte concrete, per adempiere al compito, che non è certo lieve, di preparare in breve tempo una costituzione buona e degna della Repubblica italiana."

Il presidente Ruini lavorò molto intensamente, insieme agli altri colleghi, per mediare, per comporre interessi confliggenti, per alimentare lo spirito di leale collaborazione, per conseguire un obiettivo che non poteva essere mancato: dare all'Italia una Costituzione democratica largamente condivisa.

Illustrò apertamente il suo pensiero sia in Parlamento che nel Paese, attraverso un saggio dal titolo eloquente - "Come io pensavo la nostra Costituzione", pubblicato sulla "Nuova Antologia" dell'agosto 1947, quattro mesi prima dell'approvazione definitiva del testo costituzionale, il 22 dicembre successivo.

Interessante notare che egli pensava anzitutto ad un testo più breve, perché potesse essere letto e compreso da tutti e perfino imparato a memoria dai ragazzi nelle scuole.

Pensava inoltre ad un testo di sole norme immediatamente applicabili, concentrando le dichiarazioni di principio in un preambolo idealmente vincolante ma separato dal contenuto operativo della Costituzione.

Pensava anche, secondo una sua vecchia idea già prospettata nel 1920, ad un Senato configurato come Camera elettiva di rappresentanza delle competenze e degli interessi economici, professionali e culturali.

Pensava, infine, ad un Capo dello Stato eletto direttamente dal popolo, "così che si sarebbe svolto più armonicamente - scrive nel saggio del '47 - fra i due piloni del Parlamento e del Capo dello Stato, l' "arco di ponte", come fu chiamato, del governo di gabinetto".

Ed aggiunge: "Democrazia non significa governo debole. Autorità e forza di governo sono condizioni di funzionamento normale e garanzia di difesa democratica".

Questi suoi orientamenti non riuscirono, come noto, a trovare riscontro nel testo definitivamente approvato, salvo la variante del CNEL, presto rivelatasi ai suoi occhi depotenziata ed insoddisfacente, rispetto all'idea della rappresentanza e della composizione, direttamente in una delle due Camere, degli interessi economici e del lavoro.

Nonostante questo, Ruini continuò a sentirsi padre e quasi tutore del testo costituzionale, che aveva strenuamente difeso dalle critiche di quanti l'avevano trovato "ritardatore" e "conservatore".

"In quanto si possano distinguere forma e sostanza - scrisse a conclusione di quel saggio del 1947 - è da riconoscere che, mentre la struttura tecnica della Costituzione dà luogo a dubbi e riserve, la sostanza corrisponde in gran parte all'esigenza storica di questo momento ed ai principi ed ai metodi di libertà e di democrazia".

Agli occhi di Ruini, corrispondevano in particolare a quell'esigenza, la dimensione sociale della nostra Costituzione, il principio della "Repubblica democratica fondata sul lavoro" e l'apertura esplicita del testo costituzionale alla cooperazione internazionale ed umanitaria, coerente in linea di principio con quel "Decalogo dell'Unione Europea" - pubblicato da Ruini nel 1950.

Richiama oggi in particolare la nostra attenzione, in quel decalogo, il termine lungimirante di "Unione Europea", che Ruini non a caso preferiva rispetto a quello di "Comunità economica europea", che venne scelto, sette anni dopo, dal Trattato di Roma del 1957.

"Bisogna che l'Unione europea, aperta ai popoli d'Europa che liberamente vi aderiscano, diventi veramente europea", si legge al nono punto del decalogo, a conclusione del quale Ruini aggiunge: "Unione europea vuol dire pace; il nostro programma è "pace in una Europa unita".

Parole che non possiamo che sottoscrivere anche in questo particolare momento per l'Italia e per l'Unione Europea.

E non c'è dubbio che l'esempio di un grande maestro di democrazia, quale fu Meuccio Ruini, riesce, ancora oggi, ad infondere speranza nella costruzione di un futuro di libertà, di diritti e di prosperità per il nostro Paese e per il nostro Continente.

Per questo sono certo che la pubblicazione di questo importante volume fornirà un significativo contributo alla riflessione storica sulla stagione della nascita della nostra democrazia repubblicana.